dossier PROROGA P.d.C. (Permesso di Costruire) |
gennaio 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sulla
proroga del termine di validità del permesso di costruire.
E' costante la giurisprudenza nell’affermare che “il
termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi
automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine,
la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque
seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti l’impossibilità del rispetto del
termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore".
Ad ogni modo, è necessario che la proroga del termine di conclusione dei
lavori ex art. 15 t.u.e.l. sia manifestata, in conformità coi principi
generali di trasparenza e certezza giuridica ex artt. 1 e 2, l. n. 241 del
1990, mediante l’adozione di un formale ed espresso provvedimento, sia pure
con valenza ricognitiva di effetti discendenti direttamente dalla legge e che la
richiesta di proroga debba essere formulata, in tutti i casi contemplati dal
citato art. 15, prima della scadenza del termine di ultimazione dei lavori.
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8.1. Le censure, che in quanto strettamente connesse meritano
trattazione unitaria, sono infondate.
8.2. Com’è noto, l’art. 15, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 dispone
che
“2. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un
anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera
deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori.
Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non
eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una
proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per
fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure
in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive
emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di
opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi
finanziari.
2-bis. La proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è
comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi
per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi
poi infondate”.
Secondo la disposizione, pertanto, la concessione della proroga presuppone
l’esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione condizionato
alla presenza di determinate situazioni che prescindono dalla volontà del
titolare del permesso, ad eccezione delle ipotesi di cui al comma 2-bis, la
cui sussistenza vincola l’Amministrazione ad accogliere la richiesta di
proroga.
8.3. Ciò considerato, con riferimento al caso di specie, il Collegio osserva
che:
a) è stata la stessa società ricorrente ad indicare, con la comunicazione
del 01.07.2011, il giorno del 04.07.2011 quale data di inizio lavori;
b) i fatti estranei alla volontà del titolare del permesso che abbiano
inciso sull’esecuzione dei lavori non possono costituire cause di
sospensione del decorso del termine di efficacia del titolo, in assenza di
una previsione normativa in tal senso, potendo, al più, rappresentare,
secondo quanto disposto dal citato art. 15, elementi valutabili
discrezionalmente dall’Amministrazione ai fini della concessione della
proroga;
c) a tal riguardo, è costante la giurisprudenza nell’affermare che “il
termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi
automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine,
la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque
seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti l’impossibilità del rispetto del
termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore” (cfr. Cons.
Stato, Sez. III, n. 1870 del 2013, cit.; v. anche id., Sez. IV, 23.02.2012, n. 974; da ultimo, id., Sez. IV, 16.06.2021, n. 4648);
d) ad ogni modo, è necessario che la proroga del termine di conclusione dei
lavori ex art. 15 t.u.e.l. sia manifestata, in conformità coi principi
generali di trasparenza e certezza giuridica ex artt. 1 e 2, l. n. 241 del
1990, mediante l’adozione di un formale ed espresso provvedimento, sia pure
con valenza ricognitiva di effetti discendenti direttamente dalla legge (Cons.
Stato, Sez. IV, 04.11.2021, n. 7373; id., Sez. IV, n. 4648 del 2021; id.,
Sez. IV, n. 2078 del 2020; id., Sez. II, n. 2206 del 2020) e che la
richiesta di proroga debba essere formulata, in tutti i casi contemplati dal
citato art. 15, prima della scadenza del termine di ultimazione dei lavori.
8.4. Nel caso di specie, pertanto deve escludersi che i vari fattori
invocati dall’appellante possano avere avuto un’automatica efficacia
sospensiva del termine. Tale conclusione rende peraltro del tutto
irrilevante il riferimento ai “giorni di pioggia” contenuto nell’impugnato
provvedimento.
8.5. In conclusione, correttamente il Comune ha rilevato che alla data di
presentazione dell’istanza di proroga risultava ormai decaduto il titolo
edilizio per intervenuta scadenza del relativo termine di efficacia
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.01.2022 n. 149 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Efficacia temporale del permesso di costruire – Inizio e
fine lavori – Decadenza dal diritto a costruire – Fissazione
obbligatoria di termini di validità del titolo abilitativo –
Natura permanente del reato di costruzione abusiva – Artt.
3, 15, 29, 44, DPR n. 380/2001.
Secondo la disciplina della efficacia
temporale del permesso di costruire contenuta nell’art. 15,
comma 2, d.P.R. n. 380/2001, i lavori devono essere iniziati
entro un anno dal rilascio del titolo abilitativo, e devono
essere ultimati entro tre anni dall’inizio dei lavori
stessi, pena la decadenza dal diritto a costruire la parte
dell’opera non ancora eseguita.
La fissazione obbligatoria di termini di validità del titolo
abilitativo trova la sua ratio nella necessità di assicurare
la certezza temporale dell’attività di trasformazione
edilizia ed urbanistica del territorio e l’effettività delle
previsioni urbanistiche.
Allo scopo di evitare che una edificazione, autorizzata in
un dato momento, venga realizzata quando la situazione
fattuale e normativa sia mutata, i lavori devono essere
iniziati ed ultimati nel termine prescritto nel permesso di
costruire. Tuttavia, i termini di inizio e di ultimazione
possono però essere prorogati, se prima della scadenza ne
sia fatta richiesta, in considerazione di fatti sopravvenuti
estranei alla volontà del titolare del permesso.
Infine, va ricordato che il reato di costruzione abusiva ha
natura permanente per tutto il tempo in cui continua
l’attività edilizia illecita, ed il suo momento di
cessazione va individuato o nella sospensione di lavori, sia
essa volontaria o imposta ex auctoritate, o nella
ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera o,
infine, nella sentenza di primo grado ove i lavori siano
proseguiti dopo l’accertamento e sino alla data del giudizio (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 31.12.2021 n. 47426 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo la disciplina della efficacia temporale del permesso di
costruire contenuta nell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, i lavori
devono essere iniziati entro un anno dal rilascio del titolo abilitativo, e
devono essere ultimati entro tre anni dall'inizio dei lavori stessi, pena la
decadenza dal diritto a costruire la parte dell'opera non ancora eseguita.
La fissazione obbligatoria di termini di validità del titolo abilitativo
trova la sua ratio nella necessità di assicurare la certezza temporale
dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio e
l'effettività delle previsioni urbanistiche. Allo scopo di evitare che una
edificazione, autorizzata in un dato momento, venga realizzata quando la
situazione fattuale e normativa sia mutata, i lavori devono essere iniziati
ed ultimati nel termine prescritto nel permesso di costruire.
I termini di inizio e di ultimazione possono però essere prorogati, se prima
della scadenza ne sia fatta richiesta, in considerazione di fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso.
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4. Il quinto motivo di ricorso di Fa.Ma.Do. è manifestamente
infondato.
Secondo la disciplina della efficacia temporale del permesso di costruire
contenuta nell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, i lavori devono essere
iniziati entro un anno dal rilascio del titolo abilitativo, e devono essere
ultimati entro tre anni dall'inizio dei lavori stessi, pena la decadenza dal
diritto a costruire la parte dell'opera non ancora eseguita.
La fissazione obbligatoria di termini di validità del titolo abilitativo
trova la sua ratio nella necessità di assicurare la certezza
temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del
territorio e l'effettività delle previsioni urbanistiche (C. Stato, sez. V
28.06.2000 n. 3638). Allo scopo di evitare che una edificazione, autorizzata
in un dato momento, venga realizzata quando la situazione fattuale e
normativa sia mutata, i lavori devono essere iniziati ed ultimati nel
termine prescritto nel permesso di costruire (Sez. 3, n. 12316 del
21/02/2007, Rv. 236336 - 01, in motivazione).
I termini di inizio e di ultimazione possono però essere prorogati, se prima
della scadenza ne sia fatta richiesta, in considerazione di fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso.
Con il d.l. n. 133/2013 è stato introdotto il comma 2-bis all'art. 15 d.P.R.
n. 380/2001 prevedendo che la proroga dei termini per l'inizio e
l'ultimazione dei lavori è comunque accordato qualora i lavori non possono
essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o
dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondati.
La Corte territoriale, in aderenza al chiaro dato normativo, ha
correttamente rilevato che grava sul committente l'obbligo di presentare una
formale istanza di proroga in tutte le ipotesi normativamente previste,
anteriormente alla scadenza e che tanto non è avvenuto nella specie.
Il ricorrente, neppure confrontandosi criticamente con tali argomentazioni,
si dilunga in considerazioni in punto di fatto che non possono trovare
ingresso in sede di giudizio di legittimità (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 31.12.2021 n. 47426). |
EDILIZIA PRIVATA: Titoli
edilizi, illegittima la proroga automatica decisa dalla Lombardia per il
Covid.
La Regione Lombardia non può prorogare la validità dei titoli edilizi
rilasciati durante l'emergenza Covid 2019 oltre il termine previsto dalla
normativa nazionale in quanto il regime dei titoli abilitativi costituisce
principio fondamentale della materia concorrente "governo del territorio"
rimesso alla potestà legislativa dello Stato ex articolo 117, comma terzo,
della Costituzione.
Lo ha stabilito la Consulta con la
sentenza 21.12.2021 n. 245,
che, su ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ha
dichiarato incostituzionale l'articolo 28, comma 1, lettera a), della legge
regionale 07.08.2020 (Assestamento al bilancio 2020-2022 con modifiche di
leggi regionali) che proroga automaticamente di tre anni «la validità di
tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti
o titoli abilitativi, comunque denominati, fino al 31.12.2021».
Norma che il Giudice delle leggi ha ritenuto in contrasto con:
- l'articolo 103, comma 2, del decreto-legge 17.03.2020, n. 18 "Misure
connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19" secondo cui tutti i
titoli abilitativi in scadenza tra il 31.01.2020 e la dichiarazione di
cessazione dello stato di emergenza (ad oggi fissata al 31.03.2022)
conservano la loro efficacia sino ai novanta giorni successivi a tale
dichiarazione;
- l'articolo 10, comma 4, del decreto legge n. 76 del 2020 "Misure
urgenti per la semplificazione", nuovamente intervenuto in materia, di
emergenza Covid- 19, che stabilisce che, «[p]er effetto della
comunicazione del soggetto interessato di volersi avvalere del presente
comma, sono prorogati di tre anni i termini di inizio e di ultimazione dei
lavori di cui all'articolo 15, come indicati nei permessi di costruire
rilasciati o comunque formatisi fino al 31.12.2020, purché i suddetti
termini non siano già decorsi al momento della comunicazione
dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in
contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi
strumenti urbanistici approvati o adottati»;
- gli articoli 12 e 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, recanti
rispettivamente la disciplina in tema di presupposti per il rilascio del
permesso di costruire e di efficacia temporale e decadenza del permesso di
costruire.
La sentenza
L'Avvocatura generale dello Stato aveva impugnato la norma regionale
evidenziando che:
1) il legislatore statale era intervenuto in materia con interventi
graduali, proporzionati alla situazione emergenziale, subordinando la
proroga dei termini di inizio e ultimazione dei lavori dei permessi di
costruire alla comunicazione dell'interessato e alla perdurante conformità
del titolo agli strumenti urbanistici approvati o adottati, mentre la
Regione Lombardia aveva introdotto una proroga automatica e di maggiore
ampiezza al punto di rendere «variabile lo ius aedificandi»;
2) la norma regionale si sarebbe discostata dalla disciplina
statale che subordina la proroga alla compatibilità del titolo abilitativo
con gli strumenti urbanistici «anche meramente adottati», in
applicazione dell'articolo 12, comma 3, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 («In
caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di
costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa
ogni determinazione in ordine alla domanda»).
Argomentazioni che ha la Corte costituzionale ha condiviso («Le pur gravi
difficoltà che investono il settore delle costruzioni in Lombardia, peraltro
riscontrabili anche in altre realtà regionali, non giustificano
l'introduzione di un regime regionale difforme»).
L'Alta Corte ha confermato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui le
norme che disciplinano i titoli abilitativi sono riconducibili al rango di
principi fondamentali della materia "governo del territorio" (ex
plurimis, sentenza n. 125 del 2017, n. 49 del 2016 e n. 309 del 2011: «La
Corte ritiene principi fondamentali della materia le disposizioni che
definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste
ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al
procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche
penali».
Orientamento che l'Alta Corte ha più volte ribadito. Basta citare la
sentenza n. 2 del 2021 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di
alcune norme della legge della Regione Toscana 22.11.2019, n. 69
(Disposizioni in materia di governo del territorio) affermando che l'obbligo
di non iniziare i lavori prima di trenta giorni dalla segnalazione,
stabilito dall'articolo 23, comma 1, del testo unico edilizia, «concorre
a caratterizzare indefettibilmente il regime del titolo abilitativo della
"superScia", e costituisce anch'esso principio fondamentale della materia
"governo del territorio"»
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 27.12.2021). |
EDILIZIA PRIVATA:
Titoli edilizi ed emergenza Covid: incostituzionale la proroga della
Lombardia. La Corte Costituzionale ha confermato il contrasto con quanto
disposto dallo Stato a seguito dell'emergenza sanitaria.
Scadenza termini titoli abilitativi ed emergenza COVID-19: la proroga
disposta dalla regione Lombardia (legge 18/2020) è incostituzionale.
Proroga termini titoli abilitativi: la sentenza della Corte
Costituzionale
Così ha disposto la Corte Costituzionale, con la
sentenza 21.12.2021 n. 245,
per avere agito in difformità da quanto ha previsto lo Stato con i decreti
legge n. 18/2020 e n. 76/2020.
Nella fattispecie, il giudizio ha riguardato la legittimità costituzionale
dell’art. 28 della legge della Regione Lombardia 07.08.2020, n. 18
(Assestamento al bilancio 2020-2022 con modifiche di leggi regionali).
Tale norma prevedeva:
●
la proroga di tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni,
autorizzazioni e atti o titoli abilitativi, comunque denominati, in scadenza
dal 31.01.2020 e fino al 31.12.2021, per tre anni dalla data di relativa
scadenza;
●
la proroga delle convenzioni di lottizzazione di cui all’articolo 46 della
legge regionale 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e
dei termini da esse stabiliti, nonché di quelli contenuti in accordi
similari, comunque denominati, previsti dalla legislazione regionale in
materia urbanistica, stipulati antecedentemente alla data di entrata in
vigore della presente legge, che conservano validità per tre anni dalla
relativa scadenza.
Secondo il Governo, la disposizione regionale impugnata ha dettato una
disciplina difforme da quella statale, contenuta nell’art. 103, commi 2 e
2-bis, del decreto-legge 17.03.2020, n. 18 (c.d. Decreto “Cura Italia”),
convertito, con modificazioni, in legge 24.04.2020, n. 27, e nel successivo,
integrativo art. 10, commi 4 e 4-bis, del decreto-legge 16.07.2020, n. 76
(c.d. “Decreto Semplificazioni”) convertito, con modificazioni, in
legge 11.09.2020, n. 120.
In particolare, viene sottolineata:
●
la maggiore ampiezza della proroga disposta in ambito regionale, che ha
prolungato di tre anni la validità dei permessi di costruire in scadenza
fino al 31.12.2021;
●
l’automatismo che la connota, laddove il legislatore statale ha proceduto
con interventi graduali, proporzionati alla situazione emergenziale,
subordinando la proroga dei termini di inizio e ultimazione dei lavori dei
permessi di costruire alla comunicazione dell’interessato, nonché alla
perdurante conformità del titolo agli strumenti urbanistici approvati o
adottati: in particolare l’art. 10, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020 ne
subordina l’efficacia alla richiesta dell’interessato e alla perdurante
compatibilità del titolo oggetto della richiesta di proroga con gli
strumenti urbanistici, generali o particolareggiati, nel frattempo adottati.
Inoltre la norma impugnata:
●
sarebbe costituzionalmente illegittima anche sotto il profilo della
violazione del principio di necessaria unitarietà della proroga, tanto dei
termini di validità dei titoli, quanto dei termini di inizio e ultimazione
dei lavori;
●
contrasterebbe con la legislazione statale prima richiamata anche con
riferimento alla causale dell’emergenza su cui esplicitamente si fonda,
poiché vengono meno i principi di proporzionalità e limitatezza temporale.
La proroga disposta dal legislatore regionale, riferita ai titoli
abilitativi in scadenza fino al 31.12.2021, violerebbe palesemente tali
principi.
Emergenza
Covid-19 e proroga titoli edilizi: il quadro normativo di riferimento
Nel giudicare il caso, la Corte Costituzionale ha preliminarmente fatto un
excursus delle norme di riferimento:
●
con l’art. 103, comma 1, del d.l. n. 18 del 17.03.2020 (cosiddetto Decreto
cura Italia), il legislatore ha approntato il primo intervento urgente: la
paralisi dell’attività amministrativa e l’esigenza di garantire la
protezione della salute e gli interessi collegati all’azione della pubblica
amministrazione, hanno indotto a prevedere la sospensione dei termini di
tutti i procedimenti amministrativi;
●
in sede di conversione in legge, si è stabilito che gli atti e i titoli in
scadenza tra il 31 gennaio e il 31.07.2020 conservano «validità» per
i novanta giorni successivi alla data della dichiarazione di cessazione
dello stato di emergenza, con previsione espressamente estesa ai termini di
inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’art. 15 del d.P.R., n.
380/2001, alle segnalazioni certificate di inizio attività (SCIA), alle
segnalazioni di agibilità, alle autorizzazioni paesaggistiche e alle
autorizzazioni ambientali, comunque denominate;
●
nel luglio 2020, nel permanere dell’emergenza, il legislatore è tornato a
occuparsi di alcuni provvedimenti specifici –i permessi di costruire– per
ricalibrare la proroga automatica e generalizzata inizialmente disposta con
l’art. 103, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020: ecco quindi l’art. 10, comma
4, del d.l. n. 76 del 2020 (cosiddetto Decreto semplificazioni), come
convertito nella legge n. 120 del 2020, che ha previsto che i termini di
inizio e ultimazione dei lavori di cui all’art. 15 del d.P.R. n. 380/2001,
come indicati nei permessi di costruire formatisi fino al 31.12.2020, sono
prorogati, se l’interessato comunica di volersi avvalere di tale proroga. Al
momento della comunicazione i termini non devono essere già decorsi e il
titolo deve risultare conforme agli strumenti urbanistici approvati o
adottati. Questa disciplina è stata espressamente estesa alle segnalazioni
di inizio attività presentate entro lo stesso termine (31.12.2020).
●
a causa del protrarsi dell’emergenza epidemiologica, il legislatore è
nuovamente intervenuto: l’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 125 del
2020, come convertito, ha modificato l’art. 103, comma 2, sostituendo la
data del «31.07.2020» con «la data della dichiarazione di
cessazione dello stato di emergenza», così prorogando la validità di
tutti gli atti e titoli in scadenza nell’intero periodo emergenziale, a
partire dal 31.01.2020;
●
l’art. 3-bis, comma 1, lettera b), dello stesso d.l. n. 125 del 2020, ha
introdotto nell’art. 103 il comma 2-sexies, in cui si prevede che tutti gli
atti e provvedimenti indicati al comma 2 dell’art. 103 «scaduti» tra
il 01.08.2020 e la data di entrata in vigore della legge di conversione n.
159 del 2020 (27.11.2020), e non rinnovati, «si intendono validi e sono
soggetti alla disciplina di cui al medesimo comma 2». In questo modo, è
stata recuperata la validità degli atti in scadenza nel periodo successivo
al 31.07.2020, non compresi nella prima proroga. La disciplina dettata
dall’art. 10, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020 è riferita solo ai permessi
di costruire e alla SCIA, mentre gli altri titoli abilitativi sono
assoggettati alla previsione dell’art. 103, comma 2, del d.l. n. 18 del
2020, come modificato.
Infine, con il decreto-legge 23.07.2021, n. 105, convertito, con
modificazioni, in legge 16.09.2021, n. 126, l’emergenza da COVID-19 è stata
prorogata fino al 31.12.2021.
Proroga automatica contrasta con le norme statali
La Corte Costituzionale quindi ha evidenziato che l’art. 28, comma 1,
lettera a), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, nel disporre la
proroga dei titoli abilitativi in modo difforme da quanto previsto nella
disciplina statale (artt. 103, comma 2, d.l. n. 18 del 2020, come
convertito, e 10, comma 4, d.l. n. 76 del 2020, come convertito), entra in
collisione con un principio fondamentale.
Il raffronto tra le norme statali interposte e la disciplina regionale rende
palese la diversità della proroga automatica disposta dalla Regione
Lombardia in riferimento a:
●
tipologia dei titoli abilitativi;
●
durata della proroga, che la disposizione regionale ha indicato in tre anni
dalla scadenza, mentre la norma statale ha individuato il termine finale nel
novantesimo giorno successivo alla dichiarazione di cessazione dello stato
di emergenza;
●
art. 10, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020, che ha previsto una disciplina
specifica della proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori
indicati nei permessi di costruire di cui all’art. 15 del d.P.R. n. 380 del
2001, eliminando l’automatismo e subordinando la concessione della proroga
alla richiesta dell’interessato, nonché alla perdurante compatibilità del
titolo oggetto di proroga con gli strumenti urbanistici approvati o
adottati.
Inoltre, nel testo che risulta a seguito della legge di conversione, è
previsto un termine differenziato di proroga dei suddetti termini,
rispettivamente di un anno e di tre anni.
La disciplina regionale è, pertanto, completamente differente rispetto a
quella statale.
Il Collegio ha quindi ricordato che la durata dei titoli abilitativi
rappresenta un punto di equilibrio fra i contrapposti interessi oggetto di
tutela, inerenti alla realizzazione di interventi di trasformazione del
territorio compatibili con la tutela dell’ambiente e dell’ordinato sviluppo
urbanistico, per ciò stesso assegnato a titolo esclusivo al legislatore
statale, secondo il sistema delineato dal d.P.R. n. 380 del 2001.
La
disciplina statale riguarda tutto il territorio nazionale
In una situazione inusuale di emergenza epidemiologica come quella da
COVID-19, l’intervento del legislatore è consistito nel prorogare i titoli
abilitativi in termini omogenei su tutto il territorio nazionale: "incidendo
sulla durata, le norme statali interposte partecipano della natura di
“principio fondamentale” che connota la disciplina dei titoli abilitativi,
con l’effetto di vincolare le Regioni. Le pur gravi difficoltà che investono
il settore delle costruzioni in Lombardia, peraltro riscontrabili anche in
altre realtà regionali, non giustificano l’introduzione di un regime
regionale difforme”.
Con le norme emanate, lo Stato ha disposto la proroga generalizzata dei
titoli abilitativi, seguendo lo sviluppo dell’emergenza epidemiologica e
delle sue ricadute, nel bilanciamento di interessi potenzialmente
confliggenti che connotano gli interventi sul territorio: da un lato,
l’interesse dei beneficiari dei titoli abilitativi a esercitare i propri
diritti, e l’interesse pubblico a non vincolare l’uso del territorio per un
tempo eccessivo, dall’altro. L’intervento statale ha inteso rispondere a
esigenze che riguardano l’intero territorio nazionale, colpito dalla
pandemia, con effetti drammatici che hanno inciso il tessuto sociale ed
economico.
L’art. 28, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia
07.08.2020, n. 18, è stato quindi giudicato illegittimo, ad esclusione della
parte in cui, nel testo antecedente all’entrata in vigore della legge reg.
Lombardia n. 22 del 2020, prevedeva la proroga delle autorizzazioni
paesaggistiche (23.12.2021 - tratto da e link a
www.lavoripubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA: F.
Donegani,
Pandemia e proroga dei titoli abilitativi in Lombardia: l'intervento della
Corte Costituzionale (22.12.2021 - link a
www.dirittopa.it).
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Fin dalle prime fasi della pandemia, il legislatore nazionale si è
preoccupato di prorogare i termini di titoli edilizi e convenzioni, sia per
preservarne la validità a fronte del blocco delle attività, che per favorire
il rilancio dell'economia accordando più ampi tempi di attuazione degli
interventi edilizi. (...continua). |
EDILIZIA PRIVATA: La
proroga dei titoli abilitativi edilizi è riservata allo Stato.
La Corte Costituzionale, con la
sentenza 21.12.2021 n. 245,
ha dichiarato illegittima la disposizione della Regione Lombardia di proroga
dei termini dei titoli edilizi, paesaggistici e delle convenzioni di
lottizzazione, impugnata dal Governo perché in contrasto con la disciplina
statale che, incidendo sulla durata dei titoli abilitativi, partecipa della
natura di principio fondamentale della materia del governo del territorio. “Le
pur gravi difficoltà che investono il settore delle costruzioni in
Lombardia, peraltro riscontrabili anche in altre realtà regionali, non
giustificano l’introduzione di un regime regionale difforme’’.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art.
117, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 28 della legge della Regione Lombardia 07.08.2020,
n. 18 (Assestamento al bilancio 2020-2022 con modifiche di leggi regionali).
In particolare la disposizione regionale impugnata, prevedeva che in
considerazione del permanere di gravi difficoltà per il settore delle
costruzioni, derivanti dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, “fosse
prorogata la validità:
a) di tutti certificati, attestati, permessi, concessioni,
autorizzazioni e atti o titoli abilitativi, comunque denominati, in scadenza
dal 31.01.2020 e fino al 31.12.2021, per tre anni dalla data di relativa
scadenza;
b) delle convenzioni di lottizzazione di cui all’articolo 46 della
legge regionale 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e
dei termini da esse stabiliti, nonché di quelli contenuti in accordi
similari, comunque denominati, previsti dalla legislazione regionale in
materia urbanistica, stipulati antecedentemente alla data di entrata in
vigore della presente legge, che conservano validità per tre anni dalla
relativa scadenza".
Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la disposizione
regionale violi il riparto di competenze in quanto proroga la validità dei
titoli edilizi, paesaggistici e delle convenzioni di lottizzazione. Infatti
la normativa in esame è riconducibile alla materia «governo del
territorio», di competenza legislativa concorrente, e che, all’interno
di tale ambito materiale, la disciplina dei titoli edilizi e paesaggistici
assurga al rango di principio fondamentale, anche con riferimento alla
durata.
La disposizione regionale, con l’introdurre una disciplina sostitutiva di
quella statale sulla proroga dei titoli, violerebbe l’art. 117, terzo comma,
Cost., per il tramite del parametro interposto costituito dalle norme
statali richiamate, che esprimono principi fondamentali della materia.
Sentenza della Corte
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 245/2021 del 21.12.2021, ha
dichiarato incostituzionale la proroga dei termini dei titoli abilitativi
disposta durante l’emergenza COVID-19 dalla regione Lombardia (legge
18/2020) in modo difforme da quanto ha previsto lo Stato con i decreti legge
18 e 76 del 2020.
‘‘Le pur gravi difficoltà che investono il settore delle costruzioni in
Lombardia, peraltro riscontrabili anche in altre realtà regionali, non
giustificano l’introduzione di un regime regionale difforme’’. La Corte
ha inoltre osservato che, nel seguire lo sviluppo dell’emergenza COVID-19 e
delle sue drammatiche ricadute, il legislatore statale ha inteso bilanciare
l’interesse dei beneficiari dei titoli a conservare i rispettivi diritti e
l’interesse pubblico a non vincolare l’uso del territorio per un tempo
eccessivo. Di qui la proroga generalizzata dei titoli abilitativi su tutto
il territorio nazionale, fino al novantesimo giorno successivo alla
cessazione dello stato di emergenza (21.12.2021 - tratto da
www.ipsoa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Art. 28 l.r. Lombardia n.
18/2020 – Illegittimità costituzionale – Emergenza
epidemiologica – Proroga dei titoli abilitativi difforme
rispetto alla previsione statale di cui agli artt. 103, c. 2
d.l. n. 18/2020 e 10, c. 4, d.l. n. 76/2020 – Durata dei
titoli abilitativi – Principio fondamentale assegnato a
titolo esclusivo al legislatore statale.
Va dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 28, comma 1, lettera a), della
legge della Regione Lombardia 07.08.2020, n. 18
(Assestamento al bilancio 2020-2022 con modifiche di leggi
regionali), come delimitato –nel suo ambito di applicazione–
dall’art. 20, comma 2, lettera b), della legge della Regione
Lombardia 27.11.2020, n. 22 (Seconda legge di revisione
normativa ordinamentale 2020).
La norma, nel disporre la proroga dei titoli abilitativi in
modo difforme da quanto previsto nella disciplina statale (artt.
103, comma 2, d.l. n. 18 del 2020, come convertito, e 10,
comma 4, d.l. n. 76 del 2020, come convertito), entra in
collisione con un principio fondamentale, in tema di durata
dei titoli abilitativi, nella cui determinazione si ravvisa
un punto di equilibrio fra i contrapposti interessi oggetto
di tutela, inerenti alla realizzazione di interventi di
trasformazione del territorio compatibili con la tutela
dell’ambiente e dell’ordinato sviluppo urbanistico, per ciò
stesso assegnato a titolo esclusivo al legislatore statale.
La diversità della proroga automatica disposta dalla Regione
Lombardia è resa palese dal raffronto tra le norme statali
interposte e la disciplina regionale, con riferimento sia
all’oggetto –individuato in «tutti i certificati, attestati,
permessi, concessioni, autorizzazioni e atti o titoli
abilitativi, comunque denominati» in scadenza dal 31.01.2020
fino al 31.12.2021, laddove l’art. 103, comma 2, del d.l. n.
18 del 2020, prevedeva la proroga automatica degli atti e
titoli abilitativi in scadenza tra il 31.01.2020 e il
31.07.2020–, sia alla durata della proroga, che la
disposizione regionale ha indicato in tre anni dalla
scadenza, mentre la norma statale ha individuato il termine
finale nel novantesimo giorno successivo alla dichiarazione
di cessazione dello stato di emergenza.
La difformità si riscontra anche con riferimento alla
previsione integrativa dettata dall’art. 10, comma 4, del
d.l. n. 76 del 2020, che ha previsto una disciplina
specifica della proroga dei termini di inizio e di
ultimazione dei lavori indicati nei permessi di costruire di
cui all’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, eliminando
l’automatismo e subordinando la concessione della proroga
alla richiesta dell’interessato, nonché alla perdurante
compatibilità del titolo oggetto di proroga con gli
strumenti urbanistici approvati o adottati.
Al disallineamento dei termini di proroga si affianca una
disciplina strutturalmente diversa, giacché il d.l. n. 76
del 2020, intervenuto nella seconda fase dell’emergenza, ha
superato l’automatismo della prima generalizzata proroga,
introducendo elementi condizionali (Corte
Costituzionale,
sentenza 21.12.2021 n. 245 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
EMERGENZA COVID: LA PROROGA DEI TITOLI
ABILITATIVI EDILIZI E PAESAGGISTICI E’ RISERVATA
ALLO STATO.
È incostituzionale la proroga dei termini dei titoli
abilitativi disposta durante l’emergenza COVID-19
dalla regione Lombardia (legge 18/2020) in modo
difforme da quanto ha previsto lo Stato con i
decreti legge 18 e 76 del 2020.
‘‘Le pur gravi difficoltà che investono il
settore delle costruzioni in Lombardia, peraltro
riscontrabili anche in altre realtà regionali, non
giustificano l’introduzione di un regime regionale
difforme’’.
È quanto si legge nella
sentenza n. 245 depositata oggi (relatrice
Silvana Sciarra). La Corte costituzionale ha
dichiarato illegittima la disposizione regionale di
proroga dei termini, impugnata dal Governo perché in
contrasto con la disciplina statale che, incidendo
sulla durata dei titoli abilitativi, partecipa della
natura di principio fondamentale della materia del
governo del territorio.
La Corte ha osservato che, nel seguire lo sviluppo
dell’emergenza COVID-19 e delle sue drammatiche
ricadute, il legislatore statale ha inteso
bilanciare l’interesse dei beneficiari dei titoli a
conservare i rispettivi diritti e l’interesse
pubblico a non vincolare l’uso del territorio per un
tempo eccessivo. Di qui la proroga generalizzata dei
titoli abilitativi su tutto il territorio nazionale,
fino al novantesimo giorno successivo alla
cessazione dello stato di emergenza (Corte
Costituzionale,
comunicato
stampa 21.12.2021).
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SENTENZA
1.– Con il
ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 95
del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art.
117, terzo comma, della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art.
28 della legge della Regione Lombardia 07.08.2020,
n. 18 (Assestamento al bilancio 2020-2022 con
modifiche di leggi regionali).
2.– L’impugnato art. 28, rubricato «Differimento
di termini e sospensione dell’efficacia di atti in
materia di governo del territorio in considerazione
dell’emergenza epidemiologica da COVID-19», ha
disposto «[a]nche in considerazione del permanere
di gravi difficoltà per il settore delle
costruzioni, derivanti dall’emergenza epidemiologica
da COVID-19», la proroga della validità di atti
e titoli abilitativi.
In particolare l’art.
28, comma 1, ha previsto, alla lettera a), la
proroga della validità di «tutti i certificati,
attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e
atti o titoli abilitativi, comunque denominati, in
scadenza dal 31.01.2020 e fino al 31.12.2021, per
tre anni dalla data di relativa scadenza», e,
alla lettera b), la proroga della validità delle «convenzioni
di lottizzazione di cui all’articolo 46 della legge
regionale 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo
del territorio) e dei termini da esse stabiliti,
nonché di quelli contenuti in accordi similari,
comunque denominati, previsti dalla legislazione
regionale in materia urbanistica, stipulati
antecedentemente alla data di entrata in vigore
della presente legge, che conservano validità per
tre anni dalla relativa scadenza».
2.1.– Il ricorrente ritiene che la disposizione
regionale violi il riparto di competenze in quanto
proroga la validità dei titoli edilizi,
paesaggistici e delle convenzioni di lottizzazione
difformemente da quanto previsto dalla disciplina
statale nell’art.
103, commi 2 e 2-bis, del decreto-legge 17.03.2020,
n. 18 (Misure di potenziamento del
Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico
per famiglie, lavoratori e imprese connesse
all’emergenza epidemiologica da COVID-19),
convertito, con modificazioni, in legge 24.04.2020,
n. 27, e nel successivo, integrativo
art. 10, commi 4 e 4-bis, del
decreto-legge 16.07.2020, n. 76 (Misure
urgenti per la semplificazione e l’innovazione
digitale) convertito, con modificazioni, in legge
11.09.2020, n. 120.
2.2.– Il ricorrente muove dall’assunto che la
normativa in esame sia riconducibile alla materia «governo
del territorio», di competenza legislativa
concorrente, e che, all’interno di tale ambito
materiale, la disciplina dei titoli edilizi e
paesaggistici assurga al rango di principio
fondamentale, anche con riferimento alla durata.
La disposizione regionale, con l’introdurre una
disciplina sostitutiva di quella statale sulla
proroga dei titoli, violerebbe l’art. 117, terzo
comma, Cost., per il tramite del parametro
interposto costituito dalle norme statali
richiamate, che esprimono principi fondamentali
della materia.
2.3.– La Regione Lombardia ha contestato che la
proroga dei titoli abilitativi rientri nella
normativa di principio riservata allo Stato in
materia di «governo del territorio»,
assumendo che il legislatore regionale possa
modulare diversamente la proroga per soddisfare
esigenze peculiari del territorio.
3.– Occorre, in via preliminare, esaminare le
eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Regione
resistente.
3.1.– La Regione Lombardia, anzitutto, eccepisce
l’inammissibilità del ricorso promosso avverso
l’intero
art. 28 della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020,
in quanto sia la delibera di impugnazione del
ricorso del Consiglio dei ministri che il ricorso
non avrebbero individuato con sufficiente
determinatezza le disposizioni impugnate,
limitandosi a richiamare genericamente l’intero art.
28, che contiene disposizioni fra loro non omogenee.
3.1.1. – L’eccezione è priva di fondamento.
Come riconosciuto dalla stessa Regione Lombardia,
sia dalla delibera di proposizione del ricorso, sia
dal ricorso stesso emerge chiaramente che le censure
di illegittimità costituzionale sono riferite alle
sole prescrizioni contenute nel comma 1 del citato
art. 28. Pertanto, lo scrutinio di questa Corte è
circoscritto a tale comma.
3.2.– Deve essere, del pari, rigettata l’eccezione
di inammissibilità formulata dalla difesa regionale
con riguardo alla proroga della validità delle
autorizzazioni paesaggistiche.
Il ricorrente, pur senza soffermarsi sulla dedotta
violazione, chiaramente si duole che la proroga
disposta dall’art.
28, comma 1, lettera a), investe i titoli
autorizzativi anche paesaggistici, prevedendo
termini diversi da quelli fissati dalla disciplina
statale.
3.3.– Ancora in linea preliminare, occorre rilevare
che, con atto depositato il 19.11.2021, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato
di rinunciare al ricorso limitatamente alla
impugnazione dell’art.
28, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia
n. 18 del 2020, in ragione della sopravvenuta
abrogazione della citata disposizione ad opera dell’art.
18, comma 1, lettera a), della legge della Regione
Lombardia 27.11.2020, n. 22 (Seconda legge di
revisione normativa ordinamentale 2020).
La Regione resistente, con delibera di Giunta
pervenuta in data 30.11.2021, ha dichiarato di
accettare la rinuncia.
Ciò comporta l’estinzione del processo,
limitatamente alla questione di legittimità
costituzionale dell’art.
28, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia
n. 18 del 2020, promossa dal Governo in
riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
3.4.– Con la memoria illustrativa, la difesa
regionale ha segnalato l’ulteriore sopravvenienza
normativa costituita dal
comma 1-bis dell’art. 28 della legge reg. Lombardia
n. 18 del 2020, inserito dall’art. 20, comma 2,
lettera b), della legge reg. Lombardia n. 22 del
2020, entrata in vigore il 30.11.2020, precisando
che tale disposizione ha escluso le autorizzazioni
paesaggistiche dalla proroga di cui al comma 1. Una
tale sopravvenienza comporterebbe, secondo la difesa
regionale, la cessazione della materia del
contendere.
Il periodo di vigenza della disposizione regionale
impugnata –11.08.2020-30.11.2020– è allineato con la
disciplina statale, contenuta nell’art.
103, comma 2-sexies, del d.l. n. 18 del 2020,
aggiunto dal decreto-legge 07.10.2020, n. 125,
recante «Misure urgenti connesse con la proroga
della dichiarazione dello stato di emergenza
epidemiologica da COVID-19, per il differimento di
consultazioni elettorali per l’anno 2020 e per la
continuità operativa del sistema di allerta COVID,
nonché per l’attuazione della direttiva (UE)
2020/739 del 03.06.2020, e disposizioni urgenti in
materia di riscossione esattoriale», convertito,
con modificazioni, in legge 27.11.2020, n. 159. La
norma regionale impugnata avrebbe potuto operare
dopo novanta giorni dalla scadenza della
dichiarazione dello stato di emergenza previsto
dalla normativa statale, ovvero dopo il 31.01.2021 e
dunque non ha trovato applicazione, come affermato
dalla difesa regionale nella memoria illustrativa.
Sussistono pertanto i presupposti per dichiarare
cessata la materia del contendere con riguardo alla
questione di legittimità costituzionale dell’art.
28, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia
n. 18 del 2020, nella sola parte relativa alla
proroga delle autorizzazioni paesaggistiche.
4.– Nel merito, la questione di legittimità
costituzionalità, circoscritta alla restante parte
della lettera a) del comma 1 dell’art. 28, è
fondata.
4.1.– È opportuno ricostruire diacronicamente il
succedersi degli interventi statali, ispirati, sia
pure nella diversa modulazione tra la prima e la
seconda fase dell’emergenza epidemiologica da
COVID-19, dall’impellente esigenza di preservare, su
tutto il territorio nazionale, la validità e
l’efficacia dei titoli abilitativi altrimenti
compromessa dal blocco delle attività.
4.1.1.– Con l’art.
103, comma 1, del d.l. n. 18 del 17.03.2020
(cosiddetto Decreto cura Italia), il legislatore ha
approntato il primo intervento urgente. La paralisi
dell’attività amministrativa e l’esigenza di
garantire la protezione della salute e gli interessi
collegati all’azione della pubblica amministrazione,
hanno indotto il legislatore a prevedere la
sospensione dei termini di tutti i procedimenti
amministrativi.
In larga parte sovrapponibile è la ratio che
sorregge la previsione contenuta nel successivo
comma 2, rilevante in questo giudizio, che dispone
la proroga della validità degli atti e provvedimenti
e titoli abilitativi già perfezionati, nonché lo
slittamento dei termini in essi previsti.
Al di là del riferimento agli atti amministrativi di
certazione (certificati, attestati), il catalogo
riguarda provvedimenti ampliativi della sfera
giuridica dei destinatari, quali i titoli
abilitativi, che conformano lo ius aedificandi,
e nascono temporalmente limitati. Lo scopo che la
proroga si prefigge è mantenere intatta la posizione
dei destinatari fino alla fine dell’emergenza.
In sede di conversione in legge, si è stabilito che
gli atti e i titoli in scadenza tra il 31 gennaio e
il 31.07.2020 conservano «validità» per i
novanta giorni successivi alla data della
dichiarazione di cessazione dello stato di
emergenza, con previsione espressamente estesa ai
termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui
all’art. 15 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, recante «Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia edilizia (Testo A)», alle
segnalazioni certificate di inizio attività (SCIA),
alle segnalazioni di agibilità, alle autorizzazioni
paesaggistiche e alle autorizzazioni ambientali,
comunque denominate.
4.1.2.– Nel luglio 2020, nel permanere
dell’emergenza, il legislatore è tornato a occuparsi
di alcuni provvedimenti specifici –i permessi di
costruire– per ricalibrare la proroga automatica e
generalizzata inizialmente disposta con l’art.
103, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020.
L’art. 10, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020
(cosiddetto Decreto semplificazioni), come
convertito nella legge n. 120 del 2020, ha previsto
che i termini di inizio e ultimazione dei lavori di
cui all’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, come
indicati nei permessi di costruire formatisi fino al
31.12.2020, sono prorogati, se l’interessato
comunica di volersi avvalere di tale proroga. Al
momento della comunicazione i termini non devono
essere già decorsi e il titolo deve risultare
conforme agli strumenti urbanistici approvati o
adottati.
Questa disciplina è stata espressamente estesa alle
segnalazioni di inizio attività presentate entro lo
stesso termine (31.12.2020).
4.1.3.– A causa del protrarsi dell’emergenza
epidemiologica, il legislatore è nuovamente
intervenuto. L’art. 3-bis, comma 1, lettera a), del d.l.
n. 125 del 2020, come convertito, ha modificato
l’art. 103, comma 2, sostituendo la data del «31.07.2020»
con «la data della dichiarazione di cessazione
dello stato di emergenza», così prorogando la
validità di tutti gli atti e titoli in scadenza
nell’intero periodo emergenziale, a partire dal
31.01.2020.
L’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del medesimo d.l.
n. 125 del 2020, ha introdotto nell’art.
103 il comma 2-sexies, in cui si prevede che
tutti gli atti e provvedimenti indicati al comma 2
dell’art. 103 «scaduti» tra il 01.08.2020 e
la data di entrata in vigore della legge di
conversione n. 159 del 2020 (27.11.2020), e non
rinnovati, «si intendono validi e sono soggetti
alla disciplina di cui al medesimo comma 2».
In questo modo, è stata recuperata la validità degli
atti in scadenza nel periodo successivo al
31.07.2020, non compresi nella prima proroga.
La disciplina dettata dall’art. 10, comma 4, del
d.l. n. 76 del 2020 è riferita ai permessi di
costruire e alla SCIA, mentre gli altri titoli
abilitativi sono assoggettati alla previsione
dell’art.
103, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020,
come modificato.
4.1.4.– Infine, con il
decreto-legge 23.07.2021, n.
105 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza
epidemiologica da COVID-19 e per l’esercizio in
sicurezza di attività sociali ed economiche),
convertito, con modificazioni, in legge 16.09.2021,
n. 126, l’emergenza da COVID-19 è stata prorogata
fino al 31.12.2021.
5.– La disposizione regionale oggetto della
questione di legittimità costituzionalità deve
ricondursi alla materia «governo del territorio», di
competenza legislativa concorrente. Tale questione
si incentra sulla pretesa violazione delle
disposizioni statali relative alla proroga
generalizzata dei titoli abilitativi in ragione
della emergenza epidemiologica, qualificate come
disposizioni contenenti principi fondamentali della
materia, vincolanti per le Regioni.
5.1.– L’art.
28, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia
n. 18 del 2020, nel disporre la proroga dei
titoli abilitativi in modo difforme da quanto
previsto nella disciplina statale (artt. 103, comma
2, d.l. n. 18 del 2020, come convertito, e 10, comma
4, d.l. n. 76 del 2020, come convertito), entra in
collisione con un principio fondamentale.
Il raffronto tra le norme statali interposte e la
disciplina regionale rende palese la diversità della
proroga automatica disposta dalla Regione Lombardia,
con riferimento sia all’oggetto –individuato in «tutti
i certificati, attestati, permessi, concessioni,
autorizzazioni e atti o titoli abilitativi, comunque
denominati» in scadenza dal 31.01.2020 fino al
31.12.2021, laddove l’art.
103, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020, prevedeva
la proroga automatica degli atti e titoli
abilitativi in scadenza tra il 31.01.2020 e il
31.07.2020–, sia alla durata della proroga, che la
disposizione regionale ha indicato in tre anni dalla
scadenza, mentre la norma statale ha individuato il
termine finale nel novantesimo giorno successivo
alla dichiarazione di cessazione dello stato di
emergenza.
La difformità si riscontra anche con riferimento
alla previsione integrativa dettata dall’art. 10,
comma 4, del d.l. n. 76 del 2020, che ha previsto
una disciplina specifica della proroga dei termini
di inizio e di ultimazione dei lavori indicati nei
permessi di costruire di cui all’art. 15 del d.P.R.
n. 380 del 2001, eliminando l’automatismo e
subordinando la concessione della proroga alla
richiesta dell’interessato, nonché alla perdurante
compatibilità del titolo oggetto di proroga con gli
strumenti urbanistici approvati o adottati.
Inoltre, nel testo che risulta a seguito della legge
di conversione, è previsto un termine differenziato
di proroga dei suddetti termini, rispettivamente di
un anno e di tre anni.
La disciplina regionale è, pertanto, affatto
differente rispetto a quella statale.
Al disallineamento dei termini di proroga si
affianca una disciplina strutturalmente diversa,
giacché il d.l. n. 76 del 2020, intervenuto nella
seconda fase dell’emergenza, ha superato
l’automatismo della prima generalizzata proroga,
introducendo gli elementi condizionali sopra
indicati.
5.2. – Come già detto, la Regione contesta che la
disciplina dettata dalle norme interposte assurga al
rango di normazione di principio.
Per contrastare tale prospettazione si deve innanzi
tutto richiamare l’orientamento di questa Corte,
secondo cui la competenza legislativa concorrente
non è contraddistinta da una netta separazione di
materie, ma dal limite “mobile” e “variabile”
costituito dai principi fondamentali, limite che «è
incessantemente modulabile dal legislatore statale
sulla base di scelte discrezionali, ove espressive
di esigenze unitarie sottese alle varie materie»
(sentenza n. 68 del 2018, punto 12.1.1. del
Considerato in diritto, che richiama le sentenze n.
16 del 2010 e n. 50 del 2005).
5.3.– La riconducibilità delle norme che
disciplinano i titoli abilitativi al rango di
principi fondamentali della materia «governo del
territorio» è stata ripetutamente affermata da
questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 2 del
2021, n. 125 del 2017, n. 49 del 2016 e n. 309 del
2011).
Di recente si è ribadito che anche «la
definizione delle categorie di interventi edilizi a
cui si collega il regime dei titoli abilitativi
costituisce principio fondamentale della materia
concorrente “governo del territorio” (sentenze n. 68
del 2018 e n. 231 del 2016). L’obbligo di non
iniziare i lavori prima di trenta giorni dalla
segnalazione, stabilito dall’art. 23, comma 1, t.u.
edilizia, concorre a caratterizzare
indefettibilmente il regime del titolo abilitativo
della “superSCIA”, e costituisce anch’esso principio
fondamentale della materia» (sentenza n. 2 del
2021, punto 2.3.2. del Considerato in diritto).
5.4.– Il principio fondamentale che viene ora in
rilievo riguarda la durata dei titoli abilitativi,
nella cui determinazione si ravvisa un punto di
equilibrio fra i contrapposti interessi oggetto di
tutela, inerenti alla realizzazione di interventi di
trasformazione del territorio compatibili con la
tutela dell’ambiente e dell’ordinato sviluppo
urbanistico, per ciò stesso assegnato a titolo
esclusivo al legislatore statale, secondo il sistema
delineato dal d.P.R. n. 380 del 2001.
L’obiettivo perseguito dall’intervento statale,
nello svolgersi di una inusitata emergenza
epidemiologica come quella da COVID-19, è consistito
nel prorogare i titoli abilitativi in termini
omogenei su tutto il territorio nazionale.
Incidendo sulla durata, le norme statali interposte
partecipano della natura di “principio
fondamentale” che connota la disciplina dei
titoli abilitativi, con l’effetto di vincolare le
Regioni. Le pur gravi difficoltà che investono il
settore delle costruzioni in Lombardia, peraltro
riscontrabili anche in altre realtà regionali, non
giustificano l’introduzione di un regime regionale
difforme.
Né risulta pertinente il richiamo della difesa
regionale alla proroga dei termini di inizio e di
ultimazione dei lavori prevista dal legislatore
statale con l’art. 30, comma 3, del decreto-legge
21.06.2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il
rilancio dell’economia), convertito, con
modificazioni, in legge 09.08.2013, n. 98. In quel
caso, era la stessa normativa statale di proroga
che, sorretta dalla diversa ratio di rilancio
dell’intero settore delle costruzioni, consentiva
alle Regioni di dettare termini diversi, in funzione
delle diverse esigenze dei territori.
5.5.– Con la disciplina richiamata a parametro
interposto, lo Stato ha disposto la proroga
generalizzata dei titoli abilitativi, seguendo lo
sviluppo dell’emergenza epidemiologica e delle sue
ricadute, nel bilanciamento di interessi
potenzialmente confliggenti che connotano gli
interventi sul territorio: l’interesse dei
beneficiari dei titoli abilitativi a esercitare i
diritti ivi conformati, da un lato, e l’interesse
pubblico a non vincolare l’uso del territorio per un
tempo eccessivo, dall’altro.
L’intervento statale ha inteso rispondere a esigenze
che riguardano l’intero territorio nazionale,
colpito dalla pandemia, con effetti drammatici che
hanno inciso il tessuto sociale ed economico.
Si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità
costituzionale dell’art.
28, comma 1, lettera a), della legge della Regione
Lombardia 07.08.2020, n. 18, con esclusione
della parte in cui, nel testo antecedente
all’entrata in vigore della legge reg. Lombardia n.
22 del 2020, prevedeva la proroga delle
autorizzazioni paesaggistiche.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.
28, comma 1, lettera a), della legge della Regione
Lombardia 07.08.2020, n. 18 (Assestamento al
bilancio 2020-2022 con modifiche di leggi
regionali), come delimitato –nel suo ambito di
applicazione– dall’art.
20, comma 2, lettera b), della legge della Regione
Lombardia 27.11.2020, n. 22 (Seconda legge
di revisione normativa ordinamentale 2020);
2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla
questione di legittimità costituzionale dell’art.
28, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia
n. 18 del 2020, nella parte in cui –nel testo
antecedente all’entrata in vigore della legge reg.
Lombardia n. 22 del 2020– prevedeva la proroga delle
autorizzazioni paesaggistiche, promossa, in
riferimento all’art. 117, terzo comma, della
Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei
ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara estinto il processo, limitatamente alla questione di
legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1,
lettera b), della legge reg. Lombardia n. 18 del
2020, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo
comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei
ministri con il ricorso indicato in epigrafe (Corte
Costituzionale,
sentenza 21.12.2021 n. 245). |
EDILIZIA PRIVATA:
Proroga – Istanza – Termine – Permesso di costruire – Causa di forza
maggiore.
Il termine di durata del permesso edilizio non può intendersi
automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine,
la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque
seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del
termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum
principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore (Cons. Stato,
Sez. IV, 10.07.2017, n. 3371).
Peraltro la proroga del permesso di
costruire, pur accedendo all'originario titolo edilizio, costituisce un
titolo nuovo, soggetto alla disciplina edilizia in vigore al momento del suo
rilascio (TAR Campania, sede di Salerno, Sez. II,
25.03.2014, n. 605) (TAR Toscana,
Sez. I,
sentenza 03.11.2021 n. 1429 - articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 03.01.2022).
---------------
1. Il ricorso è infondato e va respinto.
1.1 E’ la società Po.Sa.St. S.r.l. che conferma (si veda pg. 4 del ricorso)
come i lavori fossero stati avviati, senza tuttavia essere conclusi,
circostanza quest’ultima che ha portato la stessa ricorrente ad affermare
che “il permesso decadrà senz’altro al decorso del triennio dall’inizio
dei lavori, senza –si ripete– possibilità alcuna di proroga”.
1.2 Il ricorso si basa così sull’assunto che la proroga (laddove fosse stata
presentata) non avrebbe potuto essere concessa, in ragione del fatto che
l’art. 65 del sopravvenuto Regolamento urbanistico non contempla più
l’intervento relativo alla realizzazione del complesso alberghiero di cui si
tratta.
1.3 Costituisce, pertanto, circostanza incontestata che la società Porto
Santo Stefano Srl non solo non ha provveduto ad ultimare i lavori, ma
nemmeno ha mai presentato un’istanza di proroga del permesso di costruire,
eventualmente dimostrando l’esistenza di circostanze sopravvenute alla base
dei ritardi nella realizzazione del complesso.
1.4 Precedenti pronunce hanno avuto modo di chiarire che il termine di
durata del permesso edilizio non può intendersi automaticamente sospeso,
essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da
parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo,
che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi
in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero
l'insorgenza di una causa di forza maggiore (Cons. Stato Sez. IV Sent.,
10/07/2017, n. 3371).
1.5 E’, peraltro, noto che la proroga del permesso di costruire, pur
accedendo all'originario titolo edilizio, costituisce un titolo nuovo,
soggetto alla disciplina edilizia in vigore al momento del suo rilascio (TAR
Campania-Salerno, Sez. II, Sent., 25/03/2014, n. 605).
1.6 L’art. 15 del Dpr 380/2001 prevede che, una volta che siano decorsi
previsti per la realizzazione dell’opera, il permesso decade di diritto per
la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga
richiesta una proroga.
1.7 La proroga, a sua volta, può essere accordata, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del
permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare,
delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà
tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero
quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più
esercizi finanziari.
1.8 Il quarto comma della stessa disposizione prevede, poi, che il permesso
decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche,
salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine
di tre anni dalla data di inizio, circostanza quest’ultima che non si è
verificata nel caso di specie.
1.9 Ciò premesso è evidente che l’Amministrazione non avrebbe potuto che
prendere atto della decadenza del permesso di costruire, non essendo
dimostrata, nemmeno a seguito del presente ricorso, il venire in essere di
circostanze sopravvenute che avrebbero legittimato una proroga del permesso
di costruire.
2. Nemmeno risulta dimostrata l’illegittimità dell’art. 65 del nuovo
regolamento urbanistico nella parte in cui non avrebbe fatto proprie le
volumetrie previste dal piano strutturale e, ciò, considerando che
l’Amministrazione gode di un’ampia discrezionalità nell’espressione del
potere pianificatorio, in relazione alla quale non risultano evidenti quei
sintomi dell’eccesso di potere che pure avrebbero legittimato in astratto
una competenza di questo Tribunale.
2.1 Si è affermato, infatti, che le scelte effettuate dalla P.A. in sede di
formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale sono
accompagnate da un'amplissima valutazione discrezionale che, nel merito,
appaiono insindacabili e che sono per ciò stesso attaccabili solo per errori
di fatto, per abnormità e irrazionalità delle stesse. In ragione di tale
discrezionalità, l'Amministrazione non è tenuta a fornire apposita
motivazione in ordine alle scelte operate nella predetta sede di
pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di
carattere generale che giustificano l'impostazione del piano (Cons. Stato
Sez. II, 04/05/2020, n. 2824). |
giugno 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Differenza
tra proroga dei termini di ultimazione dei
lavori e rinnovo del permesso di costruire.
Il TAR Milano, quanto
alla questione della differenza della natura
della “proroga” dei termini di ultimazione
dei lavori rispetto a quella del “rinnovo”
di permesso di costruire, precisa che la
giurisprudenza ha rilevato che, in generale,
la proroga dei termini stabiliti da un atto
amministrativo ha la natura giuridica di
provvedimento di secondo grado, in quanto
modifica, ancorché parzialmente, il
complesso degli effetti giuridici delineati
dall’atto originario, sicché la differenza
tra i due istituti risiede nel fatto che,
mentre il rinnovo del permesso di costruire
presuppone la sopravvenuta inefficacia
dell’originario titolo edilizio e
costituisce, a tutti gli effetti, un nuovo
titolo, la proroga è un atto sfornito di
propria autonomia, che accede all’originario
titolo ed opera semplicemente uno
spostamento in avanti del termine finale di
efficacia
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.06.2020 n. 1206 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
... per l’accertamento:
- dell’illegittimità del silenzio-rifiuto formatosi sulla diffida
formulata in data 26.03.2019 per il “ripristino
integrale validità e tempistica esecutiva
del permesso di costruire 29/2008”
ovvero per il “rinnovo del permesso di
costruire 29/2008”;
- dell’obbligo di provvedere sulla diffida formulata in data
26.03.2019 per il “ripristino integrale
validità e tempistica esecutiva del permesso
di costruire 29/08” ovvero per il “rinnovo
del permesso di costruire 29/2008”;
- ……per la condanna…. del Comune di Cerro al Lambro, del
Responsabile dell’Ufficio Tecnico ing.
Mo.Ol. e del Sindaco dott. Ma.Sa., in via tra
loro solidale, al risarcimento del danno
ingiusto arrecato al ricorrente.
...
Ritenuto:
- che, per costante giurisprudenza, perché si configuri il
silenzio-inadempimento dell’Amministrazione
non è sufficiente che questa, compulsata da
un privato che presenta una istanza, non
concluda il procedimento amministrativo
entro il termine astrattamente previsto per
il procedimento del genere evocato con
l’istanza, ma è anche necessario che
l’Amministrazione contravvenga ad un preciso
obbligo di provvedere sulla istanza del
privato, obbligo di provvedere che sussiste
sia nei casi previsti dalla legge, sia nelle
ipotesi che discendono da principi generali,
ovvero dalla peculiarità della fattispecie,
e allorché ragioni di giustizia ovvero
rapporti esistenti tra Amministrazioni ed
amministrati impongano l’adozione di un
provvedimento, soprattutto al fine di
consentire all’interessato di adire la
giurisdizione per la tutela delle proprie
ragioni (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez.
VI, 08.02.2019 n. 961);
- che, tuttavia, se l’istanza si presenta manifestamente infondata,
il giudice adito ai sensi dell’art. 117 cod.
proc. amm., anziché procedere
all’accertamento dell’astratto obbligo di
provvedere dell’Amministrazione, fa derivare
dall’esito sicuramente negativo dell’istanza
rimasta inevasa il rigetto della domanda
giudiziale, risultando del tutto
diseconomico obbligare l’Amministrazione a
provvedere laddove l’atto espresso non
potrebbe che essere di rigetto (v., ex
multis, Cons. Stato, Sez. IV, 30.06.2017
n. 3234);
- che nella fattispecie il ricorrente lamenta l’inerzia
dell’Amministrazione comunale rispetto alla
richiesta di “proroga” o “rinnovo”
del permesso di costruire rilasciatogli in
data 24.01.2013;
- che, quanto alla questione della differenza della natura della “proroga”
dei termini di ultimazione dei lavori
rispetto a quella del “rinnovo” di
permesso di costruire, la giurisprudenza ha
rilevato che, in generale, la proroga dei
termini stabiliti da un atto amministrativo
ha la natura giuridica di provvedimento di
secondo grado, in quanto modifica, ancorché
parzialmente, il complesso degli effetti
giuridici delineati dall’atto originario,
sicché la differenza tra i due istituti
risiede nel fatto che, mentre il rinnovo del
permesso di costruire presuppone la
sopravvenuta inefficacia dell’originario
titolo edilizio e costituisce, a tutti gli
effetti, un nuovo titolo, la proroga è un
atto sfornito di propria autonomia, che
accede all’originario titolo ed opera
semplicemente uno spostamento in avanti del
termine finale di efficacia (v. Cons. Stato,
Sez. III, 13.11.2018 n. 6409);
- che, pertanto, prevedendo l’art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 380
del 2001 che, decorsi i termini di inizio e
di ultimazione lavori, il permesso decade di
diritto per la parte non eseguita, a meno
che “anteriormente alla scadenza”
venga richiesta una proroga, quest’ultima
non può che essere fatta oggetto di
un’istanza presentata prima del
sopraggiungere del termine finale di cui si
chiede il differimento, che la legge
ricollega al dato temporale oggettivo,
indipendentemente dal fatto che
l’Amministrazione abbia eventualmente
tollerato il protrarsi dell’attività
edificatoria o omesso di adottare un
provvedimento dichiarativo della intervenuta
decadenza del titolo edilizio con effetto
ex tunc;
- che, allora, se il ricorrente aveva dato comunicazione
all’Amministrazione dell’inizio dei lavori
per il 23.01.2014, da questa data era
decorso il triennio previsto per la loro
esecuzione, e tardiva si presenta la diffida
del 26.03.2019, come già tardive erano del
resto le analoghe istanze del 22.01.2018 e
del 14.03.2018;
- che, in altri termini, si è verificata quella situazione per cui,
anche a pronunciarsi, l’Amministrazione
avrebbe dovuto comunque respingere
l’istanza, non consentendo l’ordinamento una
scelta diversa, e dunque la manifesta
infondatezza dell’istanza obbliga il giudice
del silenzio a rigettare la domanda
giudiziale;
- che, ad intendere invece l’istanza come finalizzata al “rinnovo”
del titolo edilizio, se ne deve rilevare la
palese inidoneità per l’assenza quanto meno
dei necessari elaborati progettuali a
corredo dell’istanza, condizione minima per
identificare una richiesta suscettibile di
esame da parte dell’Amministrazione;
- che va dunque ribadito che, a fronte di pretesa manifestamente
infondata, in sede di giudizio ex art. 117
cod. proc. amm. non vi è luogo a dichiarare
l’illegittimità dell’inerzia e l’obbligo di
provvedere dell’Amministrazione, essendo
diseconomico imporre a quest’ultima
l’adozione di un atto espresso che non
potrebbe che essere di reiezione
dell’istanza presentata (v., tra le altre,
TAR Friuli Venezia Giulia 29.01.2019 n. 42);
- che restano conseguentemente assorbite le altre censure
formulate, tutte incentrate –sotto più
profili– sull’indebita inattività del Comune
di Cerro al Lambro, rimasto silente rispetto
alle richieste del ricorrente (diffida del
26.03.2019, a séguito delle istanze del
22.01.2018 e del 14.03.2018), tanto più che
il ricorrente ben doveva essere consapevole
della evidente tardività/inidoneità di
quelle richieste, per le ragioni indicate;
- che, in assenza, dunque, di una situazione di inerzia illegittima
dell’Amministrazione, o comunque di una pur
astratta possibilità di accoglimento
dell’istanza di proroga/rinnovo, difettano
ex se i presupposti per accordare
l’invocato risarcimento dei danni, con
l’ulteriore precisazione che, quando
l’azione risarcitoria viene esperita avverso
il funzionario in proprio e comunque nei
confronti di un soggetto privato, distinto
dall’Amministrazione, con la quale al più
può risultare solidalmente obbligato, la
questione sfugge alla giurisdizione del
giudice amministrativo, il quale non può
conoscere di controversie di cui non sia
parte una pubblica Amministrazione, o
soggetti ad essa equiparati, sicché la
domanda giudiziale volta ad ottenere il
risarcimento dei danni derivanti
dall’eventuale comportamento arbitrario ed
illegittimo dei funzionari comunali o di
altre persone fisiche che operano per conto
dell’ente locale è devoluta alla
giurisdizione del giudice ordinario (v.,
ex multis, TAR Sicilia, Catania, Sez. II,
11.04.2017 n. 785);
- che, in conclusione, il ricorso va respinto, non incidendo sulla
sua procedibilità la circostanza che
l’Amministrazione abbia da ultimo avviato
l’iter per provvedere sull’istanza (con il
preavviso di rigetto ex art. 10-bis legge n.
241/1990), giacché un atto finale allo stato
difetta e quindi la mera pendenza del
procedimento non fa venir meno l’interesse
del ricorrente ad una pronuncia sulla
pretesa azionata; |
aprile 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA: In
punto di diritto:
- la proroga di cui all’art. 15 del T.U. edilizia può essere
accordata, con provvedimento motivato, anche solo in virtù della mole
dell’opera da realizzare;
- “qualora la normativa urbanistica non sia mutata rispetto al
momento del rilascio del titolo, non v’è dubbio che il medesimo progetto, se
ripresentato, verrebbe nuovamente assentito: di conseguenza, negare la
proroga di un progetto che rimane urbanisticamente valido equivale a
costringere il proprietario del suolo ad una nuova richiesta di permesso a
costruire, che si risolverebbe in una inutile formalità ed un corrispondente
aggravamento del procedimento (non avendo infatti iniziato i lavori rispetto
al precedente permesso a costruire, i relativi oneri di urbanizzazione
sarebbero ripetibili, per cui neppure sul piano finanziario conseguirebbero
vantaggi di alcun genere per l’ente)”.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento prot. n. 8379 del 12.12.2019, di
rigetto della richiesta di proroga di autorizzazione in variante al permesso
di costruire n. 36/2009.
...
Premesso che It.Tu. s.p.a., interamente in mano pubblica, impugna la
determina n. 8379 del 12.12.2019, con cui il Comune di Simeri Crichi ha
respinto la richiesta di proroga dell’autorizzazione n. 36/2009, rilasciata
in variante ai permessi di costruire n. 10/2007 e n. 35/2007, per la
realizzazione di un edificio turistico-alberghiero, già oggetto di proroga
nel 2013, 2014 e 2018;
Rilevato, in punto di fatto, che:
- il rigetto è fondato, essenzialmente, sul fatto che, ove
accordata, la proroga si tradurrebbe in una dilazione ad libitum nel
tempo della durata del titolo edificatorio;
- il Comune non ha contestato l’affermazione di parte ricorrente
secondo cui il medesimo progetto, ove ripresentato, sarebbe nuovamente
assentito;
Ritenuto, in punto di diritto, che:
- la proroga di cui all’art. 15 del T.U. edilizia può essere
accordata, con provvedimento motivato, anche solo in virtù della mole
dell’opera da realizzare (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 07.12.2015, n. 5568;
TAR Toscana, Sez. III, 11.06.2015, n. 906);
- “qualora la normativa urbanistica non sia mutata rispetto al
momento del rilascio del titolo, non v’è dubbio che il medesimo progetto, se
ripresentato, verrebbe nuovamente assentito: di conseguenza, negare la
proroga di un progetto che rimane urbanisticamente valido equivale a
costringere il proprietario del suolo ad una nuova richiesta di permesso a
costruire, che si risolverebbe in una inutile formalità ed un corrispondente
aggravamento del procedimento (non avendo infatti iniziato i lavori rispetto
al precedente permesso a costruire, i relativi oneri di urbanizzazione
sarebbero ripetibili, per cui neppure sul piano finanziario conseguirebbero
vantaggi di alcun genere per l’ente)” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
12.06.2014, n. 2997)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza II,
sentenza 24.04.2020 n. 663 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I fatti sopravvenuti che possono
legittimare la proroga del termine di inizio o
completamento dei lavori ai sensi dell'art. 15,
comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo
automatico, ma possono costituire oggetto di
valutazione in sede amministrativa qualora
l'interessato proponga un'apposita domanda di
proroga, il cui accoglimento è indefettibile
affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo
edilizio.
Tuttavia, il dictum va inteso cum
grano salis: ovverosia qualora per fatti o
circostante, oggettivamente riscontare,
l’amministrazione abbia avuto piena cognizione dei
fatti sopravvenuti che hanno differito il
completamento dei lavori, la tardiva presentazione
dell’istanza di proroga non comporta ex se la
declaratoria di decadenza del titolo edilizio.
Anziché trincerarsi dietro lo schermo formale
dell’assenza di previa comunicazione, grava in capo
all’amministrazione l’indagine sull’effettiva
incidenza dei fatti, di cui era già a conoscenza,
nell’esecuzione delle opere, oggetto di concessione
edilizia, secondo la scansione cronologica dei
lavori come originariamente divisata.
Opinare diversamente significa restituire credito ad
una concezione formalistica e burocratica
dell’azione amministrativa, antitetica ai criteri di
economicità e di efficienza che oramai, ex artt. 1 e
ss l. 241/1990, governano l’attività amministrativa.
---------------
6.1 Mette conto precisare che si condivide
l’orientamento giurisprudenziale –richiamato dal Tar–
a mente del quale “i fatti sopravvenuti che possono
legittimare la proroga del termine di inizio o
completamento dei lavori ai sensi dell'art. 15,
comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo
automatico, ma possono costituire oggetto di
valutazione in sede amministrativa qualora
l'interessato proponga un'apposita domanda di
proroga, il cui accoglimento è indefettibile
affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo
edilizio” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10.08.2007,
n. 4423).
6.2 Nondimeno il dictum va inteso cum
grano salis: ovverosia qualora per fatti o
circostante, oggettivamente riscontare,
l’amministrazione abbia avuto piena cognizione dei
fatti sopravvenuti che hanno differito il
completamento dei lavori, la tardiva presentazione
dell’istanza di proroga non comporta ex se la
declaratoria di decadenza del titolo edilizio.
6.3 Anziché trincerarsi dietro lo schermo formale
dell’assenza di previa comunicazione, grava in capo
all’amministrazione l’indagine sull’effettiva
incidenza dei fatti, di cui era già a conoscenza,
nell’esecuzione delle opere, oggetto di concessione
edilizia, secondo la scansione cronologica dei
lavori come originariamente divisata.
Opinare diversamente significa restituire credito ad
una concezione formalistica e burocratica
dell’azione amministrativa, antitetica ai criteri di
economicità e di efficienza che oramai, ex artt. 1 e
ss l. 241/1990, governano l’attività amministrativa (Consiglio
di Stato, Sez. II,
sentenza 01.04.2020 n. 2206 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: a)
In base al tenore letterale,
sistematico e funzionale, l’art. 15, comma 2, del
testo unico edilizia si articola in due periodi.
Il primo periodo pone due regulae iuris:
-
la prima, è che l’intervento edilizio programmato
può essere realizzato se vengono rispettati i
termini per l’inizio (un anno dal rilascio del
titolo) e per la fine dei lavori (tre anni
dall’inizio dei lavori);
-
la seconda è che, decorsi tali termini, il permesso
decade di diritto per la parte non eseguita, tranne
che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta
una proroga.
Il secondo periodo disciplina, invece, talune
fattispecie in presenza delle quali è riconosciuto
all’Amministrazione il potere di concedere una
proroga per l’inizio o per la conclusione dei
lavori.
Sul piano strutturale e funzionale, il primo periodo
del comma 2 contiene delle disposizioni che, per il
loro carattere generale, valgono a disciplinare
tutti gli interventi edilizi, a prescindere dalle
sopravvenienze che in concreto possono verificarsi,
ed a prescindere dalla (eventuale diversa)
regolamentazione delle medesime individuata dal
legislatore.
La (pur non felice) collocazione normativa delle
fattispecie descritte, ad avviso della Sezione, non
può militare a favore dell’esegesi prospettata dal
Tar, perché:
-
l’esegesi giurisprudenziale deve limitarsi ad
interpretare ed applicare la norma per come è stata
costruita dal legislatore e secondo la ratio iuris
alla medesima sottesa, senza stravolgerne il senso
complessivo e, soprattutto, senza che l’operazione
ermeneutica possa arrivare al punto di privare del
loro carattere applicativo generale le due regulae
iuris contenute nel primo alinea del comma 2. Queste
regole, infatti, riguardano l’esecuzione degli
interventi edilizi in generale, a prescindere
dall’eventuale sopravvenienza di fatti ostativi o
impeditivi, rispetto all’esecuzione dei lavori entro
i termini previsti;
-
la collocazione nel comma 2-bis della fattispecie
della proroga cd. vincolata è probabilmente dovuta,
da un punto di vista storico, alla successiva
individuazione, da parte del legislatore, di
particolari ipotesi meritevoli di essere trattate
diversamente rispetto ai fatti generalmente addotti
dai privati a sostegno delle richieste di proroga,
perché dipendenti da condotte ed iniziative
imputabili all’Ente amministrativo o all’Autorità
giudiziaria.
b) Risponde ad un principio
generale dell’ordinamento, la regola secondo cui la
richiesta di proroga del termine per il compimento
di una certa attività deve essere richiesta prima
della scadenza del termine medesimo, per esigenze di
chiarezza, di trasparenza e di pubblicità, a
garanzia delle parti e, più in generale, dei terzi.
La presentazione della richiesta di proroga (quale
che essa sia, e cioè a prescindere se il fatto
allegato dal richiedente è qualificato dal
legislatore come legittimante l’esercizio vincolato
del potere o, al contrario, come discrezionalmente
valutabile da parte dell’Amministrazione) è
funzionale ad evidenziare la sussistenza e la
perduranza dell’interesse del privato alla
realizzazione dell’intervento programmato, sia nei
rapporti con l’Amministrazione che aveva rilasciato
il titolo, sia rispetto ai terzi che, per ragioni di vicinitas, potrebbero avere un qualche interesse ad
opporsi all’altrui iniziativa edificatoria.
La sanzione prevista dal legislatore per
l’inosservanza di tale obbligo è quella,
espressamente tipizzata, della decadenza di diritto
del titolo edilizio, per la parte non eseguita.
Come chiaramente risulta dal testo del comma 1,
dell’art. 15 cit., il decorso del termine senza che
sia stata presentata istanza di proroga determina
automaticamente la decadenza del titolo. Ed infatti
la giurisprudenza ha da tempo chiarito che decorso
il termine senza che l’interessato ne abbia chiesto
la proroga, il provvedimento dell’Amministrazione
che pronunci la decadenza stessa non ha valore
costitutivo, ma meramente ricognitivo o dichiarativo
di un effetto già prodottosi ex lege.
---------------
La questione riguarda, invece, la
necessità (o meno) che l’interessato, di fronte
all’oggettiva impossibilità di iniziare o di
concludere i lavori nei termini previsti dal comma 2
dell’art. 15, del d.P.R. n. 380 del 2001, presenti
all’Amministrazione competenti la richiesta di
proroga prima che sia scaduto il relativo termine.
9) Secondo la prospettazione delle società
ricorrenti -accolta dal giudice di primo grado- ciò
non sarebbe necessario, perché il fatto costitutivo
astrattamente individuato dal legislatore per
l’ottenimento della proroga (e cioè, l’essere stato,
il privato, nell’oggettiva impossibilità di iniziare
o di concludere i lavori medesimi a causa
dell’impedimento rappresentato da iniziative assunte
dall'Amministrazione o dall'Autorità giudiziaria,
rivelatesi poi infondate) deve essere oggetto di
valutazione, da parte dell’Autorità procedente, dopo
che tutti gli elementi della fattispecie sono venuti
ad esistenza.
10) Nell’opposta prospettazione illustrata dal
Comune appellante, invece, tale incombente sarebbe
sempre necessario, fermo restando il carattere
vincolato del potere riconosciuto
all’Amministrazione nel momento del riscontro e
della valutazione del presupposto legittimante.
11) La Sezione condivide l’impostazione esegetica
seguita dal Comune (conforme, si osserva,
all’indirizzo maggioritario della giurisprudenza
amministrativa in materia: si vedano, anche ai sensi
degli art. 74, comma 1, e 88, comma 2, lett. d), del
cod. proc. amm., le sentenze del Consiglio di Stato,
Sez. VI, 03.08.2017, n. 3887 e Sez. IV, 10.07.2017, n. 3371), ritenendo decisive le seguenti
considerazioni.
a) In primo luogo, in base al tenore letterale,
sistematico e funzionale dell’art. 15, comma 2, del
testo unico edilizia.
Tale comma si articola in due periodi.
Il primo periodo pone due regulae iuris:
-
la prima, è che l’intervento edilizio programmato
può essere realizzato se vengono rispettati i
termini per l’inizio (un anno dal rilascio del
titolo) e per la fine dei lavori (tre anni
dall’inizio dei lavori);
-
la seconda è che, decorsi tali termini, il permesso
decade di diritto per la parte non eseguita, tranne
che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta
una proroga.
Il secondo periodo disciplina, invece, talune
fattispecie in presenza delle quali è riconosciuto
all’Amministrazione il potere di concedere una
proroga per l’inizio o per la conclusione dei
lavori.
Sul piano strutturale e funzionale, il primo periodo
del comma 2 contiene delle disposizioni che, per il
loro carattere generale, valgono a disciplinare
tutti gli interventi edilizi, a prescindere dalle
sopravvenienze che in concreto possono verificarsi,
ed a prescindere dalla (eventuale diversa)
regolamentazione delle medesime individuata dal
legislatore.
La (pur non felice) collocazione normativa delle
fattispecie descritte, ad avviso della Sezione, non
può militare a favore dell’esegesi prospettata dal
Tar, perché:
-
l’esegesi giurisprudenziale deve limitarsi ad
interpretare ed applicare la norma per come è stata
costruita dal legislatore e secondo la ratio iuris
alla medesima sottesa, senza stravolgerne il senso
complessivo e, soprattutto, senza che l’operazione
ermeneutica possa arrivare al punto di privare del
loro carattere applicativo generale le due regulae
iuris contenute nel primo alinea del comma 2. Queste
regole, infatti, riguardano l’esecuzione degli
interventi edilizi in generale, a prescindere
dall’eventuale sopravvenienza di fatti ostativi o
impeditivi, rispetto all’esecuzione dei lavori entro
i termini previsti;
-
la collocazione nel comma 2-bis della fattispecie
della proroga cd. vincolata è probabilmente dovuta,
da un punto di vista storico, alla successiva
individuazione, da parte del legislatore, di
particolari ipotesi meritevoli di essere trattate
diversamente rispetto ai fatti generalmente addotti
dai privati a sostegno delle richieste di proroga,
perché dipendenti da condotte ed iniziative
imputabili all’Ente amministrativo o all’Autorità
giudiziaria.
b) In secondo luogo, risponde ad un principio
generale dell’ordinamento, la regola secondo cui la
richiesta di proroga del termine per il compimento
di una certa attività deve essere richiesta prima
della scadenza del termine medesimo, per esigenze di
chiarezza, di trasparenza e di pubblicità, a
garanzia delle parti e, più in generale, dei terzi.
La presentazione della richiesta di proroga (quale
che essa sia, e cioè a prescindere se il fatto
allegato dal richiedente è qualificato dal
legislatore come legittimante l’esercizio vincolato
del potere o, al contrario, come discrezionalmente
valutabile da parte dell’Amministrazione) è
funzionale ad evidenziare la sussistenza e la
perduranza dell’interesse del privato alla
realizzazione dell’intervento programmato, sia nei
rapporti con l’Amministrazione che aveva rilasciato
il titolo, sia rispetto ai terzi che, per ragioni di
vicinitas, potrebbero avere un qualche interesse ad
opporsi all’altrui iniziativa edificatoria.
La sanzione prevista dal legislatore per
l’inosservanza di tale obbligo è quella,
espressamente tipizzata, della decadenza di diritto
del titolo edilizio, per la parte non eseguita.
Come chiaramente risulta dal testo del comma 1,
dell’art. 15 cit., il decorso del termine senza che
sia stata presentata istanza di proroga determina
automaticamente la decadenza del titolo. Ed infatti
la giurisprudenza ha da tempo chiarito che decorso
il termine senza che l’interessato ne abbia chiesto
la proroga, il provvedimento dell’Amministrazione
che pronunci la decadenza stessa non ha valore
costitutivo, ma meramente ricognitivo o dichiarativo
di un effetto già prodottosi ex lege.
c) In terzo luogo, sul piano logico-giuridico, non
possono essere confusi la causa con l’effetto.
L’iniziativa giudiziaria (nel caso di specie, il
sequestro giudiziario) ha impedito la sola
esecuzione materiale delle opere edili necessarie al
completamento dei lavori, ma non ha inciso né
impedito l’esercizio delle facoltà previste dalla
legge in relazione al regime giuridico-amministrativo della validità e dell’efficacia del
titolo edilizio rilasciato.
Il titolare del permesso di costruire, in altre
parole, è stato impedito solo nel compimento
dell’attività materiale che avrebbe potuto
costituire intralcio alla giustizia o vanificare gli
esiti dell’accertamento del fatto nel processo
penale pendente, ma non è stato ostacolato, invece,
nel compimento delle attività amministrative
connesse (e segnatamente quella della richiesta di
proroga).
Il provvedimento di sequestro, d’altra parte, atteso
il suo contenuto vincolato, non avrebbe nemmeno
potuto disporlo.
La circostanza che, sul piano temporale,
l’infondatezza dell’iniziativa giudiziaria si sia
rivelata tale solo a seguito della conclusione del
processo penale e, comunque, in un momento
successivo rispetto alla scadenza del termine per
richiedere la proroga dell’efficacia del titolo, è
assolutamente indifferente rispetto alla ratio
dell’istituto considerato.
L’infondatezza dell’iniziativa giudiziaria non è
costruita, nella fattispecie del menzionato comma
2-bis, come un presupposto procedimentale,
ovverosia come un fatto che deve sussistere, nella
sua consistenza storica e fenomenica, prima
dell’attivazione del sub procedimento di proroga,
bensì come una semplice condizione per definire
favorevolmente, rispetto all’interesse del privato
richiedente, il procedimento medesimo.
In altri termini, non vi è alcun nesso di
presupposizione logico-giuridica tra l’acclaramento
dell’infondatezza dell’iniziativa che ha
materialmente ostacolato l’esecuzione dei lavori e
l’esercizio della facoltà di richiedere la proroga
dell’efficacia del titolo.
Il sub procedimento di proroga, attivato su
iniziativa del privato, e funzionale sul piano
amministrativo a rendere evidente
all’Amministrazione ed ai terzi la perduranza
dell’interesse all’esecuzione del programma
edificatorio, verrà definito solo successivamente, e
cioè quando si sarà realizzata (o meno) la
condizione prevista dall’ordinamento per dare luogo
al favorevole accoglimento dell’istanza del
richiedente.
Tra le due fattispecie (l’infondatezza
dell’iniziativa giudiziaria e la richiesta di
proroga) non vi è un rapporto di alternatività, ma
anzi di complementarietà, nel perseguimento delle
diverse finalità:
- nel primo caso, la tutela dell’investimento
privato, “messo al riparo” da iniziative di cui è
responsabile l’Autorità (giudiziaria o
amministrativa), rendendo il riconoscimento della
proroga addirittura vincolato e dovuto;
- nel secondo caso, la trasparenza della regolazione
del rapporto giuridico al quale ha dato vita il
permesso di costruire, il quale va regolato -a
seguito dell’impedimento dell’attività di
completamento dei lavori- limitatamente ai profili
della sua perdurante efficacia e dell’interesse
giuridico. Va precisato, infatti, che il titolo
edilizio era e resta legittimo, decadendo nei suoi
effetti autorizzatori, ai sensi del comma 1,
dell’art. 15 solo per la parte non eseguita (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.03.2020 n. 2078 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
A. Verderosa,
Inizio lavori del permesso di costruire, proroga e
decadenza (18.03.2020 - link a
http://lexambiente.it). |
dicembre 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
proroga della data di fine lavori e sopravvenute previsioni urbanistiche
(Regione Emilia Romagna,
nota
06.12.2019 n. 894437 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Per costante giurisprudenza
l'art. 15, comma
2, del D.P.R. 06.06.2001, che si riferisce ad una
decadenza "di diritto", esclude qualsiasi
sospensione automatica del termine di durata del
permesso edilizio, e quindi a maggior ragione una
sua automatica proroga.
Richiede invece a tal fine che in ogni caso sia
presentata un'istanza di proroga, sulla quale
l'amministrazione deve pronunciarsi con un
provvedimento espresso, nel quale accerti che i
presupposti per accogliere l'istanza effettivamente
sussistono.
---------------
5. – In punto di diritto va richiamato, per
quanto qui interessa, l'art. 15, comma 2, del D.P.R.
06.06.2001, che dispone, in generale: "Il termine
per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad
un anno dal rilascio del titolo; quello di
ultimazione, entro il quale l'opera deve essere
completata, non può superare tre anni dall'inizio
dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade
di diritto per la parte non eseguita, tranne che,
anteriormente alla scadenza, venga richiesta una
proroga. La proroga può essere accordata, con
provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti,
estranei alla volontà del titolare del permesso,
oppure in considerazione della mole dell'opera da
realizzare, delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, o di difficoltà
tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio
dei lavori (...)".
Come è noto, per costante giurisprudenza (cfr., per
tutte, Cons. di Stato, Sez. IV, 22.10.2015 n.
4823, 23.02.2012 n. 974 e 10.08.2007 n.
4423), la norma suddetta, che si riferisce ad una
decadenza "di diritto", esclude qualsiasi
sospensione automatica del termine di durata del
permesso edilizio, e quindi a maggior ragione una
sua automatica proroga. Richiede invece a tal fine
che in ogni caso sia presentata un'istanza di
proroga, sulla quale l'amministrazione deve
pronunciarsi con un provvedimento espresso, nel
quale accerti che i presupposti per accogliere
l'istanza effettivamente sussistono (TAR Lazio-Roma,
Sez. II-quater,
sentenza 04.12.2019 n. 11973 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La richiesta di proroga del termine
annuale di inizio dei lavori deve essere in ogni
caso presentata prima della decorrenza del termine
ultimo previsto nel titolo edilizio e ciò proprio in
virtù del fatto che la decadenza del permesso di
costruire costituisce un effetto automatico del
trascorrere del tempo, la pronunzia di decadenza del
permesso a costruire ha mera natura ricognitiva del
venir meno degli effetti del permesso a costruire
per l'inerzia del titolare a darvi attuazione, oltre
che un carattere strettamente vincolato
all'accertamento del mancato inizio e completamento
dei lavori entro i termini stabiliti dall’art 15
D.P.R. 380/2001
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 29.04.2019 n. 2276 - massima
tratta da http://lexambiente.it).
---------------
Ed invero, è noto come l’art. 15 del D.P.R.
06.06.2001 n. 380 preveda che “nel permesso di
costruire sono indicati i termini di inizio e di
ultimazione dei lavori” e che “il termine per
l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un
anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione,
entro il quale l'opera deve essere completata, non
può superare tre anni dall'inizio dei lavori.
Decorsi tali termini il permesso decade di diritto
per la parte non eseguita” tranne che,
anteriormente alla scadenza, venga richiesta una
proroga; è altresì noto come, secondo l’orientamento
prevalente nella giurisprudenza amministrativa, la
decadenza del permesso di costruire per inutile
decorrenza dei su indicati termini opera di diritto
in conseguenza dell’inutile decorso del tempo, e non
dipende da un atto amministrativo, che ove
intervenga assume comunque carattere meramente
dichiarativo, e ciò al fine di non far conseguire la
decadenza ad un comportamento dell’Amministrazione,
con possibili disparità di trattamento tra
situazioni identiche (cfr. Consiglio di Stato, Sez.
IV, 18.05.2012, n. 2915, Consiglio di Stato, Sez. IV,
15.04.2016, n. 1520; Consiglio di Stato, Sez. IV,
11.04.2014, n. 1747).
Tanto premesso, il Tribunale evidenzia come risulti
infondato in primo luogo il primo motivo di gravame
articolato dal ricorrente nella spiegata
impugnazione, con cui quest’ultimo si duole, in
buona sostanza, che l’atto impugnato sarebbe affetto
da un’istruttoria carente e dal mancato rispetto dei
principi di proporzionalità e razionalità che
dovrebbero caratterizzare l’agere della
pubblica amministrazione.
Al riguardo, il Collegio si limita ad evidenziare
come le pur valide ragioni addotte dal ricorrente,
tuttavia solo in data 29.01.2015, per giustificare
la richiesta di sospensione del procedimento di
declaratoria di decadenza del permesso di costruire,
ben avrebbero potuto e dovuto essere rappresentate
all’Amministrazione Comunale resistente prima del
decorso del termine annuale per l’inizio dei lavori
di cui al permesso a costruire n. 152/2012 del
15.11.2012, non interrotto dalla comunicazione di
inizio lavori effettuata dal ricorrente in data
15.07.2013, in quanto ritenuta dall’Amministrazione
Comunale resistente sfornita della necessaria
documentazione per potere intraprendere gli
annunciati lavori; ciò in quanto, se è indubitabile
che la proroga del citato termine annuale ben possa
essere accordata, con provvedimento motivato, per
fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del
titolare del permesso, oppure in considerazione
della mole dell'opera da realizzare, delle sue
particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o
di difficoltà tecnico-esecutive emerse
successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando
si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento
sia previsto in più esercizi finanziari (cfr. ex
multis TAR Puglia Lecce, sez. I, 10/04/2018, n.
603, TAR Lombardia-Milano, sez. II, 07/11/2018, n.
2522), è altresì indubitabile che la richiesta di
proroga debba essere in ogni caso presentata prima
della decorrenza del termine ultimo previsto nel
titolo edilizio (cfr. TAR Abruzzo-Pescara, sez. I,
05/11/2018, n. 333, Consiglio di Stato sez. IV,
26/04/2018, n. 2508, TAR Valle d'Aosta, 18/04/2018,
n. 26) e ciò proprio in virtù del fatto che la
decadenza del permesso di costruire costituisce un
effetto automatico del trascorrere del tempo, la
pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha
mera natura ricognitiva del venir meno degli effetti
del permesso a costruire per l'inerzia del titolare
a darvi attuazione, oltre che un carattere
strettamente vincolato all'accertamento del mancato
inizio e completamento dei lavori entro i termini
stabiliti dall’art. 15 D.P.R. 380/2001 citato.
|
marzo 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La pronuncia dell’Amministrazione sulla
domanda di proroga dell’efficacia del permesso di
costruire è di natura discrezionale, in quanto, come
desumibile anche dal verbo “può” usato nell’art. 15,
comma 2, DPR n. 380/2001, presuppone l’accertamento
delle circostanze dedotte dal privato e il loro
apprezzamento in termini di evento oggettivamente
impeditivo dell’avvio dell’edificazione, sicché non
può formarsi il silenzio assenso sulle predette
istanze di proroga.
Peraltro, la proroga di efficacia del permesso di
costruire, oltre ad assicurare al titolare
dell’autorizzazione edilizia la certezza del titolo,
garantisce la certezza temporale dell’attività di
trasformazione edilizia del territorio comunale e
l’effettiva vigenza delle nuove norme urbanistiche
approvate successivamente al rilascio del permesso
di costruire, consentendo all’Amministrazione di
valutare l’oggettiva sussistenza delle cause,
contemplate dal citato art. 15, comma 2, DPR n.
380/2001, e/o di fatti sopravvenuti estranei alla
volontà e/o responsabilità del richiedente, come la
mole dell’opera da realizzare e/o particolari sue
caratteristiche tecnico-costruttive, che hanno
impedito il completamento della costruzione ed il
tempo necessario occorrente per l’ultimazione dei
lavori oppure l’effettiva sussistenza delle
fattispecie giuridiche del factum principis e/o
della forza maggiore, che hanno reso oggettivamente
impossibile il rispetto dei termini stabiliti dal
permesso di costruire.
Ne consegue che il suddetto art. 15, comma 2, DPR n.
380/2001, nella parte in cui specifica le ragioni
che consentono la proroga dei termini di efficacia
del permesso di costruire, deve essere interpretato
restrittivamente, giacché tale norma costituisce una
deroga alla disciplina generale dettata al fine di
evitare che una edificazione autorizzata nel vigore
di un determinato regime urbanistico venga
realizzata quando il mutato regime non lo consente
più
(TAR Basilicata,
sentenza 30.03.2019 n. 328 - massima
tratta da http://lexambiente.it).
---------------
Ed invero, l’art. 15 DPR n. 380/2001 statuisce che:
- dopo il decorso del termine di ultimazione dei lavori il permesso
di costruire “decade di diritto per la parte non
eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza,
venga richiesta una proroga”, specificando che “la
proroga può essere accordata, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla
volontà del titolare del permesso, oppure in
considerazione della mole dell'opera da realizzare,
delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, o di difficoltà
tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio
dei lavori” (comma 2);
- “la proroga dei termini per l’inizio e l’ultimazione dei
lavori è comunque accordata qualora i lavori non
possano essere iniziati o conclusi per iniziative
dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria
rivelatesi poi infondate” (comma 2-bis, inserito
dall’art. 17, comma 1, lett. f, n. 2, D.L. n.
133/2014 conv. nella L. n. 164/2014);
- “il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti
previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano
già iniziati e vengano completati entro il termine
di tre anni dalla data di inizio” (comma 4).
Può prescindersi dal contrasto giurisprudenziale se
la decadenza ex art. 15 DPR n. 380/2001 operi anche
in assenza di un apposito atto amministrativo di
tipo ricognitivo (cfr. C.d.S. Sez. IV Sent. n. 1520
del 15.04.2016; TAR Catanzaro Sez. II Sent. n. 1790
del 24.10.2018; TAR Lecce Sez. III Sent. n. 131
dell’01.02.2018; TAR Salerno Sez. I Sent. n. 448 del
24.02.2016; TAR Catania Sez. I Sent. n. 528 del
16.02.2015; TAR Palermo Sez. II Sent. n. 746 del
14.03.2014; TAR Lazio Sez. II-bis Sent. n. 5370 del
28.06.2005; TAR Bari Sez. II Sent. n. 668 del
21.02.2005), seguito da questo Tribunale (cfr. TAR
Basilicata Sent. n. 140 del 07.02.2017), oppure
risulti necessaria una formale dichiarazione
dell’effetto verificatosi direttamente ex se
all’esito di un apposito procedimento (cfr. C.d.S.
Sez. VI Sent. n. 5285 del 15.11.2017; C.d.S. Sez. V
Sent. n. 3612 del 26.6.2000; TAR Lazio Sez.
II-quater Sent. n. 9746 del 05.10.2018; TAR Lecce
Sez. III Sent. n. 1454 del 21.09.2016), in quanto
con il provvedimento impugnato è stata anche
dichiarata l’inefficacia del citato permesso di
costruire del 26.10.2010.
D’altronde, la pronuncia dell’Amministrazione sulla
domanda di proroga dell’efficacia del permesso di
costruire è di natura discrezionale, in quanto, come
desumibile anche dal verbo “può” usato nell’art. 15,
comma 2, DPR n. 380/2001, presuppone l’accertamento
delle circostanze dedotte dal privato e il loro
apprezzamento in termini di evento oggettivamente
impeditivo dell’avvio dell’edificazione (cfr. TAR
Lecce Sez. I Sent. n. 603 del 10.4.2018; TAR Napoli
Sez. IV Sent. n. 1276 del 26.02.2018), sicché non
può formarsi il silenzio assenso sulle predette
istanze di proroga.
Peraltro, la proroga di efficacia del permesso di
costruire, oltre ad assicurare al titolare
dell’autorizzazione edilizia la certezza del titolo,
garantisce la certezza temporale dell’attività di
trasformazione edilizia del territorio comunale e
l’effettiva vigenza delle nuove norme urbanistiche
approvate successivamente al rilascio del permesso
di costruire, consentendo all’Amministrazione di
valutare l’oggettiva sussistenza delle cause,
contemplate dal citato art. 15, comma 2, DPR n.
380/2001, e/o di fatti sopravvenuti estranei alla
volontà e/o responsabilità del richiedente, come la
mole dell’opera da realizzare e/o particolari sue
caratteristiche tecnico-costruttive, che hanno
impedito il completamento della costruzione ed il
tempo necessario occorrente per l’ultimazione dei
lavori oppure l’effettiva sussistenza delle
fattispecie giuridiche del factum principis
e/o della forza maggiore, che hanno reso
oggettivamente impossibile il rispetto dei termini
stabiliti dal permesso di costruire (sul punto cfr.:
C.d.S. Sez. IV Sent. n. 1520 del 15.04.2016, secondo
cui la crisi economica del settore dell’edilizia non
può giustificare il mancato rispetto da parte del
titolare del permesso di costruire dell’obbligo di
osservare i tempi di inizio e completamento dei
lavori e non è una valida ragione opponibile
all’inutile decorso di tali termini; TAR Veneto Sez.
II Sent. n. 652 del 05.07.2017, secondo cui la
proroga di efficacia del permesso di costruire non
può essere giustificata da motivi di carattere
economico e/o familiari).
Ne consegue che il suddetto art. 15, comma 2, DPR n.
380/2001, nella parte in cui specifica le ragioni
che consentono la proroga dei termini di efficacia
del permesso di costruire, deve essere interpretato
restrittivamente, giacché tale norma costituisce una
deroga alla disciplina generale dettata al fine di
evitare che una edificazione autorizzata nel vigore
di un determinato regime urbanistico venga
realizzata quando il mutato regime non lo consente
più.
Il suddetto comma 4 dell’art. 15 DPR n. 380/2001, è
bene ribadirlo, stabilisce espressamente che “il
permesso decade con l’entrata in vigore di
contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i
lavori siano già iniziati e vengano completati entro
il termine di tre anni dalla data di inizio”. |
novembre 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Riguardo
alla compatibilità dell’istituto ex
art. 1186 del c.c. ("Decadenza dal termine") con le disposizioni di cui
all’art. 30, comma 3-bis, del D.L. n. 69/2013, il
Collegio non intravede ragioni per discostarsi da
quanto già affermato dalla giurisprudenza
amministrativa, seppure mediante “obiter dictum”.
Va pertanto ribadito che la
proroga disposta “ex lege” non esime la parte
privata dall’attivarsi per adempiere con puntualità
alle proprie obbligazioni, né priva la parte
pubblica della possibilità di avvalersi dei rimedi
offerti dall’ordinamento qualora, pur in pendenza
del termine per l’adempimento, appare dubbio che la
parte obbligata possa adempiere ritualmente.
---------------
Lo stato di insolvenza, ex art. 1186 c.c. ai fini
della decadenza del debitore dal beneficio del
termine, è costituito da una situazione di dissesto
economico, sia pure temporaneo, in cui il debitore
venga a trovarsi, la quale renda verosimile
l'impossibilità da parte di quest'ultimo di
soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Tale stato di insolvenza non deve necessariamente
rivestire i caratteri di gravità e irreversibilità,
potendo conseguire anche ad una situazione di
difficoltà economica e patrimoniale reversibile,
purché idonea ad alterare, in senso peggiorativo, le
garanzie patrimoniali offerte dal debitore, e va
valutato con riferimento al momento della decisione.
---------------
il
Collegio conviene, con l’amministrazione comunale,
che, alla data di adozione dei provvedimenti
impugnati, potevano sussistere fondati dubbi di
insolvenza per le difficoltà economiche in cui
versava la ricorrente (ancorché potenzialmente
reversibili) e per le conseguenti ripercussioni
sulle garanzie offerte per l’adempimento delle
proprie obbligazioni.
In particolare assumono rilevanza le seguenti
circostanze:
- la sottoscrizione di un accordo di
ristrutturazione dei debiti (facente parte del
“concordato preventivo” quale strumento più snello
per superare la crisi dell’impresa), non avrebbe
avuto senso se la ricorrente fosse stata capace di
adempiere puntualmente le proprie obbligazioni nei
confronti degli altri debitori, il che rende fondato
il timore che analoga incapacità sussista per le
obbligazioni contratte con il Comune;
- lo stesso accordo di ristrutturazione dei debiti
desta alcune perplessità con riguardo alla rilevanza
attribuita alla vendita dell’area in questione, che
pare essere stata effettivamente sovrastimata per le
ragioni indicate dal Comune e che riguardano la
propria indisponibilità a concedere quanto invece
presupposto dalla perizia di stima. Ciò potrebbe
determinare la mancata vendita entro il termine
stabilito (o la vendita ad un prezzo sensibilmente
inferiore), con le conseguenze che si possono
immaginare nel caso in cui l’accordo di
ristrutturazione resti inadempiuto e i relativi
creditori insoddisfatti.
---------------
6.2
Riguardo alla compatibilità dell’istituto ex
art. 1186 del c.c. con le disposizioni di cui
all’art. 30, comma 3-bis, del D.L. n. 69/2013, il
Collegio non intravede ragioni per discostarsi da
quanto già affermato dalla giurisprudenza
amministrativa, seppure mediante “obiter dictum” (cfr.
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 02/05/2018, n. 1189;
id. 12/01/2016, n. 45).
Va pertanto ribadito, anche in questa sede, che la
proroga disposta “ex lege” non esime la parte
privata dall’attivarsi per adempiere con puntualità
alle proprie obbligazioni, né priva la parte
pubblica della possibilità di avvalersi dei rimedi
offerti dall’ordinamento qualora, pur in pendenza
del termine per l’adempimento, appare dubbio che la
parte obbligata possa adempiere ritualmente.
6.3 In via subordinata, la ricorrente si diffonde
comunque ed ampiamente (soprattutto con il ricorso
per motivi aggiunti) nel tentare di dimostrare in
giudizio la propria capacità di adempiere, entro la
data di scadenza della convenzione, alle
obbligazioni di cui il Comune ha invece chiesto
l’anticipata esecuzione nel timore del loro
inadempimento futuro.
Sul punto l’odierno Collegio non intravede tuttavia
ragioni di merito per discostarsi dall’orientamento
applicativo secondo cui lo stato di insolvenza, ex
art. 1186 c.c. ai fini della decadenza del debitore
dal beneficio del termine, è costituito da una
situazione di dissesto economico, sia pure
temporaneo, in cui il debitore venga a trovarsi, la
quale renda verosimile l'impossibilità da parte di
quest'ultimo di soddisfare regolarmente le proprie
obbligazioni. Tale stato di insolvenza non deve
necessariamente rivestire i caratteri di gravità e
irreversibilità, potendo conseguire anche ad una
situazione di difficoltà economica e patrimoniale
reversibile, purché idonea ad alterare, in senso
peggiorativo, le garanzie patrimoniali offerte dal
debitore, e va valutato con riferimento al momento
della decisione (cfr. Cass. Civile, Sez. VI,
12/10/2017, n. 23930; id. Sez. Lav. 12/02/2016, n.
2833; id. Sez. II 18/11/2011 n. 24330; Tribunale
Milano, Sez. IV 23/07/2018, n. 8255; Tribunale
Cassino, 21/07/2017 n. 986).
Posta tale premessa, il Collegio conviene, con
l’amministrazione comunale, che, alla data di
adozione dei provvedimenti impugnati, potevano
sussistere fondati dubbi di insolvenza per le
difficoltà economiche in cui versava la ricorrente
(ancorché potenzialmente reversibili) e per le
conseguenti ripercussioni sulle garanzie offerte per
l’adempimento delle proprie obbligazioni.
In particolare assumono rilevanza le seguenti
circostanze:
- la sottoscrizione di un accordo di
ristrutturazione dei debiti (facente parte del
“concordato preventivo” quale strumento più snello
per superare la crisi dell’impresa), non avrebbe
avuto senso se la ricorrente fosse stata capace di
adempiere puntualmente le proprie obbligazioni nei
confronti degli altri debitori, il che rende fondato
il timore che analoga incapacità sussista per le
obbligazioni contratte con il Comune di Gabicce
Mare;
- lo stesso accordo di ristrutturazione dei debiti
desta alcune perplessità con riguardo alla rilevanza
attribuita alla vendita dell’area in questione, che
pare essere stata effettivamente sovrastimata per le
ragioni indicate dal Comune e che riguardano la
propria indisponibilità a concedere quanto invece
presupposto dalla perizia di stima. Ciò potrebbe
determinare la mancata vendita entro il termine
stabilito (o la vendita ad un prezzo sensibilmente
inferiore), con le conseguenze che si possono
immaginare nel caso in cui l’accordo di
ristrutturazione resti inadempiuto e i relativi
creditori insoddisfatti.
Il rischio di insolvenza trova poi riscontro in
fatti immediatamente successivi ai provvedimenti
impugnati e, in particolare:
- nel rifiuto del fideiussore di corrispondere la
somma di € 823.009,80, prestata a garanzia
dell’adempimento delle obbligazioni di cui in
convenzione (cfr. determinazione 23/11/2017 n. 263;
ordinanza del Tribunale di Pesaro del 27/02/2018 –
doc. 002 depositato in data 06/04/2018);
- nell’implicita volontà della ricorrente di non
voler comunque adempiere, come può desumersi
dall’istanza di risoluzione della convenzione
avanzata in questa sede (di cui si dirà di seguito).
Tale circostanza, rivelatrice di una insolvenza
“volontaria”, pur non potendo costituire causa
automatica che legittima la decadenza dal beneficio
del termine, è comunque ritenuta, da larga parte
della dottrina civilistica, indizio di insolvenza
affinché il creditore, unitamente ad altri
concordanti indizi, possa invocare l’art.
1186
(TAR Marche,
sentenza 15.11.2018 n. 730 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il termine di durata del permesso edilizio non
può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al
contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di
una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione […], che
accerti l'impossibilità del rispetto del termine, […] nei
casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis
ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore.
---------------
13. - Anche il riferimento a fatti ed eventi che, integrando
altrettante cause di forza maggiore, avrebbero determinato
la sospensione del termine di efficacia della lottizzazione,
non può essere favorevolmente apprezzato.
Sul punto deve
essere richiamato l’orientamento recentemente ribadito con
la citata sentenza di questo Tribunale (22.01.2018, n.
36; ma si vedano anche Sez. II, 23.05.2017, n. 352, e Sez. II,
08.11.2016, n. 848), secondo cui è applicabile
alla fattispecie il principio affermato in materia di
sospensione del termine di durata del titolo edilizio,
secondo cui «il termine di durata del permesso edilizio non
può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al
contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di
una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione […], che
accerti l'impossibilità del rispetto del termine, […] nei
casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis
ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore» (TAR
Sardegna, Sez. II, 22.01.2018, n. 36, che richiama
Consiglio di Stato sez. IV, n. 974/2012; sez. III, n.
1870/2013) (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 19.07.2018 n. 670 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2018 |
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ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Costituisce principio consolidato in
giurisprudenza quello secondo il quale la proroga dei
termini di efficacia di un atto amministrativo presuppone
necessariamente che il termine da prorogare non sia ancora
scaduto.
Il principio è applicabile in relazione ad ogni
provvedimento amministrativo che sia stato sottoposto ad un
termine finale di efficacia atteso che, un conto è
disporre la prosecuzione dell'efficacia nel tempo di un
originario provvedimento, altra cosa è consentire
nuovamente lo svolgimento di una attività in precedenza
preclusa per sopravvenuta inefficacia dell'atto abilitativo,
occorrendo, in questo secondo caso, una nuova e più
approfondita valutazione che tenga conto della situazione di
fatto e delle regole giuridiche sopravvenute.
E’ opinione del Collegio che questo principio valga anche
per le proroghe disposte con atti normativi.
Invero, in assenza di disposizioni contrarie, si deve
ritenere che il legislatore, quando emana norme che hanno il
solo fine di estendere la validità temporale di un
provvedimento, intenda incidere solo sull’efficacia
temporale della disciplina di regolazione dell’interesse
pubblico ancora vigente e non sostituirsi alle
amministrazioni nelle valutazioni riguardanti la possibilità
e l’opportunità di reintrodurre una regolazione
dell’interesse pubblico ormai priva di efficacia (in
proposito si veda anche quanto illustrato nel prosieguo).
Inoltre, in assenza di disposizioni specifiche contrarie,
non può che valere la regola di irretroattività degli
effetti della legge, regola che impedisce l’intervento su
fattispecie ormai esaurite.
---------------
... per l’annullamento della
delibera 17.10.2016 n. 215 della Giunta del Comune di Carate
Brianza, trasmessa con nota del Responsabile del
Settore Tecnico Urbanistica del Comune del 19.10.2016 e
ricevuta dai ricorrenti il 24-25.10.2016, con la quale è
stata dichiarata inaccoglibile la proposta di Piano
attuativo relativa all’ambito A7 presentata dai ricorrenti
medesimi l’11.07.2016;
...
FATTO
Con ricorso notificato in data 16.12.2016 e depositato il
10.01.2017, i ricorrenti hanno impugnato la
delibera 17.10.2016 n. 215 della Giunta del Comune di Carate
Brianza, trasmessa con nota del Responsabile del
Settore Tecnico Urbanistica del Comune del 19.10.2016 e
ricevuta il 24-25.10.2016, con la quale è stata dichiarata
inaccoglibile la proposta di Piano attuativo relativa
all’ambito A7 presentata in data 11.07.2016.
I ricorrenti sono comproprietari di alcune aree del tutto
inedificate, aventi una superficie territoriale di mq.
9.600,00, site nel Comune di Carate Brianza e identificate
catastalmente al foglio 15, mappali 84 e 85, limitrofe alle
Vie Milano, Brianza e Bergamo.
Tali aree sono inserite nell’Allegato A “Modalità di
attuazione della Città da trasformare” del documento di
piano del P.G.T. nella scheda n. 6 relativa all’Ambito di
trasformazione n. A7, dove sono specificati i parametri per
l’edificazione, le superfici da destinare a parcheggi, le
destinazioni d’uso ammesse (residenziale, commerciale di
vicinato e di media struttura di vendita, direzionale,
ricettivo, servizi di interesse generale, artigianale di
servizio, produttivo a ridotto impianto e le direttive da
seguire), lasciando ampia discrezionalità di intervento ai
privati proponenti.
In data 11.07.2016 i ricorrenti hanno presentato una
proposta di Piano attuativo redatta in conformità alla
scheda dell’Ambito, allegando cinque tavole, lo schema di
convenzione, la relazione tecnica, il computo metrico, il
cronoprogramma e gli atti di proprietà.
Con la
delibera 17.10.2016 n. 215 della Giunta del Comune di Carate
Brianza è stata dichiarata inaccoglibile la
proposta di Piano attuativo relativa all’ambito A7
presentata dai ricorrenti.
Assumendo l’illegittimità della predetta determinazione, i
ricorrenti l’hanno impugnata, eccependo la violazione e
falsa applicazione dell’art.
5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014
e l’eccesso di potere per difetto di motivazione.
Si è costituito in giudizio il Comune di Carate Brianza, che
ha chiesto il rigetto del ricorso.
In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della
controversia, i difensori delle parti hanno depositato
memorie e documentazione a sostegno delle rispettive
posizioni.
Alla pubblica udienza del 31.01.2018, su conforme richiesta
dei difensori delle parti, la controversia è stata
trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Con l’unica censura del ricorso si assume l’illegittimità
della delibera della Giunta comunale che ha ritenuto
inapplicabile la proroga prevista dall’art.
5 della legge regionale n. 31 del 2014 anche ai
documenti di piano scaduti –disattendendo quindi il parere
contenuto nel
comunicato regionale 25.03.2015 n. 50 e ponendosi
in contrasto anche quanto affermato nella sentenza del
Consiglio di Stato, IV, 14.05.2015, n. 2424– con la
conseguenza di ritenere inefficace il documento di piano del
P.G.T. e pertanto non accoglibile la proposta di Piano
attuativo presentata dai ricorrenti.
2.1. La doglianza è infondata.
Il Collegio, con riguardo all’applicabilità della proroga
prevista dall’art.
5 della legge regionale n. 31 del 2014 anche ai
documenti di piano scaduti, sostenuta con il
comunicato regionale 25.03.2015 n. 50, pur prendendo atto anche della
sentenza del Consiglio di Stato, IV, 14.05.2015, n. 2424,
che ha ritenuto “corretta l’interpretazione secondo cui
la proroga valga anche [per] i documenti scaduti prima
dell’entrata in vigore della nuova legge, per non rendere
altrimenti monca la pianificazione comunale”, ritiene di
aderire al consolidato orientamento espresso dalla Sezione
(sentenza 17.10.2017, n. 1985; in precedenza, 07.06.2017, n.
1272), all’esito di una articolata e convincente
motivazione.
Come noto, in base all’art.
8, quarto comma, della legge della Regione Lombardia
11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del
territorio) il documento di piano ha efficacia quinquennale.
Scaduto questo termine le statuizioni in esso contenute non
possono più essere attuate.
Il legislatore regionale ha poi previsto due ipotesi di
proroga.
La prima è quella contenuta nel successivo comma
cinque, nel quale si prevede che i consigli comunali hanno
<<… la facoltà di prorogare sino al 31.12.2014 la
validità dei documenti di piano approvati entro il
31.12.2009>>. Altra eccezione è contenuta nell’art.
5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014,
invocato da parte dei ricorrenti.
La
legge regionale n. 31 del 2014 ha l’obiettivo di
contenere il consumo di suolo e, a tal fine, prevede che gli
strumenti di governo del territorio orientino gli interventi
edilizi prioritariamente verso le aree già urbanizzate,
degradate o dismesse.
L’art. 5, commi 1, 2 e 3, stabilisce che la Regione, le
province, le città metropolitane ed i comuni devono
adeguare, entro i termini ivi stabiliti, i propri strumenti
di governo del territorio alle nuove disposizioni ed ai
nuovi principi contenuti nella legge stessa. Per quanto
riguarda in particolare i comuni, il comma 3 dell’art. 5
prevede che questi debbano adeguare i propri piani di
governo del territorio in occasione della prima scadenza del
documento di piano successiva agli atti di adeguamento
regionali e provinciali.
L’ultimo periodo del comma 5 stabilisce poi che <<La
validità dei documenti comunali di piano, la cui scadenza
intercorra prima dell’adeguamento della pianificazione
provinciale e metropolitana di cui al comma 2, è prorogata
di dodici mesi successivi al citato adeguamento>>.
Come anticipato, secondo i ricorrenti, questa disposizione
si applicherebbe anche ai documenti di piano scaduti prima
dell’entrata in vigore della
legge regionale n. 31 del 2014.
Ritiene il Collegio che questa conclusione non sia
condivisibile per tre ordini di ragioni.
Innanzitutto per motivi di carattere dogmatico, in
quanto, come noto, costituisce principio consolidato in
giurisprudenza quello secondo il quale la proroga dei
termini di efficacia di un atto amministrativo presuppone
necessariamente che il termine da prorogare non sia ancora
scaduto.
Il principio è applicabile in relazione ad ogni
provvedimento amministrativo che sia stato sottoposto ad un
termine finale di efficacia atteso che, un conto è disporre
la prosecuzione dell'efficacia nel tempo di un originario
provvedimento, altra cosa è consentire nuovamente lo
svolgimento di una attività in precedenza preclusa per
sopravvenuta inefficacia dell'atto abilitativo, occorrendo,
in questo secondo caso, una nuova e più approfondita
valutazione che tenga conto della situazione di fatto e
delle regole giuridiche sopravvenute (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V, 27.08.2014, n. 4384; id., sez. IV,
22.05.2006, n. 3025; id., 22.12.2003, n. 8462; id.,
25.03.2003, n. 1545; id., sez. VI, 10.10.2002, n. 5443).
E’ opinione del Collegio che questo principio valga anche
per le proroghe disposte con atti normativi.
Invero, in assenza di disposizioni contrarie, si deve
ritenere che il legislatore, quando emana norme che hanno il
solo fine di estendere la validità temporale di un
provvedimento, intenda incidere solo sull’efficacia
temporale della disciplina di regolazione dell’interesse
pubblico ancora vigente e non sostituirsi alle
amministrazioni nelle valutazioni riguardanti la possibilità
e l’opportunità di reintrodurre una regolazione
dell’interesse pubblico ormai priva di efficacia (in
proposito si veda anche quanto illustrato nel prosieguo).
Inoltre, in assenza di disposizioni specifiche contrarie,
non può che valere la regola di irretroattività degli
effetti della legge, regola che impedisce l’intervento su
fattispecie ormai esaurite.
In secondo luogo, la conclusione dei ricorrenti non
può essere condivisa per ragioni di carattere testuale,
posto che l’utilizzo del termine “intercorra”,
contenuto nell’art.
5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014,
lascia chiaramente intendere che legislatore regionale ha
voluto disporre la proroga dei documenti di piano che
vengano a scadenza in un arco temporale delimitato e
successivo a quello di entrata in vigore della norma.
In terzo luogo, la conclusione dei ricorrenti non può
essere condivisa per ragioni di carattere teleologico.
La finalità della norma è, infatti, quella di intervenire in
favore dei comuni che –proprio perché aventi documenti di
piano che vengono a scadenza dopo l’entrata in vigore della
legge ma prima dell’approvazione degli atti di adeguamento
provinciale– verrebbero forzatamente privati di tale atto di
pianificazione: tali comuni, invero, non potrebbero
approvarne uno nuovo fino all’approvazione dell’atto di
adeguamento provinciale.
L’intervento non è invece giustificato nei casi in cui i
comuni abbiano liberamente deciso di lasciar scadere il
documento di piano prima dell’entrata in vigore della
legge regionale n. 31 del 2014. Si tratterebbe
invero di intervento in contrasto con la loro volontà, dato
che a questi enti verrebbe imposta la vigenza di un atto che
(proprio perché lasciato liberamente scadere) è ormai
evidentemente ritenuto non più rispondente all’interesse
pubblico.
Né si può opporre che la soluzione qui seguita pregiudichi
eccessivamente gli interessi dei privati, atteso che questi
hanno comunque avuto a disposizione un periodo di cinque
anni per presentare proposte di piani attuativi.
Si deve pertanto ritenere che l’art.
5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014
non si riferisca ai documenti di piano già scaduti e che,
quindi, non possa far rivivere la disciplina contenuta nel
previgente documento di piano, ormai definitivamente privo
di efficacia (TAR Lombardia, Milano, II, 17.10.2017, n.
1985; altresì, 07.06.2017, n. 1272).
2.2. Va aggiunto, inoltre, che con la
legge regionale n. 16
del 2017 è stato altresì modificato il secondo periodo dell’art.
5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014,
attribuendo al Consiglio comunale la facoltà di scelta in
ordine alla proroga della validità dei documenti di piano
già scaduti [‘La validità dei documenti di piano dei PGT
comunali la cui scadenza è già intercorsa può essere
prorogata di dodici mesi successivi all’adeguamento della
pianificazione provinciale e metropolitana di cui al comma
2, con deliberazione motivata del consiglio comunale, da
assumersi entro dodici mesi dall’entrata in vigore della
legge regionale recante “Modifiche all’articolo 5 della
legge regionale 28.11.2014, n. 31 (Disposizioni per la
riduzione del consumo di suolo e per lo riqualificazione del
suolo degradato)”, ferma restando la possibilità di
applicare quanto previsto al comma 4’].
Pur volendo ritenere, non senza qualche dubbio, la
disposizione priva di efficacia retroattiva, dalla stessa si
ricava comunque la conferma dell’indirizzo seguito dalla
Sezione anche nel presente contenzioso.
2.3. Ciò conduce al rigetto della censura e quindi
dell’intero ricorso (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.03.2018 n. 734 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Appare
condiviso in giurisprudenza che l’inizio lavori, ai sensi
dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, debba
intendersi riferito a concreti lavori edilizi che possono
desumersi dagli indizi rilevati sul posto.
Pertanto i lavori debbono ritenersi “iniziati” quando
consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè
nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi
portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di
scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo
edificio per evitare che il termine di decadenza del
permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi
fittizi e simbolici.
Vero è che la mera esecuzione di lavori di sbancamento è, di
per sé, inidonea per ritenere soddisfatto il presupposto
dell’effettivo inizio dei lavori, entro il termine di un
anno dal rilascio del permesso di costruire a pena di
decadenza del titolo abilitativo (art. 15 d.P.R. n.
380/2001), essendo necessario che lo sbancamento sia
accompagnato dalla compiuta organizzazione del cantiere e da
altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento
del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera
assentita.
Nondimeno nel caso di specie non si trattava di “mera
esecuzione di sbancamento” ma di concreti ed effettivi
lavori “in corso di esecuzione” per il livellamento dei
muri.
---------------
Ai sensi dell’art. 15, 2° comma, d.P.R. cit. “La proroga
può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti
sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del
permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da
realizzare, delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive
emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando
si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia
previsto in più esercizi finanziari.”.
Nel caso di specie, le varie denunce e contestazioni poste
in essere dai vicini rappresentano dei “fatti sopravvenuti,
estranei alla volontà del titolare del permesso”,
soprattutto nel caso di presentazione di una pluralità di
esposti e di ricorsi avverso il soggetto titolare del
permesso di costruire, il quale s’è visto costretto a dover
assumere tutte le iniziative del caso per difendersi da
questi eventi di forza maggiore che impediscono di portare a
termine, nei tempi prestabiliti, i lavori.
---------------
9. Nel dettaglio ai
motivi di appello.
10. L’infondatezza nel merito dell’appello consente di
prescindere dall’eccezione d’inammissibilità dell’appello (recte
di parte dei motivi d’appello), proposta dalla società
appellata, sul rilievo che gli intervenienti adesivi
dipendenti, intervenuti ad oppenendum in primo grado,
non sono titolari di una posizione che li legittimi ad
impugnare autonomamente la sentenza.
10.1 Per restituire un minimo di organicità ai motivi
d’appello, le censure vanno ricondotte a tre ordini di
argomenti che fungono da comune denominatore: la
legittimità del provvedimento di decadenza; la legittimità o
meno del rilascio della proroga dell’inizio lavori; la
supposta violazione dell’art. 36 d.P.R. 380/2001 in
combinato disposto con l’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004.
10.2 Sul motivo che deduce la violazione dell’art. 15 e ss.
d.P.R. 380/2001.
10.3 Va condiviso il capo di sentenza che ha affermato
l’illegittimità del provvedimento di decadenza del permesso
di costruire n. 73 del 28.06.2006 per mancato inizio e
termine dei lavori nei tempi stabiliti dalla normativa
edilizia di riferimento.
Il provvedimento è stato emesso sulla base di
un’irragionevole interpretazione dell’art. 15 d.P.R. n.
380/2001, il quale prevede un termine massimo di un anno,
decorrente dal rilascio del permesso di costruire, entro cui
iniziare i lavori, nonché un termine di tre anni,
dall’inizio dei lavori, per completare l’opera.
Appare condiviso in giurisprudenza che l’inizio lavori, ai
sensi dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, debba
intendersi riferito a concreti lavori edilizi che possono
desumersi dagli indizi rilevati sul posto.
Pertanto i lavori debbono ritenersi “iniziati” quando
consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè
nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi
portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di
scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo
edificio per evitare che il termine di decadenza del
permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi
fittizi e simbolici.
Vero è che la mera esecuzione di lavori di sbancamento è, di
per sé, inidonea per ritenere soddisfatto il presupposto
dell’effettivo inizio dei lavori, entro il termine di un
anno dal rilascio del permesso di costruire a pena di
decadenza del titolo abilitativo (art. 15 d.P.R. n.
380/2001), essendo necessario che lo sbancamento sia
accompagnato dalla compiuta organizzazione del cantiere e da
altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento
del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera
assentita.
10.4 Nondimeno nel caso di specie non si trattava di “mera
esecuzione di sbancamento” ma di concreti ed effettivi
lavori “in corso di esecuzione” per il livellamento
dei muri.
Lo attesta, ai sensi del verbale di sopralluogo redatto dai
Carabinieri, la presenza nei “vani ancora esistenti”
del materiale oggetto di demolizione nonché la nota del
03.07.2007 dell’avv. Ce.Al., nella qualità di procuratore
della confinante Sig.ra An.Zu., con la quale si chiedeva al
Comune, Regione e Soprintendenza di far sospendere i lavori
alla Sn.St. S.a.s.: l’atto dimostra che un inizio di lavori
c’era effettivamente stato prima del verbale del 2009, in
quanto la confinante Sig.ra An.Zu. non avrebbe avuto motivo
di sollecitare l’intervento l’avv. Al. per delle mere
pulizie del fondo e rimozione dei detriti.
10.5 Anche la concessione di proroga emessa dal Comune
risulta legittima.
Infatti, ai sensi dell’art. 15, 2° comma, d.P.R. cit. “La
proroga può essere accordata, con provvedimento motivato,
per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare
del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera
da realizzare, delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive
emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando
si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia
previsto in più esercizi finanziari.”.
10.6 Le varie denunce e contestazioni poste in essere dai
vicini rappresentano dei “fatti sopravvenuti, estranei
alla volontà del titolare del permesso”, soprattutto nel
caso di presentazione di una pluralità di esposti e di
ricorsi avverso il soggetto titolare del permesso di
costruire, il quale s’è visto costretto a dover assumere
tutte le iniziative del caso per difendersi da questi eventi
di forza maggiore che impediscono di portare a termine, nei
tempi prestabiliti, i lavori
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 19.09.2017 n. 4381 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA: Si
dibatte sulla non automaticità della proroga del termine di
efficacia della concessione edilizia nell’ipotesi prevista
dall’art. 15, comma 2-bis, del D.P.R.
n. 380/2001 (comma inserito dall'art. 17, comma 1, lett. f),
n. 2), del decreto-legge 12.12.2014, n. 133,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014,
n. 164), secondo cui la «proroga dei termini per l'inizio e
l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i
lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative
dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi
poi infondate».
Invero, la norma deve essere letta alla luce della
consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato che si
articola intorno a tre fondamentali statuizioni:
● con
la
prima, si afferma che in nessuna ipotesi i termini di
efficacia del permesso di costruire possono ritenersi
automaticamente sospesi;
● con
la seconda, si sostiene che è
sempre necessaria la presentazione, da parte
dell’interessato, di una formale istanza di proroga;
● con
la
terza, si ritiene sempre necessario il provvedimento
espresso di proroga anche se si tratta di attività vincolata
con effetti ex tunc.
Peraltro, deve rammentarsi che la medesima giurisprudenza ha
distinto l’ipotesi del sequestro penale del cantiere,
ritenendo che questo caso integri una automatica sospensione
del termine per l’esecuzione dei lavori oggetto del permesso
di costruire.
La norma del comma 2-bis dell’art. 15 cit., come introdotta
nel 2014, muove quindi dal descritto quadro
giurisprudenziale per chiarire testualmente che, nei casi in
cui l’iniziativa amministrativa o giudiziaria si riveli
infondata, come nella fattispecie, la proroga dei termini è
automatica.
--------------
... per l'annullamento del provvedimento del Responsabile
dell'Area Tecnico del Comune di Domus De Maria con il quale
è stato negato l'assenso alla ripresa dei lavori relativi
alla concessione edilizia n. 5/2008, rilasciata il
13.02.2008;
...
1. - Con il ricorso in esame, la società No. s.r.l.
riferisce di essere proprietaria di un'area sita nel
territorio del Comune di Domus de Maria, località Eden Rock,
sulla quale era in corso la realizzazione di 14 unità
abitative, in forza delle concessioni edilizie n. 5/2008 e
n. 20/2009, rilasciate dal Comune di Domus De Maria.
In data 07.07.2010, il relativo cantiere è stato sottoposto a
sequestro preventivo penale, poiché, secondo le
contestazioni mosse dalla Procura della Repubblica di
Cagliari, le opere in corso di realizzazione sarebbero state
abusive. Peraltro, con sentenza del Tribunale penale di
Cagliari del 02.10.2015, il legale rappresentante della No. s.r.l. è stato prosciolto essendosi estinto il
reato per intervenuta prescrizione.
Con ordinanza del
medesimo Tribunale, del 17.03.2016, l'area di cui sopra è
stata dissequestrata e, in data 05.05.2016, restituita
alla società.
2. - Con nota del 12.05.2016, la società No. –sul presupposto dell’intervenuto dissequestro del cantiere–
comunicava al Comune di Domus de Maria di voler riprendere i
lavori a partire dal 31 maggio successivo. Il Responsabile
dell'Area Tecnica, tuttavia, con la nota del 13.07.2016,
rendeva noto alla società «di non poter autorizzare la
ripresa dei lavori in quanto il piano di Lottizzazione Eden
Rock non sarebbe stato attuato validamente perché privo
della relativa convenzione e perché il calcolo della
volumetria relativo alla c.e. 5/08 non sarebbe stato
computato regolarmente».
...
Nel merito, conclude per il rigetto del ricorso.
5. - All’udienza pubblica del 14.06.2017, la causa è
stata trattenuta in decisione.
6. - L’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa
comunale si fonda sulla ritenuta non automaticità della
proroga del termine di efficacia della concessione edilizia
nell’ipotesi prevista dall’art. 15, comma 2-bis, del D.P.R.
n. 380/2001 (comma inserito dall'art. 17, comma 1, lett. f),
n. 2), del decreto-legge 12.12.2014, n. 133,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014,
n. 164), secondo cui la «proroga dei termini per l'inizio e
l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i
lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative
dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi
poi infondate».
La norma deve essere letta alla luce della
consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato che si
articola intorno a tre fondamentali statuizioni: con
la
prima, si afferma che in nessuna ipotesi i termini di
efficacia del permesso di costruire possono ritenersi
automaticamente sospesi; con la seconda, si sostiene che è
sempre necessaria la presentazione, da parte
dell’interessato, di una formale istanza di proroga; con la
terza, si ritiene sempre necessario il provvedimento
espresso di proroga anche se si tratta di attività vincolata
con effetti ex tunc (per tutte, si veda Consiglio di Stato,
sez. IV, 23.02.2012, n. 974).
Peraltro, deve rammentarsi che la medesima giurisprudenza ha
distinto l’ipotesi del sequestro penale del cantiere,
ritenendo che questo caso integri una automatica sospensione
del termine per l’esecuzione dei lavori oggetto del permesso
di costruire (si veda Consiglio di Stato, Sez. V, 26.04.2005, n. 1895; III,
04.04.2013, n. 1870). Giurisprudenza
seguita sul punto anche da questo Tribunale (cfr. TAR
Sardegna, II, 01.03.2016, n. 195; II, 16.01.2017, n.
17).
La norma del comma 2-bis dell’art. 15 cit., come introdotta
nel 2014, muove quindi dal descritto quadro
giurisprudenziale per chiarire testualmente che, nei casi in
cui l’iniziativa amministrativa o giudiziaria si riveli
infondata, come nella fattispecie, la proroga dei termini è
automatica.
Applicando gli enunciati principi al caso di specie,
rammentato (in punto di fatto) che la prima concessione
edilizia è stata rilasciata il 13.02.2008 (e la
variante in corso d’opera l’11.05.2009); e che il
sequestro preventivo del cantiere ha imposto la sospensione
dei lavori dal 01.07.2010 al 05.05.2016, ne deriva
come conseguenza che all’epoca della comunicazione della
ricorrente di voler riprendere i lavori (12.05.2016) il
termine triennale per l’esecuzione non era ancora decorso.
Da quanto osservato, discende che la società ricorrente ha
interesse a ottenere l’annullamento della nota del
responsabile dell’area tecnica del Comune, di cui in
epigrafe, e a riprendere i lavori.
7. - Passando all’esame dei motivi proposti col ricorso, si
deve iniziare dalla dedotta violazione del principio della
esecutività dei provvedimenti amministrativi, la cui
efficacia giuridica non è impedita dalla eventuale
sussistenza di vizi di legittimità, salvo l’esercizio dei
poteri di autotutela che, nel caso di specie, non si è
verificato.
8. - Il motivo è manifestamente fondato.
Come si evince dalla motivazione del provvedimento
impugnato, riferita in fatto, la comunicazione di non poter
riprendere i lavori per completare gli interventi
autorizzati non si basa, in realtà, sulla intervenuta
scadenza del termine di efficacia della concessione edilizia
a suo tempo rilasciata, ma esclusivamente su considerazioni
attinenti alla validità del piano di lottizzazione “Eden
Rock” e della concessione edilizia.
Motivazione sicuramente illegittima, considerato che gli
atti amministrativi in questione non erano mai stati
annullati, né l’amministrazione comunale ha provveduto ad
avviare il necessario procedimento per l’annullamento
d’ufficio. Pertanto, si tratta di atti ancora efficaci
(secondo il pacifico principio della imperatività del
provvedimento amministrativo)
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 30.08.2017 n. 569 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per costante giurisprudenza, l’art. 15, comma 2,
del T.U. 380/2001, che si riferisce ad una
decadenza “di diritto”, esclude qualsiasi sospensione
automatica del termine di durata del permesso edilizio, e
quindi a maggior ragione una sua automatica proroga.
Richiede invece a tal fine che in ogni caso sia presentata
un’istanza di proroga, sulla quale l’amministrazione deve
pronunciarsi con un provvedimento espresso, nel quale
accerti che i presupposti per accogliere l’istanza
effettivamente sussistono.
---------------
La necessità prevista dall’art. 15 del T.U. 380/2001 che
l’interessato si attivi con un proprio atto rende, comunque,
irrilevante la conoscenza della presunta causa di forza
maggiore (in forza della quale si chiede la proroga) da
parte dell’amministrazione, conoscenza che in ogni caso
dovrebbe risultare da atti ufficiali, e non potrebbe esser
fatta derivare da informazioni private di cui un funzionario
fosse in possesso per ragioni sue personali.
---------------
Il più volte citato art. 15 del T.U. 380/2001, per il caso
di infruttuosa scadenza del termine di ultimazione dei
lavori, prevede al comma 3 che “La realizzazione della parte
dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è
subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere
ancora da eseguire”.
In tal senso, non è richiesto che le opere di completamento
rivestano una particolare natura intrinseca: occorre
soltanto che si tratti delle opere necessarie, secondo il
progetto originario, a completare l’intervento.
Ciò però non è sufficiente a consentirne la realizzazione,
che passa per il rilascio di un nuovo permesso di costruire
e presuppone quindi che esse, nel momento in cui esso viene
richiesto, siano compatibili con la disciplina urbanistico
edilizia del momento.
---------------
1. L’appello è infondato e va respinto nel merito, per le
ragioni di seguito precisate, che rendono superfluo
esaminare le eccezioni preliminari dedotte dal Comune.
2. E’infondato il primo motivo, fondato sulla
presunta possibilità di ritenere un permesso di costruire
automaticamente prorogato in presenza di un asserita causa
di forza maggiore che impedisca di completare i lavori
relativi nel termine previsto.
L’art. 15, comma 2, del T.U. 380/2001, che qui rileva,
dispone in generale, per quanto qui interessa, “Il
termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad
un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione,
entro il quale l'opera deve essere completata, non può
superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali
termini il permesso decade di diritto per la parte non
eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga
richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con
provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei
alla volontà del titolare del permesso, oppure in
considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle
sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di
difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente
all'inizio dei lavori…”.
Per costante giurisprudenza -così per tutte C.d.S. sez. IV
22.10.2015 n. 4823, 23.02.2012 n. 974 e 10.08.2007 n. 4423-
la norma suddetta, che si riferisce ad una decadenza “di
diritto”, esclude qualsiasi sospensione automatica del
termine di durata del permesso edilizio, e quindi a maggior
ragione una sua automatica proroga. Richiede invece a tal
fine che in ogni caso sia presentata un’istanza di proroga,
sulla quale l’amministrazione deve pronunciarsi con un
provvedimento espresso, nel quale accerti che i presupposti
per accogliere l’istanza effettivamente sussistono.
...
12. Il quarto motivo di ricorso è volto anch’esso,
secondo logica, a superare il disposto dell’art. 18 del
regolamento, poiché presuppone che la proroga, anche se
disposta successivamente ad una prima, fosse in qualche modo
dovuta trattandosi di una causa di forza maggiore.
Esso però risulta a sua volta infondato: la necessità
prevista dall’art. 15 del T.U. 380/2001 che l’interessato si
attivi con un proprio atto rende comunque irrilevante la
conoscenza della presunta causa di forza maggiore in
questione da parte dell’amministrazione, conoscenza che in
ogni caso dovrebbe risultare da atti ufficiali, e non
potrebbe esser fatta derivare da informazioni private di cui
un funzionario fosse in possesso per ragioni sue personali.
...
16. Il nono e il decimo motivo vanno esaminati
congiuntamente perché connessi fra loro, e vanno a loro
volta respinti.
Il più volte citato art. 15 del T.U. 380/2001, per il caso
di infruttuosa scadenza del termine di ultimazione dei
lavori, prevede al comma 3 che “La realizzazione della
parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è
subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere
ancora da eseguire”.
In tal senso, non è richiesto, contrariamente a quanto
ritiene il Comune nelle proprie difese, che le opere di
completamento rivestano una particolare natura intrinseca:
occorre soltanto che si tratti delle opere necessarie,
secondo il progetto originario, a completare l’intervento.
Ciò però non è sufficiente a consentirne la realizzazione,
che passa per il rilascio di un nuovo permesso di costruire
e presuppone quindi che esse, nel momento in cui esso viene
richiesto, siano compatibili con la disciplina urbanistico
edilizia del momento.
17. Nel caso di specie, però, tale requisito necessario è
venuto a mancare.
Nel momento in cui i lavori non sono stati effettivamente
completati nel termine previsto dal permesso, l’effetto di
ripristino previsto dalle convenzioni nei termini ampiamente
illustrati si è verificato, e il terreno è ritornato alla
sua destinazione originaria, che l’edificazione non
consente.
In proposito, va osservato che le convenzioni stesse
qualificano tale effetto come automatico, del resto in
conformità al modo in cui opera una clausola risolutiva
espressa, cui la clausola in esame è assimilabile.
Il provvedimento del dirigente comunale che ha denegato il
rilascio del permesso per il completamento è quindi del
tutto estraneo al prodursi di tale effetto, di cui si limita
a prender atto, sì che una questione di incompetenza in
merito non ha ragione di porsi.
Ne consegue che il permesso di costruire in parola è stato
legittimamente rifiutato, trattandosi di opere non più
assentibili in base alla destinazione dell’area (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 03.08.2017 n. 3887 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Permesso
edilizio, la sospensione del termine di durata non può
essere automatica.
La giurisprudenza nettamente prevalente
di questo Consiglio di Stato, dalla quale il Collegio non
ritiene di doversi discostare, sottolinea che, ai sensi
dell'art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 ("Il
termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad
un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione,
entro il quale l'opera deve essere completata, non può
superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali
termini il permesso decade di diritto per la parte non
eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga
richiesta una proroga [...]"), l'effetto decadenziale si
riconnette al mero dato fattuale del mancato avvio dei
lavori entro il termine annuale fissato dalla legge.
In altri termini "la decadenza del permesso di costruire
costituisce effetto automatico del trascorrere del tempo,
che per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un
anno dal rilascio del titolo abilitativo".
Invero, la pronunzia di decadenza del permesso a costruire
ha carattere strettamente vincolato all'accertamento del
mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini
stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre
anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed
ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del
permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi
attuazione.
Decadenza che opera di diritto, pertanto non è richiesta
l'adozione di un provvedimento amministrativo espresso.
---------------
La giurisprudenza amministrativa ha del pari superato
pregresse incertezza giurisprudenziali stabilendo che "il
termine di durata del permesso edilizio non può mai
intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario
sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa
ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero
l'insorgenza di una causa di forza maggiore".
---------------
1. L’appello è parzialmente fondato e va accolto, nei sensi
di cui alla motivazione che segue, mentre va respinta la
domanda di risarcimento dei danni per difetto di prova e di
allegazione: la sentenza deve essere, pertanto, riformata ed
il ricorso di primo grado deve essere accolto, con
conseguente annullamento dell’impugnato provvedimento.
2. Discostandosi per comodità espositiva dalla tassonomia
propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche
dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), che in ordine
logico renderebbe prioritario lo scrutinio della doglianza
(lettera A dell’appello) incentrata sulla asserita “violazione
del giudicato formatosi sulle statuizioni di cui alla
sentenza di questo Consiglio di Stato n. 1556/2015 ed
all’ordinanza n. 5601/2015” ritiene il Collegio di
esaminare immediatamente le censure di cui alle lettere B e
C dell’appello.
3. Di entrambe si rileva immediatamente la non
condivisibilità, e la intrinseca debolezza, in quanto
contraddittorie rispetto alle stesse attività poste in
essere dalla stessa odierna parte appellante, posto che:
a) la società appellante richiese una prima proroga
dell'inizio dei lavori al 22.04.2014 e poi una seconda
proroga di ulteriori sei mesi che, in quanto tale,
procrastinava il termine di inizio dei lavori fino al
22.10.2014: ciò quando ancora il Tar non si era pronunciato
sui ricorsi proposti avverso la Deliberazione n. 2129 del
23.10.2012 di rilascio dell’autorizzazione integrata
ambientale, proposti dalla Provincia di Venezia e dal Comune
di San Donà del Piave;
b) il Tar accolse i ricorsi con la sentenza n. 773/2014
del 09.06.2014, annullando la detta autorizzazione, ed a
detta data la proroga era ancora efficace, in quanto, come
prima riferito, l’autorizzazione sarebbe scaduta il
22.10.2014;
c) l’intera impostazione delle prime due censure
dell’appello è incentrata sulla circostanza per cui, dal
momento che il Tar aveva annullato l’autorizzazione, questa
non “esisteva più” e non avrebbe avuto senso chiedere
la proroga;
d) ma tale arguta affermazione si scontra con un dato di
fatto: in pendenza del giudizio di appello proposto dalla
società odierna appellante avverso la suindicata sentenza
del Tar –e quindi quando, secondo l’argomentare della stessa
appellante l’autorizzazione non esisteva più, e non avrebbe
avuto senso chiedere la proroga- la società predetta chiese
una terza proroga (con nota datata del 18/02/2015 motivata
dal fatto che l’udienza avanti al Consiglio di Stato era
stata rinviata al 03.03.2015);
e) ciò dimostra che essa stessa si rendeva conto che
anche in pendenza del giudizio di appello (sfociato nella
sentenza di questo Consiglio di Stato n. 1556/2015 che
accolse infine il gravame), essa avrebbe dovuto richiedere
la proroga dell’autorizzazione: soltanto che lo fece
intempestivamente, in quanto l’autorizzazione era già
scaduta il 22.10.2014 ed essa si risolse a chiedere la
proroga soltanto nel febbraio del 2015.
3.1. Tanto vale a privare di plausibilità la ricostruzione
della odierna parte appellante contenuta nelle suindicate
censure, e ciò proprio tenuto conto dei suoi stessi
comportamenti.
3.2. Ed anche a non volere attribuire rilevanza a tali
emergenze processuali, ed affrontando esclusivamente sotto
il profilo giuridico le argomentazioni della parte odierna
appellante, si osserva che:
a) l’effetto retroattivo del giudicato, anche nel
processo amministrativo, è jus receptum e non può
essere messo in discussione;
b) ma tale principio tendenziale è soggetto a limiti di
vario genere e, per quel che rileva in questa sede va
contemperato con le previsioni normative che regolamentano i
provvedimenti interessati dal giudicato;
c) nel caso del permesso di costruire, ad evidenti fini
di certezza della programmazione urbanistica (altrimenti
condizionato sine die da possibili “effetti
retroattivi” ascrivibili a sentenza che intervengono a
distanza di tempo considerevole dal rilascio del titolo), il
Legislatore ha dettato un principio che –senza smentire la
portata retroattiva del giudicato- all’evidente fine di
verificare il permanente interesse del soggetto latore del
titolo a realizzare l’intervento programmato ha condizionato
l’efficacia del titolo suddetto ad un evento: la
presentazione di una istanza di proroga del termine di
inizio e fine dei lavori;
d) come condivisibilmente colto dal Tar, infatti, la
giurisprudenza nettamente prevalente di questo Consiglio di
Stato, dalla quale il Collegio non ritiene di doversi
discostare, sottolinea che, ai sensi dell'art. 15, comma 2,
del D.P.R. n. 380 del 2001 ("Il termine per l'inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del
titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve
essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei
lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto
per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla
scadenza, venga richiesta una proroga [...]"), l'effetto
decadenziale si riconnette al mero dato fattuale del mancato
avvio dei lavori entro il termine annuale fissato dalla
legge; in altri termini "la decadenza del permesso di
costruire costituisce effetto automatico del trascorrere del
tempo, che per l'inizio dei lavori non può essere superiore
ad un anno dal rilascio del titolo abilitativo" (Cons.
Stato, sez. IV, 11.04.2014, n. 1747; in tal senso, ex
multis, anche Cons. St., sez. III, 04.04.2013, n. 1870:
"la pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha
carattere strettamente vincolato all'accertamento del
mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini
stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre
anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed
ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del
permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi
attuazione". Decadenza che opera di diritto, pertanto
non è richiesta l'adozione di un provvedimento
amministrativo espresso -Cons. St., sez. III, 04.04.2013, n.
1870; nonché, TAR Sardegna, sez. II, 04.05.2015, n. 741);
e) la giurisprudenza amministrativa ha del pari superato
pregresse incertezza giurisprudenziali stabilendo che "il
termine di durata del permesso edilizio non può mai
intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario
sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa
ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero
l'insorgenza di una causa di forza maggiore (Consiglio di
Stato sez. IV, n. 974/2012, cit.)" (Cons. St., sez. III,
04.04.2013, n. 1870);
f) di ciò il Legislatore ha appunto preso atto inserendo
nel corpo dell’art. 15 del d.P.R. n. 380/2001 un comma
2-bis, ratione temporis vigente ed applicabile alla
fattispecie per cui è causa laddove si stabilisce che: “La
proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori
è comunque accordata qualora i lavori non possano essere
iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o
dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate”;
g) pertanto, l'assunto della ricorrente sulla natura di
factum principis della controversia giudiziaria è
destituita di fondamento (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.07.2017 n. 3371 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
illegittima la proroga del termine di inizio e/o fine lavori
motivata per "sopravvenute difficoltà economiche
familiari non prevedibili al momento del rilascio del titolo
autorizzativo".
In base all'art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, i termini entro
i quali i lavori si devono iniziare o concludere possono
esser prorogati con provvedimento motivato solo per fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso
di costruire o in considerazione della mole dell'opera da
realizzare o di particolari sue caratteristiche
tecnico-costruttive o di difficoltà tecnico-esecutive emerse
successivamente all'inizio dei lavori.
Nel caso di specie la proroga del permesso di costruire è
stata richiesta e concessa in relazione a "sopravvenute
difficoltà economiche familiari non prevedibili al momento
del rilascio del titolo autorizzativo".
Si tratta all'evidenza di fattispecie non prevista dal
citato articolo 15 del d.p.r. n. 380 del 2001, con
conseguente illegittimità del provvedimento impugnato.
--------------
... per l'annullamento, del permesso di costruire n. P12/14,
prot. n. 1331 del 26.03.2015, rilasciato dal Comune di
San Giorgio delle Pertiche alla signora Or.Pa., con
il quale è stato autorizzato un intervento di "ricostruzione
edificio parzialmente demolito in zona A sull'immobile
distinto al N.C.T. Foglio 17, mappale 1161"; del provvedimento prot. n. 3239 del 15.03.2016, con il quale il Comune di
San Giorgio delle Pertiche ha accordato alla signora Pa.
una proroga di due anni (fino al 26.03.2018) per l'inizio
dei lavori;
...
In base all'art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, i termini entro
i quali i lavori si devono iniziare o concludere possono
esser prorogati con provvedimento motivato solo per fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso
di costruire o in considerazione della mole dell'opera da
realizzare o di particolari sue caratteristiche
tecnico-costruttive o di difficoltà tecnico-esecutive emerse
successivamente all'inizio dei lavori.
Nel caso di specie la proroga del permesso di costruire è
stata richiesta e concessa in relazione a "sopravvenute
difficoltà economiche familiari non prevedibili al momento
del rilascio del titolo autorizzativo".
Si tratta all'evidenza di fattispecie non prevista dal
citato articolo 15 del d.p.r. n. 380 del 2001, con
conseguente illegittimità del provvedimento impugnato (per
l'illegittimità di provvedimenti di proroga motivati in
relazione a situazioni di crisi economica vedasi Consiglio
di Stato IV n. 1520 del 2016).
L'annullamento, in accoglimento del ricorso, del
provvedimento con cui è stato prorogato il termine di inizio
dei lavori, determina l'improcedibilità del ricorso nella
parte in cui è stato impugnato il permesso di costruire,
rilasciato in data 26.03.2015, il cui termine di inizio
lavori è stato prorogato.
Infatti i lavori, non essendo stati iniziati entro l'anno
dal rilascio del permesso di costruire originario ossia
entro l'anno a decorrere dal 26.03.2015, non possono più
essere eseguiti
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 05.07.2017 n. 652 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Circa l'invocazione della sussistenza di “cause
di forza maggiore, del tutto indipendenti dalla volontà
della Lottizzante, idonei a determinare la sospensione dei
termini della lottizzazione” e quindi la sussistenza
dell’“oggettiva impossibilità di realizzare l’intervento
costruttivo per factum principis”, che “pacificamente,
impedisce la decadenza del piano di lottizzazione”, ritiene
il collegio di dovere ribadire i principi giurisprudenziali
in materia affermati da questo Tribunale e confermati dal
Consiglio di Stato, secondo cui:
- “Nel sistema vigente il piano di lottizzazione ha durata
decennale sicché, decorso infruttuosamente detto termine, lo
strumento attuativo perde efficacia”.
- “È irrilevante ai fini delle conseguenze connesse alla scadenza
del termine decennale di efficacia del piano di
lottizzazione la circostanza che la mancata attuazione del
piano sia dovuta alla p.a. o al privato lottizzante”.
- “La declaratoria di decadenza del piano di lottizzazione, per la
mancata esecuzione nel decennio decorrente dalla stipula
della convenzione delle opere di urbanizzazione, ha natura
vincolata, configurandosi come atto ricognitivo di un dato
storico costituito dalla scadenza del termine di efficacia
della convenzione con effetto automatico contemplato dalla
legge”.
---------------
Per quanto concerne inoltre la rilevanza dell’insorgenza di
cause di forza maggiore e quindi della rilevanza del c.d.
factum principis, ritiene il collegio di dovere ribadire
l’indirizzo giurisprudenziale affermato dal CdS -principio
affermato in materia di sospensione del termine di durata
del titolo edilizio, ma da ritenersi valido anche
relativamente alla fattispecie in esame di sospensione del
termine di validità della lottizzazione- secondo cui “il
termine di durata del permesso edilizio non può mai
intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario
sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo [rectius abilitativo], che
accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e
solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un
factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza
maggiore.
---------------
La questione rimane nei sensi sopra indicati anche a seguito
della nuova formulazione dell'art. 15, comma 2 e 2-bis, del
D.P.R. n. 380 del 2001, posto che la giurisprudenza anche
successiva alla novella contenuta nell’art. 17, comma 1,
lett. f), del D.L. 12/09/2014 n. 133, convertito nella Legge
n. 164 del 2014, è nel senso di ritenere comunque necessaria
la presentazione di una formale istanza di proroga.
Deve infatti ritenersi che, secondo un canone di ordinaria
diligenza, sia onere del soggetto che invoca la sussistenza
di cause di forza maggiore e quindi l’oggettiva
impossibilità di realizzare l’intervento costruttivo per
factum principis, di attivarsi nel termine di validità o del
titolo edilizio o, come nel caso di specie, del piano di
lottizzazione, al fine di ottenere dall’amministrazione una
proroga, sottoponendo al vaglio dell’amministrazione
medesima la ritenuta sussistenza delle predette cause di
forza maggiore, per le valutazioni e i provvedimenti
(eventuale provvedimento di proroga) di competenza
dell’amministrazione medesima.
---------------
Il ricorso è
infondato.
Il provvedimento impugnato si fonda -tra l’altro-
sull’intervenuta “perdita di efficacia della
lottizzazione convenzionata per scadenza del termine
decennale”.
Ritiene il collegio che tale rilievo dell’Amministrazione
comunale risulti fondato.
Considerato che il piano di lottizzazione in questione è
stato convenzionato in data 27.04.1989, si rileva che
l’istanza della ricorrente oggetto del provvedimento
impugnato, risulta essere stata proposta in data 28.11.2014
e cioè a distanza di oltre 15 anni e mezzo dalla data di
scadenza -in via normale- del piano di lottizzazione
medesimo, da individuarsi -si ribadisce in via normale- nel
10º anno dalla data in cui la lottizzazione è stata
convenzionata (nel caso di specie 27.04.1989).
La ricorrente, a tale riguardo, invoca la sussistenza di “cause
di forza maggiore, del tutto indipendenti dalla volontà
della Lottizzante, idonei a determinare la sospensione dei
termini della lottizzazione” e quindi la sussistenza
dell’“oggettiva impossibilità di realizzare l’intervento
costruttivo per factum principis”, che “pacificamente,
impedisce la decadenza del piano di lottizzazione”.
Relativamente al sopra esposto assunto della ricorrente,
ritiene il collegio di dovere ribadire i principi
giurisprudenziali in materia affermati da questo Tribunale e
confermati dal Consiglio di Stato, secondo cui:
- “Nel sistema vigente il piano di lottizzazione ha
durata decennale sicché, decorso infruttuosamente detto
termine, lo strumento attuativo perde efficacia”
(Consiglio di Stato sez. IV 27.04.2015 n. 2109 che conferma
TAR Sardegna, sez. II, n. 553 del 2013).
- “È irrilevante ai fini delle conseguenze connesse alla
scadenza del termine decennale di efficacia del piano di
lottizzazione la circostanza che la mancata attuazione del
piano sia dovuta alla p.a. o al privato lottizzante”
(Consiglio di Stato sez. IV 27.04.2015 n. 2109 che conferma
TAR Sardegna, Cagliari, Sez. II, n. 553/2013).
- “La declaratoria di decadenza del piano di
lottizzazione, per la mancata esecuzione nel decennio
decorrente dalla stipula della convenzione delle opere di
urbanizzazione, ha natura vincolata, configurandosi come
atto ricognitivo di un dato storico costituito dalla
scadenza del termine di efficacia della convenzione con
effetto automatico contemplato dalla legge” (Consiglio
di Stato sez. IV 27.04.2015 n. 2109 che conferma TAR
Sardegna, Cagliari, Sez. II, n. 553/2013).
Per quanto concerne inoltre la rilevanza dell’insorgenza di
cause di forza maggiore e quindi della rilevanza del c.d.
factum principis, ritiene il collegio di dovere ribadire
l’indirizzo giurisprudenziale affermato nella sentenza del
Consiglio di Stato, sez. III, 04/04/2013 n. 1870, recepito e
ribadito da questo tribunale con la sentenza TAR Sardegna,
sez. II, 08.11.2016 n. 848 -principio affermato in materia
di sospensione del termine di durata del titolo edilizio, ma
da ritenersi valido anche relativamente alla fattispecie in
esame di sospensione del termine di validità della
lottizzazione- secondo cui “il termine di durata del
permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente
sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine,
la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve
comunque seguire un provvedimento da parte della stessa
Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo [rectius
abilitativo], che accerti l'impossibilità del rispetto del
termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi
sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una
causa di forza maggiore (Consiglio di Stato sez. IV, n.
974/2012, cit.)”.
Si confronti altresì al riguardo: Consiglio di Stato sez. IV
18.05.2012 n. 2915; TAR Valle d'Aosta, 05.12.2016 n. 59; TAR
Liguria sez. I, 31.08.2016 n. 922; TAR Lombardia–Milano,
sez. II, 04.08.2016 n. 1564.
La questione rimane nei sensi sopra indicati anche a seguito
della nuova formulazione dell'art. 15, comma 2 e 2-bis, del
D.P.R. n. 380 del 2001, posto che la giurisprudenza anche
successiva alla novella contenuta nell’art. 17, comma 1,
lett. f), del D.L. 12/09/2014 n. 133, convertito nella Legge
n. 164 del 2014, è nel senso di ritenere comunque necessaria
la presentazione di una formale istanza di proroga (TAR
Valle d'Aosta, 05.12.2016 n. 59; TAR Veneto n. 375 del
2016).
Deve infatti ritenersi che, secondo un canone di ordinaria
diligenza, sia onere del soggetto che invoca la sussistenza
di cause di forza maggiore e quindi l’oggettiva
impossibilità di realizzare l’intervento costruttivo per
factum principis, di attivarsi nel termine di validità o
del titolo edilizio o, come nel caso di specie, del piano di
lottizzazione, al fine di ottenere dall’amministrazione una
proroga, sottoponendo al vaglio dell’amministrazione
medesima la ritenuta sussistenza delle predette cause di
forza maggiore, per le valutazioni e i provvedimenti
(eventuale provvedimento di proroga) di competenza
dell’amministrazione medesima.
Non risultando essere stati adottati formali provvedimenti
di proroga del termine decennale di efficacia del piano di
lottizzazione (risulta prodotta in giudizio solamente
un’istanza del 15.04.1999 di proroga della convenzione
stipulata in data 27.04.1989, non firmata e priva di
protocollo di ricevimento del Comune, alla quale non risulta
avere fatto seguito un provvedimento di proroga da parte
dell’Amministrazione comunale), non può che prendersi atto
che il termine decennale di efficacia del piano di
lottizzazione in questione risultava ampiamente scaduto di
oltre 15 anni al momento della presentazione dell’istanza in
questione concernente il nuovo progetto di rimodulazione
dell’intervento collocato oltre i 300 m dalla linea di
battigia.
Infondata risulta infine la censura, avanzata in via
subordinata, secondo cui l’articolo 13 della legge regionale
n. 4/2009 (norma regionale in forza della quale è stata
presentata l’istanza in esame) non richiederebbe, quale
presupposto di assentibilità, la sussistenza di una
convenzione efficace, limitandosi a prevedere che “possono
essere realizzati gli interventi previsti dagli strumenti
attuativi già approvati e convenzionati, a condizione che le
relative opere di urbanizzazione siano state legittimamente
avviate prima dell’approvazione del Piano paesaggistico
regionale”.
Non può essere condiviso l’assunto della ricorrente secondo
cui la formulazione della norma in questione consentirebbe
l’esame e l’accoglimento delle istanze presentate ai sensi
della suddetta disposizione regionale “anche
indipendentemente dalla sussistenza di una lottizzazione
ancora efficace”.
Deve infatti ritenersi che il disposto della norma in
questione secondo cui “possono essere realizzati gli
interventi previsti dagli strumenti attuativi già approvati
e convenzionati….. omissis…”, debba essere
ragionevolmente interpretato -contrariamente a quanto
sostenuto dalla ricorrente- nel senso della sussistenza di
una lottizzazione ancora efficace.
Per le suesposte considerazioni, disattese le contrarie
argomentazioni della parte ricorrente, stante l'infondatezza
delle censure avanzate, il ricorso deve essere respinto (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 23.05.2017 n. 352 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell'art. 15, comma 2, t.u.
06.06.2001 n. 380 la pronuncia di decadenza del permesso di
costruire è espressione di un potere strettamente vincolato;
ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno
degli effetti del titolo edilizio in conseguenza
dell'inerzia del titolare ovvero della sopravvenienza di un
nuovo piano regolatore; ha quindi decorrenza "ex tunc".
Inoltre, il termine di durata del permesso edilizio non può
mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario
sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa
ritenersi sopravvenuto un "factum principis" ovvero
l'insorgenza di una causa di forza maggiore".
Né a conclusioni diverse conduce, poi, la previsione del 4
comma, del medesimo articolo 15, posto che “l’adozione dei
provvedimenti di decadenza per mancata ultimazione dei
lavori relativi a licenza edilizia che li ponga in contrasto
con lo strumento urbanistico sopravvenuto costituisce
attività dovuta per il sindaco".
---------------
... per l'annullamento del provvedimento 02.12.2015, prot.
n. 6695/2015 avente ad oggetto “diniego alla richiesta di
proroga della concessione edilizia n. 341/01".
...
Con ricorso notificato il 03.02.2016, tempestivamente
depositato, i deducenti hanno impugnato l’atto 02.12.2015,
n. 6695 con cui il Responsabile del servizio Edilizia
Privata del comune di Minturno ha respinto la richiesta
proroga concessione edilizia n. 341/01, dai medesimi
presentata in data 26.03.2015, sul rilievo che: …“il
titolo abilitativo rilasciato nel 2001, riguardante la
realizzazione di una pertinenza agricola,…i cui termini di
validità sono ampliamenti scaduti”; ed ancora: …”l’istanza
non può essere accolta in quanto l’intervento edilizio non è
più conforme alla normativa sopravvenuta prevista dalla L.r.
38/1999, entrata in vigore nel 2003”.
...
Il ricorso è infondato.
In ordine alla denunciata violazione delle garanzie
procedimentali (art. 10-bis della L. 241/1990) va rilevato
che –anche a prescindere dal rilievo che l’articolo 10-bis
della legge n. 241 è disposizione che ha lo scopo di
assicurare la partecipazione al procedimento del privato e
il contraddittorio di quest’ultimo con l’amministrazione-
nella fattispecie il contraddittorio inequivocabilmente vi è
stato come dimostra la documentazione allegata al ricorso;
sicché essi hanno avuto la possibilità di interloquire al
riguardo (e di fatto hanno interloquito) con
l’amministrazione.
In ordine ai profili motivazionali, va invece osservato che
l’atto del comune –benché formulato in modo poco felice–
reca una motivazione che risulta giuridicamente corretta.
La proroga rilasciata il 16.09.2008, prot. 17986 era stata
invero subordinata ai pareri ambientali, da prodursi entro
il termine di trentasei mesi dal rilascio della stessa, con
l’espressa avvertenza che, decorso tale termine, “il
permesso doveva intendersi decaduto di dritto”; ciò di
per sé giustifica il diniego di proroga.
Rafforza detta conclusione la previsione dell’articolo 15
D.P.R. 06.06.2001, n. 380. La disposizione del secondo comma
stabilisce, in particolare, che la proroga del permesso di
costruire “può essere accordata, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del
titolare del permesso, oppure in considerazione della mole
dell'opera da realizzare, delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà
tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei
lavori”; il comma 2-bis, invocato dalla difesa dei
ricorrenti per supportare l’illegittimità del diniego
impugnato, non sembra, del pari, conferente.
Stabilisce, in realtà, detta disposizione che “la proroga
dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è
comunque accordata qualora i lavori non possano essere
iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o
dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate”.
Come si vede nessuna delle suesposte previsioni normative
reca riferimenti ai ritardi imputabili all’interessato,
tanto più che nella vista proroga accordata nel 2008 era
stato espressamente ribadito che la decorrenza del
prescritto termine avrebbe comportato la decadenza di
diritto del permesso di costruire.
Sul punto la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che “ai
sensi dell'art. 15, comma 2, t.u. 06.06.2001 n. 380 la
pronuncia di decadenza del permesso di costruire è
espressione di un potere strettamente vincolato; ha una
natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli
effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del
titolare ovvero della sopravvenienza di un nuovo piano
regolatore; ha quindi decorrenza "ex tunc"; inoltre, il
termine di durata del permesso edilizio non può mai
intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario
sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa
ritenersi sopravvenuto un "factum principis" ovvero
l'insorgenza di una causa di forza maggiore" (Tar
Veneto, sez. II, n. 2346 del 2005).
Né a conclusioni diverse conduce, poi, la previsione del 4
comma, del medesimo articolo 15, anch’essa espressamente
invocata dalla parte ricorrente, posto che “l’adozione
dei provvedimenti di decadenza per mancata ultimazione dei
lavori relativi a licenza edilizia che li ponga in contrasto
con lo strumento urbanistico sopravvenuto costituisce
attività dovuta per il sindaco”… (Tar Veneto, sez. II,
n. 2346 del 2005).
In conclusione il ricorso deve essere respinto (TAR
Lazio-Latina,
sentenza 12.12.2016 n. 794 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla legittima condotta del comune che, in assenza di
apposita formale istanza del soggetto titolare della
concessione, si è limitato a prendere atto dell’intervenuta
decadenza del titolo -decadenza i cui effetti si sono
prodotti quantunque in assenza di provvedimento espresso- ed
a diffidare la ricorrente dall’eseguire i lavori.
La giurisprudenza più recente ritiene che non abbia pregio
l’assunto che il termine debba ritenersi automaticamente
sospeso in presenza di una causa di forza maggiore, quale
nel caso il sequestro penale dell’area interessata
dall’intervento, atteso che non è ipotizzabile nell’attuale
sistema giuridico la sospensione automatica del titolo
edilizio, essendo sempre necessaria, al fine di ottenere la
sospensione, la presentazione di una formale istanza di
proroga, cui deve seguire un provvedimento da parte della
stessa amministrazione che ha rilasciato il titolo edilizio
e che accerti l’impossibilità del rispetto del termine ab
origine fissato in relazione al factum principis o ad una
causa di forza maggiore.
Nel caso di specie, peraltro, la questione non potrebbe
essere suscettibile di apprezzamento favorevole neppure
sulla base della nuova formulazione dell’art. 15 del d.P.R.
n. 380 del 2001.
La giurisprudenza formatasi successivamente alla novella
contenuta nella l. n. 164 del 2014 (art. 17, comma 1, lett.
f), e dai cui approdi il Collegio non ravvisa ragioni per
discostarsi, è nel senso di ritenere che è comunque
necessaria «la presentazione di una formale istanza di
proroga».
---------------
Ai fini di una migliore comprensione delle questioni
sottoposte all’attenzione del Tribunale, vanno succintamente
ricostruite le fasi salienti della vicenda procedimentale
nella quale si è innestata la presente controversia.
La ricorrente società ha esposto di aver chiesto ed
ottenuto, in data 08.02.2002 la concessione edilizia per la
costruzione di un fabbricato con destinazione alberghiera in
località Champoluc e che, secondo quanto indicato nel
medesimo provvedimento, il termine di conclusione lavori era
originariamente previsto per il 29.05.2007 per poi essere
successivamente prorogato al 28.12.2008.
La concessione edilizia del 2002 è stata rinnovata nel 2009
con atto n. 24/2009, con conseguente fissazione di nuovo
termine per l’inizio dei lavori fissato al 01.01.2010 e di
un nuovo termine di conclusione stabilito nei cinque anni
successivi.
In data 15.01.2010 la ricorrente ha chiesto il rilascio di
una concessione edilizia in sanatoria «per opere in
difformità unitamente a variante per cambio d’uso da albergo
a residenza turistico-alberghiera» e tale istanza,
previa adozione di apposita diffida alla rimozione delle
opere, è stata rigettata con provvedimento del 24.02.2011,
cui ha fatto seguito il sequestro dell’intero immobile (dal
14.04.2011 al 25.06.2015) e conseguente ordinanza di
demolizione.
Ottenuto l’annullamento giurisdizionale del diniego di
concessione in sanatoria e conseguito il relativo titolo
abilitativo (nonché il dissequestro dell’immobile), la
ricorrente ha, tra l’altro, comunicato il completamento dei
lavori già previsti nella concessione edilizia rilasciata
nel 2009, siccome rinnovata.
A tale richiesta il Comune ha risposto con l’impugnato
provvedimento di diffida dall’eseguire i medesimi lavori sul
presupposto che, per la realizzazione degli stessi,
occorrerebbe un nuovo titolo abilitativo e ciò perché i
termini originari entro i quali gli stessi avrebbero dovuto
essere realizzati sarebbero spirati. Tale tesi è stata
ritenuta erronea da parte della ricorrente la quale sostiene
che lo spatium temporale di cui trattasi debba essere
considerato al netto del periodo in cui l’immobile è rimasto
sequestrato.
Sul piano penale la vicenda contenziosa si è conclusa con
una condanna del responsabile della ditta «Le re.»
per gli abusi edilizi commessi con riferimento al complesso
alberghiero di cui trattasi.
Così definito il perimetro fattuale della controversia, con
l’impugnato provvedimento il Comune ha preso atto
dell’intervenuta decadenza del titolo abilittivo. Il
carattere vincolato di tale provvedimento non risente
dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento sul
rilievo che nessun utile apporto partecipativo era nel caso
di specie astrattamente ipotizzabile (e, per il vero, parte
ricorrente non ha qui offerto spunti in senso contrario).
Anche sul piano della motivazione, la ridetta natura
vincolata del provvedimento non imponeva l’esplicazione di
ulteriori considerazioni circa la necessita di dichiarare la
decadenza di cui trattasi.
Nel merito della scelta operata, la giurisprudenza più
recente (cfr. Cons. St. n. 5378 del 2014) ritiene che non
abbia pregio l’assunto che il termine debba ritenersi
automaticamente sospeso in presenza di una causa di forza
maggiore, quale nel caso il sequestro penale dell’area
interessata dall’intervento, atteso che non è ipotizzabile
nell’attuale sistema giuridico la sospensione automatica del
titolo edilizio, essendo sempre necessaria, al fine di
ottenere la sospensione, la presentazione di una formale
istanza di proroga, cui deve seguire un provvedimento da
parte della stessa amministrazione che ha rilasciato il
titolo edilizio e che accerti l’impossibilità del rispetto
del termine ab origine fissato in relazione al
factum principis o ad una causa di forza maggiore (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 18.05.2012, n. 2915).
Nel caso di specie, peraltro, la questione non potrebbe
essere suscettibile di apprezzamento favorevole neppure
sulla base della nuova formulazione dell’art. 15 del d.P.R.
n. 380 del 2001.
La giurisprudenza formatasi successivamente alla novella
contenuta nella l. n. 164 del 2014 (art. 17, comma 1, lett.
f), e dai cui approdi il Collegio non ravvisa ragioni per
discostarsi, è nel senso di ritenere che è comunque
necessaria «la presentazione di una formale istanza di
proroga» (TAR Veneto, n. 375 del 2016).
Calando i su espressi principi al caso di specie, va
ritenuta immune da vizi la condotta dell’Amministrazione la
quale, in assenza di apposita formale istanza del soggetto
titolare della concessione, si è limitata a prendere atto
dell’intervenuta decadenza del titolo -decadenza i cui
effetti si sono prodotti quantunque in assenza di
provvedimento espresso- ed a diffidare la ricorrente
dall’eseguire i lavori.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso va
rigettato (TAR Valle d'Aosta,
sentenza 05.12.2016 n. 59 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
mera attività di indagine geotecnica non può costituire
"inizio dei lavori" (al pari, peraltro, degli sbancamenti di
terreno poi accertati), occorrendo a tal fine la compiuta
organizzazione del cantiere e la presenza di altri indizi
idonei a confermare l'effettivo intendimento del titolare
del permesso di costruire di realizzare l'opera assentita.
---------------
Invero, ai sensi dell'art. 15, comma
2, d.P.R. n. 380 del 2001, "Il termine per l'inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del
titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve
essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei
lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto
per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla
scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere
accordata, con provvedimento motivato, per fatti
sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del
permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da
realizzare, delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive
emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando
si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia
previsto in più esercizi finanziari".
Orbene, dalla lettera della norma -per come costantemente
interpretata da questa Corte- deriva che il
decorso del termine di ultimazione dei lavori comporta, se
non prorogato, la decadenza di diritto del permesso di
costruire per la parte ancora non eseguita, con conseguente
configurabilità del reato previsto dall'art. 44, lett. b),
del citato decreto, in caso di loro prosecuzione oltre detto
termine.
---------------
4. Ciò premesso, il ricorso risulta infondato.
Ritiene la Corte che la questione centrale della presente
vicenda afferisca all'avvenuto inizio delle opere, assentite
dalla concessione edilizia n. 107 del 12/04/2012, entro il
termine annuale fissato nel provvedimento medesimo, ed agli
effetti -automatici o meno- della decadenza dal
provvedimento stesso, in caso di esito negativo della prima
verifica; orbene, con riguardo ad entrambi i profili la
motivazione redatta dal Tribunale risulta tutt'altro che
assente o meramente apparente, emergendo piuttosto come
congrua, fondata su oggettivi riscontri investigativi e
privi di qualsivoglia illogicità. Come tale, non
censurabile.
In particolare, e richiamata la pacifica scansione
cronologica degli eventi, l'ordinanza ha evidenziato che:
1) la comunicazione di inizio lavori era stata inviata
dalla "Pe.To. s.r.l." al Comune di Siracusa
l'11/04/2013 (ultimo giorno utile, a fronte di una
concessione rilasciata il 12/04/2012);
2) il 02/12/2014 -ad avvenuta voltura del titolo da parte
della "Re. s.r.l.", della quale il ricorrente è
legale rappresentante- la Polizia municipale aveva accertato
che non vi era alcuna attività lavorativa in corso,
verificando soltanto «un terreno totalmente ricoperto da
vegetazione autoctona, l'inesistenza in situ di opere di
natura edilizia, scavi, sbancamenti, né tantomeno la
presenza delle normali infrastrutture mobili che
caratterizzano l'insediamento di un cantiere edile»;
3) il successivo 04/02/2015, un ulteriore sopralluogo
aveva riscontrato le medesime circostanze;
4) soltanto in data 03/03/2015, erano risultati apposti i
cartelli di cantiere, con esecuzione di lavori di
sbancamento e terrazzamento del costone.
5. In forza di tali considerazioni -che questo Collegio non
è autorizzato a contestare, attenendo a profili fattuali,
peraltro consacrati in atti pubblici- il Tribunale del
riesame ha quindi concluso che le opere da ultimo accertate
erano state poste in essere ben oltre il termine di un anno
dal rilascio della concessione edilizia e, pertanto, non più
assentite, integravano il fumus del reato di cui
all'art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001
(atteso il carattere vincolato dell'area).
Quel che, peraltro, priva di rilievo il primo motivo di
gravame, con il quale si assume il difetto di motivazione
con riguardo ai documenti prodotti dalla difesa in sede
camerale; osserva la Corte, infatti, che la rilevanza degli
stessi è stata implicitamente disattesa dalle affermazioni
che precedono, poiché giammai idonei -quantomeno nella
presente fase cautelare- a superare gli esiti di
accertamenti compiuti da pubblici ufficiali, che avevano
riferito nei termini suddetti.
E fermo restando, peraltro, che -per costante indirizzo di
legittimità, qui da ribadire- la mera
attività di indagine geotecnica (di cui alla documentazione
allegata), quand'anche avvenuta, non potrebbe comunque
costituire "inizio dei lavori" nell'ottica in esame
(al pari, peraltro, degli sbancamenti di terreno poi
accertati), occorrendo a tal fine la compiuta organizzazione
del cantiere e la presenza di altri indizi idonei a
confermare l'effettivo intendimento del titolare del
permesso di costruire di realizzare l'opera assentita
(per tutte, Sez. 3, n. 7114 del 27/01/2010, Viola, Rv.
246220: in motivazione, la Corte ha precisato che detti
indizi consistono nell'impianto del cantiere,
nell'innalzamento di elementi portanti, nell'elevazione di
muri e nell'esecuzione di scavi coordinati al gettito delle
fondazioni del costruendo edificio).
6. Con riguardo, poi, al profilo della decadenza dal titolo
abilitativo, strettamente connesso al precedente, rileva il
Collegio che la motivazione dell'ordinanza risulta ancora
congrua e tutt'altro che assente o meramente apparente.
Ed invero, ai sensi dell'art. 15, comma 2,
d.P.R. n. 380 del 2001, "Il termine per l'inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del
titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve
essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei
lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto
per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla
scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere
accordata, con provvedimento motivato, per fatti
sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del
permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da
realizzare, delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive
emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando
si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia
previsto in più esercizi finanziari".
Orbene, dalla lettera della norma -per come costantemente
interpretata da questa Corte- deriva che il
decorso del termine di ultimazione dei lavori comporta, se
non prorogato, la decadenza di diritto del permesso di
costruire per la parte ancora non eseguita, con conseguente
configurabilità del reato previsto dall'art. 44, lett. b),
del citato decreto, in caso di loro prosecuzione oltre detto
termine (Sez. 3,
n. 17971 dell'08/04/2010, Garofalo, Rv. 247161: in
motivazione, peraltro, la Corte ha precisato che,
diversamente, un provvedimento espresso e motivato
dell'Autorità amministrativa è richiesto per la proroga del
termine.
Negli stessi termini, tra le altre, Sez. 3, n. 12316 del
21/02/2007, Minciarelli, Rv. 236336). E senza che, al
riguardo, possa rilevare il diverso indirizzo che il
Consiglio di Stato ha espresso con la decisione n. 4823 del
22/10/2015, richiamata nel gravame, peraltro non pacifico
neppure in seno al medesimo Consesso; ed invero, nella
motivazione della stessa (resa, all'evidenza, in un'ottica
diversa da quella in esame), si afferma -pur aderendo
all'indirizzo citato- che il provvedimento di decadenza è «meramente
dichiarativo e con efficacia ex tunc, qualunque sia l'epoca
in cui è stato adottato e quindi anche se intervenuto molto
tempo dopo che i termini in questione erano inutilmente
decorsi, e ancorché i suoi effetti retroagiscano al momento
dell'evento estintivo».
7. In forza di quanto precede, dunque, il provvedimento
impugnato risulta sostenuto da adeguata motivazione con
riferimento al contestato art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R.
n. 380 del 2001, sì da non poter esser censurato nei termini
invocati; emerge sufficiente, infatti, il fumus di
opere eseguite in difetto di titolo edilizio, poiché già
decaduto. E senza che, pertanto, assuma alcun rilievo la
doglianza -invero astrattamente fondata- con la quale si
contesta l'asserita illegittimità della concessione in esame
in forza del rapporto (individuato dal Tribunale) tra le
opere in oggetto, la loro destinazione ad esser fruite dalla
collettività e la balneabilità del mare antistante;
trattasi, infatti, di un nesso che pare sfuggire ai canoni
della logica, ma che, proprio per ciò, non integra una
violazione di legge contestabile in sede di legittimità.
8. Di seguito, con particolare riguardo alla condotta ex
art. 181, d.Lgs. n. 42 del 2004 (in ordine alla quale -alla
luce della recente sentenza della Corte costituzionale n. 56
del 23/03/2016- dovrà peraltro esser verificata la
configurabilità del primo o del secondo comma della norma,
con ogni conseguente effetto), osserva il Collegio che
l'ordinanza ne ha riconosciuto il fumus ancora in
ragione di una risultanza obiettiva, quale il vincolo
paesaggistico gravante sull'area in oggetto; ciò, giusta
decreto del competente assessorato a data 30/09/1998 (che
aveva dichiarato il notevole interesse pubblico della zona)
e Piano paesistico del 01.02.2012, che aveva inserito il
medesimo territorio sotto un livello 3 di tutela.
In ragione del quale -giusta valutazione operata dal
Tribunale, non sindacabile in questa sede poiché attinente a
mero fatto- gli interventi quale quello riscontrato non
possono esser compiuti, in quanto esclusi ai sensi del punto
13g dello stesso Piano. E senza che, da parte di questa
Corte, possa accogliersi il motivo proposto al riguardo dal
Serra, che imporrebbe un esame di merito della tipologia
dell'opera de qua ed il suo inserimento -o meno- tra le
previsioni del punto 13g citato.
9. Del pari, con riguardo alla medesima contestazione,
osserva poi il Collegio che l'ordinanza -ancora con solido
percorso motivazionale- ha confutato la tesi per la quale
l'autorizzazione paesaggistica, poiché rilasciata prima
dell'approvazione del Piano, sarebbe risultata comunque
valida per i successivi cinque anni, giusta art. 48 di
quest'ultimo; ed invero, come si legge nell'ordinanza, al
maturare del quinquennio dal 04/06/2009 nessun lavoro aveva
ancora avuto inizio sull'area in esame, come da plurimi
accertamenti compiuti, sì che i successivi sbancamenti non
erano risultati "coperti" da alcun provvedimento al
riguardo.
Né, peraltro, può esser invocato l'art.
146, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004, a mente del quale "Il
termine di efficacia dell'autorizzazione decorre dal giorno
in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente
necessario per la realizzazione dell'intervento, a meno che
il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente
efficacia di quest'ultimo non sia dipeso da circostanze
imputabili all'interessato"; ed invero, questa
disposizione "lega" cronologicamente i due
provvedimenti sul presupposto dall'effettiva vigenza di
quello urbanistico,
da escludere nel caso di specie -alla data di esecuzione
dello sbancamento- in ragione della maturata decadenza, come
ben riconosciuta dal Tribunale del riesame (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.08.2016 n. 35243). |
EDILIZIA PRIVATA:
Proroga straordinaria una tantum ex lege 98/2013.
La proroga dei titoli edilizi disposta dall’articolo 30,
commi 3 e 4, del decreto legge 21.06.2013, n. 69,
convertito, con modificazioni, dalla legge 09.08.2013, n. 98
presenta carattere eccezionale e derogatorio rispetto al
sistema, poiché la durata limitata nel tempo dei titoli
edificatori risponde a esigenze di certezza e di tutela
dell’interesse pubblico e della stessa potestà
pianificatoria dei comuni.
Esigenze, queste, che sarebbero tutte frustrate dalla
previsione della possibilità del protrarsi a tempo
indeterminato delle attività comportanti la trasformazione
del territorio. L’operatività del nuovo istituto è pertanto
–coerentemente– circoscritta dallo stesso legislatore a un
periodo determinato, e le relative previsioni sono valevoli
una tantum.
---------------
La proroga del termine dei lavori c.d. ordinaria, prevista
dall’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, non è
applicabile alla denuncia di inizio attività, per la quale è
possibile soltanto –eccezionalmente, e in virtù di una
espressa previsione di legge– la proroga prevista
dall’articolo 30 del decreto legge n. 69 del 2001.
Su questo punto, l’improrogabilità dei termini per
l’ultimazione dei lavori oggetto di d.i.a. –beninteso,
ordinariamente, e al di fuori dell’ambito di applicazione
dell’istituto introdotto una tantum dal decreto legge n. 69
del 2013– costituisce un tratto caratterizzante
dell’istituto della denuncia di inizio di attività,
chiaramente delineato dalla disciplina normativa di fonte
statale e regionale, come del resto affermato dalla
giurisprudenza.
Al riguardo, è sufficiente tenere presente che:
- l’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, nel
prevedere la proroga “ordinaria” dei termini dei lavori, si
riferisce espressamente al solo permesso di costruire;
- l’articolo 23, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 380 del
2001, dopo aver previsto che la denuncia di inizio attività
sia “sottoposta al termine massimo di efficacia pari a tre
anni” (così il primo periodo), stabilisce esplicitamente che
“La realizzazione della parte non ultimata dell'intervento è
subordinata a nuova denuncia” (così il secondo periodo);
- l’articolo 42, comma 6, della legge regionale n. 12 del
2005 parimenti dispone che “I lavori oggetto della denuncia
di inizio attività devono essere iniziati entro un anno
dalla data di efficacia della denuncia stessa ed ultimati
entro tre anni dall'inizio dei lavori. La realizzazione
della parte di intervento non ultimata nel predetto termine
è subordinata a nuova denuncia (...)”.
---------------
Per altro verso, la non prorogabilità, ordinariamente, dei
termini di ultimazione dei lavori oggetto di denuncia di
inizio attività è suffragata anche da un ulteriore argomento
a contrario, evincibile proprio dalla previsione
dell’articolo 30, comma 4, del decreto legge n. 69 del 2013.
Il legislatore ha infatti evidentemente reputato
indispensabile introdurre una previsione ad hoc per rendere
applicabile l’istituto della proroga ex lege anche nei
confronti della denuncia di inizio attività. Ciò che
conferma che il differimento dei termini della d.i.a. non è
ordinariamente previsto.
Il regime giuridico così delineato risulta, peraltro, non
irragionevole –in considerazione della natura e dei
caratteri della denuncia di inizio attività– né
discriminante rispetto a quello, diverso, stabilito per il
permesso di costruire, atteso altresì che costituisce pur
sempre una facoltà dell’interessato scegliere di richiedere
quest’ultimo titolo, in luogo di avvalersi dell’istituto
della d.i.a..
---------------
1. La ricorrente I.M.C. Im.Mi.Co. s.r.l. ha presentato al
Comune di Milano, in data 29.07.2010, una denuncia di inizio
attività ai sensi dell’articolo 41 della legge regionale n.
12 del 2005 (ossia in alternativa al permesso di costruire:
c.d. superdia).
Con nota del 23.08.2013, la società ha comunicato
all’Amministrazione di valersi della proroga biennale del
termine di ultimazione dei lavori, prevista dall’articolo 30
del decreto legge n. 69 del 2013, convertito dalla legge n.
98 del 2013.
Il 27.07.del 2015 la medesima I.M.C. ha comunicato
nuovamente la proroga del termine di fine lavori, ancora ai
sensi dell’articolo 30 del decreto legge n. 69 del 2013.
Il Comune ha a questo punto emesso il provvedimento datato
07.09.2015, con il quale ha reso noto che la richiesta di
proroga non poteva essere accolta, perché la legge consente
una sola proroga; ha comunicato inoltre la sospensione di
efficacia del titolo edilizio e ha ordinato di tenere
sospese le opere fino alla presentazione di un nuovo titolo
abilitativo e all’avvenuta regolarizzazione degli obblighi
del committente e del responsabile dei lavori.
2. Il provvedimento è stato impugnato da I.M.C. nel presente
giudizio.
In particolare, la società ha allegato che:
I) il diniego sarebbe basato unicamente su un’interpretazione
restrittiva dell’articolo 30 del decreto legge n. 69 del
2013, interpretazione in base alla quale la proroga sarebbe
consentita una sola volta; il Comune avrebbe, tuttavia,
dovuto valutare la sussistenza dei presupposti per concedere
la proroga sulla base della disciplina ordinaria, contenuta
all’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 380 del 2001, e –a tal fine– sarebbe stato onere
dell’Amministrazione riqualificare corrispondentemente
l’istanza presentata dall’odierna ricorrente;
II) violazione dell’articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990,
per la mancata comunicazione dei motivi ostativi
all’accoglimento dell’istanza.
...
6. Il ricorso è infondato.
7. La Sezione ha già avuto modo di affermare che la proroga
dei titoli edilizi disposta dall’articolo 30, commi 3 e 4,
del decreto legge 21.06.2013, n. 69, convertito, con
modificazioni, dalla legge 09.08.2013, n. 98 presenta
carattere eccezionale e derogatorio rispetto al sistema,
poiché la durata limitata nel tempo dei titoli edificatori
risponde a esigenze di certezza e di tutela dell’interesse
pubblico e della stessa potestà pianificatoria dei comuni;
esigenze, queste, che sarebbero tutte frustrate dalla
previsione della possibilità del protrarsi a tempo
indeterminato delle attività comportanti la trasformazione
del territorio. L’operatività del nuovo istituto è pertanto
–coerentemente– circoscritta dallo stesso legislatore a un
periodo determinato, e le relative previsioni sono valevoli
una tantum (TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
22.07.2015, n. 1764).
Il provvedimento impugnato ha quindi correttamente affermato
che la proroga non potesse essere reiterata.
8. Sotto altro profilo, non può condividersi la tesi della
ricorrente, secondo la quale l’Amministrazione avrebbe avuto
l’onere di riqualificare la comunicazione presentata dalla
società, trattandola come una ordinaria istanza di proroga
del termine di ultimazione dei lavori, ai sensi
dell’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Ad avviso del Collegio, il Comune non avrebbe dovuto, e
neppure potuto, riqualificare la comunicazione della parte,
nel senso voluto dalla ricorrente. E ciò per la dirimente
ragione che la proroga del termine dei lavori c.d.
ordinaria, prevista dall’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del
2001, non è applicabile alla denuncia di inizio attività,
per la quale è possibile soltanto –eccezionalmente, e in
virtù di una espressa previsione di legge– la proroga
prevista dall’articolo 30 del decreto legge n. 69 del 2001.
Anche su questo punto deve richiamarsi alla già citata
sentenza n. 1764 del 2015 di questa Sezione, ove si è
evidenziato che l’improrogabilità dei termini per
l’ultimazione dei lavori oggetto di d.i.a. –beninteso,
ordinariamente, e al di fuori dell’ambito di applicazione
dell’istituto introdotto una tantum dal decreto legge
n. 69 del 2013– costituisce un tratto caratterizzante
dell’istituto della denuncia di inizio di attività,
chiaramente delineato dalla disciplina normativa di fonte
statale e regionale, come del resto affermato dalla
giurisprudenza (v. Cons. Stato, Sez. IV, 11.12.2013, n.
5969, che conferma la sentenza di questa Sezione,
08.03.2013, n. 619).
Al riguardo, è sufficiente tenere presente che:
- l’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, nel
prevedere la proroga “ordinaria” dei termini dei
lavori, si riferisce espressamente al solo permesso di
costruire;
- l’articolo 23, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 380 del
2001, dopo aver previsto che la denuncia di inizio attività
sia “sottoposta al termine massimo di efficacia pari a
tre anni” (così il primo periodo), stabilisce
esplicitamente che “La realizzazione della parte non
ultimata dell'intervento è subordinata a nuova denuncia”
(così il secondo periodo);
- l’articolo 42, comma 6, della legge regionale n. 12 del
2005 parimenti dispone che “I lavori oggetto della
denuncia di inizio attività devono essere iniziati entro un
anno dalla data di efficacia della denuncia stessa ed
ultimati entro tre anni dall'inizio dei lavori. La
realizzazione della parte di intervento non ultimata nel
predetto termine è subordinata a nuova denuncia (...)”.
Per altro verso, la non prorogabilità, ordinariamente, dei
termini di ultimazione dei lavori oggetto di denuncia di
inizio attività è suffragata anche da un ulteriore argomento
a contrario, evincibile proprio dalla previsione
dell’articolo 30, comma 4, del decreto legge n. 69 del 2013.
Il legislatore ha infatti evidentemente reputato
indispensabile introdurre una previsione ad hoc per
rendere applicabile l’istituto della proroga ex lege
anche nei confronti della denuncia di inizio attività. Ciò
che conferma che il differimento dei termini della d.i.a.
non è ordinariamente previsto.
Il regime giuridico così delineato risulta, peraltro, non
irragionevole –in considerazione della natura e dei
caratteri della denuncia di inizio attività– né
discriminante rispetto a quello, diverso, stabilito per il
permesso di costruire, atteso altresì che costituisce pur
sempre una facoltà dell’interessato scegliere di richiedere
quest’ultimo titolo, in luogo di avvalersi dell’istituto
della d.i.a.
9. Vi è, peraltro, anche un’altra ragione per la quale era
in ogni caso preclusa all’Amministrazione la possibilità di
trattare la comunicazione di I.M.C. come una istanza di
proroga ai sensi dell’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del
2001.
Deve infatti osservarsi che la proroga ordinaria –oltre ad
essere riservata, come detto, al solo permesso di costruire–
è comunque subordinata alla sussistenza dei precisi
presupposti stabiliti dai commi 2 e 2-bis del predetto
articolo 15; presupposti il cui ricorrere deve essere
allegato e dimostrato dalla parte richiedente.
Nel caso di specie, I.M.C. si è limitata a dichiarare di
volersi avvalere della proroga ex lege, per cui il
Comune non si sarebbe potuto sostituire in nessun caso alla
società nel ricercare le ragioni legittimanti un eventuale
differimento dei termini di efficacia del titolo edilizio.
10. Quanto alla mancata comunicazione del preavviso di
provvedimento negativo, la giurisprudenza ha avuto modo di
chiarire che la previsione dell'articolo 10-bis della legge
n. 241 del 1990 deve essere interpretata alla luce del
successivo articolo 21-octies, comma 2, il quale impone al
giudice di valutare il contenuto del provvedimento e di non
annullare l’atto nel caso in cui le violazioni formali non
abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo
(v. ex multis: Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2015, n.
2298; C.G.A.R.S., 16.04.2013, n. 409; Cons. Stato, Sez. VI,
02.02.2012, n. 585).
Nel caso oggetto del presente giudizio, l’Amministrazione
non si sarebbe potuta determinare diversamente, essendo il
potere esercitato del tutto vincolato dalle previsioni di
legge sopra richiamate.
E’ quindi irrilevante il mancato invio del preavviso di
provvedimento negativo.
11. In conclusione, il ricorso deve essere integralmente
respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.08.2016 n. 1569 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’istituto della proroga straordinaria,
introdotto in via di eccezione dall’art. 30, comma
3, del decreto legge n. 69 del 2013, prevede alcune
rilevanti peculiarità rispetto alla proroga
ordinaria.
Il legislatore ha, invero, espressamente stabilito:
- che il prolungamento dell’efficacia del titolo
edilizio non sia subordinato alla valutazione, da
parte del Comune, della sussistenza dei rigorosi
presupposti di cui all’articolo 15, comma 2, del
d.P.R. n. 380 del 2001, ma operi a prescindere da
ogni verifica in ordine alle circostanze che
determinano il mancato rispetto del termine
originariamente previsto;
- che, conseguentemente, il Comune sia chiamato
unicamente a controllare, a seguito della
comunicazione del privato, che quest’ultimo abbia
dichiarato di avvalersi della proroga in presenza di
tutte le condizioni stabilite direttamente dalla
norma primaria;
- che, in particolare, l’operatività della proroga
sia subordinata alla circostanza che l’intervento
non si ponga in contrasto con gli strumenti
urbanistici approvati o anche solo adottati;
- che la proroga operi anche per gli interventi
oggetto di denuncia di inizio di attività o di
segnalazione certificata di inizio di attività,
secondo quanto espressamente previsto dall’articolo
4 del medesimo articolo 30 del decreto legge n. 69
del 2013 (“La disposizione di cui al comma 3 si
applica anche alle denunce di inizio attività e alle
segnalazioni certificate di inizio attività
presentate entro lo stesso termine”).
La proroga è quindi prevista e direttamente disposta
dalla legge, che la condiziona unicamente al
ricorrere delle condizioni tipizzate dalla norma
primaria e alla presentazione, da parte del soggetto
interessato, di un’apposita comunicazione.
Invero, si tratta di una previsione di carattere
eccezionale e derogatorio rispetto al sistema,
poiché la durata limitata nel tempo dei titoli
edificatori risponde a esigenze di certezza e di
tutela dell’interesse pubblico e della stessa
potestà pianificatoria dei comuni; esigenze, queste,
che sarebbero tutte frustrate dalla previsione della
possibilità del protrarsi a tempo indeterminato
delle attività comportanti la trasformazione del
territorio.
L’operatività del nuovo istituto è pertanto
–coerentemente– circoscritta dallo stesso
legislatore a un periodo determinato, e le relative
previsioni sono valevoli una tantum.
---------------
La proroga di cui all’articolo 30, comma 3, del
decreto legge n. 69 del 2013 opera ex lege, purché
ricorra la duplice condizione della conformità
urbanistica e della dichiarazione dell’interessato
di volersi avvalere del differimento dei termini di
efficacia del titolo edilizio.
Conseguentemente, il Comune è tenuto unicamente a
compiere una verifica –a contenuto interamente
vincolato– in ordine all’effettiva sussistenza dei
predetti presupposti.
---------------
6. Osserva il Collegio che la ricorrente, con la
propria nota del 26.10.2015, ha comunicato al Comune
di volersi avvalere della proroga di cui
all’articolo 30, comma 3, del decreto legge n. 69
del 2013.
Disposizione, questa, in base alla quale “Salva
diversa disciplina regionale, previa comunicazione
del soggetto interessato, sono prorogati di due anni
i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di
cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380, come indicati nei
titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi
antecedentemente all'entrata in vigore del presente
decreto, purché i suddetti termini non siano già
decorsi al momento della comunicazione
dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi
non risultino in contrasto, al momento della
comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti
urbanistici approvati o adottati. È altresì
prorogato di tre anni il termine delle
autorizzazioni paesaggistiche in corso di efficacia
alla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto”.
7. L’istituto della proroga straordinaria,
introdotto in via di eccezione dalla suddetta
disposizione normativa, prevede alcune rilevanti
peculiarità rispetto alla proroga ordinaria.
Il legislatore ha, invero, espressamente stabilito:
- che il prolungamento dell’efficacia del titolo
edilizio non sia subordinato alla valutazione, da
parte del Comune, della sussistenza dei rigorosi
presupposti di cui all’articolo 15, comma 2, del
d.P.R. n. 380 del 2001, ma operi a prescindere da
ogni verifica in ordine alle circostanze che
determinano il mancato rispetto del termine
originariamente previsto;
- che, conseguentemente, il Comune sia chiamato
unicamente a controllare, a seguito della
comunicazione del privato, che quest’ultimo abbia
dichiarato di avvalersi della proroga in presenza di
tutte le condizioni stabilite direttamente dalla
norma primaria;
- che, in particolare, l’operatività della proroga
sia subordinata alla circostanza che l’intervento
non si ponga in contrasto con gli strumenti
urbanistici approvati o anche solo adottati;
- che la proroga operi anche per gli interventi
oggetto di denuncia di inizio di attività o di
segnalazione certificata di inizio di attività,
secondo quanto espressamente previsto dall’articolo
4 del medesimo articolo 30 del decreto legge n. 69
del 2013 (“La disposizione di cui al comma 3 si
applica anche alle denunce di inizio attività e alle
segnalazioni certificate di inizio attività
presentate entro lo stesso termine”).
La proroga è quindi prevista e direttamente disposta
dalla legge, che la condiziona unicamente al
ricorrere delle condizioni tipizzate dalla norma
primaria e alla presentazione, da parte del soggetto
interessato, di un’apposita comunicazione.
Come già evidenziato dalla Sezione, si tratta di una
previsione di carattere eccezionale e derogatorio
rispetto al sistema, poiché la durata limitata nel
tempo dei titoli edificatori risponde a esigenze di
certezza e di tutela dell’interesse pubblico e della
stessa potestà pianificatoria dei comuni; esigenze,
queste, che sarebbero tutte frustrate dalla
previsione della possibilità del protrarsi a tempo
indeterminato delle attività comportanti la
trasformazione del territorio. L’operatività del
nuovo istituto è pertanto –coerentemente–
circoscritta dallo stesso legislatore a un periodo
determinato, e le relative previsioni sono valevoli
una tantum (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
22.07.2015, n. 1764).
...
12. Ciò posto, sono pure infondate le allegazioni
–contenute nel secondo motivo di ricorso– con le
quali la ricorrente sostiene che il provvedimento
impugnato non avrebbe adeguatamente indicato le
ragioni di contrasto dell’intervento con la vigente
pianificazione urbanistica.
Come sopra detto, il Comune ha evidenziato che il
progetto asseverato con la denuncia di inizio
attività non rispetta le previsioni morfologiche
specificamente dettate per i nuclei di antica
formazione, contenute all’articolo 13, comma 3,
lett. a) del Piano delle Regole del PGT.
Tale previsione –secondo quanto riportato dalla
stessa parte nel proprio ricorso– dispone che gli
interventi siano consentiti laddove assicurino il “mantenimento
o ripristino delle cortine edilizie o completamento
del fronte continuo; la costruzione in cortina deve
arrivare sino alla linea di altezza dell’edificio
più basso adiacente alla costruzione; laddove
quest’ultimo fosse più basso rispetto all’altezza
esistente è fatto salvo il mantenimento dell’altezza
esistente”.
Si tratta di indicazioni chiare e specifiche, in
relazione alle quali deve ritenersi del tutto
agevole per la ricorrente individuare i punti di
discordanza del proprio progetto.
Peraltro, Pa. s.r.l. non ha neppure allegato, nel
presente giudizio, che l’intervento oggetto della
denuncia di inizio attività effettivamente rispetti
tutte le prescrizioni ora richiamate. Per cui il
contrasto rilevato dal Comune deve ritenersi
sostanzialmente incontestato.
13. La parte ha infatti incentrato le proprie difese
–in particolare, nel primo motivo di ricorso– sulla
circostanza che la conformità alle previsioni
sopravvenute del PGT sarebbe stata attestata dalla
stessa Amministrazione in un proprio precedente
provvedimento.
In questa prospettiva, Pa. s.r.l. ha sostenuto che
il provvedimento impugnato, nell’affermare oggi la
mancanza di tale conformità, si porrebbe in
contrasto con la precedente determinazione assunta
dallo stesso Comune.
Il Collegio osserva, tuttavia, che il vizio di
eccesso di potere –di cui la contraddittorietà con
precedenti provvedimenti rappresenta una figura
sintomatica– è configurabile solo in presenza di
attività discrezionali, e non invece a fronte di un
potere del tutto vincolato, quale quello esercitato
dal Comune nel caso di specie.
Si è già detto, infatti, che la proroga di cui
all’articolo 30, comma 3, del decreto legge n. 69
del 2013 opera ex lege, purché ricorra la
duplice condizione della conformità urbanistica e
della dichiarazione dell’interessato di volersi
avvalere del differimento dei termini di efficacia
del titolo edilizio. Conseguentemente, il Comune è
tenuto unicamente a compiere una verifica –a
contenuto interamente vincolato– in ordine
all’effettiva sussistenza dei predetti presupposti.
Nel caso di specie, secondo quanto sopra rimarcato,
il Comune ha convincentemente indicato le ragioni
per le quali l’intervento è da ritenere non
compatibile con la disciplina urbanistica vigente.
E ciò costituisce motivazione necessaria e
sufficiente per dichiarare l’inammissibilità e
l’inefficacia della comunicazione di proroga del
titolo edilizio, senza che possa assumere alcuna
rilevanza qualsivoglia precedente valutazione
espressa dalla stessa Amministrazione.
14. In definitiva, per tutte le ragioni sin qui
esposte, il ricorso deve essere respinto (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.08.2016 n. 1568 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La durata limitata nel tempo dei titoli
edificatori costituisce un principio cardine
dell’intero sistema della disciplina urbanistica.
Si tratta, infatti, di una regola che risponde non
solo all’esigenza di assicurare la realizzazione
ordinata ed entro tempi certi delle trasformazioni
assentite con il titolo edilizio, prevenendo
situazioni di degrado legate alla presenza di
costruzioni non ultimate, ma anche alla necessità di
tutelare l’interesse pubblico a consentire quelle
sole trasformazioni del territorio che corrispondono
alle esigenze attuali della collettività, quali
individuate dalla pianificazione urbanistica
vigente. Esigenza, questa, che verrebbe
irrimediabilmente frustrata dalla possibilità del
protrarsi a tempo indeterminato dei lavori di
realizzazione degli interventi edilizi, una volta
che le trasformazioni assentite siano ritenute non
più rispondenti all’interesse pubblico.
In tale prospettiva, la declaratoria di decadenza
del permesso di costruire è un “provvedimento che ha
carattere strettamente vincolato all’accertamento
del mancato inizio e completamento dei lavori entro
i termini stabiliti dal richiamato art, 15, comma 2,
(rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del
titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura
ricognitiva del venir meno degli effetti del
permesso a costruire per l’inerzia del titolare a
darvi attuazione".
E –specularmente– la proroga del permesso di
costruire, in quanto comporta un prolungamento del
termine ordinario di efficacia del titolo edilizio,
può essere consentita nei soli casi e modi previsti
dalle richiamate previsioni dell’articolo 15 del
d.P.R. n. 380 del 2001.
---------------
Deve rilevarsi che il comma 2 dell’articolo 15
stabilisce espressamente che, decorsi i termini di
inizio e di conclusione dei lavori, “il permesso
decade di diritto per la parte non eseguita, tranne
che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta
una proroga”, la quale può essere concessa nelle
ipotesi previste dalla legge, tra le quali il
verificarsi di “fatti sopravvenuti, estranei alla
volontà del titolare del permesso”.
Il legislatore ha quindi espressamente stabilito che
la proroga possa essere concessa solo se sia stata
richiesta prima della scadenza del titolo edilizio,
e ciò anche nei casi di forza maggiore o di c.d.
factum principis, che sono sostanzialmente
riconducibili nel novero dell’ampia casistica dei
“fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del
titolare del permesso”, prevista dalla disposizione
normativa richiamata.
In questo senso si è del resto pronunciata la
giurisprudenza, la quale ha avuto modo di rimarcare
che “il termine di durata del permesso edilizio non
può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo
al contrario sempre necessaria, a tal fine, la
presentazione di una formale istanza di proroga, cui
deve comunque seguire un provvedimento da parte
della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il
titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del
rispetto del termine, e solamente nei casi in cui
possa ritenersi sopravvenuto un factum principis
ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore”.
Anche questa Sezione è pervenuta alle medesime
conclusioni laddove si è ritenuto che –nonostante
secondo una parte della giurisprudenza la
sussistenza di una causa di forza maggiore impedisca
ex se la decadenza del titolo edilizio– è tuttavia
“preferibile ritenere, come fa altra giurisprudenza,
che, anche laddove si sia in presenza del cd. factum
principis o di cause di forza maggiore,
l'interessato che voglia impedire la decadenza del
titolo edilizio per il mancato tempestivo inizio dei
lavori è pur sempre onerato della proposizione di
una richiesta di proroga dell’efficacia del titolo
stesso; proroga che deve essere accordata con atto
espresso dell'Amministrazione”.
---------------
L’onere di richiedere la proroga prima che il titolo
edilizio venga a scadenza costituisce, a ben vedere,
un portato necessario dell’assetto complessivo del
sistema, posto che la decadenza matura
automaticamente alla scadenza del termine e –ferma
la necessità che l’Amministrazione la dichiari
espressamente– essa opera di diritto.
La concessione della proroga esclusivamente mediante
un provvedimento espresso è, allora, prescritta dal
legislatore al fine di soddisfare due concorrenti
esigenze: da un lato, quella di assicurare –a
beneficio, anzitutto, del titolare del permesso di
costruire– la certezza, in ogni momento, dei termini
di efficacia del titolo edilizio; dall’altro,
quella di consentire all’Amministrazione di valutare
la sussistenza dei presupposti della proroga e la
sua eventuale durata. Sotto quest’ultimo profilo, la
Sezione ha avuto modo di rimarcare, infatti, che
“l’atto di proroga, previsto dall’art. 15, secondo
comma, del d.P.R. n. 380 del 2001, a differenza
dell'accertamento dell'intervenuta decadenza, è atto
di esercizio di discrezionalità amministrativa, che
presuppone l'accertamento delle circostanze dedotte
dal privato e il loro apprezzamento in termini di
evento oggettivamente impeditivo dell'avvio della
edificazione”.
Tali conclusioni trovano ulteriore conferma nel
nuovo comma 2-bis dell’articolo 15 del d.P.R. n. n.
380 del 2001, introdotto dal decreto legge n. 133
del 2014.
La disposizione, infatti, reca un’ipotesi di proroga
vincolata del permesso di costruire, “qualora i
lavori non possano essere iniziati o conclusi per
iniziative dell'amministrazione o dell'autorità
giudiziaria rivelatesi poi infondate”.
Tuttavia, nonostante in tale fattispecie la proroga
sia sempre dovuta, per espressa previsione di legge,
la disposizione non prevede che essa operi
automaticamente, ma stabilisce che debba essere
“comunque accordata”. Anche in questo caso è quindi
pur sempre necessario che il differimento dei
termini venga disposto dall’Amministrazione con un
provvedimento espresso, benché interamente
vincolato.
---------------
Non può trovare accoglimento il primo motivo di
impugnazione, con il quale la parte allega che
l’obbligo di effettuare la bonifica costituirebbe
una ipotesi di forza maggiore o di factum principis,
tale da determinare l’automatica sospensione del
termine per ultimare i lavori fino alla
certificazione dell’esito positivo delle operazioni.
Come detto, infatti, è bensì condivisibile
l’affermazione secondo la quale la “scoperta” della
necessità di operare la bonifica, a causa di
pregresse attività inquinanti non dipendenti dal
titolare del permesso di costruire, potrebbe
astrattamente dare luogo, sussistendone i
presupposti, a una ipotesi di forza maggiore, tale
da giustificare la proroga dei termini di efficacia
del permesso di costruire.
Deve però escludersi, per le ragioni sopra esposte,
che il prolungamento della scadenza del titolo possa
operare automaticamente, in assenza di un’apposita
istanza di proroga da parte dell’interessato, che
possa mettere l’Amministrazione in condizione di
valutare se effettivamente sussista un evento,
estraneo alla volontà del titolare del permesso di
costruire, tale da impedire l’esecuzione delle
opere, nonché –in caso affermativo– di stabilire
l’entità della proroga da concedere.
Tale istanza però è del tutto mancata nel caso di
specie.
Sicché, non può assumere alcuna rilevanza la
circostanza che l’Amministrazione fosse a conoscenza
dello svolgimento della bonifica, poiché tale
conoscenza non poteva di per sé comportare uno
slittamento automatico del termine di ultimazione
dei lavori, in assenza di un provvedimento espresso
e motivato che avesse disposto in tal senso.
---------------
Si è già detto che le ipotesi di proroga del titolo
edilizio sono di stretta interpretazione, in quanto
consentono di superare i termini ordinari di
efficacia del permesso di costruire, posti a
presidio di rilevanti esigenze di interesse
pubblico. Conseguentemente, non è dato individuare
ipotesi di prolungamento di tali termini che non
siano tipizzate dalla legge.
Vero è, semmai, che le cause di forza maggiore e di
factum principis rientrano –come pure evidenziato–
tra i fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del
titolare del permesso di costruire, che giustificano
il rilascio della proroga.
Ciò in quanto i fatti qualificabili come forza
maggiore o factum principis legittimano la proroga
unicamente ove siano sopravvenuti dal punto di vista
del titolare del permesso di costruire, nel senso
che rilevano solo se si verifichino o vengano
scoperti da questo soggetto dopo il rilascio del
titolo, benché le loro cause possano risalire (e
spesso risalgano) a un momento precedente.
In definitiva, deve ribadirsi che la proroga non può
operare automaticamente, quale che ne sia la causa.
---------------
8. Il Collegio ritiene, a un più meditato esame, di
non poter confermare le conclusioni provvisoriamente
raggiunte in sede cautelare. E ciò in quanto, benché
la necessità di operare la bonifica del sito possa
astrattamente rientrare tra le cause di forza
maggiore tali da impedire lo svolgimento dei lavori,
deve tuttavia ritenersi che la proroga del titolo
edilizio non possa operare automaticamente, essendo
necessario un apposito provvedimento,
tempestivamente richiesto all’Amministrazione, al
fine di disporre il differimento dei termini di
efficacia del permesso di costruire.
9. Occorre tenere presente, al riguardo, che la
disciplina dell’efficacia temporale e della
decadenza del permesso di costruire è contenuta
all’articolo 15 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Le previsioni concernenti la proroga del titolo
edilizio sono state recentemente modificate
dall'articolo 17, comma 1, lett. f) del decreto
legge 12.09.2014, n. 133, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164.
In particolare, la proroga del titolo edilizio è
regolata dalle previsioni dei commi 2 e 2-bis del
richiamato articolo 15, in base ai quali: “2. Il
termine per l'inizio dei lavori non può essere
superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello
di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere
completata, non può superare tre anni dall'inizio
dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade
di diritto per la parte non eseguita, tranne che,
anteriormente alla scadenza, venga richiesta una
proroga. La proroga può essere accordata, con
provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti,
estranei alla volontà del titolare del permesso,
oppure in considerazione della mole dell'opera da
realizzare, delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, o di difficoltà
tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio
dei lavori, ovvero quando si tratti di opere
pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più
esercizi finanziari.
2-bis. La proroga dei termini per l'inizio e
l'ultimazione dei lavori è comunque accordata
qualora i lavori non possano essere iniziati o
conclusi per iniziative dell'amministrazione o
dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate.”.
Deve osservarsi, in proposito, che la durata
limitata nel tempo dei titoli edificatori
costituisce un principio cardine dell’intero sistema
della disciplina urbanistica. Si tratta, infatti, di
una regola che risponde non solo all’esigenza di
assicurare la realizzazione ordinata ed entro tempi
certi delle trasformazioni assentite con il titolo
edilizio, prevenendo situazioni di degrado legate
alla presenza di costruzioni non ultimate, ma anche
alla necessità di tutelare l’interesse pubblico a
consentire quelle sole trasformazioni del territorio
che corrispondono alle esigenze attuali della
collettività, quali individuate dalla pianificazione
urbanistica vigente. Esigenza, questa, che verrebbe
irrimediabilmente frustrata dalla possibilità del
protrarsi a tempo indeterminato dei lavori di
realizzazione degli interventi edilizi, una volta
che le trasformazioni assentite siano ritenute non
più rispondenti all’interesse pubblico (v. TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 04.05.2016, n. 864;
nello stesso senso anche Id., 22.07.2015, n. 1764).
In tale prospettiva, la declaratoria di decadenza
del permesso di costruire è un “provvedimento che
ha carattere strettamente vincolato all’accertamento
del mancato inizio e completamento dei lavori entro
i termini stabiliti dal richiamato art, 15, comma 2,
(rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del
titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura
ricognitiva del venir meno degli effetti del
permesso a costruire per l’inerzia del titolare a
darvi attuazione (cfr. Cons. St., Sez. IV, n. 974
del 23.02.2012; n. 2915 del 2012)” (Cons. Stato,
Sez. III, 04.04.2013, n. 1870). E –specularmente– la
proroga del permesso di costruire, in quanto
comporta un prolungamento del termine ordinario di
efficacia del titolo edilizio, può essere consentita
nei soli casi e modi previsti dalle richiamate
previsioni dell’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del
2001.
10. Ciò posto, deve rilevarsi che il comma 2
dell’articolo 15 stabilisce espressamente che,
decorsi i termini di inizio e di conclusione dei
lavori, “il permesso decade di diritto per la
parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla
scadenza, venga richiesta una proroga”, la quale
può essere concessa nelle ipotesi previste dalla
legge, tra le quali il verificarsi di “fatti
sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del
permesso”.
Il legislatore ha quindi espressamente stabilito che
la proroga possa essere concessa solo se sia stata
richiesta prima della scadenza del titolo edilizio,
e ciò anche nei casi di forza maggiore o di c.d.
factum principis, che sono sostanzialmente
riconducibili nel novero dell’ampia casistica dei “fatti
sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del
permesso”, prevista dalla disposizione normativa
richiamata.
In questo senso si è del resto pronunciata la
giurisprudenza, la quale ha avuto modo di rimarcare
che “il termine di durata del permesso edilizio
non può mai intendersi automaticamente sospeso,
essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine,
la presentazione di una formale istanza di proroga,
cui deve comunque seguire un provvedimento da parte
della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il
titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del
rispetto del termine, e solamente nei casi in cui
possa ritenersi sopravvenuto un factum principis
ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore”
(così Cons. Stato, Sez. III, n. 1870 del 2013, cit.;
v. anche Id., Sez. IV, 23.02.2012, n. 974).
Anche questa Sezione è pervenuta alle medesime
conclusioni, in particolare nella recente sentenza
n. 201 del 29.01.2016. In tale precedente, si è
ritenuto che –nonostante secondo una parte della
giurisprudenza la sussistenza di una causa di forza
maggiore impedisca ex se la decadenza del
titolo edilizio (cfr. TAR Campania, Salerno, Sez. II,10.02.2012,
n. 188)– è tuttavia “preferibile ritenere, come
fa altra giurisprudenza, che, anche laddove si sia
in presenza del cd. factum principis o di cause di
forza maggiore, l'interessato che voglia impedire la
decadenza del titolo edilizio per il mancato
tempestivo inizio dei lavori è pur sempre onerato
della proposizione di una richiesta di proroga
dell’efficacia del titolo stesso; proroga che deve
essere accordata con atto espresso
dell'Amministrazione”.
11. L’onere di richiedere la proroga prima che il
titolo edilizio venga a scadenza costituisce, a ben
vedere, un portato necessario dell’assetto
complessivo del sistema, posto che la decadenza
matura automaticamente alla scadenza del termine e
–ferma la necessità che l’Amministrazione la
dichiari espressamente– essa opera di diritto (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 22.09.2014, n. 4765; Id., Sez.
III, n. 1870 del 2013, cit.).
La concessione della proroga esclusivamente mediante
un provvedimento espresso è, allora, prescritta dal
legislatore al fine di soddisfare due concorrenti
esigenze: da un lato, quella di assicurare –a
beneficio, anzitutto, del titolare del permesso di
costruire– la certezza, in ogni momento, dei termini
di efficacia del titolo edilizio; dall’altro, quella
di consentire all’Amministrazione di valutare la
sussistenza dei presupposti della proroga e la sua
eventuale durata. Sotto quest’ultimo profilo, la
Sezione ha avuto modo di rimarcare, infatti, che “l’atto
di proroga, previsto dall’art. 15, secondo comma,
del d.P.R. n. 380 del 2001, a differenza
dell'accertamento dell'intervenuta decadenza, è atto
di esercizio di discrezionalità amministrativa, che
presuppone l'accertamento delle circostanze dedotte
dal privato e il loro apprezzamento in termini di
evento oggettivamente impeditivo dell'avvio della
edificazione. (cfr., TAR Friuli-Venezia Giulia, sez.
I, 22.04.2015, n. 186)” (così TAR Lombardia,
Milano, n. 201 del 2016, cit.).
12. Tali conclusioni trovano ulteriore conferma nel
nuovo comma 2-bis dell’articolo 15 del d.P.R. n. n.
380 del 2001, introdotto dal decreto legge n. 133
del 2014.
La disposizione, infatti, reca un’ipotesi di proroga
vincolata del permesso di costruire, “qualora i
lavori non possano essere iniziati o conclusi per
iniziative dell'amministrazione o dell'autorità
giudiziaria rivelatesi poi infondate”. Tuttavia,
nonostante in tale fattispecie la proroga sia sempre
dovuta, per espressa previsione di legge, la
disposizione non prevede che essa operi
automaticamente, ma stabilisce che debba essere “comunque
accordata”. Anche in questo caso è quindi pur
sempre necessario che il differimento dei termini
venga disposto dall’Amministrazione con un
provvedimento espresso, benché interamente
vincolato.
13. Nel solco dei principi ora esposti, il ricorso è
da ritenere infondato.
14. Non può, anzitutto, trovare accoglimento il
primo motivo di impugnazione, con il quale la parte
allega che l’obbligo di effettuare la bonifica
costituirebbe una ipotesi di forza maggiore o di
factum principis, tale da determinare
l’automatica sospensione del termine per ultimare i
lavori fino alla certificazione dell’esito positivo
delle operazioni.
14.1 Come detto, infatti, è bensì condivisibile
l’affermazione secondo la quale la “scoperta”
della necessità di operare la bonifica, a causa di
pregresse attività inquinanti non dipendenti dal
titolare del permesso di costruire, potrebbe
astrattamente dare luogo, sussistendone i
presupposti, a una ipotesi di forza maggiore, tale
da giustificare la proroga dei termini di efficacia
del permesso di costruire.
Deve però escludersi, per le ragioni sopra esposte,
che il prolungamento della scadenza del titolo possa
operare automaticamente, in assenza di un’apposita
istanza di proroga da parte dell’interessato, che
possa mettere l’Amministrazione in condizione di
valutare se effettivamente sussista un evento,
estraneo alla volontà del titolare del permesso di
costruire, tale da impedire l’esecuzione delle
opere, nonché –in caso affermativo– di stabilire
l’entità della proroga da concedere.
Tale istanza però è del tutto mancata nel caso di
specie.
14.2 Per questa ragione, non può assumere alcuna
rilevanza la circostanza che l’Amministrazione fosse
a conoscenza dello svolgimento della bonifica,
poiché tale conoscenza non poteva di per sé
comportare uno slittamento automatico del termine di
ultimazione dei lavori, in assenza di un
provvedimento espresso e motivato che avesse
disposto in tal senso.
14.3 Sotto altro profilo, non può darsi rilievo alla
circostanza –richiamata anche nel terzo motivo di
ricorso– che la causa di forza maggiore, consistente
nell’inquinamento dell’area comportante l’obbligo di
bonifica, preesistesse al rilascio del titolo
edilizio.
Secondo la tesi di Ce. –diffusamente illustrata
negli scritti difensivi depositati in prossimità
dell’udienza– l’onere di richiedere la proroga del
permesso di costruire sussisterebbe soltanto nella
fattispecie espressamente contemplata dall’articolo
15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, ossia in
presenza di cause sopravvenute al rilascio del
titolo. Ove, invece, si sia in presenza di cause
preesistenti, si verificherebbe la sospensione
automatica dei termini di efficacia del permesso di
costruire.
Si tratta di una prospettazione che non può essere
condivisa.
Si è già detto, infatti, che le ipotesi di proroga
del titolo sono di stretta interpretazione, in
quanto consentono di superare i termini ordinari di
efficacia del permesso di costruire, posti a
presidio di rilevanti esigenze di interesse
pubblico. Conseguentemente, non è dato individuare
ipotesi di prolungamento di tali termini che non
siano tipizzate dalla legge.
Vero è, semmai, che le cause di forza maggiore e di
factum principis rientrano –come pure
evidenziato– tra i fatti sopravvenuti, estranei alla
volontà del titolare del permesso di costruire, che
giustificano il rilascio della proroga.
Ciò in quanto i fatti qualificabili come forza
maggiore o factum principis legittimano la
proroga unicamente ove siano sopravvenuti dal punto
di vista del titolare del permesso di costruire, nel
senso che rilevano solo se si verifichino o vengano
scoperti da questo soggetto dopo il rilascio del
titolo, benché le loro cause possano risalire (e
spesso risalgano) a un momento precedente.
14.4 In definitiva, deve ribadirsi che la proroga
non può operare automaticamente, quale che ne sia la
causa (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.08.2016 n. 1564 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
In base all'art. 30, comma 3-bis, del
d.l. 21.06.2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il
rilancio dell'economia), convertito con legge
09.08.2013, n. 98, <<Il termine di validità nonché i termini di
inizio e fine lavori nell'ambito delle convenzioni
di lottizzazione di cui all'articolo 28 della legge
17.08.1942, n. 1150, ovvero degli accordi
similari comunque nominati dalla legislazione
regionale, stipulati sino al 31.12.2012, sono
prorogati di tre anni>>.
La lettera della legge è
<<…chiara nell’estendere la proroga a tutti i
termini previsti nell’ambito della singola
convenzione urbanistica, senza la necessità di
distinguere, all’interno di pattuizioni spesso molto
complesse ed articolate nell’individuazione degli
obblighi delle parti, fra termini scaduti e non
ancora scaduti al momento di entrata in vigore della
legge 98/2013>>.
Si è difatti osservato che essendo
la ratio della norma quella di favorire in ogni modo
gli operatori che hanno subito –e subiscono tuttora– gli effetti della crisi del mercato immobiliare ed
edilizio, tale finalità <<…rischierebbe di essere
sostanzialmente svuotata se, a fronte di ogni
singola convenzione, fosse necessario distinguere
fra obblighi scaduti e non scaduti all’entrata in
vigore della norma legislativa di proroga (la quale
peraltro, giova rimarcare ancora, non contiene
neppure tale distinzione)>>.
---------------
9. Ritiene il Collegio che il ricorso sia
fondato essendo meritevole di accoglimento la
censura, contenuta nell’unico motivo di ricorso, con
cui si deduce la violazione dell’art. 30, comma
3-bis, della legge n. 98 del 2013 (rectius del
decreto-legge n. 69 del 2013).
10. Si deve invero osservare che in base al citato
art. 30, comma 3-bis, del decreto-legge 21.06.2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio
dell'economia), convertito con legge 09.08.2013,
n. 98, <<Il termine di validità nonché i termini di
inizio e fine lavori nell'ambito delle convenzioni
di lottizzazione di cui all'articolo 28 della legge
17.08.1942, n. 1150, ovvero degli accordi
similari comunque nominati dalla legislazione
regionale, stipulati sino al 31.12.2012, sono
prorogati di tre anni>>.
11. La Sezione ha già avuto modo applicare questa
norma, ritenendo che la lettera della legge sia
<<…chiara nell’estendere la proroga a tutti i
termini previsti nell’ambito della singola
convenzione urbanistica, senza la necessità di
distinguere, all’interno di pattuizioni spesso molto
complesse ed articolate nell’individuazione degli
obblighi delle parti, fra termini scaduti e non
ancora scaduti al momento di entrata in vigore della
legge 98/2013>>. Si è difatti osservato che essendo
la ratio della norma quella di favorire in ogni modo
gli operatori che hanno subito –e subiscono tuttora– gli effetti della crisi del mercato immobiliare ed
edilizio, tale finalità <<…rischierebbe di essere
sostanzialmente svuotata se, a fronte di ogni
singola convenzione, fosse necessario distinguere
fra obblighi scaduti e non scaduti all’entrata in
vigore della norma legislativa di proroga (la quale
peraltro, giova rimarcare ancora, non contiene
neppure tale distinzione)>> (cfr. TAR Lombardia
Milano, sez. II, 12.01.2016, n. 45).
12. Ciò premesso si deve osservare che non si può
dubitare dell’applicabilità al caso di specie della
norma in esame: le convenzioni stipulate fra il
Comune di Milano e la ricorrente risalgono a data
anteriore al 31.12.2012 ed erano ancora
efficaci alla data di entrata in vigore della norma
stessa (si ricordi che, con la convenzione del 25.07.2011, i termini di efficacia del PII sono
stati prorogati sino al 30.06.2015).
13. In tale quadro appaiono dunque illegittimi gli
atti impugnati che, non tenendo conto della proroga
stabilita dalla legge, hanno intimato alla parte
l’adempimento di obbligazioni non ancora scadute,
minacciando, in caso di inadempimento, l’escussione
delle garanzie.
14. Per queste ragioni il ricorso deve essere
accolto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.07.2016 n. 1427 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA: No
a proroghe a chi non si attiva in tempo.
È legittimo il rifiuto opposto dal comune alla proroga del
permesso di costruire se il titolare dell'autorizzazione si
decide troppo tardi a dare il via alla variante del
progetto; il tutto benché abbia scoperto da tempo che sotto
il suo terreno ci sono parti delle fondamenta riconducibili
all'edificio confinante.
Nessuna «moratoria» può allora essere concessa
dall'amministrazione locale se non risulta che chi vuole
realizzare i lavori sul proprio fondo si è attivato in modo
tempestivo per risolvere i problemi che ha col vicino e che
impediscono alle ruspe di entrare in azione.
È quanto emerge dalla
sentenza 04.05.2016 n. 864, pubblicata dal TAR
Lombardia-Milano, Sez. II.
Deve rassegnarsi il titolare del permesso scaduto che voleva
realizzare un edificio industriale con annesse abitazioni di
pertinenza. Solo con i primi scavi di cantiere si scopre che
a suo tempo il vicino aveva sconfinato ponendo i plinti di
fondazione del suo edificio sotto la superficie del terreno
attiguo.
Scattava allora lo stop alle operazioni. Ma il proprietario
che voleva realizzare i lavori non aveva compiuto subito lo
sforzo di diligenza necessario a superare il problema,
benché avesse già ricevuto una proroga.
La denuncia di inizio attività in variante è arrivata troppo
tardi perché il progetto potesse concludersi entro i tempi
previsti.
E tuttavia è escluso che la responsabilità possa essere
addebitata al comune: la denuncia dei cementi armati sarebbe
dovuta avvenire prima
(articolo ItaliaOggi Sette del 29.08.2016).
--------------
8. Con il secondo motivo il ricorrente afferma che il
diniego di proroga sarebbe illegittimo, poiché il Comune non
avrebbe preso in considerazione l’insieme delle circostanze
di fatto, indipendenti dalla volontà del proprietario, che
avevano impedito al sig. Alberti di portare a termine i
lavori entro il termine previsto.
Al riguardo, occorre tenere presente che la
durata limitata nel tempo dei titoli edificatori costituisce
un principio cardine dell’intero sistema della disciplina
urbanistica. Si tratta, infatti, di una regola che risponde
non solo all’esigenza di assicurare la realizzazione
ordinata ed entro tempi certi delle trasformazioni assentite
con il titolo edilizio, prevenendo situazioni di degrado
legate alla presenza di costruzioni non ultimate, ma anche
alla necessità di tutelare l’interesse pubblico a consentire
quelle sole trasformazioni del territorio che corrispondono
alle esigenze attuali della collettività, quali individuate
dalla pianificazione urbanistica vigente. Esigenza, questa,
che verrebbe irrimediabilmente frustrata dalla possibilità
del protrarsi a tempo indeterminato dei lavori di
realizzazione degli interventi edilizi, una volta che le
trasformazioni assentite siano ritenute non più rispondenti
all’interesse pubblico.
In tale prospettiva, la proroga del titolo
edilizio presenta carattere derogatorio rispetto al sistema
e, non a caso, può essere consentita nei soli casi previsti
dall’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001. Disposizione,
quest’ultima, che individua l’ambito applicativo
dell’istituto contemplando una serie di fattispecie,
accomunate dalla circostanza che la necessità di disporre di
un tempo più lungo di quello ordinario per completare i
lavori dipende, nelle diverse ipotesi tipizzate dal
legislatore, da ragioni oggettive e non imputabili al
titolare del permesso di costruire.
9. Nel caso oggetto del presente giudizio, il sig. Al. ha
allegato, quale fatto ostativo al completamento dei lavori
entro il termine di tre anni dall’avvio, la scoperta, sul
proprio fondo, dei plinti di fondazione dell’edificio
confinante.
Deve, però, evidenziarsi che tale situazione di fatto era
già stata presa in considerazione dall’Amministrazione, che
aveva concesso in ragione di ciò una prima proroga di un
anno del titolo edilizio.
Le motivazioni addotte dal ricorrente al fine di ottenere,
per quella stessa causa, una nuova proroga dei termini del
medesimo permesso di costruire sono state convincentemente
confutate dal Comune nelle motivazioni del diniego impugnato
nel presente giudizio.
In particolare, il provvedimento ripercorre la cronologia
degli eventi, mettendo in evidenza –in ultima analisi– che “dal
dicembre 2011 sino a metà 2014, la proprietà non risulta
aver posto in essere alcun concreto intervento per ovviare
alle problematiche insorte allora giustificate per la
sospensione dei lavori, interventi comunque non comunicati
allo scrivente ufficio”.
In sostanza, il Comune ha evidenziato che, pure a fronte
della difficoltà esecutiva determinata dalla scoperta dei
plinti, il sig. Al. non ha assunto alcuna iniziativa idonea
a risolvere il problema. E ciò almeno fino alla
presentazione della denuncia di inizio attività in variante
del giugno 2014.
Conseguentemente, sono stati ritenuti insussistenti i
presupposti prescritti normativamente per la concessione di
una nuova proroga del titolo edilizio.
10. Il Collegio ritiene, come detto, che le motivazioni
diffusamente esposte dal Comune nel provvedimento impugnato
e nella comunicazione delle ragioni ostative
all’accoglimento dell’istanza, in esso richiamata, siano
idonee a sorreggere la determinazione negativa assunta
dall’Amministrazione; determinazione che non è infirmata
dalle opposte argomentazioni del ricorrente.
Deve infatti rilevarsi che non risulta agli
atti del giudizio alcuna evidenza dell’attività che il sig.
Al. avrebbe svolto per la soluzione, con il proprio
confinante, della questione relativa ai plinti. Al
contrario, è ampiamente comprovata la circostanza che, nel
periodo di efficacia del titolo edilizio, vi siano stati
continui avvicendamenti nella direzione dei lavori (ben sei
direttori dei lavori, secondo quanto rimarcato dalla difesa
comunale), senza che fosse comunicata all’Amministrazione
l’assunzione di iniziative idonee a risolvere la difficoltà
esecutiva emersa.
Al riguardo, non coglie nel segno il rilievo del ricorrente,
secondo il quale il provvedimento comunale sarebbe
censurabile, nella parte in cui avrebbe preteso, al fine di
comprovare la non imputabilità al sig. Al. del mancato
completamento dei lavori, la dimostrazione dell’avvio di
iniziative di tutela giurisdizionale contro il confinante.
E invero, il provvedimento comunale si è limitato a
evidenziare che “non risulta in ogni caso alcun tentativo
di accordo con il vicino, non essendo stato trasmesso
all’Ufficio alcun atto in tale senso e/o comunque l’avvio di
qualsivoglia procedura anche giurisdizionale con il medesimo
per la risoluzione della controversia” (v. punto 4 della
motivazione del provvedimento impugnato, in fine).
Nel medesimo atto, peraltro, il Comune ha evidenziato pure
che “entro i termini concessi era comunque possibile
valutare soluzioni operative concrete (...), soluzioni
operative e tecniche che non sono mai state trasmesse
all’Ufficio” (v. punto 3 della motivazione del
provvedimento impugnato) e che “al di là dei tentativi di
giungere all’accordo con il vicino”, il sig. Al. ha
atteso il mese di giugno 2014 per sottoporre
all’Amministrazione la soluzione progettuale che consentiva
di superare il problema riscontrato (v. ancora il punto 4
della motivazione del provvedimento impugnato).
Il Comune ha quindi, correttamente,
rilevato che –da un lato– non vi fosse alcuna dimostrazione
che il ricorrente si fosse effettivamente attivato per
superare il problema insorto con il vicino e che
–dall’altro– sussistevano altre soluzioni, che però sono
state prese in considerazione tardivamente.
E che la questione relativa ai plinti fosse superabile con
uno sforzo di diligenza del proprietario è dimostrato dalla
circostanza stessa che, nel giugno del 2014 –e quindi in
prossimità della scadenza del termine, già prorogato, per
ultimare i lavori– il sig. Al. sia stato effettivamente in
grado di individuare una soluzione, formalizzata appunto con
la denuncia di inizio di attività in variante.
11. Quanto a quest’ultimo profilo, va poi rimarcato che la
circostanza che la denuncia di inizio di attività del giugno
2014 sia divenuta efficace soltanto il 05.08.2014, e che
quindi sia rimasto a disposizione del sig. Al. un tempo
molto ristretto per attuare quanto progettato, non è
imputabile all’operato del Comune.
Come sopra detto, infatti, l’Amministrazione ha
tempestivamente richiesto, il 07.07.2014, l’integrazione
degli elaborati grafici, e a fronte delle produzioni
documentali del 25.07.2014 ha disposto, il 05.08.2014,
l’operatività della denuncia.
Dipende, invece, come detto, da una scelta del sig. Al.
l’aver atteso il mese di giugno 2014 per presentare la
variante. |
aprile 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
crisi edilizia non giustifica la proroga dei termini del
permesso di costruire.
La crisi economica, che ha afflitto il
settore dell'edilizia, non è un motivo che può consentire la
proroga sic et simpliciter dei termini di inizio e/o fine
lavori del PDC.
Invero, in base all'art. 15 del DPR 06.06.2001 n. 380, i
termini de quibus possono esser prorogati con provvedimento
motivato solo per fatti sopravvenuti estranei alla volontà
del titolare del PDC, o in considerazione della mole
dell'opera da realizzare o di particolari sue
caratteristiche tecnico-costruttive.
La crisi congiunturale dell'edilizia non è pertanto una
valida ragione opponibile all’inutile decorso dei termini
predetti, né per giustificare l'inerzia del titolare del PDC,
perché fa riferimento a considerazioni generiche non
rilevanti rispetto all'obbligo di osservare i tempi d’inizio
e completamento dei lavori.
Inoltre, è jus receptum, che la decadenza costituisce
l’effetto automatico dell’inutile decorso del termine entro
cui i lavori si sarebbero dovuti iniziare e concludere.
Pertanto, essa ha natura non già costitutiva, bensì
dichiarativa con efficacia ex tunc d’un effetto verificatosi
ex se e direttamente.
In tal modo va letto l’art. 15, c. 2, II per. del DPR
380/2001, in virtù del quale, inutilmente decorsi detti
termini, «…il permesso decade di diritto per la parte non
eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga
richiesta una proroga…».
---------------
... per la riforma della
sentenza 14.11.2014 n. 449 del TAR
Abruzzo–Pescara, resa tra le parti e relativa
all’approvazione del nuovo PRG di Lanciano ed alla
classificazione di terreni come agricoli (decadenza dei
permessi di costruire e demolizione di opere edilizie);
...
1. – Il Comune di Lanciano impugna la sentenza con cui il
del TAR Pescara ha accolto il ricorso di una impresa edile,
inerente alla decadenza di essa dai suoi titoli edilizi
(quello originario del 2005 per sei villette; quello in
variante del 2007 per la realizzazione di altre otto) per
effetto o a seguito del nuovo PRG, in virtù del quale le sue
aree d’intervento in parte son state inserite in zona
agricola e sottoposte a vincolo idrogeologico in base alle
disposizione del vigente PAI locale.
2. – Va anzitutto esaminato l’appello incidentale proposto
dalla predetta impresa, in quanto il suo eventuale
accoglimento determinerebbe l’improcedibilità di quello del
Comune.
Quanto al primo motivo incidentale, relativo all’omessa
valutazione, da parte del TAR, della data in cui s’è
verificata la decadenza dei due PDC, predica l’appellante
incidentale che vi sia un differente termine d’inizio e fine
lavori per ciascun titolo edilizio.
Ora, si può discettare se il titolo in variante del 2007
rechi, o no una mera aggiunta di opere del tutto nuove e
diverse rispetto al PDC del 2005 e se vi sia una perfetta
autonomia del secondo dal primo, onde a ciascuno di essi si
applicherebbero i rispettivi termini d’inizio e fine lavori
e per le sole opere colà previste.
Ciò che qui rileva, ai fini della decadenza d’entrambi i PDC,
è che essa non può che operare in via automatica, se non si
verifichi la conclusione dei relativi lavori «… entro il
termine di tre anni dalla data di inizio…» di essi.
A ben vedere, il PDC n. 104/2007 ha disposto sì detta
variante, ma con la conferma delle «… condizioni tutte
prescritte nell’originaria concessione compreso il termine
per l’ultimazione dei lavori…», sicché il dies ad
quem, al momento della disposta decadenza, s’era
consumato non per scelta della P.A., bensì per la
sostanziale incapacità dell’appellante incidentale di
terminare già le sole prime tre villette.
Al riguardo, basta rammentare ciò che disse quest’ultima nel
suo atto per motivi aggiunti in primo grado (pag. 3), quando
fece presente l’inizio dei lavori del PDC originario in data
04.06.2006, ossia ben prima della variante predetta. Né
serve richiamare quindi la giurisprudenza sui criteri
d’interpretazione del provvedimento amministrativo con
clausole contraddittorie, giacché, negli stessi motivi
aggiunti (pag. 4) e alla data del 29.11.2011 «… le
strutture realizzate sono solo tre su otto di cui una sola
porzione ultima (particella 4552) e altre tre da ultimare e
verranno presumibilmente definite nei prossimi 3-5 anni a
causa della crisi economica ed edilizia in atto…».
Sicché, pure ad accedere alla tesi dell’impresa e
tralasciando il termine del PDC del 2005, il termine di
complessivi quattro anni indicati nel PDC del 18.05.2008
alla data del 29.11.2011 era trascorso senza che le opere
della “variante” fossero state ultimate.
Non va sottaciuto certo, a fronte della risposta che
l’appellante incidentale diede al Comune ed alla SCIA del
03.02.2012 per l’ultimazione delle opere a quel tempo ancora
incompiute, il chiaro principio affermato dalla Sezione
(cfr. Cons. St., IV, 06.10.2014 n. 4975) e secondo il quale
la crisi economica, che ha afflitto il settore
dell'edilizia, non è un motivo che può consentire la proroga
sic et simpliciter del PDC.
Invero, in base all'art. 15 del DPR 06.06.2001 n. 380, i
termini de quibus possono esser prorogati con provvedimento
motivato solo per fatti sopravvenuti estranei alla volontà
del titolare del PDC, o in considerazione della mole
dell'opera da realizzare o di particolari sue
caratteristiche tecnico-costruttive.
La crisi congiunturale dell'edilizia non è pertanto una
valida ragione opponibile all’inutile decorso dei termini
predetti, né per giustificare l'inerzia del titolare del PDC,
perché fa riferimento a considerazioni generiche non
rilevanti rispetto all'obbligo di osservare i tempi d’inizio
e completamento dei lavori.
Inoltre, è jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St.,
IV, 07.09.2011 n. 5028; id., 11.04.2014 n. 1747; ma cfr.
pure id., III, 04.04.2013 n. 1870), che la decadenza
costituisce l’effetto automatico dell’inutile decorso del
termine entro cui i lavori si sarebbero dovuti iniziare e
concludere. Pertanto, essa ha natura non già costitutiva,
bensì dichiarativa con efficacia ex tunc d’un effetto
verificatosi ex se e direttamente (giurisprudenza
prevalente: cfr. Cons. St., IV, 04.03.2014 n. 1013).
In tal modo va letto l’art. 15, c. 2, II per. del DPR
380/2001, in virtù del quale, inutilmente decorsi detti
termini, «…il permesso decade di diritto per la parte non
eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga
richiesta una proroga…».
Restano così assorbite tutte le questioni su tal natura
dichiarativa, nonché sulla necessità dell’avviso d’avvio del
procedimento di decadenza —del tutto superfluo nel caso in
esame—, sulle quali il Collegio non può che condividere
quanto statuito dal TAR.
Anzi, come fa presente il Comune di Lanciano, nella specie,
più che il c. 2, s’applica il successivo c. 4, per cui «…
il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti
previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già
iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni
dalla data di inizio…».
Poiché nel caso in esame tutti tali termini erano già
decorsi almeno al 29.11.2011, l’appellante incidentale
nemmeno può godere delle proroghe ex art. 30, c. 3, del DL
21.06.2013 n. 69 e di quelle successivamente intervenute.
Scolorano dunque le questioni sulla compatibilità, o non
delle opere con le prescrizioni del PAI, all’interno della
cui zona di rischio molto elevato ricade una parte
dell’intervento costruttivo dell’appellante incidentale.
Infatti, di completato ed in parte, in via di definizione,
delle tre villette, ce n’è solo una, la quale, quand’anche
non ricadesse del tutto in area PAI P3, comunque sarebbe in
area agricola, donde in ogni caso la rigorosa soggezione di
essa alla valutazione ai sensi non solo dell’art. 14 delle
NTA del nuovo PRG (il quale però subordina la legittimità
dei PDC anteriormente rilasciati per la SOLA loro durata),
ma pure e soprattutto del già citato art. 15, c. 4.
Da ciò discende, una volta appurata siffatta soggezione e
sussistendo dubbi sulla possibilità del loro completamento,
la non necessità, anzi l’inutilità d’acquisire, a cura del
Comune stesso, il parere della competente Autorità di bacino
sugli edifici stessi e sui lavori ancora da definire
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.04.2016 n. 1520 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Applicabilità della disciplina della L.R. n. 15
del 2013 sulla proroga a interventi edilizi avviati, con il
rilascio del titolo edilizio, in vigenza della L.R. n. 31
del 2002 (Regione Emilia Romagna,
parere 23.09.2015 n. 689858 di prot.). |
luglio 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Impresa subentrata, tre anni di proroga.
Permesso di costruire, sentenza Tar Piemonte.
Altro che decaduta dal permesso di costruire. Grazie al
decreto fare l'impresa edile subentrata nella convenzione ha
diritto alla proroga di tre e non di due anni sui termini di
inizio e fine dei lavori di lottizzazione. E ciò perché la
norma del decreto legge 69/2013, così come modificato dalla
legge di conversione 98/2013, va interpretata in senso
favorevole ai progetti edilizi più impegnativi quando c'è
interesse alla conclusione delle opere urbanistiche.
Il differimento opera automaticamente e risulta ammissibile,
anzi dovuta, quando qualora il termine originario è già
venuto a scadenza.
È quanto emerge dalla
sentenza 31.07.2015 n. 1304,
pubblicata dalla II Sez. del TAR Piemonte.
Interesse pubblico.
Accolto il ricorso dell'impresa edile chiamata a dare
attuazione al piano esecutivo per la costruzione di undici
villette residenziali dopo la convenzione firmata fra i
proprietari delle aree e l'amministrazione locale. Sbaglia
il Comune a dichiarare estinto il titolo edilizio per il
mero decorso del tempo.
È vero: la norma introdotta dal decreto fare, riconoscono i
giudici, «non brilla» certo «per chiarezza»,
ma deve essere interpretata nel senso che alla proroga dei
permessi edilizi deve essere riconosciuta una maggiore
ampiezza quando i titoli sono rilasciati per le
lottizzazioni. E ciò non soltanto per le notevoli difficoltà
che le imprese incontrano per portare a termine le
convenzioni: c'è infatti anche un interesse pubblico a che
siano concluse le urbanizzazioni primarie e secondarie.
Non si può infine ignorare la crisi congiunturale che
patiscono le imprese di costruzione. Per la lottizzazione,
dunque, non è prevista la ricorrenza di alcuni presupposti
per l'operatività della proroga triennale: si tratta in
particolare della «previa comunicazione del soggetto
interessato» e della condizione che i termini iniziali e
finali «non siano già decorsi al momento della
comunicazione dell'interessato».
Ecco che è allora illegittimo il provvedimento del Comune:
si dichiara l'impresa decaduta dal permesso di costruire
senza tenere conto della proroga automatica del termine per
l'inizio dei lavori. Spese di giudizio compensate per
l'assoluta novità della questione
(articolo ItaliaOggi Sette dell'08.09.2015). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permessi di costruzione rilasciati a seguito di Piano
Attuativo convenzionato, la proroga triennale opera
automaticamente.
Il confronto testuale tra il comma 3 ed il comma 3-bis
dell’art. 30 del d.l. 69/2013 induce a ritenere, per il
secondo, che il legislatore non abbia prescritto la
ricorrenza di taluni presupposti per l’operatività della
proroga triennale: si tratta, in particolare, della “previa
comunicazione del soggetto interessato” e della condizione
che i termini iniziali e finali “non siano già decorsi al
momento della comunicazione dell’interessato”.
Pertanto, la più lunga proroga triennale dell’efficacia dei
permessi convenzionati opera automaticamente e risulta
ammissibile, ed anzi dovuta, anche qualora il termine
originario sia già venuto a scadenza.
---------------
Come è noto, nella responsabilità da provvedimento
illegittimo l’elemento della colpevolezza resta
presuntivamente ancorato alla illegittimità dell’atto, ma
nel contempo si ammette l’esimente dell’errore scusabile,
dando in tal senso rilevanza giustificativa all’oggettiva
incertezza della situazione di fatto o di diritto, dovuta a
complessità della situazione o a difficoltà interpretative
della norma da applicare o all’esistenza di contrasti
giurisprudenziali, tutti elementi che fanno venir meno la
riferibilità della violazione alla mancanza di diligenza
dell’amministrazione convenuta.
La M.C. s.r.l. ha invocato la proroga dei termini di inizio
e fine lavori ai sensi del comma 3-bis dell’art. 30 del d.l.
n. 69 del 2013 (nel testo modificato dalla legge di
conversione n. 98 del 2013). La norma disciplina
diversamente i presupposti della proroga di efficacia ex
lege, per i titoli edilizi rilasciati nell’ambito di
convenzioni di lottizzazione.
Ed infatti, il comma 3 dell’art. 30 dispone in via generale:
“Salva diversa disciplina regionale, previa comunicazione
del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i
termini di inizio e di ultimazione dei lavori (…), come
indicati nei titoli abilitativi rilasciati o comunque
formatisi antecedentemente all’entrata in vigore del
presente decreto, purché i suddetti termini non siano già
decorsi al momento della comunicazione dell’interessato e
sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto,
al momento della comunicazione dell’interessato, con nuovi
strumenti urbanistici approvati o adottati. È altresì
prorogato di tre anni il termine delle autorizzazioni
paesaggistiche in corso di efficacia alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto”;
il successivo comma 3-bis dell’art. 30, aggiunto in sede di
conversione, dispone più sinteticamente: “Il termine di
validità nonché i termini di inizio e fine lavori
nell’ambito delle convenzioni di lottizzazione di cui
all’articolo 28 della legge 17.08.1942, n. 1150, ovvero
degli accordi similari comunque nominati dalla legislazione
regionale, stipulati sino al 31.12.2012, sono prorogati di
tre anni”.
La seconda disposizione, che pure non brilla per chiarezza
(specialmente per l’incerto collegamento con il comma che
precede), deve necessariamente essere interpretata nel senso
di riconoscere una maggiore ampiezza alla proroga ex lege
dell’efficacia dei permessi rilasciati in attuazione di
convenzioni di lottizzazione comunque denominate, come nella
fattispecie controversa.
Per questi titoli, la ratio del trattamento ancor più
favorevole può essere individuata non soltanto nella
maggiore importanza e complessità degli interventi
costruttivi che solitamente rientrano nei piani attuativi,
ma anche nell’interesse pubblico a portare ad ultimazione il
complesso di opere (specialmente le urbanizzazioni primarie
e secondarie) in uno spazio temporale più lungo, tenendo
conto delle difficoltà in cui versano le imprese del settore
edilizio nell’attuale congiuntura economica.
Il confronto testuale tra il comma 3 ed il comma 3-bis
dell’art. 30 induce a ritenere, per il secondo, che il
legislatore non abbia prescritto la ricorrenza di taluni
presupposti per l’operatività della proroga triennale: si
tratta, in particolare, della “previa comunicazione del
soggetto interessato” e della condizione che i termini
iniziali e finali “non siano già decorsi al momento della
comunicazione dell’interessato”.
Pertanto, la più lunga proroga triennale dell’efficacia dei
permessi convenzionati opera automaticamente e risulta
ammissibile, ed anzi dovuta, anche qualora il termine
originario sia già venuto a scadenza.
Ciò premesso, il Comune di Castiglione Torinese ha
illegittimamente decretato la decadenza del permesso di
costruire n. 68/2008, senza tener conto della proroga
automatica del termine per l’inizio dei lavori fino al
29.09.2013 (doc. 11 di parte ricorrente, con fotografie
allegate).
Ne discende che il provvedimento comunale del 27.02.2014 è
illegittimo e va annullato, assorbita ogni ulteriore censura
ed escluso ogni interesse in ordine alla distinta questione
dell’efficacia dell’autorizzazione paesaggistica, sulla
quale il provvedimento impugnato nulla ha disposto (non
avendo il Comune competenza in materia).
2. Deve invece essere respinta la domanda di risarcimento
del danno, che la società ricorrente ha puntigliosamente
specificato nella memoria conclusiva.
Come è noto, nella responsabilità da provvedimento
illegittimo l’elemento della colpevolezza resta
presuntivamente ancorato alla illegittimità dell’atto, ma
nel contempo si ammette l’esimente dell’errore scusabile,
dando in tal senso rilevanza giustificativa all’oggettiva
incertezza della situazione di fatto o di diritto, dovuta a
complessità della situazione o a difficoltà interpretative
della norma da applicare o all’esistenza di contrasti
giurisprudenziali, tutti elementi che fanno venir meno la
riferibilità della violazione alla mancanza di diligenza
dell’amministrazione convenuta (cfr., tra molte: Cons.
Stato, sez. III, 10.07.2014 n. 3526; Id., sez. III,
06.05.2013 n. 2452; Id., sez. V, 17.02.2013 n. 798).
Difetta, nella specie, la colpa dell’amministrazione.
L’imperfetta formulazione dell’art. 30 del d.l. n. 69 del
2013, soprattutto in relazione al rapporto di specialità
intercorrente tra il comma 3 ed il comma 3-bis, costituisce
un’apprezzabile giustificazione dell’errore in cui è incorso
il Comune di Castiglione Torinese.
Non risulta, peraltro, che su tale profilo vi fossero già
indicazioni interpretative della giurisprudenza
amministrativa.
D’altronde, l’immediato accoglimento dell’istanza cautelare
ha scongiurato il protrarsi degli effetti lesivi del
provvedimento di decadenza, consentendo alla società
ricorrente di riprendere i lavori
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 31.07.2015 n. 1304 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla proroga del termine di esecuzione dei lavori.
La ditta esecutrice dei lavori ha
abbandonato il cantiere rifiutando la riconsegna
dell’immobile, avvenuta solo per provvedimento del Giudice
istruttore del Tribunale di Vicenza il 18.12.1997, e tra le
parti è insorto un contenzioso che ha comportato
l’esecuzione di complesse operazioni peritali dalle quali è
emersa l’esistenza di gravi difformità strutturali, con
rischio di collasso delle strutture, e la necessità di
demolizione e ricostruzione delle opere difformi.
Sicché, tali elementi, riconducibili al contenzioso
giudiziario insorto tra il titolare del titolo edilizio e la
ditta appaltatrice dei lavori, integrano l'ipotesi di "fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del
permesso", idonei a giustificare il rilascio della proroga
del termine di ultimazione dei lavori, perché si tratta di
fatti che sono al di fuori della sfera di controllo del
titolare del titolo edilizio, e la mancata riconsegna
dell’immobile, o la mancata esecuzione dei lavori durante il
tempo occorrente all’esperimento delle perizie disposte
durante il procedimento giurisdizionale o durante il tempo
occorrente a rimediare ai problemi di sicurezza derivanti
dalle difformità strutturali, costituiscono delle vere e
proprie cause di forza maggiore idonee a determinare la
proroga del titolo edilizio.
... del provvedimento comunale 24.02.1999, n. 2155, di
diniego della proroga della scadenza del termine di
ultimazione lavori della concessione edilizia n. 40/96/1.
...
La Società ricorrente è proprietaria nel Comune di Thiene di
una villa in stile “Liberty”.
Con concessione edilizia n. 40/96/1 del 28.06.1996, sono
stati assentiti la ristrutturazione e l’ampliamento
dell’immobile.
I lavori sono iniziati il 18.07.1996, e la ditta esecutrice
ha unilateralmente abbandonato il cantiere dopo circa un
anno in data 25.07.1997.
In data 29.01.1999 la ricorrente ha presentato domanda di
proroga del termine di ultimazione lavori.
Il Comune con nota prot. n. 2155 del 24.02.1999, ha respinto
l’istanza di proroga ritenendo che le motivazioni poste a
fondamento della domanda non siano ascrivibili alla
categoria dei fatti sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare della concessione.
...
Con ordinanza n. 709 del 16.06.1999, è stata accolta la
domanda cautelare.
Il Comune, con concessione edilizia del 01.07.1999, ha
rilasciato la proroga, precisando che il provvedimento è
stato rilasciato in ottemperanza delle sopracitata ordinanza
cautelare.
Alla pubblica udienza del 25.06.2015, la causa è stata
trattenuta in decisione.
Nel caso all’esame il nuovo atto posto in essere
dall'Amministrazione in esecuzione dell'ordinanza cautelare
propulsiva, non comporta la cessazione della materia del
contendere o la sopravvenuta carenza di interesse
all'impugnazione, in quanto l'Amministrazione non ha
eseguito una nuova ed autonoma valutazione dell’originaria
istanza, con una decisione svincolata dal contenzioso
pendente, ma si è espressamente limitata a porre in essere
una doverosa ottemperanza alla pronuncia dotata di immediata
esecutività.
Nel merito il ricorso deve essere accolto.
...
Parimenti fondato è anche il secondo motivo.
L’art. 4, comma 3, della legge 28.01.1977, n. 10, prevede
che il termine di conclusione dei lavori possa essere
prorogato “con provvedimento motivato, solo per fatti
estranei alla volontà del concessionario, che siano
sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione”,
e l’art. 78 della legge regionale 27.06.1985, n. 61, dispone
che “il ritardo nell’esecuzione dei lavori per fatti
sopravvenuti ed estranei alla volontà del titolare della
concessione o autorizzazione consente al Sindaco
l’emanazione di un provvedimento motivato di proroga”.
Nel caso all’esame ricorrono i presupposti di legge, perché
la ditta esecutrice dei lavori ha abbandonato il cantiere
rifiutando la riconsegna dell’immobile, avvenuta solo per
provvedimento del Giudice istruttore del Tribunale di
Vicenza il 18.12.1997, e tra le parti è insorto un
contenzioso che ha comportato l’esecuzione di complesse
operazioni peritali dalle quali è emersa l’esistenza di
gravi difformità strutturali, con rischio di collasso delle
strutture, e la necessità di demolizione e ricostruzione
delle opere difformi.
Contrariamente a quanto affermato dal Comune nell’impugnato
diniego, tali elementi, riconducibili al contenzioso
giudiziario insorto tra il titolare del titolo edilizio e la
ditta appaltatrice dei lavori, integrano l'ipotesi di "fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso",
idonei a giustificare il rilascio della proroga del termine
di ultimazione dei lavori, perché si tratta di fatti che
sono al di fuori della sfera di controllo del titolare del
titolo edilizio, e la mancata riconsegna dell’immobile, o la
mancata esecuzione dei lavori durante il tempo occorrente
all’esperimento delle perizie disposte durante il
procedimento giurisdizionale o durante il tempo occorrente a
rimediare ai problemi di sicurezza derivanti dalle
difformità strutturali, costituiscono delle vere e proprie
cause di forza maggiore idonee a determinare la proroga del
titolo edilizio (cfr. Tar Campania, Salerno, Sez. I,
14.01.2014, n. 107; Tar Lazio, Roma, Sez. II, 07.06.2010, n.
15939; Tar Liguria, Sez. I, 03.04.2003, n. 451; Consiglio di
Stato, Sez. V, 13.05.1996, n. 535) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 24.07.2015 n. 872 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’articolo 30, comma 3, del decreto legge dispone che
“Salva diversa disciplina regionale, previa comunicazione
del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i
termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui
all'articolo 15 del dpr 06.06.2001, n. 380, come indicati nei titoli abilitativi
rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata
in vigore del presente decreto, purché i suddetti termini
non siano già decorsi al momento della comunicazione
dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non
risultino in contrasto, al momento della comunicazione
dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati
o adottati. (...)”.
L’istituto della proroga straordinaria, introdotto in via di
eccezione dalla suddetta disposizione normativa, prevede
alcune rilevanti peculiarità rispetto alla proroga
ordinaria.
Il legislatore ha, invero, espressamente stabilito:
- che il prolungamento dell’efficacia del titolo edilizio
non sia subordinato alla valutazione, da parte del Comune,
della sussistenza dei rigorosi presupposti di cui
all’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, ma
operi a prescindere da ogni verifica in ordine alle
circostanze che determinano il mancato rispetto del termine
originariamente previsto;
- che, conseguentemente, il Comune sia chiamato unicamente a
controllare, a seguito della comunicazione del privato, che
quest’ultimo abbia dichiarato di avvalersi della proroga
legittimamente, ossia in presenza di tutte le condizioni
stabilite direttamente dalla norma primaria;
- che, in particolare, l’operatività della proroga sia
subordinata alla circostanza che l’intervento non si ponga
in contrasto con gli strumenti urbanistici approvati o anche
solo adottati;
- che la proroga operi anche per gli interventi oggetto di
denuncia di inizio di attività o di segnalazione certificata
di inizio di attività, secondo quanto espressamente previsto
dall’articolo 4 del medesimo articolo 30 del decreto legge
n. 69 del 2013 (“La disposizione di cui al comma 3 si
applica anche alle denunce di inizio attività e alle
segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro
lo stesso termine”).
Si tratta, con ogni evidenza, di una previsione di carattere
eccezionale e derogatorio rispetto al sistema, poiché la
durata limitata nel tempo dei titoli edificatori risponde a
esigenze di certezza e di tutela dell’interesse pubblico e
della stessa potestà pianificatoria dei comuni; esigenze,
queste, che sarebbero tutte frustrate dalla previsione della
possibilità del protrarsi a tempo indeterminato delle
attività comportanti la trasformazione del territorio.
L’operatività del nuovo istituto è pertanto –coerentemente– circoscritta dallo stesso legislatore a un periodo
determinato, e le relative previsioni sono valevoli una
tantum.
---------------
Ritiene il Collegio che plurime ragioni inducano a ritenere
che la proroga straordinaria prevista
dal decreto legge n. 69/2013 sia preclusa in ogni
ipotesi di contrasto dell’intervento con gli strumenti
urbanistici adottati o approvati, a prescindere dalla
circostanza che i lavori siano iniziati o meno.
Tale tesi, invero:
- trova riscontro nel tenore letterale della disposizione,
che non reca alcuna distinzione tra le diverse fattispecie
astrattamente ipotizzabili;
- è coerente con la portata eccezionale della disposizione,
che di per sé impone di riconoscere un’interpretazione
restrittiva alla sua portata derogatoria rispetto al
sistema;
- è ragionevole e coerente rispetto alla circostanza che la
previsione opera indiscriminatamente su tutto il territorio
nazionale e non consente alcun margine di valutazione ai
Comuni; e invero, la totale preclusione di operatività della
proroga in ogni caso di contrasto con strumenti urbanistici,
anche solo adottati, trova adeguata giustificazione nella
necessità di contemperare le eccezionali ragioni prese in
considerazione dal legislatore con l’esigenza di
salvaguardare l’autonomia degli Enti locali nell’esercizio
delle proprie prerogative in materia di governo del
territorio.
L’interpretazione letterale è, inoltre, l’unica che possa
logicamente attribuirsi alla disposizione, al fine di
riconoscere una portata applicativa ragionevole alle
condizioni preclusive della proroga previste dal
legislatore. E invero, in caso di incompatibilità
dell’intervento con il piano approvato, la circostanza che i
lavori non siano ancora avviati determina di per sé
l’automatica decadenza del titolo edilizio (ai sensi
dell’articolo 15, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001).
Conseguentemente, l’interpretazione proposta dalla parte
ricorrente attribuirebbe un effettivo ambito di operatività
alla condizione preclusiva della proroga stabilita dal
legislatore nelle sole, limitate, ipotesi di contrasto
dell’intervento, non ancora avviato, con un piano soltanto
adottato, poiché unicamente in questo caso il titolo non
decadrebbe (ai sensi del richiamato articolo 15, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001) e sarebbe, tuttavia, non prorogabile
(per effetto dell’articolo 30, comma 3, del decreto legge n.
69 del 2013).
In definitiva, per tutte le suesposte ragioni, il
Collegio ritiene che la previsione normativa debba
intendersi nel senso che la proroga una tantum sia esclusa
in qualunque ipotesi di contrasto dell’intervento con
strumenti urbanistici adottati o approvati.
1. Con il primo motivo la parte ricorrente allega
l’illegittimità della nota del 20.01.2014, in quanto, a
suo avviso, la possibilità di valersi –con riferimento alla
denuncia di inizio di attività del 14.05.2010– della
proroga del termine per l’ultimazione dei lavori prevista
dall’articolo 30, comma 3, del decreto legge n. 69 del 2013,
non sarebbe preclusa dal contrasto dell’intervento con lo
strumento urbanistico sopravvenuto.
In particolare, il Fallimento ritiene che un’interpretazione
della disposizione condotta alla luce della sua ratio e
della volontà del legislatore dovrebbe indurre a concludere
che la sopravvenienza di strumenti incompatibili
precluderebbe solo la proroga del termine di inizio dei
lavori, ma non anche del termine di conclusione dei lavori
già avviati.
La tesi non può essere condivisa, per le ragioni che di
seguito si espongono.
1.1 L’articolo 30, comma 3, del decreto legge dispone che
“Salva diversa disciplina regionale, previa comunicazione
del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i
termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui
all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380, come indicati nei titoli abilitativi
rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata
in vigore del presente decreto, purché i suddetti termini
non siano già decorsi al momento della comunicazione
dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non
risultino in contrasto, al momento della comunicazione
dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati
o adottati. (...)”.
L’istituto della proroga straordinaria, introdotto in via di
eccezione dalla suddetta disposizione normativa, prevede
alcune rilevanti peculiarità rispetto alla proroga
ordinaria.
Il legislatore ha, invero, espressamente stabilito:
- che il prolungamento dell’efficacia del titolo edilizio
non sia subordinato alla valutazione, da parte del Comune,
della sussistenza dei rigorosi presupposti di cui
all’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, ma
operi a prescindere da ogni verifica in ordine alle
circostanze che determinano il mancato rispetto del termine
originariamente previsto;
- che, conseguentemente, il Comune sia chiamato unicamente a
controllare, a seguito della comunicazione del privato, che
quest’ultimo abbia dichiarato di avvalersi della proroga
legittimamente, ossia in presenza di tutte le condizioni
stabilite direttamente dalla norma primaria;
- che, in particolare, l’operatività della proroga sia
subordinata alla circostanza che l’intervento non si ponga
in contrasto con gli strumenti urbanistici approvati o anche
solo adottati;
- che la proroga operi anche per gli interventi oggetto di
denuncia di inizio di attività o di segnalazione certificata
di inizio di attività, secondo quanto espressamente previsto
dall’articolo 4 del medesimo articolo 30 del decreto legge
n. 69 del 2013 (“La disposizione di cui al comma 3 si
applica anche alle denunce di inizio attività e alle
segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro
lo stesso termine”).
Si tratta, con ogni evidenza, di una previsione di carattere
eccezionale e derogatorio rispetto al sistema, poiché la
durata limitata nel tempo dei titoli edificatori risponde a
esigenze di certezza e di tutela dell’interesse pubblico e
della stessa potestà pianificatoria dei comuni; esigenze,
queste, che sarebbero tutte frustrate dalla previsione della
possibilità del protrarsi a tempo indeterminato delle
attività comportanti la trasformazione del territorio.
L’operatività del nuovo istituto è pertanto –coerentemente– circoscritta dallo stesso legislatore a un periodo
determinato, e le relative previsioni sono valevoli una
tantum.
1.2 Ciò posto, ritiene il Collegio che plurime ragioni
inducano a ritenere che la proroga straordinaria prevista
dal decreto legge n. 69 del 2013 sia preclusa in ogni
ipotesi di contrasto dell’intervento con gli strumenti
urbanistici adottati o approvati, a prescindere dalla
circostanza che i lavori siano iniziati o meno.
Tale tesi, invero:
- trova riscontro nel tenore letterale della disposizione,
che non reca alcuna distinzione tra le diverse fattispecie
astrattamente ipotizzabili;
- è coerente con la portata eccezionale della disposizione,
che di per sé impone di riconoscere un’interpretazione
restrittiva alla sua portata derogatoria rispetto al
sistema;
- è ragionevole e coerente rispetto alla circostanza che la
previsione opera indiscriminatamente su tutto il territorio
nazionale e non consente alcun margine di valutazione ai
Comuni; e invero, la totale preclusione di operatività della
proroga in ogni caso di contrasto con strumenti urbanistici,
anche solo adottati, trova adeguata giustificazione nella
necessità di contemperare le eccezionali ragioni prese in
considerazione dal legislatore con l’esigenza di
salvaguardare l’autonomia degli Enti locali nell’esercizio
delle proprie prerogative in materia di governo del
territorio.
L’interpretazione letterale è, inoltre, l’unica che possa
logicamente attribuirsi alla disposizione, al fine di
riconoscere una portata applicativa ragionevole alle
condizioni preclusive della proroga previste dal
legislatore. E invero, in caso di incompatibilità
dell’intervento con il piano approvato, la circostanza che i
lavori non siano ancora avviati determina di per sé
l’automatica decadenza del titolo edilizio (ai sensi
dell’articolo 15, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001).
Conseguentemente, l’interpretazione proposta dalla parte
ricorrente attribuirebbe un effettivo ambito di operatività
alla condizione preclusiva della proroga stabilita dal
legislatore nelle sole, limitate, ipotesi di contrasto
dell’intervento, non ancora avviato, con un piano soltanto
adottato, poiché unicamente in questo caso il titolo non
decadrebbe (ai sensi del richiamato articolo 15, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001) e sarebbe, tuttavia, non prorogabile
(per effetto dell’articolo 30, comma 3, del decreto legge n.
69 del 2013).
1.3 In definitiva, per tutte le suesposte ragioni, il
Collegio ritiene che la previsione normativa debba
intendersi nel senso che la proroga una tantum sia esclusa
in qualunque ipotesi di contrasto dell’intervento con
strumenti urbanistici adottati o approvati.
Va, conseguentemente, respinto il primo motivo di ricorso
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.07.2015 n. 1764 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
A tenore dell’art. 30, comma 3, del d.l. n.
69/2013, “salva diversa disciplina regionale, previa
comunicazione del soggetto interessato, sono prorogati di
due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di
cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della
Repubblica del 06.06.2001, n. 380, come indicati nei titoli
abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente
all'entrata in vigore del presente decreto purché i suddetti
termini non siano già decorsi al momento della comunicazione
dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non
risultino in contrasto, al momento della comunicazione
dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati
o adottati”.
La disposizione sopra richiamata contempla una proroga dei
termini di inizio e di ultimazione dei lavori correnti ed
assentiti con titoli abilitativi edilizi emessi o comunque
formatisi prima della sua entrata in vigore (in data
22.06.2013).
Si tratta di una proroga ‘speciale’, legata alla peculiare
fase congiunturale di crisi del settore edilizio, ai fini
della quale, a differenza di quella ‘ordinaria’ ex art. 15
del d.p.r. n. 380/2001, l’interessato non deve presentare
alcuna apposita istanza né fornire alcuna giustificazione né
attendere un provvedimento di concessione.
Per ottenere il differimento in parola, è, infatti,
sufficiente presentare una comunicazione, purché, al momento
della stessa, i termini di inizio e di ultimazione dei
lavori non siano ancora decorsi e i titoli abilitativi
emessi non siano in contrasto con nuovi strumenti
urbanistici approvati o adottati.
E’ evidente, dunque, che –come plausibilmente sostenuto da
parte ricorrente– il citato art. 30, comma 3, del d.l. n.
69/2013, con riguardo ai termini di inizio e di ultimazione
dei lavori correnti ed assentiti con titoli abilitativi
edilizi emessi o comunque formatisi prima della sua entrata
in vigore, ha introdotto una proroga operante in via
automatica, in conseguenza della mera comunicazione all’uopo
presentata dall’interessato, senza subordinarla al
verificarsi di particolari circostanze (quali factum
principis o vis maior) e senza statuire distinzioni tra
lavori anteriormente non differiti e lavori anteriormente
già differiti ai sensi dell’art. 15 del d.p.r. n. 380/2001.
E ciò, sia alla luce del tenore letterale della norma (“sono
prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione
dei lavori”), laddove non figura espressamente e non è,
quindi, inferibile alcuna limitazione simile (‘ubi lex non
distinguit, nec nos distinguere debemus’), sia alla luce
della ratio ad essa sottesa, che è quella di agevolare il
completamento delle attività di cantiere avviate e, più in
generale, di favorire il rilancio economico del settore
edilizio.
7. Venendo ora a
scrutinare il ricorso nel merito, esso si rivela fondato per
le ragioni illustrate in appresso.
8. Innanzitutto, giova rammentare che, a tenore dell’art.
30, comma 3, del d.l. n. 69/2013, “salva diversa
disciplina regionale, previa comunicazione del soggetto
interessato, sono prorogati di due anni i termini di inizio
e di ultimazione dei lavori di cui all'articolo 15 del
decreto del Presidente della Repubblica del 06.06.2001, n.
380, come indicati nei titoli abilitativi rilasciati o
comunque formatisi antecedentemente all'entrata in vigore
del presente decreto purché i suddetti termini non siano già
decorsi al momento della comunicazione dell'interessato e
sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto,
al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi
strumenti urbanistici approvati o adottati”.
9. La disposizione sopra richiamata contempla una proroga
dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori correnti
ed assentiti con titoli abilitativi edilizi emessi o
comunque formatisi prima della sua entrata in vigore (in
data 22.06.2013).
Si tratta di una proroga ‘speciale’, legata alla
peculiare fase congiunturale di crisi del settore edilizio,
ai fini della quale, a differenza di quella ‘ordinaria’
ex art. 15 del d.p.r. n. 380/2001, l’interessato non deve
presentare alcuna apposita istanza né fornire alcuna
giustificazione né attendere un provvedimento di
concessione.
Per ottenere il differimento in parola, è, infatti,
sufficiente presentare una comunicazione, purché, al momento
della stessa, i termini di inizio e di ultimazione dei
lavori non siano ancora decorsi e i titoli abilitativi
emessi non siano in contrasto con nuovi strumenti
urbanistici approvati o adottati.
E’ evidente, dunque, che –come plausibilmente sostenuto da
parte ricorrente– il citato art. 30, comma 3, del d.l. n.
69/2013, con riguardo ai termini di inizio e di ultimazione
dei lavori correnti ed assentiti con titoli abilitativi
edilizi emessi o comunque formatisi prima della sua entrata
in vigore, ha introdotto una proroga operante in via
automatica, in conseguenza della mera comunicazione all’uopo
presentata dall’interessato, senza subordinarla al
verificarsi di particolari circostanze (quali factum
principis o vis maior) e senza statuire
distinzioni tra lavori anteriormente non differiti e lavori
anteriormente già differiti ai sensi dell’art. 15 del d.p.r.
n. 380/2001.
E ciò, sia alla luce del tenore letterale della norma (“sono
prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione
dei lavori”), laddove non figura espressamente e non è,
quindi, inferibile alcuna limitazione simile (‘ubi lex
non distinguit, nec nos distinguere debemus’), sia alla
luce della ratio ad essa sottesa, che è quella di
agevolare il completamento delle attività di cantiere
avviate e, più in generale, di favorire il rilancio
economico del settore edilizio.
10. Alla luce delle considerazioni svolte, deve ritenersi
che il Comune di Benevento, sull’erroneo presupposto della
improrogabilità del termine di ultimazione dei lavori (già
differito al 06.11.2013) ai sensi dell’art. 30, comma 3, del
d.l. n. 69/2013, illegittimamente abbia dichiarato la
decadenza dall’assegnazione del lotto n. 7 del comparto D
del del p.i.p. Olivola e irrogato la sanzione pecuniaria di
€ 52.670,00.
Pertanto, il ricorso in epigrafe va accolto, con conseguente
annullamento dell’impugnata determinazione dirigenziale n. 6
del 27.03.2014
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 19.05.2015 n. 2788
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In materia edilizia la
differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo
della concessione edilizia e di proroga dei termini
di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che
mentre il rinnovo della concessione presuppone la
sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio
e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione,
la proroga è atto sfornito di propria autonomia, che accede
all'originaria concessione ed opera semplicemente uno
spostamento in avanti del suo termine (iniziale o finale) di
efficacia.
---------------
Per giurisprudenza pacifica, il termine di durata del
permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente
sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine,
prima della sua scadenza, la presentazione di una formale
istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha
rilasciato il titolo ablativo che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, ciò che avviene solamente nei casi
in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis
ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore.
Ed invero, l'apposizione dei termini di efficacia della
concessione edilizia e gli istituti della proroga (nei casi
consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza
temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un
efficiente controllo sulla conformità dell'intervento
edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo.
---------------
La decadenza dal titolo edilizio opera di diritto e non è
richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento
espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento
diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza che il
Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che
fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo,
costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto
dell'inutile decorso del tempo.
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la
decadenza non solo da un comportamento dei titolari del
permesso di costruire ma anche della Pubblica
Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un
provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili
ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presenterebbero identiche.
---------------
Il provvedimento di pronuncia di decadenza del titolo
edilizio per la sua natura di atto dovuto è espressione di
un potere strettamente vincolato non implicante, quindi,
valutazioni discrezionali ma meri accertamenti tecnici,
senza necessità della comunicazione di avvio del
procedimento.
Ritiene anzitutto il Collegio di condividere le conclusioni
dell’ufficio regionale quanto all’affermata decadenza della
concessione edilizia n. 14/1986 a far data dall’11.03.1990.
Non è superfluo ricordare che in materia edilizia la
differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo
della concessione edilizia e di proroga dei termini
di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che
mentre il rinnovo della concessione presuppone la
sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio
e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione,
la proroga è atto sfornito di propria autonomia, che accede
all'originaria concessione ed opera semplicemente uno
spostamento in avanti del suo termine (iniziale o finale) di
efficacia.
Ebbene, la prima richiesta inoltrata dalla sig.ra P. al
comune di Maracalagonis è inequivocamente una mera richiesta
di proroga, oltretutto immotivata, del termine di validità
della concessione, il cui decorso non era mai stato sospeso
dall’amministrazione che non risulta essere mai stata
investita del problema relativo all’asserita presenza nelle
vicinanze del cantiere di un traliccio dell’alta tensione.
In relazione ad essa il diniego dell’amministrazione è
corretto, restando palesemente infondata la censura con la
quale la ricorrente lamenta che il termine di efficacia
della concessione n. 14/1986 era sospeso per effetto della
predetta situazione di impossibilità nella prosecuzione dei
lavori.
Per giurisprudenza pacifica, infatti, il termine di durata
del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente
sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine,
prima della sua scadenza, la presentazione di una formale
istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha
rilasciato il titolo ablativo che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, ciò che avviene solamente nei casi
in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis
ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore (cfr: Tar
Piemonte, n. 666 del 05.06.2012; Consiglio di Stato, sez. IV,
23.02.2012, n. 974).
Ed invero, l'apposizione dei termini di efficacia della
concessione edilizia e gli istituti della proroga (nei casi
consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza
temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un
efficiente controllo sulla conformità dell'intervento
edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo
(così Cons. di St., V, 23.11.1996, n. 1414).
Mancando nel caso di specie sia una tempestiva richiesta di
proroga, sia un formale provvedimento di sospensione del
termine da parte dell’amministrazione, la concessione
edilizia n. 14/1986 era da ritenersi decaduta fin
dall’11.03.1990.
Sotto questo profilo non è decisivo in senso contrario
l’argomento della ricorrente secondo il quale la decadenza
della concessione doveva essere accertata
dall’amministrazione comunale con un provvedimento espresso
che, a sua volta, doveva essere preceduto dall’avviso di
inizio del procedimento.
In primo luogo, la decadenza dal titolo edilizio opera di
diritto e non è richiesta a tal fine l’adozione di un
provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento
diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza che il
Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che
fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo,
costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto
dell'inutile decorso del tempo (cfr. TAR Pescara, n. 61 del
04.02.2013; Consiglio di Stato, sentenza n. 2915/2012).
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la
decadenza non solo da un comportamento dei titolari del
permesso di costruire ma anche della Pubblica
Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un
provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili
ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presenterebbero identiche (cfr. Tar Roma
sentenza n. 5530/2005; Consiglio di Stato, sentenza n.
2915/2012).
In ogni caso, nella vicenda in esame l’effetto ricognitorio
connesso all’atto di decadenza formale asseritamente
mancante, meramente accertativo –come detto- del verificarsi
del presupposto fattuale del decorso del tempo, ben può
rinvenirsi nella stessa impugnata determina n. 12 del
10.03.2008, nella quale, in parte motiva, si richiama per
esteso la motivazione della nota regionale n. 5252/2008
sopra ricordata che ribadiva la sopravvenuta inefficacia
della concessione edilizia n. 14/1986 per decorso del
termine.
Con riguardo al secondo profilo della censura (mancato invio
dell’avviso di inizio del procedimento), deve invece
rilevarsi che il provvedimento di pronuncia di decadenza del
titolo edilizio per la sua natura di atto dovuto è
espressione di un potere strettamente vincolato non
implicante, quindi, valutazioni discrezionali ma meri
accertamenti tecnici, senza necessità della comunicazione di
avvio del procedimento (cfr: Cons. Stato, Sez. V, n. 5691
dell’08.11.2012) (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 30.10.2014 n. 880 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Permesso di costruire: la crisi congiunturale dell’edilizia
non è motivo che può evitare il diniego di proroga dei
lavori e di dichiarazione di decadenza del permesso di
costruire.
Il Comune legittimamente dichiara la
intervenuta decadenza del permesso di costruire una volta
accertata la impossibilità di accordare la richiesta proroga
e quindi l’inverarsi di una colpevole inerzia
nell’osservanza dei tempi di inizio e completamento dei
lavori, quale presupposto di fatto e di diritto per la
dichiarazione di decadenza.
Quanto al motivo costituito dalla crisi congiunturale
dell’edilizia trattasi, invero, di ragioni di carattere
generale attinenti a considerazioni di tipo economico del
tutto generiche, non aventi, per l’astrattezza delle stesse,
rilevanza alcuna con l’obbligo di osservare i tempi di
inizio e completamento dei lavori, sicché appare del tutto
impossibile considerare la “crisi congiunturale” un motivo
valido per giustificare l’inerzia.
Le doglianze di parte appellante non appaiono condivisibili.
Dunque la richiesta di proroga di che trattasi è stata
avanzata dagli interessati come esposto nel provvedimento in
contestazione, per due precipue ragioni:
a) per le incertezze economiche e finanziarie derivanti
dall’operazione immobiliare in relazione al contenzioso
intercorso col Comune circa la quantificazione del
contributo di costruzione;
b) per la grave crisi economica che ha afflitto il settore
dell’edilizia con le relative, concrete ricadute.
Occorre andare a verificare se tali ragioni collimano con le
circostanze previste dall’art. 15 del DPR n.380/2001 per
farsi luogo alla proroga, come sostenuto dalla parte
appellante, oppure no, come in sostanza assunto
dall’Amministrazione comunale.
Il citato articolo di legge prevede che “i termini
possono essere prorogati con provvedimento motivato per
fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del
permesso” e ancora che … “la proroga può essere
accordata con provvedimento motivato esclusivamente in
considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle
particolari caratteristiche tecnico- costruttive:..”.
Ebbene, il diniego risulta essere stato correttamente
adottato, atteso che le ragioni addotte a sostegno della
richiesta di proroga appaiono eccedere l’ambito naturale
descritto dal citato art. 15 per la concessione del
beneficio de quo.
La norma in questione presuppone infatti una condizione ben
precisa, costituita dalla sopravvenienza di fatti estranei
alla volontà del titolare della concessione edilizia e tali
non sono le circostanze dedotte dai sigg.ri Marconi.
Quanto al motivo costituito dalla crisi congiunturale
dell’edilizia, trattasi invero, di ragioni di carattere
generale attinenti a considerazioni di tipo economico del
tutto generiche, non aventi, per l’astrattezza delle stesse,
rilevanza alcuna con l’obbligo di osservare i tempi di
inizio e completamento dei lavori, sicché appare del tutto
impossibile considerare la “crisi congiunturale” un
motivo valido per giustificare l’inerzia.
Alcuna incidenza diretta e concreta può altresì avere la
pendenza tra le stesse parti del contenzioso in ordine alla
quantificazione del contributo di costruzione, la cui
determinazione, come stabilita dal Comune, peraltro, nasce
ed è conosciuta in coincidenza del rilascio del titolo ad
aedificandum (e non successivamente).
Non si riesce in ogni caso a comprendere invero il ruolo per
così dire “paralizzante” della questione del
quantum degli oneri concessori con riguardo ai termini
fissati dal citato art. 15, se non come circostanza del
tutto estranea alla tempistica dei lavori, dovendosi altresì
rilevare, a voler entrare nell’ottica della “pesantezza”
dei costi finanziari da sostenersi per l’operazione
immobiliare, che non viene data dimostrazione della concreta
incidenza sulla situazione finanziaria degli appellanti e
tenuto altresì conto del fatto che in teoria un eventuale
esito positivo della controversia consentirebbe la
ripetizione degli oneri richiesti (in più) in pagamento.
Ferma restando la inattendibilità ai fini della proroga
delle circostanze addotte, neppure si invera la condizione,
pure prevista dall’art. 15 citato, secondo cui la proroga
potrebbe essere possibile in considerazione della mole
dell’opera da realizzare o delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive: invero circostanze
relative alla difficoltà di esecuzione delle modalità di
realizzazione dell’opera edilizia non vengono minimamente in
rilievo dalla documentazione di causa e comunque non sono
rappresentate dagli interessati e tantomeno documentate.
In definitiva sul punto occorre convenire che a sostegno
della chiesta proroga parte appellante ha posto delle “problematiche”
che non rispondono ai requisiti dettati dall’art. 15 citato,
perché non possono farsi rientrare tra i “fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso”.
Se così è, il Comune ha del pari correttamente proceduto a
dichiarare la intervenuta decadenza del permesso di
costruire, una volta accertata la impossibilità di accordare
la richiesta proroga e quindi l’inverarsi di una colpevole
inerzia nell’osservanza dei tempi di inizio e completamento
dei lavori, quale presupposto di fatto e di diritto per la
dichiarazione di decadenza (cfr. Cons. Stato Sez. IV
07/09/2011 n. 5028; idem 29/01/2008 n. 249) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 06.10.2014 n. 4975 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA: A
seguito della decadenza per mancato completamento dei lavori
il titolare del permesso deve chiedere un nuovo permesso di
costruire per poter realizzare la parte di lavori non
eseguita salvo che essi rientrino tra quelli soggetti a
denuncia di inizio di attività e salvo eventuale ricalcolo
del contributo di costruzione.
---------------
La proroga presuppone che il permesso di costruire non sia
ancora decaduto (in altri termini la proroga –che oltretutto
presuppone fatti sopravvenuti non dipendenti dalla volontà
del titolare del permesso– va chiesta prima della scadenza
del termine di ultimazione dei lavori).
Quale che sia la soluzione, è però innegabile che al più tardi alla data
del 26.04.2008 il permesso di costruire n. 54 del 2004
aveva perduto ogni attitudine a produrre effetti giuridici.
Di conseguenza esso non avrebbe potuto essere oggetto di
proroga, dato che a seguito della decadenza per mancato
completamento dei lavori il titolare del permesso deve
chiedere un nuovo permesso di costruire per poter realizzare
la parte di lavori non eseguita salvo che essi rientrino tra
quelli soggetti a denuncia di inizio di attività e salvo
eventuale ricalcolo del contributo di costruzione (cfr.
articolo 15, comma 3, D.P.R. 06.06.2001, n. 380).
E’ quindi in base a questo principio che va operata la
qualificazione dell’atto di proroga del 14.07.2009 del
comune, tenendo presente che gli atti amministrativi devono
essere qualificati in base alle loro oggettive
caratteristiche a prescindere dal nomen usato.
Ciò premesso
è evidente la volontà del redattore dell’atto di limitarsi a
una proroga del precedente permesso (sintomatico è che
quest’ultimo sia richiamato e che l’efficacia della proroga
sia limitata a un anno, mentre se si fosse trattato del
rilascio del permesso di costruire per la parte di lavori
non eseguiti sarebbero stati richiesti e acquisiti elaborati
grafici e sarebbero stati fissati nuovi termini per inizio e
completamento dei lavori); nella fattispecie quindi si
tratta di proroga; tuttavia l’atto è chiaramente illegittimo
dato che la proroga presuppone che il permesso di costruire
non sia ancora decaduto (in altri termini la proroga –che
oltretutto presuppone fatti sopravvenuti non dipendenti
dalla volontà del titolare del permesso– va chiesta prima
della scadenza del termine di ultimazione dei lavori)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 24.07.2014 n. 651 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La
pronunzia di decadenza del permesso di costruire è connotata
da un carattere strettamente vincolato, dovuto
all'accertamento del mancato inizio e completamento dei
lavori entro i termini stabiliti ed ha natura ricognitiva
del venir meno degli effetti del permesso a costruire per
l'inerzia del titolare a darvi attuazione. Pertanto, un tale
provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un
effetto verificatosi ex se, in via diretta, con
l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente
decorrenza ex tunc.
Al
contrario, la proroga dei termini stabiliti da un
atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento
di secondo grado, in quanto modifica, ancorché parzialmente,
il complesso degli effetti giuridici delineati dall'atto
originario.
Nell’ambito della materia
edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di
rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini
di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che,
mentre il rinnovo della concessione presuppone la
sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio
e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione,
la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede
all'originaria concessione ed opera semplicemente uno
spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia.
La proroga è quindi disposta con provvedimento motivato
sulla scorta di una valutazione discrezionale, che in
termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni
oggettive che la giustificano, tenendo presente che, proprio
perché il risultato è quello di consentire una deroga alla
disciplina generale in tema di edificazione, i presupposti
che fondano la richiesta di proroga sono espressamente
indicati in norma e sono di stretta interpretazione.
---------------
La proroga può aver luogo per factum principis, ossia, come afferma la norma, “per
fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del
permesso” o per ragioni collegate alla natura
dell’opera, ossia “esclusivamente in considerazione della
mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti
di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più
esercizi finanziari”.
In secondo luogo, la disciplina
dell’art. 15 “Efficacia temporale e decadenza del permesso
di costruire” del d.P.R. 06.06.2001 n. 380 “Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia” mette in luce l’esistenza di un diverso regime che
distingue, da un lato, il provvedimento di decadenza da
quello di proroga e, all’interno delle tipologie di proroga,
quella determinata dal sopravvenire di un fatto esterno da
quella determinata da profili ontologici dell’opera.
La prima diade si basa sulla distanza esistente tra un
provvedimento legato ai soli presupposti di legge e uno
caratterizzato dalla scelta discrezionale. Infatti, la
pronunzia di decadenza del permesso di costruire è connotata
da un carattere strettamente vincolato, dovuto
all'accertamento del mancato inizio e completamento dei
lavori entro i termini stabiliti ed ha natura ricognitiva
del venir meno degli effetti del permesso a costruire per
l'inerzia del titolare a darvi attuazione. Pertanto, un tale
provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un
effetto verificatosi ex se, in via diretta, con
l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente
decorrenza ex tunc (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV,
21.08.2013, n. 4206; id., 07.09.2011, n. 5028).
Al
contrario, la proroga dei termini stabiliti da un atto
amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di
secondo grado, in quanto modifica, ancorché parzialmente, il
complesso degli effetti giuridici delineati dall'atto
originario (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 18.09.2008, n. 4498).
Nell’ambito della materia
edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di
rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini
di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che,
mentre il rinnovo della concessione presuppone la
sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio
e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione,
la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede
all'originaria concessione ed opera semplicemente uno
spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia.
La proroga è quindi disposta con provvedimento motivato
sulla scorta di una valutazione discrezionale, che in
termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni
oggettive che la giustificano, tenendo presente che, proprio
perché il risultato è quello di consentire una deroga alla
disciplina generale in tema di edificazione, i presupposti
che fondano la richiesta di proroga sono espressamente
indicati in norma e sono di stretta interpretazione.
La seconda diade evidenzia come la proroga possa aver luogo
per factum principis, ossia, come afferma la norma, “per
fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del
permesso” o per ragioni collegate alla natura
dell’opera, ossia “esclusivamente in considerazione della
mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti
di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più
esercizi finanziari”
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.03.2014 n. 1013 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA: S.
Calvetti,
Permesso di costruire: la proroga non può essere negata per
vizi del titolo abilitativo (Urbanistica e appalti n. 7/2013). |
aprile 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001,
rubricato “efficacia temporale e decadenza del permesso di
costruire”, il termine per l’inizio dei lavori non può
essere superiore ad un anno. Il suddetto termine può essere
prorogato, con provvedimento motivato, per fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del
permesso. Ciò nondimeno, decorso il termine, il permesso
decade di diritto per la parte non eseguita (cfr. comma 2).
La richiamata disposizione mira ad assicurare la certezza
temporale dell’attività di trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un
efficiente controllo sulla conformità dell’intervento
edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo.
L’unanime giurisprudenza ha affermato che la decadenza della
concessione edilizia per mancata osservanza del termine di
inizio lavori opera di diritto e il provvedimento
pronunciante la decadenza ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via
diretta, con l’infruttuoso decorso del termine fissato dalla
legge.
In materia è stato poi sostenuto che l’eventuale sospensione
del termine di durata di un titolo edilizio non può
realizzarsi in via automatica, essendo a tal fine necessaria
la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve
seguire un provvedimento motivato dell’amministrazione che
accerti l’impossibilità del rispetto del termine per “factum
principis”, ovvero per l’insorgenza di una causa di forza
maggiore.
---------------
L’amministrazione, di fronte a una richiesta di proroga di
un titolo non più sussistente (scaduto), non può fare altro
che prendere atto dell’intervenuta decadenza con un
provvedimento di natura dichiarativa. In altri termini, allo
scadere del termine di inizio lavori, l’amministrazione non
dispone più del potere dilatorio previsto dalla legge e il
cui esercizio è invece invocato con l’istanza de qua al di
fuori dell’alveo normativo.
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Lo stesso ricorrente rappresenta in fatto che il termine
annuale per l’inizio dei lavori di realizzazione del
deposito di cui al permesso di costruire n. 96/2004 è
scaduto in data 22.02.2008. Solo in data successiva
(e, segnatamente, una prima volta il 28.02.2008 e, una
seconda, il 13.10.2011), l’interessato si è attivato
per richiedere la proroga del termine. Domanda sulla quale
con l’odierno gravame chiede l’accertamento dell’illegittima
inerzia del Comune.
E’ necessario premettere, che ai sensi dell’art. 15 del
D.P.R. n. 380/2001, rubricato “efficacia temporale e
decadenza del permesso di costruire”, il termine per
l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno. Il
suddetto termine può essere prorogato, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso. Ciò nondimeno, decorso il termine, il
permesso decade di diritto per la parte non eseguita (cfr.
comma 2).
La richiamata disposizione mira ad assicurare la
certezza temporale dell’attività di trasformazione edilizia
ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un
efficiente controllo sulla conformità dell’intervento
edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo
(TAR Liguria, Genova, 08.01.2013, n. 34). L’unanime
giurisprudenza ha affermato che la decadenza della
concessione edilizia per mancata osservanza del termine di
inizio lavori opera di diritto e il provvedimento
pronunciante la decadenza ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via
diretta, con l’infruttuoso decorso del termine fissato dalla
legge (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 18.05.2012, n. 2915).
In materia è stato poi sostenuto che
l’eventuale sospensione del termine di durata di un titolo
edilizio non può realizzarsi in via automatica, essendo a
tal fine necessaria la presentazione di una formale istanza
di proroga, cui deve seguire un provvedimento motivato
dell’amministrazione che accerti l’impossibilità del
rispetto del termine per “factum principis”, ovvero per
l’insorgenza di una causa di forza maggiore.
Tornando al caso che occupa, si deve quindi ritenere, da una
parte, che l’intervenuto sequestro dell’area non ha
determinato ex se la sospensione del termine annuale
assegnato per la realizzazione dei lavori, dall’altra, che
il permesso di costruire, in assenza di una formale
richiesta di proroga (entro la scadenza del termine) è ormai
decaduto. E ciò per il solo fatto del verificarsi del
presupposto previsto dalla legge, costituito dal mancato
inizio dell’attività edificatoria nel periodo assegnato.
Dunque, la richiesta di proroga è intervenuta allorquando il
permesso di costruire aveva ormai esaurito i suoi effetti.
Chiariti i contorni della questione, deve affermarsi che
nessuna inerzia può imputarsi al Comune avverso la quale si
possa invocare la tutela offerta dallo strumento processuale
di cui all’art. 117 c.p.a. Il silenzio-rifiuto disciplinato
dall'ordinamento, infatti, è istituto riconducibile a
inadempienza dell’amministrazione, in rapporto a un
sussistente obbligo di provvedere, che può discendere dalla
legge, da un regolamento o anche da un atto di
autolimitazione dell'amministrazione stessa, e in ogni caso
deve corrispondere ad una situazione soggettiva protetta,
qualificata come tale dall'ordinamento; al di là
dell'obbligo normativamente imposto alla pubblica
amministrazione di concludere il procedimento mediante
l'adozione di un provvedimento espresso e motivato, siccome
previsto dagli artt. 2 e 3, l. 07.08.1990 n. 241,
l'amministrazione è parimenti tenuta a pronunciarsi laddove
ragioni di giustizia ed equità le impongono l'adozione di un
provvedimento, nonché tutte le volte in cui, in relazione al
dovere di correttezza e di buona amministrazione, sorga per
il privato una legittima aspettativa a conoscere il
contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative,
quali che esse siano (ex multis, TAR Puglia, Lecce, 12.11.2012, n. 1863).
Nella fattispecie, per espressa previsione normativa,
l’amministrazione, di fronte a una richiesta di proroga di
un titolo non più sussistente, non potrebbe fare altro che
prendere atto dell’intervenuta decadenza con un
provvedimento di natura dichiarativa. In altri termini, allo
scadere del termine di inizio lavori, l’amministrazione non
dispone più del potere dilatorio previsto dalla legge e il
cui esercizio è invece invocato con l’istanza de qua al di
fuori dell’alveo normativo.
Deve, pertanto, concludersi che l’istanza in questione è
inidonea a fondare un obbligo di provvedere in capo
all’amministrazione comunale e la domanda di accertamento
giudiziale dell’inerzia colpevole della stessa deve essere
respinta (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 08.04.2013 n. 1864 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2013 |
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EDILIZIA
PRIVATA: I
fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del
termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi
dell'art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un
rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di
valutazione e di verifica in sede amministrativa qualora
l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga.
Con ulteriore censura i ricorrenti si dolgono
dell’eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti
atti e travisamento, dato che l’opera abusiva è collegata
alla C.E. 710/80 (come attestato nell’ordinanza di
demolizione) e non alla C.E. 523/77: in questo modo il
Comune avrebbe indebitamente evitato di applicare la
normativa regionale entrata in vigore nel 1980.
Anche detta prospettazione non è condivisibile.
Ai sensi dell’art. 31 della L. 1150/1942 “La licenza
edilizia non può avere validità superiore ad un anno;
qualora entro tale termine i lavori non siano stati iniziati
l'interessato dovrà presentare istanza diretta ad ottenere
il rinnovo della licenza”.
L’art. 4, comma 4, della L. 10/1977 puntualizza che “Il termine
per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno;
il termine di ultimazione, entro il quale l'opera deve
essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre
anni e può essere prorogato, con provvedimento motivato,
solo per fatti estranei alla volontà del concessionario, che
siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro
esecuzione. Un periodo più lungo per l'ultimazione dei
lavori può essere concesso esclusivamente in considerazione
della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive; ovvero quando si tratti
di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più
esercizi finanziari”.
La giurisprudenza –intervenuta sull’art. 15, comma 2, del
D.P.R. 380/2001 formulato in modo analogo all’art. 4– ha
affermato che i fatti sopravvenuti che possono legittimare
la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori
ai sensi dell'art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001, non
hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto
di valutazione e di verifica in sede amministrativa qualora
l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga
(Consiglio di Stato, sez. IV – 10/08/2007 n. 4423).
Ciò premesso in punto di diritto, osserva il Collegio che la
concessione edilizia n. 710/80, in quanto non ritirata dal
richiedente, non ha mai avuto un principio di attuazione ed
è irrimediabilmente decaduta essendo spirati i termini per
l’inizio e l’ultimazione dei lavori. Per questo il Comune ha
potuto unicamente fare riferimento (in sede di attivazione
del procedimento repressivo) al titolo abilitativo n.
523/77, l’unico che risultava operativo in quanto
regolarmente portato ad esecuzione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 14.01.2013 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In materia edilizia, la
differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della
concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione
dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo
della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia
dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti
gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto
sfornito di propria autonomia, che accede all'originaria
concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti
del suo termine (iniziale o finale) di efficacia.
---------------
Sia l'apposizione dei termini di efficacia della concessione
edilizia che gli istituti della proroga (nei casi consentiti
dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R.
06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza
temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un
efficiente controllo sulla conformità dell'intervento
edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo,
certezza che verrebbe frustrata se fosse consentito alla
parte di dissimulare una richiesta di proroga sotto il falso
nomen juris del “rinnovo”, con ciò potendo anche più volte
rinviare –a proprio piacimento e senza soggiacere alle
condizioni previste dalla legge– il termine di inizio e di
fine dei lavori.
-------------
E' illegittima la proroga del permesso di costruire ex art.
15 D.P.R. n. 380/2001 senza che ne sussistano i presupposti
e –in ogni caso– senza alcuna istruttoria o motivazione sul
punto, laddove il comune acriticamente ha aderito alla
qualificazione in termini di rinnovo proposta -pro domo sua-
dalla parte interessata, che non aveva ancora dato inizio ai
lavori nell’imminenza del termine di scadenza, oltretutto
già prorogato una prima volta.
Tanto più che, nella fattispecie, non sono sopravvenuti
fatti impeditivi estranei alla volontà del titolare del
permesso, e che non si tratta né di un’opera pubblica, né di
un’opera di grandi dimensioni o di particolari
caratteristiche tecnico-costruttive.
---------------
L'annullamento dell’originario permesso di costruire
sortisce l'effetto della caducazione della successiva
variante in corso d’opera, secondo il meccanismo della così
detta “invalidità derivata ad effetto caducante”, poiché
priva di una propria autonomia dispositiva.
E’ noto che, in materia edilizia, la differente
qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della
concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione
dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo
della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia
dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti
gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto
sfornito di propria autonomia, che accede all'originaria
concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti
del suo termine (iniziale o finale) di efficacia.
Ciò posto, dirimente ai fini della corretta qualificazione
del titolo edilizio impugnato appare –a parere del collegio– la circostanza che entrambe le istanze di rinnovo
dell’originario permesso di costruire 31.08.2006 (depositate
–rispettivamente- in data 25.08.2007 e 29.08.2008, docc. 3 e
4 delle produzioni 15.10.2011 di parte controinteressata)
siano state presentate allorché il titolo da rinnovare era
ancora efficace (essendo stato rilasciato il primo permesso
in data 31.08.2006 ed il primo rinnovo in data 06.09.2007), in
prossimità della scadenza del termine di inizio dei lavori
ed in mancanza dell’avvio degli stessi (iniziati soltanto in
data 16.10.2009, doc. 1 delle produzioni 08.11.2012 di parte
comunale).
Se a ciò si aggiunge che esse riguardavano il medesimo
intervento edilizio, risulta evidente come le istanze stesse
mirassero in realtà a scongiurare la decadenza del titolo
per mancato inizio dei lavori nel termine annuale, cioè a
conseguire –propriamente– una proroga dello stesso ex art.
15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001.
Né vale eccepire che nulla impedisce a chi abbia un titolo
edilizio di chiederne un altro, sostitutivo del primo, pur
in costanza di efficacia dello stesso.
Al contrario, infatti, la volontà dell’interessato trova un
limite invalicabile nel principio di tipicità e di legalità
dei poteri amministrativi, nonché nelle norme regolatrici
dell'azione amministrativa.
Orbene, sia l'apposizione dei termini di efficacia della
concessione edilizia che gli istituti della proroga (nei
casi consentiti dalla legge) e della decadenza di cui
all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la
certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia
ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un
efficiente controllo sulla conformità dell'intervento
edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo
(così Cons. di St., V, 23.11.1996, n. 1414), certezza che
verrebbe frustrata se fosse consentito alla parte di
dissimulare una richiesta di proroga sotto il falso nomen
juris del “rinnovo”, con ciò potendo anche più volte
rinviare –a proprio piacimento e senza soggiacere alle
condizioni previste dalla legge– il termine di inizio e di
fine dei lavori.
Dunque, il permesso di costruire impugnato (17.10.2008, prot.
19551/08) integra -propriamente- una proroga ex art. 15,
comma 2, D.P.R. n. 380/2001 del termine di inizio dei lavori.
Sennonché, come correttamente eccepito dalle ricorrenti con
il secondo motivo di ricorso, tale proroga è stata
rilasciata in violazione dell’art. 15 D.P.R. n. 380/2001,
senza che ne sussistessero i presupposti e –in ogni caso–
senza alcuna istruttoria o motivazione sul punto, avendo il
comune acriticamente aderito alla qualificazione in termini
di rinnovo proposta -pro domo sua- dalla parte
interessata, che non aveva ancora dato inizio ai lavori
nell’imminenza del termine di scadenza, oltretutto già
prorogato una prima volta.
E’ infatti pacifico che non siano sopravvenuti fatti
impeditivi estranei alla volontà del titolare del permesso,
e che non si tratti né di un’opera pubblica, né di un’opera
di grandi dimensioni o di particolari caratteristiche
tecnico-costruttive (circostanze, del resto, neppure
dedotte).
Donde la fondatezza della domanda impugnatoria, con
assorbimento degli altri motivi di gravame.
L’annullamento del titolo edilizio principale determina
l’accoglimento dei motivi aggiunti, nella parte relativa
all’impugnazione del silenzio (avente valore di
provvedimento implicito di diniego dell’adozione del
provvedimento inibitorio, cfr. Cons. di St., Ad. Plen.,
29.07.2011, n. 15; Cons. di St., IV, 26.07.2012, n. 4255)
serbato dal comune sulla dichiarazione di inizio di attività
presentata in data 02.11.2010 dalla controinteressata Lenzi
Gabriella Maria (doc. 8 delle produzioni 15.10.2011 di parte
controinteressata), in variante al permesso di costruire
17.10.2008.
Difatti, l'annullamento dell’originario permesso di
costruire sortisce l'effetto della caducazione della
successiva variante in corso d’opera, secondo il meccanismo
della così detta “invalidità derivata ad effetto caducante”,
poiché priva di una propria autonomia dispositiva (TAR
Lombardia, II, 02.09.2011, n. 2149)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 08.01.2013 n. 34 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2012 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La
proroga del termine di inizio e/o ultimazione dei lavori
“può essere accordata, con provvedimento motivato,
esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da
realizzare, delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere
pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi
finanziari”.
La ratio complessiva della disciplina ex art. 15 dpr
380/2001 consiste evidentemente nel mantenere il controllo
sull’attività di edificazione, che è ovviamente operazione
materiale non istantanea, non solo al momento del rilascio
del titolo abilitativo ma anche “in progress”, in maniera da
garantirne, entro limiti temporali ragionevoli e finché
l’opera non sia stata sostanzialmente compiuta, la
persistente conformità alla disciplina urbanistico-edilizia
vigente non solo al momento del rilascio del permesso di
costruire ma anche al momento (che potrebbe essere
temporalmente molto successivo) della realizzazione
dell’opera, allo scopo, quindi, di evitare che una
edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime
urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo
consente più.
---------------
Il primo presupposto fattuale dal quali
muove il provvedimento di diniego è la circostanza che i
lavori non erano iniziati entro l’anno dalla data di
rilascio della concessione edilizia né erano in corso alla
data del provvedimento.
Altra circostanza di fatto rilevante è la sopravvenienza di
disposizioni urbanistiche (puntualmente richiamate nel
provvedimento di diniego) che non avrebbero consentito la
realizzazione del richiesto intervento.
Orbene, se si tiene conto del preciso disposto del ripetuto
comma 4 dell’art. 15 (“il permesso decade con l’entrata in
vigore di contrastanti previsione urbanistiche, salvo che i
lavori siano già iniziati e vengano completati entro il
termine di tre anni dalla data di inizio”), è del tutto
evidente la irrilevanza dei “fatti sopravvenuti estranei
alla volontà del titolare”, idonei ad evitare la decadenza
nel caso del mancato rispetto dei termini di inizio e
ultimazione dei lavori (di cui al comma 2 dell’art. 15)
rispetto alla diversa questione della decadenza “legale” per
effetto dell’entrata in vigore di contrastanti previsioni
urbanistiche, per la quale non è prevista alcuna ipotesi di
non imputabilità ma solo la ricorrenza di precisi
presupposti di fatto -l’intervenuto inizio dei lavori e il
loro completamento entro il termine di tre anni dalla data
di inizio- pacificamente non sussistenti nella specie.
Del resto, la circostanza che l’interessata non abbia potuto
chiedere tempestivamente la proroga (prima delle scadenze
temporali contenute nel titolo), stante l’intervenuto
sequestro del titolo da parte dell’Autorità giudiziaria
penale, non vale affatto ai fini dell’integrazione delle
condizioni previste dal comma 4 per evitare la decadenza per
effetto dell’entrata in vigore di contrastanti previsioni
urbanistiche, giacché anche un titolo in corso di validità
(non decaduto, cioè, per il decorso del tempo) vi è soggetto
sempre che non si inverino per l’appunto le condizioni
richieste (si pensi al caso della edificazione consentita da
un titolo che decada per effetto di sopravvenute
contrastanti previsioni entro l’anno dal rilascio ove i
lavori non siano già iniziati).
Giova anzitutto richiamare
l’art. 15 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (testo unico
edilizia) che disciplina l’efficacia temporale e la
decadenza del permesso di costruire, puntualmente statuendo
che “nel permesso di costruire sono indicati i termini di
inizio e di ultimazione dei lavori”; che “il termine per
l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal
rilascio del titolo”; che “quello di ultimazione, entro
il quale l’opera deve essere completata non può superare i
tre anni dall’inizio dei lavori”, che “entrambi i
termini possono essere prorogati, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso” e che “decorsi tali termini il
permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne
che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga”.
Tale proroga “può essere accordata, con provvedimento
motivato, esclusivamente in considerazione della mole
dell’opera da realizzare, delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti
di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più
esercizi finanziari”.
Il successivo comma 3 stabilisce, inoltre, che “la
realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel
termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo
permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le
stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante
denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22”
e, in tale caso, “si procede altresì ove necessario al
ricalcolo del contributo di costruzione”; infine (comma
4), “il permesso decade con l’entrata in vigore di
contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori
siano già iniziati e vengano completati entro il termine di
tre anni dalla data di inizio”.
La ratio complessiva della disciplina sopra
richiamata consiste evidentemente nel mantenere il controllo
sull’attività di edificazione, che è ovviamente operazione
materiale non istantanea, non solo al momento del rilascio
del titolo abilitativo ma anche “in progress”, in
maniera da garantirne, entro limiti temporali ragionevoli e
finché l’opera non sia stata sostanzialmente compiuta, la
persistente conformità alla disciplina urbanistico-edilizia
vigente non solo al momento del rilascio del permesso di
costruire ma anche al momento (che potrebbe essere
temporalmente molto successivo) della realizzazione
dell’opera, allo scopo, quindi, di evitare che una
edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime
urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo
consente più (cfr. TAR Lazio, Roma, sez.II-ter, 06.12.2011,
n. 9600 e TAR Marche, 20.04.2010, n. 193).
In tal senso, l’edificazione in corso è normativamente
condizionata a precisi requisiti (di fatto e temporali) ove
risulti non (più) conforme ad eventuali sopravvenienze
normative.
Per converso, la medesima disciplina stabilisce
normativamente il punto di equilibrio tra i diritti quesiti
del concessionario (la sua aspettativa a realizzare l’opera
così come autorizzata con il titolo abilitativi) e
l’interesse pubblico al rispetto delle regolamentazioni
sopravvenute, individuandolo nell’inizio dei lavori e nella
loro conclusione in termini stabiliti (un anno dal rilascio
e tre anni dalla data di inizio dei lavori).
In sostanza, la disciplina sostanziale richiede un continuo
confronto (bilanciamento) tra quanto è stato autorizzato,
quanto è stato realizzato (o si confida verrà realizzato nel
tempo stabilito) e le sopravvenienze, che in linea di
principio restano il parametro al quale conformare gli
interventi edilizi in corso o futuri.
---------------
Giova evidenziare che il primo presupposto fattuale dal
quali muove il provvedimento di diniego è la circostanza,
incontestata, che i lavori non erano iniziati entro l’anno
dalla data di rilascio della concessione edilizia né erano
in corso alla data del provvedimento.
Altra circostanza di fatto rilevante (e del pari
incontestata) è la sopravvenienza di disposizioni
urbanistiche (puntualmente richiamate nel provvedimento di
diniego) che non avrebbero consentito la realizzazione del
richiesto intervento.
Orbene, se si tiene conto del preciso disposto del ripetuto
comma 4 dell’art. 15 (“il permesso decade con l’entrata
in vigore di contrastanti previsione urbanistiche, salvo che
i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il
termine di tre anni dalla data di inizio”), è del tutto
evidente la irrilevanza dei “fatti sopravvenuti estranei
alla volontà del titolare”, idonei ad evitare la
decadenza nel caso del mancato rispetto dei termini di
inizio e ultimazione dei lavori (di cui al comma 2 dell’art.
15) rispetto alla diversa questione della decadenza “legale”
per effetto dell’entrata in vigore di contrastanti
previsioni urbanistiche, per la quale non è prevista alcuna
ipotesi di non imputabilità ma solo la ricorrenza di precisi
presupposti di fatto -l’intervenuto inizio dei lavori e il
loro completamento entro il termine di tre anni dalla data
di inizio- pacificamente non sussistenti nella specie.
Del resto, la circostanza, sulla quale il ricorso si
dilunga, che l’interessata non abbia potuto chiedere
tempestivamente la proroga (prima delle scadenze temporali
contenute nel titolo), stante l’intervenuto sequestro del
titolo da parte dell’Autorità giudiziaria penale, non vale
affatto ai fini dell’integrazione delle condizioni previste
dal comma 4 per evitare la decadenza per effetto
dell’entrata in vigore di contrastanti previsioni
urbanistiche, giacché anche un titolo in corso di validità
(non decaduto, cioè, per il decorso del tempo) vi è soggetto
sempre che non si inverino per l’appunto le condizioni
richieste (si pensi al caso della edificazione consentita da
un titolo che decada per effetto di sopravvenute
contrastanti previsioni entro l’anno dal rilascio ove i
lavori non siano già iniziati) (TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 25.10.2012 n.
694
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Proroga termine validità concessione edilizia.
L’efficacia temporale dei titoli edilizi, com’è noto,
decorre con la comunicazione dell’inizio dei lavori e
termina con quella di comunicazione di fine dei lavori. L’eventuale protrazione della validità del titolo edilizio può
essere accordata solo nel caso di presentazione della
proroga prima della scadenza del titolo stesso.
Tuttavia,
l’efficacia di quest’ultimo non può essere posticipata
nell’ipotesi in cui, vi è una formale comunicazione
dell’avvenuta ultimazione delle opere edilizie. Inoltre, non
può nemmeno invocarsi il fatto che la comunicazione di
ultimazione dei lavori è stata effettuata al solo fine di
ottenere l’agibilità dei fabbricati, dacché
propedeutico all’attestazione della conformità ai requisiti
igienico-sanitari e di sicurezza dell’edificio è
l’adempimento dell’avvenuto collaudo o certificato di
regolare esecuzione delle opere.
I titoli edilizi hanno, com’è
noto, efficacia temporale che decorre, in particolare, con
la comunicazione dell’inizio dei lavori e termina con quella
di comunicazione di fine dei lavori.
La protrazione della validità del titolo edilizio può essere
accordata in relazione alla presentazione di proroga prima
della scadenza del titolo stesso, ma l’efficacia del
medesimo non può essere posticipata nell’ipotesi in cui,
come nella specie, è la concessionaria stessa a far presente
con formale comunicazione l’avvenuta ultimazione delle opere
edilizie.
Né può invocarsi il fatto che la comunicazione di
ultimazione dei lavori è stata effettuata al solo fine di
ottenere l’agibilità dei fabbricati, dacché propedeutico
all’attestazione della conformità ai requisiti
igienico-sanitari e di sicurezza dell’edificio è
l’adempimento dell’avvenuto collaudo o certificato di
regolare esecuzione delle opere (artt. 23, 24 e 25 del Testo
unico sull’edilizia di cui al DPR n. 320/2001)
(massima
tratta da www.lexambiente.it - Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza
01.08.2012 n.
4403 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2012 |
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EDILIZIA PRIVATA: L’istanza di proroga motivata
sulla sussistenza di fatti sopravvenuti
estranei alla volontà del titolare deve
essere in ogni caso presentata prima che il
titolo edilizio venga a scadere.
Si aggiunga che la tesi della sospensione
automatica del permesso di costruire in
presenza di fatti impeditivi non imputabili
all’avente diritto si infrange contro il
prevalente orientamento espresso dal
Consiglio di Stato.
Difatti, posto che l’eventuale pronuncia di
decadenza del permesso di costruire è
espressione di un potere strettamente
vincolato con natura ricognitiva e con
decorrenza ex tunc (giacché accerta il venir
meno degli effetti del titolo edilizio in
conseguenza dell'inerzia del titolare ovvero
della sopravvenienza di contrastanti
previsioni urbanistiche), si è
condivisibilmente osservato che il termine
di durata non può mai intendersi
automaticamente sospeso, essendo al
contrario sempre necessaria, a tal fine, la
presentazione di una formale istanza di
proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa
amministrazione che ha rilasciato l’atto
concessorio che accerti l’impossibilità del
rispetto del termine nei casi in cui possa
ritenersi sopravvenuto un “factum principis”
ovvero l’insorgenza di una causa di forza
maggiore.
Tali “fatti sopravvenuti estranei alla
volontà del titolare del permesso” (che
possono consistere nel factum principis o in
altri casi di forza maggiore) non hanno un
rilievo automatico, ma possono costituire
oggetto di valutazione in sede
amministrativa quando l’interessato proponga
tempestiva domanda di proroga, il cui
accoglimento è indefettibile perché non vi
sia la pronuncia di decadenza.
La prima doglianza
espressa dalla ricorrente si infrange
avverso il chiaro contenuto dell’art. 15
D.P.R. 380/2001 ed il prevalente
orientamento espresso dalla giurisprudenza
amministrativa con riferimento alla
questione della prorogabilità del permesso
di costruire.
Difatti, ai sensi dell’art. 15, primo e
secondo comma, del D.P.R. 380/2001 “1. Nel
permesso di costruire sono indicati i
termini di inizio e di ultimazione dei
lavori. 2. Il termine per l'inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno
dal rilascio del titolo; quello di
ultimazione, entro il quale l'opera deve
essere completata non può superare i tre
anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i
termini possono essere prorogati, con
provvedimento motivato, per fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso. Decorsi tali termini
il permesso decade di diritto per la parte
non eseguita, tranne che, anteriormente alla
scadenza venga richiesta una proroga …”.
Dall’esame della richiamata disposizione
emerge quindi incontestabilmente che
l’istanza di proroga motivata sulla
sussistenza di fatti sopravvenuti estranei
alla volontà del titolare deve essere in
ogni caso presentata prima che il titolo
edilizio venga a scadere: viceversa, nel
caso in esame, non vi è contestazione sulla
circostanza che detta richiesta sia stata
avanzata a termini scaduti.
Si aggiunga che la tesi della sospensione
automatica del permesso di costruire in
presenza di fatti impeditivi non imputabili
all’avente diritto si infrange contro il
prevalente orientamento espresso dal
Consiglio di Stato (Sez. IV, 23.02.2012 n. 974; 18.06.2008 n. 3030; 10.08.2007 n. 4423).
Difatti, posto che l’eventuale pronuncia di
decadenza del permesso di costruire è
espressione di un potere strettamente
vincolato con natura ricognitiva e con
decorrenza ex tunc (giacché accerta il venir
meno degli effetti del titolo edilizio in
conseguenza dell'inerzia del titolare ovvero
della sopravvenienza di contrastanti
previsioni urbanistiche), si è
condivisibilmente osservato che il termine
di durata non può mai intendersi
automaticamente sospeso, essendo al
contrario sempre necessaria, a tal fine, la
presentazione di una formale istanza di
proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa
amministrazione che ha rilasciato l’atto
concessorio che accerti l’impossibilità del
rispetto del termine nei casi in cui possa
ritenersi sopravvenuto un “factum principis”
ovvero l’insorgenza di una causa di forza
maggiore.
Nello stesso solco si colloca l’indirizzo
espresso dalla giurisprudenza amministrativa
(Consiglio di Stato, Sez. IV, 10.08.2007
n. 4423) secondo cui tali “fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso” (che possono
consistere nel factum principis o in
altri casi di forza maggiore) non hanno un
rilievo automatico, ma possono costituire
oggetto di valutazione in sede
amministrativa quando l’interessato proponga
tempestiva domanda di proroga, il cui
accoglimento è indefettibile perché non vi
sia la pronuncia di decadenza
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 22.05.2012 n. 2363 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di
costruire - Efficacia temporale e decadenza
- Istanza di proroga - Nozione di fatti
sopravvenuti - Crisi economica nel settore
edile - Inidoneità.
2. Permesso di
costruire - Efficacia temporale e decadenza
- Istanza di proroga - Nozione di fatti
sopravvenuti - Pendenza di un giudizio
relativo alla quantificazione del contributo concessorio - Inidoneità.
1. L'art. 15, D.P.R. n. 380 del 2001,
disposizione che ricalca quella dell'art. 4,
L. n. 10 del 1977 (oggi parzialmente
abrogato), consente la proroga dei termini
di inizio e di ultimazione dei lavori
previsti nel permesso di costruire,
esclusivamente "per fatti sopravvenuti
estranei alla volontà del titolare del
permesso".
Secondo la giurisprudenza, è
dunque illegittimo il provvedimento
dell'Amministrazione comunale di
declaratoria di decadenza del permesso di
costruire, qualora sussistano impedimenti
assoluti all'esecuzione dei lavori segnalati
o comunque conosciuti all'Amministrazione e
l'impedimento non sia riferibile alla
condotta del concessionario, per cui è tale
da costituire quella causa di forza maggiore
che sospende il decorso dei termini di
inizio e di ultimazione dei lavori.
Sotto
questo profilo, la crisi del settore edile,
collegata alla difficile congiuntura
economica italiana, appare una circostanza
estremamente generica, inidonea ad impedire
in maniera assoluta la possibilità
edificatoria connessa al permesso di
costruire.
2. La pendenza di un contenzioso avente ad
oggetto l'esatta determinazione del
contributo concessorio dinanzi al Consiglio
di Stato, senza domanda di sospensione
dell'efficacia della sentenza di primo
grado, non costituisce circostanza idonea a
giustificare la proroga ai sensi dell'art.
15, D.P.R. n. 380 del 2001, posto che
l'esistenza del contenzioso non è
oggettivamente ostativa alla realizzazione
dell'intervento edilizio, che può comunque
essere effettuato, in attesa della
definitiva determinazione del contributo
concessorio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
21.02.2012 n.
580 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
15 del DPR 380/2001 consente la proroga dei
termini di inizio e di ultimazione dei
lavori previsti nel permesso di costruire,
esclusivamente <<per fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso>>.
La norma, che ricalca quella dell’art. 4
della legge 10/1977 (oggi parzialmente
abrogato), è intesa dalla giurisprudenza nel
senso che è illegittimo il provvedimento
dell'Amministrazione comunale di
declaratoria di decadenza del permesso di
costruire (già concessione edilizia),
allorché sussistano impedimenti assoluti
all'esecuzione dei lavori segnalati o
comunque conosciuti all'Amministrazione e
l'impedimento non sia riferibile alla
condotta del concessionario, per cui è tale
da costituire quella causa di forza maggiore
che sospende il decorso dei termini di
inizio e di ultimazione dei lavori di cui al
titolo edilizio previsti dalla legge.
In primo luogo, occorre ricordare che l’art. 15 del DPR 380/2001 consente
la proroga dei termini di inizio e di
ultimazione dei lavori previsti nel permesso
di costruire, esclusivamente <<per fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso>>.
La norma, che ricalca quella dell’art. 4
della legge 10/1977 (oggi parzialmente
abrogato), è intesa dalla giurisprudenza nel
senso che è illegittimo il provvedimento
dell'Amministrazione comunale di
declaratoria di decadenza del permesso di
costruire (già concessione edilizia),
allorché sussistano impedimenti assoluti
all'esecuzione dei lavori segnalati o
comunque conosciuti all'Amministrazione e
l'impedimento non sia riferibile alla
condotta del concessionario, per cui è tale
da costituire quella causa di forza maggiore
che sospende il decorso dei termini di
inizio e di ultimazione dei lavori di cui al
titolo edilizio previsti dalla legge (cfr.
fra le tante, TAR Lazio, sez. II-quater,
07.06.2010, n. 15939, con la giurisprudenza
ivi richiamata).
Nel caso di specie, la richiesta di proroga
è stata giustificata dai ricorrenti
attraverso il richiamo sia alla situazione
di crisi del settore dell’edilizia, sia alla
controversia che oppone i ricorrenti stessi
al il Comune di Milano e relativa alla
determinazione del contributo concessorio
inerente al permesso di costruire di cui
alla presente causa (cfr. docc. 18 e 19 dei
ricorrenti per le istanze di proroga).
Orbene, reputa il Collegio che nessuna delle
due circostanze suindicate possa costituire
un “fatto sopravvenuto”, idoneo a
giustificare la proroga ai sensi dell’art.
15 del Testo Unico dell’edilizia.
La crisi del settore edile, collegata alla
difficile congiuntura economica italiana,
appare una circostanza estremamente
generica, non idonea di per sé ad impedire
in maniera assoluta la possibilità di
edificazione legata al permesso di costruire
ottenuto dagli esponenti.
D’altronde, se il mero richiamo alla
situazione economica generale –e a quella
del settore edile in particolare- potesse
costituire una oggettiva ragione per la
proroga dei termini dei titoli edilizi, si
potrebbe giungere alla paradossale
conclusione che in relazione a qualsivoglia
intervento potrebbero essere disposte
proroghe, nell’attesa di un -non ben
precisato ed identificato- momento di
ripresa economica generale.
In ordine all’altra ragione posta a
fondamento della domanda di proroga,
effettivamente è in corso un contenzioso fra
i ricorrenti ed il Comune di Milano, legato
all’esatta determinazione dei contributi
concessori relativi al permesso di costruire
di cui è causa, n. 137/2008.
Il ricorso promosso dagli esponenti per
l’esatta determinazione del contributo
suddetto è stato respinto dal TAR Lombardia,
sez. II, con sentenza n. 4455/2009, che ha
così confermato la correttezza della
quantificazione del contributo effettuata
dall’Amministrazione nel permesso di
costruire (cfr. doc. 20 dei ricorrenti per
il testo della sentenza).
Contro tale sentenza è stato proposto
appello al Consiglio di Stato, tuttora
pendente, senza domanda di sospensione
dell’efficacia della sentenza (cfr. il
documento dei ricorrenti, allegato ai motivi
aggiunti depositati il 17.06.2011), sicché
quest’ultima deve ritenersi produttiva dei
propri effetti giuridici.
Tuttavia, non si comprende perché
l’esistenza del contenzioso di cui è causa –attualmente in grado d’appello- possa
costituire una circostanza oggettivamente
ostativa alla realizzazione dell’intervento
edilizio, che può comunque essere
effettuato, in attesa della definitiva
determinazione del contributo concessorio.
Le ragioni per la proroga addotte degli
esponenti attengono –a ben vedere- a
valutazioni di opportunità e di convenienza
economica dell’intervento, ma non
costituiscono assoluti impedimenti ad
edificare.
Il provvedimento comunale impugnato coi
motivi aggiunti (cfr. doc. 4 del
resistente), dà atto di quanto sopra
esposto, con motivazione congrua ed
analitica, indubbiamente più ampia ed
esaustiva rispetto alla scarna motivazione
del primo diniego di proroga, gravato col
ricorso principale.
Neppure può ritenersi violata, da parte del
Comune, l’ordinanza cautelare della Sezione
n. 1250/2009, la quale aveva fatto salvo il
potere dell’Amministrazione di pronunciarsi
nuovamente –ancorché motivatamente–
sull’istanza di proroga
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 21.02.2012 n. 580 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2011 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
proroga dei termini stabiliti da un atto
amministrativo ha la natura giuridica di
provvedimento di secondo grado, perché
modifica, solo parzialmente, il complesso
degli effetti giuridici delineati dall’atto
originario e, nello specifico, in materia
edilizia, la differente qualificazione tra
provvedimenti di rinnovo della concessione
edilizia e di proroga dei termini di
ultimazione dei lavori è riscontrabile nel
senso che mentre il rinnovo della
concessione presuppone la sopravvenuta
inefficacia dell'originario titolo
concessorio e costituisce, a tutti gli
effetti, una nuova concessione, la
proroga è atto sfornito di propria
autonomia che accede all'originaria
concessione ed opera semplicemente uno
spostamento in avanti del suo termine finale
di efficacia (e, peraltro, la proroga può
essere disposta con provvedimento motivato
sulla scorta di una valutazione
discrezionale che in termini tecnici si
traduce nella verifica delle condizioni che
la giustificano).
In materia edilizia, le norme sulla proroga
dei termini previsti per la realizzazione di
interventi soggetti a permesso di costruire
di cui all'articolo 15 sono, peraltro, di
stretta interpretazione, rappresentando le
stesse una deroga alla disciplina generale
dettata al fine di evitare che una
edificazione autorizzata nel vigore di un
determinato regime urbanistico venga
realizzata quando il mutato regime non lo
consente più.
---------------
L'inizio dei lavori, ai sensi dell'articolo
15, comma 2, DPR 380/2001, deve intendersi
riferito a concreti lavori edilizi;
pertanto, i lavori debbono ritenersi
"iniziati" quando consistano nel
concentramento di mezzi e di uomini, cioè
nell'impianto del cantiere,
nell'innalzamento di elementi portanti,
nella elevazione di muri e nella esecuzione
di scavi coordinati al gettito delle
fondazioni del costruendo edificio, per
evitare che il termine di decadenza del
permesso possa essere eluso con ricorso ad
interventi fittizi e simbolici (e sarebbe
illegittimo un provvedimento di decadenza ai
sensi del comma 4 laddove non sia preceduto
da una rigorosa istruttoria volta a
comprovare in modo inequivoco che i lavori
non siano effettivamente già iniziati al
momento dell'entrata in vigore della nuova
disposizione urbanistica).
Il termine per l'inizio dei lavori deve
farsi decorrere non dalla semplice
emanazione del permesso di costruire, bensì
dalla materiale consegna dell'atto al
destinatario, o comunque da un momento non
anteriore a quello in cui l'interessato
stesso sia stato posto in condizione di
conoscere l'avvenuta emanazione del
permesso.
La scadenza del termine apposto
all'autorizzazione edilizia per l'avvio (e
l’ultimazione) dei lavori, riferendosi
soltanto alle modalità cronologiche di
esercizio di una facoltà del destinatario,
non determina, automaticamente, la
cessazione di effetti del provvedimento, ma
costituisce soltanto il presupposto per
l'accertamento eventuale della decadenza
dall'autorizzazione edilizia; con la
conseguenza che, ove la richiesta di proroga
del termine sia proposta anteriormente alla
scadenza del termine, legittimamente tale
termine viene prorogato dalla pubblica
amministrazione attraverso una motivazione
"per relationem" al provvedimento
originario, considerato che nei
provvedimenti ampliativi della sfera
giuridica di un soggetto determinato,
qualora non emerga, con immediatezza, la
presenza di soggetti controinteressati, non
è necessaria una motivazione particolarmente
ampia e complessa.
---------------
La proroga del termine triennale di
ultimazione dei lavori dalla data di
rilascio della concessione edilizia può
avvenire solo in presenza di fatti estranei
alla volontà del concessionario, che siano
sopravvenuti a ritardare i lavori durante la
loro esecuzione, l'onere della cui
sussistenza incombe esclusivamente sul
richiedente la proroga stessa.
I detti fatti sopravvenuti che possono
legittimare la proroga del termine di inizio
o completamento dei lavori ai sensi
dell'articolo 15, comma 2, dpr 380/2001, non
hanno un rilievo automatico, ma possono
costituire oggetto di valutazione in sede
amministrativa qualora l'interessato
proponga un'apposita domanda di proroga, il
cui accoglimento è indefettibile affinché
non sia pronunciata la decadenza del titolo
edilizio (e, al riguardo, si ritiene che la
presentazione della domanda di variante in
corso d'opera non può essere configurata di
per sé come fatto estraneo alla volontà del
titolare della concessione edilizia e,
pertanto come causa di forza maggiore idonea
a giustificare la proroga del termine di
ultimazione dei lavori).
Nel caso in cui l'amministrazione sia a
conoscenza di eventi che hanno impedito al
titolare della concessione edilizia di
ultimare i lavori, la stessa non può
adottare un provvedimento di decadenza della
concessione, trovando applicazione, anche
senza richiesta del concessionario, la
proroga del termine per la ultimazione dei
lavori per fatti estranei alla volontà del
concessionario che siano sopravvenuti a
ritardare i lavori durante la loro
esecuzione.
In presenza di una tempestiva istanza di
proroga che non contenga la puntuale
indicazione dei fatti sopravvenuti non
imputabili sulla base dei quali sia stata
formulata la richiesta, nel caso in cui
l’amministrazione sia comunque a conoscenza
piena ed effettiva dei detti fatti,
legittimamente la stessa possa provvedere a
concedere la richiesta proroga del termine
di ultimazione dei lavori edilizi.
Il richiamato
articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001,
rubricato “Efficacia temporale e
decadenza del permesso di costruire”,
dispone testualmente che “1. Nel permesso
di costruire sono indicati i termini di
inizio e di ultimazione dei lavori.
2. Il termine per l'inizio dei lavori non
può essere superiore ad un anno dal rilascio
del titolo; quello di ultimazione, entro il
quale l'opera deve essere completata non può
superare i tre anni dall'inizio dei lavori.
Entrambi i termini possono essere prorogati,
con provvedimento motivato, per fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso. Decorsi tali termini
il permesso decade di diritto per la parte
non eseguita, tranne che, anteriormente alla
scadenza venga richiesta una proroga. La
proroga può essere accordata, con
provvedimento motivato, esclusivamente in
considerazione della mole dell'opera da
realizzare o delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero
quando si tratti di opere pubbliche il cui
finanziamento sia previsto in più esercizi
finanziari. …”.
La proroga dei termini stabiliti da un atto
amministrativo ha la natura giuridica di
provvedimento di secondo grado, perché
modifica, solo parzialmente, il complesso
degli effetti giuridici delineati dall’atto
originario (cfr. sul punto Consiglio di
Stato, sez. V, 18.09.2008, n. 4498) e, nello
specifico, in materia edilizia, la
differente qualificazione tra provvedimenti
di rinnovo della concessione edilizia e di
proroga dei termini di ultimazione dei
lavori è riscontrabile nel senso che mentre
il rinnovo della concessione presuppone la
sopravvenuta inefficacia dell'originario
titolo concessorio e costituisce, a tutti
gli effetti, una nuova concessione, la
proroga è atto sfornito di propria autonomia
che accede all'originaria concessione ed
opera semplicemente uno spostamento in
avanti del suo termine finale di efficacia
(e, peraltro, la proroga può essere disposta
con provvedimento motivato sulla scorta di
una valutazione discrezionale che in termini
tecnici si traduce nella verifica delle
condizioni che la giustificano) (cfr. da
ultimo, TAR Abruzzo-L'Aquila, sez. I,
02.07.2008, n. 863); in materia edilizia, le
norme sulla proroga dei termini previsti per
la realizzazione di interventi soggetti a
permesso di costruire di cui all'articolo 15
sono, peraltro, di stretta interpretazione,
rappresentando le stesse una deroga alla
disciplina generale dettata al fine di
evitare che una edificazione autorizzata nel
vigore di un determinato regime urbanistico
venga realizzata quando il mutato regime non
lo consente più.
Per quanto attiene ai termini di cui sopra
–poiché il termine triennale di ultimazione
dei lavori decorre per espresso disposto
normativo dalla data di inizio dei lavori-,
si premette che, l'inizio dei lavori, ai
sensi dell'articolo 15, comma 2, deve
intendersi riferito a concreti lavori
edilizi; pertanto, i lavori debbono
ritenersi "iniziati" quando
consistano nel concentramento di mezzi e di
uomini, cioè nell'impianto del cantiere,
nell'innalzamento di elementi portanti,
nella elevazione di muri e nella esecuzione
di scavi coordinati al gettito delle
fondazioni del costruendo edificio, per
evitare che il termine di decadenza del
permesso possa essere eluso con ricorso ad
interventi fittizi e simbolici (e sarebbe
illegittimo un provvedimento di decadenza ai
sensi del comma 4 laddove non sia preceduto
da una rigorosa istruttoria volta a
comprovare in modo inequivoco che i lavori
non siano effettivamente già iniziati al
momento dell'entrata in vigore della nuova
disposizione urbanistica) e che il senso
della disposizione va ricostruito in
conformità con i principi generali
dell'ordinamento, con particolare
riferimento a quelli di efficacia,
pubblicità e trasparenza sanciti dalla legge
n. 241 del 1990 e che, pertanto, in forza di
tali principi, non pare discutibile che il
termine per l'inizio dei lavori debba farsi
decorrere non dalla semplice emanazione del
permesso di costruire, bensì dalla materiale
consegna dell'atto al destinatario, o
comunque da un momento non anteriore a
quello in cui l'interessato stesso sia stato
posto in condizione di conoscere l'avvenuta
emanazione del permesso (TAR Liguria-Genova,
sez. I, 17.02.2011, n. 322; TAR
Sicilia-Palermo, sez. II, 01.02.2011, n.
181).
La scadenza del termine apposto
all'autorizzazione edilizia per l'avvio (e
l’ultimazione) dei lavori, riferendosi
soltanto alle modalità cronologiche di
esercizio di una facoltà del destinatario,
non determina, automaticamente, la
cessazione di effetti del provvedimento, ma
costituisce soltanto il presupposto per
l'accertamento eventuale della decadenza
dall'autorizzazione edilizia; con la
conseguenza che, ove la richiesta di proroga
del termine sia proposta anteriormente alla
scadenza del termine, legittimamente tale
termine viene prorogato dalla pubblica
amministrazione attraverso una motivazione "per
relationem" al provvedimento originario,
considerato che nei provvedimenti ampliativi
della sfera giuridica di un soggetto
determinato, qualora non emerga, con
immediatezza, la presenza di soggetti
controinteressati, non è necessaria una
motivazione particolarmente ampia e
complessa (Consiglio di Stato, sez. V,
18.09.2008, n. 4498).
La decadenza disciplinata dall'articolo 15
consegue all'inerzia dell'interessato; e,
tuttavia, per l’appunto questa deve essere
esclusa se venga rappresentata la
sussistenza di fatti sopravvenuti che
possono legittimare la proroga del termine
di inizio o completamento dei lavori ai
sensi del comma 2 dello stesso articolo 15 e
queste siano oggetto di valutazione e
verifica in sede amministrativa.
La proroga del termine triennale di
ultimazione dei lavori dalla data di
rilascio della concessione edilizia può
avvenire tuttavia solo in presenza di fatti
estranei alla volontà del concessionario,
che siano sopravvenuti a ritardare i lavori
durante la loro esecuzione, l'onere della
cui sussistenza incombe esclusivamente sul
richiedente la proroga stessa.
I detti fatti sopravvenuti che possono
legittimare la proroga del termine di inizio
o completamento dei lavori ai sensi
dell'articolo 15, comma 2, non hanno un
rilievo automatico, ma possono costituire
oggetto di valutazione in sede
amministrativa qualora l'interessato
proponga un'apposita domanda di proroga, il
cui accoglimento è indefettibile affinché
non sia pronunciata la decadenza del titolo
edilizio (Consiglio di Stato, sez. IV,
10.08.2007, n. 4423) (e, al riguardo, si
ritiene che la presentazione della domanda
di variante in corso d'opera non può essere
configurata di per sé come fatto estraneo
alla volontà del titolare della concessione
edilizia e, pertanto come causa di forza
maggiore idonea a giustificare la proroga
del termine di ultimazione dei lavori).
Peraltro, secondo un orientamento in
materia, nel caso in cui l'amministrazione
sia a conoscenza di eventi che hanno
impedito al titolare della concessione
edilizia di ultimare i lavori, la stessa non
può adottare un provvedimento di decadenza
della concessione, trovando applicazione,
anche senza richiesta del concessionario, la
proroga del termine per la ultimazione dei
lavori per fatti estranei alla volontà del
concessionario che siano sopravvenuti a
ritardare i lavori durante la loro
esecuzione (TAR Calabria-Reggio Calabria,
sez. I, 20.04.2010, n. 420 e TAR
Sicilia-Palermo, sez. III, 19.02.2007, n.
560); senza necessariamente dovere giungere
a condividere le predette conclusioni,
tuttavia, può fondatamente ritenersi che, in
presenza di una tempestiva istanza di
proroga che non contenga la puntuale
indicazione dei fatti sopravvenuti non
imputabili sulla base dei quali sia stata
formulata la richiesta, nel caso in cui
l’amministrazione sia comunque a conoscenza
piena ed effettiva dei detti fatti,
legittimamente la stessa possa provvedere a
concedere la richiesta proroga del termine
di ultimazione dei lavori edilizi
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 06.12.2011 n. 9600 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2011 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire e
completamento delle opere.
Ai sensi dell'art. 15, comma 2, del DPR n.
380/2001 la proroga del permesso di
costruire, che può essere disposta (“per
fatti sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso”) e per le ragioni
indicate nell'ultima parte del predetto
comma: (“esclusivamente in considerazione
della mole dell'opera da realizzare o delle
sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive .... ”), riguarda la
mera esecuzione dei lavori già approvati e
non implica alcun controllo sulla
legittimità complessiva del progetto di
intervento edilizio, che non può essere
modificato nel suo contenuto con Patto di
proroga.
Ben diverso è il permesso di costruire
rilasciato ai sensi dell'art. 15, comma 3,
del DPR n. 380/2001 per consentire il
completamento delle opere, nell'ipotesi di
mancata ultimazione dell'intervento edilizio
nei termini stabiliti dall'originario
permesso di costruire ovvero nel termine
eventualmente prorogato.
E' evidente, infatti, che, salva l'ipotesi
di lavori realizzabili in base a denuncia di
inizio attività, si tratta di un
provvedimento adottato a seguito della
integrale rivalutazione del progetto
dell'opera e della sua conformità agli
strumenti urbanistici, mentre è in re
ipsa che il nuovo permesso di costruire
può prevedere sia la mera assegnazione di un
nuovo termine per la prosecuzione dei
lavori, consentendo il completamento delle
opere non ancora realizzate, sia apportare
modifiche al progetto originario (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.11.2011 n.
41451 - tratto da
www.lexambiente.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
I fatti sopravvenuti che possono
legittimare la proroga del termine di inizio
o completamento dei lavori, della
concessione edilizia, ai sensi dell'art. 15,
comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno
un rilievo automatico, ma possono costituire
oggetto di valutazione in sede
amministrativa qualora l'interessato
proponga un'apposita domanda di proroga, il
cui accoglimento è indefettibile affinché
non sia pronunciata la decadenza del titolo
edilizio.
In tema di efficacia della concessione
edilizia, il termine di tre anni stabilito
dall'art. 4, comma 4, l. 28.01.1977, n. 10,
per l'ultimazione dei lavori di costruzione
è perentorio e, come tale, non tollera
interruzioni o sospensioni.
La giurisprudenza ha affermato che “i
fatti sopravvenuti che possono legittimare
la proroga del termine di inizio o
completamento dei lavori ai sensi dell'art.
15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non
hanno un rilievo automatico, ma possono
costituire oggetto di valutazione in sede
amministrativa qualora l'interessato
proponga un'apposita domanda di proroga, il
cui accoglimento è indefettibile affinché
non sia pronunciata la decadenza del titolo
edilizio” (Cons. di St., IV, 10.08.2007,
n. 4423).
Nello stesso senso è del resto anche la
giurisprudenza penale: “in tema di
efficacia della concessione edilizia, il
termine di tre anni stabilito dall'art. 4,
comma 4, l. 28.01.1977, n. 10, per
l'ultimazione dei lavori di costruzione è
perentorio e, come tale, non tollera
interruzioni o sospensioni. In relazione
all'insorgenza di fatti estranei alla
volontà del concessionario e non imputabili
a sua colpa, la legge, invero, consente di
poter fruire di un più lungo periodo, ma
soltanto a condizione che ci si avvalga
delle procedure a tale scopo predisposte dai
commi 4 e 5 del succitato art. 4 (che
prevedono la richiesta di un provvedimento
di proroga della concessione edilizia,
ovvero di una nuova concessione per la parte
non ultimata)” (Cass. Pen., 25.03.1993)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 05.07.2010 n. 5569 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non può essere accordata alcuna
proroga del permesso di costruire in
relazione a ritardi dovuti ad un contenzioso
causato da un’opera abusiva (riconosciuta
tale da una sentenza del Tar non sospesa dal
Consiglio di Stato).
Si ha proroga della concessione edilizia
(ora permesso di costruire) solo qualora nel
corso dell'esecuzione dei lavori si siano
verificati dei fatti non imputabili al
titolare della concessione, che abbiano
ritardato i suddetti lavori, onde non far
ricadere sul soggetto incolpevole dei fatti
a lui non attribuibili.
I ritardi dovuti ad un contenzioso causato
da un’opera abusiva (riconosciuta tale da
una sentenza del Tar non sospesa dal
Consiglio di Stato), non consentono il
rilascio di alcuna proroga del permesso di
costruire.
Alla luce di ciò risulta corretto il diniego
operato dal Comune dato che, in materia
edilizia, le norme sulla proroga dei termini
previsti per la realizzazione di interventi
soggetti a permesso di costruire di cui
all'art. 15 del DPR n. 380 del 2001 sono di
stretta interpretazione, rappresentando le
stesse una deroga alla disciplina generale
dettata al fine di evitare che una
edificazione autorizzata nel vigore di un
determinato regime urbanistico venga
realizzata quando il mutato regime non lo
consente più (Cass. penale 19.03.2008 n.
19101).
Si ha infatti proroga della concessione
edilizia solo qualora, ferma restando la
capacità edificatoria dell'area interessata,
nel corso dell'esecuzione dei lavori si
siano verificati dei fatti non imputabili al
titolare della concessione, che abbiano
ritardato i suddetti lavori, onde non far
ricadere sul soggetto incolpevole dei fatti
a lui non attribuibili (TAR Milano
08.03.2007 n. 372).
Risulta quindi condivisibile il diniego
opposto dal Comune di Acqualagna,
considerato che, in tutta evidenza, la
vicenda contenziosa relativa ad un abuso
edilizio, che ha tra l’altro visto la
ricorrente, finora, soccombente in giudizio,
non può certo integrare un ritardo “non
imputabile” alla ricorrente, per cui il
Comune correttamente ha negato la proroga ex
art. 15 DPR 380/2001 e ha, successivamente,
rilasciato un nuovo permesso di costruire.
Alla luce di ciò la proroga non poteva
essere rilasciata fin dall’inizio, appunto
perché non vi era stato alcuno degli “impedimenti”
previsti dall’art. 15 del DPR 380/2001,
considerato che l’impedimento è stato
originato dall’abuso commesso dal ricorrente
e dalla successiva vicenda contenziosa.
Quindi il diniego opposto dal Comune è
giustificato, dato che, quando un
provvedimento negativo è fondato su più
ragioni, la conformità a legge di una sola
di esse è sufficiente a giustificarlo (Cds
Sez. IV 10.12.2007, n. 6325, Tar Genova
26.11.2008 n. 2041) (TAR Marche,
sentenza 20.04.2010 n. 193 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
In merito alla richiesta di
proroga del termine di ultimazione lavori di
rilasciata concessione edilizia, per il
legislatore i "fatti sopravvenuti" -che ne
motivano la richiesta- non hanno un rilievo
automatico, ma costituiscono oggetto di
valutazione in sede amministrativa quando
l'interessato proponga una domanda di
proroga, il cui accoglimento è indefettibile
purché non vi sia la pronuncia di decadenza.
L’art. 4, 4° comma, della legge 28.01.1977
n. 10 (riproduttivo di un principio
desumibile già dall'art. 31 della legge n.
1150 del 1942 e ripreso poi dal vigente
art.15, comma 2, del D.P.R. 06.06.2001 n.
380), prevede che il termine di compimento
dei lavori "non può essere superiore a
tre anni e può essere prorogato, con
provvedimento motivato, solo per fatti
estranei alla volontà del concessionario,
che siano sopravvenuti a ritardare i lavori
durante la loro esecuzione".
Per il legislatore, tali "fatti
sopravvenuti" (che possono consistere
nel “factum principis” o in altri
casi di “forza maggiore”) non hanno
un rilievo automatico, ma costituiscono
oggetto di valutazione in sede
amministrativa quando l'interessato proponga
una domanda di proroga, il cui accoglimento
è indefettibile purché non vi sia la
pronuncia di decadenza.
Invero, occorre che la perdita di efficacia
della concessione edilizia per mancato
inizio o ultimazione dei lavori nei termini
prescritti debba essere accertata con un
atto di natura ricognitiva avente effetti “ex
tunc” e, quindi, debba essere
formalmente dichiarata, anche ai fini del
contraddittorio con il privato circa
l'esistenza dei presupposti di fatto e
diritto, legittimanti la declaratoria di
decadenza (ex plurimis: Cons. Stato
Sez. IV 29.01.2008 n. 249): "è, infatti,
inammissibile la domanda di accertamento
della decadenza della concessione edilizia,
in relazione alla quale l'interessato può
solo sollecitare l'esercizio del relativo
potere da parte del comune, mediante
apposita istanza ad agire e, in caso di sua
inerzia, con lo strumento del silenzio
rifiuto" (conf.: Tar Latina, 13.06.2006,
n. 375).
Ne consegue che, nel caso di specie, non
essendo intervenuto alcun provvedimento di
decadenza dell’originaria concessione
edilizia del 1991/1993, non possono trovare
ingresso nel presente giudizio le
considerazioni svolte dalla ricorrente, in
qualche modo incentrate su una sorta di “decadenza
implicita” od “automatica”, della
quale si postula l’accertamento da parte di
questo giudice.
Comunque, al riguardo, non risultano
destituite di fondamento le repliche svolte
dalla difesa del Comune, intese a
dimostrare, in sostanza, che, al di là del
nomen juris, l’impugnato concessione
edilizia ha natura e funzione autonoma, non
soltanto perché concerne un’opera diversa e
dotata di una sua autonomia strutturale
(porticato), rispetto alla concessione
edilizia del 1991/1993 (avente ad oggetto la
costruzione del fabbricato cui accede), ma
anche perché prevede autonomi termini di
inizio e completamento lavori nonché la
corresponsione di ulteriori oneri concessori
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 20.10.2009 n. 1116 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
semplice difficoltà tecnico/economica non
giustifica la richiesta di proroga del
termine triennale entro cui terminare i
lavori della concessione edilizia.
Per accordare al concessionario una proroga
del termine triennale di ultimazione dei
lavori, il Collegio richiama la consolidata
giurisprudenza che individua come ragione
giustificativa del mancato rispetto del
termine esclusivamente fatti estranei alla
sfera personale del concessionario (cfr.
Cons. Stato, IV, 1738/2005), quali il
factum principis o la forza maggiore
(Tar Genova, 1200/2007), con la conseguenza
che –in mancanza di tali eventi– la
pronuncia di decadenza si atteggia ad atto
vincolato basato su un mero accertamento
oggettivo (Tar Lazio Roma, 13996/2004).
Fatta questa premessa, non può assurgere al
rango di “fatto sopravvenuto estraneo
alla volontà del concessionario” la
semplice difficoltà tecnico/economica
adombrata da parte ricorrente nell’istanza
di proroga, laddove si fa riferimento alla
avvenuta “liquidazione” (per non
meglio chiarite ragioni) di una società
affiliata al Consorzio incaricata della
coesecuzione dei lavori.
Infatti, la richiamata “liquidazione”
–pur se sopravvenuta– non rientra nel novero
dei fatti estranei alla “sfera di governo”
della ricorrente, che ben avrebbe potuto
invece adoperarsi per assumere in toto la
gestione del cantiere o per trovare un
impresa sostitutiva.
In proposito, si richiama una decisione di
questo Tar (n. 1494/2003) con la quale è
stato espressamente escluso che il
fallimento della società concessionaria
(evento, per certi versi simile a quello
dedotto dall’odierna ricorrente) possa
costituire evento valutabile ai fini della
proroga del termini ex art. 36, co. 12, L.R.
71/1978
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 15.09.2009 n. 1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Regolamentazione volume edifici.
Ampliamento edifici. Proroga lavori.
Agibilità.
Il Comune richiedente pone una serie di
quesiti in materia edilizia e precisamente:
1) In materia di volume degli edifici; 2) In
materia di ampliamento degli edifici; 3) In
materia di “proroga dei lavori”; 4)
Agibilità (Regione Piemonte,
parere n.
142/2009 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
proroga del permesso di costruire.
In una prospettiva generale, la “proroga”
indica la modifica della durata di un
termine avente rilevanza giuridica. Nella
sua comune accezione, quindi, la “proroga”
definisce sia l’effetto di mutamento del
termine, sia l’atto che produce l’indicata
conseguenza giuridica.
Sul piano effettuale, limitando l’indagine
al solo campo dell’attività amministrativa,
la proroga può riferirsi, in senso ampio, al
termine di efficacia del provvedimento. Ma
può riguardare anche soltanto specifici
effetti del provvedimento, modificando il
solo termine per l’esercizio di una facoltà
o per l’adempimento di un obbligo del
destinatario. Ancora, la proroga può
riferirsi puntualmente, ai soli termini,
iniziali o finali, per l’attuazione di un
potere pubblicistico, destinato ad incidere
sfavorevolmente, nella sfera giuridica di un
soggetto privato.
La proroga dei termini stabiliti da un atto
amministrativo ha la natura giuridica del
“provvedimento di secondo grado”, perché
modifica, solo parzialmente, il complesso
degli effetti giuridici delineati dall’atto
originario.
Per il suo carattere parziale e limitato, la
proroga non richiede una rinnovata
valutazione di tutti gli elementi istruttori
posti a base dell’originario provvedimento,
né esige la ripetizione di tutte le tappe
procedimentali che hanno condotto
all’adozione dell’atto modificato.
I presupposti per l’adozione dell’atto di
proroga sono definiti, talvolta, da
specifiche disposizioni di settore. In
mancanza, essi sono riconducibili ai
principi generali dell’attività
amministrativa.
Fra questi criteri comuni, si colloca anche
la regola generale secondo la quale la
proroga –e la correlata semplificazione
procedimentale e istruttoria- è riferibile
soltanto ai provvedimenti ad “efficacia
durevole” e presuppone che gli effetti del
provvedimento originario non siano
definitivamente esauriti.
Dopo la cessazione degli effetti dell’atto,
l’amministrazione potrebbe sempre ravvisare
l’opportunità di adottare una determinazione
di contenuto identico, destinata a produrre
effetti in un diverso e successivo ambito
temporale. In tali eventualità, però, si
tratterebbe della “rinnovazione” del
provvedimento originario, caratterizzata
dalla necessaria ripetizione di tutte le
fasi procedimentali e dalla completa
rivalutazione di tutte le circostanze di
fatto e di diritto rilevanti, attuata
mediante un’adeguata ponderazione dei
diversi interessi pubblici e privati
coinvolti.
Secondo un condivisibile indirizzo
interpretativo, poi, per disporre la
decadenza, è necessario accertare che non
sussistano cause impeditive del puntuale
rispetto del termine. In presenza di
comprovate ragioni oggettive, la decadenza
sarebbe illegittima e l’interessato avrebbe
titolo ad ottenere la proroga del termine,
anche se la richiesta intervenga in epoca
successiva alla scadenza del termine
originario.
Pertanto, può
essere richiamata la puntuale previsione
dell’articolo 15 del testo unico
dell’edilizia (chiara espressione di un
principio generale), il quale prevede che il
permesso di costruire decade di diritto in
caso di inutile decorso del termine
assegnato, a meno che, prima della scadenza,
l’interessato richieda la proroga del
termine.
La norma, pur non essendo direttamente
applicabile alla presente fattispecie, per
ragioni di diritto intertemporale, indica
una regola di portata più ampia, utile per
risolvere la presente controversia. Non va
trascurato, del resto, che il testo unico
dell’edilizia costituisce l’esito di
un’operazione di riordino e
razionalizzazione, procedimentale e formale,
delle disposizioni vigenti. Pertanto, la
diversa formulazione letterale delle norme,
riflette la corretta interpretazione di
regole preesistenti
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 18.09.2008 n. 4498
- link a www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA: Efficacia
temporale del permesso di costruire.
L'istituto della proroga del permesso di costruire non è più applicabile
quando sia sopravvenuta una disciplina urbanistica incompatibile con
l'intervento assentito. In tal caso, infatti, l'interesse urbanistico è
considerato prevalente rispetto all'interesse privato a portare a
termine l'intervento, che non sia stato completato nel termine triennale
anche per causa indipendente dalla volontà del titolare del permesso
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
12.05.2008 n. 19101
- link a www.lexambiente.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla proroga della
validità del permesso di costruire.
Per pacifica giurisprudenza, la proroga
presuppone che non sia intervenuta la
scadenza del provvedimento prolungato, in
quanto l’esercizio del potere di proroga
produce effetti di ordine puramente
temporale, essendo inteso a pro-trarre nel
tempo, posticipandolo ad un momento
successivo, il termine finale di un
provvedimento ad efficacia durevole.
Ne consegue, secondo la medesima
giurisprudenza, la necessità che il termine
sia prorogato con un provvedimento
discrezionale dell’Autorità amministrativa
competente assunto anteriormente alla sua
scadenza, a pena di inesistenza dello stesso
(Cass. 26.02.1983, n.1464; Consiglio di
Stato VI sez., 26.02.1983 n. 1464, IV sez.
n. 954 del 28.10.1993).
In definitiva, la proroga di un atto non può
ammettersi qualora l’atto originario sia
scaduto: essa è possibile solo se
sopraggiunga prima della scadenza del
termine, poiché –quale atto avente l’effetto
di estendere il termine di efficacia di un
provvedimento amministrativo- deve a questo
collegarsi senza vuoti temporali ed
intervenire dunque nella vigenza ed
efficacia dell’atto su cui si salda,
costituendo con questo un unicum temporale
(Consiglio di Stato sez. VI, n. 3349 del
21.06.2001).
Una volta scaduto il termine l’efficacia del
provvedimento non può essere prorogata e per
l’eventuale continuazione del rapporto
occorre procedere all’adozione di un nuovo
provvedimento secondo la tecnica della
rinnovazione degli atti giuridici.
Applicando i suddetti consolidati principi
giurisprudenziali, in buona sostanza, è
indispensabile che non vi sia soluzione di
continuità tra il termine originario e
quello differito, in quanto altrimenti il
periodo di proroga, non essendo più soggetto
a data certa, potrebbe essere
arbitrariamente dilazionato
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 18.10.2007 n. 9665
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EDILIZIA PRIVATA:
L’adozione
di un nuovo strumento urbanistico non può
incidere sulla pretesa del titolare della
concessione edilizia ad ottenerne la proroga
ex art. 4 l. 10/1977 giacché l’opposta tesi,
la quale considera la proroga assoggettabile
alla normativa sopravvenuta, non tiene conto
dell’eccezionalità del rimedio previsto
dall’art. 4 della l. n. 10 cit. rispetto al
diverso istituto del rinnovo della
concessione scaduta.
Nel caso in cui il provvedimento di proroga
della concessione edilizia viene richiesto
dopo nuove previsioni dello strumento
urbanistico, queste non possono di regola
interferire su detta richiesta, alla luce
del principio di irretroattività dell’atto
amministrativo, né si può applicare
l’istituto della salvaguardia, poiché ai
fini della proroga la normativa sopravvenuta
resta irrilevante, non potendo essa incidere
su degli atti validi ed efficaci al momento
della sua entrata in vigore.
Il procedimento di rilascio della proroga
della concessione ha natura vincolata,
essendo il rilascio stesso condizionato
all’accertamento della ricorrenza dei
relativi presupposti: ciò, sul rilievo che
la proroga è atto sfornito di una propria
autonomia, che accede all’originaria
concessione ed opera soltanto lo spostamento
in avanti del suo termine finale di
efficacia, con il corollario, dunque, che
dalla natura vincolata del procedimento di
rilascio della concessione edilizia non
potrebbe non farsi discendere la
vincolatività del procedimento di rilascio
della proroga di essa.
La
giurisprudenza ha chiarito che l’adozione di
un nuovo strumento urbanistico non può
incidere sulla pretesa del titolare della
concessione edilizia ad ottenerne la proroga
ex art. 4 cit., giacché l’opposta tesi, la
quale considera la proroga assoggettabile
alla normativa sopravvenuta, non tiene conto
dell’eccezionalità del rimedio previsto
dall’art. 4 della l. n. 10 cit. rispetto al
diverso istituto del rinnovo della
concessione scaduta (TAR Puglia, Lecce, Sez.
III, 08.04.2005, n. 1979).
Invero, nel caso in cui il provvedimento di
proroga della concessione edilizia viene
richiesto dopo nuove previsioni dello
strumento urbanistico, queste non possono di
regola interferire su detta richiesta, alla
luce del principio di irretroattività
dell’atto amministrativo, né si può
applicare l’istituto della salvaguardia,
poiché ai fini della proroga la normativa
sopravvenuta resta irrilevante, non potendo
essa incidere su degli atti validi ed
efficaci al momento della sua entrata in
vigore (TAR Sicilia, Catania, Sez. I,
03.07.2001, n. 1308).
Al Collegio non sfugge l’utilizzo, nell’art.
4, quarto comma, della l. n. 10/1977, del
verbo “potere” a proposito
dell’ottenimento della proroga (“…il
termine di ultimazione….può essere
prorogato…”), cioè del verbo che
contraddistingue, nel linguaggio
legislativo, la presenza di un potere
discrezionale della P.A., né il Collegio
ignora che, alla stregua di un orientamento
giurisprudenziale, il potere del Comune di
valutare la presenza o meno dei requisiti
per accordare la proroga avrebbe natura
discrezionale (C.d.S., Sez. V, 17.01.2000,
n. 283). A tale stregua, non sarebbe quindi
applicabile alla fattispecie de qua
l’art. 21-octies, comma 2, prima parte,
della l. n. 241/1990, che concerne la sola
attività vincolata della Pubblica
Amministrazione.
In contrario, ritiene tuttavia il Collegio
che il procedimento di rilascio della
proroga della concessione abbia natura
vincolata, essendo il rilascio stesso
condizionato all’accertamento della
ricorrenza dei relativi presupposti: ciò,
sul rilievo che la proroga è atto sfornito
di una propria autonomia, che accede
all’originaria concessione ed opera soltanto
lo spostamento in avanti del suo termine
finale di efficacia (TAR Puglia, Lecce, n.
1979/2005, cit.), con il corollario, dunque,
che dalla natura vincolata del procedimento
di rilascio della concessione edilizia non
potrebbe non farsi discendere la
vincolatività del procedimento di rilascio
della proroga di essa.
Se ne deduce l’applicabilità, al caso in
esame, dell’art. 21-octies, comma 2, prima
parte, cit., e quindi la non annullabilità
del diniego gravato, tenuto conto:
- della natura vincolata del procedimento di
proroga;
- della riconducibilità dei vizi di
motivazione alla categoria dei vizi formali
ex art. 21-octies cit., e del conseguente
potere, in capo al giudice, di analizzare
anche profili motivazionali non esplicitati
nell’originario provvedimento
amministrativo, ma esternati, ad
integrazione della motivazione ed in ordine
ad elementi già preesistenti, anche in un
momento successivo e per opera di un
soggetto diverso, ossia del difensore della
P.A. (cfr. TAR Sardegna, n. 476/2006, cit.);
- della circostanza che, come già
evidenziato, nel caso di specie è palese che
il contenuto dispositivo del provvedimento
impugnato non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.03.2007 n. 372 - link
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