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55-DISTANZA dalle PARETI FINESTRATE
56-DURC
57-EDICOLA FUNERARIA
58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
59-ESPROPRIAZIONE
60-GESTIONE ASSOCIATA FUNZIONI COMUNALI
61-INCARICHI LEGALI e/o RESISTENZA IN GIUDIZIO
62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
65-L.R. 12/2005
66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
-
PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
99-SAGOMA EDIFICIO
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102-SEGRETARI COMUNALI
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dossier PROROGA P.d.C. (Permesso di Costruire)
gennaio 2022

EDILIZIA PRIVATA: Sulla proroga del termine di validità del permesso di costruire.
E' costante la giurisprudenza nell’affermare che “il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l’impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore".
Ad ogni modo, è necessario che la proroga del termine di conclusione dei lavori ex art. 15 t.u.e.l. sia manifestata, in conformità coi principi generali di trasparenza e certezza giuridica ex artt. 1 e 2, l. n. 241 del 1990, mediante l’adozione di un formale ed espresso provvedimento, sia pure con valenza ricognitiva di effetti discendenti direttamente dalla legge e che la richiesta di proroga debba essere formulata, in tutti i casi contemplati dal citato art. 15, prima della scadenza del termine di ultimazione dei lavori.
---------------

8.1. Le censure, che in quanto strettamente connesse meritano trattazione unitaria, sono infondate.
8.2. Com’è noto, l’art. 15, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 dispone che
   “2. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
   2-bis. La proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate
”.
Secondo la disposizione, pertanto, la concessione della proroga presuppone l’esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione condizionato alla presenza di determinate situazioni che prescindono dalla volontà del titolare del permesso, ad eccezione delle ipotesi di cui al comma 2-bis, la cui sussistenza vincola l’Amministrazione ad accogliere la richiesta di proroga.
8.3. Ciò considerato, con riferimento al caso di specie, il Collegio osserva che:
   a) è stata la stessa società ricorrente ad indicare, con la comunicazione del 01.07.2011, il giorno del 04.07.2011 quale data di inizio lavori;
   b) i fatti estranei alla volontà del titolare del permesso che abbiano inciso sull’esecuzione dei lavori non possono costituire cause di sospensione del decorso del termine di efficacia del titolo, in assenza di una previsione normativa in tal senso, potendo, al più, rappresentare, secondo quanto disposto dal citato art. 15, elementi valutabili discrezionalmente dall’Amministrazione ai fini della concessione della proroga;
      c) a tal riguardo, è costante la giurisprudenza nell’affermare che “il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l’impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 1870 del 2013, cit.; v. anche id., Sez. IV, 23.02.2012, n. 974; da ultimo, id., Sez. IV, 16.06.2021, n. 4648);
   d) ad ogni modo, è necessario che la proroga del termine di conclusione dei lavori ex art. 15 t.u.e.l. sia manifestata, in conformità coi principi generali di trasparenza e certezza giuridica ex artt. 1 e 2, l. n. 241 del 1990, mediante l’adozione di un formale ed espresso provvedimento, sia pure con valenza ricognitiva di effetti discendenti direttamente dalla legge (Cons. Stato, Sez. IV, 04.11.2021, n. 7373; id., Sez. IV, n. 4648 del 2021; id., Sez. IV, n. 2078 del 2020; id., Sez. II, n. 2206 del 2020) e che la richiesta di proroga debba essere formulata, in tutti i casi contemplati dal citato art. 15, prima della scadenza del termine di ultimazione dei lavori.
8.4. Nel caso di specie, pertanto deve escludersi che i vari fattori invocati dall’appellante possano avere avuto un’automatica efficacia sospensiva del termine. Tale conclusione rende peraltro del tutto irrilevante il riferimento ai “giorni di pioggia” contenuto nell’impugnato provvedimento.
8.5. In conclusione, correttamente il Comune ha rilevato che alla data di presentazione dell’istanza di proroga risultava ormai decaduto il titolo edilizio per intervenuta scadenza del relativo termine di efficacia (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.01.2022 n. 149 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2021

EDILIZIA PRIVATA: Efficacia temporale del permesso di costruire – Inizio e fine lavori – Decadenza dal diritto a costruire – Fissazione obbligatoria di termini di validità del titolo abilitativo – Natura permanente del reato di costruzione abusiva – Artt. 3, 15, 29, 44, DPR n. 380/2001.
Secondo la disciplina della efficacia temporale del permesso di costruire contenuta nell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, i lavori devono essere iniziati entro un anno dal rilascio del titolo abilitativo, e devono essere ultimati entro tre anni dall’inizio dei lavori stessi, pena la decadenza dal diritto a costruire la parte dell’opera non ancora eseguita.
La fissazione obbligatoria di termini di validità del titolo abilitativo trova la sua ratio nella necessità di assicurare la certezza temporale dell’attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio e l’effettività delle previsioni urbanistiche.
Allo scopo di evitare che una edificazione, autorizzata in un dato momento, venga realizzata quando la situazione fattuale e normativa sia mutata, i lavori devono essere iniziati ed ultimati nel termine prescritto nel permesso di costruire. Tuttavia, i termini di inizio e di ultimazione possono però essere prorogati, se prima della scadenza ne sia fatta richiesta, in considerazione di fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso.
Infine, va ricordato che il reato di costruzione abusiva ha natura permanente per tutto il tempo in cui continua l’attività edilizia illecita, ed il suo momento di cessazione va individuato o nella sospensione di lavori, sia essa volontaria o imposta ex auctoritate, o nella ultimazione dei lavori per il completamento dell’opera o, infine, nella sentenza di primo grado ove i lavori siano proseguiti dopo l’accertamento e sino alla data del giudizio
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 31.12.2021 n. 47426 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo la disciplina della efficacia temporale del permesso di costruire contenuta nell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, i lavori devono essere iniziati entro un anno dal rilascio del titolo abilitativo, e devono essere ultimati entro tre anni dall'inizio dei lavori stessi, pena la decadenza dal diritto a costruire la parte dell'opera non ancora eseguita.
La fissazione obbligatoria di termini di validità del titolo abilitativo trova la sua ratio nella necessità di assicurare la certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio e l'effettività delle previsioni urbanistiche. Allo scopo di evitare che una edificazione, autorizzata in un dato momento, venga realizzata quando la situazione fattuale e normativa sia mutata, i lavori devono essere iniziati ed ultimati nel termine prescritto nel permesso di costruire.
I termini di inizio e di ultimazione possono però essere prorogati, se prima della scadenza ne sia fatta richiesta, in considerazione di fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso.
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4. Il quinto motivo di ricorso di Fa.Ma.Do. è manifestamente infondato.
Secondo la disciplina della efficacia temporale del permesso di costruire contenuta nell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380/2001, i lavori devono essere iniziati entro un anno dal rilascio del titolo abilitativo, e devono essere ultimati entro tre anni dall'inizio dei lavori stessi, pena la decadenza dal diritto a costruire la parte dell'opera non ancora eseguita.
La fissazione obbligatoria di termini di validità del titolo abilitativo trova la sua ratio nella necessità di assicurare la certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio e l'effettività delle previsioni urbanistiche (C. Stato, sez. V 28.06.2000 n. 3638). Allo scopo di evitare che una edificazione, autorizzata in un dato momento, venga realizzata quando la situazione fattuale e normativa sia mutata, i lavori devono essere iniziati ed ultimati nel termine prescritto nel permesso di costruire (Sez. 3, n. 12316 del 21/02/2007, Rv. 236336 - 01, in motivazione).
I termini di inizio e di ultimazione possono però essere prorogati, se prima della scadenza ne sia fatta richiesta, in considerazione di fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso.
Con il d.l. n. 133/2013 è stato introdotto il comma 2-bis all'art. 15 d.P.R. n. 380/2001 prevedendo che la proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordato qualora i lavori non possono essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondati.
La Corte territoriale, in aderenza al chiaro dato normativo, ha correttamente rilevato che grava sul committente l'obbligo di presentare una formale istanza di proroga in tutte le ipotesi normativamente previste, anteriormente alla scadenza e che tanto non è avvenuto nella specie.
Il ricorrente, neppure confrontandosi criticamente con tali argomentazioni, si dilunga in considerazioni in punto di fatto che non possono trovare ingresso in sede di giudizio di legittimità (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 31.12.2021 n. 47426).

EDILIZIA PRIVATATitoli edilizi, illegittima la proroga automatica decisa dalla Lombardia per il Covid.
La Regione Lombardia non può prorogare la validità dei titoli edilizi rilasciati durante l'emergenza Covid 2019 oltre il termine previsto dalla normativa nazionale in quanto il regime dei titoli abilitativi costituisce principio fondamentale della materia concorrente "governo del territorio" rimesso alla potestà legislativa dello Stato ex articolo 117, comma terzo, della Costituzione.

Lo ha stabilito la Consulta con la
sentenza 21.12.2021 n. 245, che, su ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ha dichiarato incostituzionale l'articolo 28, comma 1, lettera a), della legge regionale 07.08.2020 (Assestamento al bilancio 2020-2022 con modifiche di leggi regionali) che proroga automaticamente di tre anni «la validità di tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti o titoli abilitativi, comunque denominati, fino al 31.12.2021».
Norma che il Giudice delle leggi ha ritenuto in contrasto con:
   - l'articolo 103, comma 2, del decreto-legge 17.03.2020, n. 18 "Misure connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19" secondo cui tutti i titoli abilitativi in scadenza tra il 31.01.2020 e la dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza (ad oggi fissata al 31.03.2022) conservano la loro efficacia sino ai novanta giorni successivi a tale dichiarazione;
   - l'articolo 10, comma 4, del decreto legge n. 76 del 2020 "Misure urgenti per la semplificazione", nuovamente intervenuto in materia, di emergenza Covid- 19, che stabilisce che, «[p]er effetto della comunicazione del soggetto interessato di volersi avvalere del presente comma, sono prorogati di tre anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'articolo 15, come indicati nei permessi di costruire rilasciati o comunque formatisi fino al 31.12.2020, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati»;
   - gli articoli 12 e 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, recanti rispettivamente la disciplina in tema di presupposti per il rilascio del permesso di costruire e di efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire.
La sentenza
L'Avvocatura generale dello Stato aveva impugnato la norma regionale evidenziando che:
   1) il legislatore statale era intervenuto in materia con interventi graduali, proporzionati alla situazione emergenziale, subordinando la proroga dei termini di inizio e ultimazione dei lavori dei permessi di costruire alla comunicazione dell'interessato e alla perdurante conformità del titolo agli strumenti urbanistici approvati o adottati, mentre la Regione Lombardia aveva introdotto una proroga automatica e di maggiore ampiezza al punto di rendere «variabile lo ius aedificandi»;
   2) la norma regionale si sarebbe discostata dalla disciplina statale che subordina la proroga alla compatibilità del titolo abilitativo con gli strumenti urbanistici «anche meramente adottati», in applicazione dell'articolo 12, comma 3, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 («In caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda»).
Argomentazioni che ha la Corte costituzionale ha condiviso («Le pur gravi difficoltà che investono il settore delle costruzioni in Lombardia, peraltro riscontrabili anche in altre realtà regionali, non giustificano l'introduzione di un regime regionale difforme»).
L'Alta Corte ha confermato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui le norme che disciplinano i titoli abilitativi sono riconducibili al rango di principi fondamentali della materia "governo del territorio" (ex plurimis, sentenza n. 125 del 2017, n. 49 del 2016 e n. 309 del 2011: «La Corte ritiene principi fondamentali della materia le disposizioni che definiscono le categorie di interventi, perché è in conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche penali».
Orientamento che l'Alta Corte ha più volte ribadito. Basta citare la sentenza n. 2 del 2021 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune norme della legge della Regione Toscana 22.11.2019, n. 69 (Disposizioni in materia di governo del territorio) affermando che l'obbligo di non iniziare i lavori prima di trenta giorni dalla segnalazione, stabilito dall'articolo 23, comma 1, del testo unico edilizia, «concorre a caratterizzare indefettibilmente il regime del titolo abilitativo della "superScia", e costituisce anch'esso principio fondamentale della materia "governo del territorio"» (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 27.12.2021).

EDILIZIA PRIVATA: Titoli edilizi ed emergenza Covid: incostituzionale la proroga della Lombardia. La Corte Costituzionale ha confermato il contrasto con quanto disposto dallo Stato a seguito dell'emergenza sanitaria.
Scadenza termini titoli abilitativi ed emergenza COVID-19: la proroga disposta dalla regione Lombardia (legge 18/2020) è incostituzionale.
Proroga termini titoli abilitativi: la sentenza della Corte Costituzionale
Così ha disposto la Corte Costituzionale, con la
sentenza 21.12.2021 n. 245, per avere agito in difformità da quanto ha previsto lo Stato con i decreti legge n. 18/2020 e n. 76/2020.
Nella fattispecie, il giudizio ha riguardato la legittimità costituzionale dell’art. 28 della legge della Regione Lombardia 07.08.2020, n. 18 (Assestamento al bilancio 2020-2022 con modifiche di leggi regionali).
Tale norma prevedeva:
   ● la proroga di tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti o titoli abilitativi, comunque denominati, in scadenza dal 31.01.2020 e fino al 31.12.2021, per tre anni dalla data di relativa scadenza;
  
la proroga delle convenzioni di lottizzazione di cui all’articolo 46 della legge regionale 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e dei termini da esse stabiliti, nonché di quelli contenuti in accordi similari, comunque denominati, previsti dalla legislazione regionale in materia urbanistica, stipulati antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge, che conservano validità per tre anni dalla relativa scadenza.
Secondo il Governo, la disposizione regionale impugnata ha dettato una disciplina difforme da quella statale, contenuta nell’art. 103, commi 2 e 2-bis, del decreto-legge 17.03.2020, n. 18 (c.d. Decreto “Cura Italia”), convertito, con modificazioni, in legge 24.04.2020, n. 27, e nel successivo, integrativo art. 10, commi 4 e 4-bis, del decreto-legge 16.07.2020, n. 76 (c.d. “Decreto Semplificazioni”) convertito, con modificazioni, in legge 11.09.2020, n. 120.
In particolare, viene sottolineata:
  
la maggiore ampiezza della proroga disposta in ambito regionale, che ha prolungato di tre anni la validità dei permessi di costruire in scadenza fino al 31.12.2021;
  
l’automatismo che la connota, laddove il legislatore statale ha proceduto con interventi graduali, proporzionati alla situazione emergenziale, subordinando la proroga dei termini di inizio e ultimazione dei lavori dei permessi di costruire alla comunicazione dell’interessato, nonché alla perdurante conformità del titolo agli strumenti urbanistici approvati o adottati: in particolare l’art. 10, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020 ne subordina l’efficacia alla richiesta dell’interessato e alla perdurante compatibilità del titolo oggetto della richiesta di proroga con gli strumenti urbanistici, generali o particolareggiati, nel frattempo adottati.
Inoltre la norma impugnata:
  
sarebbe costituzionalmente illegittima anche sotto il profilo della violazione del principio di necessaria unitarietà della proroga, tanto dei termini di validità dei titoli, quanto dei termini di inizio e ultimazione dei lavori;
  
contrasterebbe con la legislazione statale prima richiamata anche con riferimento alla causale dell’emergenza su cui esplicitamente si fonda, poiché vengono meno i principi di proporzionalità e limitatezza temporale. La proroga disposta dal legislatore regionale, riferita ai titoli abilitativi in scadenza fino al 31.12.2021, violerebbe palesemente tali principi.
Emergenza Covid-19 e proroga titoli edilizi: il quadro normativo di riferimento
Nel giudicare il caso, la Corte Costituzionale ha preliminarmente fatto un excursus delle norme di riferimento:
  
con l’art. 103, comma 1, del d.l. n. 18 del 17.03.2020 (cosiddetto Decreto cura Italia), il legislatore ha approntato il primo intervento urgente: la paralisi dell’attività amministrativa e l’esigenza di garantire la protezione della salute e gli interessi collegati all’azione della pubblica amministrazione, hanno indotto a prevedere la sospensione dei termini di tutti i procedimenti amministrativi;
  
in sede di conversione in legge, si è stabilito che gli atti e i titoli in scadenza tra il 31 gennaio e il 31.07.2020 conservano «validità» per i novanta giorni successivi alla data della dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza, con previsione espressamente estesa ai termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’art. 15 del d.P.R., n. 380/2001, alle segnalazioni certificate di inizio attività (SCIA), alle segnalazioni di agibilità, alle autorizzazioni paesaggistiche e alle autorizzazioni ambientali, comunque denominate;
  
nel luglio 2020, nel permanere dell’emergenza, il legislatore è tornato a occuparsi di alcuni provvedimenti specifici –i permessi di costruire– per ricalibrare la proroga automatica e generalizzata inizialmente disposta con l’art. 103, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020: ecco quindi l’art. 10, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020 (cosiddetto Decreto semplificazioni), come convertito nella legge n. 120 del 2020, che ha previsto che i termini di inizio e ultimazione dei lavori di cui all’art. 15 del d.P.R. n. 380/2001, come indicati nei permessi di costruire formatisi fino al 31.12.2020, sono prorogati, se l’interessato comunica di volersi avvalere di tale proroga. Al momento della comunicazione i termini non devono essere già decorsi e il titolo deve risultare conforme agli strumenti urbanistici approvati o adottati. Questa disciplina è stata espressamente estesa alle segnalazioni di inizio attività presentate entro lo stesso termine (31.12.2020).
  
a causa del protrarsi dell’emergenza epidemiologica, il legislatore è nuovamente intervenuto: l’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 125 del 2020, come convertito, ha modificato l’art. 103, comma 2, sostituendo la data del «31.07.2020» con «la data della dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza», così prorogando la validità di tutti gli atti e titoli in scadenza nell’intero periodo emergenziale, a partire dal 31.01.2020;
  
l’art. 3-bis, comma 1, lettera b), dello stesso d.l. n. 125 del 2020, ha introdotto nell’art. 103 il comma 2-sexies, in cui si prevede che tutti gli atti e provvedimenti indicati al comma 2 dell’art. 103 «scaduti» tra il 01.08.2020 e la data di entrata in vigore della legge di conversione n. 159 del 2020 (27.11.2020), e non rinnovati, «si intendono validi e sono soggetti alla disciplina di cui al medesimo comma 2». In questo modo, è stata recuperata la validità degli atti in scadenza nel periodo successivo al 31.07.2020, non compresi nella prima proroga. La disciplina dettata dall’art. 10, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020 è riferita solo ai permessi di costruire e alla SCIA, mentre gli altri titoli abilitativi sono assoggettati alla previsione dell’art. 103, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020, come modificato.
Infine, con il decreto-legge 23.07.2021, n. 105, convertito, con modificazioni, in legge 16.09.2021, n. 126, l’emergenza da COVID-19 è stata prorogata fino al 31.12.2021.
Proroga automatica contrasta con le norme statali
La Corte Costituzionale quindi ha evidenziato che l’art. 28, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, nel disporre la proroga dei titoli abilitativi in modo difforme da quanto previsto nella disciplina statale (artt. 103, comma 2, d.l. n. 18 del 2020, come convertito, e 10, comma 4, d.l. n. 76 del 2020, come convertito), entra in collisione con un principio fondamentale.
Il raffronto tra le norme statali interposte e la disciplina regionale rende palese la diversità della proroga automatica disposta dalla Regione Lombardia in riferimento a:
  
tipologia dei titoli abilitativi;
  
durata della proroga, che la disposizione regionale ha indicato in tre anni dalla scadenza, mentre la norma statale ha individuato il termine finale nel novantesimo giorno successivo alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza;
  
art. 10, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020, che ha previsto una disciplina specifica della proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori indicati nei permessi di costruire di cui all’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, eliminando l’automatismo e subordinando la concessione della proroga alla richiesta dell’interessato, nonché alla perdurante compatibilità del titolo oggetto di proroga con gli strumenti urbanistici approvati o adottati.
Inoltre, nel testo che risulta a seguito della legge di conversione, è previsto un termine differenziato di proroga dei suddetti termini, rispettivamente di un anno e di tre anni.
La disciplina regionale è, pertanto, completamente differente rispetto a quella statale.
Il Collegio ha quindi ricordato che la durata dei titoli abilitativi rappresenta un punto di equilibrio fra i contrapposti interessi oggetto di tutela, inerenti alla realizzazione di interventi di trasformazione del territorio compatibili con la tutela dell’ambiente e dell’ordinato sviluppo urbanistico, per ciò stesso assegnato a titolo esclusivo al legislatore statale, secondo il sistema delineato dal d.P.R. n. 380 del 2001.
La disciplina statale riguarda tutto il territorio nazionale
In una situazione inusuale di emergenza epidemiologica come quella da COVID-19, l’intervento del legislatore è consistito nel prorogare i titoli abilitativi in termini omogenei su tutto il territorio nazionale: "incidendo sulla durata, le norme statali interposte partecipano della natura di “principio fondamentale” che connota la disciplina dei titoli abilitativi, con l’effetto di vincolare le Regioni. Le pur gravi difficoltà che investono il settore delle costruzioni in Lombardia, peraltro riscontrabili anche in altre realtà regionali, non giustificano l’introduzione di un regime regionale difforme”.
Con le norme emanate, lo Stato ha disposto la proroga generalizzata dei titoli abilitativi, seguendo lo sviluppo dell’emergenza epidemiologica e delle sue ricadute, nel bilanciamento di interessi potenzialmente confliggenti che connotano gli interventi sul territorio: da un lato, l’interesse dei beneficiari dei titoli abilitativi a esercitare i propri diritti, e l’interesse pubblico a non vincolare l’uso del territorio per un tempo eccessivo, dall’altro. L’intervento statale ha inteso rispondere a esigenze che riguardano l’intero territorio nazionale, colpito dalla pandemia, con effetti drammatici che hanno inciso il tessuto sociale ed economico.
L’art. 28, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 07.08.2020, n. 18, è stato quindi giudicato illegittimo, ad esclusione della parte in cui, nel testo antecedente all’entrata in vigore della legge reg. Lombardia n. 22 del 2020, prevedeva la proroga delle autorizzazioni paesaggistiche (23.12.2021 - tratto da e link a www.lavoripubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: F. Donegani, Pandemia e proroga dei titoli abilitativi in Lombardia: l'intervento della Corte Costituzionale  (22.12.2021 - link a www.dirittopa.it).
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Fin dalle prime fasi della pandemia, il legislatore nazionale si è preoccupato di prorogare i termini di titoli edilizi e convenzioni, sia per preservarne la validità a fronte del blocco delle attività, che per favorire il rilancio dell'economia accordando più ampi tempi di attuazione degli interventi edilizi. (...continua).

EDILIZIA PRIVATALa proroga dei titoli abilitativi edilizi è riservata allo Stato.
La Corte Costituzionale, con la
sentenza 21.12.2021 n. 245, ha dichiarato illegittima la disposizione della Regione Lombardia di proroga dei termini dei titoli edilizi, paesaggistici e delle convenzioni di lottizzazione, impugnata dal Governo perché in contrasto con la disciplina statale che, incidendo sulla durata dei titoli abilitativi, partecipa della natura di principio fondamentale della materia del governo del territorio. “Le pur gravi difficoltà che investono il settore delle costruzioni in Lombardia, peraltro riscontrabili anche in altre realtà regionali, non giustificano l’introduzione di un regime regionale difforme’’.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28 della legge della Regione Lombardia 07.08.2020, n. 18 (Assestamento al bilancio 2020-2022 con modifiche di leggi regionali). In particolare la disposizione regionale impugnata, prevedeva che in considerazione del permanere di gravi difficoltà per il settore delle costruzioni, derivanti dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, “fosse prorogata la validità:
   a) di tutti certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti o titoli abilitativi, comunque denominati, in scadenza dal 31.01.2020 e fino al 31.12.2021, per tre anni dalla data di relativa scadenza;
   b) delle convenzioni di lottizzazione di cui all’articolo 46 della legge regionale 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e dei termini da esse stabiliti, nonché di quelli contenuti in accordi similari, comunque denominati, previsti dalla legislazione regionale in materia urbanistica, stipulati antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge, che conservano validità per tre anni dalla relativa scadenza
".
Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la disposizione regionale violi il riparto di competenze in quanto proroga la validità dei titoli edilizi, paesaggistici e delle convenzioni di lottizzazione. Infatti la normativa in esame è riconducibile alla materia «governo del territorio», di competenza legislativa concorrente, e che, all’interno di tale ambito materiale, la disciplina dei titoli edilizi e paesaggistici assurga al rango di principio fondamentale, anche con riferimento alla durata.
La disposizione regionale, con l’introdurre una disciplina sostitutiva di quella statale sulla proroga dei titoli, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., per il tramite del parametro interposto costituito dalle norme statali richiamate, che esprimono principi fondamentali della materia.
Sentenza della Corte
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 245/2021 del 21.12.2021, ha dichiarato incostituzionale la proroga dei termini dei titoli abilitativi disposta durante l’emergenza COVID-19 dalla regione Lombardia (legge 18/2020) in modo difforme da quanto ha previsto lo Stato con i decreti legge 18 e 76 del 2020.
‘‘Le pur gravi difficoltà che investono il settore delle costruzioni in Lombardia, peraltro riscontrabili anche in altre realtà regionali, non giustificano l’introduzione di un regime regionale difforme’’. La Corte ha inoltre osservato che, nel seguire lo sviluppo dell’emergenza COVID-19 e delle sue drammatiche ricadute, il legislatore statale ha inteso bilanciare l’interesse dei beneficiari dei titoli a conservare i rispettivi diritti e l’interesse pubblico a non vincolare l’uso del territorio per un tempo eccessivo. Di qui la proroga generalizzata dei titoli abilitativi su tutto il territorio nazionale, fino al novantesimo giorno successivo alla cessazione dello stato di emergenza (21.12.2021 - tratto da www.ipsoa.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Art. 28 l.r. Lombardia n. 18/2020 – Illegittimità costituzionale – Emergenza epidemiologica – Proroga dei titoli abilitativi difforme rispetto alla previsione statale di cui agli artt. 103, c. 2 d.l. n. 18/2020 e 10, c. 4, d.l. n. 76/2020 – Durata dei titoli abilitativi – Principio fondamentale assegnato a titolo esclusivo al legislatore statale.
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 07.08.2020, n. 18 (Assestamento al bilancio 2020-2022 con modifiche di leggi regionali), come delimitato –nel suo ambito di applicazione– dall’art. 20, comma 2, lettera b), della legge della Regione Lombardia 27.11.2020, n. 22 (Seconda legge di revisione normativa ordinamentale 2020).
La norma, nel disporre la proroga dei titoli abilitativi in modo difforme da quanto previsto nella disciplina statale (artt. 103, comma 2, d.l. n. 18 del 2020, come convertito, e 10, comma 4, d.l. n. 76 del 2020, come convertito), entra in collisione con un principio fondamentale, in tema di durata dei titoli abilitativi, nella cui determinazione si ravvisa un punto di equilibrio fra i contrapposti interessi oggetto di tutela, inerenti alla realizzazione di interventi di trasformazione del territorio compatibili con la tutela dell’ambiente e dell’ordinato sviluppo urbanistico, per ciò stesso assegnato a titolo esclusivo al legislatore statale.
La diversità della proroga automatica disposta dalla Regione Lombardia è resa palese dal raffronto tra le norme statali interposte e la disciplina regionale, con riferimento sia all’oggetto –individuato in «tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti o titoli abilitativi, comunque denominati» in scadenza dal 31.01.2020 fino al 31.12.2021, laddove l’art. 103, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020, prevedeva la proroga automatica degli atti e titoli abilitativi in scadenza tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020–, sia alla durata della proroga, che la disposizione regionale ha indicato in tre anni dalla scadenza, mentre la norma statale ha individuato il termine finale nel novantesimo giorno successivo alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza.
La difformità si riscontra anche con riferimento alla previsione integrativa dettata dall’art. 10, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020, che ha previsto una disciplina specifica della proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori indicati nei permessi di costruire di cui all’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, eliminando l’automatismo e subordinando la concessione della proroga alla richiesta dell’interessato, nonché alla perdurante compatibilità del titolo oggetto di proroga con gli strumenti urbanistici approvati o adottati.
Al disallineamento dei termini di proroga si affianca una disciplina strutturalmente diversa, giacché il d.l. n. 76 del 2020, intervenuto nella seconda fase dell’emergenza, ha superato l’automatismo della prima generalizzata proroga, introducendo elementi condizionali
(Corte Costituzionale, sentenza 21.12.2021 n. 245 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: EMERGENZA COVID: LA PROROGA DEI TITOLI ABILITATIVI EDILIZI E PAESAGGISTICI E’ RISERVATA ALLO STATO.
È incostituzionale la proroga dei termini dei titoli abilitativi disposta durante l’emergenza COVID-19 dalla regione Lombardia (legge 18/2020) in modo difforme da quanto ha previsto lo Stato con i decreti legge 18 e 76 del 2020.

‘‘Le pur gravi difficoltà che investono il settore delle costruzioni in Lombardia, peraltro riscontrabili anche in altre realtà regionali, non giustificano l’introduzione di un regime regionale difforme’’.
È quanto si legge nella sentenza n. 245 depositata oggi (relatrice Silvana Sciarra). La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la disposizione regionale di proroga dei termini, impugnata dal Governo perché in contrasto con la disciplina statale che, incidendo sulla durata dei titoli abilitativi, partecipa della natura di principio fondamentale della materia del governo del territorio.
La Corte ha osservato che, nel seguire lo sviluppo dell’emergenza COVID-19 e delle sue drammatiche ricadute, il legislatore statale ha inteso bilanciare l’interesse dei beneficiari dei titoli a conservare i rispettivi diritti e l’interesse pubblico a non vincolare l’uso del territorio per un tempo eccessivo. Di qui la proroga generalizzata dei titoli abilitativi su tutto il territorio nazionale, fino al novantesimo giorno successivo alla cessazione dello stato di emergenza (Corte Costituzionale, comunicato stampa 21.12.2021).
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SENTENZA
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 95 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 28 della legge della Regione Lombardia 07.08.2020, n. 18 (Assestamento al bilancio 2020-2022 con modifiche di leggi regionali).
2.– L’impugnato art. 28, rubricato «Differimento di termini e sospensione dell’efficacia di atti in materia di governo del territorio in considerazione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19», ha disposto «[a]nche in considerazione del permanere di gravi difficoltà per il settore delle costruzioni, derivanti dall’emergenza epidemiologica da COVID-19», la proroga della validità di atti e titoli abilitativi.
In particolare l’art. 28, comma 1, ha previsto, alla lettera a), la proroga della validità di «tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti o titoli abilitativi, comunque denominati, in scadenza dal 31.01.2020 e fino al 31.12.2021, per tre anni dalla data di relativa scadenza», e, alla lettera b), la proroga della validità delle «convenzioni di lottizzazione di cui all’articolo 46 della legge regionale 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e dei termini da esse stabiliti, nonché di quelli contenuti in accordi similari, comunque denominati, previsti dalla legislazione regionale in materia urbanistica, stipulati antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge, che conservano validità per tre anni dalla relativa scadenza».
2.1.– Il ricorrente ritiene che la disposizione regionale violi il riparto di competenze in quanto proroga la validità dei titoli edilizi, paesaggistici e delle convenzioni di lottizzazione difformemente da quanto previsto dalla disciplina statale nell’art. 103, commi 2 e 2-bis, del decreto-legge 17.03.2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, in legge 24.04.2020, n. 27, e nel successivo, integrativo art. 10, commi 4 e 4-bis, del decreto-legge 16.07.2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale) convertito, con modificazioni, in legge 11.09.2020, n. 120.
2.2.– Il ricorrente muove dall’assunto che la normativa in esame sia riconducibile alla materia «governo del territorio», di competenza legislativa concorrente, e che, all’interno di tale ambito materiale, la disciplina dei titoli edilizi e paesaggistici assurga al rango di principio fondamentale, anche con riferimento alla durata.
La disposizione regionale, con l’introdurre una disciplina sostitutiva di quella statale sulla proroga dei titoli, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., per il tramite del parametro interposto costituito dalle norme statali richiamate, che esprimono principi fondamentali della materia.
2.3.– La Regione Lombardia ha contestato che la proroga dei titoli abilitativi rientri nella normativa di principio riservata allo Stato in materia di «governo del territorio», assumendo che il legislatore regionale possa modulare diversamente la proroga per soddisfare esigenze peculiari del territorio.
3.– Occorre, in via preliminare, esaminare le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Regione resistente.
3.1.– La Regione Lombardia, anzitutto, eccepisce l’inammissibilità del ricorso promosso avverso l’intero art. 28 della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, in quanto sia la delibera di impugnazione del ricorso del Consiglio dei ministri che il ricorso non avrebbero individuato con sufficiente determinatezza le disposizioni impugnate, limitandosi a richiamare genericamente l’intero art. 28, che contiene disposizioni fra loro non omogenee.
3.1.1. – L’eccezione è priva di fondamento.
Come riconosciuto dalla stessa Regione Lombardia, sia dalla delibera di proposizione del ricorso, sia dal ricorso stesso emerge chiaramente che le censure di illegittimità costituzionale sono riferite alle sole prescrizioni contenute nel comma 1 del citato art. 28. Pertanto, lo scrutinio di questa Corte è circoscritto a tale comma.
3.2.– Deve essere, del pari, rigettata l’eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa regionale con riguardo alla proroga della validità delle autorizzazioni paesaggistiche.
Il ricorrente, pur senza soffermarsi sulla dedotta violazione, chiaramente si duole che la proroga disposta dall’art. 28, comma 1, lettera a), investe i titoli autorizzativi anche paesaggistici, prevedendo termini diversi da quelli fissati dalla disciplina statale.
3.3.– Ancora in linea preliminare, occorre rilevare che, con atto depositato il 19.11.2021, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato di rinunciare al ricorso limitatamente alla impugnazione dell’art. 28, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, in ragione della sopravvenuta abrogazione della citata disposizione ad opera dell’art. 18, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 27.11.2020, n. 22 (Seconda legge di revisione normativa ordinamentale 2020).
La Regione resistente, con delibera di Giunta pervenuta in data 30.11.2021, ha dichiarato di accettare la rinuncia.
Ciò comporta l’estinzione del processo, limitatamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, promossa dal Governo in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
3.4.– Con la memoria illustrativa, la difesa regionale ha segnalato l’ulteriore sopravvenienza normativa costituita dal comma 1-bis dell’art. 28 della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, inserito dall’art. 20, comma 2, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 22 del 2020, entrata in vigore il 30.11.2020, precisando che tale disposizione ha escluso le autorizzazioni paesaggistiche dalla proroga di cui al comma 1. Una tale sopravvenienza comporterebbe, secondo la difesa regionale, la cessazione della materia del contendere.
Il periodo di vigenza della disposizione regionale impugnata –11.08.2020-30.11.2020– è allineato con la disciplina statale, contenuta nell’art. 103, comma 2-sexies, del d.l. n. 18 del 2020, aggiunto dal decreto-legge 07.10.2020, n. 125, recante «Misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, per il differimento di consultazioni elettorali per l’anno 2020 e per la continuità operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l’attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 03.06.2020, e disposizioni urgenti in materia di riscossione esattoriale», convertito, con modificazioni, in legge 27.11.2020, n. 159. La norma regionale impugnata avrebbe potuto operare dopo novanta giorni dalla scadenza della dichiarazione dello stato di emergenza previsto dalla normativa statale, ovvero dopo il 31.01.2021 e dunque non ha trovato applicazione, come affermato dalla difesa regionale nella memoria illustrativa.
Sussistono pertanto i presupposti per dichiarare cessata la materia del contendere con riguardo alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, nella sola parte relativa alla proroga delle autorizzazioni paesaggistiche.
4.– Nel merito, la questione di legittimità costituzionalità, circoscritta alla restante parte della lettera a) del comma 1 dell’art. 28, è fondata.
4.1.– È opportuno ricostruire diacronicamente il succedersi degli interventi statali, ispirati, sia pure nella diversa modulazione tra la prima e la seconda fase dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, dall’impellente esigenza di preservare, su tutto il territorio nazionale, la validità e l’efficacia dei titoli abilitativi altrimenti compromessa dal blocco delle attività.
4.1.1.– Con l’art. 103, comma 1, del d.l. n. 18 del 17.03.2020 (cosiddetto Decreto cura Italia), il legislatore ha approntato il primo intervento urgente. La paralisi dell’attività amministrativa e l’esigenza di garantire la protezione della salute e gli interessi collegati all’azione della pubblica amministrazione, hanno indotto il legislatore a prevedere la sospensione dei termini di tutti i procedimenti amministrativi.
In larga parte sovrapponibile è la ratio che sorregge la previsione contenuta nel successivo comma 2, rilevante in questo giudizio, che dispone la proroga della validità degli atti e provvedimenti e titoli abilitativi già perfezionati, nonché lo slittamento dei termini in essi previsti.
Al di là del riferimento agli atti amministrativi di certazione (certificati, attestati), il catalogo riguarda provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari, quali i titoli abilitativi, che conformano lo ius aedificandi, e nascono temporalmente limitati. Lo scopo che la proroga si prefigge è mantenere intatta la posizione dei destinatari fino alla fine dell’emergenza.
In sede di conversione in legge, si è stabilito che gli atti e i titoli in scadenza tra il 31 gennaio e il 31.07.2020 conservano «validità» per i novanta giorni successivi alla data della dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza, con previsione espressamente estesa ai termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all’art. 15 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», alle segnalazioni certificate di inizio attività (SCIA), alle segnalazioni di agibilità, alle autorizzazioni paesaggistiche e alle autorizzazioni ambientali, comunque denominate.
4.1.2.– Nel luglio 2020, nel permanere dell’emergenza, il legislatore è tornato a occuparsi di alcuni provvedimenti specifici –i permessi di costruire– per ricalibrare la proroga automatica e generalizzata inizialmente disposta con l’art. 103, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020.
L’art. 10, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020 (cosiddetto Decreto semplificazioni), come convertito nella legge n. 120 del 2020, ha previsto che i termini di inizio e ultimazione dei lavori di cui all’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, come indicati nei permessi di costruire formatisi fino al 31.12.2020, sono prorogati, se l’interessato comunica di volersi avvalere di tale proroga. Al momento della comunicazione i termini non devono essere già decorsi e il titolo deve risultare conforme agli strumenti urbanistici approvati o adottati.
Questa disciplina è stata espressamente estesa alle segnalazioni di inizio attività presentate entro lo stesso termine (31.12.2020).
4.1.3.– A causa del protrarsi dell’emergenza epidemiologica, il legislatore è nuovamente intervenuto. L’art. 3-bis, comma 1, lettera a), del d.l. n. 125 del 2020, come convertito, ha modificato l’art. 103, comma 2, sostituendo la data del «31.07.2020» con «la data della dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza», così prorogando la validità di tutti gli atti e titoli in scadenza nell’intero periodo emergenziale, a partire dal 31.01.2020.
L’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del medesimo d.l. n. 125 del 2020, ha introdotto nell’art. 103 il comma 2-sexies, in cui si prevede che tutti gli atti e provvedimenti indicati al comma 2 dell’art. 103 «scaduti» tra il 01.08.2020 e la data di entrata in vigore della legge di conversione n. 159 del 2020 (27.11.2020), e non rinnovati, «si intendono validi e sono soggetti alla disciplina di cui al medesimo comma 2».
In questo modo, è stata recuperata la validità degli atti in scadenza nel periodo successivo al 31.07.2020, non compresi nella prima proroga.
La disciplina dettata dall’art. 10, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020 è riferita ai permessi di costruire e alla SCIA, mentre gli altri titoli abilitativi sono assoggettati alla previsione dell’art. 103, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020, come modificato.
4.1.4.– Infine, con il decreto-legge 23.07.2021, n. 105 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche), convertito, con modificazioni, in legge 16.09.2021, n. 126, l’emergenza da COVID-19 è stata prorogata fino al 31.12.2021.
5.– La disposizione regionale oggetto della questione di legittimità costituzionalità deve ricondursi alla materia «governo del territorio», di competenza legislativa concorrente. Tale questione si incentra sulla pretesa violazione delle disposizioni statali relative alla proroga generalizzata dei titoli abilitativi in ragione della emergenza epidemiologica, qualificate come disposizioni contenenti principi fondamentali della materia, vincolanti per le Regioni.
5.1.– L’art. 28, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, nel disporre la proroga dei titoli abilitativi in modo difforme da quanto previsto nella disciplina statale (artt. 103, comma 2, d.l. n. 18 del 2020, come convertito, e 10, comma 4, d.l. n. 76 del 2020, come convertito), entra in collisione con un principio fondamentale.
Il raffronto tra le norme statali interposte e la disciplina regionale rende palese la diversità della proroga automatica disposta dalla Regione Lombardia, con riferimento sia all’oggetto –individuato in «tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti o titoli abilitativi, comunque denominati» in scadenza dal 31.01.2020 fino al 31.12.2021, laddove l’art. 103, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020, prevedeva la proroga automatica degli atti e titoli abilitativi in scadenza tra il 31.01.2020 e il 31.07.2020–, sia alla durata della proroga, che la disposizione regionale ha indicato in tre anni dalla scadenza, mentre la norma statale ha individuato il termine finale nel novantesimo giorno successivo alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza.
La difformità si riscontra anche con riferimento alla previsione integrativa dettata dall’art. 10, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020, che ha previsto una disciplina specifica della proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori indicati nei permessi di costruire di cui all’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, eliminando l’automatismo e subordinando la concessione della proroga alla richiesta dell’interessato, nonché alla perdurante compatibilità del titolo oggetto di proroga con gli strumenti urbanistici approvati o adottati.
Inoltre, nel testo che risulta a seguito della legge di conversione, è previsto un termine differenziato di proroga dei suddetti termini, rispettivamente di un anno e di tre anni.
La disciplina regionale è, pertanto, affatto differente rispetto a quella statale.
Al disallineamento dei termini di proroga si affianca una disciplina strutturalmente diversa, giacché il d.l. n. 76 del 2020, intervenuto nella seconda fase dell’emergenza, ha superato l’automatismo della prima generalizzata proroga, introducendo gli elementi condizionali sopra indicati.
5.2. – Come già detto, la Regione contesta che la disciplina dettata dalle norme interposte assurga al rango di normazione di principio.
Per contrastare tale prospettazione si deve innanzi tutto richiamare l’orientamento di questa Corte, secondo cui la competenza legislativa concorrente non è contraddistinta da una netta separazione di materie, ma dal limite “mobile” e “variabile” costituito dai principi fondamentali, limite che «è incessantemente modulabile dal legislatore statale sulla base di scelte discrezionali, ove espressive di esigenze unitarie sottese alle varie materie» (sentenza n. 68 del 2018, punto 12.1.1. del Considerato in diritto, che richiama le sentenze n. 16 del 2010 e n. 50 del 2005).
5.3.– La riconducibilità delle norme che disciplinano i titoli abilitativi al rango di principi fondamentali della materia «governo del territorio» è stata ripetutamente affermata da questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 2 del 2021, n. 125 del 2017, n. 49 del 2016 e n. 309 del 2011).
Di recente si è ribadito che anche «la definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si collega il regime dei titoli abilitativi costituisce principio fondamentale della materia concorrente “governo del territorio” (sentenze n. 68 del 2018 e n. 231 del 2016). L’obbligo di non iniziare i lavori prima di trenta giorni dalla segnalazione, stabilito dall’art. 23, comma 1, t.u. edilizia, concorre a caratterizzare indefettibilmente il regime del titolo abilitativo della “superSCIA”, e costituisce anch’esso principio fondamentale della materia» (sentenza n. 2 del 2021, punto 2.3.2. del Considerato in diritto).
5.4.– Il principio fondamentale che viene ora in rilievo riguarda la durata dei titoli abilitativi, nella cui determinazione si ravvisa un punto di equilibrio fra i contrapposti interessi oggetto di tutela, inerenti alla realizzazione di interventi di trasformazione del territorio compatibili con la tutela dell’ambiente e dell’ordinato sviluppo urbanistico, per ciò stesso assegnato a titolo esclusivo al legislatore statale, secondo il sistema delineato dal d.P.R. n. 380 del 2001.
L’obiettivo perseguito dall’intervento statale, nello svolgersi di una inusitata emergenza epidemiologica come quella da COVID-19, è consistito nel prorogare i titoli abilitativi in termini omogenei su tutto il territorio nazionale.
Incidendo sulla durata, le norme statali interposte partecipano della natura di “principio fondamentale” che connota la disciplina dei titoli abilitativi, con l’effetto di vincolare le Regioni. Le pur gravi difficoltà che investono il settore delle costruzioni in Lombardia, peraltro riscontrabili anche in altre realtà regionali, non giustificano l’introduzione di un regime regionale difforme.
Né risulta pertinente il richiamo della difesa regionale alla proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori prevista dal legislatore statale con l’art. 30, comma 3, del decreto-legge 21.06.2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in legge 09.08.2013, n. 98. In quel caso, era la stessa normativa statale di proroga che, sorretta dalla diversa ratio di rilancio dell’intero settore delle costruzioni, consentiva alle Regioni di dettare termini diversi, in funzione delle diverse esigenze dei territori.
5.5.– Con la disciplina richiamata a parametro interposto, lo Stato ha disposto la proroga generalizzata dei titoli abilitativi, seguendo lo sviluppo dell’emergenza epidemiologica e delle sue ricadute, nel bilanciamento di interessi potenzialmente confliggenti che connotano gli interventi sul territorio: l’interesse dei beneficiari dei titoli abilitativi a esercitare i diritti ivi conformati, da un lato, e l’interesse pubblico a non vincolare l’uso del territorio per un tempo eccessivo, dall’altro.
L’intervento statale ha inteso rispondere a esigenze che riguardano l’intero territorio nazionale, colpito dalla pandemia, con effetti drammatici che hanno inciso il tessuto sociale ed economico.
Si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 07.08.2020, n. 18, con esclusione della parte in cui, nel testo antecedente all’entrata in vigore della legge reg. Lombardia n. 22 del 2020, prevedeva la proroga delle autorizzazioni paesaggistiche.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
   1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 07.08.2020, n. 18 (Assestamento al bilancio 2020-2022 con modifiche di leggi regionali), come delimitato –nel suo ambito di applicazione– dall’art. 20, comma 2, lettera b), della legge della Regione Lombardia 27.11.2020, n. 22 (Seconda legge di revisione normativa ordinamentale 2020);
   2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, lettera a), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, nella parte in cui –nel testo antecedente all’entrata in vigore della legge reg. Lombardia n. 22 del 2020– prevedeva la proroga delle autorizzazioni paesaggistiche, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
   2) dichiara estinto il processo, limitatamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe (Corte Costituzionale, sentenza 21.12.2021 n. 245).

EDILIZIA PRIVATA: Proroga – Istanza – Termine – Permesso di costruire – Causa di forza maggiore.
Il termine di durata del permesso edilizio non può intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore (Cons. Stato, Sez. IV, 10.07.2017, n. 3371).
Peraltro la proroga del permesso di costruire, pur accedendo all'originario titolo edilizio, costituisce un titolo nuovo, soggetto alla disciplina edilizia in vigore al momento del suo rilascio (TAR Campania, sede di Salerno, Sez. II, 25.03.2014, n. 605)
(TAR Toscana, Sez. I, sentenza 03.11.2021 n. 1429 - articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 03.01.2022).
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1. Il ricorso è infondato e va respinto.
1.1 E’ la società Po.Sa.St. S.r.l. che conferma (si veda pg. 4 del ricorso) come i lavori fossero stati avviati, senza tuttavia essere conclusi, circostanza quest’ultima che ha portato la stessa ricorrente ad affermare che “il permesso decadrà senz’altro al decorso del triennio dall’inizio dei lavori, senza –si ripete– possibilità alcuna di proroga”.
1.2 Il ricorso si basa così sull’assunto che la proroga (laddove fosse stata presentata) non avrebbe potuto essere concessa, in ragione del fatto che l’art. 65 del sopravvenuto Regolamento urbanistico non contempla più l’intervento relativo alla realizzazione del complesso alberghiero di cui si tratta.
1.3 Costituisce, pertanto, circostanza incontestata che la società Porto Santo Stefano Srl non solo non ha provveduto ad ultimare i lavori, ma nemmeno ha mai presentato un’istanza di proroga del permesso di costruire, eventualmente dimostrando l’esistenza di circostanze sopravvenute alla base dei ritardi nella realizzazione del complesso.
1.4 Precedenti pronunce hanno avuto modo di chiarire che il termine di durata del permesso edilizio non può intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore (Cons. Stato Sez. IV Sent., 10/07/2017, n. 3371).
1.5 E’, peraltro, noto che la proroga del permesso di costruire, pur accedendo all'originario titolo edilizio, costituisce un titolo nuovo, soggetto alla disciplina edilizia in vigore al momento del suo rilascio (TAR Campania-Salerno, Sez. II, Sent., 25/03/2014, n. 605).
1.6 L’art. 15 del Dpr 380/2001 prevede che, una volta che siano decorsi previsti per la realizzazione dell’opera, il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga.
1.7 La proroga, a sua volta, può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
1.8 Il quarto comma della stessa disposizione prevede, poi, che il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio, circostanza quest’ultima che non si è verificata nel caso di specie.
1.9 Ciò premesso è evidente che l’Amministrazione non avrebbe potuto che prendere atto della decadenza del permesso di costruire, non essendo dimostrata, nemmeno a seguito del presente ricorso, il venire in essere di circostanze sopravvenute che avrebbero legittimato una proroga del permesso di costruire.
2. Nemmeno risulta dimostrata l’illegittimità dell’art. 65 del nuovo regolamento urbanistico nella parte in cui non avrebbe fatto proprie le volumetrie previste dal piano strutturale e, ciò, considerando che l’Amministrazione gode di un’ampia discrezionalità nell’espressione del potere pianificatorio, in relazione alla quale non risultano evidenti quei sintomi dell’eccesso di potere che pure avrebbero legittimato in astratto una competenza di questo Tribunale.
2.1 Si è affermato, infatti, che le scelte effettuate dalla P.A. in sede di formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale sono accompagnate da un'amplissima valutazione discrezionale che, nel merito, appaiono insindacabili e che sono per ciò stesso attaccabili solo per errori di fatto, per abnormità e irrazionalità delle stesse. In ragione di tale discrezionalità, l'Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate nella predetta sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l'impostazione del piano (Cons. Stato Sez. II, 04/05/2020, n. 2824).

giugno 2020

EDILIZIA PRIVATA: Differenza tra proroga dei termini di ultimazione dei lavori e rinnovo del permesso di costruire.
Il TAR Milano, quanto alla questione della differenza della natura della “proroga” dei termini di ultimazione dei lavori rispetto a quella del “rinnovo” di permesso di costruire, precisa che la giurisprudenza ha rilevato che, in generale, la proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado, in quanto modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario, sicché la differenza tra i due istituti risiede nel fatto che, mentre il rinnovo del permesso di costruire presuppone la sopravvenuta inefficacia dell’originario titolo edilizio e costituisce, a tutti gli effetti, un nuovo titolo, la proroga è un atto sfornito di propria autonomia, che accede all’originario titolo ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del termine finale di efficacia (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.06.2020 n. 1206 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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... per l’accertamento:
   - dell’illegittimità del silenzio-rifiuto formatosi sulla diffida formulata in data 26.03.2019 per il “ripristino integrale validità e tempistica esecutiva del permesso di costruire 29/2008” ovvero per il “rinnovo del permesso di costruire 29/2008”;
   - dell’obbligo di provvedere sulla diffida formulata in data 26.03.2019 per il “ripristino integrale validità e tempistica esecutiva del permesso di costruire 29/08” ovvero per il “rinnovo del permesso di costruire 29/2008”;
   - ……per la condanna…. del Comune di Cerro al Lambro, del Responsabile dell’Ufficio Tecnico ing. Mo.Ol. e del Sindaco dott. Ma.Sa., in via tra loro solidale, al risarcimento del danno ingiusto arrecato al ricorrente.
...
Ritenuto:
   - che, per costante giurisprudenza, perché si configuri il silenzio-inadempimento dell’Amministrazione non è sufficiente che questa, compulsata da un privato che presenta una istanza, non concluda il procedimento amministrativo entro il termine astrattamente previsto per il procedimento del genere evocato con l’istanza, ma è anche necessario che l’Amministrazione contravvenga ad un preciso obbligo di provvedere sulla istanza del privato, obbligo di provvedere che sussiste sia nei casi previsti dalla legge, sia nelle ipotesi che discendono da principi generali, ovvero dalla peculiarità della fattispecie, e allorché ragioni di giustizia ovvero rapporti esistenti tra Amministrazioni ed amministrati impongano l’adozione di un provvedimento, soprattutto al fine di consentire all’interessato di adire la giurisdizione per la tutela delle proprie ragioni (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI, 08.02.2019 n. 961);
   - che, tuttavia, se l’istanza si presenta manifestamente infondata, il giudice adito ai sensi dell’art. 117 cod. proc. amm., anziché procedere all’accertamento dell’astratto obbligo di provvedere dell’Amministrazione, fa derivare dall’esito sicuramente negativo dell’istanza rimasta inevasa il rigetto della domanda giudiziale, risultando del tutto diseconomico obbligare l’Amministrazione a provvedere laddove l’atto espresso non potrebbe che essere di rigetto (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 30.06.2017 n. 3234);
   - che nella fattispecie il ricorrente lamenta l’inerzia dell’Amministrazione comunale rispetto alla richiesta di “proroga” o “rinnovo” del permesso di costruire rilasciatogli in data 24.01.2013;
   - che, quanto alla questione della differenza della natura della “proroga” dei termini di ultimazione dei lavori rispetto a quella del “rinnovo” di permesso di costruire, la giurisprudenza ha rilevato che, in generale, la proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado, in quanto modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario, sicché la differenza tra i due istituti risiede nel fatto che, mentre il rinnovo del permesso di costruire presuppone la sopravvenuta inefficacia dell’originario titolo edilizio e costituisce, a tutti gli effetti, un nuovo titolo, la proroga è un atto sfornito di propria autonomia, che accede all’originario titolo ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del termine finale di efficacia (v. Cons. Stato, Sez. III, 13.11.2018 n. 6409);
   - che, pertanto, prevedendo l’art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 che, decorsi i termini di inizio e di ultimazione lavori, il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, a meno che “anteriormente alla scadenza” venga richiesta una proroga, quest’ultima non può che essere fatta oggetto di un’istanza presentata prima del sopraggiungere del termine finale di cui si chiede il differimento, che la legge ricollega al dato temporale oggettivo, indipendentemente dal fatto che l’Amministrazione abbia eventualmente tollerato il protrarsi dell’attività edificatoria o omesso di adottare un provvedimento dichiarativo della intervenuta decadenza del titolo edilizio con effetto ex tunc;
   - che, allora, se il ricorrente aveva dato comunicazione all’Amministrazione dell’inizio dei lavori per il 23.01.2014, da questa data era decorso il triennio previsto per la loro esecuzione, e tardiva si presenta la diffida del 26.03.2019, come già tardive erano del resto le analoghe istanze del 22.01.2018 e del 14.03.2018;
   - che, in altri termini, si è verificata quella situazione per cui, anche a pronunciarsi, l’Amministrazione avrebbe dovuto comunque respingere l’istanza, non consentendo l’ordinamento una scelta diversa, e dunque la manifesta infondatezza dell’istanza obbliga il giudice del silenzio a rigettare la domanda giudiziale;
   - che, ad intendere invece l’istanza come finalizzata al “rinnovo” del titolo edilizio, se ne deve rilevare la palese inidoneità per l’assenza quanto meno dei necessari elaborati progettuali a corredo dell’istanza, condizione minima per identificare una richiesta suscettibile di esame da parte dell’Amministrazione;
   - che va dunque ribadito che, a fronte di pretesa manifestamente infondata, in sede di giudizio ex art. 117 cod. proc. amm. non vi è luogo a dichiarare l’illegittimità dell’inerzia e l’obbligo di provvedere dell’Amministrazione, essendo diseconomico imporre a quest’ultima l’adozione di un atto espresso che non potrebbe che essere di reiezione dell’istanza presentata (v., tra le altre, TAR Friuli Venezia Giulia 29.01.2019 n. 42);
   - che restano conseguentemente assorbite le altre censure formulate, tutte incentrate –sotto più profili– sull’indebita inattività del Comune di Cerro al Lambro, rimasto silente rispetto alle richieste del ricorrente (diffida del 26.03.2019, a séguito delle istanze del 22.01.2018 e del 14.03.2018), tanto più che il ricorrente ben doveva essere consapevole della evidente tardività/inidoneità di quelle richieste, per le ragioni indicate;
   - che, in assenza, dunque, di una situazione di inerzia illegittima dell’Amministrazione, o comunque di una pur astratta possibilità di accoglimento dell’istanza di proroga/rinnovo, difettano ex se i presupposti per accordare l’invocato risarcimento dei danni, con l’ulteriore precisazione che, quando l’azione risarcitoria viene esperita avverso il funzionario in proprio e comunque nei confronti di un soggetto privato, distinto dall’Amministrazione, con la quale al più può risultare solidalmente obbligato, la questione sfugge alla giurisdizione del giudice amministrativo, il quale non può conoscere di controversie di cui non sia parte una pubblica Amministrazione, o soggetti ad essa equiparati, sicché la domanda giudiziale volta ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti dall’eventuale comportamento arbitrario ed illegittimo dei funzionari comunali o di altre persone fisiche che operano per conto dell’ente locale è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario (v., ex multis, TAR Sicilia, Catania, Sez. II, 11.04.2017 n. 785);
   - che, in conclusione, il ricorso va respinto, non incidendo sulla sua procedibilità la circostanza che l’Amministrazione abbia da ultimo avviato l’iter per provvedere sull’istanza (con il preavviso di rigetto ex art. 10-bis legge n. 241/1990), giacché un atto finale allo stato difetta e quindi la mera pendenza del procedimento non fa venir meno l’interesse del ricorrente ad una pronuncia sulla pretesa azionata;

aprile 2020

EDILIZIA PRIVATAIn punto di diritto:
   - la proroga di cui all’art. 15 del T.U. edilizia può essere accordata, con provvedimento motivato, anche solo in virtù della mole dell’opera da realizzare;
   - “qualora la normativa urbanistica non sia mutata rispetto al momento del rilascio del titolo, non v’è dubbio che il medesimo progetto, se ripresentato, verrebbe nuovamente assentito: di conseguenza, negare la proroga di un progetto che rimane urbanisticamente valido equivale a costringere il proprietario del suolo ad una nuova richiesta di permesso a costruire, che si risolverebbe in una inutile formalità ed un corrispondente aggravamento del procedimento (non avendo infatti iniziato i lavori rispetto al precedente permesso a costruire, i relativi oneri di urbanizzazione sarebbero ripetibili, per cui neppure sul piano finanziario conseguirebbero vantaggi di alcun genere per l’ente)”.
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... per l'annullamento del provvedimento prot. n. 8379 del 12.12.2019, di rigetto della richiesta di proroga di autorizzazione in variante al permesso di costruire n. 36/2009.
...
Premesso che It.Tu. s.p.a., interamente in mano pubblica, impugna la determina n. 8379 del 12.12.2019, con cui il Comune di Simeri Crichi ha respinto la richiesta di proroga dell’autorizzazione n. 36/2009, rilasciata in variante ai permessi di costruire n. 10/2007 e n. 35/2007, per la realizzazione di un edificio turistico-alberghiero, già oggetto di proroga nel 2013, 2014 e 2018;
Rilevato, in punto di fatto, che:
   - il rigetto è fondato, essenzialmente, sul fatto che, ove accordata, la proroga si tradurrebbe in una dilazione ad libitum nel tempo della durata del titolo edificatorio;
   - il Comune non ha contestato l’affermazione di parte ricorrente secondo cui il medesimo progetto, ove ripresentato, sarebbe nuovamente assentito;
Ritenuto, in punto di diritto, che:
   - la proroga di cui all’art. 15 del T.U. edilizia può essere accordata, con provvedimento motivato, anche solo in virtù della mole dell’opera da realizzare (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 07.12.2015, n. 5568; TAR Toscana, Sez. III, 11.06.2015, n. 906);
   - “qualora la normativa urbanistica non sia mutata rispetto al momento del rilascio del titolo, non v’è dubbio che il medesimo progetto, se ripresentato, verrebbe nuovamente assentito: di conseguenza, negare la proroga di un progetto che rimane urbanisticamente valido equivale a costringere il proprietario del suolo ad una nuova richiesta di permesso a costruire, che si risolverebbe in una inutile formalità ed un corrispondente aggravamento del procedimento (non avendo infatti iniziato i lavori rispetto al precedente permesso a costruire, i relativi oneri di urbanizzazione sarebbero ripetibili, per cui neppure sul piano finanziario conseguirebbero vantaggi di alcun genere per l’ente)” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12.06.2014, n. 2997) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza II, sentenza 24.04.2020 n. 663 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: I fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio.
Tuttavia, il dictum va inteso cum grano salis: ovverosia qualora per fatti o circostante, oggettivamente riscontare, l’amministrazione abbia avuto piena cognizione dei fatti sopravvenuti che hanno differito il completamento dei lavori, la tardiva presentazione dell’istanza di proroga non comporta ex se la declaratoria di decadenza del titolo edilizio.
Anziché trincerarsi dietro lo schermo formale dell’assenza di previa comunicazione, grava in capo all’amministrazione l’indagine sull’effettiva incidenza dei fatti, di cui era già a conoscenza, nell’esecuzione delle opere, oggetto di concessione edilizia, secondo la scansione cronologica dei lavori come originariamente divisata.
Opinare diversamente significa restituire credito ad una concezione formalistica e burocratica dell’azione amministrativa, antitetica ai criteri di economicità e di efficienza che oramai, ex artt. 1 e ss l. 241/1990, governano l’attività amministrativa.
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6.1 Mette conto precisare che si condivide l’orientamento giurisprudenziale –richiamato dal Tar– a mente del quale “i fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423).
6.2 Nondimeno il dictum va inteso cum grano salis: ovverosia qualora per fatti o circostante, oggettivamente riscontare, l’amministrazione abbia avuto piena cognizione dei fatti sopravvenuti che hanno differito il completamento dei lavori, la tardiva presentazione dell’istanza di proroga non comporta ex se la declaratoria di decadenza del titolo edilizio.
6.3 Anziché trincerarsi dietro lo schermo formale dell’assenza di previa comunicazione, grava in capo all’amministrazione l’indagine sull’effettiva incidenza dei fatti, di cui era già a conoscenza, nell’esecuzione delle opere, oggetto di concessione edilizia, secondo la scansione cronologica dei lavori come originariamente divisata.
Opinare diversamente significa restituire credito ad una concezione formalistica e burocratica dell’azione amministrativa, antitetica ai criteri di economicità e di efficienza che oramai, ex artt. 1 e ss l. 241/1990, governano l’attività amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 01.04.2020 n. 2206 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2020

EDILIZIA PRIVATA:  a) In base al tenore letterale, sistematico e funzionale, l’art. 15, comma 2, del testo unico edilizia si articola in due periodi.
Il primo periodo pone due regulae iuris:
      - la prima, è che l’intervento edilizio programmato può essere realizzato se vengono rispettati i termini per l’inizio (un anno dal rilascio del titolo) e per la fine dei lavori (tre anni dall’inizio dei lavori);
      - la seconda è che, decorsi tali termini, il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga.
Il secondo periodo disciplina, invece, talune fattispecie in presenza delle quali è riconosciuto all’Amministrazione il potere di concedere una proroga per l’inizio o per la conclusione dei lavori.
Sul piano strutturale e funzionale, il primo periodo del comma 2 contiene delle disposizioni che, per il loro carattere generale, valgono a disciplinare tutti gli interventi edilizi, a prescindere dalle sopravvenienze che in concreto possono verificarsi, ed a prescindere dalla (eventuale diversa) regolamentazione delle medesime individuata dal legislatore.
La (pur non felice) collocazione normativa delle fattispecie descritte, ad avviso della Sezione, non può militare a favore dell’esegesi prospettata dal Tar, perché:
      - l’esegesi giurisprudenziale deve limitarsi ad interpretare ed applicare la norma per come è stata costruita dal legislatore e secondo la ratio iuris alla medesima sottesa, senza stravolgerne il senso complessivo e, soprattutto, senza che l’operazione ermeneutica possa arrivare al punto di privare del loro carattere applicativo generale le due regulae iuris contenute nel primo alinea del comma 2. Queste regole, infatti, riguardano l’esecuzione degli interventi edilizi in generale, a prescindere dall’eventuale sopravvenienza di fatti ostativi o impeditivi, rispetto all’esecuzione dei lavori entro i termini previsti;
      - la collocazione nel comma 2-bis della fattispecie della proroga cd. vincolata è probabilmente dovuta, da un punto di vista storico, alla successiva individuazione, da parte del legislatore, di particolari ipotesi meritevoli di essere trattate diversamente rispetto ai fatti generalmente addotti dai privati a sostegno delle richieste di proroga, perché dipendenti da condotte ed iniziative imputabili all’Ente amministrativo o all’Autorità giudiziaria.
   b) Risponde ad un principio generale dell’ordinamento, la regola secondo cui la richiesta di proroga del termine per il compimento di una certa attività deve essere richiesta prima della scadenza del termine medesimo, per esigenze di chiarezza, di trasparenza e di pubblicità, a garanzia delle parti e, più in generale, dei terzi.
La presentazione della richiesta di proroga (quale che essa sia, e cioè a prescindere se il fatto allegato dal richiedente è qualificato dal legislatore come legittimante l’esercizio vincolato del potere o, al contrario, come discrezionalmente valutabile da parte dell’Amministrazione) è funzionale ad evidenziare la sussistenza e la perduranza dell’interesse del privato alla realizzazione dell’intervento programmato, sia nei rapporti con l’Amministrazione che aveva rilasciato il titolo, sia rispetto ai terzi che, per ragioni di vicinitas, potrebbero avere un qualche interesse ad opporsi all’altrui iniziativa edificatoria.
La sanzione prevista dal legislatore per l’inosservanza di tale obbligo è quella, espressamente tipizzata, della decadenza di diritto del titolo edilizio, per la parte non eseguita.
Come chiaramente risulta dal testo del comma 1, dell’art. 15 cit., il decorso del termine senza che sia stata presentata istanza di proroga determina automaticamente la decadenza del titolo. Ed infatti la giurisprudenza ha da tempo chiarito che decorso il termine senza che l’interessato ne abbia chiesto la proroga, il provvedimento dell’Amministrazione che pronunci la decadenza stessa non ha valore costitutivo, ma meramente ricognitivo o dichiarativo di un effetto già prodottosi ex lege.
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La questione riguarda, invece, la necessità (o meno) che l’interessato, di fronte all’oggettiva impossibilità di iniziare o di concludere i lavori nei termini previsti dal comma 2 dell’art. 15, del d.P.R. n. 380 del 2001, presenti all’Amministrazione competenti la richiesta di proroga prima che sia scaduto il relativo termine.
9) Secondo la prospettazione delle società ricorrenti -accolta dal giudice di primo grado- ciò non sarebbe necessario, perché il fatto costitutivo astrattamente individuato dal legislatore per l’ottenimento della proroga (e cioè, l’essere stato, il privato, nell’oggettiva impossibilità di iniziare o di concludere i lavori medesimi a causa dell’impedimento rappresentato da iniziative assunte dall'Amministrazione o dall'Autorità giudiziaria, rivelatesi poi infondate) deve essere oggetto di valutazione, da parte dell’Autorità procedente, dopo che tutti gli elementi della fattispecie sono venuti ad esistenza.
10) Nell’opposta prospettazione illustrata dal Comune appellante, invece, tale incombente sarebbe sempre necessario, fermo restando il carattere vincolato del potere riconosciuto all’Amministrazione nel momento del riscontro e della valutazione del presupposto legittimante.
11) La Sezione condivide l’impostazione esegetica seguita dal Comune (conforme, si osserva, all’indirizzo maggioritario della giurisprudenza amministrativa in materia: si vedano, anche ai sensi degli art. 74, comma 1, e 88, comma 2, lett. d), del cod. proc. amm., le sentenze del Consiglio di Stato, Sez. VI, 03.08.2017, n. 3887 e Sez. IV, 10.07.2017, n. 3371), ritenendo decisive le seguenti considerazioni.
   a) In primo luogo, in base al tenore letterale, sistematico e funzionale dell’art. 15, comma 2, del testo unico edilizia.
Tale comma si articola in due periodi.
Il primo periodo pone due regulae iuris:
   - la prima, è che l’intervento edilizio programmato può essere realizzato se vengono rispettati i termini per l’inizio (un anno dal rilascio del titolo) e per la fine dei lavori (tre anni dall’inizio dei lavori);
   - la seconda è che, decorsi tali termini, il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga.
Il secondo periodo disciplina, invece, talune fattispecie in presenza delle quali è riconosciuto all’Amministrazione il potere di concedere una proroga per l’inizio o per la conclusione dei lavori.
Sul piano strutturale e funzionale, il primo periodo del comma 2 contiene delle disposizioni che, per il loro carattere generale, valgono a disciplinare tutti gli interventi edilizi, a prescindere dalle sopravvenienze che in concreto possono verificarsi, ed a prescindere dalla (eventuale diversa) regolamentazione delle medesime individuata dal legislatore.
La (pur non felice) collocazione normativa delle fattispecie descritte, ad avviso della Sezione, non può militare a favore dell’esegesi prospettata dal Tar, perché:
   - l’esegesi giurisprudenziale deve limitarsi ad interpretare ed applicare la norma per come è stata costruita dal legislatore e secondo la ratio iuris alla medesima sottesa, senza stravolgerne il senso complessivo e, soprattutto, senza che l’operazione ermeneutica possa arrivare al punto di privare del loro carattere applicativo generale le due regulae iuris contenute nel primo alinea del comma 2. Queste regole, infatti, riguardano l’esecuzione degli interventi edilizi in generale, a prescindere dall’eventuale sopravvenienza di fatti ostativi o impeditivi, rispetto all’esecuzione dei lavori entro i termini previsti;
   - la collocazione nel comma 2-bis della fattispecie della proroga cd. vincolata è probabilmente dovuta, da un punto di vista storico, alla successiva individuazione, da parte del legislatore, di particolari ipotesi meritevoli di essere trattate diversamente rispetto ai fatti generalmente addotti dai privati a sostegno delle richieste di proroga, perché dipendenti da condotte ed iniziative imputabili all’Ente amministrativo o all’Autorità giudiziaria.
   b) In secondo luogo, risponde ad un principio generale dell’ordinamento, la regola secondo cui la richiesta di proroga del termine per il compimento di una certa attività deve essere richiesta prima della scadenza del termine medesimo, per esigenze di chiarezza, di trasparenza e di pubblicità, a garanzia delle parti e, più in generale, dei terzi.
La presentazione della richiesta di proroga (quale che essa sia, e cioè a prescindere se il fatto allegato dal richiedente è qualificato dal legislatore come legittimante l’esercizio vincolato del potere o, al contrario, come discrezionalmente valutabile da parte dell’Amministrazione) è funzionale ad evidenziare la sussistenza e la perduranza dell’interesse del privato alla realizzazione dell’intervento programmato, sia nei rapporti con l’Amministrazione che aveva rilasciato il titolo, sia rispetto ai terzi che, per ragioni di vicinitas, potrebbero avere un qualche interesse ad opporsi all’altrui iniziativa edificatoria.
La sanzione prevista dal legislatore per l’inosservanza di tale obbligo è quella, espressamente tipizzata, della decadenza di diritto del titolo edilizio, per la parte non eseguita.
Come chiaramente risulta dal testo del comma 1, dell’art. 15 cit., il decorso del termine senza che sia stata presentata istanza di proroga determina automaticamente la decadenza del titolo. Ed infatti la giurisprudenza ha da tempo chiarito che decorso il termine senza che l’interessato ne abbia chiesto la proroga, il provvedimento dell’Amministrazione che pronunci la decadenza stessa non ha valore costitutivo, ma meramente ricognitivo o dichiarativo di un effetto già prodottosi ex lege.
   c) In terzo luogo, sul piano logico-giuridico, non possono essere confusi la causa con l’effetto. L’iniziativa giudiziaria (nel caso di specie, il sequestro giudiziario) ha impedito la sola esecuzione materiale delle opere edili necessarie al completamento dei lavori, ma non ha inciso né impedito l’esercizio delle facoltà previste dalla legge in relazione al regime giuridico-amministrativo della validità e dell’efficacia del titolo edilizio rilasciato.
Il titolare del permesso di costruire, in altre parole, è stato impedito solo nel compimento dell’attività materiale che avrebbe potuto costituire intralcio alla giustizia o vanificare gli esiti dell’accertamento del fatto nel processo penale pendente, ma non è stato ostacolato, invece, nel compimento delle attività amministrative connesse (e segnatamente quella della richiesta di proroga).
Il provvedimento di sequestro, d’altra parte, atteso il suo contenuto vincolato, non avrebbe nemmeno potuto disporlo.
La circostanza che, sul piano temporale, l’infondatezza dell’iniziativa giudiziaria si sia rivelata tale solo a seguito della conclusione del processo penale e, comunque, in un momento successivo rispetto alla scadenza del termine per richiedere la proroga dell’efficacia del titolo, è assolutamente indifferente rispetto alla ratio dell’istituto considerato.
L’infondatezza dell’iniziativa giudiziaria non è costruita, nella fattispecie del menzionato comma 2-bis, come un presupposto procedimentale, ovverosia come un fatto che deve sussistere, nella sua consistenza storica e fenomenica, prima dell’attivazione del sub procedimento di proroga, bensì come una semplice condizione per definire favorevolmente, rispetto all’interesse del privato richiedente, il procedimento medesimo.
In altri termini, non vi è alcun nesso di presupposizione logico-giuridica tra l’acclaramento dell’infondatezza dell’iniziativa che ha materialmente ostacolato l’esecuzione dei lavori e l’esercizio della facoltà di richiedere la proroga dell’efficacia del titolo.
Il sub procedimento di proroga, attivato su iniziativa del privato, e funzionale sul piano amministrativo a rendere evidente all’Amministrazione ed ai terzi la perduranza dell’interesse all’esecuzione del programma edificatorio, verrà definito solo successivamente, e cioè quando si sarà realizzata (o meno) la condizione prevista dall’ordinamento per dare luogo al favorevole accoglimento dell’istanza del richiedente.
Tra le due fattispecie (l’infondatezza dell’iniziativa giudiziaria e la richiesta di proroga) non vi è un rapporto di alternatività, ma anzi di complementarietà, nel perseguimento delle diverse finalità:
   - nel primo caso, la tutela dell’investimento privato, “messo al riparo” da iniziative di cui è responsabile l’Autorità (giudiziaria o amministrativa), rendendo il riconoscimento della proroga addirittura vincolato e dovuto;
   - nel secondo caso, la trasparenza della regolazione del rapporto giuridico al quale ha dato vita il permesso di costruire, il quale va regolato -a seguito dell’impedimento dell’attività di completamento dei lavori- limitatamente ai profili della sua perdurante efficacia e dell’interesse giuridico. Va precisato, infatti, che il titolo edilizio era e resta legittimo, decadendo nei suoi effetti autorizzatori, ai sensi del comma 1, dell’art. 15 solo per la parte non eseguita (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.03.2020 n. 2078 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: A. Verderosa, Inizio lavori del permesso di costruire, proroga e decadenza (18.03.2020 - link a http://lexambiente.it).

dicembre 2019

EDILIZIA PRIVATAOggetto: proroga della data di fine lavori e sopravvenute previsioni urbanistiche (Regione Emilia Romagna, nota 06.12.2019 n. 894437 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Per costante giurisprudenza l'art. 15, comma 2, del D.P.R. 06.06.2001, che si riferisce ad una decadenza "di diritto", esclude qualsiasi sospensione automatica del termine di durata del permesso edilizio, e quindi a maggior ragione una sua automatica proroga.
Richiede invece a tal fine che in ogni caso sia presentata un'istanza di proroga, sulla quale l'amministrazione deve pronunciarsi con un provvedimento espresso, nel quale accerti che i presupposti per accogliere l'istanza effettivamente sussistono.
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5. – In punto di diritto va richiamato, per quanto qui interessa, l'art. 15, comma 2, del D.P.R. 06.06.2001, che dispone, in generale: "Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori (...)".
Come è noto, per costante giurisprudenza (cfr., per tutte, Cons. di Stato, Sez. IV, 22.10.2015 n. 4823, 23.02.2012 n. 974 e 10.08.2007 n. 4423), la norma suddetta, che si riferisce ad una decadenza "di diritto", esclude qualsiasi sospensione automatica del termine di durata del permesso edilizio, e quindi a maggior ragione una sua automatica proroga. Richiede invece a tal fine che in ogni caso sia presentata un'istanza di proroga, sulla quale l'amministrazione deve pronunciarsi con un provvedimento espresso, nel quale accerti che i presupposti per accogliere l'istanza effettivamente sussistono (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 04.12.2019 n. 11973 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La richiesta di proroga del termine annuale di inizio dei lavori deve essere in ogni caso presentata prima della decorrenza del termine ultimo previsto nel titolo edilizio e ciò proprio in virtù del fatto che la decadenza del permesso di costruire costituisce un effetto automatico del trascorrere del tempo, la pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha mera natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione, oltre che un carattere strettamente vincolato all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dall’art 15 D.P.R. 380/2001 (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 29.04.2019 n. 2276 - massima tratta da http://lexambiente.it).
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Ed invero, è noto come l’art. 15 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 preveda che “nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori” e che “il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita” tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga; è altresì noto come, secondo l’orientamento prevalente nella giurisprudenza amministrativa, la decadenza del permesso di costruire per inutile decorrenza dei su indicati termini opera di diritto in conseguenza dell’inutile decorso del tempo, e non dipende da un atto amministrativo, che ove intervenga assume comunque carattere meramente dichiarativo, e ciò al fine di non far conseguire la decadenza ad un comportamento dell’Amministrazione, con possibili disparità di trattamento tra situazioni identiche (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 18.05.2012, n. 2915, Consiglio di Stato, Sez. IV, 15.04.2016, n. 1520; Consiglio di Stato, Sez. IV, 11.04.2014, n. 1747).
Tanto premesso, il Tribunale evidenzia come risulti infondato in primo luogo il primo motivo di gravame articolato dal ricorrente nella spiegata impugnazione, con cui quest’ultimo si duole, in buona sostanza, che l’atto impugnato sarebbe affetto da un’istruttoria carente e dal mancato rispetto dei principi di proporzionalità e razionalità che dovrebbero caratterizzare l’agere della pubblica amministrazione.
Al riguardo, il Collegio si limita ad evidenziare come le pur valide ragioni addotte dal ricorrente, tuttavia solo in data 29.01.2015, per giustificare la richiesta di sospensione del procedimento di declaratoria di decadenza del permesso di costruire, ben avrebbero potuto e dovuto essere rappresentate all’Amministrazione Comunale resistente prima del decorso del termine annuale per l’inizio dei lavori di cui al permesso a costruire n. 152/2012 del 15.11.2012, non interrotto dalla comunicazione di inizio lavori effettuata dal ricorrente in data 15.07.2013, in quanto ritenuta dall’Amministrazione Comunale resistente sfornita della necessaria documentazione per potere intraprendere gli annunciati lavori; ciò in quanto, se è indubitabile che la proroga del citato termine annuale ben possa essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari (cfr. ex multis TAR Puglia Lecce, sez. I, 10/04/2018, n. 603, TAR Lombardia-Milano, sez. II, 07/11/2018, n. 2522), è altresì indubitabile che la richiesta di proroga debba essere in ogni caso presentata prima della decorrenza del termine ultimo previsto nel titolo edilizio (cfr. TAR Abruzzo-Pescara, sez. I, 05/11/2018, n. 333, Consiglio di Stato sez. IV, 26/04/2018, n. 2508, TAR Valle d'Aosta, 18/04/2018, n. 26) e ciò proprio in virtù del fatto che la decadenza del permesso di costruire costituisce un effetto automatico del trascorrere del tempo, la pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha mera natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione, oltre che un carattere strettamente vincolato all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dall’art. 15 D.P.R. 380/2001 citato.

marzo 2019

EDILIZIA PRIVATA: La pronuncia dell’Amministrazione sulla domanda di proroga dell’efficacia del permesso di costruire è di natura discrezionale, in quanto, come desumibile anche dal verbo “può” usato nell’art. 15, comma 2, DPR n. 380/2001, presuppone l’accertamento delle circostanze dedotte dal privato e il loro apprezzamento in termini di evento oggettivamente impeditivo dell’avvio dell’edificazione, sicché non può formarsi il silenzio assenso sulle predette istanze di proroga.
Peraltro, la proroga di efficacia del permesso di costruire, oltre ad assicurare al titolare dell’autorizzazione edilizia la certezza del titolo, garantisce la certezza temporale dell’attività di trasformazione edilizia del territorio comunale e l’effettiva vigenza delle nuove norme urbanistiche approvate successivamente al rilascio del permesso di costruire, consentendo all’Amministrazione di valutare l’oggettiva sussistenza delle cause, contemplate dal citato art. 15, comma 2, DPR n. 380/2001, e/o di fatti sopravvenuti estranei alla volontà e/o responsabilità del richiedente, come la mole dell’opera da realizzare e/o particolari sue caratteristiche tecnico-costruttive, che hanno impedito il completamento della costruzione ed il tempo necessario occorrente per l’ultimazione dei lavori oppure l’effettiva sussistenza delle fattispecie giuridiche del factum principis e/o della forza maggiore, che hanno reso oggettivamente impossibile il rispetto dei termini stabiliti dal permesso di costruire.
Ne consegue che il suddetto art. 15, comma 2, DPR n. 380/2001, nella parte in cui specifica le ragioni che consentono la proroga dei termini di efficacia del permesso di costruire, deve essere interpretato restrittivamente, giacché tale norma costituisce una deroga alla disciplina generale dettata al fine di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più
(TAR Basilicata, sentenza 30.03.2019 n. 328 - massima tratta da http://lexambiente.it).
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Ed invero, l’art. 15 DPR n. 380/2001 statuisce che:
   - dopo il decorso del termine di ultimazione dei lavori il permesso di costruire “decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga”, specificando che “la proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori” (comma 2);
   - “la proroga dei termini per l’inizio e l’ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate” (comma 2-bis, inserito dall’art. 17, comma 1, lett. f, n. 2, D.L. n. 133/2014 conv. nella L. n. 164/2014);
   - “il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio” (comma 4).
Può prescindersi dal contrasto giurisprudenziale se la decadenza ex art. 15 DPR n. 380/2001 operi anche in assenza di un apposito atto amministrativo di tipo ricognitivo (cfr. C.d.S. Sez. IV Sent. n. 1520 del 15.04.2016; TAR Catanzaro Sez. II Sent. n. 1790 del 24.10.2018; TAR Lecce Sez. III Sent. n. 131 dell’01.02.2018; TAR Salerno Sez. I Sent. n. 448 del 24.02.2016; TAR Catania Sez. I Sent. n. 528 del 16.02.2015; TAR Palermo Sez. II Sent. n. 746 del 14.03.2014; TAR Lazio Sez. II-bis Sent. n. 5370 del 28.06.2005; TAR Bari Sez. II Sent. n. 668 del 21.02.2005), seguito da questo Tribunale (cfr. TAR Basilicata Sent. n. 140 del 07.02.2017), oppure risulti necessaria una formale dichiarazione dell’effetto verificatosi direttamente ex se all’esito di un apposito procedimento (cfr. C.d.S. Sez. VI Sent. n. 5285 del 15.11.2017; C.d.S. Sez. V Sent. n. 3612 del 26.6.2000; TAR Lazio Sez. II-quater Sent. n. 9746 del 05.10.2018; TAR Lecce Sez. III Sent. n. 1454 del 21.09.2016), in quanto con il provvedimento impugnato è stata anche dichiarata l’inefficacia del citato permesso di costruire del 26.10.2010.
D’altronde, la pronuncia dell’Amministrazione sulla domanda di proroga dell’efficacia del permesso di costruire è di natura discrezionale, in quanto, come desumibile anche dal verbo “può” usato nell’art. 15, comma 2, DPR n. 380/2001, presuppone l’accertamento delle circostanze dedotte dal privato e il loro apprezzamento in termini di evento oggettivamente impeditivo dell’avvio dell’edificazione (cfr. TAR Lecce Sez. I Sent. n. 603 del 10.4.2018; TAR Napoli Sez. IV Sent. n. 1276 del 26.02.2018), sicché non può formarsi il silenzio assenso sulle predette istanze di proroga.
Peraltro, la proroga di efficacia del permesso di costruire, oltre ad assicurare al titolare dell’autorizzazione edilizia la certezza del titolo, garantisce la certezza temporale dell’attività di trasformazione edilizia del territorio comunale e l’effettiva vigenza delle nuove norme urbanistiche approvate successivamente al rilascio del permesso di costruire, consentendo all’Amministrazione di valutare l’oggettiva sussistenza delle cause, contemplate dal citato art. 15, comma 2, DPR n. 380/2001, e/o di fatti sopravvenuti estranei alla volontà e/o responsabilità del richiedente, come la mole dell’opera da realizzare e/o particolari sue caratteristiche tecnico-costruttive, che hanno impedito il completamento della costruzione ed il tempo necessario occorrente per l’ultimazione dei lavori oppure l’effettiva sussistenza delle fattispecie giuridiche del factum principis e/o della forza maggiore, che hanno reso oggettivamente impossibile il rispetto dei termini stabiliti dal permesso di costruire (sul punto cfr.: C.d.S. Sez. IV Sent. n. 1520 del 15.04.2016, secondo cui la crisi economica del settore dell’edilizia non può giustificare il mancato rispetto da parte del titolare del permesso di costruire dell’obbligo di osservare i tempi di inizio e completamento dei lavori e non è una valida ragione opponibile all’inutile decorso di tali termini; TAR Veneto Sez. II Sent. n. 652 del 05.07.2017, secondo cui la proroga di efficacia del permesso di costruire non può essere giustificata da motivi di carattere economico e/o familiari).
Ne consegue che il suddetto art. 15, comma 2, DPR n. 380/2001, nella parte in cui specifica le ragioni che consentono la proroga dei termini di efficacia del permesso di costruire, deve essere interpretato restrittivamente, giacché tale norma costituisce una deroga alla disciplina generale dettata al fine di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più.
Il suddetto comma 4 dell’art. 15 DPR n. 380/2001, è bene ribadirlo, stabilisce espressamente che “il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”.

novembre 2018

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Riguardo alla compatibilità dell’istituto ex art. 1186 del c.c. ("Decadenza dal termine") con le disposizioni di cui all’art. 30, comma 3-bis, del D.L. n. 69/2013, il Collegio non intravede ragioni per discostarsi da quanto già affermato dalla giurisprudenza amministrativa, seppure mediante “obiter dictum”.
Va pertanto ribadito che la proroga disposta “ex lege” non esime la parte privata dall’attivarsi per adempiere con puntualità alle proprie obbligazioni, né priva la parte pubblica della possibilità di avvalersi dei rimedi offerti dall’ordinamento qualora, pur in pendenza del termine per l’adempimento, appare dubbio che la parte obbligata possa adempiere ritualmente.

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Lo stato di insolvenza, ex art. 1186 c.c. ai fini della decadenza del debitore dal beneficio del termine, è costituito da una situazione di dissesto economico, sia pure temporaneo, in cui il debitore venga a trovarsi, la quale renda verosimile l'impossibilità da parte di quest'ultimo di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Tale stato di insolvenza non deve necessariamente rivestire i caratteri di gravità e irreversibilità, potendo conseguire anche ad una situazione di difficoltà economica e patrimoniale reversibile, purché idonea ad alterare, in senso peggiorativo, le garanzie patrimoniali offerte dal debitore, e va valutato con riferimento al momento della decisione.
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il Collegio conviene, con l’amministrazione comunale, che, alla data di adozione dei provvedimenti impugnati, potevano sussistere fondati dubbi di insolvenza per le difficoltà economiche in cui versava la ricorrente (ancorché potenzialmente reversibili) e per le conseguenti ripercussioni sulle garanzie offerte per l’adempimento delle proprie obbligazioni.
In particolare assumono rilevanza le seguenti circostanze:
   - la sottoscrizione di un accordo di ristrutturazione dei debiti (facente parte del “concordato preventivo” quale strumento più snello per superare la crisi dell’impresa), non avrebbe avuto senso se la ricorrente fosse stata capace di adempiere puntualmente le proprie obbligazioni nei confronti degli altri debitori, il che rende fondato il timore che analoga incapacità sussista per le obbligazioni contratte con il Comune;
   - lo stesso accordo di ristrutturazione dei debiti desta alcune perplessità con riguardo alla rilevanza attribuita alla vendita dell’area in questione, che pare essere stata effettivamente sovrastimata per le ragioni indicate dal Comune e che riguardano la propria indisponibilità a concedere quanto invece presupposto dalla perizia di stima. Ciò potrebbe determinare la mancata vendita entro il termine stabilito (o la vendita ad un prezzo sensibilmente inferiore), con le conseguenze che si possono immaginare nel caso in cui l’accordo di ristrutturazione resti inadempiuto e i relativi creditori insoddisfatti.

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6.2 Riguardo alla compatibilità dell’istituto ex art. 1186 del c.c. con le disposizioni di cui all’art. 30, comma 3-bis, del D.L. n. 69/2013, il Collegio non intravede ragioni per discostarsi da quanto già affermato dalla giurisprudenza amministrativa, seppure mediante “obiter dictum” (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 02/05/2018, n. 1189; id. 12/01/2016, n. 45).
Va pertanto ribadito, anche in questa sede, che la proroga disposta “ex lege” non esime la parte privata dall’attivarsi per adempiere con puntualità alle proprie obbligazioni, né priva la parte pubblica della possibilità di avvalersi dei rimedi offerti dall’ordinamento qualora, pur in pendenza del termine per l’adempimento, appare dubbio che la parte obbligata possa adempiere ritualmente.
6.3 In via subordinata, la ricorrente si diffonde comunque ed ampiamente (soprattutto con il ricorso per motivi aggiunti) nel tentare di dimostrare in giudizio la propria capacità di adempiere, entro la data di scadenza della convenzione, alle obbligazioni di cui il Comune ha invece chiesto l’anticipata esecuzione nel timore del loro inadempimento futuro.
Sul punto l’odierno Collegio non intravede tuttavia ragioni di merito per discostarsi dall’orientamento applicativo secondo cui lo stato di insolvenza, ex art. 1186 c.c. ai fini della decadenza del debitore dal beneficio del termine, è costituito da una situazione di dissesto economico, sia pure temporaneo, in cui il debitore venga a trovarsi, la quale renda verosimile l'impossibilità da parte di quest'ultimo di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Tale stato di insolvenza non deve necessariamente rivestire i caratteri di gravità e irreversibilità, potendo conseguire anche ad una situazione di difficoltà economica e patrimoniale reversibile, purché idonea ad alterare, in senso peggiorativo, le garanzie patrimoniali offerte dal debitore, e va valutato con riferimento al momento della decisione (cfr. Cass. Civile, Sez. VI, 12/10/2017, n. 23930; id. Sez. Lav. 12/02/2016, n. 2833; id. Sez. II 18/11/2011 n. 24330; Tribunale Milano, Sez. IV 23/07/2018, n. 8255; Tribunale Cassino, 21/07/2017 n. 986).
Posta tale premessa, il Collegio conviene, con l’amministrazione comunale, che, alla data di adozione dei provvedimenti impugnati, potevano sussistere fondati dubbi di insolvenza per le difficoltà economiche in cui versava la ricorrente (ancorché potenzialmente reversibili) e per le conseguenti ripercussioni sulle garanzie offerte per l’adempimento delle proprie obbligazioni.
In particolare assumono rilevanza le seguenti circostanze:
   - la sottoscrizione di un accordo di ristrutturazione dei debiti (facente parte del “concordato preventivo” quale strumento più snello per superare la crisi dell’impresa), non avrebbe avuto senso se la ricorrente fosse stata capace di adempiere puntualmente le proprie obbligazioni nei confronti degli altri debitori, il che rende fondato il timore che analoga incapacità sussista per le obbligazioni contratte con il Comune di Gabicce Mare;
   - lo stesso accordo di ristrutturazione dei debiti desta alcune perplessità con riguardo alla rilevanza attribuita alla vendita dell’area in questione, che pare essere stata effettivamente sovrastimata per le ragioni indicate dal Comune e che riguardano la propria indisponibilità a concedere quanto invece presupposto dalla perizia di stima. Ciò potrebbe determinare la mancata vendita entro il termine stabilito (o la vendita ad un prezzo sensibilmente inferiore), con le conseguenze che si possono immaginare nel caso in cui l’accordo di ristrutturazione resti inadempiuto e i relativi creditori insoddisfatti.
Il rischio di insolvenza trova poi riscontro in fatti immediatamente successivi ai provvedimenti impugnati e, in particolare:
   - nel rifiuto del fideiussore di corrispondere la somma di € 823.009,80, prestata a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni di cui in convenzione (cfr. determinazione 23/11/2017 n. 263; ordinanza del Tribunale di Pesaro del 27/02/2018 – doc. 002 depositato in data 06/04/2018);
   - nell’implicita volontà della ricorrente di non voler comunque adempiere, come può desumersi dall’istanza di risoluzione della convenzione avanzata in questa sede (di cui si dirà di seguito). Tale circostanza, rivelatrice di una insolvenza “volontaria”, pur non potendo costituire causa automatica che legittima la decadenza dal beneficio del termine, è comunque ritenuta, da larga parte della dottrina civilistica, indizio di insolvenza affinché il creditore, unitamente ad altri concordanti indizi, possa invocare l’art. 1186
(TAR Marche, sentenza 15.11.2018 n. 730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2018

EDILIZIA PRIVATA: Il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione […], che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, […] nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore.
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13. - Anche il riferimento a fatti ed eventi che, integrando altrettante cause di forza maggiore, avrebbero determinato la sospensione del termine di efficacia della lottizzazione, non può essere favorevolmente apprezzato.
Sul punto deve essere richiamato l’orientamento recentemente ribadito con la citata sentenza di questo Tribunale (22.01.2018, n. 36; ma si vedano anche Sez. II, 23.05.2017, n. 352, e Sez. II, 08.11.2016, n. 848), secondo cui è applicabile alla fattispecie il principio affermato in materia di sospensione del termine di durata del titolo edilizio, secondo cui «il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione […], che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, […] nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore» (TAR Sardegna, Sez. II, 22.01.2018, n. 36, che richiama Consiglio di Stato sez. IV, n. 974/2012; sez. III, n. 1870/2013) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 19.07.2018 n. 670  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2018

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale la proroga dei termini di efficacia di un atto amministrativo presuppone necessariamente che il termine da prorogare non sia ancora scaduto.
Il principio è applicabile in relazione ad ogni provvedimento amministrativo che sia stato sottoposto ad un termine finale di efficacia atteso che, un conto è disporre la prosecuzione dell'efficacia nel tempo di un originario provvedimento, altra cosa è consentire nuovamente lo svolgimento di una attività in precedenza preclusa per sopravvenuta inefficacia dell'atto abilitativo, occorrendo, in questo secondo caso, una nuova e più approfondita valutazione che tenga conto della situazione di fatto e delle regole giuridiche sopravvenute.
E’ opinione del Collegio che questo principio valga anche per le proroghe disposte con atti normativi.
Invero, in assenza di disposizioni contrarie, si deve ritenere che il legislatore, quando emana norme che hanno il solo fine di estendere la validità temporale di un provvedimento, intenda incidere solo sull’efficacia temporale della disciplina di regolazione dell’interesse pubblico ancora vigente e non sostituirsi alle amministrazioni nelle valutazioni riguardanti la possibilità e l’opportunità di reintrodurre una regolazione dell’interesse pubblico ormai priva di efficacia (in proposito si veda anche quanto illustrato nel prosieguo).
Inoltre, in assenza di disposizioni specifiche contrarie, non può che valere la regola di irretroattività degli effetti della legge, regola che impedisce l’intervento su fattispecie ormai esaurite.
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... per l’annullamento della delibera 17.10.2016 n. 215 della Giunta del Comune di Carate Brianza, trasmessa con nota del Responsabile del Settore Tecnico Urbanistica del Comune del 19.10.2016 e ricevuta dai ricorrenti il 24-25.10.2016, con la quale è stata dichiarata inaccoglibile la proposta di Piano attuativo relativa all’ambito A7 presentata dai ricorrenti medesimi l’11.07.2016;
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FATTO
Con ricorso notificato in data 16.12.2016 e depositato il 10.01.2017, i ricorrenti hanno impugnato la delibera 17.10.2016 n. 215 della Giunta del Comune di Carate Brianza, trasmessa con nota del Responsabile del Settore Tecnico Urbanistica del Comune del 19.10.2016 e ricevuta il 24-25.10.2016, con la quale è stata dichiarata inaccoglibile la proposta di Piano attuativo relativa all’ambito A7 presentata in data 11.07.2016.
I ricorrenti sono comproprietari di alcune aree del tutto inedificate, aventi una superficie territoriale di mq. 9.600,00, site nel Comune di Carate Brianza e identificate catastalmente al foglio 15, mappali 84 e 85, limitrofe alle Vie Milano, Brianza e Bergamo.
Tali aree sono inserite nell’Allegato A “Modalità di attuazione della Città da trasformare” del documento di piano del P.G.T. nella scheda n. 6 relativa all’Ambito di trasformazione n. A7, dove sono specificati i parametri per l’edificazione, le superfici da destinare a parcheggi, le destinazioni d’uso ammesse (residenziale, commerciale di vicinato e di media struttura di vendita, direzionale, ricettivo, servizi di interesse generale, artigianale di servizio, produttivo a ridotto impianto e le direttive da seguire), lasciando ampia discrezionalità di intervento ai privati proponenti.
In data 11.07.2016 i ricorrenti hanno presentato una proposta di Piano attuativo redatta in conformità alla scheda dell’Ambito, allegando cinque tavole, lo schema di convenzione, la relazione tecnica, il computo metrico, il cronoprogramma e gli atti di proprietà.
Con la delibera 17.10.2016 n. 215 della Giunta del Comune di Carate Brianza è stata dichiarata inaccoglibile la proposta di Piano attuativo relativa all’ambito A7 presentata dai ricorrenti.
Assumendo l’illegittimità della predetta determinazione, i ricorrenti l’hanno impugnata, eccependo la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014 e l’eccesso di potere per difetto di motivazione.
Si è costituito in giudizio il Comune di Carate Brianza, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della controversia, i difensori delle parti hanno depositato memorie e documentazione a sostegno delle rispettive posizioni.
Alla pubblica udienza del 31.01.2018, su conforme richiesta dei difensori delle parti, la controversia è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Con l’unica censura del ricorso si assume l’illegittimità della delibera della Giunta comunale che ha ritenuto inapplicabile la proroga prevista dall’art. 5 della legge regionale n. 31 del 2014 anche ai documenti di piano scaduti –disattendendo quindi il parere contenuto nel comunicato regionale 25.03.2015 n. 50 e ponendosi in contrasto anche quanto affermato nella sentenza del Consiglio di Stato, IV, 14.05.2015, n. 2424– con la conseguenza di ritenere inefficace il documento di piano del P.G.T. e pertanto non accoglibile la proposta di Piano attuativo presentata dai ricorrenti.
2.1. La doglianza è infondata.
Il Collegio, con riguardo all’applicabilità della proroga prevista dall’art. 5 della legge regionale n. 31 del 2014 anche ai documenti di piano scaduti, sostenuta con il comunicato regionale 25.03.2015 n. 50, pur prendendo atto anche della sentenza del Consiglio di Stato, IV, 14.05.2015, n. 2424, che ha ritenuto “corretta l’interpretazione secondo cui la proroga valga anche [per] i documenti scaduti prima dell’entrata in vigore della nuova legge, per non rendere altrimenti monca la pianificazione comunale”, ritiene di aderire al consolidato orientamento espresso dalla Sezione (sentenza 17.10.2017, n. 1985; in precedenza, 07.06.2017, n. 1272), all’esito di una articolata e convincente motivazione.
Come noto, in base all’art. 8, quarto comma, della legge della Regione Lombardia 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) il documento di piano ha efficacia quinquennale. Scaduto questo termine le statuizioni in esso contenute non possono più essere attuate.
Il legislatore regionale ha poi previsto due ipotesi di proroga.
La prima
è quella contenuta nel successivo comma cinque, nel quale si prevede che i consigli comunali hanno <<… la facoltà di prorogare sino al 31.12.2014 la validità dei documenti di piano approvati entro il 31.12.2009>>. Altra eccezione è contenuta nell’art. 5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014, invocato da parte dei ricorrenti.
La legge regionale n. 31 del 2014 ha l’obiettivo di contenere il consumo di suolo e, a tal fine, prevede che gli strumenti di governo del territorio orientino gli interventi edilizi prioritariamente verso le aree già urbanizzate, degradate o dismesse.
L’art. 5, commi 1, 2 e 3, stabilisce che la Regione, le province, le città metropolitane ed i comuni devono adeguare, entro i termini ivi stabiliti, i propri strumenti di governo del territorio alle nuove disposizioni ed ai nuovi principi contenuti nella legge stessa. Per quanto riguarda in particolare i comuni, il comma 3 dell’art. 5 prevede che questi debbano adeguare i propri piani di governo del territorio in occasione della prima scadenza del documento di piano successiva agli atti di adeguamento regionali e provinciali.
L’ultimo periodo del comma 5 stabilisce poi che <<La validità dei documenti comunali di piano, la cui scadenza intercorra prima dell’adeguamento della pianificazione provinciale e metropolitana di cui al comma 2, è prorogata di dodici mesi successivi al citato adeguamento>>.
Come anticipato, secondo i ricorrenti, questa disposizione si applicherebbe anche ai documenti di piano scaduti prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 31 del 2014.
Ritiene il Collegio che questa conclusione non sia condivisibile per tre ordini di ragioni.
Innanzitutto per motivi di carattere dogmatico, in quanto, come noto, costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale la proroga dei termini di efficacia di un atto amministrativo presuppone necessariamente che il termine da prorogare non sia ancora scaduto.
Il principio è applicabile in relazione ad ogni provvedimento amministrativo che sia stato sottoposto ad un termine finale di efficacia atteso che, un conto è disporre la prosecuzione dell'efficacia nel tempo di un originario provvedimento, altra cosa è consentire nuovamente lo svolgimento di una attività in precedenza preclusa per sopravvenuta inefficacia dell'atto abilitativo, occorrendo, in questo secondo caso, una nuova e più approfondita valutazione che tenga conto della situazione di fatto e delle regole giuridiche sopravvenute (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 27.08.2014, n. 4384; id., sez. IV, 22.05.2006, n. 3025; id., 22.12.2003, n. 8462; id., 25.03.2003, n. 1545; id., sez. VI, 10.10.2002, n. 5443).
E’ opinione del Collegio che questo principio valga anche per le proroghe disposte con atti normativi.
Invero, in assenza di disposizioni contrarie, si deve ritenere che il legislatore, quando emana norme che hanno il solo fine di estendere la validità temporale di un provvedimento, intenda incidere solo sull’efficacia temporale della disciplina di regolazione dell’interesse pubblico ancora vigente e non sostituirsi alle amministrazioni nelle valutazioni riguardanti la possibilità e l’opportunità di reintrodurre una regolazione dell’interesse pubblico ormai priva di efficacia (in proposito si veda anche quanto illustrato nel prosieguo).
Inoltre, in assenza di disposizioni specifiche contrarie, non può che valere la regola di irretroattività degli effetti della legge, regola che impedisce l’intervento su fattispecie ormai esaurite.
In secondo luogo, la conclusione dei ricorrenti non può essere condivisa per ragioni di carattere testuale, posto che l’utilizzo del termine “intercorra”, contenuto nell’art. 5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014, lascia chiaramente intendere che legislatore regionale ha voluto disporre la proroga dei documenti di piano che vengano a scadenza in un arco temporale delimitato e successivo a quello di entrata in vigore della norma.
In terzo luogo, la conclusione dei ricorrenti non può essere condivisa per ragioni di carattere teleologico.
La finalità della norma è, infatti, quella di intervenire in favore dei comuni che –proprio perché aventi documenti di piano che vengono a scadenza dopo l’entrata in vigore della legge ma prima dell’approvazione degli atti di adeguamento provinciale– verrebbero forzatamente privati di tale atto di pianificazione: tali comuni, invero, non potrebbero approvarne uno nuovo fino all’approvazione dell’atto di adeguamento provinciale.
L’intervento non è invece giustificato nei casi in cui i comuni abbiano liberamente deciso di lasciar scadere il documento di piano prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 31 del 2014. Si tratterebbe invero di intervento in contrasto con la loro volontà, dato che a questi enti verrebbe imposta la vigenza di un atto che (proprio perché lasciato liberamente scadere) è ormai evidentemente ritenuto non più rispondente all’interesse pubblico.
Né si può opporre che la soluzione qui seguita pregiudichi eccessivamente gli interessi dei privati, atteso che questi hanno comunque avuto a disposizione un periodo di cinque anni per presentare proposte di piani attuativi.
Si deve pertanto ritenere che l’art. 5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014 non si riferisca ai documenti di piano già scaduti e che, quindi, non possa far rivivere la disciplina contenuta nel previgente documento di piano, ormai definitivamente privo di efficacia (TAR Lombardia, Milano, II, 17.10.2017, n. 1985; altresì, 07.06.2017, n. 1272).
2.2. Va aggiunto, inoltre, che con la legge regionale n. 16 del 2017 è stato altresì modificato il secondo periodo dell’art. 5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014, attribuendo al Consiglio comunale la facoltà di scelta in ordine alla proroga della validità dei documenti di piano già scaduti [‘La validità dei documenti di piano dei PGT comunali la cui scadenza è già intercorsa può essere prorogata di dodici mesi successivi all’adeguamento della pianificazione provinciale e metropolitana di cui al comma 2, con deliberazione motivata del consiglio comunale, da assumersi entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge regionale recante “Modifiche all’articolo 5 della legge regionale 28.11.2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per lo riqualificazione del suolo degradato)”, ferma restando la possibilità di applicare quanto previsto al comma 4’].
Pur volendo ritenere, non senza qualche dubbio, la disposizione priva di efficacia retroattiva, dalla stessa si ricava comunque la conferma dell’indirizzo seguito dalla Sezione anche nel presente contenzioso.
2.3. Ciò conduce al rigetto della censura e quindi dell’intero ricorso (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.03.2018 n. 734 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2017

EDILIZIA PRIVATA: Appare condiviso in giurisprudenza che l’inizio lavori, ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, debba intendersi riferito a concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto.
Pertanto i lavori debbono ritenersi “iniziati” quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici.
Vero è che la mera esecuzione di lavori di sbancamento è, di per sé, inidonea per ritenere soddisfatto il presupposto dell’effettivo inizio dei lavori, entro il termine di un anno dal rilascio del permesso di costruire a pena di decadenza del titolo abilitativo (art. 15 d.P.R. n. 380/2001), essendo necessario che lo sbancamento sia accompagnato dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera assentita.
Nondimeno nel caso di specie non si trattava di “mera esecuzione di sbancamento” ma di concreti ed effettivi lavori “in corso di esecuzione” per il livellamento dei muri.

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Ai sensi dell’art. 15, 2° comma, d.P.R. cit. “La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.”.
Nel caso di specie, le varie denunce e contestazioni poste in essere dai vicini rappresentano dei “fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso”, soprattutto nel caso di presentazione di una pluralità di esposti e di ricorsi avverso il soggetto titolare del permesso di costruire, il quale s’è visto costretto a dover assumere tutte le iniziative del caso per difendersi da questi eventi di forza maggiore che impediscono di portare a termine, nei tempi prestabiliti, i lavori.
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9. Nel dettaglio ai motivi di appello.
10. L’infondatezza nel merito dell’appello consente di prescindere dall’eccezione d’inammissibilità dell’appello (recte di parte dei motivi d’appello), proposta dalla società appellata, sul rilievo che gli intervenienti adesivi dipendenti, intervenuti ad oppenendum in primo grado, non sono titolari di una posizione che li legittimi ad impugnare autonomamente la sentenza.
10.1 Per restituire un minimo di organicità ai motivi d’appello, le censure vanno ricondotte a tre ordini di argomenti che fungono da comune denominatore: la legittimità del provvedimento di decadenza; la legittimità o meno del rilascio della proroga dell’inizio lavori; la supposta violazione dell’art. 36 d.P.R. 380/2001 in combinato disposto con l’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004.
10.2 Sul motivo che deduce la violazione dell’art. 15 e ss. d.P.R. 380/2001.
10.3 Va condiviso il capo di sentenza che ha affermato l’illegittimità del provvedimento di decadenza del permesso di costruire n. 73 del 28.06.2006 per mancato inizio e termine dei lavori nei tempi stabiliti dalla normativa edilizia di riferimento.
Il provvedimento è stato emesso sulla base di un’irragionevole interpretazione dell’art. 15 d.P.R. n. 380/2001, il quale prevede un termine massimo di un anno, decorrente dal rilascio del permesso di costruire, entro cui iniziare i lavori, nonché un termine di tre anni, dall’inizio dei lavori, per completare l’opera.
Appare condiviso in giurisprudenza che l’inizio lavori, ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, debba intendersi riferito a concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto.
Pertanto i lavori debbono ritenersi “iniziati” quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici.
Vero è che la mera esecuzione di lavori di sbancamento è, di per sé, inidonea per ritenere soddisfatto il presupposto dell’effettivo inizio dei lavori, entro il termine di un anno dal rilascio del permesso di costruire a pena di decadenza del titolo abilitativo (art. 15 d.P.R. n. 380/2001), essendo necessario che lo sbancamento sia accompagnato dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera assentita.
10.4 Nondimeno nel caso di specie non si trattava di “mera esecuzione di sbancamento” ma di concreti ed effettivi lavori “in corso di esecuzione” per il livellamento dei muri.
Lo attesta, ai sensi del verbale di sopralluogo redatto dai Carabinieri, la presenza nei “vani ancora esistenti” del materiale oggetto di demolizione nonché la nota del 03.07.2007 dell’avv. Ce.Al., nella qualità di procuratore della confinante Sig.ra An.Zu., con la quale si chiedeva al Comune, Regione e Soprintendenza di far sospendere i lavori alla Sn.St. S.a.s.: l’atto dimostra che un inizio di lavori c’era effettivamente stato prima del verbale del 2009, in quanto la confinante Sig.ra An.Zu. non avrebbe avuto motivo di sollecitare l’intervento l’avv. Al. per delle mere pulizie del fondo e rimozione dei detriti.
10.5 Anche la concessione di proroga emessa dal Comune risulta legittima.
Infatti, ai sensi dell’art. 15, 2° comma, d.P.R. cit. “La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.”.
10.6 Le varie denunce e contestazioni poste in essere dai vicini rappresentano dei “fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso”, soprattutto nel caso di presentazione di una pluralità di esposti e di ricorsi avverso il soggetto titolare del permesso di costruire, il quale s’è visto costretto a dover assumere tutte le iniziative del caso per difendersi da questi eventi di forza maggiore che impediscono di portare a termine, nei tempi prestabiliti, i lavori
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 19.09.2017 n. 4381 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2017

EDILIZIA PRIVATASi dibatte sulla non automaticità della proroga del termine di efficacia della concessione edilizia nell’ipotesi prevista dall’art. 15, comma 2-bis, del D.P.R. n. 380/2001 (comma inserito dall'art. 17, comma 1, lett. f), n. 2), del decreto-legge 12.12.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164), secondo cui la «proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate».
Invero, la norma deve essere letta alla luce della consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato che si articola intorno a tre fondamentali statuizioni:
  
con la prima, si afferma che in nessuna ipotesi i termini di efficacia del permesso di costruire possono ritenersi automaticamente sospesi;
  
con la seconda, si sostiene che è sempre necessaria la presentazione, da parte dell’interessato, di una formale istanza di proroga;
  
con la terza, si ritiene sempre necessario il provvedimento espresso di proroga anche se si tratta di attività vincolata con effetti ex tunc.
Peraltro, deve rammentarsi che la medesima giurisprudenza ha distinto l’ipotesi del sequestro penale del cantiere, ritenendo che questo caso integri una automatica sospensione del termine per l’esecuzione dei lavori oggetto del permesso di costruire.
La norma del comma 2-bis dell’art. 15 cit., come introdotta nel 2014, muove quindi dal descritto quadro giurisprudenziale per chiarire testualmente che, nei casi in cui l’iniziativa amministrativa o giudiziaria si riveli infondata, come nella fattispecie, la proroga dei termini è automatica.
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... per l'annullamento del provvedimento del Responsabile dell'Area Tecnico del Comune di Domus De Maria con il quale è stato negato l'assenso alla ripresa dei lavori relativi alla concessione edilizia n. 5/2008, rilasciata il 13.02.2008;
...
1. - Con il ricorso in esame, la società No. s.r.l. riferisce di essere proprietaria di un'area sita nel territorio del Comune di Domus de Maria, località Eden Rock, sulla quale era in corso la realizzazione di 14 unità abitative, in forza delle concessioni edilizie n. 5/2008 e n. 20/2009, rilasciate dal Comune di Domus De Maria.
In data 07.07.2010, il relativo cantiere è stato sottoposto a sequestro preventivo penale, poiché, secondo le contestazioni mosse dalla Procura della Repubblica di Cagliari, le opere in corso di realizzazione sarebbero state abusive. Peraltro, con sentenza del Tribunale penale di Cagliari del 02.10.2015, il legale rappresentante della No. s.r.l. è stato prosciolto essendosi estinto il reato per intervenuta prescrizione.
Con ordinanza del medesimo Tribunale, del 17.03.2016, l'area di cui sopra è stata dissequestrata e, in data 05.05.2016, restituita alla società.
2. - Con nota del 12.05.2016, la società No. –sul presupposto dell’intervenuto dissequestro del cantiere– comunicava al Comune di Domus de Maria di voler riprendere i lavori a partire dal 31 maggio successivo. Il Responsabile dell'Area Tecnica, tuttavia, con la nota del 13.07.2016, rendeva noto alla società «di non poter autorizzare la ripresa dei lavori in quanto il piano di Lottizzazione Eden Rock non sarebbe stato attuato validamente perché privo della relativa convenzione e perché il calcolo della volumetria relativo alla c.e. 5/08 non sarebbe stato computato regolarmente».
...
Nel merito, conclude per il rigetto del ricorso.
5. - All’udienza pubblica del 14.06.2017, la causa è stata trattenuta in decisione.
6. - L’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa comunale si fonda sulla ritenuta non automaticità della proroga del termine di efficacia della concessione edilizia nell’ipotesi prevista dall’art. 15, comma 2-bis, del D.P.R. n. 380/2001 (comma inserito dall'art. 17, comma 1, lett. f), n. 2), del decreto-legge 12.12.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164), secondo cui la «proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate».
La norma deve essere letta alla luce della consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato che si articola intorno a tre fondamentali statuizioni: con la prima, si afferma che in nessuna ipotesi i termini di efficacia del permesso di costruire possono ritenersi automaticamente sospesi; con la seconda, si sostiene che è sempre necessaria la presentazione, da parte dell’interessato, di una formale istanza di proroga; con la terza, si ritiene sempre necessario il provvedimento espresso di proroga anche se si tratta di attività vincolata con effetti ex tunc (per tutte, si veda Consiglio di Stato, sez. IV, 23.02.2012, n. 974).
Peraltro, deve rammentarsi che la medesima giurisprudenza ha distinto l’ipotesi del sequestro penale del cantiere, ritenendo che questo caso integri una automatica sospensione del termine per l’esecuzione dei lavori oggetto del permesso di costruire (si veda Consiglio di Stato, Sez. V, 26.04.2005, n. 1895; III, 04.04.2013, n. 1870). Giurisprudenza seguita sul punto anche da questo Tribunale (cfr. TAR Sardegna, II, 01.03.2016, n. 195; II, 16.01.2017, n. 17).
La norma del comma 2-bis dell’art. 15 cit., come introdotta nel 2014, muove quindi dal descritto quadro giurisprudenziale per chiarire testualmente che, nei casi in cui l’iniziativa amministrativa o giudiziaria si riveli infondata, come nella fattispecie, la proroga dei termini è automatica.
Applicando gli enunciati principi al caso di specie, rammentato (in punto di fatto) che la prima concessione edilizia è stata rilasciata il 13.02.2008 (e la variante in corso d’opera l’11.05.2009); e che il sequestro preventivo del cantiere ha imposto la sospensione dei lavori dal 01.07.2010 al 05.05.2016, ne deriva come conseguenza che all’epoca della comunicazione della ricorrente di voler riprendere i lavori (12.05.2016) il termine triennale per l’esecuzione non era ancora decorso.
Da quanto osservato, discende che la società ricorrente ha interesse a ottenere l’annullamento della nota del responsabile dell’area tecnica del Comune, di cui in epigrafe, e a riprendere i lavori.
7. - Passando all’esame dei motivi proposti col ricorso, si deve iniziare dalla dedotta violazione del principio della esecutività dei provvedimenti amministrativi, la cui efficacia giuridica non è impedita dalla eventuale sussistenza di vizi di legittimità, salvo l’esercizio dei poteri di autotutela che, nel caso di specie, non si è verificato.
8. - Il motivo è manifestamente fondato.
Come si evince dalla motivazione del provvedimento impugnato, riferita in fatto, la comunicazione di non poter riprendere i lavori per completare gli interventi autorizzati non si basa, in realtà, sulla intervenuta scadenza del termine di efficacia della concessione edilizia a suo tempo rilasciata, ma esclusivamente su considerazioni attinenti alla validità del piano di lottizzazione “Eden Rock” e della concessione edilizia.
Motivazione sicuramente illegittima, considerato che gli atti amministrativi in questione non erano mai stati annullati, né l’amministrazione comunale ha provveduto ad avviare il necessario procedimento per l’annullamento d’ufficio. Pertanto, si tratta di atti ancora efficaci (secondo il pacifico principio della imperatività del provvedimento amministrativo) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 30.08.2017 n. 569 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per costante giurisprudenza, l’art. 15, comma 2, del T.U. 380/2001, che si riferisce ad una decadenza “di diritto”, esclude qualsiasi sospensione automatica del termine di durata del permesso edilizio, e quindi a maggior ragione una sua automatica proroga.
Richiede invece a tal fine che in ogni caso sia presentata un’istanza di proroga, sulla quale l’amministrazione deve pronunciarsi con un provvedimento espresso, nel quale accerti che i presupposti per accogliere l’istanza effettivamente sussistono.

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La necessità prevista dall’art. 15 del T.U. 380/2001 che l’interessato si attivi con un proprio atto rende, comunque, irrilevante la conoscenza della presunta causa di forza maggiore (in forza della quale si chiede la proroga) da parte dell’amministrazione, conoscenza che in ogni caso dovrebbe risultare da atti ufficiali, e non potrebbe esser fatta derivare da informazioni private di cui un funzionario fosse in possesso per ragioni sue personali.
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Il più volte citato art. 15 del T.U. 380/2001, per il caso di infruttuosa scadenza del termine di ultimazione dei lavori, prevede al comma 3 che “La realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire”.
In tal senso, non è richiesto che le opere di completamento rivestano una particolare natura intrinseca: occorre soltanto che si tratti delle opere necessarie, secondo il progetto originario, a completare l’intervento.
Ciò però non è sufficiente a consentirne la realizzazione, che passa per il rilascio di un nuovo permesso di costruire e presuppone quindi che esse, nel momento in cui esso viene richiesto, siano compatibili con la disciplina urbanistico edilizia del momento.
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1. L’appello è infondato e va respinto nel merito, per le ragioni di seguito precisate, che rendono superfluo esaminare le eccezioni preliminari dedotte dal Comune.
2. E’infondato il primo motivo, fondato sulla presunta possibilità di ritenere un permesso di costruire automaticamente prorogato in presenza di un asserita causa di forza maggiore che impedisca di completare i lavori relativi nel termine previsto.
L’art. 15, comma 2, del T.U. 380/2001, che qui rileva, dispone in generale, per quanto qui interessa, “Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori…”.
Per costante giurisprudenza -così per tutte C.d.S. sez. IV 22.10.2015 n. 4823, 23.02.2012 n. 974 e 10.08.2007 n. 4423- la norma suddetta, che si riferisce ad una decadenza “di diritto”, esclude qualsiasi sospensione automatica del termine di durata del permesso edilizio, e quindi a maggior ragione una sua automatica proroga. Richiede invece a tal fine che in ogni caso sia presentata un’istanza di proroga, sulla quale l’amministrazione deve pronunciarsi con un provvedimento espresso, nel quale accerti che i presupposti per accogliere l’istanza effettivamente sussistono.
...
12. Il quarto motivo di ricorso è volto anch’esso, secondo logica, a superare il disposto dell’art. 18 del regolamento, poiché presuppone che la proroga, anche se disposta successivamente ad una prima, fosse in qualche modo dovuta trattandosi di una causa di forza maggiore.
Esso però risulta a sua volta infondato: la necessità prevista dall’art. 15 del T.U. 380/2001 che l’interessato si attivi con un proprio atto rende comunque irrilevante la conoscenza della presunta causa di forza maggiore in questione da parte dell’amministrazione, conoscenza che in ogni caso dovrebbe risultare da atti ufficiali, e non potrebbe esser fatta derivare da informazioni private di cui un funzionario fosse in possesso per ragioni sue personali.
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16. Il nono e il decimo motivo vanno esaminati congiuntamente perché connessi fra loro, e vanno a loro volta respinti.
Il più volte citato art. 15 del T.U. 380/2001, per il caso di infruttuosa scadenza del termine di ultimazione dei lavori, prevede al comma 3 che “La realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire”.
In tal senso, non è richiesto, contrariamente a quanto ritiene il Comune nelle proprie difese, che le opere di completamento rivestano una particolare natura intrinseca: occorre soltanto che si tratti delle opere necessarie, secondo il progetto originario, a completare l’intervento.
Ciò però non è sufficiente a consentirne la realizzazione, che passa per il rilascio di un nuovo permesso di costruire e presuppone quindi che esse, nel momento in cui esso viene richiesto, siano compatibili con la disciplina urbanistico edilizia del momento.
17. Nel caso di specie, però, tale requisito necessario è venuto a mancare.
Nel momento in cui i lavori non sono stati effettivamente completati nel termine previsto dal permesso, l’effetto di ripristino previsto dalle convenzioni nei termini ampiamente illustrati si è verificato, e il terreno è ritornato alla sua destinazione originaria, che l’edificazione non consente.
In proposito, va osservato che le convenzioni stesse qualificano tale effetto come automatico, del resto in conformità al modo in cui opera una clausola risolutiva espressa, cui la clausola in esame è assimilabile.
Il provvedimento del dirigente comunale che ha denegato il rilascio del permesso per il completamento è quindi del tutto estraneo al prodursi di tale effetto, di cui si limita a prender atto, sì che una questione di incompetenza in merito non ha ragione di porsi.
Ne consegue che il permesso di costruire in parola è stato legittimamente rifiutato, trattandosi di opere non più assentibili in base alla destinazione dell’area (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.08.2017 n. 3887 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2017

EDILIZIA PRIVATA: Permesso edilizio, la sospensione del termine di durata non può essere automatica.
La giurisprudenza nettamente prevalente di questo Consiglio di Stato, dalla quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, sottolinea che, ai sensi dell'art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 ("Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga [...]"), l'effetto decadenziale si riconnette al mero dato fattuale del mancato avvio dei lavori entro il termine annuale fissato dalla legge.
In altri termini "la decadenza del permesso di costruire costituisce effetto automatico del trascorrere del tempo, che per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo abilitativo".
Invero, la pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha carattere strettamente vincolato all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione.
Decadenza che opera di diritto, pertanto non è richiesta l'adozione di un provvedimento amministrativo espresso.
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La giurisprudenza amministrativa ha del pari superato pregresse incertezza giurisprudenziali stabilendo che "il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore".
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1. L’appello è parzialmente fondato e va accolto, nei sensi di cui alla motivazione che segue, mentre va respinta la domanda di risarcimento dei danni per difetto di prova e di allegazione: la sentenza deve essere, pertanto, riformata ed il ricorso di primo grado deve essere accolto, con conseguente annullamento dell’impugnato provvedimento.
2. Discostandosi per comodità espositiva dalla tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), che in ordine logico renderebbe prioritario lo scrutinio della doglianza (lettera A dell’appello) incentrata sulla asserita “violazione del giudicato formatosi sulle statuizioni di cui alla sentenza di questo Consiglio di Stato n. 1556/2015 ed all’ordinanza n. 5601/2015” ritiene il Collegio di esaminare immediatamente le censure di cui alle lettere B e C dell’appello.
3. Di entrambe si rileva immediatamente la non condivisibilità, e la intrinseca debolezza, in quanto contraddittorie rispetto alle stesse attività poste in essere dalla stessa odierna parte appellante, posto che:
   a) la società appellante richiese una prima proroga dell'inizio dei lavori al 22.04.2014 e poi una seconda proroga di ulteriori sei mesi che, in quanto tale, procrastinava il termine di inizio dei lavori fino al 22.10.2014: ciò quando ancora il Tar non si era pronunciato sui ricorsi proposti avverso la Deliberazione n. 2129 del 23.10.2012 di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, proposti dalla Provincia di Venezia e dal Comune di San Donà del Piave;
   b) il Tar accolse i ricorsi con la sentenza n. 773/2014 del 09.06.2014, annullando la detta autorizzazione, ed a detta data la proroga era ancora efficace, in quanto, come prima riferito, l’autorizzazione sarebbe scaduta il 22.10.2014;
   c) l’intera impostazione delle prime due censure dell’appello è incentrata sulla circostanza per cui, dal momento che il Tar aveva annullato l’autorizzazione, questa non “esisteva più” e non avrebbe avuto senso chiedere la proroga;
   d) ma tale arguta affermazione si scontra con un dato di fatto: in pendenza del giudizio di appello proposto dalla società odierna appellante avverso la suindicata sentenza del Tar –e quindi quando, secondo l’argomentare della stessa appellante l’autorizzazione non esisteva più, e non avrebbe avuto senso chiedere la proroga- la società predetta chiese una terza proroga (con nota datata del 18/02/2015 motivata dal fatto che l’udienza avanti al Consiglio di Stato era stata rinviata al 03.03.2015);
   e) ciò dimostra che essa stessa si rendeva conto che anche in pendenza del giudizio di appello (sfociato nella sentenza di questo Consiglio di Stato n. 1556/2015 che accolse infine il gravame), essa avrebbe dovuto richiedere la proroga dell’autorizzazione: soltanto che lo fece intempestivamente, in quanto l’autorizzazione era già scaduta il 22.10.2014 ed essa si risolse a chiedere la proroga soltanto nel febbraio del 2015.
3.1. Tanto vale a privare di plausibilità la ricostruzione della odierna parte appellante contenuta nelle suindicate censure, e ciò proprio tenuto conto dei suoi stessi comportamenti.
3.2. Ed anche a non volere attribuire rilevanza a tali emergenze processuali, ed affrontando esclusivamente sotto il profilo giuridico le argomentazioni della parte odierna appellante, si osserva che:
   a) l’effetto retroattivo del giudicato, anche nel processo amministrativo, è jus receptum e non può essere messo in discussione;
   b) ma tale principio tendenziale è soggetto a limiti di vario genere e, per quel che rileva in questa sede va contemperato con le previsioni normative che regolamentano i provvedimenti interessati dal giudicato;
   c) nel caso del permesso di costruire, ad evidenti fini di certezza della programmazione urbanistica (altrimenti condizionato sine die da possibili “effetti retroattivi” ascrivibili a sentenza che intervengono a distanza di tempo considerevole dal rilascio del titolo), il Legislatore ha dettato un principio che –senza smentire la portata retroattiva del giudicato- all’evidente fine di verificare il permanente interesse del soggetto latore del titolo a realizzare l’intervento programmato ha condizionato l’efficacia del titolo suddetto ad un evento: la presentazione di una istanza di proroga del termine di inizio e fine dei lavori;
   d) come condivisibilmente colto dal Tar, infatti, la giurisprudenza nettamente prevalente di questo Consiglio di Stato, dalla quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, sottolinea che, ai sensi dell'art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 ("Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga [...]"), l'effetto decadenziale si riconnette al mero dato fattuale del mancato avvio dei lavori entro il termine annuale fissato dalla legge; in altri termini "la decadenza del permesso di costruire costituisce effetto automatico del trascorrere del tempo, che per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo abilitativo" (Cons. Stato, sez. IV, 11.04.2014, n. 1747; in tal senso, ex multis, anche Cons. St., sez. III, 04.04.2013, n. 1870: "la pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha carattere strettamente vincolato all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione". Decadenza che opera di diritto, pertanto non è richiesta l'adozione di un provvedimento amministrativo espresso -Cons. St., sez. III, 04.04.2013, n. 1870; nonché, TAR Sardegna, sez. II, 04.05.2015, n. 741);
   e) la giurisprudenza amministrativa ha del pari superato pregresse incertezza giurisprudenziali stabilendo che "il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore (Consiglio di Stato sez. IV, n. 974/2012, cit.)" (Cons. St., sez. III, 04.04.2013, n. 1870);
   f) di ciò il Legislatore ha appunto preso atto inserendo nel corpo dell’art. 15 del d.P.R. n. 380/2001 un comma 2-bis, ratione temporis vigente ed applicabile alla fattispecie per cui è causa laddove si stabilisce che: “La proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate”;
   g) pertanto, l'assunto della ricorrente sulla natura di factum principis della controversia giudiziaria è destituita di fondamento (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.07.2017 n. 3371 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' illegittima la proroga del termine di inizio e/o fine lavori motivata per "sopravvenute difficoltà economiche familiari non prevedibili al momento del rilascio del titolo autorizzativo".
In base all'art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, i termini entro i quali i lavori si devono iniziare o concludere possono esser prorogati con provvedimento motivato solo per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso di costruire o in considerazione della mole dell'opera da realizzare o di particolari sue caratteristiche tecnico-costruttive o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori.
Nel caso di specie la proroga del permesso di costruire è stata richiesta e concessa in relazione a "sopravvenute difficoltà economiche familiari non prevedibili al momento del rilascio del titolo autorizzativo".
Si tratta all'evidenza di fattispecie non prevista dal citato articolo 15 del d.p.r. n. 380 del 2001, con conseguente illegittimità del provvedimento impugnato.
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... per l'annullamento, del permesso di costruire n. P12/14, prot. n. 1331 del 26.03.2015, rilasciato dal Comune di San Giorgio delle Pertiche alla signora Or.Pa., con il quale è stato autorizzato un intervento di "ricostruzione edificio parzialmente demolito in zona A sull'immobile distinto al N.C.T. Foglio 17, mappale 1161"; del provvedimento prot. n. 3239 del 15.03.2016, con il quale il Comune di San Giorgio delle Pertiche ha accordato alla signora Pa. una proroga di due anni (fino al 26.03.2018) per l'inizio dei lavori;
...
In base all'art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, i termini entro i quali i lavori si devono iniziare o concludere possono esser prorogati con provvedimento motivato solo per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso di costruire o in considerazione della mole dell'opera da realizzare o di particolari sue caratteristiche tecnico-costruttive o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori.
Nel caso di specie la proroga del permesso di costruire è stata richiesta e concessa in relazione a "sopravvenute difficoltà economiche familiari non prevedibili al momento del rilascio del titolo autorizzativo".
Si tratta all'evidenza di fattispecie non prevista dal citato articolo 15 del d.p.r. n. 380 del 2001, con conseguente illegittimità del provvedimento impugnato (per l'illegittimità di provvedimenti di proroga motivati in relazione a situazioni di crisi economica vedasi Consiglio di Stato IV n. 1520 del 2016).
L'annullamento, in accoglimento del ricorso, del provvedimento con cui è stato prorogato il termine di inizio dei lavori, determina l'improcedibilità del ricorso nella parte in cui è stato impugnato il permesso di costruire, rilasciato in data 26.03.2015, il cui termine di inizio lavori è stato prorogato.
Infatti i lavori, non essendo stati iniziati entro l'anno dal rilascio del permesso di costruire originario ossia entro l'anno a decorrere dal 26.03.2015, non possono più essere eseguiti (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 05.07.2017 n. 652 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2017

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Circa l'invocazione della sussistenza di “cause di forza maggiore, del tutto indipendenti dalla volontà della Lottizzante, idonei a determinare la sospensione dei termini della lottizzazione” e quindi la sussistenza dell’“oggettiva impossibilità di realizzare l’intervento costruttivo per factum principis”, che “pacificamente, impedisce la decadenza del piano di lottizzazione”, ritiene il collegio di dovere ribadire i principi giurisprudenziali in materia affermati da questo Tribunale e confermati dal Consiglio di Stato, secondo cui:
   - “Nel sistema vigente il piano di lottizzazione ha durata decennale sicché, decorso infruttuosamente detto termine, lo strumento attuativo perde efficacia”.
   - “È irrilevante ai fini delle conseguenze connesse alla scadenza del termine decennale di efficacia del piano di lottizzazione la circostanza che la mancata attuazione del piano sia dovuta alla p.a. o al privato lottizzante”.
   - “La declaratoria di decadenza del piano di lottizzazione, per la mancata esecuzione nel decennio decorrente dalla stipula della convenzione delle opere di urbanizzazione, ha natura vincolata, configurandosi come atto ricognitivo di un dato storico costituito dalla scadenza del termine di efficacia della convenzione con effetto automatico contemplato dalla legge”.
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Per quanto concerne inoltre la rilevanza dell’insorgenza di cause di forza maggiore e quindi della rilevanza del c.d. factum principis, ritiene il collegio di dovere ribadire l’indirizzo giurisprudenziale affermato dal CdS -principio affermato in materia di sospensione del termine di durata del titolo edilizio, ma da ritenersi valido anche relativamente alla fattispecie in esame di sospensione del termine di validità della lottizzazione- secondo cui “il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo [rectius abilitativo], che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore.
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La questione rimane nei sensi sopra indicati anche a seguito della nuova formulazione dell'art. 15, comma 2 e 2-bis, del D.P.R. n. 380 del 2001, posto che la giurisprudenza anche successiva alla novella contenuta nell’art. 17, comma 1, lett. f), del D.L. 12/09/2014 n. 133, convertito nella Legge n. 164 del 2014, è nel senso di ritenere comunque necessaria la presentazione di una formale istanza di proroga.
Deve infatti ritenersi che, secondo un canone di ordinaria diligenza, sia onere del soggetto che invoca la sussistenza di cause di forza maggiore e quindi l’oggettiva impossibilità di realizzare l’intervento costruttivo per factum principis, di attivarsi nel termine di validità o del titolo edilizio o, come nel caso di specie, del piano di lottizzazione, al fine di ottenere dall’amministrazione una proroga, sottoponendo al vaglio dell’amministrazione medesima la ritenuta sussistenza delle predette cause di forza maggiore, per le valutazioni e i provvedimenti (eventuale provvedimento di proroga) di competenza dell’amministrazione medesima.
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Il ricorso è infondato.
Il provvedimento impugnato si fonda -tra l’altro- sull’intervenuta “perdita di efficacia della lottizzazione convenzionata per scadenza del termine decennale”.
Ritiene il collegio che tale rilievo dell’Amministrazione comunale risulti fondato.
Considerato che il piano di lottizzazione in questione è stato convenzionato in data 27.04.1989, si rileva che l’istanza della ricorrente oggetto del provvedimento impugnato, risulta essere stata proposta in data 28.11.2014 e cioè a distanza di oltre 15 anni e mezzo dalla data di scadenza -in via normale- del piano di lottizzazione medesimo, da individuarsi -si ribadisce in via normale- nel 10º anno dalla data in cui la lottizzazione è stata convenzionata (nel caso di specie 27.04.1989).
La ricorrente, a tale riguardo, invoca la sussistenza di “cause di forza maggiore, del tutto indipendenti dalla volontà della Lottizzante, idonei a determinare la sospensione dei termini della lottizzazione” e quindi la sussistenza dell’“oggettiva impossibilità di realizzare l’intervento costruttivo per factum principis”, che “pacificamente, impedisce la decadenza del piano di lottizzazione”.
Relativamente al sopra esposto assunto della ricorrente, ritiene il collegio di dovere ribadire i principi giurisprudenziali in materia affermati da questo Tribunale e confermati dal Consiglio di Stato, secondo cui:
- “Nel sistema vigente il piano di lottizzazione ha durata decennale sicché, decorso infruttuosamente detto termine, lo strumento attuativo perde efficacia” (Consiglio di Stato sez. IV 27.04.2015 n. 2109 che conferma TAR Sardegna, sez. II, n. 553 del 2013).
- “È irrilevante ai fini delle conseguenze connesse alla scadenza del termine decennale di efficacia del piano di lottizzazione la circostanza che la mancata attuazione del piano sia dovuta alla p.a. o al privato lottizzante” (Consiglio di Stato sez. IV 27.04.2015 n. 2109 che conferma TAR Sardegna, Cagliari, Sez. II, n. 553/2013).
- “La declaratoria di decadenza del piano di lottizzazione, per la mancata esecuzione nel decennio decorrente dalla stipula della convenzione delle opere di urbanizzazione, ha natura vincolata, configurandosi come atto ricognitivo di un dato storico costituito dalla scadenza del termine di efficacia della convenzione con effetto automatico contemplato dalla legge” (Consiglio di Stato sez. IV 27.04.2015 n. 2109 che conferma TAR Sardegna, Cagliari, Sez. II, n. 553/2013).
Per quanto concerne inoltre la rilevanza dell’insorgenza di cause di forza maggiore e quindi della rilevanza del c.d. factum principis, ritiene il collegio di dovere ribadire l’indirizzo giurisprudenziale affermato nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 04/04/2013 n. 1870, recepito e ribadito da questo tribunale con la sentenza TAR Sardegna, sez. II, 08.11.2016 n. 848 -principio affermato in materia di sospensione del termine di durata del titolo edilizio, ma da ritenersi valido anche relativamente alla fattispecie in esame di sospensione del termine di validità della lottizzazione- secondo cui “il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo [rectius abilitativo], che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore (Consiglio di Stato sez. IV, n. 974/2012, cit.)”.
Si confronti altresì al riguardo: Consiglio di Stato sez. IV 18.05.2012 n. 2915; TAR Valle d'Aosta, 05.12.2016 n. 59; TAR Liguria sez. I, 31.08.2016 n. 922; TAR Lombardia–Milano, sez. II, 04.08.2016 n. 1564.
La questione rimane nei sensi sopra indicati anche a seguito della nuova formulazione dell'art. 15, comma 2 e 2-bis, del D.P.R. n. 380 del 2001, posto che la giurisprudenza anche successiva alla novella contenuta nell’art. 17, comma 1, lett. f), del D.L. 12/09/2014 n. 133, convertito nella Legge n. 164 del 2014, è nel senso di ritenere comunque necessaria la presentazione di una formale istanza di proroga (TAR Valle d'Aosta, 05.12.2016 n. 59; TAR Veneto n. 375 del 2016).
Deve infatti ritenersi che, secondo un canone di ordinaria diligenza, sia onere del soggetto che invoca la sussistenza di cause di forza maggiore e quindi l’oggettiva impossibilità di realizzare l’intervento costruttivo per factum principis, di attivarsi nel termine di validità o del titolo edilizio o, come nel caso di specie, del piano di lottizzazione, al fine di ottenere dall’amministrazione una proroga, sottoponendo al vaglio dell’amministrazione medesima la ritenuta sussistenza delle predette cause di forza maggiore, per le valutazioni e i provvedimenti (eventuale provvedimento di proroga) di competenza dell’amministrazione medesima.
Non risultando essere stati adottati formali provvedimenti di proroga del termine decennale di efficacia del piano di lottizzazione (risulta prodotta in giudizio solamente un’istanza del 15.04.1999 di proroga della convenzione stipulata in data 27.04.1989, non firmata e priva di protocollo di ricevimento del Comune, alla quale non risulta avere fatto seguito un provvedimento di proroga da parte dell’Amministrazione comunale), non può che prendersi atto che il termine decennale di efficacia del piano di lottizzazione in questione risultava ampiamente scaduto di oltre 15 anni al momento della presentazione dell’istanza in questione concernente il nuovo progetto di rimodulazione dell’intervento collocato oltre i 300 m dalla linea di battigia.
Infondata risulta infine la censura, avanzata in via subordinata, secondo cui l’articolo 13 della legge regionale n. 4/2009 (norma regionale in forza della quale è stata presentata l’istanza in esame) non richiederebbe, quale presupposto di assentibilità, la sussistenza di una convenzione efficace, limitandosi a prevedere che “possono essere realizzati gli interventi previsti dagli strumenti attuativi già approvati e convenzionati, a condizione che le relative opere di urbanizzazione siano state legittimamente avviate prima dell’approvazione del Piano paesaggistico regionale”.
Non può essere condiviso l’assunto della ricorrente secondo cui la formulazione della norma in questione consentirebbe l’esame e l’accoglimento delle istanze presentate ai sensi della suddetta disposizione regionale “anche indipendentemente dalla sussistenza di una lottizzazione ancora efficace”.
Deve infatti ritenersi che il disposto della norma in questione secondo cui “possono essere realizzati gli interventi previsti dagli strumenti attuativi già approvati e convenzionati….. omissis…”, debba essere ragionevolmente interpretato -contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente- nel senso della sussistenza di una lottizzazione ancora efficace.
Per le suesposte considerazioni, disattese le contrarie argomentazioni della parte ricorrente, stante l'infondatezza delle censure avanzate, il ricorso deve essere respinto (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 23.05.2017 n. 352 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2016

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell'art. 15, comma 2, t.u. 06.06.2001 n. 380 la pronuncia di decadenza del permesso di costruire è espressione di un potere strettamente vincolato; ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del titolare ovvero della sopravvenienza di un nuovo piano regolatore; ha quindi decorrenza "ex tunc".
Inoltre, il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un "factum principis" ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore".
Né a conclusioni diverse conduce, poi, la previsione del 4 comma, del medesimo articolo 15, posto che “l’adozione dei provvedimenti di decadenza per mancata ultimazione dei lavori relativi a licenza edilizia che li ponga in contrasto con lo strumento urbanistico sopravvenuto costituisce attività dovuta per il sindaco".
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... per l'annullamento del provvedimento 02.12.2015, prot. n. 6695/2015 avente ad oggetto “diniego alla richiesta di proroga della concessione edilizia n. 341/01".
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Con ricorso notificato il 03.02.2016, tempestivamente depositato, i deducenti hanno impugnato l’atto 02.12.2015, n. 6695 con cui il Responsabile del servizio Edilizia Privata del comune di Minturno ha respinto la richiesta proroga concessione edilizia n. 341/01, dai medesimi presentata in data 26.03.2015, sul rilievo che: …“il titolo abilitativo rilasciato nel 2001, riguardante la realizzazione di una pertinenza agricola,…i cui termini di validità sono ampliamenti scaduti”; ed ancora: …”l’istanza non può essere accolta in quanto l’intervento edilizio non è più conforme alla normativa sopravvenuta prevista dalla L.r. 38/1999, entrata in vigore nel 2003”.
...
Il ricorso è infondato.
In ordine alla denunciata violazione delle garanzie procedimentali (art. 10-bis della L. 241/1990) va rilevato che –anche a prescindere dal rilievo che l’articolo 10-bis della legge n. 241 è disposizione che ha lo scopo di assicurare la partecipazione al procedimento del privato e il contraddittorio di quest’ultimo con l’amministrazione- nella fattispecie il contraddittorio inequivocabilmente vi è stato come dimostra la documentazione allegata al ricorso; sicché essi hanno avuto la possibilità di interloquire al riguardo (e di fatto hanno interloquito) con l’amministrazione.
In ordine ai profili motivazionali, va invece osservato che l’atto del comune –benché formulato in modo poco felice– reca una motivazione che risulta giuridicamente corretta.
La proroga rilasciata il 16.09.2008, prot. 17986 era stata invero subordinata ai pareri ambientali, da prodursi entro il termine di trentasei mesi dal rilascio della stessa, con l’espressa avvertenza che, decorso tale termine, “il permesso doveva intendersi decaduto di dritto”; ciò di per sé giustifica il diniego di proroga.
Rafforza detta conclusione la previsione dell’articolo 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380. La disposizione del secondo comma stabilisce, in particolare, che la proroga del permesso di costruire “può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori”; il comma 2-bis, invocato dalla difesa dei ricorrenti per supportare l’illegittimità del diniego impugnato, non sembra, del pari, conferente.
Stabilisce, in realtà, detta disposizione che “la proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate”.
Come si vede nessuna delle suesposte previsioni normative reca riferimenti ai ritardi imputabili all’interessato, tanto più che nella vista proroga accordata nel 2008 era stato espressamente ribadito che la decorrenza del prescritto termine avrebbe comportato la decadenza di diritto del permesso di costruire.
Sul punto la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che “ai sensi dell'art. 15, comma 2, t.u. 06.06.2001 n. 380 la pronuncia di decadenza del permesso di costruire è espressione di un potere strettamente vincolato; ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del titolare ovvero della sopravvenienza di un nuovo piano regolatore; ha quindi decorrenza "ex tunc"; inoltre, il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un "factum principis" ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore" (Tar Veneto, sez. II, n. 2346 del 2005).
Né a conclusioni diverse conduce, poi, la previsione del 4 comma, del medesimo articolo 15, anch’essa espressamente invocata dalla parte ricorrente, posto che “l’adozione dei provvedimenti di decadenza per mancata ultimazione dei lavori relativi a licenza edilizia che li ponga in contrasto con lo strumento urbanistico sopravvenuto costituisce attività dovuta per il sindaco”… (Tar Veneto, sez. II, n. 2346 del 2005).
In conclusione il ricorso deve essere respinto (TAR Lazio-Latina, sentenza 12.12.2016 n. 794 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA:  Sulla legittima condotta del comune che, in assenza di apposita formale istanza del soggetto titolare della concessione, si è limitato a prendere atto dell’intervenuta decadenza del titolo -decadenza i cui effetti si sono prodotti quantunque in assenza di provvedimento espresso- ed a diffidare la ricorrente dall’eseguire i lavori.
La giurisprudenza più recente ritiene che non abbia pregio l’assunto che il termine debba ritenersi automaticamente sospeso in presenza di una causa di forza maggiore, quale nel caso il sequestro penale dell’area interessata dall’intervento, atteso che non è ipotizzabile nell’attuale sistema giuridico la sospensione automatica del titolo edilizio, essendo sempre necessaria, al fine di ottenere la sospensione, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve seguire un provvedimento da parte della stessa amministrazione che ha rilasciato il titolo edilizio e che accerti l’impossibilità del rispetto del termine ab origine fissato in relazione al factum principis o ad una causa di forza maggiore.
Nel caso di specie, peraltro, la questione non potrebbe essere suscettibile di apprezzamento favorevole neppure sulla base della nuova formulazione dell’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001.
La giurisprudenza formatasi successivamente alla novella contenuta nella l. n. 164 del 2014 (art. 17, comma 1, lett. f), e dai cui approdi il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, è nel senso di ritenere che è comunque necessaria «la presentazione di una formale istanza di proroga».

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Ai fini di una migliore comprensione delle questioni sottoposte all’attenzione del Tribunale, vanno succintamente ricostruite le fasi salienti della vicenda procedimentale nella quale si è innestata la presente controversia.
La ricorrente società ha esposto di aver chiesto ed ottenuto, in data 08.02.2002 la concessione edilizia per la costruzione di un fabbricato con destinazione alberghiera in località Champoluc e che, secondo quanto indicato nel medesimo provvedimento, il termine di conclusione lavori era originariamente previsto per il 29.05.2007 per poi essere successivamente prorogato al 28.12.2008.
La concessione edilizia del 2002 è stata rinnovata nel 2009 con atto n. 24/2009, con conseguente fissazione di nuovo termine per l’inizio dei lavori fissato al 01.01.2010 e di un nuovo termine di conclusione stabilito nei cinque anni successivi.
In data 15.01.2010 la ricorrente ha chiesto il rilascio di una concessione edilizia in sanatoria «per opere in difformità unitamente a variante per cambio d’uso da albergo a residenza turistico-alberghiera» e tale istanza, previa adozione di apposita diffida alla rimozione delle opere, è stata rigettata con provvedimento del 24.02.2011, cui ha fatto seguito il sequestro dell’intero immobile (dal 14.04.2011 al 25.06.2015) e conseguente ordinanza di demolizione.
Ottenuto l’annullamento giurisdizionale del diniego di concessione in sanatoria e conseguito il relativo titolo abilitativo (nonché il dissequestro dell’immobile), la ricorrente ha, tra l’altro, comunicato il completamento dei lavori già previsti nella concessione edilizia rilasciata nel 2009, siccome rinnovata.
A tale richiesta il Comune ha risposto con l’impugnato provvedimento di diffida dall’eseguire i medesimi lavori sul presupposto che, per la realizzazione degli stessi, occorrerebbe un nuovo titolo abilitativo e ciò perché i termini originari entro i quali gli stessi avrebbero dovuto essere realizzati sarebbero spirati. Tale tesi è stata ritenuta erronea da parte della ricorrente la quale sostiene che lo spatium temporale di cui trattasi debba essere considerato al netto del periodo in cui l’immobile è rimasto sequestrato.
Sul piano penale la vicenda contenziosa si è conclusa con una condanna del responsabile della ditta «Le re.» per gli abusi edilizi commessi con riferimento al complesso alberghiero di cui trattasi.
Così definito il perimetro fattuale della controversia, con l’impugnato provvedimento il Comune ha preso atto dell’intervenuta decadenza del titolo abilittivo. Il carattere vincolato di tale provvedimento non risente dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento sul rilievo che nessun utile apporto partecipativo era nel caso di specie astrattamente ipotizzabile (e, per il vero, parte ricorrente non ha qui offerto spunti in senso contrario). Anche sul piano della motivazione, la ridetta natura vincolata del provvedimento non imponeva l’esplicazione di ulteriori considerazioni circa la necessita di dichiarare la decadenza di cui trattasi.
Nel merito della scelta operata, la giurisprudenza più recente (cfr. Cons. St. n. 5378 del 2014) ritiene che non abbia pregio l’assunto che il termine debba ritenersi automaticamente sospeso in presenza di una causa di forza maggiore, quale nel caso il sequestro penale dell’area interessata dall’intervento, atteso che non è ipotizzabile nell’attuale sistema giuridico la sospensione automatica del titolo edilizio, essendo sempre necessaria, al fine di ottenere la sospensione, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve seguire un provvedimento da parte della stessa amministrazione che ha rilasciato il titolo edilizio e che accerti l’impossibilità del rispetto del termine ab origine fissato in relazione al factum principis o ad una causa di forza maggiore (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18.05.2012, n. 2915).
Nel caso di specie, peraltro, la questione non potrebbe essere suscettibile di apprezzamento favorevole neppure sulla base della nuova formulazione dell’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001.
La giurisprudenza formatasi successivamente alla novella contenuta nella l. n. 164 del 2014 (art. 17, comma 1, lett. f), e dai cui approdi il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, è nel senso di ritenere che è comunque necessaria «la presentazione di una formale istanza di proroga» (TAR Veneto, n. 375 del 2016).
Calando i su espressi principi al caso di specie, va ritenuta immune da vizi la condotta dell’Amministrazione la quale, in assenza di apposita formale istanza del soggetto titolare della concessione, si è limitata a prendere atto dell’intervenuta decadenza del titolo -decadenza i cui effetti si sono prodotti quantunque in assenza di provvedimento espresso- ed a diffidare la ricorrente dall’eseguire i lavori.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso va rigettato (TAR Valle d'Aosta, sentenza 05.12.2016 n. 59 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2016

EDILIZIA PRIVATALa mera attività di indagine geotecnica non può costituire "inizio dei lavori" (al pari, peraltro, degli sbancamenti di terreno poi accertati), occorrendo a tal fine la compiuta organizzazione del cantiere e la presenza di altri indizi idonei a confermare l'effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l'opera assentita.
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Invero,
ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, "Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari".
Orbene, dalla lettera della norma -per come costantemente interpretata da questa Corte- deriva che
il decorso del termine di ultimazione dei lavori comporta, se non prorogato, la decadenza di diritto del permesso di costruire per la parte ancora non eseguita, con conseguente configurabilità del reato previsto dall'art. 44, lett. b), del citato decreto, in caso di loro prosecuzione oltre detto termine.
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4. Ciò premesso, il ricorso risulta infondato.
Ritiene la Corte che la questione centrale della presente vicenda afferisca all'avvenuto inizio delle opere, assentite dalla concessione edilizia n. 107 del 12/04/2012, entro il termine annuale fissato nel provvedimento medesimo, ed agli effetti -automatici o meno- della decadenza dal provvedimento stesso, in caso di esito negativo della prima verifica; orbene, con riguardo ad entrambi i profili la motivazione redatta dal Tribunale risulta tutt'altro che assente o meramente apparente, emergendo piuttosto come congrua, fondata su oggettivi riscontri investigativi e privi di qualsivoglia illogicità. Come tale, non censurabile.
In particolare, e richiamata la pacifica scansione cronologica degli eventi, l'ordinanza ha evidenziato che:
   1) la comunicazione di inizio lavori era stata inviata dalla "Pe.To. s.r.l." al Comune di Siracusa l'11/04/2013 (ultimo giorno utile, a fronte di una concessione rilasciata il 12/04/2012);
   2) il 02/12/2014 -ad avvenuta voltura del titolo da parte della "Re. s.r.l.", della quale il ricorrente è legale rappresentante- la Polizia municipale aveva accertato che non vi era alcuna attività lavorativa in corso, verificando soltanto «un terreno totalmente ricoperto da vegetazione autoctona, l'inesistenza in situ di opere di natura edilizia, scavi, sbancamenti, né tantomeno la presenza delle normali infrastrutture mobili che caratterizzano l'insediamento di un cantiere edile»;
   3) il successivo 04/02/2015, un ulteriore sopralluogo aveva riscontrato le medesime circostanze;
   4) soltanto in data 03/03/2015, erano risultati apposti i cartelli di cantiere, con esecuzione di lavori di sbancamento e terrazzamento del costone.
5. In forza di tali considerazioni -che questo Collegio non è autorizzato a contestare, attenendo a profili fattuali, peraltro consacrati in atti pubblici- il Tribunale del riesame ha quindi concluso che le opere da ultimo accertate erano state poste in essere ben oltre il termine di un anno dal rilascio della concessione edilizia e, pertanto, non più assentite, integravano il fumus del reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 (atteso il carattere vincolato dell'area).
Quel che, peraltro, priva di rilievo il primo motivo di gravame, con il quale si assume il difetto di motivazione con riguardo ai documenti prodotti dalla difesa in sede camerale; osserva la Corte, infatti, che la rilevanza degli stessi è stata implicitamente disattesa dalle affermazioni che precedono, poiché giammai idonei -quantomeno nella presente fase cautelare- a superare gli esiti di accertamenti compiuti da pubblici ufficiali, che avevano riferito nei termini suddetti.
E fermo restando, peraltro, che -per costante indirizzo di legittimità, qui da ribadire-
la mera attività di indagine geotecnica (di cui alla documentazione allegata), quand'anche avvenuta, non potrebbe comunque costituire "inizio dei lavori" nell'ottica in esame (al pari, peraltro, degli sbancamenti di terreno poi accertati), occorrendo a tal fine la compiuta organizzazione del cantiere e la presenza di altri indizi idonei a confermare l'effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l'opera assentita (per tutte, Sez. 3, n. 7114 del 27/01/2010, Viola, Rv. 246220: in motivazione, la Corte ha precisato che detti indizi consistono nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nell'elevazione di muri e nell'esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio).
6. Con riguardo, poi, al profilo della decadenza dal titolo abilitativo, strettamente connesso al precedente, rileva il Collegio che la motivazione dell'ordinanza risulta ancora congrua e tutt'altro che assente o meramente apparente.
Ed invero,
ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, "Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari".
Orbene, dalla lettera della norma -per come costantemente interpretata da questa Corte- deriva che
il decorso del termine di ultimazione dei lavori comporta, se non prorogato, la decadenza di diritto del permesso di costruire per la parte ancora non eseguita, con conseguente configurabilità del reato previsto dall'art. 44, lett. b), del citato decreto, in caso di loro prosecuzione oltre detto termine (Sez. 3, n. 17971 dell'08/04/2010, Garofalo, Rv. 247161: in motivazione, peraltro, la Corte ha precisato che, diversamente, un provvedimento espresso e motivato dell'Autorità amministrativa è richiesto per la proroga del termine.
Negli stessi termini, tra le altre, Sez. 3, n. 12316 del 21/02/2007, Minciarelli, Rv. 236336). E senza che, al riguardo, possa rilevare il diverso indirizzo che il Consiglio di Stato ha espresso con la decisione n. 4823 del 22/10/2015, richiamata nel gravame, peraltro non pacifico neppure in seno al medesimo Consesso; ed invero, nella motivazione della stessa (resa, all'evidenza, in un'ottica diversa da quella in esame), si afferma -pur aderendo all'indirizzo citato- che il provvedimento di decadenza è «meramente dichiarativo e con efficacia ex tunc, qualunque sia l'epoca in cui è stato adottato e quindi anche se intervenuto molto tempo dopo che i termini in questione erano inutilmente decorsi, e ancorché i suoi effetti retroagiscano al momento dell'evento estintivo».
7. In forza di quanto precede, dunque, il provvedimento impugnato risulta sostenuto da adeguata motivazione con riferimento al contestato art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, sì da non poter esser censurato nei termini invocati; emerge sufficiente, infatti, il fumus di opere eseguite in difetto di titolo edilizio, poiché già decaduto. E senza che, pertanto, assuma alcun rilievo la doglianza -invero astrattamente fondata- con la quale si contesta l'asserita illegittimità della concessione in esame in forza del rapporto (individuato dal Tribunale) tra le opere in oggetto, la loro destinazione ad esser fruite dalla collettività e la balneabilità del mare antistante; trattasi, infatti, di un nesso che pare sfuggire ai canoni della logica, ma che, proprio per ciò, non integra una violazione di legge contestabile in sede di legittimità.
8. Di seguito, con particolare riguardo alla condotta ex art. 181, d.Lgs. n. 42 del 2004 (in ordine alla quale -alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 23/03/2016- dovrà peraltro esser verificata la configurabilità del primo o del secondo comma della norma, con ogni conseguente effetto), osserva il Collegio che l'ordinanza ne ha riconosciuto il fumus ancora in ragione di una risultanza obiettiva, quale il vincolo paesaggistico gravante sull'area in oggetto; ciò, giusta decreto del competente assessorato a data 30/09/1998 (che aveva dichiarato il notevole interesse pubblico della zona) e Piano paesistico del 01.02.2012, che aveva inserito il medesimo territorio sotto un livello 3 di tutela.
In ragione del quale -giusta valutazione operata dal Tribunale, non sindacabile in questa sede poiché attinente a mero fatto- gli interventi quale quello riscontrato non possono esser compiuti, in quanto esclusi ai sensi del punto 13g dello stesso Piano. E senza che, da parte di questa Corte, possa accogliersi il motivo proposto al riguardo dal Serra, che imporrebbe un esame di merito della tipologia dell'opera de qua ed il suo inserimento -o meno- tra le previsioni del punto 13g citato.
9. Del pari, con riguardo alla medesima contestazione, osserva poi il Collegio che l'ordinanza -ancora con solido percorso motivazionale- ha confutato la tesi per la quale l'autorizzazione paesaggistica, poiché rilasciata prima dell'approvazione del Piano, sarebbe risultata comunque valida per i successivi cinque anni, giusta art. 48 di quest'ultimo; ed invero, come si legge nell'ordinanza, al maturare del quinquennio dal 04/06/2009 nessun lavoro aveva ancora avuto inizio sull'area in esame, come da plurimi accertamenti compiuti, sì che i successivi sbancamenti non erano risultati "coperti" da alcun provvedimento al riguardo.
Né, peraltro, può esser invocato
l'art. 146, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004, a mente del quale "Il termine di efficacia dell'autorizzazione decorre dal giorno in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente necessario per la realizzazione dell'intervento, a meno che il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente efficacia di quest'ultimo non sia dipeso da circostanze imputabili all'interessato"; ed invero, questa disposizione "lega" cronologicamente i due provvedimenti sul presupposto dall'effettiva vigenza di quello urbanistico, da escludere nel caso di specie -alla data di esecuzione dello sbancamento- in ragione della maturata decadenza, come ben riconosciuta dal Tribunale del riesame (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.08.2016 n. 35243).

EDILIZIA PRIVATA: Proroga straordinaria una tantum ex lege 98/2013.
La proroga dei titoli edilizi disposta dall’articolo 30, commi 3 e 4, del decreto legge 21.06.2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 09.08.2013, n. 98 presenta carattere eccezionale e derogatorio rispetto al sistema, poiché la durata limitata nel tempo dei titoli edificatori risponde a esigenze di certezza e di tutela dell’interesse pubblico e della stessa potestà pianificatoria dei comuni.
Esigenze, queste, che sarebbero tutte frustrate dalla previsione della possibilità del protrarsi a tempo indeterminato delle attività comportanti la trasformazione del territorio. L’operatività del nuovo istituto è pertanto –coerentemente– circoscritta dallo stesso legislatore a un periodo determinato, e le relative previsioni sono valevoli una tantum.

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La proroga del termine dei lavori c.d. ordinaria, prevista dall’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, non è applicabile alla denuncia di inizio attività, per la quale è possibile soltanto –eccezionalmente, e in virtù di una espressa previsione di legge– la proroga prevista dall’articolo 30 del decreto legge n. 69 del 2001.
Su questo punto, l’improrogabilità dei termini per l’ultimazione dei lavori oggetto di d.i.a. –beninteso, ordinariamente, e al di fuori dell’ambito di applicazione dell’istituto introdotto una tantum dal decreto legge n. 69 del 2013– costituisce un tratto caratterizzante dell’istituto della denuncia di inizio di attività, chiaramente delineato dalla disciplina normativa di fonte statale e regionale, come del resto affermato dalla giurisprudenza.
Al riguardo, è sufficiente tenere presente che:
- l’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, nel prevedere la proroga “ordinaria” dei termini dei lavori, si riferisce espressamente al solo permesso di costruire;
- l’articolo 23, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001, dopo aver previsto che la denuncia di inizio attività sia “sottoposta al termine massimo di efficacia pari a tre anni” (così il primo periodo), stabilisce esplicitamente che “La realizzazione della parte non ultimata dell'intervento è subordinata a nuova denuncia” (così il secondo periodo);
- l’articolo 42, comma 6, della legge regionale n. 12 del 2005 parimenti dispone che “I lavori oggetto della denuncia di inizio attività devono essere iniziati entro un anno dalla data di efficacia della denuncia stessa ed ultimati entro tre anni dall'inizio dei lavori. La realizzazione della parte di intervento non ultimata nel predetto termine è subordinata a nuova denuncia (...)”.
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Per altro verso, la non prorogabilità, ordinariamente, dei termini di ultimazione dei lavori oggetto di denuncia di inizio attività è suffragata anche da un ulteriore argomento a contrario, evincibile proprio dalla previsione dell’articolo 30, comma 4, del decreto legge n. 69 del 2013.
Il legislatore ha infatti evidentemente reputato indispensabile introdurre una previsione ad hoc per rendere applicabile l’istituto della proroga ex lege anche nei confronti della denuncia di inizio attività. Ciò che conferma che il differimento dei termini della d.i.a. non è ordinariamente previsto.
Il regime giuridico così delineato risulta, peraltro, non irragionevole –in considerazione della natura e dei caratteri della denuncia di inizio attività– né discriminante rispetto a quello, diverso, stabilito per il permesso di costruire, atteso altresì che costituisce pur sempre una facoltà dell’interessato scegliere di richiedere quest’ultimo titolo, in luogo di avvalersi dell’istituto della d.i.a..
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1. La ricorrente I.M.C. Im.Mi.Co. s.r.l. ha presentato al Comune di Milano, in data 29.07.2010, una denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 41 della legge regionale n. 12 del 2005 (ossia in alternativa al permesso di costruire: c.d. superdia).
Con nota del 23.08.2013, la società ha comunicato all’Amministrazione di valersi della proroga biennale del termine di ultimazione dei lavori, prevista dall’articolo 30 del decreto legge n. 69 del 2013, convertito dalla legge n. 98 del 2013.
Il 27.07.del 2015 la medesima I.M.C. ha comunicato nuovamente la proroga del termine di fine lavori, ancora ai sensi dell’articolo 30 del decreto legge n. 69 del 2013.
Il Comune ha a questo punto emesso il provvedimento datato 07.09.2015, con il quale ha reso noto che la richiesta di proroga non poteva essere accolta, perché la legge consente una sola proroga; ha comunicato inoltre la sospensione di efficacia del titolo edilizio e ha ordinato di tenere sospese le opere fino alla presentazione di un nuovo titolo abilitativo e all’avvenuta regolarizzazione degli obblighi del committente e del responsabile dei lavori.
2. Il provvedimento è stato impugnato da I.M.C. nel presente giudizio.
In particolare, la società ha allegato che:
   I) il diniego sarebbe basato unicamente su un’interpretazione restrittiva dell’articolo 30 del decreto legge n. 69 del 2013, interpretazione in base alla quale la proroga sarebbe consentita una sola volta; il Comune avrebbe, tuttavia, dovuto valutare la sussistenza dei presupposti per concedere la proroga sulla base della disciplina ordinaria, contenuta all’articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e –a tal fine– sarebbe stato onere dell’Amministrazione riqualificare corrispondentemente l’istanza presentata dall’odierna ricorrente;
   II) violazione dell’articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990, per la mancata comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
...
6. Il ricorso è infondato.
7. La Sezione ha già avuto modo di affermare che la proroga dei titoli edilizi disposta dall’articolo 30, commi 3 e 4, del decreto legge 21.06.2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 09.08.2013, n. 98 presenta carattere eccezionale e derogatorio rispetto al sistema, poiché la durata limitata nel tempo dei titoli edificatori risponde a esigenze di certezza e di tutela dell’interesse pubblico e della stessa potestà pianificatoria dei comuni; esigenze, queste, che sarebbero tutte frustrate dalla previsione della possibilità del protrarsi a tempo indeterminato delle attività comportanti la trasformazione del territorio. L’operatività del nuovo istituto è pertanto –coerentemente– circoscritta dallo stesso legislatore a un periodo determinato, e le relative previsioni sono valevoli una tantum (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 22.07.2015, n. 1764).
Il provvedimento impugnato ha quindi correttamente affermato che la proroga non potesse essere reiterata.
8. Sotto altro profilo, non può condividersi la tesi della ricorrente, secondo la quale l’Amministrazione avrebbe avuto l’onere di riqualificare la comunicazione presentata dalla società, trattandola come una ordinaria istanza di proroga del termine di ultimazione dei lavori, ai sensi dell’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Ad avviso del Collegio, il Comune non avrebbe dovuto, e neppure potuto, riqualificare la comunicazione della parte, nel senso voluto dalla ricorrente. E ciò per la dirimente ragione che la proroga del termine dei lavori c.d. ordinaria, prevista dall’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, non è applicabile alla denuncia di inizio attività, per la quale è possibile soltanto –eccezionalmente, e in virtù di una espressa previsione di legge– la proroga prevista dall’articolo 30 del decreto legge n. 69 del 2001.
Anche su questo punto deve richiamarsi alla già citata sentenza n. 1764 del 2015 di questa Sezione, ove si è evidenziato che l’improrogabilità dei termini per l’ultimazione dei lavori oggetto di d.i.a. –beninteso, ordinariamente, e al di fuori dell’ambito di applicazione dell’istituto introdotto una tantum dal decreto legge n. 69 del 2013– costituisce un tratto caratterizzante dell’istituto della denuncia di inizio di attività, chiaramente delineato dalla disciplina normativa di fonte statale e regionale, come del resto affermato dalla giurisprudenza (v. Cons. Stato, Sez. IV, 11.12.2013, n. 5969, che conferma la sentenza di questa Sezione, 08.03.2013, n. 619).
Al riguardo, è sufficiente tenere presente che:
- l’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, nel prevedere la proroga “ordinaria” dei termini dei lavori, si riferisce espressamente al solo permesso di costruire;
- l’articolo 23, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001, dopo aver previsto che la denuncia di inizio attività sia “sottoposta al termine massimo di efficacia pari a tre anni” (così il primo periodo), stabilisce esplicitamente che “La realizzazione della parte non ultimata dell'intervento è subordinata a nuova denuncia” (così il secondo periodo);
- l’articolo 42, comma 6, della legge regionale n. 12 del 2005 parimenti dispone che “I lavori oggetto della denuncia di inizio attività devono essere iniziati entro un anno dalla data di efficacia della denuncia stessa ed ultimati entro tre anni dall'inizio dei lavori. La realizzazione della parte di intervento non ultimata nel predetto termine è subordinata a nuova denuncia (...)”.
Per altro verso, la non prorogabilità, ordinariamente, dei termini di ultimazione dei lavori oggetto di denuncia di inizio attività è suffragata anche da un ulteriore argomento a contrario, evincibile proprio dalla previsione dell’articolo 30, comma 4, del decreto legge n. 69 del 2013.
Il legislatore ha infatti evidentemente reputato indispensabile introdurre una previsione ad hoc per rendere applicabile l’istituto della proroga ex lege anche nei confronti della denuncia di inizio attività. Ciò che conferma che il differimento dei termini della d.i.a. non è ordinariamente previsto.
Il regime giuridico così delineato risulta, peraltro, non irragionevole –in considerazione della natura e dei caratteri della denuncia di inizio attività– né discriminante rispetto a quello, diverso, stabilito per il permesso di costruire, atteso altresì che costituisce pur sempre una facoltà dell’interessato scegliere di richiedere quest’ultimo titolo, in luogo di avvalersi dell’istituto della d.i.a.
9. Vi è, peraltro, anche un’altra ragione per la quale era in ogni caso preclusa all’Amministrazione la possibilità di trattare la comunicazione di I.M.C. come una istanza di proroga ai sensi dell’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Deve infatti osservarsi che la proroga ordinaria –oltre ad essere riservata, come detto, al solo permesso di costruire– è comunque subordinata alla sussistenza dei precisi presupposti stabiliti dai commi 2 e 2-bis del predetto articolo 15; presupposti il cui ricorrere deve essere allegato e dimostrato dalla parte richiedente.
Nel caso di specie, I.M.C. si è limitata a dichiarare di volersi avvalere della proroga ex lege, per cui il Comune non si sarebbe potuto sostituire in nessun caso alla società nel ricercare le ragioni legittimanti un eventuale differimento dei termini di efficacia del titolo edilizio.
10. Quanto alla mancata comunicazione del preavviso di provvedimento negativo, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che la previsione dell'articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990 deve essere interpretata alla luce del successivo articolo 21-octies, comma 2, il quale impone al giudice di valutare il contenuto del provvedimento e di non annullare l’atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo (v. ex multis: Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2015, n. 2298; C.G.A.R.S., 16.04.2013, n. 409; Cons. Stato, Sez. VI, 02.02.2012, n. 585).
Nel caso oggetto del presente giudizio, l’Amministrazione non si sarebbe potuta determinare diversamente, essendo il potere esercitato del tutto vincolato dalle previsioni di legge sopra richiamate.
E’ quindi irrilevante il mancato invio del preavviso di provvedimento negativo.
11. In conclusione, il ricorso deve essere integralmente respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.08.2016 n. 1569 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
EDILIZIA PRIVATA: L’istituto della proroga straordinaria, introdotto in via di eccezione dall’art. 30, comma 3, del decreto legge n. 69 del 2013, prevede alcune rilevanti peculiarità rispetto alla proroga ordinaria.
Il legislatore ha, invero, espressamente stabilito:
- che il prolungamento dell’efficacia del titolo edilizio non sia subordinato alla valutazione, da parte del Comune, della sussistenza dei rigorosi presupposti di cui all’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, ma operi a prescindere da ogni verifica in ordine alle circostanze che determinano il mancato rispetto del termine originariamente previsto;
- che, conseguentemente, il Comune sia chiamato unicamente a controllare, a seguito della comunicazione del privato, che quest’ultimo abbia dichiarato di avvalersi della proroga in presenza di tutte le condizioni stabilite direttamente dalla norma primaria;
- che, in particolare, l’operatività della proroga sia subordinata alla circostanza che l’intervento non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici approvati o anche solo adottati;
- che la proroga operi anche per gli interventi oggetto di denuncia di inizio di attività o di segnalazione certificata di inizio di attività, secondo quanto espressamente previsto dall’articolo 4 del medesimo articolo 30 del decreto legge n. 69 del 2013 (“La disposizione di cui al comma 3 si applica anche alle denunce di inizio attività e alle segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro lo stesso termine”).
La proroga è quindi prevista e direttamente disposta dalla legge, che la condiziona unicamente al ricorrere delle condizioni tipizzate dalla norma primaria e alla presentazione, da parte del soggetto interessato, di un’apposita comunicazione.
Invero, si tratta di una previsione di carattere eccezionale e derogatorio rispetto al sistema, poiché la durata limitata nel tempo dei titoli edificatori risponde a esigenze di certezza e di tutela dell’interesse pubblico e della stessa potestà pianificatoria dei comuni; esigenze, queste, che sarebbero tutte frustrate dalla previsione della possibilità del protrarsi a tempo indeterminato delle attività comportanti la trasformazione del territorio.
L’operatività del nuovo istituto è pertanto –coerentemente– circoscritta dallo stesso legislatore a un periodo determinato, e le relative previsioni sono valevoli una tantum.

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La proroga di cui all’articolo 30, comma 3, del decreto legge n. 69 del 2013 opera ex lege, purché ricorra la duplice condizione della conformità urbanistica e della dichiarazione dell’interessato di volersi avvalere del differimento dei termini di efficacia del titolo edilizio.
Conseguentemente, il Comune è tenuto unicamente a compiere una verifica –a contenuto interamente vincolato– in ordine all’effettiva sussistenza dei predetti presupposti.
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6. Osserva il Collegio che la ricorrente, con la propria nota del 26.10.2015, ha comunicato al Comune di volersi avvalere della proroga di cui all’articolo 30, comma 3, del decreto legge n. 69 del 2013.
Disposizione, questa, in base alla quale “Salva diversa disciplina regionale, previa comunicazione del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, come indicati nei titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata in vigore del presente decreto, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati. È altresì prorogato di tre anni il termine delle autorizzazioni paesaggistiche in corso di efficacia alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
7. L’istituto della proroga straordinaria, introdotto in via di eccezione dalla suddetta disposizione normativa, prevede alcune rilevanti peculiarità rispetto alla proroga ordinaria.
Il legislatore ha, invero, espressamente stabilito:
- che il prolungamento dell’efficacia del titolo edilizio non sia subordinato alla valutazione, da parte del Comune, della sussistenza dei rigorosi presupposti di cui all’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, ma operi a prescindere da ogni verifica in ordine alle circostanze che determinano il mancato rispetto del termine originariamente previsto;
- che, conseguentemente, il Comune sia chiamato unicamente a controllare, a seguito della comunicazione del privato, che quest’ultimo abbia dichiarato di avvalersi della proroga in presenza di tutte le condizioni stabilite direttamente dalla norma primaria;
- che, in particolare, l’operatività della proroga sia subordinata alla circostanza che l’intervento non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici approvati o anche solo adottati;
- che la proroga operi anche per gli interventi oggetto di denuncia di inizio di attività o di segnalazione certificata di inizio di attività, secondo quanto espressamente previsto dall’articolo 4 del medesimo articolo 30 del decreto legge n. 69 del 2013 (“La disposizione di cui al comma 3 si applica anche alle denunce di inizio attività e alle segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro lo stesso termine”).
La proroga è quindi prevista e direttamente disposta dalla legge, che la condiziona unicamente al ricorrere delle condizioni tipizzate dalla norma primaria e alla presentazione, da parte del soggetto interessato, di un’apposita comunicazione.
Come già evidenziato dalla Sezione, si tratta di una previsione di carattere eccezionale e derogatorio rispetto al sistema, poiché la durata limitata nel tempo dei titoli edificatori risponde a esigenze di certezza e di tutela dell’interesse pubblico e della stessa potestà pianificatoria dei comuni; esigenze, queste, che sarebbero tutte frustrate dalla previsione della possibilità del protrarsi a tempo indeterminato delle attività comportanti la trasformazione del territorio. L’operatività del nuovo istituto è pertanto –coerentemente– circoscritta dallo stesso legislatore a un periodo determinato, e le relative previsioni sono valevoli una tantum (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 22.07.2015, n. 1764).
...
12. Ciò posto, sono pure infondate le allegazioni –contenute nel secondo motivo di ricorso– con le quali la ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato non avrebbe adeguatamente indicato le ragioni di contrasto dell’intervento con la vigente pianificazione urbanistica.
Come sopra detto, il Comune ha evidenziato che il progetto asseverato con la denuncia di inizio attività non rispetta le previsioni morfologiche specificamente dettate per i nuclei di antica formazione, contenute all’articolo 13, comma 3, lett. a) del Piano delle Regole del PGT.
Tale previsione –secondo quanto riportato dalla stessa parte nel proprio ricorso– dispone che gli interventi siano consentiti laddove assicurino il “mantenimento o ripristino delle cortine edilizie o completamento del fronte continuo; la costruzione in cortina deve arrivare sino alla linea di altezza dell’edificio più basso adiacente alla costruzione; laddove quest’ultimo fosse più basso rispetto all’altezza esistente è fatto salvo il mantenimento dell’altezza esistente”.
Si tratta di indicazioni chiare e specifiche, in relazione alle quali deve ritenersi del tutto agevole per la ricorrente individuare i punti di discordanza del proprio progetto.
Peraltro, Pa. s.r.l. non ha neppure allegato, nel presente giudizio, che l’intervento oggetto della denuncia di inizio attività effettivamente rispetti tutte le prescrizioni ora richiamate. Per cui il contrasto rilevato dal Comune deve ritenersi sostanzialmente incontestato.
13. La parte ha infatti incentrato le proprie difese –in particolare, nel primo motivo di ricorso– sulla circostanza che la conformità alle previsioni sopravvenute del PGT sarebbe stata attestata dalla stessa Amministrazione in un proprio precedente provvedimento.
In questa prospettiva, Pa. s.r.l. ha sostenuto che il provvedimento impugnato, nell’affermare oggi la mancanza di tale conformità, si porrebbe in contrasto con la precedente determinazione assunta dallo stesso Comune.
Il Collegio osserva, tuttavia, che il vizio di eccesso di potere –di cui la contraddittorietà con precedenti provvedimenti rappresenta una figura sintomatica– è configurabile solo in presenza di attività discrezionali, e non invece a fronte di un potere del tutto vincolato, quale quello esercitato dal Comune nel caso di specie.
Si è già detto, infatti, che la proroga di cui all’articolo 30, comma 3, del decreto legge n. 69 del 2013 opera ex lege, purché ricorra la duplice condizione della conformità urbanistica e della dichiarazione dell’interessato di volersi avvalere del differimento dei termini di efficacia del titolo edilizio. Conseguentemente, il Comune è tenuto unicamente a compiere una verifica –a contenuto interamente vincolato– in ordine all’effettiva sussistenza dei predetti presupposti.
Nel caso di specie, secondo quanto sopra rimarcato, il Comune ha convincentemente indicato le ragioni per le quali l’intervento è da ritenere non compatibile con la disciplina urbanistica vigente.
E ciò costituisce motivazione necessaria e sufficiente per dichiarare l’inammissibilità e l’inefficacia della comunicazione di proroga del titolo edilizio, senza che possa assumere alcuna rilevanza qualsivoglia precedente valutazione espressa dalla stessa Amministrazione.
14. In definitiva, per tutte le ragioni sin qui esposte, il ricorso deve essere respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.08.2016 n. 1568 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
EDILIZIA PRIVATA: La durata limitata nel tempo dei titoli edificatori costituisce un principio cardine dell’intero sistema della disciplina urbanistica.
Si tratta, infatti, di una regola che risponde non solo all’esigenza di assicurare la realizzazione ordinata ed entro tempi certi delle trasformazioni assentite con il titolo edilizio, prevenendo situazioni di degrado legate alla presenza di costruzioni non ultimate, ma anche alla necessità di tutelare l’interesse pubblico a consentire quelle sole trasformazioni del territorio che corrispondono alle esigenze attuali della collettività, quali individuate dalla pianificazione urbanistica vigente. Esigenza, questa, che verrebbe irrimediabilmente frustrata dalla possibilità del protrarsi a tempo indeterminato dei lavori di realizzazione degli interventi edilizi, una volta che le trasformazioni assentite siano ritenute non più rispondenti all’interesse pubblico.
In tale prospettiva, la declaratoria di decadenza del permesso di costruire è un “provvedimento che ha carattere strettamente vincolato all’accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal richiamato art, 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l’inerzia del titolare a darvi attuazione".
E –specularmente– la proroga del permesso di costruire, in quanto comporta un prolungamento del termine ordinario di efficacia del titolo edilizio, può essere consentita nei soli casi e modi previsti dalle richiamate previsioni dell’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001.
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Deve rilevarsi che il comma 2 dell’articolo 15 stabilisce espressamente che, decorsi i termini di inizio e di conclusione dei lavori, “il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga”, la quale può essere concessa nelle ipotesi previste dalla legge, tra le quali il verificarsi di “fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso”.
Il legislatore ha quindi espressamente stabilito che la proroga possa essere concessa solo se sia stata richiesta prima della scadenza del titolo edilizio, e ciò anche nei casi di forza maggiore o di c.d. factum principis, che sono sostanzialmente riconducibili nel novero dell’ampia casistica dei “fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso”, prevista dalla disposizione normativa richiamata.
In questo senso si è del resto pronunciata la giurisprudenza, la quale ha avuto modo di rimarcare che “il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore”.
Anche questa Sezione è pervenuta alle medesime conclusioni laddove si è ritenuto che –nonostante secondo una parte della giurisprudenza la sussistenza di una causa di forza maggiore impedisca ex se la decadenza del titolo edilizio– è tuttavia “preferibile ritenere, come fa altra giurisprudenza, che, anche laddove si sia in presenza del cd. factum principis o di cause di forza maggiore, l'interessato che voglia impedire la decadenza del titolo edilizio per il mancato tempestivo inizio dei lavori è pur sempre onerato della proposizione di una richiesta di proroga dell’efficacia del titolo stesso; proroga che deve essere accordata con atto espresso dell'Amministrazione”.
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L’onere di richiedere la proroga prima che il titolo edilizio venga a scadenza costituisce, a ben vedere, un portato necessario dell’assetto complessivo del sistema, posto che la decadenza matura automaticamente alla scadenza del termine e –ferma la necessità che l’Amministrazione la dichiari espressamente– essa opera di diritto.
La concessione della proroga esclusivamente mediante un provvedimento espresso è, allora, prescritta dal legislatore al fine di soddisfare due concorrenti esigenze: da un lato, quella di assicurare –a beneficio, anzitutto, del titolare del permesso di costruire– la certezza, in ogni momento, dei termini di efficacia del titolo edilizio; dall’altro, quella di consentire all’Amministrazione di valutare la sussistenza dei presupposti della proroga e la sua eventuale durata. Sotto quest’ultimo profilo, la Sezione ha avuto modo di rimarcare, infatti, che “l’atto di proroga, previsto dall’art. 15, secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001, a differenza dell'accertamento dell'intervenuta decadenza, è atto di esercizio di discrezionalità amministrativa, che presuppone l'accertamento delle circostanze dedotte dal privato e il loro apprezzamento in termini di evento oggettivamente impeditivo dell'avvio della edificazione”.
Tali conclusioni trovano ulteriore conferma nel nuovo comma 2-bis dell’articolo 15 del d.P.R. n. n. 380 del 2001, introdotto dal decreto legge n. 133 del 2014.
La disposizione, infatti, reca un’ipotesi di proroga vincolata del permesso di costruire, “qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate”.
Tuttavia, nonostante in tale fattispecie la proroga sia sempre dovuta, per espressa previsione di legge, la disposizione non prevede che essa operi automaticamente, ma stabilisce che debba essere “comunque accordata”. Anche in questo caso è quindi pur sempre necessario che il differimento dei termini venga disposto dall’Amministrazione con un provvedimento espresso, benché interamente vincolato.

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Non può trovare accoglimento il primo motivo di impugnazione, con il quale la parte allega che l’obbligo di effettuare la bonifica costituirebbe una ipotesi di forza maggiore o di factum principis, tale da determinare l’automatica sospensione del termine per ultimare i lavori fino alla certificazione dell’esito positivo delle operazioni.
Come detto, infatti, è bensì condivisibile l’affermazione secondo la quale la “scoperta” della necessità di operare la bonifica, a causa di pregresse attività inquinanti non dipendenti dal titolare del permesso di costruire, potrebbe astrattamente dare luogo, sussistendone i presupposti, a una ipotesi di forza maggiore, tale da giustificare la proroga dei termini di efficacia del permesso di costruire.
Deve però escludersi, per le ragioni sopra esposte, che il prolungamento della scadenza del titolo possa operare automaticamente, in assenza di un’apposita istanza di proroga da parte dell’interessato, che possa mettere l’Amministrazione in condizione di valutare se effettivamente sussista un evento, estraneo alla volontà del titolare del permesso di costruire, tale da impedire l’esecuzione delle opere, nonché –in caso affermativo– di stabilire l’entità della proroga da concedere.
Tale istanza però è del tutto mancata nel caso di specie.
Sicché, non può assumere alcuna rilevanza la circostanza che l’Amministrazione fosse a conoscenza dello svolgimento della bonifica, poiché tale conoscenza non poteva di per sé comportare uno slittamento automatico del termine di ultimazione dei lavori, in assenza di un provvedimento espresso e motivato che avesse disposto in tal senso.
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Si è già detto che le ipotesi di proroga del titolo edilizio sono di stretta interpretazione, in quanto consentono di superare i termini ordinari di efficacia del permesso di costruire, posti a presidio di rilevanti esigenze di interesse pubblico. Conseguentemente, non è dato individuare ipotesi di prolungamento di tali termini che non siano tipizzate dalla legge.
Vero è, semmai, che le cause di forza maggiore e di factum principis rientrano –come pure evidenziato– tra i fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso di costruire, che giustificano il rilascio della proroga.
Ciò in quanto i fatti qualificabili come forza maggiore o factum principis legittimano la proroga unicamente ove siano sopravvenuti dal punto di vista del titolare del permesso di costruire, nel senso che rilevano solo se si verifichino o vengano scoperti da questo soggetto dopo il rilascio del titolo, benché le loro cause possano risalire (e spesso risalgano) a un momento precedente.
In definitiva, deve ribadirsi che la proroga non può operare automaticamente, quale che ne sia la causa.
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8. Il Collegio ritiene, a un più meditato esame, di non poter confermare le conclusioni provvisoriamente raggiunte in sede cautelare. E ciò in quanto, benché la necessità di operare la bonifica del sito possa astrattamente rientrare tra le cause di forza maggiore tali da impedire lo svolgimento dei lavori, deve tuttavia ritenersi che la proroga del titolo edilizio non possa operare automaticamente, essendo necessario un apposito provvedimento, tempestivamente richiesto all’Amministrazione, al fine di disporre il differimento dei termini di efficacia del permesso di costruire.
9. Occorre tenere presente, al riguardo, che la disciplina dell’efficacia temporale e della decadenza del permesso di costruire è contenuta all’articolo 15 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Le previsioni concernenti la proroga del titolo edilizio sono state recentemente modificate dall'articolo 17, comma 1, lett. f) del decreto legge 12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164.
In particolare, la proroga del titolo edilizio è regolata dalle previsioni dei commi 2 e 2-bis del richiamato articolo 15, in base ai quali: “2. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
2-bis. La proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate
.”.
Deve osservarsi, in proposito, che la durata limitata nel tempo dei titoli edificatori costituisce un principio cardine dell’intero sistema della disciplina urbanistica. Si tratta, infatti, di una regola che risponde non solo all’esigenza di assicurare la realizzazione ordinata ed entro tempi certi delle trasformazioni assentite con il titolo edilizio, prevenendo situazioni di degrado legate alla presenza di costruzioni non ultimate, ma anche alla necessità di tutelare l’interesse pubblico a consentire quelle sole trasformazioni del territorio che corrispondono alle esigenze attuali della collettività, quali individuate dalla pianificazione urbanistica vigente. Esigenza, questa, che verrebbe irrimediabilmente frustrata dalla possibilità del protrarsi a tempo indeterminato dei lavori di realizzazione degli interventi edilizi, una volta che le trasformazioni assentite siano ritenute non più rispondenti all’interesse pubblico (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 04.05.2016, n. 864; nello stesso senso anche Id., 22.07.2015, n. 1764).
In tale prospettiva, la declaratoria di decadenza del permesso di costruire è un “provvedimento che ha carattere strettamente vincolato all’accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal richiamato art, 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l’inerzia del titolare a darvi attuazione (cfr. Cons. St., Sez. IV, n. 974 del 23.02.2012; n. 2915 del 2012)” (Cons. Stato, Sez. III, 04.04.2013, n. 1870). E –specularmente– la proroga del permesso di costruire, in quanto comporta un prolungamento del termine ordinario di efficacia del titolo edilizio, può essere consentita nei soli casi e modi previsti dalle richiamate previsioni dell’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001.
10. Ciò posto, deve rilevarsi che il comma 2 dell’articolo 15 stabilisce espressamente che, decorsi i termini di inizio e di conclusione dei lavori, “il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga”, la quale può essere concessa nelle ipotesi previste dalla legge, tra le quali il verificarsi di “fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso”.
Il legislatore ha quindi espressamente stabilito che la proroga possa essere concessa solo se sia stata richiesta prima della scadenza del titolo edilizio, e ciò anche nei casi di forza maggiore o di c.d. factum principis, che sono sostanzialmente riconducibili nel novero dell’ampia casistica dei “fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso”, prevista dalla disposizione normativa richiamata.
In questo senso si è del resto pronunciata la giurisprudenza, la quale ha avuto modo di rimarcare che “il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore” (così Cons. Stato, Sez. III, n. 1870 del 2013, cit.; v. anche Id., Sez. IV, 23.02.2012, n. 974).
Anche questa Sezione è pervenuta alle medesime conclusioni, in particolare nella recente sentenza n. 201 del 29.01.2016. In tale precedente, si è ritenuto che –nonostante secondo una parte della giurisprudenza la sussistenza di una causa di forza maggiore impedisca ex se la decadenza del titolo edilizio (cfr. TAR Campania, Salerno, Sez. II,10.02.2012, n. 188)– è tuttavia “preferibile ritenere, come fa altra giurisprudenza, che, anche laddove si sia in presenza del cd. factum principis o di cause di forza maggiore, l'interessato che voglia impedire la decadenza del titolo edilizio per il mancato tempestivo inizio dei lavori è pur sempre onerato della proposizione di una richiesta di proroga dell’efficacia del titolo stesso; proroga che deve essere accordata con atto espresso dell'Amministrazione”.
11. L’onere di richiedere la proroga prima che il titolo edilizio venga a scadenza costituisce, a ben vedere, un portato necessario dell’assetto complessivo del sistema, posto che la decadenza matura automaticamente alla scadenza del termine e –ferma la necessità che l’Amministrazione la dichiari espressamente– essa opera di diritto (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 22.09.2014, n. 4765; Id., Sez. III, n. 1870 del 2013, cit.).
La concessione della proroga esclusivamente mediante un provvedimento espresso è, allora, prescritta dal legislatore al fine di soddisfare due concorrenti esigenze: da un lato, quella di assicurare –a beneficio, anzitutto, del titolare del permesso di costruire– la certezza, in ogni momento, dei termini di efficacia del titolo edilizio; dall’altro, quella di consentire all’Amministrazione di valutare la sussistenza dei presupposti della proroga e la sua eventuale durata. Sotto quest’ultimo profilo, la Sezione ha avuto modo di rimarcare, infatti, che “l’atto di proroga, previsto dall’art. 15, secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001, a differenza dell'accertamento dell'intervenuta decadenza, è atto di esercizio di discrezionalità amministrativa, che presuppone l'accertamento delle circostanze dedotte dal privato e il loro apprezzamento in termini di evento oggettivamente impeditivo dell'avvio della edificazione. (cfr., TAR Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 22.04.2015, n. 186)” (così TAR Lombardia, Milano, n. 201 del 2016, cit.).
12. Tali conclusioni trovano ulteriore conferma nel nuovo comma 2-bis dell’articolo 15 del d.P.R. n. n. 380 del 2001, introdotto dal decreto legge n. 133 del 2014.
La disposizione, infatti, reca un’ipotesi di proroga vincolata del permesso di costruire, “qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate”. Tuttavia, nonostante in tale fattispecie la proroga sia sempre dovuta, per espressa previsione di legge, la disposizione non prevede che essa operi automaticamente, ma stabilisce che debba essere “comunque accordata”. Anche in questo caso è quindi pur sempre necessario che il differimento dei termini venga disposto dall’Amministrazione con un provvedimento espresso, benché interamente vincolato.
13. Nel solco dei principi ora esposti, il ricorso è da ritenere infondato.
14. Non può, anzitutto, trovare accoglimento il primo motivo di impugnazione, con il quale la parte allega che l’obbligo di effettuare la bonifica costituirebbe una ipotesi di forza maggiore o di factum principis, tale da determinare l’automatica sospensione del termine per ultimare i lavori fino alla certificazione dell’esito positivo delle operazioni.
14.1 Come detto, infatti, è bensì condivisibile l’affermazione secondo la quale la “scoperta” della necessità di operare la bonifica, a causa di pregresse attività inquinanti non dipendenti dal titolare del permesso di costruire, potrebbe astrattamente dare luogo, sussistendone i presupposti, a una ipotesi di forza maggiore, tale da giustificare la proroga dei termini di efficacia del permesso di costruire.
Deve però escludersi, per le ragioni sopra esposte, che il prolungamento della scadenza del titolo possa operare automaticamente, in assenza di un’apposita istanza di proroga da parte dell’interessato, che possa mettere l’Amministrazione in condizione di valutare se effettivamente sussista un evento, estraneo alla volontà del titolare del permesso di costruire, tale da impedire l’esecuzione delle opere, nonché –in caso affermativo– di stabilire l’entità della proroga da concedere.
Tale istanza però è del tutto mancata nel caso di specie.
14.2 Per questa ragione, non può assumere alcuna rilevanza la circostanza che l’Amministrazione fosse a conoscenza dello svolgimento della bonifica, poiché tale conoscenza non poteva di per sé comportare uno slittamento automatico del termine di ultimazione dei lavori, in assenza di un provvedimento espresso e motivato che avesse disposto in tal senso.
14.3 Sotto altro profilo, non può darsi rilievo alla circostanza –richiamata anche nel terzo motivo di ricorso– che la causa di forza maggiore, consistente nell’inquinamento dell’area comportante l’obbligo di bonifica, preesistesse al rilascio del titolo edilizio.
Secondo la tesi di Ce. –diffusamente illustrata negli scritti difensivi depositati in prossimità dell’udienza– l’onere di richiedere la proroga del permesso di costruire sussisterebbe soltanto nella fattispecie espressamente contemplata dall’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, ossia in presenza di cause sopravvenute al rilascio del titolo. Ove, invece, si sia in presenza di cause preesistenti, si verificherebbe la sospensione automatica dei termini di efficacia del permesso di costruire.
Si tratta di una prospettazione che non può essere condivisa.
Si è già detto, infatti, che le ipotesi di proroga del titolo sono di stretta interpretazione, in quanto consentono di superare i termini ordinari di efficacia del permesso di costruire, posti a presidio di rilevanti esigenze di interesse pubblico. Conseguentemente, non è dato individuare ipotesi di prolungamento di tali termini che non siano tipizzate dalla legge.
Vero è, semmai, che le cause di forza maggiore e di factum principis rientrano –come pure evidenziato– tra i fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso di costruire, che giustificano il rilascio della proroga.
Ciò in quanto i fatti qualificabili come forza maggiore o factum principis legittimano la proroga unicamente ove siano sopravvenuti dal punto di vista del titolare del permesso di costruire, nel senso che rilevano solo se si verifichino o vengano scoperti da questo soggetto dopo il rilascio del titolo, benché le loro cause possano risalire (e spesso risalgano) a un momento precedente.
14.4 In definitiva, deve ribadirsi che la proroga non può operare automaticamente, quale che ne sia la causa (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.08.2016 n. 1564 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
luglio 2016

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: In base all'art. 30, comma 3-bis, del d.l. 21.06.2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito con legge 09.08.2013, n. 98, <<Il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori nell'ambito delle convenzioni di lottizzazione di cui all'articolo 28 della legge 17.08.1942, n. 1150, ovvero degli accordi similari comunque nominati dalla legislazione regionale, stipulati sino al 31.12.2012, sono prorogati di tre anni>>.
La lettera della legge è <<…chiara nell’estendere la proroga a tutti i termini previsti nell’ambito della singola convenzione urbanistica, senza la necessità di distinguere, all’interno di pattuizioni spesso molto complesse ed articolate nell’individuazione degli obblighi delle parti, fra termini scaduti e non ancora scaduti al momento di entrata in vigore della legge 98/2013>>.
Si è difatti osservato che essendo la ratio della norma quella di favorire in ogni modo gli operatori che hanno subito –e subiscono tuttora– gli effetti della crisi del mercato immobiliare ed edilizio, tale finalità <<…rischierebbe di essere sostanzialmente svuotata se, a fronte di ogni singola convenzione, fosse necessario distinguere fra obblighi scaduti e non scaduti all’entrata in vigore della norma legislativa di proroga (la quale peraltro, giova rimarcare ancora, non contiene neppure tale distinzione)>>.
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9. Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato essendo meritevole di accoglimento la censura, contenuta nell’unico motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione dell’art. 30, comma 3-bis, della legge n. 98 del 2013 (rectius del decreto-legge n. 69 del 2013).
10. Si deve invero osservare che in base al citato art. 30, comma 3-bis, del decreto-legge 21.06.2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito con legge 09.08.2013, n. 98, <<Il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori nell'ambito delle convenzioni di lottizzazione di cui all'articolo 28 della legge 17.08.1942, n. 1150, ovvero degli accordi similari comunque nominati dalla legislazione regionale, stipulati sino al 31.12.2012, sono prorogati di tre anni>>.
11. La Sezione ha già avuto modo applicare questa norma, ritenendo che la lettera della legge sia <<…chiara nell’estendere la proroga a tutti i termini previsti nell’ambito della singola convenzione urbanistica, senza la necessità di distinguere, all’interno di pattuizioni spesso molto complesse ed articolate nell’individuazione degli obblighi delle parti, fra termini scaduti e non ancora scaduti al momento di entrata in vigore della legge 98/2013>>. Si è difatti osservato che essendo la ratio della norma quella di favorire in ogni modo gli operatori che hanno subito –e subiscono tuttora– gli effetti della crisi del mercato immobiliare ed edilizio, tale finalità <<…rischierebbe di essere sostanzialmente svuotata se, a fronte di ogni singola convenzione, fosse necessario distinguere fra obblighi scaduti e non scaduti all’entrata in vigore della norma legislativa di proroga (la quale peraltro, giova rimarcare ancora, non contiene neppure tale distinzione)>> (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. II, 12.01.2016, n. 45).
12. Ciò premesso si deve osservare che non si può dubitare dell’applicabilità al caso di specie della norma in esame: le convenzioni stipulate fra il Comune di Milano e la ricorrente risalgono a data anteriore al 31.12.2012 ed erano ancora efficaci alla data di entrata in vigore della norma stessa (si ricordi che, con la convenzione del 25.07.2011, i termini di efficacia del PII sono stati prorogati sino al 30.06.2015).
13. In tale quadro appaiono dunque illegittimi gli atti impugnati che, non tenendo conto della proroga stabilita dalla legge, hanno intimato alla parte l’adempimento di obbligazioni non ancora scadute, minacciando, in caso di inadempimento, l’escussione delle garanzie.
14. Per queste ragioni il ricorso deve essere accolto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.07.2016 n. 1427 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2016

EDILIZIA PRIVATANo a proroghe a chi non si attiva in tempo.
È legittimo il rifiuto opposto dal comune alla proroga del permesso di costruire se il titolare dell'autorizzazione si decide troppo tardi a dare il via alla variante del progetto; il tutto benché abbia scoperto da tempo che sotto il suo terreno ci sono parti delle fondamenta riconducibili all'edificio confinante.
Nessuna «moratoria» può allora essere concessa dall'amministrazione locale se non risulta che chi vuole realizzare i lavori sul proprio fondo si è attivato in modo tempestivo per risolvere i problemi che ha col vicino e che impediscono alle ruspe di entrare in azione.

È quanto emerge dalla sentenza 04.05.2016 n. 864, pubblicata dal TAR Lombardia-Milano, Sez. II.
Deve rassegnarsi il titolare del permesso scaduto che voleva realizzare un edificio industriale con annesse abitazioni di pertinenza. Solo con i primi scavi di cantiere si scopre che a suo tempo il vicino aveva sconfinato ponendo i plinti di fondazione del suo edificio sotto la superficie del terreno attiguo.
Scattava allora lo stop alle operazioni. Ma il proprietario che voleva realizzare i lavori non aveva compiuto subito lo sforzo di diligenza necessario a superare il problema, benché avesse già ricevuto una proroga.
La denuncia di inizio attività in variante è arrivata troppo tardi perché il progetto potesse concludersi entro i tempi previsti.
E tuttavia è escluso che la responsabilità possa essere addebitata al comune: la denuncia dei cementi armati sarebbe dovuta avvenire prima (articolo ItaliaOggi Sette del 29.08.2016).
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8. Con il secondo motivo il ricorrente afferma che il diniego di proroga sarebbe illegittimo, poiché il Comune non avrebbe preso in considerazione l’insieme delle circostanze di fatto, indipendenti dalla volontà del proprietario, che avevano impedito al sig. Alberti di portare a termine i lavori entro il termine previsto.
Al riguardo, occorre tenere presente che
la durata limitata nel tempo dei titoli edificatori costituisce un principio cardine dell’intero sistema della disciplina urbanistica. Si tratta, infatti, di una regola che risponde non solo all’esigenza di assicurare la realizzazione ordinata ed entro tempi certi delle trasformazioni assentite con il titolo edilizio, prevenendo situazioni di degrado legate alla presenza di costruzioni non ultimate, ma anche alla necessità di tutelare l’interesse pubblico a consentire quelle sole trasformazioni del territorio che corrispondono alle esigenze attuali della collettività, quali individuate dalla pianificazione urbanistica vigente. Esigenza, questa, che verrebbe irrimediabilmente frustrata dalla possibilità del protrarsi a tempo indeterminato dei lavori di realizzazione degli interventi edilizi, una volta che le trasformazioni assentite siano ritenute non più rispondenti all’interesse pubblico.
In tale prospettiva,
la proroga del titolo edilizio presenta carattere derogatorio rispetto al sistema e, non a caso, può essere consentita nei soli casi previsti dall’articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001. Disposizione, quest’ultima, che individua l’ambito applicativo dell’istituto contemplando una serie di fattispecie, accomunate dalla circostanza che la necessità di disporre di un tempo più lungo di quello ordinario per completare i lavori dipende, nelle diverse ipotesi tipizzate dal legislatore, da ragioni oggettive e non imputabili al titolare del permesso di costruire.
9. Nel caso oggetto del presente giudizio, il sig. Al. ha allegato, quale fatto ostativo al completamento dei lavori entro il termine di tre anni dall’avvio, la scoperta, sul proprio fondo, dei plinti di fondazione dell’edificio confinante.
Deve, però, evidenziarsi che tale situazione di fatto era già stata presa in considerazione dall’Amministrazione, che aveva concesso in ragione di ciò una prima proroga di un anno del titolo edilizio.
Le motivazioni addotte dal ricorrente al fine di ottenere, per quella stessa causa, una nuova proroga dei termini del medesimo permesso di costruire sono state convincentemente confutate dal Comune nelle motivazioni del diniego impugnato nel presente giudizio.
In particolare, il provvedimento ripercorre la cronologia degli eventi, mettendo in evidenza –in ultima analisi– che “dal dicembre 2011 sino a metà 2014, la proprietà non risulta aver posto in essere alcun concreto intervento per ovviare alle problematiche insorte allora giustificate per la sospensione dei lavori, interventi comunque non comunicati allo scrivente ufficio”.
In sostanza, il Comune ha evidenziato che, pure a fronte della difficoltà esecutiva determinata dalla scoperta dei plinti, il sig. Al. non ha assunto alcuna iniziativa idonea a risolvere il problema. E ciò almeno fino alla presentazione della denuncia di inizio attività in variante del giugno 2014.
Conseguentemente, sono stati ritenuti insussistenti i presupposti prescritti normativamente per la concessione di una nuova proroga del titolo edilizio.
10. Il Collegio ritiene, come detto, che le motivazioni diffusamente esposte dal Comune nel provvedimento impugnato e nella comunicazione delle ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza, in esso richiamata, siano idonee a sorreggere la determinazione negativa assunta dall’Amministrazione; determinazione che non è infirmata dalle opposte argomentazioni del ricorrente.
Deve infatti rilevarsi che
non risulta agli atti del giudizio alcuna evidenza dell’attività che il sig. Al. avrebbe svolto per la soluzione, con il proprio confinante, della questione relativa ai plinti. Al contrario, è ampiamente comprovata la circostanza che, nel periodo di efficacia del titolo edilizio, vi siano stati continui avvicendamenti nella direzione dei lavori (ben sei direttori dei lavori, secondo quanto rimarcato dalla difesa comunale), senza che fosse comunicata all’Amministrazione l’assunzione di iniziative idonee a risolvere la difficoltà esecutiva emersa.
Al riguardo, non coglie nel segno il rilievo del ricorrente, secondo il quale il provvedimento comunale sarebbe censurabile, nella parte in cui avrebbe preteso, al fine di comprovare la non imputabilità al sig. Al. del mancato completamento dei lavori, la dimostrazione dell’avvio di iniziative di tutela giurisdizionale contro il confinante.
E invero, il provvedimento comunale si è limitato a evidenziare che “non risulta in ogni caso alcun tentativo di accordo con il vicino, non essendo stato trasmesso all’Ufficio alcun atto in tale senso e/o comunque l’avvio di qualsivoglia procedura anche giurisdizionale con il medesimo per la risoluzione della controversia” (v. punto 4 della motivazione del provvedimento impugnato, in fine).
Nel medesimo atto, peraltro, il Comune ha evidenziato pure che “entro i termini concessi era comunque possibile valutare soluzioni operative concrete (...), soluzioni operative e tecniche che non sono mai state trasmesse all’Ufficio” (v. punto 3 della motivazione del provvedimento impugnato) e che “al di là dei tentativi di giungere all’accordo con il vicino”, il sig. Al. ha atteso il mese di giugno 2014 per sottoporre all’Amministrazione la soluzione progettuale che consentiva di superare il problema riscontrato (v. ancora il punto 4 della motivazione del provvedimento impugnato).
Il Comune ha quindi, correttamente, rilevato che –da un lato– non vi fosse alcuna dimostrazione che il ricorrente si fosse effettivamente attivato per superare il problema insorto con il vicino e che –dall’altro– sussistevano altre soluzioni, che però sono state prese in considerazione tardivamente.
E che la questione relativa ai plinti fosse superabile con uno sforzo di diligenza del proprietario è dimostrato dalla circostanza stessa che, nel giugno del 2014 –e quindi in prossimità della scadenza del termine, già prorogato, per ultimare i lavori– il sig. Al. sia stato effettivamente in grado di individuare una soluzione, formalizzata appunto con la denuncia di inizio di attività in variante.
11. Quanto a quest’ultimo profilo, va poi rimarcato che la circostanza che la denuncia di inizio di attività del giugno 2014 sia divenuta efficace soltanto il 05.08.2014, e che quindi sia rimasto a disposizione del sig. Al. un tempo molto ristretto per attuare quanto progettato, non è imputabile all’operato del Comune.
Come sopra detto, infatti, l’Amministrazione ha tempestivamente richiesto, il 07.07.2014, l’integrazione degli elaborati grafici, e a fronte delle produzioni documentali del 25.07.2014 ha disposto, il 05.08.2014, l’operatività della denuncia.
Dipende, invece, come detto, da una scelta del sig. Al. l’aver atteso il mese di giugno 2014 per presentare la variante.

aprile 2016

EDILIZIA PRIVATA: La crisi edilizia non giustifica la proroga dei termini del permesso di costruire.
La crisi economica, che ha afflitto il settore dell'edilizia, non è un motivo che può consentire la proroga sic et simpliciter dei termini di inizio e/o fine lavori del PDC.
Invero, in base all'art. 15 del DPR 06.06.2001 n. 380, i termini de quibus possono esser prorogati con provvedimento motivato solo per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del PDC, o in considerazione della mole dell'opera da realizzare o di particolari sue caratteristiche tecnico-costruttive.
La crisi congiunturale dell'edilizia non è pertanto una valida ragione opponibile all’inutile decorso dei termini predetti, né per giustificare l'inerzia del titolare del PDC, perché fa riferimento a considerazioni generiche non rilevanti rispetto all'obbligo di osservare i tempi d’inizio e completamento dei lavori.
Inoltre, è jus receptum, che la decadenza costituisce l’effetto automatico dell’inutile decorso del termine entro cui i lavori si sarebbero dovuti iniziare e concludere. Pertanto, essa ha natura non già costitutiva, bensì dichiarativa con efficacia ex tunc d’un effetto verificatosi ex se e direttamente.
In tal modo va letto l’art. 15, c. 2, II per. del DPR 380/2001, in virtù del quale, inutilmente decorsi detti termini, «…il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga…».
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... per la riforma della sentenza 14.11.2014 n. 449 del TAR Abruzzo–Pescara, resa tra le parti e relativa all’approvazione del nuovo PRG di Lanciano ed alla classificazione di terreni come agricoli (decadenza dei permessi di costruire e demolizione di opere edilizie);
...
1. – Il Comune di Lanciano impugna la sentenza con cui il del TAR Pescara ha accolto il ricorso di una impresa edile, inerente alla decadenza di essa dai suoi titoli edilizi (quello originario del 2005 per sei villette; quello in variante del 2007 per la realizzazione di altre otto) per effetto o a seguito del nuovo PRG, in virtù del quale le sue aree d’intervento in parte son state inserite in zona agricola e sottoposte a vincolo idrogeologico in base alle disposizione del vigente PAI locale.
2. – Va anzitutto esaminato l’appello incidentale proposto dalla predetta impresa, in quanto il suo eventuale accoglimento determinerebbe l’improcedibilità di quello del Comune.
Quanto al primo motivo incidentale, relativo all’omessa valutazione, da parte del TAR, della data in cui s’è verificata la decadenza dei due PDC, predica l’appellante incidentale che vi sia un differente termine d’inizio e fine lavori per ciascun titolo edilizio.
Ora, si può discettare se il titolo in variante del 2007 rechi, o no una mera aggiunta di opere del tutto nuove e diverse rispetto al PDC del 2005 e se vi sia una perfetta autonomia del secondo dal primo, onde a ciascuno di essi si applicherebbero i rispettivi termini d’inizio e fine lavori e per le sole opere colà previste.
Ciò che qui rileva, ai fini della decadenza d’entrambi i PDC, è che essa non può che operare in via automatica, se non si verifichi la conclusione dei relativi lavori «… entro il termine di tre anni dalla data di inizio…» di essi.
A ben vedere, il PDC n. 104/2007 ha disposto sì detta variante, ma con la conferma delle «… condizioni tutte prescritte nell’originaria concessione compreso il termine per l’ultimazione dei lavori…», sicché il dies ad quem, al momento della disposta decadenza, s’era consumato non per scelta della P.A., bensì per la sostanziale incapacità dell’appellante incidentale di terminare già le sole prime tre villette.
Al riguardo, basta rammentare ciò che disse quest’ultima nel suo atto per motivi aggiunti in primo grado (pag. 3), quando fece presente l’inizio dei lavori del PDC originario in data 04.06.2006, ossia ben prima della variante predetta. Né serve richiamare quindi la giurisprudenza sui criteri d’interpretazione del provvedimento amministrativo con clausole contraddittorie, giacché, negli stessi motivi aggiunti (pag. 4) e alla data del 29.11.2011 «… le strutture realizzate sono solo tre su otto di cui una sola porzione ultima (particella 4552) e altre tre da ultimare e verranno presumibilmente definite nei prossimi 3-5 anni a causa della crisi economica ed edilizia in atto…».
Sicché, pure ad accedere alla tesi dell’impresa e tralasciando il termine del PDC del 2005, il termine di complessivi quattro anni indicati nel PDC del 18.05.2008 alla data del 29.11.2011 era trascorso senza che le opere della “variante” fossero state ultimate.
Non va sottaciuto certo, a fronte della risposta che l’appellante incidentale diede al Comune ed alla SCIA del 03.02.2012 per l’ultimazione delle opere a quel tempo ancora incompiute, il chiaro principio affermato dalla Sezione (cfr. Cons. St., IV, 06.10.2014 n. 4975) e secondo il quale la crisi economica, che ha afflitto il settore dell'edilizia, non è un motivo che può consentire la proroga sic et simpliciter del PDC.
Invero, in base all'art. 15 del DPR 06.06.2001 n. 380, i termini de quibus possono esser prorogati con provvedimento motivato solo per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del PDC, o in considerazione della mole dell'opera da realizzare o di particolari sue caratteristiche tecnico-costruttive.
La crisi congiunturale dell'edilizia non è pertanto una valida ragione opponibile all’inutile decorso dei termini predetti, né per giustificare l'inerzia del titolare del PDC, perché fa riferimento a considerazioni generiche non rilevanti rispetto all'obbligo di osservare i tempi d’inizio e completamento dei lavori.
Inoltre, è jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 07.09.2011 n. 5028; id., 11.04.2014 n. 1747; ma cfr. pure id., III, 04.04.2013 n. 1870), che la decadenza costituisce l’effetto automatico dell’inutile decorso del termine entro cui i lavori si sarebbero dovuti iniziare e concludere. Pertanto, essa ha natura non già costitutiva, bensì dichiarativa con efficacia ex tunc d’un effetto verificatosi ex se e direttamente (giurisprudenza prevalente: cfr. Cons. St., IV, 04.03.2014 n. 1013).
In tal modo va letto l’art. 15, c. 2, II per. del DPR 380/2001, in virtù del quale, inutilmente decorsi detti termini, «…il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga…».
Restano così assorbite tutte le questioni su tal natura dichiarativa, nonché sulla necessità dell’avviso d’avvio del procedimento di decadenza —del tutto superfluo nel caso in esame—, sulle quali il Collegio non può che condividere quanto statuito dal TAR.
Anzi, come fa presente il Comune di Lanciano, nella specie, più che il c. 2, s’applica il successivo c. 4, per cui «… il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio…».
Poiché nel caso in esame tutti tali termini erano già decorsi almeno al 29.11.2011, l’appellante incidentale nemmeno può godere delle proroghe ex art. 30, c. 3, del DL 21.06.2013 n. 69 e di quelle successivamente intervenute. Scolorano dunque le questioni sulla compatibilità, o non delle opere con le prescrizioni del PAI, all’interno della cui zona di rischio molto elevato ricade una parte dell’intervento costruttivo dell’appellante incidentale.
Infatti, di completato ed in parte, in via di definizione, delle tre villette, ce n’è solo una, la quale, quand’anche non ricadesse del tutto in area PAI P3, comunque sarebbe in area agricola, donde in ogni caso la rigorosa soggezione di essa alla valutazione ai sensi non solo dell’art. 14 delle NTA del nuovo PRG (il quale però subordina la legittimità dei PDC anteriormente rilasciati per la SOLA loro durata), ma pure e soprattutto del già citato art. 15, c. 4.
Da ciò discende, una volta appurata siffatta soggezione e sussistendo dubbi sulla possibilità del loro completamento, la non necessità, anzi l’inutilità d’acquisire, a cura del Comune stesso, il parere della competente Autorità di bacino sugli edifici stessi e sui lavori ancora da definire (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.04.2016 n. 1520 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2015

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Applicabilità della disciplina della L.R. n. 15 del 2013 sulla proroga a interventi edilizi avviati, con il rilascio del titolo edilizio, in vigenza della L.R. n. 31 del 2002 (Regione Emilia Romagna, parere 23.09.2015 n. 689858 di prot.).

luglio 2015

EDILIZIA PRIVATAImpresa subentrata, tre anni di proroga. Permesso di costruire, sentenza Tar Piemonte.
Altro che decaduta dal permesso di costruire. Grazie al decreto fare l'impresa edile subentrata nella convenzione ha diritto alla proroga di tre e non di due anni sui termini di inizio e fine dei lavori di lottizzazione. E ciò perché la norma del decreto legge 69/2013, così come modificato dalla legge di conversione 98/2013, va interpretata in senso favorevole ai progetti edilizi più impegnativi quando c'è interesse alla conclusione delle opere urbanistiche.
Il differimento opera automaticamente e risulta ammissibile, anzi dovuta, quando qualora il termine originario è già venuto a scadenza.

È quanto emerge dalla sentenza 31.07.2015 n. 1304, pubblicata dalla II Sez. del TAR Piemonte.
Interesse pubblico. Accolto il ricorso dell'impresa edile chiamata a dare attuazione al piano esecutivo per la costruzione di undici villette residenziali dopo la convenzione firmata fra i proprietari delle aree e l'amministrazione locale. Sbaglia il Comune a dichiarare estinto il titolo edilizio per il mero decorso del tempo.
È vero: la norma introdotta dal decreto fare, riconoscono i giudici, «non brilla» certo «per chiarezza», ma deve essere interpretata nel senso che alla proroga dei permessi edilizi deve essere riconosciuta una maggiore ampiezza quando i titoli sono rilasciati per le lottizzazioni. E ciò non soltanto per le notevoli difficoltà che le imprese incontrano per portare a termine le convenzioni: c'è infatti anche un interesse pubblico a che siano concluse le urbanizzazioni primarie e secondarie.
Non si può infine ignorare la crisi congiunturale che patiscono le imprese di costruzione. Per la lottizzazione, dunque, non è prevista la ricorrenza di alcuni presupposti per l'operatività della proroga triennale: si tratta in particolare della «previa comunicazione del soggetto interessato» e della condizione che i termini iniziali e finali «non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato».
Ecco che è allora illegittimo il provvedimento del Comune: si dichiara l'impresa decaduta dal permesso di costruire senza tenere conto della proroga automatica del termine per l'inizio dei lavori. Spese di giudizio compensate per l'assoluta novità della questione (articolo ItaliaOggi Sette dell'08.09.2015).

EDILIZIA PRIVATA: Permessi di costruzione rilasciati a seguito di Piano Attuativo convenzionato, la proroga triennale opera automaticamente.
Il confronto testuale tra il comma 3 ed il comma 3-bis dell’art. 30 del d.l. 69/2013 induce a ritenere, per il secondo, che il legislatore non abbia prescritto la ricorrenza di taluni presupposti per l’operatività della proroga triennale: si tratta, in particolare, della “previa comunicazione del soggetto interessato” e della condizione che i termini iniziali e finali “non siano già decorsi al momento della comunicazione dell’interessato”.
Pertanto, la più lunga proroga triennale dell’efficacia dei permessi convenzionati opera automaticamente e risulta ammissibile, ed anzi dovuta, anche qualora il termine originario sia già venuto a scadenza.
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Come è noto, nella responsabilità da provvedimento illegittimo l’elemento della colpevolezza resta presuntivamente ancorato alla illegittimità dell’atto, ma nel contempo si ammette l’esimente dell’errore scusabile, dando in tal senso rilevanza giustificativa all’oggettiva incertezza della situazione di fatto o di diritto, dovuta a complessità della situazione o a difficoltà interpretative della norma da applicare o all’esistenza di contrasti giurisprudenziali, tutti elementi che fanno venir meno la riferibilità della violazione alla mancanza di diligenza dell’amministrazione convenuta.

La M.C. s.r.l. ha invocato la proroga dei termini di inizio e fine lavori ai sensi del comma 3-bis dell’art. 30 del d.l. n. 69 del 2013 (nel testo modificato dalla legge di conversione n. 98 del 2013). La norma disciplina diversamente i presupposti della proroga di efficacia ex lege, per i titoli edilizi rilasciati nell’ambito di convenzioni di lottizzazione.
Ed infatti, il comma 3 dell’art. 30 dispone in via generale: “Salva diversa disciplina regionale, previa comunicazione del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori (…), come indicati nei titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all’entrata in vigore del presente decreto, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell’interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell’interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati. È altresì prorogato di tre anni il termine delle autorizzazioni paesaggistiche in corso di efficacia alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”; il successivo comma 3-bis dell’art. 30, aggiunto in sede di conversione, dispone più sinteticamente: “Il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori nell’ambito delle convenzioni di lottizzazione di cui all’articolo 28 della legge 17.08.1942, n. 1150, ovvero degli accordi similari comunque nominati dalla legislazione regionale, stipulati sino al 31.12.2012, sono prorogati di tre anni”.
La seconda disposizione, che pure non brilla per chiarezza (specialmente per l’incerto collegamento con il comma che precede), deve necessariamente essere interpretata nel senso di riconoscere una maggiore ampiezza alla proroga ex lege dell’efficacia dei permessi rilasciati in attuazione di convenzioni di lottizzazione comunque denominate, come nella fattispecie controversa.
Per questi titoli, la ratio del trattamento ancor più favorevole può essere individuata non soltanto nella maggiore importanza e complessità degli interventi costruttivi che solitamente rientrano nei piani attuativi, ma anche nell’interesse pubblico a portare ad ultimazione il complesso di opere (specialmente le urbanizzazioni primarie e secondarie) in uno spazio temporale più lungo, tenendo conto delle difficoltà in cui versano le imprese del settore edilizio nell’attuale congiuntura economica.
Il confronto testuale tra il comma 3 ed il comma 3-bis dell’art. 30 induce a ritenere, per il secondo, che il legislatore non abbia prescritto la ricorrenza di taluni presupposti per l’operatività della proroga triennale: si tratta, in particolare, della “previa comunicazione del soggetto interessato” e della condizione che i termini iniziali e finali “non siano già decorsi al momento della comunicazione dell’interessato”.
Pertanto, la più lunga proroga triennale dell’efficacia dei permessi convenzionati opera automaticamente e risulta ammissibile, ed anzi dovuta, anche qualora il termine originario sia già venuto a scadenza.
Ciò premesso, il Comune di Castiglione Torinese ha illegittimamente decretato la decadenza del permesso di costruire n. 68/2008, senza tener conto della proroga automatica del termine per l’inizio dei lavori fino al 29.09.2013 (doc. 11 di parte ricorrente, con fotografie allegate).
Ne discende che il provvedimento comunale del 27.02.2014 è illegittimo e va annullato, assorbita ogni ulteriore censura ed escluso ogni interesse in ordine alla distinta questione dell’efficacia dell’autorizzazione paesaggistica, sulla quale il provvedimento impugnato nulla ha disposto (non avendo il Comune competenza in materia).
2. Deve invece essere respinta la domanda di risarcimento del danno, che la società ricorrente ha puntigliosamente specificato nella memoria conclusiva.
Come è noto, nella responsabilità da provvedimento illegittimo l’elemento della colpevolezza resta presuntivamente ancorato alla illegittimità dell’atto, ma nel contempo si ammette l’esimente dell’errore scusabile, dando in tal senso rilevanza giustificativa all’oggettiva incertezza della situazione di fatto o di diritto, dovuta a complessità della situazione o a difficoltà interpretative della norma da applicare o all’esistenza di contrasti giurisprudenziali, tutti elementi che fanno venir meno la riferibilità della violazione alla mancanza di diligenza dell’amministrazione convenuta (cfr., tra molte: Cons. Stato, sez. III, 10.07.2014 n. 3526; Id., sez. III, 06.05.2013 n. 2452; Id., sez. V, 17.02.2013 n. 798).
Difetta, nella specie, la colpa dell’amministrazione.
L’imperfetta formulazione dell’art. 30 del d.l. n. 69 del 2013, soprattutto in relazione al rapporto di specialità intercorrente tra il comma 3 ed il comma 3-bis, costituisce un’apprezzabile giustificazione dell’errore in cui è incorso il Comune di Castiglione Torinese.
Non risulta, peraltro, che su tale profilo vi fossero già indicazioni interpretative della giurisprudenza amministrativa.
D’altronde, l’immediato accoglimento dell’istanza cautelare ha scongiurato il protrarsi degli effetti lesivi del provvedimento di decadenza, consentendo alla società ricorrente di riprendere i lavori (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 31.07.2015 n. 1304 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla proroga del termine di esecuzione dei lavori.
La ditta esecutrice dei lavori ha abbandonato il cantiere rifiutando la riconsegna dell’immobile, avvenuta solo per provvedimento del Giudice istruttore del Tribunale di Vicenza il 18.12.1997, e tra le parti è insorto un contenzioso che ha comportato l’esecuzione di complesse operazioni peritali dalle quali è emersa l’esistenza di gravi difformità strutturali, con rischio di collasso delle strutture, e la necessità di demolizione e ricostruzione delle opere difformi.
Sicché, tali elementi, riconducibili al contenzioso giudiziario insorto tra il titolare del titolo edilizio e la ditta appaltatrice dei lavori, integrano l'ipotesi di "fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso", idonei a giustificare il rilascio della proroga del termine di ultimazione dei lavori, perché si tratta di fatti che sono al di fuori della sfera di controllo del titolare del titolo edilizio, e la mancata riconsegna dell’immobile, o la mancata esecuzione dei lavori durante il tempo occorrente all’esperimento delle perizie disposte durante il procedimento giurisdizionale o durante il tempo occorrente a rimediare ai problemi di sicurezza derivanti dalle difformità strutturali, costituiscono delle vere e proprie cause di forza maggiore idonee a determinare la proroga del titolo edilizio.

... del provvedimento comunale 24.02.1999, n. 2155, di diniego della proroga della scadenza del termine di ultimazione lavori della concessione edilizia n. 40/96/1.
...
La Società ricorrente è proprietaria nel Comune di Thiene di una villa in stile “Liberty”.
Con concessione edilizia n. 40/96/1 del 28.06.1996, sono stati assentiti la ristrutturazione e l’ampliamento dell’immobile.
I lavori sono iniziati il 18.07.1996, e la ditta esecutrice ha unilateralmente abbandonato il cantiere dopo circa un anno in data 25.07.1997.
In data 29.01.1999 la ricorrente ha presentato domanda di proroga del termine di ultimazione lavori.
Il Comune con nota prot. n. 2155 del 24.02.1999, ha respinto l’istanza di proroga ritenendo che le motivazioni poste a fondamento della domanda non siano ascrivibili alla categoria dei fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare della concessione.
...
Con ordinanza n. 709 del 16.06.1999, è stata accolta la domanda cautelare.
Il Comune, con concessione edilizia del 01.07.1999, ha rilasciato la proroga, precisando che il provvedimento è stato rilasciato in ottemperanza delle sopracitata ordinanza cautelare.
Alla pubblica udienza del 25.06.2015, la causa è stata trattenuta in decisione.
Nel caso all’esame il nuovo atto posto in essere dall'Amministrazione in esecuzione dell'ordinanza cautelare propulsiva, non comporta la cessazione della materia del contendere o la sopravvenuta carenza di interesse all'impugnazione, in quanto l'Amministrazione non ha eseguito una nuova ed autonoma valutazione dell’originaria istanza, con una decisione svincolata dal contenzioso pendente, ma si è espressamente limitata a porre in essere una doverosa ottemperanza alla pronuncia dotata di immediata esecutività.
Nel merito il ricorso deve essere accolto.
...
Parimenti fondato è anche il secondo motivo.
L’art. 4, comma 3, della legge 28.01.1977, n. 10, prevede che il termine di conclusione dei lavori possa essere prorogato “con provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione”, e l’art. 78 della legge regionale 27.06.1985, n. 61, dispone che “il ritardo nell’esecuzione dei lavori per fatti sopravvenuti ed estranei alla volontà del titolare della concessione o autorizzazione consente al Sindaco l’emanazione di un provvedimento motivato di proroga”.
Nel caso all’esame ricorrono i presupposti di legge, perché la ditta esecutrice dei lavori ha abbandonato il cantiere rifiutando la riconsegna dell’immobile, avvenuta solo per provvedimento del Giudice istruttore del Tribunale di Vicenza il 18.12.1997, e tra le parti è insorto un contenzioso che ha comportato l’esecuzione di complesse operazioni peritali dalle quali è emersa l’esistenza di gravi difformità strutturali, con rischio di collasso delle strutture, e la necessità di demolizione e ricostruzione delle opere difformi.
Contrariamente a quanto affermato dal Comune nell’impugnato diniego, tali elementi, riconducibili al contenzioso giudiziario insorto tra il titolare del titolo edilizio e la ditta appaltatrice dei lavori, integrano l'ipotesi di "fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso", idonei a giustificare il rilascio della proroga del termine di ultimazione dei lavori, perché si tratta di fatti che sono al di fuori della sfera di controllo del titolare del titolo edilizio, e la mancata riconsegna dell’immobile, o la mancata esecuzione dei lavori durante il tempo occorrente all’esperimento delle perizie disposte durante il procedimento giurisdizionale o durante il tempo occorrente a rimediare ai problemi di sicurezza derivanti dalle difformità strutturali, costituiscono delle vere e proprie cause di forza maggiore idonee a determinare la proroga del titolo edilizio (cfr. Tar Campania, Salerno, Sez. I, 14.01.2014, n. 107; Tar Lazio, Roma, Sez. II, 07.06.2010, n. 15939; Tar Liguria, Sez. I, 03.04.2003, n. 451; Consiglio di Stato, Sez. V, 13.05.1996, n. 535) (
TAR Veneto, Sez. II, sentenza 24.07.2015 n. 872 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’articolo 30, comma 3, del decreto legge dispone che “Salva diversa disciplina regionale, previa comunicazione del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'articolo 15 del dpr 06.06.2001, n. 380, come indicati nei titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata in vigore del presente decreto, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati. (...)”.
L’istituto della proroga straordinaria, introdotto in via di eccezione dalla suddetta disposizione normativa, prevede alcune rilevanti peculiarità rispetto alla proroga ordinaria.
Il legislatore ha, invero, espressamente stabilito:
- che il prolungamento dell’efficacia del titolo edilizio non sia subordinato alla valutazione, da parte del Comune, della sussistenza dei rigorosi presupposti di cui all’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, ma operi a prescindere da ogni verifica in ordine alle circostanze che determinano il mancato rispetto del termine originariamente previsto;
- che, conseguentemente, il Comune sia chiamato unicamente a controllare, a seguito della comunicazione del privato, che quest’ultimo abbia dichiarato di avvalersi della proroga legittimamente, ossia in presenza di tutte le condizioni stabilite direttamente dalla norma primaria;
- che, in particolare, l’operatività della proroga sia subordinata alla circostanza che l’intervento non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici approvati o anche solo adottati;
- che la proroga operi anche per gli interventi oggetto di denuncia di inizio di attività o di segnalazione certificata di inizio di attività, secondo quanto espressamente previsto dall’articolo 4 del medesimo articolo 30 del decreto legge n. 69 del 2013 (“La disposizione di cui al comma 3 si applica anche alle denunce di inizio attività e alle segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro lo stesso termine”).
Si tratta, con ogni evidenza, di una previsione di carattere eccezionale e derogatorio rispetto al sistema, poiché la durata limitata nel tempo dei titoli edificatori risponde a esigenze di certezza e di tutela dell’interesse pubblico e della stessa potestà pianificatoria dei comuni; esigenze, queste, che sarebbero tutte frustrate dalla previsione della possibilità del protrarsi a tempo indeterminato delle attività comportanti la trasformazione del territorio. L’operatività del nuovo istituto è pertanto –coerentemente– circoscritta dallo stesso legislatore a un periodo determinato, e le relative previsioni sono valevoli una tantum.
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Ritiene il Collegio che plurime ragioni inducano a ritenere che la proroga straordinaria prevista dal decreto legge n. 69/2013 sia preclusa in ogni ipotesi di contrasto dell’intervento con gli strumenti urbanistici adottati o approvati, a prescindere dalla circostanza che i lavori siano iniziati o meno.
Tale tesi, invero:
- trova riscontro nel tenore letterale della disposizione, che non reca alcuna distinzione tra le diverse fattispecie astrattamente ipotizzabili;
- è coerente con la portata eccezionale della disposizione, che di per sé impone di riconoscere un’interpretazione restrittiva alla sua portata derogatoria rispetto al sistema;
- è ragionevole e coerente rispetto alla circostanza che la previsione opera indiscriminatamente su tutto il territorio nazionale e non consente alcun margine di valutazione ai Comuni; e invero, la totale preclusione di operatività della proroga in ogni caso di contrasto con strumenti urbanistici, anche solo adottati, trova adeguata giustificazione nella necessità di contemperare le eccezionali ragioni prese in considerazione dal legislatore con l’esigenza di salvaguardare l’autonomia degli Enti locali nell’esercizio delle proprie prerogative in materia di governo del territorio.
L’interpretazione letterale è, inoltre, l’unica che possa logicamente attribuirsi alla disposizione, al fine di riconoscere una portata applicativa ragionevole alle condizioni preclusive della proroga previste dal legislatore. E invero, in caso di incompatibilità dell’intervento con il piano approvato, la circostanza che i lavori non siano ancora avviati determina di per sé l’automatica decadenza del titolo edilizio (ai sensi dell’articolo 15, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001). Conseguentemente, l’interpretazione proposta dalla parte ricorrente attribuirebbe un effettivo ambito di operatività alla condizione preclusiva della proroga stabilita dal legislatore nelle sole, limitate, ipotesi di contrasto dell’intervento, non ancora avviato, con un piano soltanto adottato, poiché unicamente in questo caso il titolo non decadrebbe (ai sensi del richiamato articolo 15, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001) e sarebbe, tuttavia, non prorogabile (per effetto dell’articolo 30, comma 3, del decreto legge n. 69 del 2013).
In definitiva, per tutte le suesposte ragioni, il Collegio ritiene che la previsione normativa debba intendersi nel senso che la proroga una tantum sia esclusa in qualunque ipotesi di contrasto dell’intervento con strumenti urbanistici adottati o approvati.

1. Con il primo motivo la parte ricorrente allega l’illegittimità della nota del 20.01.2014, in quanto, a suo avviso, la possibilità di valersi –con riferimento alla denuncia di inizio di attività del 14.05.2010– della proroga del termine per l’ultimazione dei lavori prevista dall’articolo 30, comma 3, del decreto legge n. 69 del 2013, non sarebbe preclusa dal contrasto dell’intervento con lo strumento urbanistico sopravvenuto.
In particolare, il Fallimento ritiene che un’interpretazione della disposizione condotta alla luce della sua ratio e della volontà del legislatore dovrebbe indurre a concludere che la sopravvenienza di strumenti incompatibili precluderebbe solo la proroga del termine di inizio dei lavori, ma non anche del termine di conclusione dei lavori già avviati.
La tesi non può essere condivisa, per le ragioni che di seguito si espongono.
1.1 L’articolo 30, comma 3, del decreto legge dispone che “Salva diversa disciplina regionale, previa comunicazione del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, come indicati nei titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata in vigore del presente decreto, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati. (...)”.
L’istituto della proroga straordinaria, introdotto in via di eccezione dalla suddetta disposizione normativa, prevede alcune rilevanti peculiarità rispetto alla proroga ordinaria.
Il legislatore ha, invero, espressamente stabilito:
- che il prolungamento dell’efficacia del titolo edilizio non sia subordinato alla valutazione, da parte del Comune, della sussistenza dei rigorosi presupposti di cui all’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, ma operi a prescindere da ogni verifica in ordine alle circostanze che determinano il mancato rispetto del termine originariamente previsto;
- che, conseguentemente, il Comune sia chiamato unicamente a controllare, a seguito della comunicazione del privato, che quest’ultimo abbia dichiarato di avvalersi della proroga legittimamente, ossia in presenza di tutte le condizioni stabilite direttamente dalla norma primaria;
- che, in particolare, l’operatività della proroga sia subordinata alla circostanza che l’intervento non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici approvati o anche solo adottati;
- che la proroga operi anche per gli interventi oggetto di denuncia di inizio di attività o di segnalazione certificata di inizio di attività, secondo quanto espressamente previsto dall’articolo 4 del medesimo articolo 30 del decreto legge n. 69 del 2013 (“La disposizione di cui al comma 3 si applica anche alle denunce di inizio attività e alle segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro lo stesso termine”).
Si tratta, con ogni evidenza, di una previsione di carattere eccezionale e derogatorio rispetto al sistema, poiché la durata limitata nel tempo dei titoli edificatori risponde a esigenze di certezza e di tutela dell’interesse pubblico e della stessa potestà pianificatoria dei comuni; esigenze, queste, che sarebbero tutte frustrate dalla previsione della possibilità del protrarsi a tempo indeterminato delle attività comportanti la trasformazione del territorio. L’operatività del nuovo istituto è pertanto –coerentemente– circoscritta dallo stesso legislatore a un periodo determinato, e le relative previsioni sono valevoli una tantum.
1.2 Ciò posto, ritiene il Collegio che plurime ragioni inducano a ritenere che la proroga straordinaria prevista dal decreto legge n. 69 del 2013 sia preclusa in ogni ipotesi di contrasto dell’intervento con gli strumenti urbanistici adottati o approvati, a prescindere dalla circostanza che i lavori siano iniziati o meno.
Tale tesi, invero:
- trova riscontro nel tenore letterale della disposizione, che non reca alcuna distinzione tra le diverse fattispecie astrattamente ipotizzabili;
- è coerente con la portata eccezionale della disposizione, che di per sé impone di riconoscere un’interpretazione restrittiva alla sua portata derogatoria rispetto al sistema;
- è ragionevole e coerente rispetto alla circostanza che la previsione opera indiscriminatamente su tutto il territorio nazionale e non consente alcun margine di valutazione ai Comuni; e invero, la totale preclusione di operatività della proroga in ogni caso di contrasto con strumenti urbanistici, anche solo adottati, trova adeguata giustificazione nella necessità di contemperare le eccezionali ragioni prese in considerazione dal legislatore con l’esigenza di salvaguardare l’autonomia degli Enti locali nell’esercizio delle proprie prerogative in materia di governo del territorio.
L’interpretazione letterale è, inoltre, l’unica che possa logicamente attribuirsi alla disposizione, al fine di riconoscere una portata applicativa ragionevole alle condizioni preclusive della proroga previste dal legislatore. E invero, in caso di incompatibilità dell’intervento con il piano approvato, la circostanza che i lavori non siano ancora avviati determina di per sé l’automatica decadenza del titolo edilizio (ai sensi dell’articolo 15, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001). Conseguentemente, l’interpretazione proposta dalla parte ricorrente attribuirebbe un effettivo ambito di operatività alla condizione preclusiva della proroga stabilita dal legislatore nelle sole, limitate, ipotesi di contrasto dell’intervento, non ancora avviato, con un piano soltanto adottato, poiché unicamente in questo caso il titolo non decadrebbe (ai sensi del richiamato articolo 15, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001) e sarebbe, tuttavia, non prorogabile (per effetto dell’articolo 30, comma 3, del decreto legge n. 69 del 2013).
1.3 In definitiva, per tutte le suesposte ragioni, il Collegio ritiene che la previsione normativa debba intendersi nel senso che la proroga una tantum sia esclusa in qualunque ipotesi di contrasto dell’intervento con strumenti urbanistici adottati o approvati.
Va, conseguentemente, respinto il primo motivo di ricorso (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.07.2015 n. 1764 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2015

EDILIZIA PRIVATA: A tenore dell’art. 30, comma 3, del d.l. n. 69/2013, “salva diversa disciplina regionale, previa comunicazione del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica del 06.06.2001, n. 380, come indicati nei titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata in vigore del presente decreto purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati”.
La disposizione sopra richiamata contempla una proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori correnti ed assentiti con titoli abilitativi edilizi emessi o comunque formatisi prima della sua entrata in vigore (in data 22.06.2013).
Si tratta di una proroga ‘speciale’, legata alla peculiare fase congiunturale di crisi del settore edilizio, ai fini della quale, a differenza di quella ‘ordinaria’ ex art. 15 del d.p.r. n. 380/2001, l’interessato non deve presentare alcuna apposita istanza né fornire alcuna giustificazione né attendere un provvedimento di concessione.
Per ottenere il differimento in parola, è, infatti, sufficiente presentare una comunicazione, purché, al momento della stessa, i termini di inizio e di ultimazione dei lavori non siano ancora decorsi e i titoli abilitativi emessi non siano in contrasto con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati.
E’ evidente, dunque, che –come plausibilmente sostenuto da parte ricorrente– il citato art. 30, comma 3, del d.l. n. 69/2013, con riguardo ai termini di inizio e di ultimazione dei lavori correnti ed assentiti con titoli abilitativi edilizi emessi o comunque formatisi prima della sua entrata in vigore, ha introdotto una proroga operante in via automatica, in conseguenza della mera comunicazione all’uopo presentata dall’interessato, senza subordinarla al verificarsi di particolari circostanze (quali factum principis o vis maior) e senza statuire distinzioni tra lavori anteriormente non differiti e lavori anteriormente già differiti ai sensi dell’art. 15 del d.p.r. n. 380/2001.
E ciò, sia alla luce del tenore letterale della norma (“sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori”), laddove non figura espressamente e non è, quindi, inferibile alcuna limitazione simile (‘ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus’), sia alla luce della ratio ad essa sottesa, che è quella di agevolare il completamento delle attività di cantiere avviate e, più in generale, di favorire il rilancio economico del settore edilizio.

7. Venendo ora a scrutinare il ricorso nel merito, esso si rivela fondato per le ragioni illustrate in appresso.
8. Innanzitutto, giova rammentare che, a tenore dell’art. 30, comma 3, del d.l. n. 69/2013, “salva diversa disciplina regionale, previa comunicazione del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica del 06.06.2001, n. 380, come indicati nei titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata in vigore del presente decreto purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati”.
9. La disposizione sopra richiamata contempla una proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori correnti ed assentiti con titoli abilitativi edilizi emessi o comunque formatisi prima della sua entrata in vigore (in data 22.06.2013).
Si tratta di una proroga ‘speciale’, legata alla peculiare fase congiunturale di crisi del settore edilizio, ai fini della quale, a differenza di quella ‘ordinaria’ ex art. 15 del d.p.r. n. 380/2001, l’interessato non deve presentare alcuna apposita istanza né fornire alcuna giustificazione né attendere un provvedimento di concessione.
Per ottenere il differimento in parola, è, infatti, sufficiente presentare una comunicazione, purché, al momento della stessa, i termini di inizio e di ultimazione dei lavori non siano ancora decorsi e i titoli abilitativi emessi non siano in contrasto con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati.
E’ evidente, dunque, che –come plausibilmente sostenuto da parte ricorrente– il citato art. 30, comma 3, del d.l. n. 69/2013, con riguardo ai termini di inizio e di ultimazione dei lavori correnti ed assentiti con titoli abilitativi edilizi emessi o comunque formatisi prima della sua entrata in vigore, ha introdotto una proroga operante in via automatica, in conseguenza della mera comunicazione all’uopo presentata dall’interessato, senza subordinarla al verificarsi di particolari circostanze (quali factum principis o vis maior) e senza statuire distinzioni tra lavori anteriormente non differiti e lavori anteriormente già differiti ai sensi dell’art. 15 del d.p.r. n. 380/2001.
E ciò, sia alla luce del tenore letterale della norma (“sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori”), laddove non figura espressamente e non è, quindi, inferibile alcuna limitazione simile (‘ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus’), sia alla luce della ratio ad essa sottesa, che è quella di agevolare il completamento delle attività di cantiere avviate e, più in generale, di favorire il rilancio economico del settore edilizio.
10. Alla luce delle considerazioni svolte, deve ritenersi che il Comune di Benevento, sull’erroneo presupposto della improrogabilità del termine di ultimazione dei lavori (già differito al 06.11.2013) ai sensi dell’art. 30, comma 3, del d.l. n. 69/2013, illegittimamente abbia dichiarato la decadenza dall’assegnazione del lotto n. 7 del comparto D del del p.i.p. Olivola e irrogato la sanzione pecuniaria di € 52.670,00.
Pertanto, il ricorso in epigrafe va accolto, con conseguente annullamento dell’impugnata determinazione dirigenziale n. 6 del 27.03.2014
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 19.05.2015 n. 2788 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2014

EDILIZIA PRIVATA: In materia edilizia la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia, che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine (iniziale o finale) di efficacia.
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Per giurisprudenza pacifica, il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, prima della sua scadenza, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo ablativo che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, ciò che avviene solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore.
Ed invero, l'apposizione dei termini di efficacia della concessione edilizia e gli istituti della proroga (nei casi consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell'intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo.
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La decadenza dal titolo edilizio opera di diritto e non è richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza che il Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo.
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari del permesso di costruire ma anche della Pubblica Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presenterebbero identiche.
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Il provvedimento di pronuncia di decadenza del titolo edilizio per la sua natura di atto dovuto è espressione di un potere strettamente vincolato non implicante, quindi, valutazioni discrezionali ma meri accertamenti tecnici, senza necessità della comunicazione di avvio del procedimento.

Ritiene anzitutto il Collegio di condividere le conclusioni dell’ufficio regionale quanto all’affermata decadenza della concessione edilizia n. 14/1986 a far data dall’11.03.1990.
Non è superfluo ricordare che in materia edilizia la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia, che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine (iniziale o finale) di efficacia.
Ebbene, la prima richiesta inoltrata dalla sig.ra P. al comune di Maracalagonis è inequivocamente una mera richiesta di proroga, oltretutto immotivata, del termine di validità della concessione, il cui decorso non era mai stato sospeso dall’amministrazione che non risulta essere mai stata investita del problema relativo all’asserita presenza nelle vicinanze del cantiere di un traliccio dell’alta tensione.
In relazione ad essa il diniego dell’amministrazione è corretto, restando palesemente infondata la censura con la quale la ricorrente lamenta che il termine di efficacia della concessione n. 14/1986 era sospeso per effetto della predetta situazione di impossibilità nella prosecuzione dei lavori.
Per giurisprudenza pacifica, infatti, il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, prima della sua scadenza, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo ablativo che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, ciò che avviene solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore (cfr: Tar Piemonte, n. 666 del 05.06.2012; Consiglio di Stato, sez. IV, 23.02.2012, n. 974).
Ed invero, l'apposizione dei termini di efficacia della concessione edilizia e gli istituti della proroga (nei casi consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell'intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo (così Cons. di St., V, 23.11.1996, n. 1414).
Mancando nel caso di specie sia una tempestiva richiesta di proroga, sia un formale provvedimento di sospensione del termine da parte dell’amministrazione, la concessione edilizia n. 14/1986 era da ritenersi decaduta fin dall’11.03.1990.
Sotto questo profilo non è decisivo in senso contrario l’argomento della ricorrente secondo il quale la decadenza della concessione doveva essere accertata dall’amministrazione comunale con un provvedimento espresso che, a sua volta, doveva essere preceduto dall’avviso di inizio del procedimento.
In primo luogo, la decadenza dal titolo edilizio opera di diritto e non è richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza che il Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo (cfr. TAR Pescara, n. 61 del 04.02.2013; Consiglio di Stato, sentenza n. 2915/2012).
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari del permesso di costruire ma anche della Pubblica Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presenterebbero identiche (cfr. Tar Roma sentenza n. 5530/2005; Consiglio di Stato, sentenza n. 2915/2012).
In ogni caso, nella vicenda in esame l’effetto ricognitorio connesso all’atto di decadenza formale asseritamente mancante, meramente accertativo –come detto- del verificarsi del presupposto fattuale del decorso del tempo, ben può rinvenirsi nella stessa impugnata determina n. 12 del 10.03.2008, nella quale, in parte motiva, si richiama per esteso la motivazione della nota regionale n. 5252/2008 sopra ricordata che ribadiva la sopravvenuta inefficacia della concessione edilizia n. 14/1986 per decorso del termine.
Con riguardo al secondo profilo della censura (mancato invio dell’avviso di inizio del procedimento), deve invece rilevarsi che il provvedimento di pronuncia di decadenza del titolo edilizio per la sua natura di atto dovuto è espressione di un potere strettamente vincolato non implicante, quindi, valutazioni discrezionali ma meri accertamenti tecnici, senza necessità della comunicazione di avvio del procedimento (cfr: Cons. Stato, Sez. V, n. 5691 dell’08.11.2012) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 30.10.2014 n. 880 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire: la crisi congiunturale dell’edilizia non è motivo che può evitare il diniego di proroga dei lavori e di dichiarazione di decadenza del permesso di costruire.
Il
Comune legittimamente dichiara la intervenuta decadenza del permesso di costruire una volta accertata la impossibilità di accordare la richiesta proroga e quindi l’inverarsi di una colpevole inerzia nell’osservanza dei tempi di inizio e completamento dei lavori, quale presupposto di fatto e di diritto per la dichiarazione di decadenza.
Quanto al motivo costituito dalla crisi congiunturale dell’edilizia trattasi, invero, di ragioni di carattere generale attinenti a considerazioni di tipo economico del tutto generiche, non aventi, per l’astrattezza delle stesse, rilevanza alcuna con l’obbligo di osservare i tempi di inizio e completamento dei lavori, sicché appare del tutto impossibile considerare la “crisi congiunturale” un motivo valido per giustificare l’inerzia.

Le doglianze di parte appellante non appaiono condivisibili.
Dunque la richiesta di proroga di che trattasi è stata avanzata dagli interessati come esposto nel provvedimento in contestazione, per due precipue ragioni:
   a) per le incertezze economiche e finanziarie derivanti dall’operazione immobiliare in relazione al contenzioso intercorso col Comune circa la quantificazione del contributo di costruzione;
   b) per la grave crisi economica che ha afflitto il settore dell’edilizia con le relative, concrete ricadute.
Occorre andare a verificare se tali ragioni collimano con le circostanze previste dall’art. 15 del DPR n.380/2001 per farsi luogo alla proroga, come sostenuto dalla parte appellante, oppure no, come in sostanza assunto dall’Amministrazione comunale.
Il citato articolo di legge prevede che “i termini possono essere prorogati con provvedimento motivato per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso” e ancora che … “la proroga può essere accordata con provvedimento motivato esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle particolari caratteristiche tecnico- costruttive:..”.
Ebbene, il diniego risulta essere stato correttamente adottato, atteso che le ragioni addotte a sostegno della richiesta di proroga appaiono eccedere l’ambito naturale descritto dal citato art. 15 per la concessione del beneficio de quo.
La norma in questione presuppone infatti una condizione ben precisa, costituita dalla sopravvenienza di fatti estranei alla volontà del titolare della concessione edilizia e tali non sono le circostanze dedotte dai sigg.ri Marconi.
Quanto al motivo costituito dalla crisi congiunturale dell’edilizia, trattasi invero, di ragioni di carattere generale attinenti a considerazioni di tipo economico del tutto generiche, non aventi, per l’astrattezza delle stesse, rilevanza alcuna con l’obbligo di osservare i tempi di inizio e completamento dei lavori, sicché appare del tutto impossibile considerare la “crisi congiunturale” un motivo valido per giustificare l’inerzia.
Alcuna incidenza diretta e concreta può altresì avere la pendenza tra le stesse parti del contenzioso in ordine alla quantificazione del contributo di costruzione, la cui determinazione, come stabilita dal Comune, peraltro, nasce ed è conosciuta in coincidenza del rilascio del titolo ad aedificandum (e non successivamente).
Non si riesce in ogni caso a comprendere invero il ruolo per così dire “paralizzante” della questione del quantum degli oneri concessori con riguardo ai termini fissati dal citato art. 15, se non come circostanza del tutto estranea alla tempistica dei lavori, dovendosi altresì rilevare, a voler entrare nell’ottica della “pesantezza” dei costi finanziari da sostenersi per l’operazione immobiliare, che non viene data dimostrazione della concreta incidenza sulla situazione finanziaria degli appellanti e tenuto altresì conto del fatto che in teoria un eventuale esito positivo della controversia consentirebbe la ripetizione degli oneri richiesti (in più) in pagamento.
Ferma restando la inattendibilità ai fini della proroga delle circostanze addotte, neppure si invera la condizione, pure prevista dall’art. 15 citato, secondo cui la proroga potrebbe essere possibile in considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive: invero circostanze relative alla difficoltà di esecuzione delle modalità di realizzazione dell’opera edilizia non vengono minimamente in rilievo dalla documentazione di causa e comunque non sono rappresentate dagli interessati e tantomeno documentate.
In definitiva sul punto occorre convenire che a sostegno della chiesta proroga parte appellante ha posto delle “problematiche” che non rispondono ai requisiti dettati dall’art. 15 citato, perché non possono farsi rientrare tra i “fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso”.
Se così è, il Comune ha del pari correttamente proceduto a dichiarare la intervenuta decadenza del permesso di costruire, una volta accertata la impossibilità di accordare la richiesta proroga e quindi l’inverarsi di una colpevole inerzia nell’osservanza dei tempi di inizio e completamento dei lavori, quale presupposto di fatto e di diritto per la dichiarazione di decadenza (cfr. Cons. Stato Sez. IV 07/09/2011 n. 5028; idem 29/01/2008 n. 249) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.10.2014 n. 4975 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2014

EDILIZIA PRIVATAA seguito della decadenza per mancato completamento dei lavori il titolare del permesso deve chiedere un nuovo permesso di costruire per poter realizzare la parte di lavori non eseguita salvo che essi rientrino tra quelli soggetti a denuncia di inizio di attività e salvo eventuale ricalcolo del contributo di costruzione.
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La proroga presuppone che il permesso di costruire non sia ancora decaduto (in altri termini la proroga –che oltretutto presuppone fatti sopravvenuti non dipendenti dalla volontà del titolare del permesso– va chiesta prima della scadenza del termine di ultimazione dei lavori).

Quale che sia la soluzione, è però innegabile che al più tardi alla data del 26.04.2008 il permesso di costruire n. 54 del 2004 aveva perduto ogni attitudine a produrre effetti giuridici.
Di conseguenza esso non avrebbe potuto essere oggetto di proroga, dato che a seguito della decadenza per mancato completamento dei lavori il titolare del permesso deve chiedere un nuovo permesso di costruire per poter realizzare la parte di lavori non eseguita salvo che essi rientrino tra quelli soggetti a denuncia di inizio di attività e salvo eventuale ricalcolo del contributo di costruzione (cfr. articolo 15, comma 3, D.P.R. 06.06.2001, n. 380).
E’ quindi in base a questo principio che va operata la qualificazione dell’atto di proroga del 14.07.2009 del comune, tenendo presente che gli atti amministrativi devono essere qualificati in base alle loro oggettive caratteristiche a prescindere dal nomen usato.
Ciò premesso è evidente la volontà del redattore dell’atto di limitarsi a una proroga del precedente permesso (sintomatico è che quest’ultimo sia richiamato e che l’efficacia della proroga sia limitata a un anno, mentre se si fosse trattato del rilascio del permesso di costruire per la parte di lavori non eseguiti sarebbero stati richiesti e acquisiti elaborati grafici e sarebbero stati fissati nuovi termini per inizio e completamento dei lavori); nella fattispecie quindi si tratta di proroga; tuttavia l’atto è chiaramente illegittimo dato che la proroga presuppone che il permesso di costruire non sia ancora decaduto (in altri termini la proroga –che oltretutto presuppone fatti sopravvenuti non dipendenti dalla volontà del titolare del permesso– va chiesta prima della scadenza del termine di ultimazione dei lavori) (TAR Lazio-Latina, sentenza 24.07.2014 n. 651 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2014

EDILIZIA PRIVATA: La pronunzia di decadenza del permesso di costruire è connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione. Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc.
Al contrario, la proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado, in quanto modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall'atto originario.
Nell’ambito della materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che, mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia.
La proroga è quindi disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale, che in termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni oggettive che la giustificano, tenendo presente che, proprio perché il risultato è quello di consentire una deroga alla disciplina generale in tema di edificazione, i presupposti che fondano la richiesta di proroga sono espressamente indicati in norma e sono di stretta interpretazione.
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La proroga può aver luogo per factum principis, ossia, come afferma la norma, “per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso” o per ragioni collegate alla natura dell’opera, ossia “esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.

In secondo luogo, la disciplina dell’art. 15 “Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire” del d.P.R. 06.06.2001 n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” mette in luce l’esistenza di un diverso regime che distingue, da un lato, il provvedimento di decadenza da quello di proroga e, all’interno delle tipologie di proroga, quella determinata dal sopravvenire di un fatto esterno da quella determinata da profili ontologici dell’opera.
La prima diade si basa sulla distanza esistente tra un provvedimento legato ai soli presupposti di legge e uno caratterizzato dalla scelta discrezionale. Infatti, la pronunzia di decadenza del permesso di costruire è connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione. Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 21.08.2013, n. 4206; id., 07.09.2011, n. 5028).
Al contrario, la proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado, in quanto modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall'atto originario (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 18.09.2008, n. 4498).
Nell’ambito della materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che, mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia. La proroga è quindi disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale, che in termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni oggettive che la giustificano, tenendo presente che, proprio perché il risultato è quello di consentire una deroga alla disciplina generale in tema di edificazione, i presupposti che fondano la richiesta di proroga sono espressamente indicati in norma e sono di stretta interpretazione.
La seconda diade evidenzia come la proroga possa aver luogo per factum principis, ossia, come afferma la norma, “per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso” o per ragioni collegate alla natura dell’opera, ossia “esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari” (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.03.2014 n. 1013 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2013

EDILIZIA PRIVATA: S. Calvetti, Permesso di costruire: la proroga non può essere negata per vizi del titolo abilitativo (Urbanistica e appalti n. 7/2013).

aprile 2013

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, rubricato “efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire”, il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno. Il suddetto termine può essere prorogato, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Ciò nondimeno, decorso il termine, il permesso decade di diritto per la parte non eseguita (cfr. comma 2).
La richiamata disposizione mira ad assicurare la certezza temporale dell’attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell’intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo.
L’unanime giurisprudenza ha affermato che la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio lavori opera di diritto e il provvedimento pronunciante la decadenza ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l’infruttuoso decorso del termine fissato dalla legge.
In materia è stato poi sostenuto che l’eventuale sospensione del termine di durata di un titolo edilizio non può realizzarsi in via automatica, essendo a tal fine necessaria la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve seguire un provvedimento motivato dell’amministrazione che accerti l’impossibilità del rispetto del termine per “factum principis”, ovvero per l’insorgenza di una causa di forza maggiore.
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L’amministrazione, di fronte a una richiesta di proroga di un titolo non più sussistente (scaduto), non può fare altro che prendere atto dell’intervenuta decadenza con un provvedimento di natura dichiarativa. In altri termini, allo scadere del termine di inizio lavori, l’amministrazione non dispone più del potere dilatorio previsto dalla legge e il cui esercizio è invece invocato con l’istanza de qua al di fuori dell’alveo normativo.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Lo stesso ricorrente rappresenta in fatto che il termine annuale per l’inizio dei lavori di realizzazione del deposito di cui al permesso di costruire n. 96/2004 è scaduto in data 22.02.2008. Solo in data successiva (e, segnatamente, una prima volta il 28.02.2008 e, una seconda, il 13.10.2011), l’interessato si è attivato per richiedere la proroga del termine. Domanda sulla quale con l’odierno gravame chiede l’accertamento dell’illegittima inerzia del Comune.
E’ necessario premettere, che ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, rubricato “efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire”, il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno. Il suddetto termine può essere prorogato, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Ciò nondimeno, decorso il termine, il permesso decade di diritto per la parte non eseguita (cfr. comma 2).
La richiamata disposizione mira ad assicurare la certezza temporale dell’attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell’intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo (TAR Liguria, Genova, 08.01.2013, n. 34). L’unanime giurisprudenza ha affermato che la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio lavori opera di diritto e il provvedimento pronunciante la decadenza ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l’infruttuoso decorso del termine fissato dalla legge (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 18.05.2012, n. 2915).
In materia è stato poi sostenuto che l’eventuale sospensione del termine di durata di un titolo edilizio non può realizzarsi in via automatica, essendo a tal fine necessaria la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve seguire un provvedimento motivato dell’amministrazione che accerti l’impossibilità del rispetto del termine per “factum principis”, ovvero per l’insorgenza di una causa di forza maggiore.
Tornando al caso che occupa, si deve quindi ritenere, da una parte, che l’intervenuto sequestro dell’area non ha determinato ex se la sospensione del termine annuale assegnato per la realizzazione dei lavori, dall’altra, che il permesso di costruire, in assenza di una formale richiesta di proroga (entro la scadenza del termine) è ormai decaduto. E ciò per il solo fatto del verificarsi del presupposto previsto dalla legge, costituito dal mancato inizio dell’attività edificatoria nel periodo assegnato. Dunque, la richiesta di proroga è intervenuta allorquando il permesso di costruire aveva ormai esaurito i suoi effetti.
Chiariti i contorni della questione, deve affermarsi che nessuna inerzia può imputarsi al Comune avverso la quale si possa invocare la tutela offerta dallo strumento processuale di cui all’art. 117 c.p.a. Il silenzio-rifiuto disciplinato dall'ordinamento, infatti, è istituto riconducibile a inadempienza dell’amministrazione, in rapporto a un sussistente obbligo di provvedere, che può discendere dalla legge, da un regolamento o anche da un atto di autolimitazione dell'amministrazione stessa, e in ogni caso deve corrispondere ad una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall'ordinamento; al di là dell'obbligo normativamente imposto alla pubblica amministrazione di concludere il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso e motivato, siccome previsto dagli artt. 2 e 3, l. 07.08.1990 n. 241, l'amministrazione è parimenti tenuta a pronunciarsi laddove ragioni di giustizia ed equità le impongono l'adozione di un provvedimento, nonché tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, quali che esse siano (ex multis, TAR Puglia, Lecce, 12.11.2012, n. 1863).
Nella fattispecie, per espressa previsione normativa, l’amministrazione, di fronte a una richiesta di proroga di un titolo non più sussistente, non potrebbe fare altro che prendere atto dell’intervenuta decadenza con un provvedimento di natura dichiarativa. In altri termini, allo scadere del termine di inizio lavori, l’amministrazione non dispone più del potere dilatorio previsto dalla legge e il cui esercizio è invece invocato con l’istanza de qua al di fuori dell’alveo normativo.
Deve, pertanto, concludersi che l’istanza in questione è inidonea a fondare un obbligo di provvedere in capo all’amministrazione comunale e la domanda di accertamento giudiziale dell’inerzia colpevole della stessa deve essere respinta (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 08.04.2013 n. 1864 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2013

EDILIZIA PRIVATAI fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell'art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione e di verifica in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga.
Con ulteriore censura i ricorrenti si dolgono dell’eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti atti e travisamento, dato che l’opera abusiva è collegata alla C.E. 710/80 (come attestato nell’ordinanza di demolizione) e non alla C.E. 523/77: in questo modo il Comune avrebbe indebitamente evitato di applicare la normativa regionale entrata in vigore nel 1980.
Anche detta prospettazione non è condivisibile.
Ai sensi dell’art. 31 della L. 1150/1942 “La licenza edilizia non può avere validità superiore ad un anno; qualora entro tale termine i lavori non siano stati iniziati l'interessato dovrà presentare istanza diretta ad ottenere il rinnovo della licenza”.
L’art. 4, comma 4, della L. 10/1977 puntualizza che “Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione. Un periodo più lungo per l'ultimazione dei lavori può essere concesso esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive; ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.
La giurisprudenza –intervenuta sull’art. 15, comma 2, del D.P.R. 380/2001 formulato in modo analogo all’art. 4– ha affermato che i fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell'art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione e di verifica in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga (Consiglio di Stato, sez. IV – 10/08/2007 n. 4423).
Ciò premesso in punto di diritto, osserva il Collegio che la concessione edilizia n. 710/80, in quanto non ritirata dal richiedente, non ha mai avuto un principio di attuazione ed è irrimediabilmente decaduta essendo spirati i termini per l’inizio e l’ultimazione dei lavori. Per questo il Comune ha potuto unicamente fare riferimento (in sede di attivazione del procedimento repressivo) al titolo abilitativo n. 523/77, l’unico che risultava operativo in quanto regolarmente portato ad esecuzione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 14.01.2013 n. 9 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia, che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine (iniziale o finale) di efficacia.
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Sia l'apposizione dei termini di efficacia della concessione edilizia che gli istituti della proroga (nei casi consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell'intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo, certezza che verrebbe frustrata se fosse consentito alla parte di dissimulare una richiesta di proroga sotto il falso nomen juris del “rinnovo”, con ciò potendo anche più volte rinviare –a proprio piacimento e senza soggiacere alle condizioni previste dalla legge– il termine di inizio e di fine dei lavori.
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E' illegittima la proroga del permesso di costruire ex art. 15 D.P.R. n. 380/2001 senza che ne sussistano i presupposti e –in ogni caso– senza alcuna istruttoria o motivazione sul punto, laddove il comune acriticamente ha aderito alla qualificazione in termini di rinnovo proposta -pro domo sua- dalla parte interessata, che non aveva ancora dato inizio ai lavori nell’imminenza del termine di scadenza, oltretutto già prorogato una prima volta.
Tanto più che, nella fattispecie, non sono sopravvenuti fatti impeditivi estranei alla volontà del titolare del permesso, e che non si tratta né di un’opera pubblica, né di un’opera di grandi dimensioni o di particolari caratteristiche tecnico-costruttive.
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L'annullamento dell’originario permesso di costruire sortisce l'effetto della caducazione della successiva variante in corso d’opera, secondo il meccanismo della così detta “invalidità derivata ad effetto caducante”, poiché priva di una propria autonomia dispositiva.
E’ noto che, in materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia, che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine (iniziale o finale) di efficacia.
Ciò posto, dirimente ai fini della corretta qualificazione del titolo edilizio impugnato appare –a parere del collegio– la circostanza che entrambe le istanze di rinnovo dell’originario permesso di costruire 31.08.2006 (depositate –rispettivamente- in data 25.08.2007 e 29.08.2008, docc. 3 e 4 delle produzioni 15.10.2011 di parte controinteressata) siano state presentate allorché il titolo da rinnovare era ancora efficace (essendo stato rilasciato il primo permesso in data 31.08.2006 ed il primo rinnovo in data 06.09.2007), in prossimità della scadenza del termine di inizio dei lavori ed in mancanza dell’avvio degli stessi (iniziati soltanto in data 16.10.2009, doc. 1 delle produzioni 08.11.2012 di parte comunale).
Se a ciò si aggiunge che esse riguardavano il medesimo intervento edilizio, risulta evidente come le istanze stesse mirassero in realtà a scongiurare la decadenza del titolo per mancato inizio dei lavori nel termine annuale, cioè a conseguire –propriamente– una proroga dello stesso ex art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001.
Né vale eccepire che nulla impedisce a chi abbia un titolo edilizio di chiederne un altro, sostitutivo del primo, pur in costanza di efficacia dello stesso.
Al contrario, infatti, la volontà dell’interessato trova un limite invalicabile nel principio di tipicità e di legalità dei poteri amministrativi, nonché nelle norme regolatrici dell'azione amministrativa.
Orbene, sia l'apposizione dei termini di efficacia della concessione edilizia che gli istituti della proroga (nei casi consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell'intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo (così Cons. di St., V, 23.11.1996, n. 1414), certezza che verrebbe frustrata se fosse consentito alla parte di dissimulare una richiesta di proroga sotto il falso nomen juris del “rinnovo”, con ciò potendo anche più volte rinviare –a proprio piacimento e senza soggiacere alle condizioni previste dalla legge– il termine di inizio e di fine dei lavori.
Dunque, il permesso di costruire impugnato (17.10.2008, prot. 19551/08) integra -propriamente- una proroga ex art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001 del termine di inizio dei lavori.
Sennonché, come correttamente eccepito dalle ricorrenti con il secondo motivo di ricorso, tale proroga è stata rilasciata in violazione dell’art. 15 D.P.R. n. 380/2001, senza che ne sussistessero i presupposti e –in ogni caso– senza alcuna istruttoria o motivazione sul punto, avendo il comune acriticamente aderito alla qualificazione in termini di rinnovo proposta -pro domo sua- dalla parte interessata, che non aveva ancora dato inizio ai lavori nell’imminenza del termine di scadenza, oltretutto già prorogato una prima volta.
E’ infatti pacifico che non siano sopravvenuti fatti impeditivi estranei alla volontà del titolare del permesso, e che non si tratti né di un’opera pubblica, né di un’opera di grandi dimensioni o di particolari caratteristiche tecnico-costruttive (circostanze, del resto, neppure dedotte).
Donde la fondatezza della domanda impugnatoria, con assorbimento degli altri motivi di gravame.
L’annullamento del titolo edilizio principale determina l’accoglimento dei motivi aggiunti, nella parte relativa all’impugnazione del silenzio (avente valore di provvedimento implicito di diniego dell’adozione del provvedimento inibitorio, cfr. Cons. di St., Ad. Plen., 29.07.2011, n. 15; Cons. di St., IV, 26.07.2012, n. 4255) serbato dal comune sulla dichiarazione di inizio di attività presentata in data 02.11.2010 dalla controinteressata Lenzi Gabriella Maria (doc. 8 delle produzioni 15.10.2011 di parte controinteressata), in variante al permesso di costruire 17.10.2008.
Difatti, l'annullamento dell’originario permesso di costruire sortisce l'effetto della caducazione della successiva variante in corso d’opera, secondo il meccanismo della così detta “invalidità derivata ad effetto caducante”, poiché priva di una propria autonomia dispositiva (TAR Lombardia, II, 02.09.2011, n. 2149) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 08.01.2013 n. 34 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2012

EDILIZIA PRIVATA: La proroga del termine di inizio e/o ultimazione dei lavori “può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.
La ratio complessiva della disciplina ex art. 15 dpr 380/2001 consiste evidentemente nel mantenere il controllo sull’attività di edificazione, che è ovviamente operazione materiale non istantanea, non solo al momento del rilascio del titolo abilitativo ma anche “in progress”, in maniera da garantirne, entro limiti temporali ragionevoli e finché l’opera non sia stata sostanzialmente compiuta, la persistente conformità alla disciplina urbanistico-edilizia vigente non solo al momento del rilascio del permesso di costruire ma anche al momento (che potrebbe essere temporalmente molto successivo) della realizzazione dell’opera, allo scopo, quindi, di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più.

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Il primo presupposto fattuale dal quali muove il provvedimento di diniego è la circostanza che i lavori non erano iniziati entro l’anno dalla data di rilascio della concessione edilizia né erano in corso alla data del provvedimento.
Altra circostanza di fatto rilevante è la sopravvenienza di disposizioni urbanistiche (puntualmente richiamate nel provvedimento di diniego) che non avrebbero consentito la realizzazione del richiesto intervento.
Orbene, se si tiene conto del preciso disposto del ripetuto comma 4 dell’art. 15 (“il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsione urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”), è del tutto evidente la irrilevanza dei “fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare”, idonei ad evitare la decadenza nel caso del mancato rispetto dei termini di inizio e ultimazione dei lavori (di cui al comma 2 dell’art. 15) rispetto alla diversa questione della decadenza “legale” per effetto dell’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, per la quale non è prevista alcuna ipotesi di non imputabilità ma solo la ricorrenza di precisi presupposti di fatto -l’intervenuto inizio dei lavori e il loro completamento entro il termine di tre anni dalla data di inizio- pacificamente non sussistenti nella specie.
Del resto, la circostanza che l’interessata non abbia potuto chiedere tempestivamente la proroga (prima delle scadenze temporali contenute nel titolo), stante l’intervenuto sequestro del titolo da parte dell’Autorità giudiziaria penale, non vale affatto ai fini dell’integrazione delle condizioni previste dal comma 4 per evitare la decadenza per effetto dell’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, giacché anche un titolo in corso di validità (non decaduto, cioè, per il decorso del tempo) vi è soggetto sempre che non si inverino per l’appunto le condizioni richieste (si pensi al caso della edificazione consentita da un titolo che decada per effetto di sopravvenute contrastanti previsioni entro l’anno dal rilascio ove i lavori non siano già iniziati).

Giova anzitutto richiamare l’art. 15 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (testo unico edilizia) che disciplina l’efficacia temporale e la decadenza del permesso di costruire, puntualmente statuendo che “nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori”; che “il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo”; che “quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori”, che “entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso” e che “decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga”.
Tale proroga “può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.
Il successivo comma 3 stabilisce, inoltre, che “la realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22” e, in tale caso, “si procede altresì ove necessario al ricalcolo del contributo di costruzione”; infine (comma 4), “il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”.
La ratio complessiva della disciplina sopra richiamata consiste evidentemente nel mantenere il controllo sull’attività di edificazione, che è ovviamente operazione materiale non istantanea, non solo al momento del rilascio del titolo abilitativo ma anche “in progress”, in maniera da garantirne, entro limiti temporali ragionevoli e finché l’opera non sia stata sostanzialmente compiuta, la persistente conformità alla disciplina urbanistico-edilizia vigente non solo al momento del rilascio del permesso di costruire ma anche al momento (che potrebbe essere temporalmente molto successivo) della realizzazione dell’opera, allo scopo, quindi, di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più (cfr. TAR Lazio, Roma, sez.II-ter, 06.12.2011, n. 9600 e TAR Marche, 20.04.2010, n. 193).
In tal senso, l’edificazione in corso è normativamente condizionata a precisi requisiti (di fatto e temporali) ove risulti non (più) conforme ad eventuali sopravvenienze normative.
Per converso, la medesima disciplina stabilisce normativamente il punto di equilibrio tra i diritti quesiti del concessionario (la sua aspettativa a realizzare l’opera così come autorizzata con il titolo abilitativi) e l’interesse pubblico al rispetto delle regolamentazioni sopravvenute, individuandolo nell’inizio dei lavori e nella loro conclusione in termini stabiliti (un anno dal rilascio e tre anni dalla data di inizio dei lavori).
In sostanza, la disciplina sostanziale richiede un continuo confronto (bilanciamento) tra quanto è stato autorizzato, quanto è stato realizzato (o si confida verrà realizzato nel tempo stabilito) e le sopravvenienze, che in linea di principio restano il parametro al quale conformare gli interventi edilizi in corso o futuri.
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Giova evidenziare che il primo presupposto fattuale dal quali muove il provvedimento di diniego è la circostanza, incontestata, che i lavori non erano iniziati entro l’anno dalla data di rilascio della concessione edilizia né erano in corso alla data del provvedimento.
Altra circostanza di fatto rilevante (e del pari incontestata) è la sopravvenienza di disposizioni urbanistiche (puntualmente richiamate nel provvedimento di diniego) che non avrebbero consentito la realizzazione del richiesto intervento.
Orbene, se si tiene conto del preciso disposto del ripetuto comma 4 dell’art. 15 (“il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsione urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”), è del tutto evidente la irrilevanza dei “fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare”, idonei ad evitare la decadenza nel caso del mancato rispetto dei termini di inizio e ultimazione dei lavori (di cui al comma 2 dell’art. 15) rispetto alla diversa questione della decadenza “legale” per effetto dell’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, per la quale non è prevista alcuna ipotesi di non imputabilità ma solo la ricorrenza di precisi presupposti di fatto -l’intervenuto inizio dei lavori e il loro completamento entro il termine di tre anni dalla data di inizio- pacificamente non sussistenti nella specie.
Del resto, la circostanza, sulla quale il ricorso si dilunga, che l’interessata non abbia potuto chiedere tempestivamente la proroga (prima delle scadenze temporali contenute nel titolo), stante l’intervenuto sequestro del titolo da parte dell’Autorità giudiziaria penale, non vale affatto ai fini dell’integrazione delle condizioni previste dal comma 4 per evitare la decadenza per effetto dell’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, giacché anche un titolo in corso di validità (non decaduto, cioè, per il decorso del tempo) vi è soggetto sempre che non si inverino per l’appunto le condizioni richieste (si pensi al caso della edificazione consentita da un titolo che decada per effetto di sopravvenute contrastanti previsioni entro l’anno dal rilascio ove i lavori non siano già iniziati) (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 25.10.2012 n.
694 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2012

EDILIZIA PRIVATA: Proroga termine validità concessione edilizia.
L’efficacia temporale dei titoli edilizi, com’è noto, decorre con la comunicazione dell’inizio dei lavori e termina con quella di comunicazione di fine dei lavori. L’eventuale protrazione della validità del titolo edilizio può essere accordata solo nel caso di presentazione della proroga prima della scadenza del titolo stesso.
Tuttavia, l’efficacia di quest’ultimo non può essere posticipata nell’ipotesi in cui, vi è una formale comunicazione dell’avvenuta ultimazione delle opere edilizie. Inoltre, non può nemmeno invocarsi il fatto che la comunicazione di ultimazione dei lavori è stata effettuata al solo fine di ottenere l’agibilità dei fabbricati, dacché propedeutico all’attestazione della conformità ai requisiti igienico-sanitari e di sicurezza dell’edificio è l’adempimento dell’avvenuto collaudo o certificato di regolare esecuzione delle opere.

I titoli edilizi hanno, com’è noto, efficacia temporale che decorre, in particolare, con la comunicazione dell’inizio dei lavori e termina con quella di comunicazione di fine dei lavori.
La protrazione della validità del titolo edilizio può essere accordata in relazione alla presentazione di proroga prima della scadenza del titolo stesso, ma l’efficacia del medesimo non può essere posticipata nell’ipotesi in cui, come nella specie, è la concessionaria stessa a far presente con formale comunicazione l’avvenuta ultimazione delle opere edilizie.
Né può invocarsi il fatto che la comunicazione di ultimazione dei lavori è stata effettuata al solo fine di ottenere l’agibilità dei fabbricati, dacché propedeutico all’attestazione della conformità ai requisiti igienico-sanitari e di sicurezza dell’edificio è l’adempimento dell’avvenuto collaudo o certificato di regolare esecuzione delle opere (artt. 23, 24 e 25 del Testo unico sull’edilizia di cui al DPR n. 320/2001) 
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 01.08.2012 n. 4403 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2012

EDILIZIA PRIVATAL’istanza di proroga motivata sulla sussistenza di fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare deve essere in ogni caso presentata prima che il titolo edilizio venga a scadere.
Si aggiunga che la tesi della sospensione automatica del permesso di costruire in presenza di fatti impeditivi non imputabili all’avente diritto si infrange contro il prevalente orientamento espresso dal Consiglio di Stato.
Difatti, posto che l’eventuale pronuncia di decadenza del permesso di costruire è espressione di un potere strettamente vincolato con natura ricognitiva e con decorrenza ex tunc (giacché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del titolare ovvero della sopravvenienza di contrastanti previsioni urbanistiche), si è condivisibilmente osservato che il termine di durata non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa amministrazione che ha rilasciato l’atto concessorio che accerti l’impossibilità del rispetto del termine nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un “factum principis” ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore.
Tali “fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso” (che possono consistere nel factum principis o in altri casi di forza maggiore) non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa quando l’interessato proponga tempestiva domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile perché non vi sia la pronuncia di decadenza.

La prima doglianza espressa dalla ricorrente si infrange avverso il chiaro contenuto dell’art. 15 D.P.R. 380/2001 ed il prevalente orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento alla questione della prorogabilità del permesso di costruire.
Difatti, ai sensi dell’art. 15, primo e secondo comma, del D.P.R. 380/2001 “1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. 2. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga …”.
Dall’esame della richiamata disposizione emerge quindi incontestabilmente che l’istanza di proroga motivata sulla sussistenza di fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare deve essere in ogni caso presentata prima che il titolo edilizio venga a scadere: viceversa, nel caso in esame, non vi è contestazione sulla circostanza che detta richiesta sia stata avanzata a termini scaduti.
Si aggiunga che la tesi della sospensione automatica del permesso di costruire in presenza di fatti impeditivi non imputabili all’avente diritto si infrange contro il prevalente orientamento espresso dal Consiglio di Stato (Sez. IV, 23.02.2012 n. 974; 18.06.2008 n. 3030; 10.08.2007 n. 4423).
Difatti, posto che l’eventuale pronuncia di decadenza del permesso di costruire è espressione di un potere strettamente vincolato con natura ricognitiva e con decorrenza ex tunc (giacché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del titolare ovvero della sopravvenienza di contrastanti previsioni urbanistiche), si è condivisibilmente osservato che il termine di durata non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa amministrazione che ha rilasciato l’atto concessorio che accerti l’impossibilità del rispetto del termine nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un “factum principis” ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore.
Nello stesso solco si colloca l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, 10.08.2007 n. 4423) secondo cui tali “fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso” (che possono consistere nel factum principis o in altri casi di forza maggiore) non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa quando l’interessato proponga tempestiva domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile perché non vi sia la pronuncia di decadenza
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 22.05.2012 n. 2363 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2012

EDILIZIA PRIVATA1. Permesso di costruire - Efficacia temporale e decadenza - Istanza di proroga - Nozione di fatti sopravvenuti - Crisi economica nel settore edile - Inidoneità.
2. Permesso di costruire - Efficacia temporale e decadenza - Istanza di proroga - Nozione di fatti sopravvenuti - Pendenza di un giudizio relativo alla quantificazione del contributo concessorio - Inidoneità.

1. L'art. 15, D.P.R. n. 380 del 2001, disposizione che ricalca quella dell'art. 4, L. n. 10 del 1977 (oggi parzialmente abrogato), consente la proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori previsti nel permesso di costruire, esclusivamente "per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso".
Secondo la giurisprudenza, è dunque illegittimo il provvedimento dell'Amministrazione comunale di declaratoria di decadenza del permesso di costruire, qualora sussistano impedimenti assoluti all'esecuzione dei lavori segnalati o comunque conosciuti all'Amministrazione e l'impedimento non sia riferibile alla condotta del concessionario, per cui è tale da costituire quella causa di forza maggiore che sospende il decorso dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori.
Sotto questo profilo, la crisi del settore edile, collegata alla difficile congiuntura economica italiana, appare una circostanza estremamente generica, inidonea ad impedire in maniera assoluta la possibilità edificatoria connessa al permesso di costruire.
2. La pendenza di un contenzioso avente ad oggetto l'esatta determinazione del contributo concessorio dinanzi al Consiglio di Stato, senza domanda di sospensione dell'efficacia della sentenza di primo grado, non costituisce circostanza idonea a giustificare la proroga ai sensi dell'art. 15, D.P.R. n. 380 del 2001, posto che l'esistenza del contenzioso non è oggettivamente ostativa alla realizzazione dell'intervento edilizio, che può comunque essere effettuato, in attesa della definitiva determinazione del contributo concessorio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 21.02.2012 n. 580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 15 del DPR 380/2001 consente la proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori previsti nel permesso di costruire, esclusivamente <<per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso>>.
La norma, che ricalca quella dell’art. 4 della legge 10/1977 (oggi parzialmente abrogato), è intesa dalla giurisprudenza nel senso che è illegittimo il provvedimento dell'Amministrazione comunale di declaratoria di decadenza del permesso di costruire (già concessione edilizia), allorché sussistano impedimenti assoluti all'esecuzione dei lavori segnalati o comunque conosciuti all'Amministrazione e l'impedimento non sia riferibile alla condotta del concessionario, per cui è tale da costituire quella causa di forza maggiore che sospende il decorso dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui al titolo edilizio previsti dalla legge.

In primo luogo, occorre ricordare che l’art. 15 del DPR 380/2001 consente la proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori previsti nel permesso di costruire, esclusivamente <<per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso>>.
La norma, che ricalca quella dell’art. 4 della legge 10/1977 (oggi parzialmente abrogato), è intesa dalla giurisprudenza nel senso che è illegittimo il provvedimento dell'Amministrazione comunale di declaratoria di decadenza del permesso di costruire (già concessione edilizia), allorché sussistano impedimenti assoluti all'esecuzione dei lavori segnalati o comunque conosciuti all'Amministrazione e l'impedimento non sia riferibile alla condotta del concessionario, per cui è tale da costituire quella causa di forza maggiore che sospende il decorso dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui al titolo edilizio previsti dalla legge (cfr. fra le tante, TAR Lazio, sez. II-quater, 07.06.2010, n. 15939, con la giurisprudenza ivi richiamata).
Nel caso di specie, la richiesta di proroga è stata giustificata dai ricorrenti attraverso il richiamo sia alla situazione di crisi del settore dell’edilizia, sia alla controversia che oppone i ricorrenti stessi al il Comune di Milano e relativa alla determinazione del contributo concessorio inerente al permesso di costruire di cui alla presente causa (cfr. docc. 18 e 19 dei ricorrenti per le istanze di proroga).
Orbene, reputa il Collegio che nessuna delle due circostanze suindicate possa costituire un “fatto sopravvenuto”, idoneo a giustificare la proroga ai sensi dell’art. 15 del Testo Unico dell’edilizia.
La crisi del settore edile, collegata alla difficile congiuntura economica italiana, appare una circostanza estremamente generica, non idonea di per sé ad impedire in maniera assoluta la possibilità di edificazione legata al permesso di costruire ottenuto dagli esponenti.
D’altronde, se il mero richiamo alla situazione economica generale –e a quella del settore edile in particolare- potesse costituire una oggettiva ragione per la proroga dei termini dei titoli edilizi, si potrebbe giungere alla paradossale conclusione che in relazione a qualsivoglia intervento potrebbero essere disposte proroghe, nell’attesa di un -non ben precisato ed identificato- momento di ripresa economica generale.
In ordine all’altra ragione posta a fondamento della domanda di proroga, effettivamente è in corso un contenzioso fra i ricorrenti ed il Comune di Milano, legato all’esatta determinazione dei contributi concessori relativi al permesso di costruire di cui è causa, n. 137/2008.
Il ricorso promosso dagli esponenti per l’esatta determinazione del contributo suddetto è stato respinto dal TAR Lombardia, sez. II, con sentenza n. 4455/2009, che ha così confermato la correttezza della quantificazione del contributo effettuata dall’Amministrazione nel permesso di costruire (cfr. doc. 20 dei ricorrenti per il testo della sentenza).
Contro tale sentenza è stato proposto appello al Consiglio di Stato, tuttora pendente, senza domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza (cfr. il documento dei ricorrenti, allegato ai motivi aggiunti depositati il 17.06.2011), sicché quest’ultima deve ritenersi produttiva dei propri effetti giuridici.
Tuttavia, non si comprende perché l’esistenza del contenzioso di cui è causa –attualmente in grado d’appello- possa costituire una circostanza oggettivamente ostativa alla realizzazione dell’intervento edilizio, che può comunque essere effettuato, in attesa della definitiva determinazione del contributo concessorio.
Le ragioni per la proroga addotte degli esponenti attengono –a ben vedere- a valutazioni di opportunità e di convenienza economica dell’intervento, ma non costituiscono assoluti impedimenti ad edificare.
Il provvedimento comunale impugnato coi motivi aggiunti (cfr. doc. 4 del resistente), dà atto di quanto sopra esposto, con motivazione congrua ed analitica, indubbiamente più ampia ed esaustiva rispetto alla scarna motivazione del primo diniego di proroga, gravato col ricorso principale.
Neppure può ritenersi violata, da parte del Comune, l’ordinanza cautelare della Sezione n. 1250/2009, la quale aveva fatto salvo il potere dell’Amministrazione di pronunciarsi nuovamente –ancorché motivatamente– sull’istanza di proroga (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 21.02.2012 n. 580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2011

EDILIZIA PRIVATALa proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado, perché modifica, solo parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario e, nello specifico, in materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia (e, peraltro, la proroga può essere disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale che in termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni che la giustificano).
In materia edilizia, le norme sulla proroga dei termini previsti per la realizzazione di interventi soggetti a permesso di costruire di cui all'articolo 15 sono, peraltro, di stretta interpretazione, rappresentando le stesse una deroga alla disciplina generale dettata al fine di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più.
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L'inizio dei lavori, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, DPR 380/2001, deve intendersi riferito a concreti lavori edilizi; pertanto, i lavori debbono ritenersi "iniziati" quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici (e sarebbe illegittimo un provvedimento di decadenza ai sensi del comma 4 laddove non sia preceduto da una rigorosa istruttoria volta a comprovare in modo inequivoco che i lavori non siano effettivamente già iniziati al momento dell'entrata in vigore della nuova disposizione urbanistica).
Il termine per l'inizio dei lavori deve farsi decorrere non dalla semplice emanazione del permesso di costruire, bensì dalla materiale consegna dell'atto al destinatario, o comunque da un momento non anteriore a quello in cui l'interessato stesso sia stato posto in condizione di conoscere l'avvenuta emanazione del permesso.
La scadenza del termine apposto all'autorizzazione edilizia per l'avvio (e l’ultimazione) dei lavori, riferendosi soltanto alle modalità cronologiche di esercizio di una facoltà del destinatario, non determina, automaticamente, la cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce soltanto il presupposto per l'accertamento eventuale della decadenza dall'autorizzazione edilizia; con la conseguenza che, ove la richiesta di proroga del termine sia proposta anteriormente alla scadenza del termine, legittimamente tale termine viene prorogato dalla pubblica amministrazione attraverso una motivazione "per relationem" al provvedimento originario, considerato che nei provvedimenti ampliativi della sfera giuridica di un soggetto determinato, qualora non emerga, con immediatezza, la presenza di soggetti controinteressati, non è necessaria una motivazione particolarmente ampia e complessa.
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La proroga del termine triennale di ultimazione dei lavori dalla data di rilascio della concessione edilizia può avvenire solo in presenza di fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione, l'onere della cui sussistenza incombe esclusivamente sul richiedente la proroga stessa.
I detti fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell'articolo 15, comma 2, dpr 380/2001, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio (e, al riguardo, si ritiene che la presentazione della domanda di variante in corso d'opera non può essere configurata di per sé come fatto estraneo alla volontà del titolare della concessione edilizia e, pertanto come causa di forza maggiore idonea a giustificare la proroga del termine di ultimazione dei lavori).
Nel caso in cui l'amministrazione sia a conoscenza di eventi che hanno impedito al titolare della concessione edilizia di ultimare i lavori, la stessa non può adottare un provvedimento di decadenza della concessione, trovando applicazione, anche senza richiesta del concessionario, la proroga del termine per la ultimazione dei lavori per fatti estranei alla volontà del concessionario che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione.
In presenza di una tempestiva istanza di proroga che non contenga la puntuale indicazione dei fatti sopravvenuti non imputabili sulla base dei quali sia stata formulata la richiesta, nel caso in cui l’amministrazione sia comunque a conoscenza piena ed effettiva dei detti fatti, legittimamente la stessa possa provvedere a concedere la richiesta proroga del termine di ultimazione dei lavori edilizi.

Il richiamato articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato “Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire”, dispone testualmente che “1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.
2. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari. …
”.
La proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado, perché modifica, solo parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario (cfr. sul punto Consiglio di Stato, sez. V, 18.09.2008, n. 4498) e, nello specifico, in materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia (e, peraltro, la proroga può essere disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale che in termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni che la giustificano) (cfr. da ultimo, TAR Abruzzo-L'Aquila, sez. I, 02.07.2008, n. 863); in materia edilizia, le norme sulla proroga dei termini previsti per la realizzazione di interventi soggetti a permesso di costruire di cui all'articolo 15 sono, peraltro, di stretta interpretazione, rappresentando le stesse una deroga alla disciplina generale dettata al fine di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più.
Per quanto attiene ai termini di cui sopra –poiché il termine triennale di ultimazione dei lavori decorre per espresso disposto normativo dalla data di inizio dei lavori-, si premette che, l'inizio dei lavori, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, deve intendersi riferito a concreti lavori edilizi; pertanto, i lavori debbono ritenersi "iniziati" quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici (e sarebbe illegittimo un provvedimento di decadenza ai sensi del comma 4 laddove non sia preceduto da una rigorosa istruttoria volta a comprovare in modo inequivoco che i lavori non siano effettivamente già iniziati al momento dell'entrata in vigore della nuova disposizione urbanistica) e che il senso della disposizione va ricostruito in conformità con i principi generali dell'ordinamento, con particolare riferimento a quelli di efficacia, pubblicità e trasparenza sanciti dalla legge n. 241 del 1990 e che, pertanto, in forza di tali principi, non pare discutibile che il termine per l'inizio dei lavori debba farsi decorrere non dalla semplice emanazione del permesso di costruire, bensì dalla materiale consegna dell'atto al destinatario, o comunque da un momento non anteriore a quello in cui l'interessato stesso sia stato posto in condizione di conoscere l'avvenuta emanazione del permesso (TAR Liguria-Genova, sez. I, 17.02.2011, n. 322; TAR Sicilia-Palermo, sez. II, 01.02.2011, n. 181).
La scadenza del termine apposto all'autorizzazione edilizia per l'avvio (e l’ultimazione) dei lavori, riferendosi soltanto alle modalità cronologiche di esercizio di una facoltà del destinatario, non determina, automaticamente, la cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce soltanto il presupposto per l'accertamento eventuale della decadenza dall'autorizzazione edilizia; con la conseguenza che, ove la richiesta di proroga del termine sia proposta anteriormente alla scadenza del termine, legittimamente tale termine viene prorogato dalla pubblica amministrazione attraverso una motivazione "per relationem" al provvedimento originario, considerato che nei provvedimenti ampliativi della sfera giuridica di un soggetto determinato, qualora non emerga, con immediatezza, la presenza di soggetti controinteressati, non è necessaria una motivazione particolarmente ampia e complessa (Consiglio di Stato, sez. V, 18.09.2008, n. 4498).
La decadenza disciplinata dall'articolo 15 consegue all'inerzia dell'interessato; e, tuttavia, per l’appunto questa deve essere esclusa se venga rappresentata la sussistenza di fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi del comma 2 dello stesso articolo 15 e queste siano oggetto di valutazione e verifica in sede amministrativa.
La proroga del termine triennale di ultimazione dei lavori dalla data di rilascio della concessione edilizia può avvenire tuttavia solo in presenza di fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione, l'onere della cui sussistenza incombe esclusivamente sul richiedente la proroga stessa.
I detti fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell'articolo 15, comma 2, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio (Consiglio di Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423) (e, al riguardo, si ritiene che la presentazione della domanda di variante in corso d'opera non può essere configurata di per sé come fatto estraneo alla volontà del titolare della concessione edilizia e, pertanto come causa di forza maggiore idonea a giustificare la proroga del termine di ultimazione dei lavori).
Peraltro, secondo un orientamento in materia, nel caso in cui l'amministrazione sia a conoscenza di eventi che hanno impedito al titolare della concessione edilizia di ultimare i lavori, la stessa non può adottare un provvedimento di decadenza della concessione, trovando applicazione, anche senza richiesta del concessionario, la proroga del termine per la ultimazione dei lavori per fatti estranei alla volontà del concessionario che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione (TAR Calabria-Reggio Calabria, sez. I, 20.04.2010, n. 420 e TAR Sicilia-Palermo, sez. III, 19.02.2007, n. 560); senza necessariamente dovere giungere a condividere le predette conclusioni, tuttavia, può fondatamente ritenersi che, in presenza di una tempestiva istanza di proroga che non contenga la puntuale indicazione dei fatti sopravvenuti non imputabili sulla base dei quali sia stata formulata la richiesta, nel caso in cui l’amministrazione sia comunque a conoscenza piena ed effettiva dei detti fatti, legittimamente la stessa possa provvedere a concedere la richiesta proroga del termine di ultimazione dei lavori edilizi
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 06.12.2011 n. 9600 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2011

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire e completamento delle opere.
Ai sensi dell'art. 15, comma 2, del DPR n. 380/2001 la proroga del permesso di costruire, che può essere disposta (“per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso”) e per le ragioni indicate nell'ultima parte del predetto comma: (“esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive .... ”), riguarda la mera esecuzione dei lavori già approvati e non implica alcun controllo sulla legittimità complessiva del progetto di intervento edilizio, che non può essere modificato nel suo contenuto con Patto di proroga.
Ben diverso è il permesso di costruire rilasciato ai sensi dell'art. 15, comma 3, del DPR n. 380/2001 per consentire il completamento delle opere, nell'ipotesi di mancata ultimazione dell'intervento edilizio nei termini stabiliti dall'originario permesso di costruire ovvero nel termine eventualmente prorogato.
E' evidente, infatti, che, salva l'ipotesi di lavori realizzabili in base a denuncia di inizio attività, si tratta di un provvedimento adottato a seguito della integrale rivalutazione del progetto dell'opera e della sua conformità agli strumenti urbanistici, mentre è in re ipsa che il nuovo permesso di costruire può prevedere sia la mera assegnazione di un nuovo termine per la prosecuzione dei lavori, consentendo il completamento delle opere non ancora realizzate, sia apportare modifiche al progetto originario (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.11.2011 n. 41451 - tratto da www.lexambiente.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: I fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori, della concessione edilizia, ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio.
In tema di efficacia della concessione edilizia, il termine di tre anni stabilito dall'art. 4, comma 4, l. 28.01.1977, n. 10, per l'ultimazione dei lavori di costruzione è perentorio e, come tale, non tollera interruzioni o sospensioni.

La giurisprudenza ha affermato che “i fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio” (Cons. di St., IV, 10.08.2007, n. 4423).
Nello stesso senso è del resto anche la giurisprudenza penale: “in tema di efficacia della concessione edilizia, il termine di tre anni stabilito dall'art. 4, comma 4, l. 28.01.1977, n. 10, per l'ultimazione dei lavori di costruzione è perentorio e, come tale, non tollera interruzioni o sospensioni. In relazione all'insorgenza di fatti estranei alla volontà del concessionario e non imputabili a sua colpa, la legge, invero, consente di poter fruire di un più lungo periodo, ma soltanto a condizione che ci si avvalga delle procedure a tale scopo predisposte dai commi 4 e 5 del succitato art. 4 (che prevedono la richiesta di un provvedimento di proroga della concessione edilizia, ovvero di una nuova concessione per la parte non ultimata)” (Cass. Pen., 25.03.1993) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 5569 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non può essere accordata alcuna proroga del permesso di costruire in relazione a ritardi dovuti ad un contenzioso causato da un’opera abusiva (riconosciuta tale da una sentenza del Tar non sospesa dal Consiglio di Stato).
Si ha proroga della concessione edilizia (ora permesso di costruire) solo qualora nel corso dell'esecuzione dei lavori si siano verificati dei fatti non imputabili al titolare della concessione, che abbiano ritardato i suddetti lavori, onde non far ricadere sul soggetto incolpevole dei fatti a lui non attribuibili.

I ritardi dovuti ad un contenzioso causato da un’opera abusiva (riconosciuta tale da una sentenza del Tar non sospesa dal Consiglio di Stato), non consentono il rilascio di alcuna proroga del permesso di costruire.
Alla luce di ciò risulta corretto il diniego operato dal Comune dato che, in materia edilizia, le norme sulla proroga dei termini previsti per la realizzazione di interventi soggetti a permesso di costruire di cui all'art. 15 del DPR n. 380 del 2001 sono di stretta interpretazione, rappresentando le stesse una deroga alla disciplina generale dettata al fine di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più (Cass. penale 19.03.2008 n. 19101).
Si ha infatti proroga della concessione edilizia solo qualora, ferma restando la capacità edificatoria dell'area interessata, nel corso dell'esecuzione dei lavori si siano verificati dei fatti non imputabili al titolare della concessione, che abbiano ritardato i suddetti lavori, onde non far ricadere sul soggetto incolpevole dei fatti a lui non attribuibili (TAR Milano 08.03.2007 n. 372).
Risulta quindi condivisibile il diniego opposto dal Comune di Acqualagna, considerato che, in tutta evidenza, la vicenda contenziosa relativa ad un abuso edilizio, che ha tra l’altro visto la ricorrente, finora, soccombente in giudizio, non può certo integrare un ritardo “non imputabile” alla ricorrente, per cui il Comune correttamente ha negato la proroga ex art. 15 DPR 380/2001 e ha, successivamente, rilasciato un nuovo permesso di costruire.
Alla luce di ciò la proroga non poteva essere rilasciata fin dall’inizio, appunto perché non vi era stato alcuno degli “impedimenti” previsti dall’art. 15 del DPR 380/2001, considerato che l’impedimento è stato originato dall’abuso commesso dal ricorrente e dalla successiva vicenda contenziosa.
Quindi il diniego opposto dal Comune è giustificato, dato che, quando un provvedimento negativo è fondato su più ragioni, la conformità a legge di una sola di esse è sufficiente a giustificarlo (Cds Sez. IV 10.12.2007, n. 6325, Tar Genova 26.11.2008 n. 2041) (TAR Marche, sentenza 20.04.2010 n. 193 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: In merito alla richiesta di proroga del termine di ultimazione lavori di rilasciata concessione edilizia, per il legislatore i "fatti sopravvenuti" -che ne motivano la richiesta- non hanno un rilievo automatico, ma costituiscono oggetto di valutazione in sede amministrativa quando l'interessato proponga una domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile purché non vi sia la pronuncia di decadenza.
L’art. 4, 4° comma, della legge 28.01.1977 n. 10 (riproduttivo di un principio desumibile già dall'art. 31 della legge n. 1150 del 1942 e ripreso poi dal vigente art.15, comma 2, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380), prevede che il termine di compimento dei lavori "non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione".
Per il legislatore, tali "fatti sopravvenuti" (che possono consistere nel “factum principis” o in altri casi di “forza maggiore”) non hanno un rilievo automatico, ma costituiscono oggetto di valutazione in sede amministrativa quando l'interessato proponga una domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile purché non vi sia la pronuncia di decadenza.
Invero, occorre che la perdita di efficacia della concessione edilizia per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti debba essere accertata con un atto di natura ricognitiva avente effetti “ex tunc” e, quindi, debba essere formalmente dichiarata, anche ai fini del contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e diritto, legittimanti la declaratoria di decadenza (ex plurimis: Cons. Stato Sez. IV 29.01.2008 n. 249): "è, infatti, inammissibile la domanda di accertamento della decadenza della concessione edilizia, in relazione alla quale l'interessato può solo sollecitare l'esercizio del relativo potere da parte del comune, mediante apposita istanza ad agire e, in caso di sua inerzia, con lo strumento del silenzio rifiuto" (conf.: Tar Latina, 13.06.2006, n. 375).
Ne consegue che, nel caso di specie, non essendo intervenuto alcun provvedimento di decadenza dell’originaria concessione edilizia del 1991/1993, non possono trovare ingresso nel presente giudizio le considerazioni svolte dalla ricorrente, in qualche modo incentrate su una sorta di “decadenza implicita” od “automatica”, della quale si postula l’accertamento da parte di questo giudice.
Comunque, al riguardo, non risultano destituite di fondamento le repliche svolte dalla difesa del Comune, intese a dimostrare, in sostanza, che, al di là del nomen juris, l’impugnato concessione edilizia ha natura e funzione autonoma, non soltanto perché concerne un’opera diversa e dotata di una sua autonomia strutturale (porticato), rispetto alla concessione edilizia del 1991/1993 (avente ad oggetto la costruzione del fabbricato cui accede), ma anche perché prevede autonomi termini di inizio e completamento lavori nonché la corresponsione di ulteriori oneri concessori (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 20.10.2009 n. 1116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa semplice difficoltà tecnico/economica non giustifica la richiesta di proroga del termine triennale entro cui terminare i lavori della concessione edilizia.
Per accordare al concessionario una proroga del termine triennale di ultimazione dei lavori, il Collegio richiama la consolidata giurisprudenza che individua come ragione giustificativa del mancato rispetto del termine esclusivamente fatti estranei alla sfera personale del concessionario (cfr. Cons. Stato, IV, 1738/2005), quali il factum principis o la forza maggiore (Tar Genova, 1200/2007), con la conseguenza che –in mancanza di tali eventi– la pronuncia di decadenza si atteggia ad atto vincolato basato su un mero accertamento oggettivo (Tar Lazio Roma, 13996/2004).
Fatta questa premessa, non può assurgere al rango di “fatto sopravvenuto estraneo alla volontà del concessionario” la semplice difficoltà tecnico/economica adombrata da parte ricorrente nell’istanza di proroga, laddove si fa riferimento alla avvenuta “liquidazione” (per non meglio chiarite ragioni) di una società affiliata al Consorzio incaricata della coesecuzione dei lavori.
Infatti, la richiamata “liquidazione” –pur se sopravvenuta– non rientra nel novero dei fatti estranei alla “sfera di governo” della ricorrente, che ben avrebbe potuto invece adoperarsi per assumere in toto la gestione del cantiere o per trovare un impresa sostitutiva.
In proposito, si richiama una decisione di questo Tar (n. 1494/2003) con la quale è stato espressamente escluso che il fallimento della società concessionaria (evento, per certi versi simile a quello dedotto dall’odierna ricorrente) possa costituire evento valutabile ai fini della proroga del termini ex art. 36, co. 12, L.R. 71/1978 (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 15.09.2009 n. 1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Regolamentazione volume edifici. Ampliamento edifici. Proroga lavori. Agibilità.
Il Comune richiedente pone una serie di quesiti in materia edilizia e precisamente:
1) In materia di volume degli edifici; 2) In materia di ampliamento degli edifici; 3) In materia di “proroga dei lavori”; 4) Agibilità (Regione Piemonte, parere n. 142/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATASulla proroga del permesso di costruire.
In una prospettiva generale, la “proroga” indica la modifica della durata di un termine avente rilevanza giuridica. Nella sua comune accezione, quindi, la “proroga” definisce sia l’effetto di mutamento del termine, sia l’atto che produce l’indicata conseguenza giuridica.
Sul piano effettuale, limitando l’indagine al solo campo dell’attività amministrativa, la proroga può riferirsi, in senso ampio, al termine di efficacia del provvedimento. Ma può riguardare anche soltanto specifici effetti del provvedimento, modificando il solo termine per l’esercizio di una facoltà o per l’adempimento di un obbligo del destinatario. Ancora, la proroga può riferirsi puntualmente, ai soli termini, iniziali o finali, per l’attuazione di un potere pubblicistico, destinato ad incidere sfavorevolmente, nella sfera giuridica di un soggetto privato.
La proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica del “provvedimento di secondo grado”, perché modifica, solo parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario.
Per il suo carattere parziale e limitato, la proroga non richiede una rinnovata valutazione di tutti gli elementi istruttori posti a base dell’originario provvedimento, né esige la ripetizione di tutte le tappe procedimentali che hanno condotto all’adozione dell’atto modificato.
I presupposti per l’adozione dell’atto di proroga sono definiti, talvolta, da specifiche disposizioni di settore. In mancanza, essi sono riconducibili ai principi generali dell’attività amministrativa.
Fra questi criteri comuni, si colloca anche la regola generale secondo la quale la proroga –e la correlata semplificazione procedimentale e istruttoria- è riferibile soltanto ai provvedimenti ad “efficacia durevole” e presuppone che gli effetti del provvedimento originario non siano definitivamente esauriti.
Dopo la cessazione degli effetti dell’atto, l’amministrazione potrebbe sempre ravvisare l’opportunità di adottare una determinazione di contenuto identico, destinata a produrre effetti in un diverso e successivo ambito temporale. In tali eventualità, però, si tratterebbe della “rinnovazione” del provvedimento originario, caratterizzata dalla necessaria ripetizione di tutte le fasi procedimentali e dalla completa rivalutazione di tutte le circostanze di fatto e di diritto rilevanti, attuata mediante un’adeguata ponderazione dei diversi interessi pubblici e privati coinvolti.
Secondo un condivisibile indirizzo interpretativo, poi, per disporre la decadenza, è necessario accertare che non sussistano cause impeditive del puntuale rispetto del termine. In presenza di comprovate ragioni oggettive, la decadenza sarebbe illegittima e l’interessato avrebbe titolo ad ottenere la proroga del termine, anche se la richiesta intervenga in epoca successiva alla scadenza del termine originario.
Pertanto, può essere richiamata la puntuale previsione dell’articolo 15 del testo unico dell’edilizia (chiara espressione di un principio generale), il quale prevede che il permesso di costruire decade di diritto in caso di inutile decorso del termine assegnato, a meno che, prima della scadenza, l’interessato richieda la proroga del termine.
La norma, pur non essendo direttamente applicabile alla presente fattispecie, per ragioni di diritto intertemporale, indica una regola di portata più ampia, utile per risolvere la presente controversia. Non va trascurato, del resto, che il testo unico dell’edilizia costituisce l’esito di un’operazione di riordino e razionalizzazione, procedimentale e formale, delle disposizioni vigenti. Pertanto, la diversa formulazione letterale delle norme, riflette la corretta interpretazione di regole preesistenti
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.09.2008 n. 4498 - link a www.giustizia-amministrativa).

EDILIZIA PRIVATAEfficacia temporale del permesso di costruire.
L'istituto della proroga del permesso di costruire non è più applicabile quando sia sopravvenuta una disciplina urbanistica incompatibile con l'intervento assentito. In tal caso, infatti, l'interesse urbanistico è considerato prevalente rispetto all'interesse privato a portare a termine l'intervento, che non sia stato completato nel termine triennale anche per causa indipendente dalla volontà del titolare del permesso (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.05.2008 n. 19101 - link a www.lexambiente.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA: Sulla proroga della validità del permesso di costruire.
Per pacifica giurisprudenza, la proroga presuppone che non sia intervenuta la scadenza del provvedimento prolungato, in quanto l’esercizio del potere di proroga produce effetti di ordine puramente temporale, essendo inteso a pro-trarre nel tempo, posticipandolo ad un momento successivo, il termine finale di un provvedimento ad efficacia durevole.
Ne consegue, secondo la medesima giurisprudenza, la necessità che il termine sia prorogato con un provvedimento discrezionale dell’Autorità amministrativa competente assunto anteriormente alla sua scadenza, a pena di inesistenza dello stesso (Cass. 26.02.1983, n.1464; Consiglio di Stato VI sez., 26.02.1983 n. 1464, IV sez. n. 954 del 28.10.1993).
In definitiva, la proroga di un atto non può ammettersi qualora l’atto originario sia scaduto: essa è possibile solo se sopraggiunga prima della scadenza del termine, poiché –quale atto avente l’effetto di estendere il termine di efficacia di un provvedimento amministrativo- deve a questo collegarsi senza vuoti temporali ed intervenire dunque nella vigenza ed efficacia dell’atto su cui si salda, costituendo con questo un unicum temporale (Consiglio di Stato sez. VI, n. 3349 del 21.06.2001).
Una volta scaduto il termine l’efficacia del provvedimento non può essere prorogata e per l’eventuale continuazione del rapporto occorre procedere all’adozione di un nuovo provvedimento secondo la tecnica della rinnovazione degli atti giuridici.
Applicando i suddetti consolidati principi giurisprudenziali, in buona sostanza, è indispensabile che non vi sia soluzione di continuità tra il termine originario e quello differito, in quanto altrimenti il periodo di proroga, non essendo più soggetto a data certa, potrebbe essere arbitrariamente dilazionato
(TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 18.10.2007 n. 9665 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’adozione di un nuovo strumento urbanistico non può incidere sulla pretesa del titolare della concessione edilizia ad ottenerne la proroga ex art. 4 l. 10/1977 giacché l’opposta tesi, la quale considera la proroga assoggettabile alla normativa sopravvenuta, non tiene conto dell’eccezionalità del rimedio previsto dall’art. 4 della l. n. 10 cit. rispetto al diverso istituto del rinnovo della concessione scaduta.
Nel caso in cui il provvedimento di proroga della concessione edilizia viene richiesto dopo nuove previsioni dello strumento urbanistico, queste non possono di regola interferire su detta richiesta, alla luce del principio di irretroattività dell’atto amministrativo, né si può applicare l’istituto della salvaguardia, poiché ai fini della proroga la normativa sopravvenuta resta irrilevante, non potendo essa incidere su degli atti validi ed efficaci al momento della sua entrata in vigore.
Il procedimento di rilascio della proroga della concessione ha natura vincolata, essendo il rilascio stesso condizionato all’accertamento della ricorrenza dei relativi presupposti: ciò, sul rilievo che la proroga è atto sfornito di una propria autonomia, che accede all’originaria concessione ed opera soltanto lo spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia, con il corollario, dunque, che dalla natura vincolata del procedimento di rilascio della concessione edilizia non potrebbe non farsi discendere la vincolatività del procedimento di rilascio della proroga di essa.

La giurisprudenza ha chiarito che l’adozione di un nuovo strumento urbanistico non può incidere sulla pretesa del titolare della concessione edilizia ad ottenerne la proroga ex art. 4 cit., giacché l’opposta tesi, la quale considera la proroga assoggettabile alla normativa sopravvenuta, non tiene conto dell’eccezionalità del rimedio previsto dall’art. 4 della l. n. 10 cit. rispetto al diverso istituto del rinnovo della concessione scaduta (TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 08.04.2005, n. 1979).
Invero, nel caso in cui il provvedimento di proroga della concessione edilizia viene richiesto dopo nuove previsioni dello strumento urbanistico, queste non possono di regola interferire su detta richiesta, alla luce del principio di irretroattività dell’atto amministrativo, né si può applicare l’istituto della salvaguardia, poiché ai fini della proroga la normativa sopravvenuta resta irrilevante, non potendo essa incidere su degli atti validi ed efficaci al momento della sua entrata in vigore (TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 03.07.2001, n. 1308).
Al Collegio non sfugge l’utilizzo, nell’art. 4, quarto comma, della l. n. 10/1977, del verbo “potere” a proposito dell’ottenimento della proroga (“…il termine di ultimazione….può essere prorogato…”), cioè del verbo che contraddistingue, nel linguaggio legislativo, la presenza di un potere discrezionale della P.A., né il Collegio ignora che, alla stregua di un orientamento giurisprudenziale, il potere del Comune di valutare la presenza o meno dei requisiti per accordare la proroga avrebbe natura discrezionale (C.d.S., Sez. V, 17.01.2000, n. 283). A tale stregua, non sarebbe quindi applicabile alla fattispecie de qua l’art. 21-octies, comma 2, prima parte, della l. n. 241/1990, che concerne la sola attività vincolata della Pubblica Amministrazione.
In contrario, ritiene tuttavia il Collegio che il procedimento di rilascio della proroga della concessione abbia natura vincolata, essendo il rilascio stesso condizionato all’accertamento della ricorrenza dei relativi presupposti: ciò, sul rilievo che la proroga è atto sfornito di una propria autonomia, che accede all’originaria concessione ed opera soltanto lo spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia (TAR Puglia, Lecce, n. 1979/2005, cit.), con il corollario, dunque, che dalla natura vincolata del procedimento di rilascio della concessione edilizia non potrebbe non farsi discendere la vincolatività del procedimento di rilascio della proroga di essa.
Se ne deduce l’applicabilità, al caso in esame, dell’art. 21-octies, comma 2, prima parte, cit., e quindi la non annullabilità del diniego gravato, tenuto conto:
- della natura vincolata del procedimento di proroga;
- della riconducibilità dei vizi di motivazione alla categoria dei vizi formali ex art. 21-octies cit., e del conseguente potere, in capo al giudice, di analizzare anche profili motivazionali non esplicitati nell’originario provvedimento amministrativo, ma esternati, ad integrazione della motivazione ed in ordine ad elementi già preesistenti, anche in un momento successivo e per opera di un soggetto diverso, ossia del difensore della P.A. (cfr. TAR Sardegna, n. 476/2006, cit.);
- della circostanza che, come già evidenziato, nel caso di specie è palese che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.03.2007 n. 372 - link a www.giustizia-amministrativa.it).