dossier AGIBILITA' |
art. 24 D.P.R. 06.06.2001 n. 380
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anno 2023 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il rilascio del certificato di
abitabilità previsto dall'art. 221 t.u. 27.07.1934 n.
1265 presuppone l'accertamento dell'inesistenza di cause di
insalubrità dell'edificio senza alcun collegamento col
conseguimento di fini di carattere edilizio-urbanistico.
Pertanto, il rilascio di tale certificato non incide sul
potere (...) di reprimere gli abusi edilizi eventualmente
commessi nella realizzazione del fabbricato dichiarato
abitabile.
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Alcun rilievo riveste la circostanza che fosse intervenuto
il rilascio del certificato di abitabilità posto che, come
già chiarito dalla Sezione, «"il rilascio del certificato di
abitabilità previsto dall'art. 221 t.u. 27.07.1934 n.
1265 presuppone l'accertamento dell'inesistenza di cause di
insalubrità dell'edificio senza alcun collegamento col
conseguimento di fini di carattere edilizio-urbanistico;
pertanto, il rilascio di tale certificato non incide sul
potere (...) di reprimere gli abusi edilizi eventualmente
commessi nella realizzazione del fabbricato dichiarato
abitabile" (cfr., in termini e da ultimo, Cons. Stato, Sez.
VI, 20.01.2022 n. 372)» (Cons. Stato, Sez. VI, 17.10.2022, n. 8811) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 13.06.2023 n. 5811 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
Corte costituzionale individua la natura e l’ambito
applicativo dell’art. 9-bis t.u. edilizia nella parte in cui
definisce lo stato legittimo degli immobili.
La Corte costituzionale ha ritenuto sussistente il contrasto
dell’art. 93-bis, comma 1, della legge reg. Veneto n. 61 del
1985 rispetto all’art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia, là
dove, con riferimento a fattispecie per le quali la norma
statale richiede il titolo abilitativo edilizio, affida la
dimostrazione dello stato legittimo dell’immobile al ben
diverso documento costituito dal certificato di abitabilità
o di agibilità.
In particolare, se è certamente vero che, in base all’art.
221 del r.d. n. 1265 del 1934 (vigente nel periodo cui si
riferisce la disposizione regionale), tale certificato
doveva essere rilasciato solo dopo aver verificato che la
costruzione fosse stata eseguita in conformità al progetto
approvato, nondimeno, questo non giustifica che tale
documento possa surrogarsi al titolo abilitativo edilizio.
Come più volte ha osservato la giurisprudenza
amministrativa, la conformità edilizio-urbanistica
costituisce presupposto indispensabile per il legittimo
rilascio del certificato che oggi si definisce di agibilità,
ma «tale considerazione non può […] essere
strumentalmente piegata a ragionamenti del tutto speculativi
e sillogistici al fine di affermare che il rilascio dei
certificati di agibilità implica un giudizio (presupposto ed
implicito) circa la natura non abusiva delle opere».
«[S]emmai, all’inverso, l’interprete si dovrebbe
interrogare sulla legittimità di tali certificati, non già
desumere dal rilascio di essi una qualità –la conformità
edilizio-urbanistica– da essi indipendente e anzi
presupposta» (Cons. Stato, sez. IV, 02.05.2017, n. 1996). E,
infatti, «non v’è necessaria identità di “disciplina” tra
titolo abilitativo edilizio e certificato di agibilità», che
«sono collegati a presupposti diversi e danno vita a
conseguenze disciplinari non sovrapponibili».
In particolare, «il certificato di agibilità ha la
funzione di accertare che l’immobile al quale si riferisce è
stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti
in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti (come
espressamente recita l’art. 24 del testo unico
dell’edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed
urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo
edilizio. Il che comporta che i diversi piani ben possano
convivere sia nella forma fisiologica della conformità
dell’edificio ad entrambe le tipologie normative, sia in
quella patologica di una loro divergenza» (Cons. Stato,
sez. IV, 26.08.2014, n. 4309; nello stesso senso, sentenze
24.04.2018, n. 2456, 22.03.2014, n. 1220, nonché sez. V,
decisione 04.02.2004, n. 365).
Per tali motivi la Corte costituzionale ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della
Regione Veneto 30.06.2021, n. 19 (Semplificazioni in materia
urbanistica ed edilizia per il rilancio del settore delle
costruzioni e la promozione della rigenerazione urbana e del
contenimento del consumo di suolo – “Veneto cantiere
veloce”), che ha introdotto l’art. 93-bis nella legge
della Regione Veneto 27.06.1985, n. 61 (Norme per l’assetto
e l’uso del territorio) (Corte Costituzionale,
sentenza 21.10.2022 n. 217 - commento tratto da
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: P.
Tonalini,
Agibilità dei fabbricati (commento a Corte di Cassazione, Sez. II civile,
ordinanza 05.08.2022 n. 24317)
(settembre 2022 - link a www.tonalini.it).
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Il certificato di agibilità è stato sostituito dalla segnalazione
certificata di agibilità a partire dall’11.12.2016.
La sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate
secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell’opera
al progetto presentato e la sua agibilità, sono oggi attestati da un
professionista mediante la “segnalazione certificata di agibilità” (art. 24
del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, come sostituito dall'art. 3, comma 1, lett.
i), del d.lgs. 25.11.2016, n. 222).
La novità sostanziale consiste nell’assunzione di responsabilità da parte
del professionista, tenuto ad attestare la sussistenza dei requisiti di
legge.
Il titolare del permesso di costruire, o chi ha presentato la segnalazione
certificata di inizio di attività, deve presentare la segnalazione
certificata di agibilità allo sportello unico per l’edilizia del Comune
competente, entro 15 giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura. La
domanda può essere presentata anche dai successori o aventi causa, quindi
non solo dal costruttore ma anche dall’acquirente del fabbricato. (...continua). |
EDILIZIA PRIVATA: Sebbene
il permesso di costruire ed il certificato di agibilità
svolgano effettivamente funzioni differenti, mirando alla
tutela di beni giuridici non coincidenti -il certificato di
agibilità, in particolare, ha la funzione di accertare la
realizzazione dell'immobile secondo le norme tecniche
vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre
il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del
rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche- il
certificato di agibilità presuppone, comunque, la conformità
delle opere realizzate al titolo edilizio abilitativo.
Invero, “L'agibilità dei manufatti o dei locali dove si
intende svolgere un'attività commerciale, ad esempio,
rappresenta il necessario ponte di collegamento fra la
situazione urbanistico-edilizia e quella commerciale nel
senso che la non conformità dei locali per il versante
urbanistico-edilizio si traduce nella loro non agibilità
anche sul versante commerciale. All'inverso, ai fini
dell'agibilità, è necessario che il manufatto o il locale
sia assistito dallo specifico titolo edilizio abilitativo e,
più in generale, che lo stesso non rivesta carattere
abusivo, esigendosi, in tal modo, una corrispondenza
biunivoca tra conformità urbanistica dei beni ospitanti
l'attività commerciale e l'agibilità degli stessi”.
In
definitiva, deve ritenersi che la conformità tra le opere
realizzate e il titolo edilizio abilitativo:
- ove erroneamente affermata in sede di rilascio del
certificato di agibilità, anziché determinare una
preclusione del potere di vigilanza in materia urbanistica
ed edilizia -foriera di un’inammissibile sanatoria di opere
abusive- non impedisca futuri interventi repressivi in
relazione ad opere che dovessero risultare non regolarmente
assentite;
- ove correttamente esclusa nell’esaminare l’istanza di
parte, tendente al rilascio del certificato di agibilità,
impedisca il suo accoglimento, difettando un presupposto del
provvedere, non potendosi dichiarare agibili immobili
abusivi.
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7. Con il primo motivo di impugnazione è censurato il
capo decisorio con cui il Tar ha statuito sulla legittimità
del diniego di agibilità.
7.1 Secondo la prospettazione attorea, non vi sarebbe
identità di disciplina tra titolo abilitativo edilizio e
certificato di agibilità, tenuto conto che, da un lato,
non potrebbe opporsi un diniego di agibilità soltanto sulla
base della supposta difformità dell’immobile dal progetto
approvato; dall’altro, il rilascio del certificato di
agibilità non potrebbe impedire l’esercizio del potere
repressivo di abusi edilizi in concreto riscontrati.
In ogni caso, il Tar avrebbe dovuto accertare l’avvenuta
formazione del silenzio-assenso sulla richiesta di parte, ai
sensi di quanto previsto dall’art. 25, comma 4, DPR n.
380/2001 nella formulazione ratione temporis
applicabile nella specie.
Si farebbe questione, inoltre, di struttura sempre in
possesso del nulla osta igienico sanitario, rinnovato anche
per le stagioni 2013, 2014, 2015 e 2016, ad ulteriore
conferma dell’avvenuta formazione del silenzio-assenso.
7.2 Il motivo di appello è infondato.
7.3 L'art. 24 DPR n. 380/2001, nella formulazione ratione
temporis applicabile alla specie, tenuto conto della
data di adozione del provvedimento di diniego impugnato in
prime cure, prevedeva che: "Il certificato di agibilità
attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza,
igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e
degli impianti negli stessi installati, valutate secondo
quanto dispone la normativa vigente". Il successivo art.
25 del medesimo decreto, nell'elencare le declaratorie a
corredo della richiesta, menzionava espressamente la "conformità
dell'opera rispetto al progetto approvato", e, dunque,
la sua regolarità edilizia e, conseguentemente, urbanistica.
Il D.Lgs. 25.11.25.11.2016, n. 222, che ha ricondotto la
certificazione al regime della segnalazione certificata di
inizio attività, ha confermato la rilevanza del requisito
della conformità edilizia ed urbanistica, prevedendo –nel
sostituire l’art. 24DPR n. 380/2001– la "conformità
dell'opera al progetto presentato" tra quanto deve
essere attestato dal tecnico asseverante all'atto della
presentazione della dichiarazione.
Alla stregua del quadro normativo di riferimento, emerge
che, sebbene il permesso di costruire ed il certificato di
agibilità svolgano effettivamente funzioni differenti,
mirando alla tutela di beni giuridici non coincidenti -il
certificato di agibilità, in particolare, ha la funzione di
accertare la realizzazione dell'immobile secondo le norme
tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre
il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del
rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche (Consiglio di
Stato Sez. VI, 29.11.2019, n. 8180)- il certificato di
agibilità presuppone, comunque, la conformità delle opere
realizzate al titolo edilizio abilitativo.
Come precisato da questo Consiglio, “L'agibilità dei
manufatti o dei locali dove si intende svolgere un'attività
commerciale, ad esempio, rappresenta il necessario ponte di
collegamento fra la situazione urbanistico-edilizia e quella
commerciale nel senso che la non conformità dei locali per
il versante urbanistico-edilizio si traduce nella loro non
agibilità anche sul versante commerciale. All'inverso, ai
fini dell'agibilità, è necessario che il manufatto o il
locale sia assistito dallo specifico titolo edilizio
abilitativo e, più in generale, che lo stesso non rivesta
carattere abusivo, esigendosi, in tal modo, una
corrispondenza biunivoca tra conformità urbanistica dei beni
ospitanti l'attività commerciale e l'agibilità degli stessi”
(Consiglio di Stato, sez. II, 17.05.2021, n. 3836).
Ne deriva che l’Amministrazione, in sede di rilascio del
certificato di agibilità, è chiamata a verificare (tra
l’altro) la sussistenza della conformità urbanistica ed
edilizia delle opere oggetto dell’istanza di parte, non
potendo provvedere al suo accoglimento a fronte di beni
abusivi.
Pertanto, sebbene l’accertamento amministrativo sulla
conformità edilizia ed urbanistica del bene sia svolto ai
soli del rilascio del certificato di agibilità –ciò non
impedendo, pertanto, la repressione degli illeciti edilizi
successivamente riscontrati, pure se riguardanti immobili
già dichiarati agibili- non potrebbe sostenersi, come sembra
dedurre l’odierna parte appellante, che, ai fini del
rilascio del certificato di agibilità, sia irrilevante la
conformità urbanistica ed edilizia delle opere in esame,
facendosi comunque questione di un presupposto del
provvedere.
In definitiva, deve ritenersi che la conformità tra le opere
realizzate e il titolo edilizio abilitativo:
- ove erroneamente affermata in sede di rilascio del
certificato di agibilità, anziché determinare una
preclusione del potere di vigilanza in materia urbanistica
ed edilizia -foriera di un’inammissibile sanatoria di opere
abusive- non impedisca futuri interventi repressivi in
relazione ad opere che dovessero risultare non regolarmente
assentite;
- ove correttamente esclusa nell’esaminare l’istanza di
parte, tendente al rilascio del certificato di agibilità,
impedisca il suo accoglimento, difettando un presupposto del
provvedere, non potendosi dichiarare agibili immobili
abusivi.
Nel caso di specie, una volta riscontrata l’abusività delle
opere de quibus, prive di titolo edilizio abilitativo
(anche in sanatoria), l’Amministrazione ha, dunque,
correttamente rigettato l’istanza di parte, difettando un
presupposto necessario per rilascio del certificato di
agibilità (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 02.08.2022 n. 6780 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Alla stregua di
quanto precisato da questo Consiglio in materia di
agibilità, affinché possa decorrere il
termine per la maturazione del silenzio-assenso è necessario
che la domanda presentata sia completa delle indicazioni
previste dal comma 1 del medesimo art. 25 del D.P.R. n. 380
del 2001 (ratione temporis applicabile nella specie),
ovvero, per quanto qui di interesse, della declaratoria di
conformità al progetto edilizio.
Peraltro, l’istituto del silenzio-assenso costituisce uno
strumento di semplificazione amministrativa e non di
liberalizzazione, con la conseguenza che la formazione del
titolo abilitativo per silentium “non si perfeziona con il
mero decorrere del tempo, ma richiede la contestuale
presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti
richiesti dalla legge per l’attribuzione del bene della vita
richiesto, di modo che esso non si configura, ad esempio, in
difetto di completezza della documentazione occorrente.
Il silenzio-assenso, in particolare, non esclude la
necessità di avviare e istruire il procedimento
amministrativo, ma permette soltanto di ricondurre gli
effetti giuridici propri dell’accoglimento dell’istanza di
parte –anziché all’adozione di un atto provvedimentale–
direttamente alla verificazione di taluni presupposti
fattuali, delineati dal legislatore, integrati dalla
presentazione di un’istanza di parte in relazione ad ambiti
di disciplina sottoposti al silenzio-assenso e dalla
condotta inerte tenuta dall’Amministrazione procedente,
tradottasi nella mancata adozione di un provvedimento
espresso entro il termine di conclusione del procedimento.
Pertanto, affinché possa formarsi il silenzio-assenso, non è
sufficiente il mero decorso del tempo dalla presentazione
della domanda senza che sia presa in esame e sia intervenuta
risposta dall'Amministrazione, ma occorre, anche, la
contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i
presupposti richiesti dalla legge, ossia degli elementi
costitutivi della fattispecie di cui si deduce l'avvenuto
perfezionamento, con la conseguenza che il silenzio-assenso
non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata
non sia conforme a quella normativamente prevista.
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7.4 Il motivo di appello è infondato anche nella parte in
cui deduce l’avvenuta formazione del silenzio-assenso.
7.5 In via preliminare, si osserva che la possibilità di
riscontrare un titolo abilitativo per silentium
implica la soluzione di questioni giuridiche rispetto alle
quali non può ritenersi determinante la mancata
contestazione della parte resistente.
Ai sensi dell’art. 64, comma 2, c.p.a., la mancata
contestazione rileva per la ricostruzione dei fatti alla
base del decidere, ma non è idonea ad influire sulla
perimetrazione delle questioni giuridiche componenti il
thema decidendum, la cui soluzione non potrebbe essere
condizionata da una eventuale condotta inerte della parte
intimata, costituitasi in assenza di puntuali argomentazioni
giuridiche difensive.
Non può, dunque, essere al riguardo accolto il rilievo
formulato dall’appellante (a pag. 1 della memoria di
replica), incentrato sulla mancata contestazione delle parti
intimate in ordine all’avvenuta formazione del
silenzio-assenso, discorrendosi di una questione giuridica
non influenzata dall’atteggiamento difensivo tenuto dalle
Amministrazioni appellate.
Peraltro, nel caso di specie, l’Amministrazione comunale,
nel costituirsi in giudizio, ha puntualmente confutato la
tesi avversa, riferita all’avvenuta formazione di un titolo
per silentium, evidenziando come “La assenza,
nella fattispecie, dei presupposti per la richiesta e
concessione dell’agibilità comporta, d’altro lato, che
nessun tacito provvedimento si sia mai formato in favore del
ricorrente” (pag. 4 memoria di costituzione): non
potrebbe, per l’effetto, comunque riscontrarsi una condotta
inerte, di mancata contestazione, ascrivibile alla parte
comunale.
7.6 Ciò premesso, si rileva che, alla stregua di quanto
precisato da questo Consiglio in materia di agibilità (sez.
II, 17.05.2021, n. 3836), affinché possa decorrere il
termine per la maturazione del silenzio-assenso è necessario
che la domanda presentata sia completa delle indicazioni
previste dal comma 1 del medesimo art. 25 del D.P.R. n. 380
del 2001 (ratione temporis applicabile nella specie),
ovvero, per quanto qui di interesse, della declaratoria di
conformità al progetto edilizio.
Peraltro, l’istituto del silenzio-assenso costituisce uno
strumento di semplificazione amministrativa e non di
liberalizzazione, con la conseguenza che la formazione del
titolo abilitativo per silentium “non si
perfeziona con il mero decorrere del tempo, ma richiede la
contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i
presupposti richiesti dalla legge per l’attribuzione del
bene della vita richiesto, di modo che esso non si
configura, ad esempio, in difetto di completezza della
documentazione occorrente (Cons. Stato, sez. IV, 24.01.2020,
n. 569, e 07.01.2019, n. 113)…” (Consiglio di Stato,
sez. IV, 20.08.2020, n. 5156).
Il silenzio-assenso, in particolare, non esclude la
necessità di avviare e istruire il procedimento
amministrativo, ma permette soltanto di ricondurre gli
effetti giuridici propri dell’accoglimento dell’istanza di
parte –anziché all’adozione di un atto provvedimentale–
direttamente alla verificazione di taluni presupposti
fattuali, delineati dal legislatore, integrati dalla
presentazione di un’istanza di parte in relazione ad ambiti
di disciplina sottoposti al silenzio-assenso e dalla
condotta inerte tenuta dall’Amministrazione procedente,
tradottasi nella mancata adozione di un provvedimento
espresso entro il termine di conclusione del procedimento.
Pertanto, affinché possa formarsi il silenzio-assenso, non è
sufficiente il mero decorso del tempo dalla presentazione
della domanda senza che sia presa in esame e sia intervenuta
risposta dall'Amministrazione, ma occorre, anche, la
contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i
presupposti richiesti dalla legge, ossia degli elementi
costitutivi della fattispecie di cui si deduce l'avvenuto
perfezionamento, con la conseguenza che il silenzio-assenso
non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata
non sia conforme a quella normativamente prevista (tra gli
altri, Consiglio di Stato, sez. VI, 21.01.2020, n. 506).
Con riferimento alla materia in esame, alla stregua di
quanto sopra osservato, il potere di rilasciare il
certificato di agibilità risultava attribuito soltanto con
riferimento ai beni conformi sul piano urbanistico ed
edilizio: la presentazione dell’istanza di parte per
ottenere un certificato di agibilità in relazione ad
immobili abusivi (perché non assistiti da titolo edilizio e
ancora non sanati con il rilascio del condono), diversi da
quelli previsti dalla disciplina positiva, non consentiva,
dunque, l’integrazione della fattispecie astratta per la
quale risultava ammissibile il rilascio del titolo
provvedimentale e, dunque, la formazione, in suo luogo, del
silenzio-assenso sull’istanza di parte.
Né avrebbe potuto argomentarsi diversamente sulla base del
possesso del nulla osta igienico sanitario, trattandosi,
comunque, di atto inidoneo a superare la carenza di (altro)
requisito (relativo alla conformità urbanistico ed edilizia)
parimenti necessario per la formazione del titolo per
silentium (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 02.08.2022 n. 6780 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’avvenuto
rilascio del certificato di abitabilità non configura un
implicito atto di sanatoria.
Invero, nessun rilievo sanante può essere attribuito al
rilascio del certificato di abitabilità, poiché la sanatoria
delle opere abusive è espressamente disciplinata dalla legge
con la procedura di accertamento di conformità (art. 36
d.P.R. n. 380/2001) ovvero con le ipotesi eccezionali dei
condoni edilizi e costituiscono procedure tipiche, alle
quali non si possono equiparare certificati rilasciati ad
altri fini.
---------------
1. Il ricorso è articolato in tre motivi, con i quali si
deduce
(i) che non fosse necessario alcun titolo per la
realizzazione dell’immobile, in quanto edificato in epoca
antecedente all’entrata in vigore della Legge n. 765/1967, e
quindi non sarebbero rilevanti le difformità rispetto alla
licenza edilizia,
(ii) che la sanzione demolitiva irrogata sarebbe
incongrua in relazione al lasso di tempo decorso e che
(iii) l’avvenuto rilascio del certificato di abitabilità
configurerebbe un implicito atto di sanatoria.
2. Il ricorso è infondato.
...
4. Infine, nessun rilievo sanante può essere attribuito al
rilascio del certificato di abitabilità, poiché la sanatoria
delle opere abusive è espressamente disciplinata dalla legge
con la procedura di accertamento di conformità (art. 36
d.P.R. n. 380/2001) ovvero con le ipotesi eccezionali dei
condoni edilizi e costituiscono procedure tipiche, alle
quali non si possono equiparare certificati rilasciati ad
altri fini.
5. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato in
quanto infondato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.06.2022 n. 1345 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI: Ancora
in tema di mancanza di certificazione di abitabilità
dell'immobile oggetto della vendita.
La mancata consegna al compratore del
certificato di agibilità non determina, in via automatica,
la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento
del venditore, dovendo essere verificata in concreto
l'importanza e la gravità dell'omissione in relazione al
godimento e alla commerciabilità del bene.
Cosicché, ove in corso di causa si accerti che l'immobile
promesso in vendita presentava tutte le caratteristiche
necessarie per l'uso suo proprio e che le difformità
edilizie rispetto al progetto originario erano state sanate
a seguito della presentazione della domanda di concessione
in sanatoria, del pagamento di quanto dovuto e del formarsi
del silenzio-assenso sulla relativa domanda, la risoluzione
non può essere pronunciata.
Nella vendita di immobili destinati ad abitazione, pur
costituendo il certificato di abitabilità un requisito
giuridico essenziale ai fini del legittimo godimento e della
normale commerciabilità del bene, la mancata consegna di
detto certificato costituisce un inadempimento del venditore
che non incide necessariamente in modo dirimente
sull'equilibrio delle reciproche prestazioni, sicché il
successivo rilascio del certificato di abitabilità esclude
la possibilità stessa di configurare l'ipotesi di vendita di
"aliud pro alio"
(massima tratta da www.e-glossa.it).
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19. Questa Corte spiega che, in tema di compravendita
immobiliare, la mancata consegna al compratore del
certificato di abitabilità non determina, in via automatica,
la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento
del venditore, dovendo essere verificata in concreto
l'importanza e la gravità dell'omissione in relazione al
godimento e alla commerciabilità del bene; cosicché, ove in
corso di causa si accerti che l'immobile promesso in vendita
presentava tutte le caratteristiche necessarie per l'uso suo
proprio e che le difformità edilizie rispetto al progetto
originario erano state sanate a seguito della presentazione
della domanda di concessione in sanatoria, del pagamento di
quanto dovuto e del formarsi del silenzio-assenso sulla
relativa domanda, la risoluzione non può essere pronunciata
(cfr. Cass. (ord.) 05.12.2017, n. 29090; Cass. 31.05.2010,
n. 13231; Cass. 15.02.2008, n. 3851, secondo cui non può
negarsi rilievo al rilascio della certificazione predetta
nel corso del giudizio relativo all'azione di risoluzione
del contratto, promosso dal compratore, nonostante
l'irrilevanza dell'adempimento successivo alla domanda di
risoluzione stabilita dall'art. 1453, 3° co., cod. dv.,
perché si tratta di circostanza che evidenzia l'inesistenza
originaria di impedimenti assoluti al rilascio della
certificazione e l'effettiva conformità dell'immobile alle
norme urbanistiche).
E spiega inoltre che, nella vendita di immobili destinati ad
abitazione, pur costituendo il certificato di abitabilità un
requisito giuridico essenziale ai fini del legittimo
godimento e della normale commerciabilità del bene, la
mancata consegna di detto certificato costituisce un
inadempimento del venditore che non incide necessariamente
in modo dirimente sull'equilibrio delle reciproche
prestazioni, sicché il successivo rilascio del certificato
di abitabilità esclude la possibilità stessa di configurare
l'ipotesi di vendita di "aliud pro alio" (cfr. Cass.
13.08.2020, n. 17123; cfr. altresì Cass. 18.03.2010, n.
6548, secondo cui, nel caso di compravendita di una unità
immobiliare per la quale, al momento della conclusione del
contratto, non sia stato ancora rilasciato il certificato di
abitabilità, il successivo rilascio di tale certificato
esclude la possibilità stessa di configurare l'ipotesi di
vendita di "aliud pro alio" e di ritenere
l'originaria mancanza di per sé sola fonte di danni
risarcibili) (Corte di Cassazione, Sez. II civile,
ordinanza 11.02.2022 n. 4467). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia edilizia la richiesta del
certificato di agibilità presuppone necessariamente la
conformità delle opere realizzate al permesso di costruire
con la conseguenza che va negato il rilascio del detto
certificato nel caso di opera abusiva o difforme dal titolo
abilitativo edilizio rilasciato.
Se è vero che la regolarità edilizio-urbanistica è
presupposto per il riconoscimento dell’abitabilità non è
vero l’assunto opposto, vale a dire che il rilascio del
certificato di abitabilità (che è omologo alla licenza di
cui si parla nel ricorso ai sensi dell’art. 221 del RD n.
1265/1934) costituisca prova della regolarità edilizia ed
urbanistica.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, “il
certificato di agibilità degli immobili non presenta alcun
rilievo sotto il profilo urbanistico-edilizio, assolvendo lo
stesso esclusivamente alla funzione di controllo
sanitario-urbanistico rispetto alla concessione edilizia a
monte rilasciata e con opere concluse”.
---------------
4.2.2 Del pari infondata è l’ulteriore doglianza del
ricorrente che sostiene l’illegittimità del provvedimento
impugnato in quanto l’avvenuto rilascio della licenza di
abitabilità (cfr. doc. 7 di parte ricorrente) già dal
23.01.1959 dimostrerebbe la conformità edilizia ed
urbanistica dello stato di fatto a quanto autorizzato con la
licenza del 1958.
Tale tesi non può essere condivisa.
Ai sensi dell’allora vigente art. 221 del RD n. 1265/1934
(recante Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie)
“Gli edifici o parti di essi indicati nell'articolo
precedente non possono essere abitati senza autorizzazione
del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione
dell'ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato,
risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità
del progetto approvato, che i muri siano convenientemente
prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità”.
Tale norma trova l’attuale omologo all’art. 24 del DPR n.
380/2001 (“1. La sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti negli stessi installati, e, ove
previsto, di rispetto degli obblighi di infrastrutturazione
digitale valutate secondo quanto dispone la normativa
vigente, nonché la conformità dell'opera al progetto
presentato e la sua agibilità sono attestati mediante
segnalazione certificata”).
Il Collegio evidenzia che per giurisprudenza consolidata “in
materia edilizia la richiesta del certificato di agibilità
presuppone necessariamente la conformità delle opere
realizzate al permesso di costruire con la conseguenza che
va negato il rilascio del detto certificato nel caso di
opera abusiva o difforme dal titolo abilitativo edilizio
rilasciato” (Cons. Stato Sez. II, 22/03/2021, n. 2451).
Se è vero che la regolarità edilizio-urbanistica è
presupposto per il riconoscimento dell’abitabilità non è
vero l’assunto opposto, vale a dire che il rilascio del
certificato di abitabilità (che è omologo alla licenza di
cui si parla nel ricorso ai sensi dell’art. 221 del RD n.
1265/1934) costituisca prova della regolarità edilizia ed
urbanistica.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, dal
quale non vi è ragione di discostarsi, “il certificato di
agibilità degli immobili non presenta alcun rilievo sotto il
profilo urbanistico-edilizio, assolvendo lo stesso
esclusivamente alla funzione di controllo
sanitario-urbanistico rispetto alla concessione edilizia a
monte rilasciata e con opere concluse” (TAR Lombardia
Milano Sez. I, 21/01/2021, n. 188).
Per le ragioni che precedono i primi tre motivi di ricorso
sono fondati limitatamente alle censure di carenza e
perplessità della motivazione del provvedimento impugnato
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 03.02.2022 n. 80 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
|
VARI: Vendita
immobiliare. Mancata consegna del certificato di
abitabilità. Conseguenze.
Nella vendita di immobili destinati ad
abitazione, pur costituendo il certificato di abitabilità un
requisito giuridico essenziale ai fini del legittimo
godimento e della normale commerciabilità del bene, la
mancata consegna di detto certificato costituisce un
inadempimento del venditore che non incide necessariamente
in modo dirimente sull'equilibrio delle reciproche
prestazioni delle parti comportando l'inidoneità del
contratto a realizzare la funzione economico-sociale che gli
è propria ed escludendo rilievo alla causa effettiva
dell'emissione, giacché la mancata consegna può anche
dipendere da circostanze che non escludano in modo
significativo l'oggettiva attitudine del bene a soddisfare
le aspettative dell'acquirente.
Infatti, soltanto nel caso in cui non ricorrano le
condizioni per l'ottenimento del certificato in ragione di
insanabili violazioni di disposizioni urbanistiche può
ipotizzarsi nella mancata consegna del documento un
inadempimento ex se idoneo alla risoluzione della
compravendita, mentre nelle altre ipotesi l'omissione del
venditore non si sottrae a tale fine ad una verifica
dell'importanza e gravità dell'inadempimento in relazione
alle concrete esigenze del compratore di utilizzazione
diretta od indiretta dell'immobile.
In tema di compravendita, si ha consegna di aliud pro alio
che dà luogo all'azione contrattuale di risoluzione o di
adempimento, ai sensi dell'art. 1453 cod.civ., svincolata
dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art.
1495 cod. civ., qualora il bene venduto sia completamente
diverso da quello pattuito in quanto, appartenendo ad un
genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo
ad assolvere la destinazione economico-sociale della res
venduta e, quindi, a fornire l'utilità richiesta
(commento tratto da www.e-glossa.it).
---------------
In primo luogo, deve essere precisato che il primo motivo
non incorre nella preclusione della c.d. doppia conforme.
Infatti, come risulta dal ricorso e dalla stessa sentenza
impugnata, le ragioni di fatto poste a fondamento della
decisione di primo grado e quelle poste a base della
sentenza di rigetto dell'appello sono tra loro diverse
(Cass. n. 26774/2016; n. 5528/2014).
Invero la ratio della decisione impugnata,
diversamente da quella del Tribunale, non è solo
nell'accertamento della situazione determinatasi a seguito
dell'ordinanza del 2010, che ha revocato l'abitabilità
originariamente concessa per l'intero edificio. A ciò la
Corte d'appello ha aggiunto la considerazione che la
problematica, riguardante la mancanza di abitabilità, non
era stata comunque risolta per effetto delle postume e
(precluse dalla domanda di risoluzione) iniziative del
venditore.
Insomma, secondo la corte d'appello, la vendita deve essere
risolta perché l'inconveniente accertato dal primo giudice,
non eliminabile dal venditore nel corso del giudizio in
linea di principio, ancora persisteva, nei fatti, al momento
della decisione in appello. Si consideri che, nella sentenza
d'appello, si menzionano documenti del 2016 e del 2017, che
non erano neanche formati quando fu pronunziata la sentenza
di primo grado.
5. «Questa Corte ha avuto modo di affermare che "nella
vendita di immobili destinati ad abitazione, pur costituendo
il certificato di abitabilità un requisito giuridico
essenziale ai fini del legittimo godimento e della normale
commerciabilità del bene, la mancata consegna di detto
certificato costituisce un inadempimento del venditore che
non incide necessariamente in modo dirimente sull'equilibrio
delle reciproche prestazioni delle parti comportando
l'inidoneità del contratto a realizzare la funzione
economico- sociale che gli è propria ed escludendo rilievo
alla causa effettiva dell'omissione, giacché la mancata
consegna può anche dipendere da circostanze che non
escludano in modo significativo la oggettiva attitudine del
bene a soddisfare le aspettative dell'acquirente. Infatti,
soltanto nel caso in cui non ricorrano le condizioni per
l'ottenimento del certificato in ragione di insanabili
violazioni di disposizioni urbanistiche può ipotizzarsi
nella mancata consegna del documento un inadempimento ex se
idoneo alla risoluzione della compravendita, mentre nelle
altre ipotesi l'omissione del venditore non si sottrae a
tale fine ad una verifica dell'importanza e gravità
dell'inadempimento in relazione alle concrete esigenze del
compratore di utilizzazione diretta od indiretta
dell'immobile" (Cass., n. 3851/2008; n. 17140/2006; n.
24786/ 2006). Con riferimento ad un giudizio avente ad
oggetto la domanda di risoluzione del contratto, si è poi
precisato che non può negarsi rilievo al rilascio della
certificazione predetta in tale giudizio, promosso dal
compratore, nonostante l'irrilevanza dell'adempimento
successivo alla domanda di risoluzione stabilita dall'art.
1453 cod. civ., comma 3, perché si tratta di circostanza che
evidenzia l'inesistenza originaria di impedimenti assoluti
al rilascio della certificazione e l'effettiva conformità
dell'immobile alle norme urbanistiche» (così
testualmente Cass. n. 6458/2010; conf. n. 17123/2020).
Insomma, l'inadempimento, derivante dalla mancata consegna
del certificato, può determinare la risoluzione solo qualora
non ricorrano le condizioni per il suo conseguimento (Cass.
n. 30950/2017).
Vale pur sempre il principio «in tema di compravendita,
si ha consegna di aliud pro alio che dà luogo all'azione
contrattuale di risoluzione o di adempimento, ai sensi
dell'art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e
prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c., qualora il bene
venduto sia completamente diverso da quello pattuito in
quanto, appartenendo ad un genere diverso, si riveli
funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la
destinazione economico-sociale della res venduta e, quindi,
a fornire l'utilità richiesta» (Cass. n. 10916/2011; n.
28419/2013).
Si rileva in dottrina che occorre fare applicazione rigida
della nozione di aliud pro alio, perché non si può
evadere dall'onere di denunzia e dal breve termine annuale
di prescrizione dell'azione, qualificando come aliud pro
alio casi che invece sono scuramente di mancanza di
qualità o di vizi.
Consegue da quanto sopra che Corte d'appello, al fine di
pronunciare la risoluzione per vendita aliud pro alio
avrebbe dovuto compiere un'indagine volta a verificare se ci
fossero o no le condizioni del suo rilascio. Tale indagine è
invece del tutto mancata; e l'omissione appare tanto più
evidente, perché, la stessa Corte d'appello, dopo avere
trattenuto la causa in decisione, ha rimesso la causa sul
ruolo; a ciò è seguita la produzione di documenti da parte
dell'attuale ricorrente, successivi alla sentenza di primo
grado, fra i quali l'ordinanza n. 103 dell'08.02.2017,
menzionata nella sentenza impugnata, con la quale si
disponeva l'esecuzione dei necessari interventi di
adeguamento.
Fu inoltre prodotta la Comunicazione del Dirigente dell'Area
del Comune di Foligno del 02.03.2017, con la quale fu
disposta la riattivazione dell'abitabilità per le altre
porzioni dell'edificio, ad eccezione dell'immobile degli
attuali controricorrenti, i quali non avevano fatto eseguire
i lavori prescritti (cfr. pag. 11 del ricorso, dove il
documento è indicato e trascritto, con indicazione in nota
della sede di produzione).
In quanto all'ulteriore rilievo della Corte d'appello, e
cioè che il venditore non avrebbe più potuto porre rimedio
alla mancanza del certificato, giacché il tentativo di
adempimento tardivo era precluso dall'art. 1453 c.c.,
l'affermazione incorre in un duplice errore di diritto.
In primo luogo, per la ragione appena detta: in materia di
abitabilità, l'inadempimento, idoneo a giustificare la
risoluzione per vendita aliud pro alio, implica
l'originaria «esistenza di impedimenti assoluti al
rilascio della certificazione» (Cass. n. 6458/2010 cit.).
In secondo luogo, perché la domanda di risoluzione fu
proposta dall'acquirente Za. in via subordinata rispetto
alle domande dirette a ottenere la condanna dell'impresa al
risarcimento del danno, nella somma occorrente
all'eliminazione dei vizi, oltre alla condanna a provvedere
alla regolarizzazione urbanistica e edilizia dell'immobile.
Si ricorda che la preclusione stabilita dall'art. 1453 c.c.,
comma 3, c.c. non è assoluta, ma suppone che la domanda di
risoluzione sia stata proposta senza riserve (Cass. n.
20899/2013; n. 1077/2005). Tale condizione non ricorre per
definizione quando la domanda di risoluzione sia proposta in
via subordinata rispetto ad altre domande volte a ovviare
alle conseguenze dell'inadempimento (Corte di Cassazione,
Sez. II civile,
sentenza 10.12.2021 n. 39369). |
EDILIZIA PRIVATA: Certificato
di agibilità – Permesso di costruire – Funzioni –
Conseguenze della patologia degli atti – Rilevanza
urbanistico-edilizia.
Se “la conformità dei manufatti alle
norme urbanistico edilizie costituisce il presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di
agibilità, come si evince dagli artt. 24, comma 3, D.P.R. n.
380/2001 e 35, comma 20, L. n. 47/1985, in quanto, ancor
prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad
escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi
destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa
urbanistico edilizia e, come tale, in potenziale contrasto
con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui
protezione quella disciplina è preordinata”
(Cons. di St., sez. VI, 15/03/2021, n. 2216)
non può negarsi che “il certificato di agibilità
degli immobili non presenta alcun rilievo sotto il profilo
urbanistico-edilizio, assolvendo lo stesso esclusivamente
alla funzione di controllo sanitario-urbanistico rispetto
alla concessione edilizia a monte rilasciata e con opere
concluse” (TAR
Lombardia, Milano, sez. I, 21/01/2021, n. 188).
Invero, esso ha la funzione di attestare il
conseguimento degli standard minimi e generali di qualità
degli edifici, attenendo “unicamente agli aspetti della
conformità dell'opera ai profili tecnici e igienico-sanitari
e non avendo riguardo ai profili più strettamente
urbanistici” (TAR
Molise, Campobasso, sez. I, 31/07/2020, n. 217).
Di conseguenza, il permesso di costruire ed
il certificato di agibilità sono collegati a presupposti
diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il
certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l'immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche
vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre
il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del
rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche”
(TAR Campania, Napoli, sez.
VIII, 22/09/2020, n. 3964), dando quindi
“vita a conseguenze disciplinari non sovrapponibili … con la
conseguenza che i diversi piani possano convivere sia nella
forma fisiologica della conformità dell'edificio ad entrambe
le tipologie normative sia in quella patologica di una loro
divergenza” (TAR
Toscana, Firenze, sez. III, 23/07/2020, n. 963)
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 02.12.2021 n. 7730 - articolo NT+Enti Locali
& Edilizia del 27.01.2022). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
“La conformità dei manufatti alle norme urbanistico edilizie
costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo
rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli
artt. 24, comma 3, D.P.R. n. 380/2001 e 35, comma 20, L. n.
47/1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la
ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per
qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla
normativa urbanistico edilizia e, come tale, in potenziale
contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi
alla cui protezione quella disciplina è preordinata” non può
negarsi che “Il certificato di agibilità degli immobili non
presenta alcun rilievo sotto il profilo urbanistico-edilizio,
assolvendo lo stesso esclusivamente alla funzione di
controllo sanitario-urbanistico rispetto alla concessione
edilizia a monte rilasciata e con opere concluse”.
Invero, “Il certificato di agibilità delle costruzioni
costituisce un'attestazione dei competenti uffici tecnici
comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli
edifici e degli impianti tecnologici in essi installati,
alla stregua della normativa di cui agli artt. 24 e 25 del
D.P.R. n. 380/2001”. Esso ha, quindi, la funzione di
attestare il conseguimento degli standard minimi e generali
di qualità degli edifici, attenendo “unicamente agli aspetti
della conformità dell'opera ai profili tecnici e
igienico-sanitari e non avendo riguardo ai profili più
strettamente urbanistici”.
Può allora affermarsi che “Il permesso di costruire ed il
certificato di agibilità sono collegati a presupposti
diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il
certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l'immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche
vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre
il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del
rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche”, dando quindi
“vita a conseguenze disciplinari non sovrapponibili … con la
conseguenza che i diversi piani possano convivere sia nella
forma fisiologica della conformità dell'edificio ad entrambe
le tipologie normative sia in quella patologica di una loro
divergenza”.
---------------
La segnalazione certificata per l'agibilità ai sensi
dell'art. 24 del d.P.R. n. 380/2001 “avendo sostituito il
certificato di agibilità, conserva la stessa funzione
originaria, propria del provvedimento espresso, di verifica
di conformità edilizio-urbanistica e di salubrità e
sicurezza di quanto realizzato, con l'unica differenza che
essa viene ricondotta entro i confini della s.c.i.a. ex art.
19 e 19-bis della l. n. 241/1990, configurandosi come atto
privato, corrispondente nella prassi alla dichiarazione di
un professionista abilitato attestante l'agibilità
dell'immobile corredata dai documenti già previsti dall'art.
25 del d.P.R. n. 380/2001”.
---------------
V. Con il primo motivo di gravame, la parte lamenta
la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 21-nonies
della l. n. 241/1990.
Osserva, in proposito, parte ricorrente che la disposta
chiusura ad horas dell'esercizio commerciale avrebbe
dovuto essere preceduta da un apposito provvedimento di
secondo grado volto all'annullamento d'ufficio delle
autorizzazioni precedentemente rilasciate dallo stesso
Comune alla ricorrente per l'esercizio dell'attività
commerciale de qua.
Ed invero, il procedimento teso alla revoca delle
autorizzazioni rilasciate alla ricorrente, la cui
conclusione costituirebbe il necessario presupposto per
l’adozione dell’ingiunzione alla chiusura ad horas
quivi gravata, sarebbe stato meramente avviato con la
comunicazione richiamata nello stesso corpo dell’ordinanza
impugnata -laddove si darebbe, peraltro, conto anche della
non accoglibilità delle presentate osservazioni-, ma de
facto lo stesso risulterebbe ancora aperto visto il tenore
letterale dell’ordinanza censurata.
Di contro, l’ingiunzione alla “chiusura ad horas” dei
locali commerciali della ricorrente avrebbe, dal canto
proprio, necessitato una puntuale e formale comunicazione di
avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. n.
241/1990.
V.1. La censura è fondata.
V.1.1. Il provvedimento gravato, ingiungente la chiusura
immediata dell’attività, pur esplicitando le motivazioni
sottese all’adozione della misura, non risulta essere stato
preceduto dal previo annullamento delle autorizzazioni che,
invece, ne giustificano a tutt’oggi, legittimamente,
fintanto, cioè, che sono esistenti nel mondo giuridico,
l’esercizio.
Né può ritenersi che l’ordinanza impugnata contenga
l’annullamento implicito delle predette autorizzazioni
sussistenti in capo alla ricorrente, peraltro nemmeno
menzionate nel corpo del provvedimento, considerato che il
relativo dispositivo non esprime alcuna duplicità di
statuizioni, quanto ai titoli legittimanti e
all’ingiunzione, esaurendosi esclusivamente nell’ordine alla
chiusura.
Orbene, come correttamente dedotto, la sopravvenuta
rilevazione della mancanza di un requisito, come il
certificato di agibilità, ritenuto necessario per
l'esercizio dell'attività commerciale assentita, avrebbe
dovuto essere valutata e apprezzata nell'ambito di uno
specifico procedimento di riesame dell'originario titolo
autorizzativo, tenuto conto, motivatamente e non con una
formula di mero rito, come sembrerebbe essere avvenuto nel
caso di specie, anche delle osservazioni controdeduttive
depositate, avendo particolare riguardo alla normativa
vigente all’epoca del rilascio delle autorizzazioni
commerciali stesse. Ed, invero, la comunicazione d’esercizio
di vicinato veniva depositata dalla ricorrente nel lontano
anno 2000 e quindi precedentemente al DPR 380/2001 con il
quale veniva ad esistenza il requisito dell’agibilità, così
come oggi riconosciuto.
Il Comune resistente ha, invece, disposto l’immediata
cessazione dell’attività commerciale, omettendo ogni
attività istruttoria e procedimentale in ordine alla
sussistenza di efficaci e preesistenti titoli autorizzatori
(n. 1/2001, quanto alla vendita di giornali e riviste, e n.
85/SU del 23.01.2001, quanto all’esercizio di vicinato),
attestanti la legittimità dell’esercizio tanto dal punto di
vista urbanistico edilizio, essendo stato l’edificio
assentito con regolare licenza edilizia n. 28/1971 (doc.
12), quanto di quello della salubrità dei luoghi, come si
desume dalla certificazione di idoneità resa dalla
competente azienda sanitaria locale CE/2, specificatamente
con riferimento ai locali di vendita de quibus (doc.
4).
D’altro canto, se “La conformità dei manufatti alle norme
urbanistico edilizie costituisce il presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di
agibilità, come si evince dagli artt. 24, comma 3, D.P.R. n.
380/2001 e 35, comma 20, L. n. 47/1985, in quanto, ancor
prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad
escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi
destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa
urbanistico edilizia e, come tale, in potenziale contrasto
con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui
protezione quella disciplina è preordinata” (Cons. di St.,
sez. VI, 15/03/2021, n. 2216) non può negarsi che “Il
certificato di agibilità degli immobili non presenta alcun
rilievo sotto il profilo urbanistico-edilizio, assolvendo lo
stesso esclusivamente alla funzione di controllo
sanitario-urbanistico rispetto alla concessione edilizia a
monte rilasciata e con opere concluse” (TAR Lombardia,
Milano, sez. I, 21/01/2021, n. 188).
Invero, “Il certificato di agibilità delle costruzioni
costituisce un'attestazione dei competenti uffici tecnici
comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli
edifici e degli impianti tecnologici in essi installati,
alla stregua della normativa di cui agli artt. 24 e 25 del
D.P.R. n. 380/2001” (TAR Lombardia Milano Sez. I,
21/01/2021, n. 188). Esso ha, quindi, la funzione di
attestare il conseguimento degli standard minimi e generali
di qualità degli edifici, attenendo “unicamente agli
aspetti della conformità dell'opera ai profili tecnici e
igienico-sanitari e non avendo riguardo ai profili più
strettamente urbanistici” (TAR Molise, Campobasso, sez.
I, 31/07/2020, n. 217).
Può allora affermarsi che “Il permesso di costruire ed il
certificato di agibilità sono collegati a presupposti
diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il
certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l'immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche
vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre
il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del
rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche” (TAR
Campania, Napoli, sez. VIII, 22/09/2020, n. 3964), dando
quindi “vita a conseguenze disciplinari non
sovrapponibili … con la conseguenza che i diversi piani
possano convivere sia nella forma fisiologica della
conformità dell'edificio ad entrambe le tipologie normative
sia in quella patologica di una loro divergenza” (TAR
Toscana, Firenze, sez. III, 23/07/2020, n. 963).
VI.1.2. Orbene, nel caso all’esame, parte ricorrente, nel
riscontrare la comunicazione di avvio del diverso
procedimento finalizzato alla revoca aveva anticipatamente
rappresentato, invero, in attesa dell’adozione dei Decreti
ministeriali attuativi, l’intenzione, da concretizzare ad
avvenuta adozione, di presentare apposita segnalazione
certificata al fine di ottenere la richiesta agibilità senza
che sul punto si sia aperto alcun contraddittorio
procedimentale.
Invero, in data 22.01.2021, è stato poi il proprietario
dell’immobile a presentare una Scia per ottenere l’agibilità
ai sensi del richiamato art. 24, comma 7-bis, del d.P.R. n.
380/2001, segnalazione il cui eventuale consolidamento
priverebbe di effetti l’ingiunzione gravata.
La segnalazione certificata per l'agibilità ai sensi
dell'art. 24 del d.P.R. n. 380/2001, infatti, “avendo
sostituito il certificato di agibilità, conserva la stessa
funzione originaria, propria del provvedimento espresso, di
verifica di conformità edilizio-urbanistica e di salubrità e
sicurezza di quanto realizzato, con l'unica differenza che
essa viene ricondotta entro i confini della s.c.i.a. ex art.
19 e 19-bis della l. n. 241/1990, configurandosi come atto
privato, corrispondente nella prassi alla dichiarazione di
un professionista abilitato attestante l'agibilità
dell'immobile corredata dai documenti già previsti dall'art.
25 del d.P.R. n. 380/2001” (TAR Calabria, Reggio
Calabria, sez. I, 17/09/2020, n. 557) (TAR Campana-Napoli,
Sez. III,
sentenza 02.12.2021 n. 7730 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La Sezione ha
affermato che il permesso di costruire ed il
certificato di agibilità sono collegati a presupposti
diversi e danno vita a conseguenze disciplinari non
sovrapponibili, dato che
- il certificato di agibilità ha la funzione di accertare
che l'immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel
rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di
sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti, mentre
- il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è
oggetto della specifica funzione del titolo edilizio, con la
conseguenza che i diversi piani possano convivere, sia nella
forma fisiologica della conformità dell'edificio ad entrambe
le tipologie normative, sia in quella patologica di una loro
divergenza.
In sostanza, la diversa struttura e funzione dei due titoli
esclude non solo che i suddetti certificati possano avere
valenza sostitutiva dei titoli edilizi ma anche che possa
sorgere un affidamento meritevole di protezione giuridica in
ordine alla legittimità degli interventi edilizi effettuati.
---------------
Come è noto la
Sezione ha da tempo fornito una costante interpretazione
delle norme che disciplinano il rilascio del certificato di
agibilità (artt. 24 e 25, d.P.R. 380/2001 nella formulazione
vigente all’epoca dei fatti rispetto ai quali è qui
controversia), anche in relazione alla incidenza di tale
titolo (spesso rilasciato silentemente, per effetto
dell’istituto del silenzio-assenso) sulla appurata illiceità
delle opere realizzate sull’immobile per il quale
l’agibilità era stata richiesta.
Premesso che per effetto dall’art. 3, comma 1, lett. i),
D.Lgs. 25.11.2016, n. 222 (che ha novellato l’art. 24 d.P.R.
380/2001 e abrogato il successivo art. 25) attualmente il
regime giuridico del “certificato di agibilità” è
configurato quale segnalazione certificata di inizio
attività (ma tale regime giuridico, come sopra si è
accennato, non vigeva all’epoca dei fatti), con riguardo
all’applicazione delle disposizioni surrichiamate e
all’epoca vigenti, con orientamento che non si vede il
motivo per dover mettere in discussione, la Sezione ha
affermato che il permesso di costruire ed il certificato di
agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita
a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che il
certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l'immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel
rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di
sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti, mentre il rispetto delle norme
edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione
del titolo edilizio, con la conseguenza che i diversi piani
possano convivere, sia nella forma fisiologica della
conformità dell'edificio ad entrambe le tipologie normative,
sia in quella patologica di una loro divergenza.
In sostanza, la diversa struttura e funzione dei due titoli
esclude non solo che i suddetti certificati possano avere
valenza sostitutiva dei titoli edilizi ma anche che possa
sorgere un affidamento meritevole di protezione giuridica in
ordine alla legittimità degli interventi edilizi effettuati
(cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 13.01.2020 n. 316
e, in epoca più recente, Cons. Stato, Sez. VI, 13.05.2021 n.
3783).
Peraltro se è vero che dalla lettura del comma 1 dell’art.
24 d.P.R. 380/2001 si evince(va) che la presentazione della
richiesta di rilascio del certificato di agibilità
presuppone necessariamente la conformità delle opere
realizzate al progetto approvato, dato che la richiesta deve
essere corredata da una dichiarazione resa in tal senso
dell'interessato e che dunque, per il legislatore, sussiste
inevitabilmente un collegamento funzionale tra i due
provvedimenti (atteso che il rilascio del certificato di
agibilità presuppone la conformità delle opere al permesso
di costruire ed allo strumento urbanistico), è nello stesso
tempo indubbio che debba (rectius, doveva) essere
negato il rilascio del detto certificato nel caso di opera
abusiva o difforme dal titolo abilitativo edilizio
rilasciato e conseguentemente va anche ritenuto che la
validità e l'efficacia del permesso di costruire possano
condizionare quelle del certificato di agibilità.
Nel caso di specie, quindi, non può farsi discendere dalla
mera formazione silenziosa del provvedimento di agibilità
dell’immobile (secondo le norme all’epoca in vigore), per
mancata pronuncia da parte del comune sulla domanda
presentata dall’interessato nei tempi previsti dalla norma,
escludendosi radicalmente che il legislatore abbia voluto
far discendere dalla formazione silenziosa (e quindi priva
di puntuale verifica da parte dell’ente preposto al
controllo e alla tutela del territorio) del certificato di
agibilità un effetto sanante sulle opere realizzate
illegittimamente, non potendo realizzarsi tale effetto
laddove non siano rispettate le disposizioni di rango
primario e secondario sulla legittimità delle costruzioni
edilizie
(Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 23.11.2021 n. 7857 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
costante giurisprudenza amministrativa, “il rilascio del
certificato di abitabilità di un fabbricato conseguente al
condono edilizio (ai sensi dell'art. 35, comma 20, della
legge n. 47 del 1985), può legittimamente avvenire in deroga
solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti
le condizioni di salubrità richieste da fonti normative di
livello primario, in quanto la disciplina del condono
edilizio, per il suo carattere eccezionale e derogatorio,
non è suscettibile di interpretazioni estensive e,
soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio
della tutela della salute con evidenti riflessi sul piano
della legittimità costituzionale”.
Conseguentemente, “Nel caso di specie la sanatoria non può,
quindi, essere concessa qualora non siano rispettate quelle
disposizioni di rango primario in ordine alla presenza di un
limite invalicabile di altezze a tutela del diritto della
salute la cui mera specificazione è rimessa ad una fonte di
rango secondario, ossia al D.M. 05.07.1975”, sicché deve
“essere esclusa la configurabilità di un’automatica
corrispondenza tra condono ed abitabilità”.
---------------
5.11 Quanto all’inosservanza del requisito di altezza minima
imposto dal D.M. 05.07.1975, del pari indicata nell’ordine
di demolizione quale ulteriore profilo di irregolarità
dell’opera, la preesistenza della stessa rispetto
all’istanza di condono, contrariamente a quanto sostenuto
dalla difesa dell’appellante, non è idonea a determinarne la
sanatoria.
5.12 Per costante giurisprudenza amministrativa, infatti,
“il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato
conseguente al condono edilizio (ai sensi dell'art. 35,
comma 20, della legge n. 47 del 1985), può legittimamente
avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche
quando siano carenti le condizioni di salubrità richieste da
fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina
del condono edilizio, per il suo carattere eccezionale e
derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive
e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio
della tutela della salute con evidenti riflessi sul piano
della legittimità costituzionale” (ex plurimis,
Cons. St., Sez. V, 03.06.2013, n. 3034).
Conseguentemente, “Nel caso di specie la sanatoria non
può, quindi, essere concessa qualora non siano rispettate
quelle disposizioni di rango primario in ordine alla
presenza di un limite invalicabile di altezze a tutela del
diritto della salute la cui mera specificazione è rimessa ad
una fonte di rango secondario, ossia al D.M. 05.07.1975”
(Cons. Stato, sez. VI, 29/10/2021 n. 7285), sicché deve “essere
esclusa la configurabilità di un’automatica corrispondenza
tra condono ed abitabilità” (Cons. Stato sez. VI
26/03/2021 n. 2575) (Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 22.11.2021 n. 7817 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Agibilità
degli immobili.
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Edilizia – Agibilità - Conformità urbanistica – Nnecessità.
La conformità urbanistica dell’opera sia requisito
imprescindibile anche ai fini dell’agibilità di un immobile (1).
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(1) Occorre innanzi tutto chiarire come il termine “agibilità”
sia stato in passato utilizzato dal legislatore in un’accezione del tutto
diversa da quella attualmente riconducibile alla richiamata disciplina
urbanistica, con ciò generando una certa confusione interpretativa ed
atecnicità di linguaggio, in particolare in relazione a specifiche tipologie
di immobili.
Ad essa, ad esempio, si fa ancora oggi riferimento in relazione alla
certificazione dei requisiti di solidità e sicurezza che devono possedere i
teatri e luoghi di pubblico spettacolo ai sensi dell’art. 80 del r.d.
18.06.1931, n. 773, T.U.L.P.S, denominata, appunto, “licenza di agibilità”,
nell’art. 1, comma 1, n. 9, del d.P.R. 24.07.1977, n. 616, che ha trasferito
la competenza al relativo rilascio ai Comuni.
L’art. 220 del r.d. 27.07.1934, n. 1265, invece, disciplinava la c.d. “abitabilità”,
ovvero la fruibilità degli immobili a fini abitativi. La norma disponeva che
«I progetti per le costruzioni di nuove case, urbane o rurali, quelli per
la ricostruzione o la sopraelevazione o per modificazioni, che comunque
possono influire sulle condizioni di salubrità delle case esistenti debbono
essere sottoposti al visto del podestà, che provvede previo parere
dell’ufficiale sanitario e sentita la commissione edilizia».
Agli stessi tipi di immobili (“abitazioni”) aveva riguardo anche il
d.P.R. 22.04.994, n. 425, contenente il Regolamento recante disciplina dei
procedimenti di autorizzazione all’abitabilità. L’art. 4, comma 1, dello
stesso prevedeva che ai fini del rilascio del documento di cui all’art. 220
del T.U.L.S. il direttore dei lavori attestasse sotto la propria
responsabilità, anche «la conformità rispetto al progetto approvato».
Con l’entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 2001, la “abitabilità”
cede il passo (a seguito dell’abrogazione sia dell’art. 220 del T.U.L.S. che
del d.P.R. n. 425/1994) alla omnicomprensiva “agibilità”, siccome
riferita a qualsivoglia tipologia di edificio, non solo di natura abitativa.
Il relativo termine sopravvive pertanto esclusivamente nel gergo degli
operatori del settore, che continuano ad utilizzarlo in relazione agli
immobili a destinazione residenziale per distinguerli da quelli con diversa
destinazione d’uso, per i quali quello nuovo di “agibilità” si palesa
anche etimologicamente più confacente.
L’art. 24, dunque, nella sua stesura originaria, vigente al momento
dell’odierna controversia, stabiliva che: «Il certificato di agibilità
attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati,
valutate secondo quanto dispone la normativa vigente». La presunta
tassatività dell’elencazione non tiene tuttavia conto del fatto che il
successivo art. 25, che declina il procedimento di rilascio, nell’elencare
le declaratorie a corredo della richiesta, menziona espressamente la «conformità
dell’opera rispetto al progetto approvato», ovvero, in buona sostanza,
la sua regolarità edilizia e, conseguentemente, urbanistica.
Come emerge dal delineato quadro normativo, quindi, il rilascio del
certificato di agibilità, ovvero, oggi, la sua dichiarazione, presuppone una
molteplicità di valutazioni ulteriori rispetto a quelle che erano sottese al
vecchio certificato di abitabilità, cui il primo pertanto non può essere del
tutto assimilato, siccome affermato dal primo giudice. Di ciò è prova
proprio nell’art. 26 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Nel consentire, infatti, al Sindaco di intervenire comunque dichiarando la
inabitabilità di un immobile, già certificato come agibile, ai sensi
dell’art. 222 del T.U.L.S., il legislatore ha inteso ribadire le differenze
tra i due istituti: altro è, infatti, la strutturale conformità del
fabbricato a tutti i requisiti richiesti e, in parte, assorbiti nella
conformità al titolo edilizio in forza del quale è stato realizzato, altro
la sua (sopravvenuta) carenza di requisiti igienici tale da non consentirne
l’occupazione a fini abitativi.
Anche prima della riforma che ne ha ricondotto il conseguimento ad una mera
segnalazione certificata, il procedimento di acquisizione della agibilità si
connotava per la sostanziale attribuzione al privato richiedente dell’onere
di dimostrare la regolarità di quanto realizzato, salvo poter richiedere
comunque al Comune di “certificarne” i contenuti. Solo a seguito
della acquisizione della stessa, peraltro, può considerarsi legittimo
l’utilizzo in concreto dell’immobile in conformità con la propria
destinazione d’uso, seppure il relativo illecito sia punito con una sanzione
pecuniaria di non particolare entità.
Al fine, dunque, di non procrastinare indebitamente proprio la fruizione del
bene, ovvero la sua commerciabilità, il comma 4 dell’art. 25, nella
formulazione vigente ratione temporis, prevedeva che decorsi trenta
giorni dalla ricezione della domanda, ovvero, in caso di presenza del
richiesto parere della A.S.L., sessanta giorni, l’inerzia
dell’Amministrazione abbia validità di assenso….Diversamente opinando,
ovvero ritenendo certificabile come agibile anche un immobile abusivo,
purché conforme ai requisiti igienico-sanitari e di risparmio energetico
previsti, si finirebbe per trasformare la relativa qualificazione in una
sorta di ulteriore sanatoria cartolare, ovvero, al contrario, per svuotarne
completamente la portata, stante che la natura permanente dell’illecito
edilizio ad essa sottesa non ne impedirebbe comunque l’assoggettamento al
previsto regime sanzionatorio…In sintesi, la violazione di una convenzione
accessiva ad un Piano attuativo urbanistico impatta sulla regolarità dei
lavori eseguiti, condizionando la validità del titolo.
Essendo la agibilità la summa del possesso dei requisiti sia
igienico-sanitari che urbanistico-edilizi di un edificio, essa non può
essere conseguita nel caso in cui il titolo edilizio sottostante, seppure
esistente, non possa considerarsi efficace, sicché non ne è necessario il
preventivo annullamento (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 16.10.2021 n. 1328 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
Pare preliminarmente opportuno definire il quadro normativo in cui le
inibitorie si sono inserite.
La prima inibitoria è stata adottata nell’agosto del 2014, la seconda il
07.11.2014
L’art. 25 del d.p.r. n. 380/2001, con riferimento alla richiesta di
agibilità, nel testo vigente sino al d.l. 12.09.2014, n. 133, prevedeva al
comma 1 la possibilità di formulare richiesta di agibilità soggetta ad un
meccanismo di silenzio assenso, ovvero, consentiva, ai commi 5-bis e 5-ter
(introdotti in una logica di semplificazione dal d.l. n. 69/2013), quanto
segue: “5-bis. Ove l'interessato non proponga domanda ai sensi del comma
1, fermo restando l'obbligo di presentazione della documentazione di cui al
comma 3, lettere a), b) e d), del presente articolo e all'articolo 5, comma
3, lettera a), presenta la dichiarazione del direttore dei lavori o, qualora
non nominato, di un professionista abilitato, con la quale si attesta la
conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità, corredata
dalla seguente documentazione:
a) richiesta di accatastamento dell'edificio che lo sportello unico
provvede a trasmettere al catasto;
b) dichiarazione dell'impresa installatrice che attesta la
conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico valutate secondo la
normativa vigente.
5-ter. Le Regioni a statuto ordinario disciplinano con legge le modalità per
l'attuazione delle disposizioni di cui al comma 5-bis e per l'effettuazione
dei controlli.”
A partire dal 13.9.2014 il testo dei suddetti commi è stato modificato nei
termini che seguono:
“5-bis. Ove l'interessato non proponga domanda ai sensi del comma 1,
fermo restando l'obbligo di presentazione della documentazione di cui al
comma 3, lettere a), b) e d), del presente articolo e all'articolo 5, comma
3, lettera a), presenta la dichiarazione del direttore dei lavori o, qualora
non nominato, di un professionista abilitato, con la quale si attesta la
conformità dell'opera al progetto presentato e la sua agibilità, corredata
dalla seguente documentazione:
a) richiesta di accatastamento dell'edificio che lo sportello unico
provvede a trasmettere al catasto;
b) dichiarazione dell'impresa installatrice che attesta la
conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico valutate secondo la
normativa vigente.
5-ter. Le Regioni a statuto ordinario disciplinano con legge le modalità per
l'effettuazione dei controlli”.
In definitiva, in una logica di sempre maggiore semplificazione della
materia, il legislatore nazionale ha introdotto nel tempo accanto a forme
provvedimentali di riconoscimento dell’agibilità (ancorché a loro volta
semplificate dalla previsione di meccanismi di possibile silenzio assenso)
la possibilità di autocertificare con efficacia immediata la sussistenza dei
presupposti di legge, grazie all’attestazione da parte di un tecnico
abilitato; si tratta quindi di una iniziativa privata di autoresponsabilità,
con eliminazione della necessità di una attività provvedimentale.
La normativa nazionale ha rimandato a tal proposito ad una ulteriore
disciplina regionale, dapprima per la sua stessa fattiva attuazione (“modalità
per l’attuazione e per l’effettuazione dei controlli”) e quindi, a
partire dal settembre 2014, per la sola disciplina dei controlli.
Sino alla l.r. Toscana n. 65/2014 (in vigore dal 27.11.2014), trovava
applicazione in materia in regione Toscana la l.r. Toscana n. 2/2005, di
interesse per il presente contenzioso, la quale, in tema di
abitabilità/agibilità, prevedeva all’art. 86 l’attestazione del
professionista con immediata efficacia, salvo interventi di controllo da
parte dell’amministrazione.
Così ricostruito il quadro normativo applicabile ne consegue che, all’epoca
dei due provvedimenti per cui è causa, il professionista incaricato poteva
effettivamente, con propria attestazione, dichiarare la sussistenza dei
requisiti di agibilità dell’immobile, fatti salvi gli ovvi poteri di
controllo dell’amministrazione.
Se tale è il quadro normativo, ferme le facoltà del professionista
abilitato, non sono tuttavia condivisibili gli assunti di cui al primo
motivo di ricorso, dai quali pare desumersi che:
a) l’amministrazione avrebbe dovuto attivare un vero e proprio
procedimento di autotutela;
b) l’amministrazione non avrebbe potuto sconfessare
l’autocertificazione del tecnico.
Quanto al primo aspetto, non essendo in tale modulo procedimentale
semplificato prevista la formazione di alcun atto, ancorché per silentium,
non sussistono margini per provvedimenti di autotutela, fisiologicamente di
secondo grado, appunto perché non si tratta di rivalutare atti adottati
dall’amministrazione ma, più semplicemente, di controllare una attività
privata.
Quanto al secondo aspetto, è evidente che la facoltà di attestare con
efficacia immediata la sussistenza di presupposti di legge non preclude
affatto il controllo (anzi esso è espressamente disciplinato tanto dalla
legge nazionale che da quella regionale e, per l’aspetto urbanistico
edilizio, è sempre sussistente in capo all’amministrazione comunale), per
l’ovvia ragione che la dichiarazione del professionista attesta la
sussistenza di determinati requisiti ma, ove in ipotesi inesistenti,
siffatti requisiti non si realizzano certo per il solo fatto di essere stati
autocertificati, con il risultato che una attestazione a monte della quale
non sussistano i presupposti di legge non è idonea a produrre alcun effetto.
Tanto è stato prontamente evidenziato dall’amministrazione con le inibitorie
impugnate.
L’amministrazione è quindi correttamente intervenuta in fase di controllo,
riscontrando la mancanza di presupposti in fatto tra quelli legali previsti
anche per l’agibilità, il tutto in piana applicazione del disposto del
d.p.r. n. 380/2001 e della l.r. Toscana n. 2/2005.
Né l’inibitoria di efficacia può essere intesa come una “sospensione sine
die”, trattandosi del mero rilievo che l’attestazione di agibilità implicava
l’affermazione di esistenza di presupposti (tra cui la conformità
urbanistico edilizia espressamente richiesta dall’art. 25, co. 1, del d.p.r.
n. 380/2001, la conformità al progetto richiamata dal comma 5-bis del
medesimo articolo) in verità non sussistenti; il provvedimento evidenzia
chiaramente la problematica contestata e non presenta alcun improprio
effetto sine die, né tanto meno impediva ai proprietari di comprendere quali
fossero i requisiti oggettivamente mancanti.
Il primo motivo di ricorso deve quindi essere respinto.
...
Quanto al merito (ed in particolare ai motivi 3, 7 di ricorso), come
evidenziato dalla difesa dell’amministrazione, il cuore delle contestazioni
concerne la necessità o meno della conformità urbanistico edilizia per
ottenere l’agibilità.
Sul punto, pur a fronte di pregressi variegati orientamenti
giurisprudenziali, è recentemente intervenuta la pronuncia Cons. St. sez. II
n. 3836/2021 (avente ad oggetto proprio una ipotesi di inadempienza rispetto
alla realizzazione di opere di urbanizzazione previste da una convenzione
edilizia) che, in modo esaustivo, ha chiarito quanto segue: “Occorre innanzi
tutto chiarire come il termine “agibilità” sia stato in passato utilizzato
dal legislatore in un’accezione del tutto diversa da quella attualmente
riconducibile alla richiamata disciplina urbanistica, con ciò generando una
certa confusione interpretativa ed atecnicità di linguaggio, in particolare
in relazione a specifiche tipologie di immobili.
Ad essa, ad esempio, si fa
ancora oggi riferimento in relazione alla certificazione dei requisiti di
solidità e sicurezza che devono possedere i teatri e luoghi di pubblico
spettacolo ai sensi dell’art. 80 del r.d. 18.06.1931, n. 773, T.U.L.P.S,
denominata, appunto, “licenza di agibilità”, nell’art. 1, comma 1, n. 9, del d.P.R. 24.07.1977, n. 616, che ha trasferito la competenza al relativo
rilascio ai Comuni.
L’art. 220 del r.d. 27.07.1934, n. 1265, invece, disciplinava la c.d.
“abitabilità”, ovvero la fruibilità degli immobili a fini abitativi. La
norma disponeva che «I progetti per le costruzioni di nuove case, urbane o
rurali, quelli per la ricostruzione o la sopraelevazione o per
modificazioni, che comunque possono influire sulle condizioni di salubrità
delle case esistenti debbono essere sottoposti al visto del podestà, che
provvede previo parere dell’ufficiale sanitario e sentita la commissione
edilizia».
Agli stessi tipi di immobili (“abitazioni”) aveva riguardo anche
il d.P.R. 22.04.1994, n. 425, contenente il Regolamento recante
disciplina dei procedimenti di autorizzazione all’abitabilità. L’art. 4,
comma 1, dello stesso prevedeva che ai fini del rilascio del documento di
cui all’art. 220 del T.U.L.S. il direttore dei lavori attestasse sotto la
propria responsabilità, anche «la conformità rispetto al progetto
approvato".
Con l’entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 2001, la “abitabilità” cede il
passo (a seguito dell’abrogazione sia dell’art. 220 del T.U.L.S. che del
d.P.R. n. 425/1994) alla omnicomprensiva “agibilità”, siccome riferita a
qualsivoglia tipologia di edificio, non solo di natura abitativa. Il
relativo termine sopravvive pertanto esclusivamente nel gergo degli
operatori del settore, che continuano ad utilizzarlo in relazione agli
immobili a destinazione residenziale per distinguerli da quelli con diversa
destinazione d’uso, per i quali quello nuovo di “agibilità” si palesa anche
etimologicamente più confacente.
L’art. 24, dunque, nella sua stesura originaria, vigente al momento
dell’odierna controversia, stabiliva che: «Il certificato di agibilità
attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati,
valutate secondo quanto dispone la normativa vigente». La presunta
tassatività dell’elencazione non tiene tuttavia conto del fatto che il
successivo art. 25, che declina il procedimento di rilascio, nell’elencare
le declaratorie a corredo della richiesta, menziona espressamente la
«conformità dell’opera rispetto al progetto approvato», ovvero, in buona
sostanza, la sua regolarità edilizia e, conseguentemente, urbanistica.”
Fatta tale analisi delle disposizioni vigenti già all’epoca di interesse per
la presente controversia il giudice d’appello ha proseguito ricordando che:
“Come emerge dal delineato quadro normativo, quindi, il rilascio del
certificato di agibilità, ovvero, oggi, la sua dichiarazione, presuppone una
molteplicità di valutazioni ulteriori rispetto a quelle che erano sottese al
vecchio certificato di abitabilità, cui il primo pertanto non può essere del
tutto assimilato, siccome affermato dal primo giudice. Di ciò è prova
proprio nell’art. 26 del d.P.R. n. 380 del 2001. Nel consentire, infatti, al
Sindaco di intervenire comunque dichiarando la inabitabilità di un immobile,
già certificato come agibile, ai sensi dell’art. 222 del T.U.L.S., il
legislatore ha inteso ribadire le differenze tra i due istituti: altro è,
infatti, la strutturale conformità del fabbricato a tutti i requisiti
richiesti e, in parte, assorbiti nella conformità al titolo edilizio in
forza del quale è stato realizzato, altro la sua (sopravvenuta) carenza di
requisiti igienici tale da non consentirne l’occupazione a fini abitativi.
Anche prima della riforma che ne ha ricondotto il conseguimento ad una mera
segnalazione certificata, il procedimento di acquisizione della agibilità si
connotava per la sostanziale attribuzione al privato richiedente dell’onere
di dimostrare la regolarità di quanto realizzato, salvo poter richiedere
comunque al Comune di “certificarne” i contenuti. Solo a seguito della
acquisizione della stessa, peraltro, può considerarsi legittimo l’utilizzo
in concreto dell’immobile in conformità con la propria destinazione d’uso,
seppure il relativo illecito sia punito con una sanzione pecuniaria di non
particolare entità. Al fine, dunque, di non procrastinare indebitamente
proprio la fruizione del bene, ovvero la sua commerciabilità, il comma 4
dell’art. 25, nella formulazione vigente ratione temporis, prevedeva che
decorsi trenta giorni dalla ricezione della domanda, ovvero, in caso di
presenza del richiesto parere della A.S.L., sessanta giorni, l’inerzia
dell’Amministrazione abbia validità di assenso….Diversamente opinando,
ovvero ritenendo certificabile come agibile anche un immobile abusivo,
purché conforme ai requisiti igienico-sanitari e di risparmio energetico
previsti, si finirebbe per trasformare la relativa qualificazione in una
sorta di ulteriore sanatoria cartolare, ovvero, al contrario, per svuotarne
completamente la portata, stante che la natura permanente dell’illecito
edilizio ad essa sottesa non ne impedirebbe comunque l’assoggettamento al
previsto regime sanzionatorio…In sintesi, la violazione di una convenzione
accessiva ad un Piano attuativo urbanistico impatta sulla regolarità dei
lavori eseguiti, condizionando la validità del titolo. Essendo la agibilità
la summa del possesso dei requisiti sia igienico-sanitari che
urbanistico-edilizi di un edificio, essa non può essere conseguita nel caso
in cui il titolo edilizio sottostante, seppure esistente, non possa
considerarsi efficace, sicché non ne è necessario il preventivo annullamento.”
In definitiva il giudice d’appello ha, con ampi argomenti
storico-sistematici, chiarito come la conformità urbanistica dell’opera sia
requisito imprescindibile anche ai fini dell’agibilità di un immobile.
Nel caso di specie è del tutto pacifico che l’impresa costruttrice non abbia
completato le opere di urbanizzazione, per profili per altro di
significativa rilevanza: allacciamento al sistema fognario, viabilità,
illuminazione, verde pubblico.
Vero è che, trovandosi nella condizione di non avere neppure l’allaccio alla
fognatura, i privati proprietari si sono attivati quantomeno per dotare gli
immobili di forme di smaltimento delle acque nere; resta il dato, del tutto
pacifico in giudizio, che ben dopo l’adozione dei provvedimenti impugnati,
le opere di urbanizzazione sono risultate non completate ed ancora oggi, a
distanza di svariati anni dalle inibitorie, gli stessi ricorrenti chiedono
che si “attenda” il perfezionamento dell’autorizzazione allo scarico.
Ne deriva la correttezza dell’inibitoria di efficacia, fondata su un dato di
fatto (mancanza di opere di urbanizzazione alcune di impatto anche
significativo) del tutto incontestato in giudizio.
Sono conseguentemente infondati i motivi 3, 7 di ricorso
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 16.10.2021 n. 1328 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
di tutta evidenza come il certificato di agibilità non possa
surrogare un titolo edilizio mancante, assurgendo al rango,
ora come allora, di surrettizia sanatoria di un abuso.
Sul punto, la Sezione ha già avuto modo di chiarire, anche
con riferimento all’evoluzione della normativa in materia,
come l’attestazione di conformità alla progettualità
assentita, da sempre in qualche modo richiesta, non ne
implichi certo la portata abilitante, a maggior ragione
laddove al riferimento terminologico utilizzato non
corrisponda alcuna visualizzazione né grafica, né
descrittiva, del presunto locale in controversia negli
allegati ai titoli edilizi.
Il richiamo ad un elemento architettonico che non figura nel
progetto dovrebbe implicare caso mai dubbi sulla legittimità
del certificato di agibilità, ove veramente descriva uno
stato di fatto difforme da quello del progetto assentito,
non integrare il contenuto dello stesso.
---------------
13.4. La mancata dimostrazione dell’esistenza di un titolo
edilizio a supporto della denunciata tamponatura del portico
non è superata dal richiamo al contenuto -in verità,
effettivamente ambiguo- del certificato di agibilità
rilasciato dal Sindaco del Comune di Rieti in data
22.12.1989, prot. n. 5173.
L’atto, che richiama la domanda della Società Te.
dell’11.09.1989, la relazione dell’Ufficio Tecnico del
21.12.1989 e la relazione dell’Azienda sanitaria locale
competente per territorio del 22.12.1989 -documenti peraltro
non rinvenuti- riferisce della esistenza di una “hall
d’ingresso”, che per espressa valutazione dello stesso
verificatore «potrebbe essere associata a quella
identificata sul citato elaborato di variante del 1989 come
“PORTICATO”».
Tuttavia, la mancanza nel provvedimento invocato di
qualsivoglia indicazione di dimensioni o superfici non
consente di ipotizzare la sovrapponibilità della hall con
tutta l’area di cui è causa, potendo essa essere limitata
anche ad una sua ridotta porzione.
Se deve dunque condividersi con il verificatore la
considerazione linguistica in forza della quale la dicitura
“hall d’ingresso” pare evocare uno spazio chiuso, lo
è altrettanto che con la stessa non se ne è comunque potuto
legittimare l’(eventuale) esistenza, per intero, o in parte.
13.5. Anche ad ammettere, peraltro, la totale
sovrapponibilità tra i due luoghi (il porticato e la hall),
è di tutta evidenza come il certificato di agibilità non
possa surrogare un titolo edilizio mancante, assurgendo al
rango, ora come allora, di surrettizia sanatoria di un
abuso.
Sul punto, la Sezione ha già avuto modo di chiarire, anche
con riferimento all’evoluzione della normativa in materia,
come l’attestazione di conformità alla progettualità
assentita, da sempre in qualche modo richiesta, non ne
implichi certo la portata abilitante, a maggior ragione
laddove, come nel caso di specie, al riferimento
terminologico utilizzato non corrisponda alcuna
visualizzazione né grafica, né descrittiva, del presunto
locale in controversia negli allegati ai titoli edilizi
(sulla portata del certificato di abitabilità/agibilità, v.
Cons. Stato, sez. II, 17.05.2021, n. 3836).
Il richiamo ad un elemento architettonico che non figura nel
progetto dovrebbe implicare caso mai dubbi sulla legittimità
del certificato di agibilità, ove veramente descriva uno
stato di fatto difforme da quello del progetto assentito,
non integrare il contenuto dello stesso.
13.5. Il fatto poi che tali atti non siano stati rinvenuti
negli archivi del Comune di Rieti non può certo risolversi
in una insufficienza probatoria della tesi della difesa
civica, vuoi perché, come già detto, essi sono del tutto
privi di «valenza autorizzatoria» (v. § 5.6 della
sentenza impugnata), vuoi perché era caso mai onere
dell’appellante dimostrarne la diversa e determinante
portata contenutistica
(Consiglio di Stato, Sez.
II,
sentenza 01.09.2021 n. 6186 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Certificato
di agibilità.
---------------
●
Edilizia – Agibilità – Natura.
●
Edilizia – Agibilità – Riferimento anche alla conformità
urbanistico-edilizia – Natura del silenzio assenso – Effetti sull’illecito
edilizio.
●
Il termine “agibilità” è stato utilizzato dal legislatore in accezioni
diverse e non sempre coincidenti; l’agibilità disciplinata dal d.P.R. n. 380
del 2001 non si identifica completamente con il “vecchio” certificato di
abitabilità previsto dal Testo unico delle leggi sanitarie, in quanto
presuppone una serie di valutazioni ulteriori.
Di ciò è prova nell’art. 26, d.P.R. n. 380 del 2001 che ancora oggi consente
al Sindaco di intervenire dichiarando la inabitabilità di un immobile, già
certificato come agibile, ai sensi dell’art. 222 del T.U.L.S.; altro è,
infatti, la strutturale conformità del fabbricato a tutti i requisiti
richiesti e, in parte, assorbiti nella conformità al titolo edilizio in
forza del quale è stato realizzato, altro la sua (sopravvenuta) carenza di
requisiti igienici tale da non consentirne l’occupazione a fini abitativi
(1).
●
La illiceità dell’immobile sotto il profilo urbanistico-edilizio
non può essere in alcun modo sanata dal conseguimento della sua agibilità,
quand’anche formalmente sopravvenuto;
la mancanza dei requisiti di regolarità dell’intervento non consente che
possa decorrere il termine per la maturazione del silenzio assenso,
identificandosi piuttosto l’istituto in una sorta di legittimazione ex lege
ad utilizzare l’immobile in conformità con la sua destinazione d’uso, che
prescinde dalla pronuncia della Pubblica amministrazione e che trova il suo
fondamento nella effettiva sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge
per il rilascio del titolo.
ciò trova conferma nella sua attuale disciplina, contenuta nel d.lgs.
25.11.2016, n. 222, che ha sostituito il regime della s.c.i.a. a quello
originario di silenzio assenso, includendo espressamente nella norma
definitoria (art. 24) la «conformità dell’opera al progetto presentato» tra
le cose che il tecnico deve asseverare all’atto della presentazione della
dichiarazione, unitamente peraltro alla sua «agibilità».
pertanto non solo non è ipotizzabile il conseguimento di agibilità di un
immobile in contrasto con la disciplina urbanistica, ma lo stesso non
impedirebbe comunque l’attivazione dei doverosi poteri sanzionatori del
Comune in relazione ai compiti di vigilanza sul territorio che gli sono
attribuiti: quanto detto anche laddove la violazione si concretizzi
nell’inadempienza ad una clausola di convenzione accessiva ad un piano
attuativo in sanatoria, in ragione del convergere della stessa nel contenuto
del titolo edilizio legittimante l’intervento (2).
---------------
(1) Il legislatore ha utilizzato nel tempo il termine agibilità in
varie accezioni. Ad essa, ad esempio, si fa ancora oggi riferimento in
relazione alla certificazione dei requisiti di solidità e sicurezza che
devono possedere i teatri e luoghi di pubblico spettacolo ai sensi dell’art.
80, r.d. 18.06.1931, n. 773, T.U.L.P.S, denominata, appunto, “licenza di
agibilità”, nell’art. 1, comma 1, n. 9, d.P.R. 24.07.1977, n. 616, che
ha trasferito la competenza al relativo rilascio ai Comuni.
La agibilità urbanistica, di cui agli artt. 24 e seguenti del d.P.R. n. 380
del 2001, è la “qualificazione” dell’immobile che ha sostituito la “abitabilità”
prevista dal r.d. 27.07.1934, n. 1265 (T.U.L.S.), ma non si esaurisce, come
quest’ultima, nella attestata sussistenza dei requisiti igienico-sanitari di
un’“abitazione”. Essa si riferisce a qualsivoglia tipologia di
edificio, a prescindere dalla destinazione d’uso, e certifica anche la «conformità
dell’opera rispetto al progetto approvato», ovvero, in buona sostanza,
la sua regolarità edilizia e, conseguentemente, urbanistica.
L’agibilità dei manufatti o dei locali dove si intende svolgere un’attività
commerciale, ad esempio, rappresenta il necessario ponte di collegamento fra
la situazione urbanistico-edilizia e quella commerciale nel senso che la non
conformità dei locali per il versante urbanistico-edilizio si traduce nella
loro non agibilità anche sul versante commerciale.
All’inverso, ai fini dell’agibilità, è necessario che il manufatto o il
locale sia assistito dallo specifico titolo edilizio abilitativo e, più in
generale, che lo stesso non rivesta carattere abusivo, esigendosi, in tal
modo, una corrispondenza biunivoca tra conformità urbanistica dei beni
ospitanti l’attività commerciale e l’agibilità degli stessi (sul punto cfr.
Cons. Stato, sez. V, 29.05.2018, n. 3212).
(2) Ha chiarito la Sezione che essendo la agibilità la summa del
possesso dei requisiti sia igienico-sanitari che urbanistico-edilizi di un
edificio, essa non può essere conseguita nel caso in cui il titolo edilizio
sottostante, seppure esistente, non possa considerarsi efficace, sicché non
ne è necessario il preventivo annullamento per impedirne il conseguimento.
Ritenendo certificabile come agibile anche un immobile abusivo, purché
conforme ai requisiti igienico-sanitari e di risparmio energetico previsti,
si finirebbe infatti per trasformare la relativa qualificazione in una sorta
di ulteriore sanatoria cartolare, ovvero, al contrario, per svuotarne
completamente la portata, stante che la natura permanente dell’illecito
edilizio ad essa sottesa non ne impedirebbe comunque l’assoggettamento al
previsto regime sanzionatorio.
Quanto detto vale anche nell’ipotesi di violazione della convenzione
stipulata tra un Comune e un privato costruttore, con la quale questi, al
fine di conseguire il rilascio di un titolo edilizio, si obblighi ad un
facere o a determinati adempimenti nei confronti dell’ente pubblico
(quale, ad esempio, la destinazione di un’area ad uno specifico uso,
cedendola. Cfr. Cons. Stato,
sez. II, 19.01.2021, n. 579; id., sez. IV, 26.11.2013, n. 5628).
Vale altresì laddove la convenzione acceda ad un piano attuativo adottato in
sanatoria, quale il piano di recupero, ovvero lo strumento introdotto
dall’art. 27, l. 05.08.1978, n. 457 per cercare di realizzare il
riequilibrio urbanistico di aree degradate o colpite da più o meno estesi
fenomeni di edilizia “spontanea” e incontrollata, legittimati,
appunto, ex post. Tali piani hanno sì l’obiettivo di “recupero
fisico” degli edifici, ma collocandolo in operazioni di più ampio
respiro su scala urbanistica, in quanto mirate alla rivitalizzazione di un
particolare comprensorio urbano (cfr., ex multis, Cons. Stato,
sez. IV, 28.06.2016, n. 2897; id.,
sez. V, 14.10.2014, n. 5078).
La loro funzione “sanante” fa sì che ove non operino i relativi
presupposti, ancorché stabiliti in via pattizia tra il Comune e il privato,
permane la natura abusiva dell’opera realizzata, seppure sorretta da un
originario titolo edilizio, che la stessa Amministrazione ha inteso
dequotare nel momento in cui ne ha deciso, appunto, la legittimazione
postuma (Consiglio
di Stato, Sez. II,
sentenza 17.05.2021 n. 3836 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
15. Ma vi è di più. Nel caso di specie l’inadempimento convenzionale ha
assunto rilievo non ex se, ma in quanto posto a fondamento dell’impugnato
diniego di agibilità.
Sul punto il primo giudice, con argomentazione fatta propria anche da questo
Consiglio di Stato in sede di decisione cautelare, ha ritenuto di dovere
disgiungere i due procedimenti, di regolarità urbanistico-edilizia e di
agibilità, riconducendo quest’ultima ai soli aspetti igienico-sanitari. Da
qui il richiamo alla necessità che le eventuali problematiche concernenti il
preesistente permesso di costruire, fossero oggetto di diversa e autonoma
valutazione, «in vista del suo annullamento d’ufficio, qualora ne ricorrano
i presupposti».
Con ciò pretermettendo non solo la circostanza che ridetto
titolo edilizio è stato ancorato in maniera postuma alla realizzazione di
quanto previsto nel Piano di recupero a sanatoria; ma anche e soprattutto
che la agibilità, lungi dal costituire un sub-procedimento separato da quello
sotteso alla realizzazione di un’opera, ne rappresenta il punto d’approdo
finale, suggellandone la regolarità in primo luogo in quanto conforme alle
autorizzazioni in forza delle quali essa è stata realizzata.
16. Secondo il TAR, dunque, i procedimenti finalizzati ai controlli di
regolarità urbanistico-edilizia non intersecano in alcun modo quelli
inerenti la agibilità dei fabbricati, riferibile esclusivamente al possesso
dei requisiti di salubrità dell’immobile. Di ciò sarebbe conferma a
contrario nel richiamo contenuto nell’art. 26 del d.P.R. n. 380/2001
all’art. 222 del T.U.L.S., laddove consente al Sindaco (“Podestà”, secondo
la dicitura dell’epoca) di «dichiarare inabitabile una casa o parte di essa
per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero», seppure formalmente agibile.
17. La ricostruzione non può essere condivisa.
17.1. Occorre innanzi tutto chiarire come il termine “agibilità” sia stato
in passato utilizzato dal legislatore in un’accezione del tutto diversa da
quella attualmente riconducibile alla richiamata disciplina urbanistica, con
ciò generando una certa confusione interpretativa ed atecnicità di
linguaggio, in particolare in relazione a specifiche tipologie di immobili.
Ad essa, ad esempio, si fa ancora oggi riferimento in relazione alla
certificazione dei requisiti di solidità e sicurezza che devono possedere i
teatri e luoghi di pubblico spettacolo ai sensi dell’art. 80 del r.d. 18.06.1931, n. 773, T.U.L.P.S, denominata, appunto, “licenza di agibilità”,
nell’art. 1, comma 1, n. 9, del d.P.R. 24.07.1977, n. 616, che ha
trasferito la competenza al relativo rilascio ai Comuni.
L’art. 220 del r.d. 27.07.1934, n. 1265, invece, disciplinava la c.d.
“abitabilità”, ovvero la fruibilità degli immobili a fini abitativi. La
norma disponeva che «I progetti per le costruzioni di nuove case, urbane o
rurali, quelli per la ricostruzione o la sopraelevazione o per
modificazioni, che comunque possono influire sulle condizioni di salubrità
delle case esistenti debbono essere sottoposti al visto del podestà, che
provvede previo parere dell’ufficiale sanitario e sentita la commissione
edilizia».
Agli stessi tipi di immobili (“abitazioni”) aveva riguardo anche
il d.P.R. 22.04.1994, n. 425, contenente il Regolamento recante
disciplina dei procedimenti di autorizzazione all’abitabilità. L’art. 4,
comma 1, dello stesso prevedeva che ai fini del rilascio del documento di
cui all’art. 220 del T.U.L.S. il direttore dei lavori attestasse sotto la
propria responsabilità, anche «la conformità rispetto al progetto
approvato».
Con l’entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 2001, la “abitabilità” cede il
passo (a seguito dell’abrogazione sia dell’art. 220 del T.U.L.S. che del
d.P.R. n. 425/1994) alla omnicomprensiva “agibilità”, siccome riferita a
qualsivoglia tipologia di edificio, non solo di natura abitativa. Il
relativo termine sopravvive pertanto esclusivamente nel gergo degli
operatori del settore, che continuano ad utilizzarlo in relazione agli
immobili a destinazione residenziale per distinguerli da quelli con diversa
destinazione d’uso, per i quali quello nuovo di “agibilità” si palesa anche
etimologicamente più confacente.
L’art. 24, dunque, nella sua stesura originaria, vigente al momento
dell’odierna controversia, stabiliva che: «Il certificato di agibilità
attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati,
valutate secondo quanto dispone la normativa vigente». La presunta tassatività dell’elencazione non tiene tuttavia conto del fatto che il
successivo art. 25, che declina il procedimento di rilascio, nell’elencare
le declaratorie a corredo della richiesta, menziona espressamente la
«conformità dell’opera rispetto al progetto approvato», ovvero, in buona
sostanza, la sua regolarità edilizia e, conseguentemente, urbanistica.
Con
il d.lgs. 25.11.2016, n. 222, che ha ricondotto la certificazione al
regime della s.c.i.a., tale requisito di conformità è stato riportato sin
nella norma definitoria (art. 24) che include espressamente la «conformità
dell’opera al progetto presentato» tra le cose che il tecnico deve
asseverare all’atto della presentazione della dichiarazione, unitamente
peraltro alla sua «agibilità».
Il richiamo conclusivo alla stessa,
all’apparenza ultroneo, ove non del tutto pleonastico, assume piuttosto il
significato di voler raccogliere in un unico termine tutti gli aspetti di
regolarità necessari, riassumendone l’elencazione, senza neppure esaurirsi
in essa vista la variegata gamma delle destinazioni d’uso degli immobili.
L’agibilità dei manufatti o dei locali dove si intende svolgere un’attività
commerciale, ad esempio, rappresenta il necessario ponte di collegamento fra
la situazione urbanistico-edilizia e quella commerciale nel senso che la non
conformità dei locali per il versante urbanistico-edilizio si traduce nella
loro non agibilità anche sul versante commerciale.
All’inverso, ai fini
dell’agibilità, è necessario che il manufatto o il locale sia assistito
dallo specifico titolo edilizio abilitativo e, più in generale, che lo
stesso non rivesta carattere abusivo, esigendosi, in tal modo, una
corrispondenza biunivoca tra conformità urbanistica dei beni ospitanti
l’attività commerciale e l’agibilità degli stessi (sul punto cfr. Cons.
Stato, sez. V, 29.05.2018, n. 3212; TAR per la Campania, Sez. III, 09.03.2020, n. 1035).
17.2. Come emerge dal delineato quadro normativo, quindi, il rilascio del
certificato di agibilità, ovvero, oggi, la sua dichiarazione, presuppone una
molteplicità di valutazioni ulteriori rispetto a quelle che erano sottese al
vecchio certificato di abitabilità, cui il primo pertanto non può essere del
tutto assimilato, siccome affermato dal primo giudice. Di ciò è prova
proprio nell’art. 26 del d.P.R. n. 380 del 2001, invocato con finalità
diametralmente opposta dal primo giudice. Nel consentire, infatti, al
Sindaco di intervenire comunque dichiarando la inabitabilità di un immobile,
già certificato come agibile, ai sensi dell’art. 222 del T.U.L.S., il
legislatore ha inteso ribadire le differenze tra i due istituti: altro è,
infatti, la strutturale conformità del fabbricato a tutti i requisiti
richiesti e, in parte, assorbiti nella conformità al titolo edilizio in
forza del quale è stato realizzato, altro la sua (sopravvenuta) carenza di
requisiti igienici tale da non consentirne l’occupazione a fini abitativi.
18. Anche prima della riforma che ne ha ricondotto il conseguimento ad una
mera segnalazione certificata, il procedimento di acquisizione della
agibilità si connotava per la sostanziale attribuzione al privato
richiedente dell’onere di dimostrare la regolarità di quanto realizzato,
salvo richiedere comunque al Comune di “certificarne” i contenuti.
Solo a seguito della acquisizione della stessa, peraltro, può considerarsi
legittimo l’utilizzo in concreto dell’immobile in conformità con la propria
destinazione d’uso, seppure il relativo illecito sia punito con una sanzione
pecuniaria di non particolare entità.
Al fine, dunque, di non procrastinare
indebitamente proprio la fruizione del bene, ovvero la sua commerciabilità,
il comma 4 dell’art. 25, nella formulazione vigente ratione temporis,
prevedeva che decorsi trenta giorni dalla ricezione della domanda, ovvero,
in caso di presenza del richiesto parere della A.S.L., sessanta giorni,
l’inerzia dell’Amministrazione abbia validità di assenso.
19. Punto centrale della motivazione della sentenza impugnata è la
riconduzione dell’atto del Segretario generale del Comune ad un annullamento
d’ufficio del provvedimento tacito di assenso, non consentito in assenza di
una motivazione di interesse pubblico pertinente ratione materiae.
19.1 Alla luce di tutto quanto sopra detto, il Collegio ritiene corretta la
diversa prospettazione della difesa civica di cui al motivo sub I dell’atto
di appello.
Affinché, infatti, possa decorrere il termine per la maturazione
del silenzio assenso è necessario che la domanda presentata sia completa
delle indicazioni previste dal comma 1 del medesimo art. 25 del d.P.R. n.
380 del 2001, ovvero, per quanto qui di interesse, della declaratoria di
conformità al progetto edilizio, iniziale ed integrato con gli obblighi
assunti all’esito dell’adozione del nuovo Piano attuativo. La disciplina
della certificazione dell’agibilità, infatti, «non configura una vera e
propria ipotesi di silenzio assenso in senso tecnico, di cui all’art. 20
della legge 241/1990, ma dà invece luogo ad una sorta di legittimazione ex lege, che prescinde dalla pronuncia della Pubblica amministrazione e che
trova il suo fondamento nella effettiva sussistenza dei presupposti
richiesti dalla legge per il rilascio del titolo» (TAR per la Lombardia,
sez. II, 10.02.2010, n. 332).
Allo stesso risultato può peraltro pervenirsi pur nell’ambito del paradigma
del silenzio assenso, stante che non può ipotizzarsi la decorrenza del
relativo termine in mancanza dei requisiti essenziali della domanda, siccome
reiteratamente affermato dalla giurisprudenza con riferimento, ad esempio,
alla materia del condono edilizio. Nel caso di specie, l’attività edilizia
della Società era stata finanche stigmatizzata con una esplicita diffida a
proseguire i lavori (nota del 23.08.2011), dai contenuti sostanzialmente
anticipatori del successivo diniego di agibilità, in quanto riferiti alla
riscontrata inottemperanza all’art. 2, comma 3 e 7, della Convenzione del 06.12.2010, accessiva al Piano di recupero postumo.
Con successivo preavviso di diniego del 22.06.2012, prot. 18567, si era
egualmente sottolineata la ritenuta illiceità delle opere realizzate,
mancando il requisito del previsto frazionamento della strada di
collegamento tra la Statale n. 18 e la via Ponti Rotti, del relativo
collaudo e della conseguente cessione al Comune, condizionante la validità
sia della variante al permesso di costruire n. 45 del 09.05.2007, sia,
soprattutto, del Piano di recupero in sanatoria approvato con delibera di
Giunta n. 162 del 20.07.2010.
20. Diversamente opinando, siccome preteso dalla Società e avallato dal TAR
per la Campania, ovvero ritenendo certificabile come agibile anche un
immobile abusivo, purché conforme ai requisiti igienico-sanitari e di
risparmio energetico previsti, si finirebbe per trasformare la relativa
qualificazione in una sorta di ulteriore sanatoria cartolare, ovvero, al
contrario, per svuotarne completamente la portata, stante che la natura
permanente dell’illecito edilizio ad essa sottesa non ne impedirebbe
comunque l’assoggettamento al previsto regime sanzionatorio.
21. Rileva infine il Collegio che alla ricostruzione proposta non è di
ostacolo l’effettiva ambiguità narrativa dell’atto impugnato, che dopo avere
dettagliatamente ricostruito i complessi passaggi della vicenda, rigetta la
domanda di agibilità, richiamandone altresì l’ipotetico annullamento ove la
stessa «venga intesa come attestata ai sensi di legge». L’espressione,
infatti, lungi dal mutare la natura del provvedimento avversato, ne rafforza
la portata precettiva, seppure in maniera impropria, replicando formalmente
alle insistenti interlocuzioni della Società, che ne rivendicava l’assenso
tacito.
Quand’anche, peraltro, si voglia dare rilievo al solo dato formale
della decorrenza del tempo dalla presentazione dell’istanza, del tutto
correttamente ne avrebbe annullato gli effetti, essendo la certificazione
tacita illegittima per contrarietà alla disciplina urbanistica, il cui
rispetto essa deve comunque asseverare.
22. In sintesi, la violazione di una convenzione accessiva ad un Piano
attuativo urbanistico impatta sulla regolarità dei lavori eseguiti,
condizionando la validità del titolo. Essendo la agibilità la summa del
possesso dei requisiti sia igienico-sanitari che urbanistico-edilizi di un
edificio, essa non può essere conseguita nel caso in cui il titolo edilizio
sottostante, seppure esistente, non possa considerarsi efficace, sicché non
ne è necessario il preventivo annullamento.
La sua avvenuta formalizzazione,
da parte del Comune, in assenza dei richiamati requisiti, non riducibili a
quelli nominativamente indicati all’art. 24 del d.P.R. n. 380/2001 nella
formulazione vigente all’epoca dei fatti di causa, non sana comunque l’abuso
edilizio, con riferimento al quale permangono i poteri sanzionatori
attribuiti al Comune.
23. Per quanto sopra detto, il Collegio ritiene di accogliere l’appello e
conseguentemente in riforma della sentenza n. 21 del TAR per la Campania,
sede staccata di Salerno, di respingere il ricorso n.r.g. 1567/2012 proposto
dalla Società Re.Im. s.r.l. e confermare la legittimità del provvedimento
del Segretario generale del Comune di -OMISSIS- del 31.07.2012
(Consiglio
di Stato, Sez. II,
sentenza 17.05.2021 n. 3836 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
primo luogo, il lungo termine decorso dalla data
dell’abuso e la condotta inerte tenuta dall’Amministrazione
comunale non possono essere invocati quali ragioni
giustificatrici di un legittimo affidamento riposto dal
privato nella conservazione delle opere de quibus.
La mera inerzia da parte dell'Amministrazione nell’esercizio
di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti
finalità di interesse pubblico non è, infatti, idonea a far
divenire legittimo ciò che è sin dall'origine illegittimo;
allo stesso modo, tale inerzia non può radicare un
affidamento di carattere legittimo nel proprietario delle
opere abusive, che non risulta destinatario di un atto
amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa
giuridicamente qualificata.
D'altra parte, l'amministrazione anche a distanza di tempo
ha l'obbligo di emanare l'ordine di demolizione per il solo
fatto di aver riscontrato l'esistenza di opere abusive e non
è quindi prospettabile un legittimo affidamento nel
proprietario che non si può dolere dell'eventuale ritardo
con cui l'amministrazione abbia emanato il provvedimento.
In secondo luogo, non può desumersi dal certificato
di abitabilità alcuna volontà amministrativa volta a
confermare la validità e l’efficacia della concessione
edilizia ritirata in autotutela con il provvedimento
censurato in primo grado.
In subiecta materia, deve darsi continuità all’indirizzo
giurisprudenziale in forza del quale “il permesso di
costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a
presupposti diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto
il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l'immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche
vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre
il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del
rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche.
Il rilascio del certificato di abitabilità (o di agibilità)
non preclude quindi agli uffici comunali la possibilità di
contestare successivamente la presenza di difformità
rispetto al titolo edilizio, né costituisce rinuncia
implicita a esigere il pagamento dell'oblazione per il caso
di sanatoria, in quanto il certificato svolge una diversa
funzione, ossia garantisce che l'edificio sia idoneo ad
essere utilizzato per le destinazioni ammissibili”.
Pertanto, se è corretto ritenere che la richiesta del
certificato di agibilità o di abitabilità presupponga la
conformità delle opere realizzate al progetto approvato,
esistendo inevitabilmente un collegamento funzionale tra i
due provvedimenti -atteso che il rilascio del certificato de
quo presuppone la conformità delle opere al permesso di
costruire ed allo strumento urbanistico-, non può, tuttavia,
ritenersi che l’accertamento amministrativo funzionale al
rilascio dello stesso certificato impedisca
all’Amministrazione di provvedere alla repressione degli
illeciti edilizi, non comportando la sanatoria di opere
difformi dai relativi titoli abilitativi.
Deve, dunque, ritenersi che la divergenza tra le opere
realizzate e il titolo edilizio abilitativo non riscontrata
in sede di rilascio del certificato de quo, anziché
determinare un’inammissibile sanatoria di opere abusive, non
precluda eventuali interventi repressivi
dell’Amministrazione in relazione ad opere non assentite.
Ne deriva che la circostanza per cui il Comune abbia
rilasciato il certificato di abitabilità valorizzato
dall’appellante non può comportare la sanatoria delle opere
abusive.
L’accertamento incidentale condotto ai fini
dell’abitabilità, in particolare, non precludendo
all’Amministrazione di riscontrare successivamente l’abusività
di interventi edilizi già realizzati, non può implicare
alcuna volontà dispositiva di sanare opere irregolari,
essendo possibile che, anche a fronte del rilascio del
certificato de quo, sussistano opere abusive sul piano
edilizio, suscettibili di formare oggetto della relativa
sanzione ripristinatoria.
---------------
4. Con il secondo motivo di appello viene censurata
l’erroneità della sentenza di prime cure, per avere
trascurato che la demolizione era stata disposta in
violazione del principio di leale collaborazione tra
amministrazione e privato.
In particolare, nell’insistere nelle analoghe contestazioni
svolte in prime cure, l’appellante rileva che le difformità
sarebbero risalite a circa cinquant’anni prima, senza essere
state mai rilevate dai competenti uffici comunali. Peraltro,
la ricorrente e il suo dante causa non erano a conoscenza di
siffatti abusi; altrimenti, avrebbero potuto presentare
un’istanza di condono ex L. n. 47/1985, L. n. 724/1994 o L.
326/2003.
La stessa Amministrazione aveva rilasciato il certificato di
abitabilità, accertando la conformità delle opere al
progetto presentato e alle eventuali varianti aggiornate; il
ripristino delle opere, inoltre, avrebbe influito sul
prospetto delle facciate condominiali.
Il motivo di appello è infondato ai sensi di quanto di
seguito precisato.
4.1 In primo luogo, il lungo termine decorso dalla
data dell’abuso e la condotta inerte tenuta
dall’Amministrazione comunale non potrebbero essere invocati
quali ragioni giustificatrici di un legittimo affidamento
riposto dal privato nella conservazione delle opere de
quibus.
La mera inerzia da parte dell'Amministrazione nell’esercizio
di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti
finalità di interesse pubblico non è, infatti, idonea a far
divenire legittimo ciò che è sin dall'origine illegittimo;
allo stesso modo, tale inerzia non può radicare un
affidamento di carattere legittimo nel proprietario delle
opere abusive, che non risulta destinatario di un atto
amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa
giuridicamente qualificata.
D'altra parte, l'amministrazione anche a distanza di tempo
ha l'obbligo di emanare l'ordine di demolizione per il solo
fatto di aver riscontrato l'esistenza di opere abusive e non
è quindi prospettabile un legittimo affidamento nel
proprietario che non si può dolere dell'eventuale ritardo
con cui l'amministrazione abbia emanato il provvedimento (ex
multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 23.10.2020, n.
6446).
4.2 In secondo luogo, non può desumersi dal
certificato di abitabilità alcuna volontà amministrativa
volta a confermare la validità e l’efficacia della
concessione edilizia ritirata in autotutela con il
provvedimento censurato in primo grado.
In subiecta materia, deve darsi continuità
all’indirizzo giurisprudenziale in forza del quale “il
permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono
collegati a presupposti diversi, non sovrapponibili fra
loro, in quanto il certificato di agibilità ha la funzione
di accertare che l'immobile sia stato realizzato secondo le
norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità,
igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti,
mentre il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del
rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche.
Il rilascio del certificato di abitabilità (o di agibilità)
non preclude quindi agli uffici comunali la possibilità di
contestare successivamente la presenza di difformità
rispetto al titolo edilizio, né costituisce rinuncia
implicita a esigere il pagamento dell'oblazione per il caso
di sanatoria, in quanto il certificato svolge una diversa
funzione, ossia garantisce che l'edificio sia idoneo ad
essere utilizzato per le destinazioni ammissibili”
(Consiglio di Stato Sez. VI, 29.11.2019, n. 8180).
Pertanto, se è corretto ritenere che la richiesta del
certificato di agibilità o di abitabilità presupponga la
conformità delle opere realizzate al progetto approvato,
esistendo inevitabilmente un collegamento funzionale tra i
due provvedimenti -atteso che il rilascio del certificato de
quo presuppone la conformità delle opere al permesso di
costruire ed allo strumento urbanistico-, non può, tuttavia,
ritenersi che l’accertamento amministrativo funzionale al
rilascio dello stesso certificato impedisca
all’Amministrazione di provvedere alla repressione degli
illeciti edilizi, non comportando la sanatoria di opere
difformi dai relativi titoli abilitativi.
Deve, dunque, ritenersi che la divergenza tra le opere
realizzate e il titolo edilizio abilitativo non riscontrata
in sede di rilascio del certificato de quo, anziché
determinare un’inammissibile sanatoria di opere abusive, non
precluda eventuali interventi repressivi
dell’Amministrazione in relazione ad opere non assentite.
Ne deriva che la circostanza per cui il Comune abbia
rilasciato il certificato di abitabilità valorizzato
dall’appellante non può comportare la sanatoria delle opere
abusive.
L’accertamento incidentale condotto ai fini
dell’abitabilità, in particolare, non precludendo
all’Amministrazione di riscontrare successivamente l’abusività
di interventi edilizi già realizzati, non può implicare
alcuna volontà dispositiva di sanare opere irregolari,
essendo possibile che, anche a fronte del rilascio del
certificato de quo, sussistano opere abusive sul piano
edilizio, suscettibili di formare oggetto della relativa
sanzione ripristinatoria.
4.3 Infine, quanto all’idoneità del ripristino delle opere
ad influire sul prospetto delle facciate condominiali, si
rinvia a quanto supra osservato in ordine
all’inadeguatezza dell’istruttoria, inficiante il diniego
censurato in prime cure.
Pertanto, la censura svolta dal ricorrente può ritenersi
fondata nei limiti in cui è diretta a denunciare l’assenza
di un accertamento tecnico teso a valutare l’idoneità della
demolizione delle opere abusive ad influire su diverse
opere, quali le facciate condominiali, eventualmente
realizzate in conformità al relativo titolo edilizio
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.05.2021 n. 3666 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA: Diniego
di agibilità per inadempimento di una obbligazione
scaturente da una convenzione di lottizzazione.
L’agibilità non può essere negata per
ragioni afferenti all’inadempimento di obbligazioni nascenti
dalla convenzione di lottizzazione, riguardanti aspetti del
tutto estranei a quelli relative alle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti negli stessi installati, quali gli
obblighi di cessione delle aree ove insistono le opere di
urbanizzazione.
Invero, la costante giurisprudenza ha infatti precisato che:
«in base a quanto previsto dagli art. 24 e 25, D.P.R.
06.06.2001 n. 380, il certificato di agibilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione dei competenti
uffici tecnici comunali in ordine alla sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio
energetico degli edifici e degli impianti tecnologici in
essi installati, alla stregua della normativa vigente.
E' stato altresì specificato che tale atto non presenta
“alcun rilievo sotto il profilo urbanistico edilizio,
assolvendo all'esclusiva funzione di controllo
sanitario-urbanistico rispetto alla concessione edilizia a
monte rilasciata e con opere concluse”.
Ne discende che giustificare il diniego di agibilità con
ragioni eccedenti rispetto a quelle specificamente indicate
dalla norma, ragioni da ritenersi tassative quantomeno
rispetto alla indicazione dei tipi, dà luogo ad un vizio di
legittimità sostanziale per violazione della funzione a cui
è preordinato il potere conferito all’amministrazione nel
caso di specie, da qualificarsi come ipotesi di sviamento
dalla causa tipica».
---------------
8.1. Il primo motivo di ricorso risulta fondato.
Ai sensi dell’art. 24, comma 1, D.P.R. 380/2001, nella
versione applicabile ratione temporis alla
fattispecie: «1. Il certificato di agibilità attesta la
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene,
salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli
impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto
dispone la normativa vigente». Sono dunque
legislativamente fissati i presupposti per il rilascio del
certificato.
Per conseguenza, l’agibilità non può essere negata per
ragioni afferenti all’inadempimento di obbligazioni nascenti
dalla convenzione di lottizzazione, riguardanti aspetti del
tutto estranei a quelli evidenziati dalla norma, quali gli
obblighi di cessione delle aree ove insistono le opere di
urbanizzazione.
La costante giurisprudenza, in termini pienamente condivisi
dal Collegio, ha infatti precisato che: «in base a quanto
previsto dagli art. 24 e 25, D.P.R. 06.06.2001 n. 380, il
certificato di agibilità delle costruzioni costituisce
un'attestazione dei competenti uffici tecnici comunali in
ordine alla sussistenza delle condizioni di sicurezza,
igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici e
degli impianti tecnologici in essi installati, alla stregua
della normativa vigente (TAR Puglia-Lecce III Sezione n.
1762 del 14.10.2011); è stato altresì specificato che tale
atto non presenta “alcun rilievo sotto il profilo
urbanistico edilizio, assolvendo all'esclusiva funzione di
controllo sanitario-urbanistico rispetto alla concessione
edilizia a monte rilasciata e con opere concluse” (TAR
Sardegna, 26 novembre 2002, n. 1699); - ne discende che
giustificare il diniego di agibilità con ragioni eccedenti
rispetto a quelle specificamente indicate dalla norma,
ragioni da ritenersi tassative quantomeno rispetto alla
indicazione dei tipi, dà luogo ad un vizio di legittimità
sostanziale per violazione della funzione a cui è
preordinato il potere conferito all’amministrazione nel caso
di specie, da qualificarsi come ipotesi di sviamento dalla
causa tipica» (TAR Campania, Napoli, VIII, 18.12.2013 n.
5801; cfr.: TAR Umbria, Perugia, I, 04.09.2017, n. 567; TAR
Puglia, Bari, III, 14.01.2009, n. 33).
Nel caso di specie, l’Amministrazione ha legato la sancita “non
accoglibilità” dell’istanza di rilascio del certificato
di agibilità all’omesso trasferimento delle aree individuate
nella convenzione. Le ragioni del diniego risiedono dunque
nell’inadempimento, in capo alla società, di un’obbligazione
scaturente dalla convenzione di lottizzazione, avente un
oggetto del tutto estraneo rispetto agli elementi
individuati dal citato art. 24 D.P.R. 380/2001.
Il provvedimento gravato risulta dunque illegittimo per la
falsa applicazione degli artt. 24 e 25 D.P.R. 380/2001,
oltre che per eccesso di potere, nella figura sintomatica
dello sviamento. Invero, la verifica dell’agibilità,
prevista dal legislatore per accertare la salubrità (in
senso ampio) degli edifici, veniva qui piegata a finalità, a
essa fisiologicamente estranee, legate alla tutela della
posizione contrattuale dell’Amministrazione.
Il rilievo della parte ricorrente risulta dunque fondato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.01.2021 n. 188 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA: Riequilibrio
delle previsioni della convenzione per assicurare il
rispetto delle disposizioni normative sopravvenute.
La controversia, riguardante le pretese
scaturenti da una convenzione accessiva ad un Piano di
lottizzazione rientra nella giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1,
lett. a), n. 2, e lett. f), cod. proc. amm. perché si tratta
di obbligazioni derivanti da strumenti convenzionali che
vanno ricompresi tra gli accordi sostitutivi di
provvedimenti amministrativi, ai sensi dell’art. 11 della
legge n. 241 del 1990, in materia urbanistica ed edilizia.
---------------
Se
il Comune non ritiene adeguata l’attività del collaudatore
deve contestarla entro il biennio dal rilascio del
certificato di collaudo, secondo le modalità stabilite
dall’art. 229, comma 3, del D.P.R. n. 207 del 2010; una
volta divenuto definitivo il collaudo (art. 141, comma 3,
del D.Lgs. n. 163 del 2006 e, oggi, art. 102, comma 5, del
D.Lgs. n. 50 del 2016), nulla è più opponibile
all’esecutore.
Difatti, in presenza di un certificato di regolare collaudo,
non contestato nelle forme di legge, ma soltanto in via
informale e tardivamente, e in assenza di inadempimenti
convenzionali debitamente denunciati in sede giudiziale o
stragiudiziale, non è possibile per il Comune rifiutarsi in
via unilaterale di dar corso ad una obbligazione
contrattualmente assunta. Un tale comportamento risulta in
contrasto con i principi del codice civile in materia di
obbligazioni e contratti, certamente applicabili alle
convenzioni urbanistiche, quali accordi tra privati e
Amministrazione, ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241
del 1990.
La necessità di salvaguardare l’equilibrio del rapporti
contrattuali anche in fase di esecuzione, in ossequio ai
canoni di affidamento e buona fede e nel rispetto del
rapporto di sinallagmaticità, impone di assumere come lesiva
della posizione giuridica della ricorrente e dei suoi
interessi la determinazione comunale di non rilasciare il
certificato di agibilità del manufatto, trattandosi di una
indebita variazione unilaterale delle obbligazioni assunte
contrattualmente.
Invero, «è stato affermato che, anche laddove il
riequilibrio delle previsioni della convenzione si renda
necessario al fine di assicurare il rispetto delle
disposizioni normative sopravvenute, ciò non può avvenire
sulla base di un intervento unilaterale e autoritativo
dell’Amministrazione, bensì soltanto in esito alla
rinegoziazione tra le parti, secondo buona fede, delle
prestazioni oggetto delle obbligazioni che non possano più
essere adempiute nel modo originariamente convenuto».
Ed ancora, «a fronte di una puntuale pattuizione
contrattuale –ossia quella che prevede il rilascio in favore
della ricorrente del certificato di agibilità dei capannoni
di sua proprietà, in seguito alla realizzazione delle opere
di urbanizzazione primaria (art. 4, quarto comma, della
Convenzione)–, il Comune avrebbe dovuto rilasciare il
richiesto certificato, oppure agire in giudizio per ottenere
la risoluzione della Convenzione per inadempimento e
neutralizzare il prescritto obbligo»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.12.2020 n. 2665 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
1. In via preliminare, va premesso che la controversia,
riguardante le pretese scaturenti da una convenzione
accessiva ad un Piano di lottizzazione, rientra nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi
dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, e lett. f), cod.
proc. amm. perché si tratta di obbligazioni derivanti da
strumenti convenzionali che vanno ricompresi tra gli accordi
sostitutivi di provvedimenti amministrativi, ai sensi
dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, in materia
urbanistica ed edilizia (cfr., Corte costituzionale,
sentenza 15.07.2016, n. 179; Cass., SS.UU., 05.10.2016, n.
19914; Cass., SS. UU., 09.03.2015, n. 4683, che ha
confermato Consiglio di Stato, Ad. plen., 20.07.2012, n. 28;
TAR Lombardia, Milano, II, 16.03.2020, n. 492; 08.01.2019,
n. 36; 31.01.2018, n. 269).
2. Sempre in via preliminare, va evidenziato che la
ricorrente non agisce per far dichiarare l’avvenuta
maturazione del silenzio assenso in relazione all’agibilità
del capannone, ritenendo invero già maturata tale
condizione, ma chiede il rilascio materiale del certificato
per ragioni legate alla certezza dello stato giuridico
afferente all’immobile; quindi, contrariamente all’eccezione
della difesa comunale, nessuna azione sul silenzio ai sensi
degli artt. 31 e 117 cod. proc. amm. avrebbe dovuto essere
avviata al posto di quella di accertamento di un obbligo
negoziale e di conseguente condanna al suo adempimento,
oggetto dell’odierno giudizio.
3. Passando all’esame del merito del ricorso, lo stesso è
fondato.
4. La società ricorrente chiede, previo accertamento
dell’intervenuto adempimento delle obbligazioni inerenti
alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria,
quali dedotte nell’art. 4 della Convenzione urbanistica del
20.07.2005, Rep. n. 189781, l’accertamento del proprio
diritto ad ottenere il certificato di agibilità dei
capannoni industriali siti in Cassago Brianza, in Via
Massimo d’Antona, identificati quale Lotto 1A del Piano
Esecutivo di Interesse Sovracomunale denominato “Ga.”,
di cui alla Convenzione urbanistica summenzionata.
5. L’art. 4, quarto comma, della Convenzione di
lottizzazione sottoscritta tra la dante causa della
ricorrente, Ho.It. S.p.A., e i Comuni di Cassago Brianza e
Bulciago in data 20.07.2005 (all. 1 al ricorso), prevede che
soltanto in seguito all’esecuzione da parte del soggetto
privato attuatore delle opere di urbanizzazione previste nel
Piano esecutivo, si possa richiedere il rilascio del
certificato di abitabilità o agibilità degli immobili
realizzati.
Risulta pacifico che la ricorrente, quale soggetto attuatore
del P.E. Ga., ha realizzato soltanto una parte delle opere
di urbanizzazione primaria del comparto, come è stato
accertato all’esito delle operazioni di collaudo svolte
dall’incaricato (e per conto) dei Comuni di Cassago Brianza
e Bulciago (cfr. verbale di collaudo sottoscritto in data
11.06.2014: all. 7 al ricorso).
In particolare, il collaudatore ha certificato che i lavori
relativi alle opere di urbanizzazione indicati nei progetti
afferenti al Piano di lottizzazione sovracomunale denominato
Ga. sono stati effettuati e risultano idonei all’uso, ad
eccezione di taluni interventi ancora da eseguire e di
quelli occorrenti per rimuovere i difetti e vizi riscontrati
rispetto alla messa in opera a regola d’arte, la cui
esecuzione sarebbe di competenza dei due Comuni, utilizzando
le somme ricavate dall’escussione delle polizze fideiussorie
(all. 7, pagg. 23 e 25).
Una volta intervenuto il positivo collaudo delle opere di
urbanizzazione realizzate dalla parte privata (sull’obbligo
del Comune di prendere in carico, previo collaudo delle
stesse, le opere di urbanizzazione primaria, TAR Sardegna,
II, 22.06.2019, n. 563; 15.05.2013, n. 404) –ed escluso in
capo alla stessa l’obbligo di procedere al completamento
delle parti non realizzate– si deve fare applicazione
dell’art. 4, quarto comma, della Convenzione che prevede il
rilascio in favore della ricorrente del certificato di
agibilità dei capannoni di sua proprietà, sull’implicito
presupposto della conformità urbanistica dei predetti
interventi edilizi.
6. La difesa comunale eccepisce il mancato completamento
delle opere di urbanizzazione primaria, assumendo
l’irrilevanza del collaudo favorevole intervenuto nel 2014,
in ragione delle sostanziali carenze e inattendibilità
affliggenti lo stesso, che il Comune ha potuto riscontrare
attraverso una ricognizione soltanto in un momento
successivo (nel 2018 e nel 2019) e che la ricorrente non ha
contestato nel merito; nemmeno l’incameramento a titolo
d’acconto della somma di circa € 300.000,00, quantificata in
tale ridotta misura dal fideiussore Zu., avrebbe liberato i
lottizzanti, vista l’evidente inadeguatezza della somma
indicata per eseguire le opere mancanti, come documentato
dal tecnico incaricato dal Comune.
La prospettazione comunale non appare condivisibile, atteso
che per effetto dell’intervenuto positivo collaudo e in
seguito all’escussione, seppure parziale, della
fideiussione, la ricorrente risulta liberata dall’obbligo di
eseguire quanto previsto dalla Convenzione, scaduta nel
2013: difatti, il collaudatore, dopo aver quantificato gli
importi occorrenti alla realizzazione degli interventi
ancora necessari (all. 7 al ricorso, pagg. 17 e ss., “Computo
dei lavori mancanti e della rimozione dei difetti
riscontrati”), ne ha posto l’esecuzione a carico dei
Comuni, prescrivendo loro di “adoperarsi provvedendo a
rimuovere i difetti, i vizi e le mancanze sopra richiamate
nonché la realizzazione delle opere mancanti trattenendo le
relative somme dalle polizze fideiussorie” (pag. 25).
Del resto, se il Comune avesse ritenuto non adeguata
l’attività del collaudatore avrebbe dovuto contestarla entro
il biennio dal rilascio del certificato di collaudo, secondo
le modalità stabilite dall’art. 229, comma 3, del D.P.R. n.
207 del 2010; una volta divenuto definitivo il collaudo
(art. 141, comma 3, del D.Lgs. n. 163 del 2006 e, oggi, art.
102, comma 5, del D.Lgs. n. 50 del 2016), nulla è più
opponibile all’esecutore. Di contro, non si può riconoscere
alcun effetto rilevante alle eccepite innumerevoli
difformità delle opere realizzate, tuttavia non riscontrate
dal collaudatore, come rilevato in sede di ispezione nel
2018 e nel 2019, ove sarebbe stato preventivato un costo di
circa un milione di euro per sistemare e porre rimedio agli
inadempimenti della ricorrente (all. 17 e 18 del Comune).
Difatti, in presenza di un certificato di regolare collaudo,
non contestato nelle forme di legge, ma soltanto in via
informale e tardivamente, e in assenza di inadempimenti
convenzionali debitamente denunciati in sede giudiziale o
stragiudiziale, non è possibile per il Comune rifiutarsi in
via unilaterale di dar corso ad una obbligazione
contrattualmente assunta. Un tale comportamento risulta in
contrasto con i principi del codice civile in materia di
obbligazioni e contratti, certamente applicabili alle
convenzioni urbanistiche (TAR Lombardia, Milano, II,
23.06.2020, n. 1166; 03.04.2014, n. 879), quali accordi tra
privati e Amministrazione, ai sensi dell’art. 11 della legge
n. 241 del 1990 (ex multis, Cass., SS.UU.,
09.03.2012, n. 3689; Cass., I, 28.01.2015, n. 1615; TAR
Lombardia, Milano, II, 26.07.2016, n. 1507).
La necessità di salvaguardare l’equilibrio del rapporti
contrattuali anche in fase di esecuzione, in ossequio ai
canoni di affidamento e buona fede e nel rispetto del
rapporto di sinallagmaticità, impone di assumere come lesiva
della posizione giuridica della ricorrente e dei suoi
interessi la determinazione comunale di non rilasciare il
certificato di agibilità del manufatto, trattandosi di una
indebita variazione unilaterale delle obbligazioni assunte
contrattualmente.
Del resto è stato affermato che, anche laddove il
riequilibrio delle previsioni della convenzione si renda
necessario al fine di assicurare il rispetto delle
disposizioni normative sopravvenute, ciò non può avvenire
sulla base di un intervento unilaterale e autoritativo
dell’Amministrazione, bensì soltanto in esito alla
rinegoziazione tra le parti, secondo buona fede, delle
prestazioni oggetto delle obbligazioni che non possano più
essere adempiute nel modo originariamente convenuto (TAR
Lombardia, Milano, II, 23.06.2020, n. 1166; 10.02.2017, n.
346; 26.07.2016, n. 1507).
Nella specie, a fronte di una puntuale pattuizione
contrattuale –ossia quella che prevede il rilascio in favore
della ricorrente del certificato di agibilità dei capannoni
di sua proprietà, in seguito alla realizzazione delle opere
di urbanizzazione primaria (art. 4, quarto comma, della
Convenzione)–, il Comune avrebbe dovuto rilasciare il
richiesto certificato, oppure agire in giudizio per ottenere
la risoluzione della Convenzione per inadempimento (ove di
non scarsa importanza: sul punto, TAR Lombardia, Milano, II,
16.03.2020, n. 492) e neutralizzare il prescritto obbligo.
7. L’inequivoco tenore della clausola di cui all’art. 4,
quarto comma, della Convenzione e la circostanza che
l’agibilità sia stata conseguita in data antecedente alla
modifica degli artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 380 del 2001 (si
è passati da un regime autorizzatorio alla s.c.i.a., in
seguito alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 222 del
2016) impongono al Comune di rilasciare il richiesto
certificato di agibilità dei due capannoni di proprietà
della ricorrente (cfr. istanza di cui all’all. 9 al
ricorso).
8. In relazione alle suesposte considerazioni il ricorso
deve essere accolto, con la conseguente condanna del Comune
di Cassago Brianza al rilascio del certificato di agibilità
in favore della ricorrente con riguardo all’immobile di cui
al lotto 1A. |
EDILIZIA PRIVATA:
La conformità dei manufatti alle norme
urbanistiche ed edilizie costituisce il presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di
agibilità, come si evince dagli artt. 24, comma 3, d.P.R. n.
380 del 2001 e 35, comma 20, l. n. 47 1985, in quanto, ancor
prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad
escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi
destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa
urbanistico-edilizia e, come tale, in potenziale contrasto
con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui
protezione quella disciplina è preordinata.
---------------
Infine, va respinta la censura relativa alla pretesa
mancanza di un accertamento circa la salubrità dei locali in
riferimento all’annullamento della SCIA relativa
all’agibilità dell’immobile (n. 6183/2018). L’annullamento
è, infatti, la conseguenza logica della non utilizzabilità
dei locali a fini agrituristici per effetto
dell’annullamento della presupposta SCIA n. 3250 del
27.04.2018 la quale riguarda la realizzazione di opere non
conformi alla normativa urbanistica per effetto della
violazione della l.r. n. 15/2008.
Come più volte affermato dalla giurisprudenza anche di
questo TAR (Sezione III n. 3693/2018) la conformità dei
manufatti alle norme urbanistiche ed edilizie costituisce il
presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del
certificato di agibilità, come si evince dagli artt. 24,
comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001 e 35, comma 20, l. n. 47
1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la
ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per
qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla
normativa urbanistico-edilizia e, come tale, in potenziale
contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi
alla cui protezione quella disciplina è preordinata
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 17.12.2020 n. 6203
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
conformità di manufatti alle norme urbanistiche ed edilizie
è presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del
certificato di agibilità.
In forza di quanto stabilito dagli art. 24 e 25 del d.P.R.
06.06.2001 n. 380, applicabili ratione temporis -prima
dell’abrogazione dell’art. 25 da parte del D.Lgs.
25.11.2016, n. 222- il certificato di agibilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente; secondo l’art. 25, comma 1, lett. b), la
certificazione viene rilasciata previa “dichiarazione
sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di
agibilità di conformità dell'opera rispetto al progetto
approvato….”.
Tale ultima previsione è stata poi inserita nell’art. 24 che
all’attualità non prevede più il rilascio del certificato di
agibilità ma dispone che la sussistenza delle suddette
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, valutate secondo quanto dispone la normativa
vigente, unitamente alla conformità dell'opera al progetto
presentato e la sua agibilità, sono attestati mediante
segnalazione certificata.
Al riguardo il Collegio ritiene di confermare la
giurisprudenza alla luce della quale la conformità dei
manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il
presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del
certificato di agibilità, come si evince dagli art. 24,
comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, e 35, comma 20, della L. n.
47/1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la
ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per
qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla
normativa urbanistico-edilizia, e, come tale, in potenziale
contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi
alla cui protezione quella disciplina è preordinata.
Inoltre, alla luce della condivisibile giurisprudenza, il
certificato di agibilità costituisce un atto di accertamento
che si limita ad attestare una situazione oggettiva e, in
particolare, la corrispondenza dell'opera realizzata al
progetto assentito, dal punto di vista dimensionale, della
destinazione d'uso e delle eventuali prescrizioni contenute
nel titolo, nonché attesta la sussistenza delle condizioni
di sicurezza, igiene, salubrità degli edifici, di risparmio
energetico e di sicurezza degli impianti negli stessi
installati, alla stregua della normativa vigente.
L'indagine che l'Amministrazione è chiamata a svolgere per
il rilascio dell'autorizzazione in parola è, pertanto,
finalizzata da un lato all'accertamento della conformità
della costruzione al progetto approvato e dall'altro alla
mancanza di cause di insalubrità limitate alla costruzione
edilizia in sé considerata.
Ne segue che il concetto di conformità della costruzione
effettivamente realizzata al progetto assentito ricomprende,
con ogni evidenza, non solo i profili strutturali estrinseci
(sagoma, volumetria), ma anche la destinazione d'uso
dell'immobile e ciò anche in relazione alla necessità che
quanto realizzato sia coerente e conforme con la
destinazione assegnata all'area dallo strumento di
pianificazione urbanistica comunale.
---------------
Quanto alla destinazione d’uso di un immobile, la
giurisprudenza ha chiarito che è quella impressa dal titolo
abilitativo, assumendo una connotazione oggettiva che vale
ad individuare in modo inconfutabile ed evidente un
determinato bene; le categorie catastali rilevano ai fini
dell’individuazione delle destinazioni delle unità
immobiliari ivi censite solo in difetto di indicazione nei
titoli abilitativi.
Al riguardo la condivisibile giurisprudenza ha precisato che
se, fin dalla legge istitutiva del 01.03.1886 n. 3682, le
iscrizioni catastali non hanno valore di piena prova ai fini
del riconoscimento della proprietà dei beni immobili,
tuttavia ciò non toglie che a partire dalla riforma dal 1939
la funzione primaria del Catasto è proprio quella di
consentire di individuare la destinazione (anche -ma non
solo- ai fini fiscali della fissazione della rendita degli
immobili) e le singole categorie catastali vengono
attribuite ad ogni fabbricato proprio in base alla
destinazione urbanistica del permesso edilizio.
In linea di principio quindi non corrisponde al vero che
l’accatastamento di un immobile abbia valore ai fini fiscali
in quanto, al contrario, le iscrizioni catastali rilevano,
ad esempio, anche nelle procedure ablative o similari al
fine dell’individuazione del proprietario (ex art. 11,
d.P.R. 08.06.2001, n. 327); o per l’individuazione dei
coefficienti di computo del canone con riferimento alle
categorie catastali (ex art. 16 della abrogata L.
27/07/1978, n. 392); ed anche sul piano civilistico, i dati
catastali degli immobili ben possono identificare l'immobile
trasferito, in caso di alienazione di immobili, e quindi
possono valere ad individuare con esattezza il bene oggetto
della cessione.
L’accatastamento consiste, quindi, in una classificazione di
ordine tributario, che fa stato a quegli specifici fini e
non solo, senza assurgere a strumento idoneo –al di là di un
mero valore indiziario– per evidenziare la reale
destinazione d’uso di singole porzioni immobiliari e della
relativa regolarità urbanistico-edilizia e, comunque, come
detto, solo in difetto di indicazione nei titoli
abilitativi.
Inoltre devesi del tutto escludere il rilievo di un uso di
fatto che in concreto si assume sia stato praticato
sull'immobile, risultante da circostanza di mero fatto. Tale
uso, quantunque si sia protratto nel tempo, è comunque
inidoneo a determinare un consolidamento di situazioni ed a
modificare ex se la qualificazione giuridica dell’immobile.
Alla luce della sopra richiamata giurisprudenza deve
pertanto concludersi che ai fini del conseguimento della
certificazione di agibilità, non possano valere una
successiva destinazione d’uso attribuita di fatto o un
inquadramento catastale non conformi alla destinazione
assentita e stabilita nei titoli edilizi (visto che le
risultanze catastali hanno effetti a fini meramente fiscali,
e, al più, possono assumere valore meramente indiziario a
fini diversi).
Le suddette conclusioni sono state ora positivizzate dalla
recente previsione legislativa di cui al comma 1-bis
dell’art. 9-bis -Documentazione amministrativa e stato
legittimo degli immobili– aggiunto dall'art. 10, comma 1,
lett. d), n. 1), del D.L. 16.07.2020, n. 76 (Misure urgenti
per la semplificazione e l'innovazione digitale),
convertito, con modificazioni, dalla L. 11.09.2020, n. 120
che dispone: “1-bis. Lo stato legittimo dell'immobile o
dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo
abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha
legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato
l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero
immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali
titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.
Per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era
obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo
stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni
catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti,
quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i
documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di
cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo
che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha
interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati
con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato
interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo
periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un
principio di prova del titolo abilitativo del quale,
tuttavia, non sia disponibile copia”.
---------------
Nella fattispecie oggetto di gravame legittimamente il
Comune resistente ha negato il rilascio della certificazione
di agibilità essendo presupposto indefettibile per detto
rilascio la conformità dei manufatti alle norme
urbanistico-edilizie vigenti e, quindi, anche a quelle che
disciplinano la destinazione d'uso dell’immobile.
E d’altro canto, a voler seguire la tesi di parte si
finirebbero col rendere agevolmente aggirabili tutte le
previsioni di pianificazione urbanistica consentendo la
realizzazione abusiva di fabbricati che, pur essendo del
tutto difformi dalla destinazione d’uso impressa al
territorio e dal titolo edilizio rilasciato, potrebbero
comunque essere “sanati” attraverso il rilascio del
certificato di agibilità, purché sussistano le condizioni di
sicurezza, igiene e salubrità previste dalla legge.
---------------
Il
meccanismo del silenzio-assenso non può essere invocato
allorché manchi il presupposto stesso per il rilascio del
certificato di agibilità, costituito dal carattere non
abusivo del fabbricato in relazione al quale sia stata
presentata l'istanza tesa ad ottenere il certificato
menzionato.
Se in linea generale il tacito accoglimento di una domanda
si differenzia dalla decisione esplicita solo per l'aspetto
formale, è necessario tuttavia che sussistano tutti gli
elementi soggettivi e oggettivi che rappresentano gli
elementi costitutivi della fattispecie di cui si invoca il
perfezionamento.
---------------
Il Collegio, confermando quanto già sostenuto da questa
Sezione nell’ordinanza n. 700 del 05.05.2016, con la quale è
stata respinta la domanda incidentale di sospensione
cautelare proposta da parte ricorrente, ritiene che la
conformità di manufatti alle norme urbanistiche ed edilizie
sia presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del
certificato di agibilità.
In forza di quanto stabilito dagli art. 24 e 25 del d.P.R.
06.06.2001 n. 380, applicabili ratione temporis
-prima dell’abrogazione dell’art. 25 da parte del D.Lgs.
25.11.2016, n. 222- il certificato di agibilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente; secondo l’art. 25, comma 1, lett. b), la
certificazione viene rilasciata previa “dichiarazione
sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di
agibilità di conformità dell'opera rispetto al progetto
approvato….”.
Tale ultima previsione è stata poi inserita nell’art. 24 che
all’attualità non prevede più il rilascio del certificato di
agibilità ma dispone che la sussistenza delle suddette
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, valutate secondo quanto dispone la normativa
vigente, unitamente alla conformità dell'opera al progetto
presentato e la sua agibilità, sono attestati mediante
segnalazione certificata.
Al riguardo il Collegio ritiene di confermare la
giurisprudenza, già fatta propria anche da questo Tribunale
e dalla quale non si ha motivo di discostarsi, alla luce
della quale la conformità dei manufatti alle norme
urbanistico-edilizie costituisce il presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di
agibilità, come si evince dagli art. 24, comma 3, del d.P.R.
n. 380/2001, e 35, comma 20, della L. n. 47/1985, in quanto,
ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad
escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi
destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa
urbanistico-edilizia, e, come tale, in potenziale contrasto
con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui
protezione quella disciplina è preordinata (TAR Campania,
Napoli, Sez. VIII, 07.04.2016, n. 1767 e Sez. III,
04.09.2019, n. 4453, TAR Campania Salerno Sez. II,
03.12.2019, n. 2138, Cons. Stato Sez. VI, 08.06.2020, n.
3631, Cons. Stato, Sez. III, 26.11.2018, n. 6661).
Inoltre, alla luce della condivisibile giurisprudenza, il
certificato di agibilità costituisce un atto di accertamento
che si limita ad attestare una situazione oggettiva e, in
particolare, la corrispondenza dell'opera realizzata al
progetto assentito, dal punto di vista dimensionale, della
destinazione d'uso e delle eventuali prescrizioni contenute
nel titolo, nonché attesta la sussistenza delle condizioni
di sicurezza, igiene, salubrità degli edifici, di risparmio
energetico e di sicurezza degli impianti negli stessi
installati, alla stregua della normativa vigente (TAR
Umbria, 18.11.2010, n. 512).
L'indagine che l'Amministrazione è chiamata a svolgere per
il rilascio dell'autorizzazione in parola è, pertanto,
finalizzata da un lato all'accertamento della conformità
della costruzione al progetto approvato e dall'altro alla
mancanza di cause di insalubrità limitate alla costruzione
edilizia in sé considerata (TAR Lazio, sez. II, 04.02.2011,
n. 1074).
Ne segue, con riferimento al primo dei profili sopra
evidenziati, che il concetto di conformità della costruzione
effettivamente realizzata al progetto assentito ricomprende,
con ogni evidenza, non solo i profili strutturali estrinseci
(sagoma, volumetria), ma anche la destinazione d'uso
dell'immobile e ciò anche in relazione alla necessità che
quanto realizzato sia coerente e conforme con la
destinazione assegnata all'area dallo strumento di
pianificazione urbanistica comunale (TAR Toscana, Firenze,
Sez. II, 04.12.2017, n. 1498).
Quanto alla destinazione d’uso di un immobile, la
giurisprudenza anche della Sezione ha chiarito che è quella
impressa dal titolo abilitativo, assumendo una connotazione
oggettiva che vale ad individuare in modo inconfutabile ed
evidente un determinato bene (TAR Campania, Napoli, Sez.
VIII, 21.07.2017, n. 3896, Consiglio di Stato, Sez. V,
09.02.2001, n. 583); le categorie catastali rilevano ai fini
dell’individuazione delle destinazioni delle unità
immobiliari ivi censite solo in difetto di indicazione nei
titoli abilitativi (Cons. Stato, Sez. IV, 26.03.2013, n.
1712).
Al riguardo la condivisibile giurisprudenza ha precisato che
se, fin dalla legge istitutiva del 01.03.1886 n. 3682, le
iscrizioni catastali non hanno valore di piena prova ai fini
del riconoscimento della proprietà dei beni immobili,
tuttavia ciò non toglie che a partire dalla riforma dal 1939
la funzione primaria del Catasto è proprio quella di
consentire di individuare la destinazione (anche -ma non
solo- ai fini fiscali della fissazione della rendita degli
immobili) e le singole categorie catastali vengono
attribuite ad ogni fabbricato proprio in base alla
destinazione urbanistica del permesso edilizio.
In linea di principio quindi non corrisponde al vero che
l’accatastamento di un immobile abbia valore ai fini fiscali
in quanto, al contrario, le iscrizioni catastali rilevano,
ad esempio, anche nelle procedure ablative o similari al
fine dell’individuazione del proprietario (ex art. 11,
d.P.R. 08.06.2001, n. 327); o per l’individuazione dei
coefficienti di computo del canone con riferimento alle
categorie catastali (ex art. 16 della abrogata L.
27/07/1978, n. 392); ed anche sul piano civilistico, i dati
catastali degli immobili ben possono identificare l'immobile
trasferito, in caso di alienazione di immobili, e quindi
possono valere ad individuare con esattezza il bene oggetto
della cessione (cfr. Cassazione civile, sez. II, 17.02.2012,
n. 2369).
L’accatastamento consiste, quindi, in una classificazione di
ordine tributario, che fa stato a quegli specifici fini e
non solo, senza assurgere a strumento idoneo –al di là di un
mero valore indiziario– per evidenziare la reale
destinazione d’uso di singole porzioni immobiliari e della
relativa regolarità urbanistico-edilizia (cfr. in tal senso,
fra le tante, Cons. Stato, VI, 04.02.2013, n. 666; V,
29.03.2004, n. 1631; Cass. civ., II, 02.11.2010, n. 22298 e
03.03.2009, n. 5131; Cass pen., III, 06.10.2008, n. 38044)
e, comunque, come detto, solo in difetto di indicazione nei
titoli abilitativi.
Inoltre devesi del tutto escludere il rilievo di un uso di
fatto che in concreto si assume sia stato praticato
sull'immobile, risultante da circostanza di mero fatto. Tale
uso, quantunque si sia protratto nel tempo, è comunque
inidoneo a determinare un consolidamento di situazioni ed a
modificare ex se la qualificazione giuridica
dell’immobile (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 21.07.2017,
n. 3896 cit).
Alla luce della sopra richiamata giurisprudenza deve
pertanto concludersi che, come già statuito da questa
Sezione nella suddetta ordinanza cautelare n. 700 del
05.05.2016, ai fini del conseguimento della certificazione
di agibilità, non possano valere una successiva destinazione
d’uso attribuita di fatto o un inquadramento catastale non
conformi alla destinazione assentita e stabilita nei titoli
edilizi (visto che le risultanze catastali hanno effetti a
fini meramente fiscali, e, al più, possono assumere valore
meramente indiziario a fini diversi).
Le suddette conclusioni sono state ora positivizzate dalla
recente previsione legislativa di cui al comma 1-bis
dell’art. 9-bis -Documentazione amministrativa e stato
legittimo degli immobili– aggiunto dall'art. 10, comma 1,
lett. d), n. 1), del D.L. 16.07.2020, n. 76 (Misure urgenti
per la semplificazione e l'innovazione digitale),
convertito, con modificazioni, dalla L. 11.09.2020, n. 120
che dispone: “1-bis. Lo stato legittimo dell'immobile o
dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo
abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha
legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato
l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero
immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali
titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.
Per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era
obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo
stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni
catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti,
quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i
documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di
cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo
che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha
interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati
con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato
interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo
periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un
principio di prova del titolo abilitativo del quale,
tuttavia, non sia disponibile copia.”.
Inoltre è incontestato, e comunque risulta documentalmente,
che a mezzo dei titoli edilizi originari, la consistenza
immobiliare in questione è stata assentita con destinazione
alberghiera (casa-albergo) e non residenziale e che ricade
in zona D3 del PRG del Comune di San Nicola La Strada.
Ed invero, come rappresentato dalla stessa parte ricorrente
nel ricorso (pagine 4 e 5) l’immobile è stato inizialmente
assentito con concessione edilizia n. 308 del 13.07.1974,
oggetto di variante per effetto della concessione edilizia
n. 195 del 26.01.1979 e poi della successiva concessione
edilizia in variante n. 45 del 09.10.1981.
Come risulta dai suddetti titoli edilizi depositati in
giudizio dalla stessa ricorrente in data 30.04.2016,
l’autorizzazione sindacale n. 308 del 13.07.1974 risulta
rilasciata per costruire “una casa albergo”, la
concessione edilizia n. 195 del 26.01.1979 a sua volta è
stata rilasciata in “variante alla licenza edilizia n.
308/1974 per la costruzione di un fabbricato da adibire a
Casa-Albergo” ed infine la concessione edilizia in
variante n. 45 del 09.10.1981 risulta rilasciata quale “Variante
alla concessione edilizia n° 195 del 26.10.79 inerente al
fabbricato in costruzione da adibire a casa albergo”.
Pertanto, come condivisibilmente sostenuto da parte
resistente, in nessuno dei titoli edilizi si prevedeva il
mutamento della destinazione d’uso originaria; inoltre nella
relazione tecnica generale allegata alla segnalazione
certificata di inizio di attività del novembre 2014, pure
prodotto in atti dalla stessa parte ricorrente, nella
premessa è espressamente rappresentato che “L’edificio è
stato realizzato in virtù della concessione edilizia n. 195
del 26.10.1979 e successiva variante n. 45 del 09.10.1981 su
un’area ricadente in zona D3 del vigente PRG comunale...”
e nella parte relativa alla descrizione dell’intervento è
espressamente rappresentato che le opere sarebbero state
effettuate “conservando la destinazione originariamente
assentita”. Né rileva la tipologia delle opere
dell’ultimo intervento richiesto nel 2016, come pure dedotto
da parte ricorrente nel secondo motivo di ricorso, proprio
perché, come ammesso dalla stessa società ricorrente, non ha
comunque determinato una modifica della destinazione d’uso.
Ne consegue che nella fattispecie oggetto di gravame
legittimamente il Comune resistente ha negato il rilascio
della certificazione di agibilità essendo presupposto
indefettibile per detto rilascio la conformità dei manufatti
alle norme urbanistico-edilizie vigenti e, quindi, anche a
quelle che disciplinano la destinazione d'uso dell’immobile
(Cons. Stato, sez. V, 30.04.2009, n. 2760; TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 04.11.2011, n. 2648).
E d’altro canto, a voler seguire la tesi di parte si
finirebbero col rendere agevolmente aggirabili tutte le
previsioni di pianificazione urbanistica consentendo la
realizzazione abusiva di fabbricati che, pur essendo del
tutto difformi dalla destinazione d’uso impressa al
territorio e dal titolo edilizio rilasciato, potrebbero
comunque essere “sanati” attraverso il rilascio del
certificato di agibilità, purché sussistano le condizioni di
sicurezza, igiene e salubrità previste dalla legge (TAR
Toscana, Firenze, Sez. II, 09.01.2012, n. 903).
Né in mancanza di tale autorizzazione può ritenersi, come
pure prospettato da parte ricorrente, che si sia formato il
silenzio-assenso in virtù dell’istanza di agibilità
precedentemente richiesta nell’anno 2011 a seguito di
intervento di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’art.
25, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001 e pertanto l’agibilità
delle singole unità abitative con ctg residenziale - A
sarebbe stata già assentita e non avrebbe potuto essere
negata con il provvedimento impugnato.
Ed invero il meccanismo del silenzio-assenso non può essere
invocato allorché manchi il presupposto stesso per il
rilascio del certificato di agibilità, costituito dal
carattere non abusivo del fabbricato in relazione al quale
sia stata presentata l'istanza tesa ad ottenere il
certificato menzionato; se in linea generale il tacito
accoglimento di una domanda si differenzia dalla decisione
esplicita solo per l'aspetto formale, è necessario tuttavia
che sussistano tutti gli elementi soggettivi e oggettivi che
rappresentano gli elementi costitutivi della fattispecie di
cui si invoca il perfezionamento (TAR Campania, Napoli, Sez.
VIII, 09.11.2020, n. 5066 e 07.04.2016, n. 1767, TAR Napoli,
Sez. III, 17.04.2014, n. 2191, Sez. II, 21.02.2013, n. 969,
TAR Salerno, Sez. , 13.06.2013, n. 1325).
Neppure può ritenersi fondata la censura con la quale parte
ricorrente lamenta la disparità di trattamento e la
contraddittorietà dell’azione amministrativa, poste in
essere dall’amministrazione e consistenti nell’aver
consentito la destinazione residenziale alle residue unità
immobiliari ubicate nel medesimo complesso, ma di proprietà
di altri soggetti, percependo per essi i relativi tributi
comunali (IMU/TARSU).
Al riguardo occorre evidenziare che è lo stesso ricorrente a
rappresentare che il Comune aveva rilasciato numerosi
condoni edilizi nel fabbricato e, quindi, le suddette unità
immobiliari, come rappresentato da parte resistente, hanno
ottenuto il mutamento di destinazione d’uso dei propri
immobili all’esito di una regolare procedura di condono;
inoltre parte ricorrente ammette sostanzialmente di un aver
mai richiesto il condono per il cambio di destinazione
residenziale dell’immobile, condono che avrebbe dovuto e
potuto chiedere al fine di ottenere anch’essa il mutamento
di destinazione d’uso.
Alla luce di quanto sopra esposto devono, quindi, ritenersi
infondati il primo, secondo e terzo motivo di ricorso (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 26.11.2020 n. 5564 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
A. Veronese,
Le novità del d.l. n. 76/2020, come convertito dalla L. n. 120/2020, in
materia edilizia e delle comunicazioni elettroniche: prime note (12.10.2020
- link a www.amministrativistiveneti.it).
----------------
Sommario: § 1. Le novità in tema di agibilità; § 2. Le tolleranze
costruttive; § 3. I requisiti igienico-sanitari delle residenze; § 4. La
proroga dei termini di inizio e fine lavori; § 5. Le modifiche relative alle
comunicazioni elettroniche. |
EDILIZIA PRIVATA: Immobile
abitativo privo della certificazione di abitabilità:
aliud pro alio?
Nella vendita di immobile destinato ad
abitazione, il certificato di abitabilità costituisce
requisito giuridico essenziale del bene compravenduto,
poiché vale a incidere sull'attitudine del bene stesso ad
assolvere la sua funzione economico-sociale, assicurandone
il legittimo godimento e la commerciabilità.
Il mancato rilascio della licenza di abitabilità, pertanto,
integra un inadempimento del venditore per consegna di "aliud
pro alio", adducibile da parte del compratore in via di
eccezione, ai sensi dell'art. 1460 c.c., o come fonte di
pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del
bene, a meno che egli non abbia espressamente rinunciato al
requisito dell'abitabilità o esonerato comunque il venditore
dall'obbligo di ottenere la relativa licenza
(massima tratta da www.e-glossa.it).
---------------
4.4. La corte di merito ha correttamente affermato che,
nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il
certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico
essenziale del bene compravenduto, poiché vale a incidere
sull'attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione
economico-sociale, assicurandone il legittimo godimento e la
commerciabilità.
Il mancato rilascio della licenza di abitabilità, pertanto,
integra un inadempimento del venditore per consegna di "aliud
pro alio", adducibile da parte del compratore in via di
eccezione, ai sensi dell'art. 1460 c.c., o come fonte di
pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del
bene, a meno che egli non abbia espressamente rinunciato al
requisito dell'abitabilità o esonerato comunque il venditore
dall'obbligo di ottenere la relativa licenza (Cassazione
civile sez. II, 18/09/2019, n. 23265; Cassazione civile sez.
II, 30/01/2017, n. 2294; Cassazione civile sez. II,
06/07/2011, n. 14899).
4.5. Il giudice di merito, in applicazione del principio
iura novit curia, ha qualificato la domanda introduttiva
come azione di inadempimento del contratto di vendita per
assenza del certificato di abitabilità e di risarcimento dei
danni, indipendentemente dal richiamo dell'azione di
garanzia di cui all'art. 1492 c.c. (Cassazione civile sez.
II, 07/03/2007, n. 5202)
4.6. Non vi è stata, pertanto, alcuna violazione dell'art.
1453 c.c., né dell'art. 1492 c.c. in quanto la
qualificazione della domanda spetta al giudice di merito e
l'accertamento della colpa del venditore era funzionale alla
decisione sulla domanda risarcitoria.
4.7. In relazione al quantum del risarcimento, la
corte di merito, attesa l'impossibilità di determinare il
danno nel suo preciso ammontare, ha fatto ricorso al
criterio equitativo, ai sensi dell'art. 1226 c.c., assumendo
quale parametro di riferimento la consulenza tecnica di
parte, non specificamente contestata dalla convenuta, che
aveva accertato un minor valore dell'immobile privo di
certificato di abitabilità nella misura di un terzo del
prezzo pagato dalla compratrice.
4.8. La corte di merito ha correttamente applicato il
principio di diritto, secondo cui, nella vendita di immobili
destinati ad abitazione, l'inadempimento dell'obbligo,
gravante sul venditore-costruttore, di consegnare
all'acquirente il certificato di abitabilità è "ex se"
foriero di danno emergente, per il minor valore di scambio
del bene che da ciò consegue; tale danno, ove accertato
nell'"an", è suscettibile di essere liquidato dal
giudice in via equitativa, essendo obiettivamente
impossibile, o particolarmente difficile, provarne il
preciso ammontare (Cassazione civile sez. III, 10/10/2019,
n. 25418) (Corte di Cassazione, Sez. VI civile,
ordinanza 22.09.2020 n. 19749). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme
tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti, mentre il rispetto delle norme
edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo
edilizio, sicché i diversi piani possono convivere sia nella forma
fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie
normative sia in quella patologica di una loro divergenza.
---------------
5.2. Secondo i ricorrenti le tavole di cui alla d.i.a. del 2008
attesterebbero incontrovertibilmente l’uso abitativo del sottotetto
acquistato dagli stessi, poiché ciò risulterebbe dagli elaborati grafici,
recanti il timbro dell’avvenuto deposito presso il protocollo del Comune.
Tuttavia, come si può ricavare dagli atti depositati in giudizio, le parti
private sono in possesso di tavole munite di protocollo comunale –da cui
risulta l’avvenuto mutamento della destinazione d’uso del sottotetto da
locale sgombero ad abitazione– soltanto con riferimento alle Palazzine A e B
(Tavole 6 e 7), mentre la Tavola 8, che riguarda la Palazzina C e nella
quale è indicato il mutamento di destinazione d’uso, non risulta giammai
protocollata (all. 11 ricorso R.G. n. 1842/2019).
Quindi in tale frangente non può che riconoscersi valore legale soltanto
alla planimetria ritualmente e formalmente depositata agli atti comunali,
dalla quale risulta che il sottotetto delle Palazzina C è destinato a locali
sgombero.
Del resto, il rilievo formale del titolo edilizio è dimostrato dall’opponibilità
ai terzi dello stesso e dalla sua sindacabilità in sede giurisdizionale e
dall’ulteriore circostanza –indirettamente rilevante anche con riguardo alla
presente fattispecie– che, per la validità degli atti tra vivi aventi ad
oggetto il trasferimento degli immobili, è necessario che negli stessi siano
indicati gli estremi del titolo abilitativo (cfr. Cass., SS.UU., 22.03.2019,
n. 8230; più in generale, TAR Lombardia, Milano, II, 22.05.2020, n. 914).
Risulta evidente che soltanto la documentazione dotata delle caratteristiche
formali, minime e necessarie è in grado di attestare la sussistenza della
legittima condizione di un bene immobile (nel caso de quo, la destinazione
d’uso dei locali sottotetto della Palazzina C), che a sua volta non può
essere contestata per mezzo di atti privi di valore formale, in quanto
formati da soggetti privati e giammai entrati nella sfera di conoscenza
dell’Amministrazione e ritualmente acquisiti alla stessa.
Tale conclusione appare ancora più rilevante nel caso in cui il titolo
edilizio si formi attraverso un atto privato –come è la s.c.i.a.– dal quale
deve risultare la reale entità dell’intervento, in modo da consentire
all’Amministrazione preposta alla vigilanza di verificare la presenza dei
requisiti e dei presupposti, riscontrabili soltanto previa produzione e
ostensione formale di tutta la documentazione da parte del privato, in
ordine alla quale quest’ultimo si assume tutte le connesse responsabilità
anche di natura penale (artt. 19, comma 6, e 21 della legge n. 241 del
1990).
In senso favorevole alla posizione dei ricorrenti non assumono valore
determinante –avuto riguardo alla loro non diretta e immediata rilevanza da
un punto di vista edilizio– né le risultanze catastali, stante il loro
valore meramente indiziario, comunque irrilevante a fronte di atti di segno
contrario (cfr. Consiglio di Stato, II, 14.01.2020, n. 359; TAR Lombardia,
Milano, II, 12.05.2020, n. 797), né il rilascio dei certificati di agibilità
(e/o energetico), considerati i diversi ambiti di operatività dei citati
titoli, fondati su presupposti diversi e non sovrapponibili: il certificato
di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile al quale si
riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in
materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici
e degli impianti, mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è
oggetto della specifica funzione del titolo edilizio, sicché i diversi piani
possono convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio
ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro
divergenza (Consiglio di Stato, V, 29.05.2018, n. 3212; TAR Lombardia,
Milano, II, 26.06.2019, n. 1482; TAR Lazio, Roma, II-bis, 04.06.2019, n.
7180)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.06.2020 n. 997 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'agibilità
dei manufatti o dei locali dove s'intende svolgere un'attività commerciale
rappresenta il necessario ponte di collegamento fra la situazione
urbanistico-edilizia e quella commerciale nel senso che la non conformità
dei locali per il versante urbanistico-edilizio si traduce nella non
agibilità dei predetti manufatti o locali sul versante commerciale.
All'inverso, ai fini dell'agibilità, è necessario che il manufatto o il
locale sia assistito dallo specifico titolo edilizio abilitativo e, più in
generale, che lo stesso non rivesta carattere abusivo, esigendosi, in tal
modo, una corrispondenza biunivoca tra conformità urbanistica dei beni
ospitanti l'attività commerciale e l'agibilità degli stessi.
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Anche la terza censura è infondata.
Per giurisprudenza costante di questo Tribunale, “L'agibilità dei
manufatti o dei locali dove s'intende svolgere un'attività commerciale
rappresenta il necessario ponte di collegamento fra la situazione
urbanistico-edilizia e quella commerciale nel senso che la non conformità
dei locali per il versante urbanistico-edilizio si traduce nella non
agibilità dei predetti manufatti o locali sul versante commerciale.
All'inverso, ai fini dell'agibilità, è necessario che il manufatto o il
locale sia assistito dallo specifico titolo edilizio abilitativo e, più in
generale, che lo stesso non rivesta carattere abusivo, esigendosi, in tal
modo, una corrispondenza biunivoca tra conformità urbanistica dei beni
ospitanti l'attività commerciale e l'agibilità degli stessi” (TAR
Campania Napoli Sez. III, 09/03/2020, n. 1035).
Di conseguenza, è legittimo il provvedimento di sgombero ed il divieto di
prosecuzione dell’attività; né si può sostenere che vi sia un uso distorto
del potere
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 04.06.2020 n. 2200 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio del certificato di agibilità, lungi dall'essere
subordinato all'accertamento dei soli requisiti
igienico-sanitari, presuppone altresì la conformità
urbanistica ed edilizia dell'opera, in quanto, prima ancora
della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che
possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un
fabbricato non conforme alla normativa urbanistico edilizia
e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del
fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella
disciplina è preordinata.
Ne deriva la legittimità, in via generale, dello svolgimento
da parte degli organi comunali competenti di ogni indagine
utile al fine di effettuare una consapevole valutazione
sulla sussistenza delle surriferite condizioni, soprattutto
quando in un edificio siano state realizzate modifiche
strutturali, che implichino un nuovo e diverso uso degli
spazi.
Quindi, in caso di accertamento di irregolarità, ne deriva
il potere di intervento anche sui certificati di agibilità
già rilasciati; infatti, il rilascio del certificato di
agibilità non preclude agli uffici comunali la possibilità
di contestare successivamente la presenza di difformità
rispetto al titolo edilizio.
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Le "case per vacanze" sono immobili che hanno uso
squisitamente abitativo, da parte del proprietario o di chi
ne abbia la disponibilità; uso che sarà stabile, nel caso di
utilizzatori residenti; stagionale e/o saltuario, nel caso
di utilizzatori non residenti in loco.
Ciò che distingue le case per abitazione dalle case per
vacanze, è solo un elemento successivo e flebile,
consistente nell'eventuale diverso uso che di esse, in
concreto, faccia l'utilizzatore, se proprietario in
esplicazione delle proprie facoltà di godimento del bene, se
detentore in virtù dei diritti scaturenti dal tipo di
contratto in virtù del quale egli utilizza il bene.
Al contrario, ciò che distingue le case vacanze dalle
strutture turistiche (e segnatamente dagli alberghi,
pensioni e ristoranti) è un elemento ben più rilevante, e
cioè la assenza di funzionalizzazione delle prime ad una
impresa, laddove l'essere gli immobili adibiti a quella
finalità è caratteristica essenziale (e vincolante) dei
secondi.
---------------
Orbene, appare evidente che la creazione di più unità
immobiliari rispetto a quanto originariamente assentito e,
pertanto, la riscontrata non conformità attuale
dell’immobile rispetto al Permesso di Costruire n. 56/A/04
in forza del quale l’immobile stesso è stato realizzato,
costituisce già di per se una ragione sufficiente a
legittimare l’intervenuta dichiarazione di inagibilità
effettuata dal Comune di Acerra con il provvedimento
impugnato.
Come infatti osservato dalla condivisibile giurisprudenza “il
rilascio del certificato di agibilità, lungi dall'essere
subordinato all'accertamento dei soli requisiti
igienico-sanitari, presuppone altresì la conformità
urbanistica ed edilizia dell'opera, in quanto, prima ancora
della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che
possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un
fabbricato non conforme alla normativa urbanistico edilizia
e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del
fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella
disciplina è preordinata. Ne deriva la legittimità, in via
generale, dello svolgimento da parte degli organi comunali
competenti di ogni indagine utile al fine di effettuare una
consapevole valutazione sulla sussistenza delle surriferite
condizioni, soprattutto quando in un edificio siano state
realizzate modifiche strutturali, che implichino un nuovo e
diverso uso degli spazi; quindi, in caso di accertamento di
irregolarità, ne deriva il potere di intervento anche sui
certificati di agibilità già rilasciati; infatti, il
rilascio del certificato di agibilità non preclude agli
uffici comunali la possibilità di contestare successivamente
la presenza di difformità rispetto al titolo edilizio”
(TAR Calabria sez. II, 23/04/2018, n. 933).
Peraltro, osserva il Collegio che nemmeno può fondatamente
sostenersi, come fa invece il ricorrente nel secondo
motivo di impugnazione, che nella specie non possa
ritenersi applicabile l'art. 3 del D.M. Sanità del
05.07.1975, in quanto riferito unicamente alle case di
abitazione e non invece alle case vacanze come quelle
realizzate nella fattispecie che occupa, che sarebbero
invece assoggettate unicamente alla disciplina di cui alla
Legge regionale della Campania del 24.11.2001, n. 17.
Occorre premettere che i requisiti minimi delle abitazioni
si rinvengono agli artt. 2, 3 e 6 del D.M. 05/07/1975,
recante norme per l'altezza minima e i requisiti
igienico-sanitari principali dei locali d'abitazione.
L'art. 2 prevede che "Per ogni abitante deve essere
assicurata una superficie abitabile non inferiore a mq. 14,
per i primi 4 abitanti, e mq. 10, per ciascuno dei
successivi. Le stanze da letto debbono avere una superficie
minima di mq. 9, se per una persona, e di mq. 14, se per due
persone. Ogni alloggio deve essere dotato di una stanza di
soggiorno di almeno mq. 14. Le stanze da letto, il soggiorno
e la cucina debbono essere provvisti di finestra apribile".
Il successivo comma 3 statuisce che "Ferma restando
l'altezza minima interna di m. 2,70, salvo che per i comuni
situati al di sopra dei m. 1000 sul livello del mare per i
quali valgono le misure ridotte già indicate all'art. 1,
l'alloggio monostanza, per una persona, deve avere una
superficie minima, comprensiva dei servizi, non inferiore a
mq. 28, e non inferiore a mq. 38, se per due persone".
Come ha osservato la condivisibile giurisprudenza “le
"case per vacanze" sono immobili che hanno uso squisitamente
abitativo, da parte del proprietario o di chi ne abbia la
disponibilità; uso che sarà stabile, nel caso di
utilizzatori residenti; stagionale e/o saltuario, nel caso
di utilizzatori non residenti in loco. Ciò che distingue le
case per abitazione dalle case per vacanze, è solo un
elemento successivo e flebile, consistente nell'eventuale
diverso uso che di esse, in concreto, faccia l'utilizzatore,
se proprietario in esplicazione delle proprie facoltà di
godimento del bene, se detentore in virtù dei diritti
scaturenti dal tipo di contratto in virtù del quale egli
utilizza il bene. Al contrario, ciò che distingue le case
vacanze dalle strutture turistiche (e segnatamente dagli
alberghi, pensioni e ristoranti) è un elemento ben più
rilevante, e cioè la assenza di funzionalizzazione delle
prime ad una impresa, laddove l'essere gli immobili adibiti
a quella finalità è caratteristica essenziale (e vincolante)
dei secondi” (cfr. TAR Puglia, Bari sez. III,
15/01/2015, n. 54, Consiglio di Stato sez. IV, 31/05/2011,
n. 3315).
Ciò posto, a parere del Collegio, la previsione di cui
all’allegato B della medesima legge Regionale, che indica,
tra i requisiti e servizi minimi per case e appartamenti per
vacanze "una superficie minima utile non inferiore a otto
mq, per ciascun posto letto", non può ritenersi
derogatoria rispetto ai requisiti minimi essenziali per
l’alloggio monostanza previsti dal citato art. 2, comma 3,
del D.M. del 1975, che in ogni caso prevede una superficie
minima –comprensiva di servizi- non inferiore a mq. 28, e
non inferiore a mq. 38, se per due persone; secondo il
Tribunale, la disciplina regionale deve essere invece intesa
nel senso che, fermo restando che la superficie complessiva
dell’alloggio non può essere complessivamente inferiore a mq
28 o 38 (a seconda se per una o due persone) comprensiva di
cucina e bagno, in conformità di quanto previsto dal citato
art. 2, comma 3, D.M. 05/07/1975, la superficie utile
dell’alloggio –esclusi i servizi– non può essere altresì
inferiore a 8 mq per ciascun posto letto.
Tale interpretazione si impone proprio in virtù dell’uso
squisitamente abitativo che la maggioritaria e condivisibile
giurisprudenza riconosce alle case vacanza, che ovviamente
comporta che –fermi gli ulteriori requisiti eventualmente
imposti dalla normativa regionale– non siano comunque
derogabili quelli minimi generalmente previsti per gli
immobili ad uso residenziale dalla normativa statale.
Peraltro, osserva il Collegio che risulta altresì infondato
anche il primo motivo di impugnazione spiegato dal
ricorrente, attesa la natura vincolato del provvedimento
adottato ed anche considerato che il ricorrente è stato
comunque posto in condizione di interloquire sul problema
dell’agibilità degli immobili.
Ed invero, la condivisibile giurisprudenza ha comunque
affermato che “non sussiste la violazione del citato art.
7 se all'interessato sia stata comunque data aliunde
informazione dell'avvio del procedimento, con conseguente
possibilità di rappresentarvi le proprie valutazioni (cfr.
Cons. Stato, VI, 09.03.2011, n. 1476), non dovendo
l’invocata disposizione essere interpretata in modo
formalistico, ma con riferimento alla ratio di assicurare la
partecipazione dell’interessato al procedimento
amministrativo” (cfr. TAR Campania, Napoli, Sezione VII,
20.02.2015, n. 1194) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 28.05.2020 n. 2054 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Agibilità
dei manufatti o dei locali dove si intende svolgere
un’attività commerciale.
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Commercio – Locali – Agibilità – Mancata conformità dei
locali per il versante urbanistico-edilizio – Conseguenza.
L’agibilità dei manufatti o dei
locali dove si intende svolgere un’attività commerciale
rappresenta il necessario ponte di collegamento fra la
situazione urbanistico-edilizia e quella commerciale nel
senso che la non conformità dei locali per il versante
urbanistico-edilizio si traduce nella non agibilità dei
predetti manufatti o locali sul versante commerciale (1).
---------------
(1) Ha premesso la Sezione che la cd. “agibilità
urbanistica” disciplinata dagli artt. 24 e seguenti del
d.P.R. n. 380 del 2001 implica anche la valutazione della
sussistenza dei requisiti igienico-sanitari dei locali ed ha
pertanto una portata che assorbe, ma non esaurisce, quella
in passato riconducibile all’art. 220, r.d. 27.07.1934, n.
1265
Ha aggiunto che ai fini dell’agibilità, è necessario che il
manufatto o il locale sia assistito dallo specifico titolo
edilizio abilitativo e, più in generale, che lo stesso non
rivesta carattere abusivo, esigendosi, in tal modo, una
corrispondenza biunivoca tra conformità urbanistica dei beni
ospitanti l’attività commerciale e l’agibilità degli stessi
(sul punto cfr.
Cons. Stato, sez. V, 29.05.2018, n. 3212;
Tar Napoli, sez. III, 09.03.2020, n. 1035).
La notifica sanitaria, invece, che ha sostituito la vecchia
autorizzazione sanitaria di cui all’art. 2, l. n. 283 del
1962, è anch’essa una forma di comunicazione del possesso
dei requisiti igienico sanitari ma in relazione all’attività
in concreto esercitata, che costituisce una specificazione
correlata a verifiche più stringenti di quella commerciale
del settore alimentare.
La mancata registrazione della notificazione sanitaria
implica la necessità di intervenire sull’attività sia da
parte della A.S.L. che ha effettuato i controlli, onde
garantire la tempestività dell’intervento a tutela della
salute pubblica; sia dal Sindaco cui la A.S.L. abbia dato
notizia dei fattori ostativi riscontrati, ove sussistano gli
estremi dell’ordinanza contingibile ed urgente ex art. 50,
d.lgs. n. 267 del 2000; ovvero infine dal Dirigente del
Comune competente per materia, giusta la previsione
sanzionatoria di chiusura contenuta nell’art. 22, comma 6,
d.lgs. n. 114 del 1998 (e le omologhe previsioni regionali),
che comporta la cessazione dell’attività “abusiva”,
intendendosi per tale quella comunque svolta in assenza,
anche sopravvenuta, dei requisiti di legge (Consiglio di
Stato, Sez. II,
sentenza 27.07.2020 n. 4774 - commento tratto da
e link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
SENTENZA
7. Chiarito quanto sopra, al fine di mettere ordine nella
ricostruzione dei complicati confini dell’odierna
controversia, il Collegio ritiene opportuno premettere un
sintetico richiamo della cornice normativa in materia di
attivazione di un esercizio commerciale: ove epurata,
infatti, dalle superfetazioni rivenienti da alcuni
subprocedimenti comunque finalizzati al medesimo scopo (la
notifica sanitaria, la richiesta di agibilità, il tentativo
di conformazione mediante modifiche edilizie), essa ruota
intorno alla tematica essenziale dei requisiti richiesti ad
un locale ove intenda insediarsi un’attività commerciale.
Quanto detto in relazione ad immobili storicamente destinati
a siffatta tipologia di funzione, per i quali l’adeguamento
alla disciplina urbanistica eventualmente sopravvenuta ha
rischiato di risolversi in una generalizzata sostanziale
impossibilità di continuare ad operare.
L’innegabile difficoltà gestionale che i Comuni si sono
trovati a dovere affrontare a seguito della riforma della
disciplina commerciale del 1998 si è tuttavia tradotta nel
caso di specie in un eccessivo fervore operativo -in verità
conseguente anche all’insistita pressione di parte privata,
ovvero compulsata dai contenuti, non sempre armonici, delle
decisioni cautelari intervenute nel corso dei conseguiti
contenziosi- sì da porre il giudice di fronte ad una pletora
di provvedimenti adottati a distanza estremamente
ravvicinata gli uni dagli altri in un lasso di tempo
inferiore all’anno, la cui omogeneità di motivazione avrebbe
forse richiesto l’accorpamento delle risposte, riducendone
la quantità a sicuro vantaggio della qualità, quanto meno in
termini di chiarezza.
Proprio tale proliferare di risposte, infatti, consente alle
appellanti di introdurne una lettura suggestiva in chiave
vagamente persecutoria o comunque emulativa rispetto alle
rivendicazioni dalle stesse avanzate; laddove, al contrario,
la duplicazione degli atti risponde alla contrapposta
esigenza di fronteggiare ogni stimolo, ribadendo tuttavia
una univoca prospettazione ostativa, a situazione di fatto
invariata, quale che sia stato l’approccio da parte delle
Società, in particolare la A., in quanto proprietaria
dell’immobile.
8. Punto essenziale delle rivendicazioni di parte è, dunque,
l’auspicata possibilità di attivare un esercizio di vicinato
nei locali ubicati alla via ... n. 1 nel Comune di Rionero
in Vulture, di proprietà della Società A. S.a.s., ma in
gestione, giusta contratto di affitto di azienda
-circostanza sulla quale si tornerà nel prosieguo- alla
Società M. S.n.c., già in uso quale esercizio di vendita al
dettaglio e all’ingrosso ad un Consorzio agrario fino al
30.06.2005 (v. comunicazione di cessazione della relativa
attività).
L’art. 7 del d.lgs. 31.03.1998, n. 114, recante la riforma
della disciplina relativa al settore commercio, ha
introdotto una “comunicazione” ad efficacia differita
a 30 giorni dalla sua ricezione da parte del Comune
competente per l’apertura, il trasferimento di sede e
l'ampliamento della superficie fino ai limiti dimensionali
dei cd. “esercizi di vicinato”, ovvero quegli
esercizi commerciali con superficie fino a 150 o 250 metri
quadrati, a seconda della classe demografica del Comune di
riferimento. Gli artt. 8 e 9, invece, hanno mantenuto la
necessità di un’autorizzazione espressa per gli esercizi di
maggiore dimensione, diversificandone il procedimento in
ragione della stessa (medie e grandi strutture di vendita).
La Regione Basilicata a sua volta ha adottato la normativa
di settore in raccordo con detta cornice nazionale con la
legge 20.07.1999, n. 19, successivamente modificata dalla
legge 30.09.2008, n. 23.
La gestione indebitamente frammentata -caratterizzata cioè
dal mancato coordinamento fra l’istruttoria dei profili di
rilevanza urbanistico edilizia e quelli più propriamente
commerciali che fino a tale momento aveva caratterizzato
l’istruttoria delle istanze relative ad attività produttive-
ha visto nella richiamata riforma del settore un innegabile
tentativo di superamento di tale settorialità, fonte di
incertezze per gli operatori, ma anche di mancato presidio
dello sviluppo del territorio da parte dei governi locali.
Nel momento in cui, infatti, si è imposto in termini
generali e non rimettendone la richiesta all’autonomia
istruttoria di ogni singolo Ente, di indicare la regolarità
a tutto tondo dei locali da utilizzare per l’insediamento di
attività produttive, ne è evidente la codificata necessità
di valutarne da subito la compatibilità, anche urbanistica.
Non a caso, con l’art. 24 del coevo d.lgs. 31.03.1998, n.
112 veniva tentata anche una risposta sul piano
organizzativo a siffatte esigenze di unitarietà, istituendo,
almeno sulla carta, il cosiddetto sportello unico delle
attività produttive (S.U.A.P.), la cui concreta operatività
è stata tuttavia oggetto di disciplina regolamentare a
distanza di molti anni (si veda da ultimo il d.P.R.
07.09.2010, n. 160).
Nel contempo, la disciplina urbanistica si
è sempre più sviluppata in un’ottica onnicomprensiva, tale
da assorbire in una visione di insieme tutti i possibili
elementi di sviluppo armonico del territorio, da ultimo e
più modernamente in chiave di generale valorizzazione della
sicurezza urbana intesa come miglioramento della qualità
della vita nell’urbe.
Per quanto qui di specifico interesse, ad
una pianificazione commerciale ispirata solo ad esigenze di
sviluppo contingentato, ha fatto seguito un innesto della
valutazione delle esigenze dell’imprenditoria, in un’ottica
europeistica di valorizzazione della concorrenza, in
comparazione con altre esigenze pubblicistiche, in primis
l’impatto con la residenzialità
(sulla finalità di “buon governo del territorio” in
accezione globale, comprensiva di istanze ambientali lato
sensu intese, della pianificazione commerciale, v. Cons.
Stato, sez. II, 14.11.2019, n. 7839; id., 06.11.2019, n.
7560; sez. IV, 25.06.2019, n. 4343; id., 01.08.2018, n.
4734).
Appare dunque ormai chiaro, ben
diversamente dal passato, che le Amministrazioni non possono
autorizzare l’insediamento di un’attività commerciale in
contrasto con la disciplina urbanistica; egualmente tuttavia
deve essere affermato che oggi, nel definire la
pianificazione commerciale, i Comuni possono integrare
quella urbanistica evitando di dar luogo ad una duplicazione
degli atti di programmazione. Ciò ha portato al consolidarsi
dell’orientamento recentemente manifestato anche da questa
Sezione secondo cui il contrasto tra pianificazione
urbanistica e commerciale «non può che essere risolto nel
senso che il piano commerciale integrasse e completasse la
pianificazione urbanistica»
(Cons. Stato, sez. II, 18.11.2019, n. 7853).
9. La “comunicazione” ad efficacia
differita di cui al richiamato art. 7 del d.lgs. n.
114/1998, parificabile alla d.i.a. di cui all’art. 19 della
l. n. 241/1990, il cui regime giuridico dell’epoca appariva
del tutto analogo, implica la declaratoria «di avere
rispettato i regolamenti locali di polizia urbana, annonaria
e igienicosanitaria, i regolamenti edilizi e le norme
urbanistiche», nonché, per quanto qui di specifico
interesse, «quelle relative alle destinazioni d’uso»
(comma 2, lett. b).
In tal modo il legislatore ha inteso
superare le preesistenti aporie sistematiche, imponendo
comunque che l’insediamento di nuove attività corrisponda
alle generali regole sull’assetto del territorio.
Ben diverso appariva il quadro di riferimento in base alla
previgente disciplina di settore, contenuta nella l.
11.06.1971, n. 426. Il sistema facente capo alla stessa,
infatti, basato sull’iscrizione degli operatori in apposito
registro (il R.E.C.) e sul successivo rilascio di licenza
espressa, non contemplava alcun riferimento ai requisiti
oggettivi dei locali, limitandosi a demandare ad appositi
piani comunali (art. 12) una sorta di contingentamento
superficiario variamente mirato anche con riferimento alle
allora vigenti tabelle merceologiche.
Il passaggio dal previgente sistema all’attuale, sempre più
orientato al superamento dei disallineamenti settoriali
evidenziati, non è stato privo di traumi, con riferimento
alle difficoltà di garantire una transizione verso le scelte
di localizzazione delle attività produttive ritenute
compatibili con i disegni di sviluppo del territorio del
Comune di riferimento e nel contempo il miglioramento
qualitativo dell’offerta, resa all’altezza degli standard
europei, mediante un rafforzamento dei requisiti igienico
sanitari, peraltro diversificati in ragione della tipologia
dell’attività (si pensi, a mero titolo di esempio, alle
difficili demarcazioni che caratterizzano la
somministrazione di alimenti e bevande, rispetto alla
realizzazione di pietanze in laboratori artigiani, ovvero
alla vendita per il consumo sul posto, ma senza il cd.
servizio assistito, dei prodotti alimentari, consentita
anche agli esercizi di vicinato).
L’art. 25 del d.lgs. n. 114/1998, recante la disciplina
transitoria della riforma, ha pertanto previsto una
conversione automatica dei titoli di legittimazione
previgenti per l’esercizio dell’attività di vendita dei
prodotti appartenenti alle tabelle merceologiche di cui
all'allegato 5 al decreto ministeriale 04.08.1988, n. 375, e
all'articolo 2 del decreto ministeriale 16.09.1996, n. 561,
«fatto salvo il rispetto dei requisiti igienico-sanitari».
La disciplina transitoria si completa poi con le previsioni,
apparentemente asistematiche, di cui all’art. 26, recante “Disposizioni
finali”, laddove nell’assoggettare a mera “comunicazione”
anche il trasferimento della gestione o della proprietà per
atto tra vivi o per causa di morte, si richiama comunque
l’applicabilità del comma 2 dell’art. 7, concernente, come
già detto, anche i requisiti dei locali. In sostanza,
attraverso una fotografia iniziale dello stato di fatto, ma
nel contempo il suo adeguamento al nuovo quadro giuridico a
mano a mano che venissero registrati mutamenti, si è inteso
garantire il graduale recepimento della nuova impostazione.
Ciò si è tradotto in una sostanziale e protratta tolleranza
degli insediamenti commerciali in essere, cui non è stato
richiesto un immediato adeguamento alla nuova disciplina,
ovvero una tempistica di adeguamento, di fatto rimettendo ai
singoli Comuni l’individuazione del percorso effettivo di
attuazione della riforma, in assenza di specifiche
indicazioni di legge regionale al riguardo.
Il che è quanto avvenuto nel caso di specie, ove l’attività
del Consorzio agrario è formalmente cessata nel 2005 e la
Società, subentrata non nell’attività, ma nella titolarità
dell’immobile, stante che la comunicazione relativa
all’esercizio di vicinato interviene a distanza di anni, non
poteva non impattare nell’obbligo di conformazione
urbanistica nel frattempo imposto. Ma anche su tale aspetto
si dirà meglio più avanti.
10. Unitamente al titolo commerciale
(la “comunicazione” o d.i.a. differita, quanto meno
secondo la prospettazione originaria della norma, il cui
comma 1 è stato poi abrogato dal d.lgs. 26.03.2010, n. 59),
l’ordinamento richiedeva (e richiede) il
possesso di due distinte tipologie di requisiti
igienico-sanitari: il primo attiene comunque ai
locali e dunque ne “certifica” in maniera statica la
funzionalità, ed è cristallizzato nella cd. agibilità
urbanistica, che assolve anche al distinto compito di
asseverare la regolarità degli stessi sotto tale profilo;
il secondo invece è legato più propriamente
all’effettivo utilizzo, tanto da implicare diversificazioni
in ragione dello stesso, e trova consacrazione in un
documento che è l’operatore a “notificare”
all’autorità competente che ne riscontra la correttezza
formale e sostanziale, giusta le previsioni, immediatamente
applicative, di cui al Regolamento CEE 852/2004.
L’agibilità dell’immobile, dunque,
costituisce il presupposto della successiva notifica, in
quanto ove manchi la destinazione commerciale, neppure può
immaginarsene l’utilizzo per una singola tipologia della
stessa. Il buon esito della N.I.A., tuttavia, proprio
correlata a tale destinazione in concreto, implica anche
valutazioni più stringenti, comprensive, ad esempio, delle
strutture utilizzate, dei materiali, della lavabilità delle
superfici di appoggio, della areazione, ecc.. Entrambe,
infine, sono egualmente necessarie perché l’attività sia
considerata regolare e non “abusiva”: tale
aggettivazione riferita alla fase dinamica dell’esercizio ha
consentito un’interpretazione ampia della previsione del
comma 6 dell’art. 22 del d.lgs. n. 114/1998 che ne ricollega
la chiusura all’avvenuto riscontro di qualsivoglia carenza,
anche sopravvenuta, dei requisiti, oggettivi e soggettivi,
richiesti per lo svolgimento dell’attività.
La disposizione finisce dunque per colmare pure la apparente
lacuna nella disciplina del ridetto Reg. CEE, in quanto
privo di autonoma previsione sanzionatoria: in caso di
omessa “notifica”, ovvero di mancata “registrazione”
della stessa per carenze formali della pratica, rilevanti
per il suo buon esito, ovvero sostanziali, si concretizza
comunque in una carenza dei requisiti igienico sanitari,
tale da rendere l’attività commerciale “abusiva”, e
conseguentemente da interdire, seppure temporaneamente.
Vero è che il Reg. CEE parrebbe attribuire un potere
conformativo direttamente all’autorità competente alle
verifiche, id est le aziende sanitarie locali. Ma
laddove esse non intervengano, limitandosi ad informare il
Comune competente per territorio, questi ha pur sempre la
possibilità di attivarsi o per il tramite del ricordato art.
22, comma 6, del d.lgs. n. 144/1998 -e dell’omologa
disposizione regionale- ovvero, se ne sussistano gli
estremi, finanche utilizzando lo strumento eccezionale
dell’ordinanza contingibile e urgente per ragioni sanitarie
di cui all’art. 50 del d.lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.).
Tale non chiara individuazione delle competenze sta alla
base delle oscillazioni interpretative del TAR che ha
ritenuto il Sindaco incompetente in relazione al ricorso
n.r.g. 59/2009, perché la sospensione dell’attività
commerciale sarebbe spettata alla A.S.L.; salvo poi ritenere
al contrario competente il Comune, e non la A.S.L., nel
ricorso n.r.g. 78/2008, accogliendo tuttavia l’istanza
cautelare di parte in quanto la firma sarebbe spettata
all’interno del Comune al dirigente del settore, e non al
Sindaco, senza peraltro un preventivo scrutinio
dell’insussistenza dei requisiti di contingibilità ed
urgenza sulla base dei quali invece si era pensato di
intervenire.
11. Il certificato di agibilità di
cui all’art. 24 del d.P.R. n. 380/2001, non ha un ambito
applicativo perfettamente coincidente con quello delineato
dal previgente art. 220 del R.D. 27.07.1934, n. 1265.
Il primo, nel testo vigente ratione temporis,
stabiliva che: «1. Il certificato di agibilità attesta la
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene,
salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli
impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto
dispone la normativa vigente».
Il secondo, invece, disponeva che: «I progetti per
le costruzioni di nuove case, urbane o rurali, quelli per la
ricostruzione o la sopraelevazione o per modificazioni, che
comunque possono influire sulle condizioni di salubrità
delle case esistenti debbono essere sottoposti al visto del
podestà, che provvede previo parere dell'ufficiale sanitario
e sentita la commissione edilizia».
La norma è rimasta in vigore anche dopo l’emanazione
dell’art. 4 del d.P.R. 22.04.1994, n. 425, che ha inciso
sulla disciplina della “agibilità cd. urbanistica”.
Come emerge dal delineato quadro normativo, quindi, il
rilascio del certificato di agibilità presuppone una
molteplicità di valutazioni ulteriori rispetto a quelle che
erano prescritte ai fini del rilascio del vecchio
certificato di abitabilità.
Ne consegue che la differenza tra i due
certificati non è solo terminologica ma anche
contenutistica, per cui il primo non può essere preteso in
relazione ad immobili realizzati prima dell’entrata in
vigore del d.P.R. n. 380/2001
(avvenuta in data 30.06.2003 ex art. 2, comma 1, del d.l.
20.06.2002, n. 122, convertito dall’art. 1, comma 1, della
l. 01.08.2002, n. 185) e non interessati da
interventi edilizi successivi a tale data, che ne
giustifichino la richiesta. Il che è quanto accaduto nella
fattispecie, nella quale è la Società proprietaria ad
essersi attivata, avendo apportato modifiche all’immobile
assentite con d.i.a. e d.i.a. in sanatoria.
In sintesi, l’agibilità dei manufatti o dei
locali dove si intende svolgere un’attività commerciale
rappresenta il necessario ponte di collegamento fra la
situazione urbanistico-edilizia e quella commerciale nel
senso che la non conformità dei locali per il versante
urbanistico-edilizio si traduce nella non agibilità dei
predetti manufatti o locali sul versante commerciale.
All’inverso, ai fini dell’agibilità, è necessario che il
manufatto o il locale sia assistito dallo specifico titolo
edilizio abilitativo e, più in generale, che lo stesso non
rivesta carattere abusivo, esigendosi, in tal modo, una
corrispondenza biunivoca tra conformità urbanistica dei beni
ospitanti l’attività commerciale e l’agibilità degli stessi
(sul punto cfr. Cons. Stato, sez. V, 29.05.2018, n. 3212;
TAR per la Campania, Sez. III, 09.03.2020, n. 1035).
12. La notifica sanitaria,
invece, ha sostituito la vecchia
autorizzazione sanitaria di cui all’art. 2 della l. n.
283/1962. Trattasi di una forma semplificata di
legittimazione igienico-sanitaria, diversificata per
intensità dei requisiti richiesti, rimessa ancora una volta
alla sostanziale responsabilità del dichiarante, fermo
restando il controllo da parte delle Aziende sanitarie
locali competenti per territorio.
Con d.lgs. 06.11.2007, n. 193, recante “Attuazione della
direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di
sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti
comunitari nel medesimo settore” si è inteso colmare la
rilevata lacuna riferita al regime sanzionatorio, tra gli
altri, del Regolamento CEE n. 852/2004, qui di interesse.
Nel chiarire il concetto di “autorità competenti”
(art. 2), si è fornito una mera elencazione che tuttavia non
contempla i Comuni.
L’art. 54 del Regolamento CEE n. 882/2004, relativo ai
controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla
normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme
sulla salute e sul benessere degli animali, nel declinare le
azioni da adottare in caso di riscontrata non conformità
alla normativa, prevede che «l’autorità competente»,
la cui individuazione è rimessa al singolo stato membro, che
individui una non conformità intervenga «per assicurare
che l’operatore ponga rimedio alla situazione. Nel decidere
l'azione da intraprendere, l'autorità competente tiene conto
della natura della non conformità e dei dati precedenti
relativi a detto operatore per quanto riguarda la non
conformità».
Un’analisi sistematica del regime sanzionatorio riveniente
da ultimo dal d.lgs. n. 193/2007, nonché dal portato
testuale della disposizione sopra richiamata, ancorché
specificamente riferita all’ambito dei prodotti per il
consumo animale, induce a ritenere che un intervento
cauterizzante della A.S.L sarebbe addirittura auspicabile,
al fine di garantire l’effettività del rimedio, spesso
connesso all’immediatezza della sua applicazione, che
postula il minor passaggio di carte possibile.
Resta tuttavia la competenza comunale alla luce delle
disposizioni generali poc’anzi citate (ovvero, da un lato,
l’art. 50 del T.U.E.L.; dall’altro, l’art. 22, comma 6, del
d.lgs. n. 114/1998). Il che rende necessario sul piano della
competenza uno scrutinio delle ragioni sottese alla scelta
del provvedimento in concreto adottato, non potendosene
comunque escludere, in tutte le prospettazione avanzate e
concretamente verificatesi nel procedimento in esame
(sospensione a firma dirigente A.S.L., ovvero a firma
Sindaco, ovvero a firma dirigente comunale del settore), la
astratta legittimità.
Appare caso mai opportuno evitare una duplicazione di “sanzioni”,
come parrebbe essere accaduto con riferimento all’omessa
registrazione della notifica sanitaria in oggetto: da qui la
scelta del TAR di dequotare la prima chiusura disposta dal
Sindaco in sovrapposizione a quella già intimata dalla
A.S.L. a mera lettera di trasmissione di quest’ultima,
ancorché affermandone genericamente l’incompetenza, salvo
contraddirsi immediatamente dopo nella disamina nel
successivo ricorso sugli analoghi atti conseguenti.
Certo è che a fronte della omessa registrazione della
notifica l’esercizio dell’attività si palesava priva dei
requisiti igienico-sanitari e come tale anche “abusiva”.
Legittimamente pertanto sia la A.S.L. che il Comune ne hanno
intimato la cessazione nelle more della eventuale
regolarizzazione.
In tale ottica, sia il ricorso n.r.g. 59/2009, con
riferimento al provvedimento del Sindaco, sia quello n.r.g.
78/2009, con riferimento, invece, a quello della A.S.L.,
avrebbero potuto essere rigettati nel merito. La mancanza di
rilievi su tale specifico aspetto della sentenza, criticata
solo per la chiarita contraddittorietà, rende le
precisazioni effettuate superflue, se non allo scopo di
contribuire a dipanare lo sviluppo della vicenda.
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EDILIZIA PRIVATA: La
chiusura dell'esercizio rappresenta una conseguenza
necessitata non tanto rispetto alle irregolarità
urbanistico-edilizie in sé quanto, piuttosto, al riscontro
della non conformità con i parametri urbanistici tali da
renderle il locale incompatibile con la continuazione
dell'attività commerciale ed in generale con il suo
utilizzo, abitativo o produttivo che sia.
La conformità dei manufatti alle norme urbanistiche ed
edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il
legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si
evince dell'art. 24 comma 3, d.p.r. n. 380/2001 e dell'art.
35, comma 20, l. n. 47/1985, in quanto, ancor prima della
logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa
essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato
non conforme alla normativa urbanistico-edilizia e, come
tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di
interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è
preordinata.
---------------
Premesso che:
- col ricorso in epigrafe e successivi motivi aggiunti,
la Pl.Ca. di Va.A. & C. s.r.l. (in appresso, P.C.)
impugnava, chiedendone l’annullamento, previa adozione di
misure cautelari:
-- il provvedimento del 07.02.2020, prot. n. 5127, col
quale il Responsabile dell’Unità Operativa Complessa (UOC)
Promozione, Sviluppo e Gestione Territoriale del Comune di
Angri aveva diffidato a sospendere ad horas
l’attività imprenditoriale di packaging esercitata
presso il locale ubicato in Angri, alla via ..., n. ..., e
censito in catasto al foglio 1, particella 1461, sub 1-2;
-- il verbale di accertamento prot. n. 8460 del
30.09.2019;
-- la relazione di sopralluogo prot. n. 2019/01929/ABU
del 30.09.2019;
-- le note comunali del 12.07.2012, prot. n. 23655, e
del 07.10.2019, prot. n. 32254;
-- i verbali di sequestro prot. n. 3112 del 27.01.2004
e prot. n. 5095 del 03.02.2011;
-- la nota della UOC – Avvocatura Civica del Comune di
Angri prot. n. 5513 dell’11.02.2020;
-- le note del Responsabile della UOC Promozione,
Sviluppo e Gestione Territoriale del Comune di Angri prot.
n. 23655 del 12.07.2012 e prot. n. 1553 del 15.01.2019;
-- la relazione del 19.02.2020, prot. n. 6618, e le
note aggiuntive della UOC Promozione, Sviluppo e Gestione
Territoriale del Comune di Angri, relative all’impugnazione
della P.C.;
-- l’ordinanza di demolizione prot. n. 15616 del
10.05.2011;
-- la relazione tecnica di accertamento del
07.10.2019;
- l’adottata misura interdittiva era, segnatamente
motivata per relationem alle risultanze del verbale
di accertamento prot. n. 8460 del 30.09.2019, ricognitivo
dell’abusività edilizia del su indicato locale, adibito a
sede secondaria dell’attività produttiva esercitata dalla
P.C. (con sede principale in Angri, al corso ..., n. ...),
nonché in base al rilievo dell’incompletezza (già contestata
dall’amministrazione con nota del 12.07.2012, prot. n.
23655, e mai rimediata dall’interessata) dell’istanza del
15.06.2012, prot. n. 20544, volta all’apertura della
predetta sede secondaria;
...
Considerato, altresì, che:
- «la chiusura dell'esercizio rappresenta una
conseguenza necessitata non tanto rispetto alle irregolarità
urbanistico-edilizie in sé, quanto piuttosto al riscontro
della non conformità con i parametri urbanistici tali da
renderle il locale incompatibile con la continuazione
dell'attività commerciale ed in generale con il suo
utilizzo, abitativo o produttivo che sia» (TAR Campania,
Napoli, sez. III, 04.09.2019, n. 4453);
- «la conformità dei manufatti alle norme urbanistiche
ed edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il
legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si
evince dell'art. 24, comma 3, d.p.r. n. 380/2001 e dell'art.
35, comma 20, l. n. 47/1985, in quanto, ancor prima della
logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa
essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato
non conforme alla normativa urbanistico-edilizia e, come
tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di
interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è
preordinata» (TAR Campania, Napoli, sez. III,
05.06.2018, n. 3693) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 21.07.2020 n. 937 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato di agibilità ha la
funzione di accertare che l’immobile al quale si riferisce è
stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti
in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti, mentre il
rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto
della specifica funzione del titolo edilizio, sicché i
diversi piani possono convivere sia nella forma fisiologica
della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie
normative sia in quella patologica di una loro divergenza.
---------------
5.2. Secondo i ricorrenti le tavole di cui alla d.i.a. del
2008 attesterebbero incontrovertibilmente l’uso abitativo
del sottotetto acquistato dagli stessi, poiché ciò
risulterebbe dagli elaborati grafici, recanti il timbro
dell’avvenuto deposito presso il protocollo del Comune.
Tuttavia, come si può ricavare dagli atti depositati in
giudizio, le parti private sono in possesso di tavole munite
di protocollo comunale –da cui risulta l’avvenuto mutamento
della destinazione d’uso del sottotetto da locale sgombero
ad abitazione– soltanto con riferimento alle Palazzine A e B
(Tavole 6 e 7), mentre la Tavola 8, che riguarda la
Palazzina C e nella quale è indicato il mutamento di
destinazione d’uso, non risulta giammai protocollata (all.
11 ricorso R.G. n. 1842/2019).
Quindi in tale frangente non può che riconoscersi valore
legale soltanto alla planimetria ritualmente e formalmente
depositata agli atti comunali, dalla quale risulta che il
sottotetto delle Palazzina C è destinato a locali sgombero.
Del resto, il rilievo formale del titolo edilizio è
dimostrato dall’opponibilità ai terzi dello stesso e dalla
sua sindacabilità in sede giurisdizionale e dall’ulteriore
circostanza –indirettamente rilevante anche con riguardo
alla presente fattispecie– che, per la validità degli atti
tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento degli immobili,
è necessario che negli stessi siano indicati gli estremi del
titolo abilitativo (cfr. Cass., SS.UU., 22.03.2019, n. 8230;
più in generale, TAR Lombardia, Milano, II, 22.05.2020, n.
914).
Risulta evidente che soltanto la documentazione dotata delle
caratteristiche formali, minime e necessarie è in grado di
attestare la sussistenza della legittima condizione di un
bene immobile (nel caso de quo, la destinazione d’uso dei
locali sottotetto della Palazzina C), che a sua volta non
può essere contestata per mezzo di atti privi di valore
formale, in quanto formati da soggetti privati e giammai
entrati nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione e
ritualmente acquisiti alla stessa.
Tale conclusione appare ancora più rilevante nel caso in cui
il titolo edilizio si formi attraverso un atto privato –come
è la s.c.i.a.– dal quale deve risultare la reale entità
dell’intervento, in modo da consentire all’Amministrazione
preposta alla vigilanza di verificare la presenza dei
requisiti e dei presupposti, riscontrabili soltanto previa
produzione e ostensione formale di tutta la documentazione
da parte del privato, in ordine alla quale quest’ultimo si
assume tutte le connesse responsabilità anche di natura
penale (artt. 19, comma 6, e 21 della legge n. 241 del
1990).
In senso favorevole alla posizione dei ricorrenti non
assumono valore determinante –avuto riguardo alla loro non
diretta e immediata rilevanza da un punto di vista edilizio–
né le risultanze catastali, stante il loro valore meramente
indiziario, comunque irrilevante a fronte di atti di segno
contrario (cfr. Consiglio di Stato, II, 14.01.2020, n. 359;
TAR Lombardia, Milano, II, 12.05.2020, n. 797), né il
rilascio dei certificati di agibilità (e/o energetico),
considerati i diversi ambiti di operatività dei citati
titoli, fondati su presupposti diversi e non sovrapponibili:
il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel
rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di
sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti, mentre il rispetto delle norme
edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione
del titolo edilizio, sicché i diversi piani possono
convivere sia nella forma fisiologica della conformità
dell’edificio ad entrambe le tipologie normative sia in
quella patologica di una loro divergenza (Consiglio di
Stato, V, 29.05.2018, n. 3212; TAR Lombardia, Milano, II,
26.06.2019, n. 1482; TAR Lazio, Roma, II-bis, 04.06.2019, n.
7180) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.06.2020 n. 997 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI: Mancanza
del certificato di abitabilità e rifiuto del promissario
acquirente di stipulare il contratto definitivo.
Il rifiuto del promissario acquirente di
stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo
dei certificati di abitabilità o di agibilità e di
conformità alla concessione edilizia (anche ove il mancato
rilascio dipenda da inerzia del Comune, nei cui confronti è
obbligato ad attivarsi il promittente venditore) è da
ritenersi giustificato perché l'acquirente ha interesse ad
ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la
funzione economico-sociale e a soddisfare i bisogni che
inducono all'acquisto, e cioè la fruibilità e la
commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati
devono ritenersi essenziali.
Premesso questo, il promissario acquirente di un immobile
può recedere dal preliminare anche quando è al corrente che
il bene non ha l'agibilità. L'inadempimento del venditore,
infatti, è di non scarsa importanza perché la sola
conoscenza dell'anomalia non equivale a rinuncia al
requisito della regolarità urbanistica del bene.
Il termine stabilito per la stipulazione del contratto
definitivo non costituisce normalmente un termine
essenziale, il cui mancato rispetto legittima la
dichiarazione di scioglimento del contratto, precisandosi,
tuttavia, che tale termine può ritenersi essenziale, ai
sensi dell'art. 1457 c.c., solo quando, all'esito di
indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito,
da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai
contraenti e, soprattutto, della natura e dell'oggetto del
contratto (e, quindi, insindacabile in sede di legittimità
se logicamente ed adeguatamente motivata in relazione a
siffatti criteri), risulti inequivocabilmente la volontà
delle parti di considerare ormai perduta l'utilità economica
del contratto con l'infruttuoso decorso del termine
(massima tratta da www.e-glossa.it - Corte di Cassazione,
Sez. II civile,
ordinanza 20.05.2020 n. 9226).
---------------
8. Anche il secondo motivo è privo di fondamento
giuridico.
Invero, avuto riguardo anche a quanto osservato con
riferimento alla prima doglianza, va esclusa la sussistenza
sia della dedotta violazione di legge che dell'omesso esame
di fatto ritenuto decisivo perché, nell'economia e nel
contesto complessivo della vicenda contrattuale, non può
dubitarsi che -anche alla stregua del precetto codicistico
da ultimo richiamato- ai promittenti venditori incombesse
l'adempimento di procurarsi e consegnare il certificato di
abitabilità ed era l'assolvimento di tale obbligo a rilevare
al fine di considerare se il contratto si potesse risolvere
per effetto del recesso giustificato del promissario
acquirente.
A quest'ultimo proposito il giudice di appello si è, poi,
conformato alla univoca giurisprudenza di questa Corte (cfr.,
ad es., Cass. n. 15969/2000 e Cass. n. 10820/2009), secondo
cui il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la
compravendita definitiva di un immobile privo dei
certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità
alla concessione edilizia (anche ove il mancato rilascio
dipenda da inerzia del Comune, nei cui confronti è obbligato
ad attivarsi il promittente venditore) è da ritenersi
giustificato perché l'acquirente ha interesse ad ottenere la
proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione
economico-sociale e a soddisfare i bisogni che inducono
all'acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del
bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi
essenziali (v. anche Cass. n. 16216/2008, Cass. n.
30950/2017 e Cass. n. 23265/2019).
9. Pure la terza censura non coglie nel segno e va,
perciò, respinta. Anche con essa, in effetti, i ricorrenti
tendono -ma inammissibilmente- a confutare l'adeguata
valutazione di merito compiuta dal giudice di appello con
riferimento alla ponderazione della maggiore o minore
gravità dei reciproci inadempimenti delle parti che avevano
esercitato il recesso, giustificando, logicamente sul piano
giuridico, come dovesse ritenersi "non di scarsa
importanza" quello dei promittenti venditori relativo
alla mancata consegna del certificato di agibilità, così
ravvisando la legittimità della richiesta di proroga, da
parte del Di Pa., del termine indicato per la stipula del
definitivo per consentire, ai promittenti venditori, proprio
di acquisire il certificato di abitabilità, precisando e
motivando sul perché il suddetto termine non potesse
considerarsi essenziale.
E' pacifico che, ai fini della legittimità del recesso di
cui all'art. 1385 c.c., come in materia di risoluzione
contrattuale, non è sufficiente l'inadempimento, ma occorre
anche la verifica circa la non scarsa importanza prevista
dall'art. 1455 c.c., dovendo il giudice tenere conto
dell'effettiva incidenza dell'inadempimento sul sinallagma
contrattuale e verificare se, in considerazione della
mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da
escludere per la controparte l'utilità del contratto alla
stregua dell'economia complessiva del medesimo (cfr. Cass.
n. 409/2012 e Cass. n. 21209/2019).
E ciò è proprio quello che ha motivatamente fatto la Corte
di merito nel compiere la valutazione di merito -nella
comparazione dei reciproci inadempimenti- circa la
riconducibilità di quello in cui erano incorsi i promittenti
venditori ad un inadempimento "di non scarsa importanza",
avuto riguardo al prevalente interesse del promissario
acquirente a conseguire la proprietà di un immobile idoneo
ad assolvere la suddetta funzione economico-sociale e a
soddisfare i bisogni che inducono all'acquisto, ovvero
quelli della fruibilità e della commerciabilità del bene.
Allo stesso modo la Corte territoriale ha idoneamente
motivato sulla circostanza che il termine indicato nel
preliminare per la successiva conclusione del definitivo non
poteva qualificarsi propriamente come essenziale, non
potendosi ciò desumere dall'univoca esplicazione della
volontà emergente da specifiche espressioni adoperate dai
contraenti dalle quali evincere l'intenzione di considerare
ormai venuta meno l'utilità perseguita nel caso di stipula
del contratto definitivo oltre la data stabilita.
In particolare, il giudice di appello ha appropriatamente
posto in evidenza come, a tal riguardo, nella proposta
contrattuale fosse semplicemente indicata la data del
definitivo e che l'essenzialità non poteva certo essere
ricollegata all'adozione della formula di stile "entro e
non oltre" contenuta nel preliminare, poiché, dall'esame
delle clausole contrattuali nel contesto generale del
preliminare, non era possibile evincere la previsione di
specifiche pattuizioni dalle quali ricavare la necessità dei
promittenti venditori di stipulare il contratto definitivo
nella data riportata nel preliminare, come, peraltro,
dimostrato anche dal tenore della corrispondenza intercorsa
tra le parti circa la possibilità di addivenire ad una
proroga del termine (perciò in sé non essenziale) al fine di
risolvere la questione sull'acquisizione del certificato di
agibilità dell'immobile oggetto del contratto (v., in
proposito, Cass. n. 7450/2018).
Del resto, la giurisprudenza di questa Corte (cfr., per
tutte, Cass, n. 3645/2007 e Cass. n. 21587/2007) è
chiaramente indirizzata a ritenere che, in tema di contratto
preliminare di compravendita, il termine stabilito per la
stipulazione del contratto definitivo non costituisce
normalmente un termine essenziale, il cui mancato rispetto
legittima la dichiarazione di scioglimento del contratto,
precisandosi, tuttavia, che tale termine può ritenersi
essenziale, ai sensi dell'art. 1457 c.c., solo quando,
all'esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice
di merito, da condursi alla stregua delle espressioni
adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e
dell'oggetto del contratto (e, quindi, insindacabile in sede
di legittimità se logicamente ed adeguatamente motivata in
relazione a siffatti criteri), risulti inequivocabilmente la
volontà delle parti di considerare ormai perduta l'utilità
economica del contratto con l'infruttuoso decorso del
termine. |
EDILIZIA PRIVATA: Inabitabilità
di una casa o parte di essa per ragioni igieniche e
ordinanza di sgombero.
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Ordinanza contingibile ed urgente – Oggetto – Puglia –
Inabitabilità di una casa per ragioni sanitarie –
Esclusione.
La previsione della possibilità di
avvalersi di poteri tipicizzati, ancorché d’urgenza, come
quelli di cui all’art. 222, r.d. n. 1265 del 1934
(declaratoria di inabitabilità di una casa o di parte di
essa per ragioni igieniche con ordine di sgombero), esclude
la legittimità del ricorso ai poteri atipici e sussidiari
disciplinati dall’art. 54, comma 2, T.U.E.L. (ordinanza
sindacale contingibile e urgente) (1).
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(1) Ha ricordato il Tar che l’art. 222, r.d. n. 1265 del
1934 (cui rinvia l’art. 26, d.P.R. n. 380 del 2001, pur dopo
la novella di cui al d.lgs. n. 222 del 2016, e quindi da
ritenersi tuttora vigente) prevede che “Il podestà,
sentito l’ufficiale sanitario o su richiesta del medico
provinciale, può dichiarare inabitabile una casa o parte di
essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero”.
La figura dell’ufficiale sanitario (la cui competenza in
seguito venne trasferita al medico provinciale) fu
introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 22.12.1888, n.
5849 (sulla tutela dell’igiene e della sanità pubblica, nota
come legge Crispi-Pagliani). Si trattava di un organo
periferico del Ministero dell’interno alle dipendenze del
Prefetto.
Con la legge 23.12.1978, n. 833, istitutiva del servizio
sanitario nazionale, la figura del medico provinciale venne
cancellata, prevedendosi la sub-delega ai comuni di tutti i
compiti già delegati alla regione.
In Puglia (cfr. artt. 3 e 8 della legge regionale n.
36/1984) il responsabile del Servizio di igiene pubblica
dell’Unità sanitaria locale sostituisce il medico
provinciale e l’ufficiale sanitario in tutti gli organismi,
comitati, collegi e commissioni per cui le leggi vigenti
prevedano la partecipazione degli stessi.
La menzione, operata dal regio decreto del 1934, al “podestà”
(istituito al posto della tradizionale figura del sindaco,
eletto democraticamente, con la legge n. 237 del 04.02.1926
inizialmente in relazione ai soli comuni con popolazione
sino ai 5.000 abitanti e successivamente esteso agli altri
comuni più grandi con il regio decreto legge n. 1910 del
03.09.1926; il podestà era, infatti, nominato dal governo
tramite regio decreto) deve intendersi ovviamente sostituita
con il riferimento al “sindaco”, in considerazione
del fatto che, a seguito alla caduta del fascismo,
l’amministrazione provvisoria dei comuni fu disciplinata con
regio decreto legge 04.04.1944, n. 111, che l’affidò, fino
al ripristino del sistema elettivo, a un sindaco e a una
giunta comunale, nominati dal prefetto su proposta del CLN.
Il sistema elettivo fu ripristinato con decreto legislativo
luogotenenziale 07.01.1946, n. 1.
In conclusione, l’art. 222, r.d. n. 1265 del 1934 deve
essere attualmente inteso nel senso che il sindaco, sentito
il responsabile del Servizio di igiene pubblica dell’Unità
sanitaria locale o su richiesta di quest’ultimo, può
dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni
igieniche e ordinarne lo sgombero.
Nel caso di specie è stato omesso il prescritto parere del
responsabile del Servizio di igiene pubblica dell’Unità
sanitaria locale ex artt. 3 e 8 della l. reg. Puglia n. 36
del 1984, pur essendo le citate disposizione di cui agli
artt. 26, d.P.R. n. 380 del 2001 e 222, r.d. n. 1265 del
1934 formalmente menzionate nelle premesse del provvedimento
impugnato.
Né l’Amministratore resistente ha ritenuto di fare ricorso
all’ordinario potere di sgombero sancito dal suddetto art.
222, r.d. n. 1265 del 1934 , ovvero al potere di
dichiarazione di inagibilità di un edificio ai sensi
dell’art. 26, d.P.R. n. 380 del 2001, essendo stata
viceversa erroneamente adottata un’ordinanza contingibile e
urgente ex art. 54, t.u. n. 267 del 2000 con cui si
dichiarava l’immobile per cui è causa “temporaneamente
impraticabile” (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 04.05.2020 n. 609 - commento tratto da e
link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
5.2. - Nel merito si evidenzia quanto segue.
Con la prima e la seconda doglianza il
ricorrente contesta la violazione rispettivamente dell’art.
26 del d.p.r. n. 380/2001 (in forza del quale nella
formulazione antecedente alle modifiche apportate dal
decreto legislativo del 25.11.2016, n. 222 “Il rilascio
del certificato di agibilità non impedisce l’esercizio del
potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di
parte di esso ai sensi dell’articolo 222 del regio decreto
27.07.1934, n. 1265”; formulazione vigente: “La
presentazione della segnalazione certificata di agibilità
non impedisce l’esercizio del potere di dichiarazione di
inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi
dell’articolo 222 del regio decreto 27.07.1934, n. 1265”)
e dell’art. 222 del regio decreto n. 1265/1934 (in virtù del
quale “Il podestà (ora il sindaco), sentito l’ufficiale
sanitario o su richiesta del medico provinciale, può
dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni
igieniche e ordinarne lo sgombero”), evidenziando -con
riferimento a quest’ultima disposizione tuttora vigente- che
nessun parere sanitario è stato previamente acquisito dal
Sindaco.
La censure sono meritevoli di positivo apprezzamento.
Invero, deve condividersi la giurisprudenza di cui alla
sentenza del TAR Puglia, Bari, Sez. III, 19.03.2014, n. 360:
«Per completezza il Collegio osserva, peraltro, che
tra gli strumenti tipizzati
dall’ordinamento giuridico per situazioni come quelle in
esame, si rinviene l’art. 222 R.D. n. 1265/1934, in forza
del quale il Sindaco può dichiarare inabitabile una casa o
parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero.
Tale norma non è da considerarsi confinata ai soli edifici
ab origine destinati all’uso abitativo, ma estesa a
qualsiasi edificio o manufatto cui sia stata impressa quella
destinazione, anche di fatto. La previsione della
possibilità di avvalersi di poteri tipicizzati, ancorché
d’urgenza, come quelli di cui al citato art. 222 esclude,
dunque, la legittimità del ricorso ai poteri atipici e
sussidiari disciplinati dall’art. 54, co. 2, T.U.E.L.
(cfr. TAR Toscana, sent. n. 1701 del 03.06.2010)».
Analogamente la sentenza del TAR Toscana, Firenze, Sez. II,
03.06.2010 n. 1701 (richiamata nella precedente decisione)
ha evidenziato: «Una volta stabilito che
la situazione critica verificata dalla A.S.L. dipende in via
prioritaria dalla abusiva occupazione di alcuni degli
edifici (capannoni industriali, baracche di cantiere,
manufatti di fortuna) presenti sull’area, destinati a
precario ricovero abitativo in assenza delle più elementari
condizioni igienico-sanitarie, debbono poi essere confermati
i rilievi espressi in sede cautelare circa la
riconducibilità della fattispecie alla previsione dettata
dall’art. 222 R.D. n. 1265/1934, in forza del quale il
Sindaco può dichiarare inabitabile una casa o parte di essa
per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero: infatti,
anche a voler ritenere che i provvedimenti di cui all’art.
222 ricadano essi stessi nel novero delle ordinanze
sindacali contingibili, la possibilità conclamata di
avvalersi di poteri tipicizzati, ancorché d’urgenza,
esclude, in virtù dei principi giurisprudenziali
inizialmente richiamati, il ricorso ai poteri atipici e
sussidiari disciplinati dall’art. 54 co. 2 T.U.E.L..
Né in contrario vale sostenere, come fa il Comune resistente
nella memoria difensiva depositata il 19.02.2010, che, non
trattandosi di “case”, ma di ripari di fortuna, la
disciplina del testo unico delle leggi sanitarie sarebbe
inapplicabile, atteso che il potere di sgombero sancito
dall’art. 222 cit. a presidio dell’igiene non soltanto degli
aggregati urbani e rurali nel loro complesso, ma delle
singole abitazioni, non può considerarsi confinato ai soli
edifici ab origine destinati all’uso abitativo, ma riguarda
qualsiasi edificio o manufatto cui sia stata impressa quella
destinazione, anche di fatto».
Con riferimento alla fattispecie oggetto del presente
giudizio, va sottolineato che il provvedimento impugnato
richiama nella parte motivazionale sia l’art. 26 del d.p.r.
n. 380/2001, sia l’art. 222 del regio decreto n. 1265/1934,
ma che, cionondimeno, non risulta acquisito nessun previo “parere
dell’ufficiale sanitario” come espressamente richiesto
dal citato art. 222.
A tal riguardo, si rammenta che la figura dell’ufficiale
sanitario fu introdotta nel nostro ordinamento dalla legge
22.12.1888, n. 5849 (legge sulla tutela dell’igiene e della
sanità pubblica, nota come legge Crispi-Pagliani). Si
trattava di un organo periferico del Ministero dell’interno
alle dipendenze del Prefetto.
Con il regio decreto 27.07.1934, n. 1265 (testo unico delle
leggi sanitarie) detta figura restava alle dipendenze del
Ministero dell’interno, per il tramite del Prefetto, con
compiti di vigilanza sull’igiene e sulla sanità pubblica e
con funzioni d’ispezione, d’iniziativa e consultive.
Secondo il citato regio decreto n. 1265/1934 l’ufficiale
sanitario era un medico, nominato dal Prefetto (in seguito
la competenza fu trasferita al medico provinciale) sulla
base di un concorso pubblico indetto a livello provinciale.
Qualora, per lo scarso numero della popolazione, per le
condizioni economiche del comune e per le difficoltà di
comunicazioni con i comuni contermini, non fosse stato
possibile provvedere al servizio, il prefetto avrebbe potuto
affidare temporaneamente le funzioni di ufficiale sanitario
al medico condotto (cfr. art. 33 del regio decreto n.
1265/1934).
Con l’istituzione del Ministero della sanità (legge
13.03.1958, n. 296) l’Ufficio sanitario diviene organo
periferico di tale Ministero (cfr. art. 4), coordinato dal
Prefetto, con competenze ampliate dal successivo d.p.r.
11.02.1961 n. 264 (“Disciplina dei servizi e degli organi
che esercitano la loro attività nel campo dell’igiene e
della sanità pubblica”), acquisendo altre competenze del
Prefetto e divenendo il punto di convergenza delle attività
sanitarie, di vigilanza igienica e profilassi, di medicina
preventiva e assistenziale.
L’art. 2 del citato d.p.r. n. 264/1961 così dispone: «L’ufficiale
sanitario, quale organo periferico del Ministero della
sanità, dipende, nell’esercizio delle sue funzioni,
direttamente dal medico provinciale.
L’ufficiale sanitario, oltre alle attribuzioni previste
dalle leggi in vigore:
1) vigila nell’ambito del territorio comunale sulla
salute pubblica e adotta i provvedimenti in materia di
sanità pubblica, che non comportino impegni di spesa o
conseguenze patrimoniali a carico del Comune;
2) cura l’osservanza delle leggi e dei regolamenti
sanitari ed assiste gli organi dell’Amministrazione comunale
nella elaborazione e nell'esecuzione dei provvedimenti
sanitari di loro competenza;
3) riceve le denunce di malattia, nei casi previsti dalla
legge, e provvede alla registrazione dei titoli che
abilitano all’esercizio delle professioni sanitarie, delle
professioni ausiliarie e delle arti ausiliarie delle
professioni sanitarie.
L’ufficiale sanitario può avvalersi dell’opera dei vigili
urbani e dei messi comunali».
Con d.p.r. 14.01.1972, n. 4 (art. 12, lett. a) gli uffici
del medico provinciale e gli ufficiali sanitari vengono
trasferiti alle regioni a statuto ordinario insieme con i
compiti amministrativi statali nel settore sanitario e
ospedaliero. Divengono, pertanto, organi sanitari periferici
delle regioni con le residue attribuzioni esercitate
nell’interesse dello Stato di polizia urbana, di ordinanze
urgenti di igiene pubblica, di funzioni in ordine alla
sanità marittima, aerea e di confine per la profilassi
internazionale delle malattie infettive.
La legge 23.12.1978, n. 833, istitutiva del servizio
sanitario nazionale, cancella la figura del medico
provinciale, prevedendo la sub-delega ai comuni di tutti i
compiti già delegati alla regione.
Invero, l’art. 32 di detta legge (rubricato “Funzioni di
igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria”) così
dispone: «Il Ministro della sanità può emettere ordinanze
di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e
sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia
estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso
comprendente più regioni.
La legge regionale stabilisce norme per l’esercizio delle
funzioni in materia di igiene e sanità pubblica, di
vigilanza sulle farmacie e di polizia veterinaria, ivi
comprese quelle già esercitate dagli uffici del medico
provinciale e del veterinario provinciale e dagli ufficiali
sanitari e veterinari comunali o consortili, e disciplina il
trasferimento dei beni e del personale relativi.
Nelle medesime materie sono emesse dal presidente della
giunta regionale e dal sindaco ordinanze di carattere
contingibile ed urgente, con efficacia estesa
rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio
comprendente più comuni e al territorio comunale.
Sono altresì fatti salvi i poteri degli organi dello Stato
preposti in base alle leggi vigenti alla tutela dell’ordine
pubblico».
La legge regionale attuativa in Puglia è stata la n. 36 del
20.07.1984 (“Norme concernenti l’igiene e sanità pubblica
ed il servizio farmaceutico”) recante disciplina del
riparto di competenze tra regione e comuni in materia di
igiene e sanità pubblica e di vigilanza sulle farmacie con
cui sono stati soppressi gli uffici dei medici provinciali,
gli uffici comunali di igiene, i comitati provinciali
antimalarici, i consorzi provinciali antitubercolari.
In particolare l’art. 3 di detta legge regionale così
dispone: «In materia di igiene e sanità pubblica il
Sindaco adotta i provvedimenti autorizzativi, prescrittivi e
di concessione, ivi compresi quelli già demandati al Medico
provinciale e all’Ufficiale sanitario ed emana le ordinanze
contingibili e urgenti.
L’attività istruttoria, tecnica e amministrativa è espletata
dal Servizio di igiene e sanità pubblica dell’Unità
sanitaria locale».
Inoltre, ai sensi dell’art. 8 della legge regionale n.
36/1984, «Gli adempimenti conseguenti a valutazione di
ordine tecnico, già demandati al Medico provinciale o
all’Ufficiale sanitario, nelle materie di cui alla presente
legge, sono attribuiti al responsabile del Servizio di
igiene pubblica dell’Unità sanitaria locale.
Il responsabile del Servizio di igiene pubblica dell’Unità
sanitaria locale sostituisce il Medico provinciale e
l’ufficiale sanitario in tutti gli organismi, comitati,
collegi e commissioni per cui le leggi vigenti prevedano la
partecipazione degli stessi in qualità di Presidente o
componente.
Il responsabile del Servizio di igiene pubblica dell’Unità
sanitaria locale del capoluogo di provincia e, nei comuni
comprendenti più Unità sanitarie locali, il responsabile del
Servizio di igiene pubblica dell’Unità sanitaria locale
individuata dal Consiglio comunale a norma del secondo comma
del precedente articolo 5 sostituiscono, ove prevista, la
figura del Medico provinciale in seno a commissioni,
comitati e collegi con funzione per l’intero ambito
provinciale».
Si può quindi affermare che il riferimento dell’art. 222 del
regio decreto n. 1265/1934 al parere dello “ufficiale
sanitario” (“sentito l’ufficiale sanitario”)
debba essere inteso nella Regione Puglia nel senso della
necessità della previa acquisizione del parere del
responsabile del Servizio di igiene pubblica dell’Unità
sanitaria locale competente ex artt. 3 e 8 della legge
regionale n. 36/1984.
Per quanto riguarda la menzione, operata dalla stessa
disposizione del 1934, al podestà (istituito al posto della
tradizionale figura del sindaco, eletto democraticamente,
con la legge n. 237 del 04.02.1926 inizialmente in relazione
ai soli comuni con popolazione sino ai 5.000 abitanti e
successivamente esteso agli altri comuni più grandi con il
regio decreto legge n. 1910 del 03.09.1926; il podestà era,
infatti, nominato dal governo tramite regio decreto), la
stessa deve intendersi ovviamente sostituita con il
riferimento al sindaco, in considerazione del fatto che, a
seguito alla caduta del fascismo, l’amministrazione
provvisoria dei comuni fu disciplinata con regio decreto
legge 04.04.1944, n. 111, che l’affidò, fino al ripristino
del sistema elettivo, a un sindaco e a una giunta comunale,
nominati dal prefetto su proposta del CLN. Il sistema
elettivo fu ripristinato con decreto legislativo
luogotenenziale 07.01.1946, n. 1.
Si può, in definitiva, concludere nel senso
che l’art. 222 del regio decreto n. 1265/1934 (del seguente
originario tenore “Il podestà, sentito l’ufficiale
sanitario o su richiesta del medico provinciale, può
dichiarare inabitabile una casa o parte di essa per ragioni
igieniche e ordinarne lo sgombero”), mai formalmente
abrogato o modificato e quindi tuttora vigente (tenuto
altresì conto del disposto dell’art. 26 del d.p.r. n.
380/2001 che -anche dopo la novella di cui al decreto
legislativo n. 222/2016- continua a fare espressamente salvo
il potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o
di parte di esso ai sensi dell’art. 222 del regio decreto
27.07.1934, n. 1265), debba essere inteso nel senso che il
sindaco, sentito il responsabile del Servizio di igiene
pubblica dell’Unità sanitaria locale o su richiesta di
quest’ultimo, può dichiarare inabitabile una casa o parte di
essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero.
E, tuttavia, nel caso di specie è mancato il prescritto
parere del responsabile del Servizio di igiene pubblica
dell’Unità sanitaria locale ex artt. 3 e 8 della legge
regionale n. 36/1984, pur essendo le citate disposizione di
cui agli artt. 26 del d.p.r. n. 380/2001 e 222 del regio
decreto n. 1265/1934 formalmente menzionate nelle premesse
del provvedimento impugnato.
Né l’Amministratore resistente ha ritenuto di fare ricorso
all’ordinario potere di sgombero sancito dal suddetto art.
222 del regio decreto n. 1265/1934, ovvero al potere di
dichiarazione di inagibilità di un edificio ai sensi
dell’art. 26 del d.p.r. n. 380/2001, essendo stata viceversa
adottata un’ordinanza contingibile e urgente ex art. 54 del
decreto legislativo n. 267/2000 con cui si dichiara
l’immobile per cui è causa “temporaneamente impraticabile”.
Il provvedimento impugnato (ordinanza contingibile e urgente
ai sensi dell’art. 54 del decreto legislativo n. 267/2000)
fa, infatti, riferimento ad una situazione di “temporanea
impraticabilità” dell’immobile per cui è causa, che
tuttavia andava affrontata con lo strumento ad hoc
contemplato dall’ordinamento e cioè il tuttora vigente art.
222 del regio decreto n. 1265/1934 in tema di potere del
Sindaco di dichiarare l’immobile inabitabile ordinandone lo
sgombero, previa adeguata istruttoria consistente
nell’acquisizione del prescritto parere del responsabile del
Servizio di igiene pubblica dell’Unità sanitaria locale ex
artt. 3 e 8 della legge regionale n. 36/1984.
In altri termini il Sindaco ha anche fatto un inammissibile
utilizzo di un istituto giuridico extra ordinem
(ovvero l’ordinanza contingibile e urgente ex art. 54 del
decreto legislativo n. 267/2000) per fronteggiare
illegittimamente una situazione per la quale l’ordinamento
predispone appositi strumenti ordinari. Si tratta -come
detto- del potere di sgombero ex art. 222 del regio decreto
n. 1265/1934, ovvero del potere di dichiarazione di
inagibilità di un edificio ex art. 26 del d.p.r. n.
380/2001, disposizioni che, pur astrattamente indicate nel
censurato provvedimento, non sono state evidentemente
applicate dall’Amministrazione comunale in modo corretto.
Ha, infatti, rimarcato il Consiglio di Stato, Sez. V,
12.06.2017, n. 2799 che “Presupposti per
l’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente sono la
sussistenza di un pericolo irreparabile ed imminente per la
pubblica incolumità, non altrimenti fronteggiabile con i
mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento, e la
provvisorietà e la temporaneità dei suoi effetti”.
Come detto, non è certamente questa la situazione
sussistente nella fattispecie in esame. |
EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato di abitabilità
atteneva esclusivamente a scopi
igienico-sanitari, presupponendo
l’accertamento dell’inesistenza di cause di
insalubrità ed il suo rilascio non era
ricollegato, quindi, alla verifica degli
aspetti relativi alle norme più propriamente
di carattere edilizio-urbanistico, con la
conseguenza che un simile certificato non
può avere valenza sostitutiva dei titoli
edilizi né può sorgere un affidamento
meritevole di protezione giuridica in ordine
alla legittimità degli interventi
effettuati.
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3.3 Da ultimo i ricorrenti lamentano
il difetto di istruttoria e il travisamento
dei fatti e dei presupposti, in quanto
l’Amministrazione non avrebbe correttamente
analizzato e valutato la copiosa
documentazione esibita, unitamente alla
relazione del tecnico di parte.
Anche questo motivo non è condivisibile.
L’Amministrazione ha concluso ritenendo che
non fossero superate le ragioni ostative, in
quanto la documentazione all’esame non prova
in nessun modo che l’interezza delle opere
in essere sia stata a suo tempo realizzata
in forza di un titolo edilizio.
Infatti nella richiesta di nulla osta
presentata il 25.05.1953 si rinviene solo la
dizione “ampliamento del fabbricato”.
L’interveniente produce la pratica edilizia
n. 502/1944, avente ad oggetto «ampliamento
e sopralzo di un corpo di fabbrica esistente»:
tuttavia l’Amministrazione ha osservato nel
diniego che il progetto di allora prevedeva
la realizzazione al piano terra di una
porzione aperta (assimilabile ad un
portico), sovrastata da una copertura
ubicata in corrispondenza dell’unità
abitativa al primo piano, in sé
evidentemente insufficiente per ricavarsi
che il sopralzo della pratica edilizia n.
502/1944 sia l’appartamento attuale sopra il
box.
Il provvedimento comunale di diniego, non
smentito sul punto dai ricorrenti, evidenzia
come non risultino ulteriori pratiche
edilizie per la costruzione di una nuova
unità ad uso residenziale, né per la
variazione di destinazione d’uso del portico
in box.
Quanto, poi, al certificato di abitabilità
del 15.09.1955 (rilasciato dopo il
sopralluogo del 02.09.1955), non se ne
possono desumere conseguenze utili agli
interessati, che vorrebbero inferirne
un’univoca e decisiva “copertura”
dell’attuale stato delle opere. Detto
certificato, invero, atteneva esclusivamente
a scopi igienico-sanitari, presupponendo
l’accertamento dell’inesistenza di cause di
insalubrità ed il suo rilascio non era
ricollegato, quindi, alla verifica degli
aspetti relativi alle norme più propriamente
di carattere edilizio-urbanistico (v.
Consiglio di Stato, Sez. V, 04/02/2004 n.
365), con la conseguenza che un simile
certificato non può avere valenza
sostitutiva dei titoli edilizi né può
sorgere un affidamento meritevole di
protezione giuridica in ordine alla
legittimità degli interventi effettuati (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.04.2020 n. 634 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI: Il
mancato rilascio dell'abitabilità costituisce valido
presupposto per esercitare l'eccezione di inadempimento. Ne
deriva che legittimamente il promissario acquirente si
rifiuta di definire il pagamento mediante accollo dei mutuo.
Il mancato o il tardivo rilascio del
certificato di abitabilità dell'immobile oggetto di
preliminare di vendita, a prescindere dalle cause che
abbiano determinato una tale evenienza, comporta comunque
l'inadempimento del promittente venditore agli obblighi
contrattuali sussistenti verso il promissario acquirente.
Deve formare oggetto di specifica clausola e integrare un
elemento essenziale del contratto la volontà delle parti che
intendono subordinare il tempestivo rilascio del certificato
di abitabilità all'accollo del mutuo da parte dei promissari
acquirenti. Ne segue l'idoneità della mancanza di siffatto
documento a giustificare l'exceptio ex art. 1460 c.c., e
cioè la legittimità del rifiuto dell'accollo da parte dei
promissari acquirenti del mutuo, inteso come pagamento e
saldo del residuo prezzo di vendita.
Il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la
compravendita definitiva di un immobile privo dei
certificati di abitabilità o agibilità, e di conformità alla
concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipenda da
inerzia del Comune -nei cui confronti peraltro è obbligato
ad attivarsi il promittente venditore- è giustificato,
ancorché si tratti di fenomeno occorso in epoca anteriore
all'entrata in vigore della legge 28.02.1985, n. 47, perché
l'acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un
immobile idoneo ad assolvere la funzione economico sociale e
a soddisfare i bisogni che inducono l'acquisto, e cioè la
fruibilità e la commerciabilità del bene, sì che i predetti
certificati sono essenziali
(massima tratta da www.e-glossa.it)
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Passando al merito, con il primo motivo i ricorrenti
deducono la violazione degli artt. 1460, 1476 e 1477 c.c,
per non avere il giudice di merito tenuto conto degli
effetti meramente obbligatori del contratto preliminare di
compravendita, con la conseguenza che il certificato di
abitabilità avrebbe dovuto essere consegnato solo al momento
della stipula del contratto definitivo, per cui non vi era
stato alcun inadempimento da parte della promittente
venditrice. In altri termini, il giudice del gravame avrebbe
erroneamente equiparato i due momenti del contratto
preliminare ad effetti obbligatori e del contratto
definitivo ad effetti reali.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362, 1454 e
1453 c.c., nonché l'omesso esame di circostanza rilevante ai
fini del decidere, che è stata oggetto di discussione,
relativa all'effettiva volontà contrattuale delle parti. In
particolare, i ricorrenti lamentano che il giudice del
gravame abbia ritenuto requisito essenziale per
l'adempimento la consegna del certificato di abitabilità già
al momento della stipula del contratto preliminare, pure in
assenza di una qualunque pattuizione al riguardo delle
parti.
Con il terzo mezzo i ricorrenti lamentano la
violazione e la falsa applicazione degli artt. 1460, 1455 e
2697 c.c., nonché dell'art. 1460 c.c. in relazione agli artt.
1453 e SS., 1175 e 1375 c.c., oltre ad omesso esame da parte
del giudice di merito di un fatto rilevante ai fini del
decidere che è stato oggetto di discussione. Ad avviso dei
ricorrenti la Corte territoriale erroneamente avrebbe
ritenuto fondata la domanda riconvenzionale sul presupposto
del mancato tempestivo rilascio del certificato di
abitabilità, mentre detta circostanza non poteva costituire
causa di imputabilità dell'inadempimento della promittente
venditrice, neanche ai sensi dell'art. 1453 c.c.. Del resto
i Ge. avevano denunciato gli asseriti vizi dell'immobile
solo a seguito della notifica da parte della Ab. di diffida
di adempiere. Tutto ciò avrebbe dovuto indurre la corte
territoriale a confermare il giudizio del primo giudice,
essendo stata illegittimamente rilevata l'eccezione di
inadempimento.
I motivi -da trattare congiuntamente per la evidente
connessione argomentativa e logica che li avvince,
riferendosi tutti, seppure sotto diversi profili, alla
medesima circostanza del mancato tempestivo rilascio del
certificato di abitabilità- sono inammissibili, in quanto
non censurano l'autonoma ratio decidendi posta dalla
Corte territoriale a fondamento dell'inadempimento della
promittente venditrice. E d'altro canto le censure sollevate
non possono trovare in ogni caso accoglimento.
I ricorrenti, infatti, non tengono conto dell'iter logico
giuridico della sentenza gravata, da cui emerge chiaramente
che era rimasto accertato, alla luce dell'indagine condotta
dal giudice di merito, non solo che la promittente
venditrice non aveva ottenuto il rilascio del certificato di
abitabilità al momento della notifica della diffida ad
adempiere, certificazione ottenuta solo nell'aprile 2013,
già pendente l'odierno giudizio, ma anche la sussistenza di
vizi strutturali, già di per sé idonei a consentire ai
promissari acquirenti di sospendere il pagamento del prezzo
equivalente ai ratei di mutuo ipotecario oggetto di accollo.
Trattasi all'evidenza di reciproci inadempimenti che hanno
indotto la corte territoriale a ritenere fondata l'eccezione
sollevata dai promissari acquirenti ex art. 1460 c.c.
È, infatti, appena il caso di puntualizzare l'irrilevanza
della eventualità che il mancato rilascio della menzionata
documentazione, ossia del certificato di abitabilità, fosse
riconducibile a fatto della pubblica amministrazione ovvero
che la pattuizione del pagamento del prezzo attraverso
l'accollo del mutuo per i ratei in scadenza fosse stata
concordata in considerazione dell'anticipato possesso del
bene, atteso che a seguito del rapporto negoziale instaurato
con i promissari acquirenti e dei conseguenti obblighi
assunti nei confronti di questi ultimi, il promittente
venditore aveva l'onere di attivarsi presso la pubblica
amministrazione onde ottenere tempestivamente il
certificato, indispensabile per accertare l'esistenza dei
requisiti inerenti l'immobile oggetto del contratto
preliminare. Infatti il mancato o il tardivo rilascio del
suddetto certificato, a prescindere dalle cause che abbiano
determinato una tale evenienza, comporta comunque
l'inadempimento del promittente venditore agli obblighi
contrattuali sussistenti verso il promissario acquirente.
Del resto le Sezioni Unite di questa Corte, con la pronuncia
n. 7930 del 2008, hanno avuto modo di affermare il principio
in base al quale l'anticipato possesso dell'immobile oggetto
di compravendita va ricollegato ad una situazione di fatto,
che si concretizza nell'esercizio di un potere oggettivo
sulla cosa manifestantesi in un'attività corrispondente
all'esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto
reale.
Tale principio non soffre deroga nei casi in cui il
soggetto, che assume di essere possessore, abbia ricevuto il
godimento dell'immobile per effetto di una convenzione
negoziale, con la precisazione che, se la convenzione ha
effetti obbligatori, perché diretta ad assicurare il mero
godimento della cosa, senza alcun trasferimento immediato o
differito del bene, colui che, avendo ricevuto la consegna
per questo solo scopo, si è immesso, nomine alieno, nel
godimento del bene, necessariamente stabilisce con la cosa
un rapporto di mera detenzione.
La situazione giuridica in esame, come evidenziato anche in
dottrina, è, invero, il portato di una prassi contrattuale
sviluppatasi, essenzialmente nel settore immobiliare, in
ragione della sua attitudine a fornire uno strumento idoneo
a soddisfare sollecitamente determinate esigenze delle
parti, principalmente la disponibilità del bene per l'una e
del denaro per l'altra, ma ben se ne possono agevolmente
ipotizzare di ulteriori.
Sono usuali, al riguardo, particolarmente nella materia
delle compravendite immobiliari, le ipotesi in cui il
promittente venditore debba portare a termine procedimenti
amministrativi di regolarizzazione dell'edificio od opere di
completamento dell'edificio stesso o delle infrastrutture
accessorie od estinguere ipoteche o mutui, in difetto di che
non sussiste l'interesse e conseguentemente la volontà di
perfezionare l'acquisto da parte del promissario acquirente;
o quelle in cui quest'ultimo debba, a sua volta, procurarsi,
anche in più riprese, le disponibilità necessarie alla
corresponsione integrale del prezzo, il conseguimento del
quale condiziona parimenti interesse e volontà del
promittente venditore alla realizzazione della vendita.
Se tuttavia la volontà delle parti fosse stata di diverso
tenore, vale a dire di subordinare il tempestivo rilascio
del certificato di abitabilità all'accollo del mutuo da
parte dei promissari acquirenti, ciò avrebbe dovuto formare
oggetto di specifica clausola ed integrare un elemento
essenziale del contratto.
Da tali considerazioni consegue, pertanto, che correttamente
la corte di merito ha accertato, secondo una valutazione dei
fatti non sindacabile in sede di legittimità, l'idoneità
della mancanza di siffatto documento a giustificare l'exceptio
ex art. 1460 c.c., e cioè la legittimità del rifiuto
dell'accollo da parte dei promissari acquirenti del mutuo,
inteso come pagamento e saldo del residuo prezzo di vendita.
Siffatto ordito argomentativo non ha formato oggetto di
puntuale critica da parte dei ricorrenti, che si sono
limitati ad una lettura frammentaria degli elementi di
giudizio, senza comporre una valutazione complessiva degli
stessi, spettando al giudice di merito il giudizio
comparativo sui reciproci inadempimenti, valutazione che si
sottrae al sindacato di legittimità ove sostenuti da
motivazione logica ed adeguata, come nella specie.
Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la
violazione e la falsa applicazione degli artt. 1241, 1242,
1243 e 1249 c.c., per avere la corte di merito errato nel
ritenere di ridurre l'ammontare del saldo del prezzo dedotto
in contratto, così operando una illegittima compensazione
giudiziale.
Il motivo è privo di pregio.
È pacifico che il rifiuto del promissario acquirente di
stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo
dei certificati di abitabilità o di agibilità, e di
conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato
rilascio dipenda da inerzia del Comune -nei cui confronti
peraltro è obbligato ad attivarsi il promittente venditore-
è giustificato, ancorché si tratti di fenomeno occorso in
epoca anteriore all'entrata in vigore della legge 28.02.1985
n. 47, perché l'acquirente ha interesse ad ottenere la
proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione
economico sociale e a soddisfare i bisogni che inducono
l'acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del
bene, sì che i predetti certificati sono essenziali (Cass.
19.12.2000 n. 15969).
In base a tale orientamento la corte territoriale, onerata
del compito di accertare se i reciproci inadempimenti
giustificassero le eccezioni sollevate, ha dedotto la
legittimità del rifiuto di pagamento del saldo del prezzo da
parte dei promissari acquirenti, ed espletata la c.t.u., ha
ritenuto di ridurre il prezzo, giustificando siffatta
operazione dalla presenza di vizi non trascurabili e non
eliminabili altrimenti con un costo differente.
Nella vicenda in esame, dunque, la corte territoriale ha
correttamente esaminato la fattispecie: dalla premessa delle
reciproche inadempienze, ha concluso per la buona fede della
condotta tenuta dai Ge., giustificando il loro
inadempimento, rispetto all'accollo del mutuo, dal mancato
rilascio del certificato di abitabilità, salvo poi accertare
anche la presenza di gravi vizi, onde l'accoglimento della
domanda di riduzione del prezzo.
Il giudice del gravame ha, inoltre, ritenuto che non fossero
dovuti gli interessi, perché l'inadempimento dei promissari
acquirenti è stato valutato legittimo, per cui i danni per
vizi andavano (correttamente) detratti dall'unitario prezzo
concordato.
Tale accertamento è stato basato su circostanze di fatto e
sulle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, che la
corte ha fatto proprie, per cui per essere fondati i
lamentati errori e le dedotte lacune della consulenza,
rilevando quale vizio di motivazione della sentenza, è
necessario che essi si traducano in carenze o deficienze
diagnostiche, o in affermazioni illogiche e scientificamente
errate, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai
quali non possa prescindersi per la formulazione di una
corretta diagnosi, non essendo sufficiente la mera
prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni
del consulente e quelle della parte circa l'entità e
l'incidenza del dato patologico; al di fuori di tale ambito
la censura di difetto di motivazione costituisce un mero
dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo
logico, che si traduce in una inammissibile richiesta di
revisione del merito del convincimento del giudice (Cass.
17.04.2004 n. 7341).
La corte di merito, quindi, giustificando l'inadempimento di
parte controricorrente, sulla base della consulenza tecnica,
ha ritenuto di accogliere la domanda ex art. 2932 c.c. di
esecuzione in forma specifica del preliminare e, per
l'effetto, condizionarla al versamento del saldo del prezzo
da cui, in considerazione dei vizi accertati, non poteva non
essere detratto l'importo occorrente per l'eliminazione
degli stessi.
In conclusione il ricorso va rigettato (Corte di Cassazione,
Sez. II civile,
sentenza 30.01.2020 n. 2196). |
EDILIZIA PRIVATA:
Reato urbanistico – Natura di reato permanente – Momento
della consumazione e cessazione della permanenza – Nozione
di “ultimazione dell’opera” – Edificio concretamente
funzionale – Art. 25 del T.U. Edilizia.
Il reato urbanistico ha natura di reato
permanente, la cui consumazione ha inizio con l’avvio, dei
lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione
dell’attività edificatoria abusiva. Precisando che la
cessazione dell’attività si ha con l’ultimazione dei lavori
per completamento dell’opera, con la sospensione dei lavori
volontaria o imposta (ad esempio, mediante sequestro penale)
o con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano
dopo l’accertamento del reato e sino alla data del giudizio.
Si è inoltre chiarito che l’ultimazione dell’opera coincide
con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed
esterni, quali gli intonaci e gli infissi. Deve trattarsi,
in altre parole, di un edificio concretamente funzionale,
che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità,
come si ricava dal disposto del primo comma dell’art. 25 del
T.U. dell’edilizia, che fissa “entro quindici giorni
dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento” il
termine per la presentazione, allo sportello unico, della
domanda di rilascio del certificato di agibilità.
Le opere devono essere, inoltre, valutate nel loro
complesso, non potendosi, in base al concetto unitario di
costruzione, considerare separatamente i singoli componenti.
Tali caratteristiche riguardano, inoltre, anche le parti che
costituiscono annessi dell’abitazione
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.01.2020 n. 2695 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La valutazione della segnalazione
certificata di agibilità da parte della P.A. è strettamente vincolata nei
suoi presupposti, dovendo il relativo diniego essere giustificato dalla non
conformità dell’immobile con la disciplina in materia di sicurezza,
salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti.
---------------
... per l'annullamento delle determine in data 11.07.2019,
recanti n. 59877 e n. 59909, con cui il Comune di
Corigliano-Rossano ha prima dichiarato l’inefficacia della
c.i.l.a. n. 31314 dell’08.04.2019, avente ad oggetto
l’esecuzione di opere edili e successivamente respinto la
s.c.a. n. 50209 dell’11.06.2019.
...
Il ricorso è fondato e va accolto.
...
Quanto al secondo provvedimento, esso è pure illegittimo, perché la
motivazione utilizzata per il diniego della segnalazione certificata di
agibilità si colloca al di fuori dello schema tipico previsto dall’art. 24
D.P.R. 380/2001, a mente del quale “il certificato di agibilità attesta
la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate
secondo quanto dispone la normativa vigente”.
In altre parole, la valutazione della segnalazione di agibilità da parte
della P.A. è strettamente vincolata nei suoi presupposti, dovendo il
relativo diniego essere giustificato dalla non conformità dell’immobile con
la disciplina in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
13.03.2014 n. 1220) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 22.01.2020 n. 126 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio del certificato di agibilità, lungi dall'essere
subordinato all'accertamento dei soli requisiti
igienico-sanitari, presuppone altresì la conformità
urbanistica ed edilizia dell'opera, in quanto, prima ancora
della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che
possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un
fabbricato non conforme alla normativa urbanistico edilizia
e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del
fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella
disciplina è preordinata.
---------------
Pertanto, il primo motivo non è fondato, considerato
che la non conformità dell'opera al progetto approvato può
legittimare, al di là del nomen iuris del
provvedimento adottato, un diniego al rilascio e financo un
intervento in autotutela del Comune (o una dichiarazione di
decadenza) in relazione ai certificati di agibilità, ove ne
ricorrano i presupposti, essendo, infatti, la conformità dei
manufatti alle norme urbanistico-edilizie vigenti
presupposto indefettibile, ai sensi dell’art. 24, co. 3, del
d.P.R. 06.06.2001, n. 380, per il rilascio del provvedimento
in questione.
Ed invero, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza
amministrativa, «Il rilascio del certificato di
agibilità, lungi dall'essere subordinato all'accertamento
dei soli requisiti igienico-sanitari, presuppone altresì la
conformità urbanistica ed edilizia dell'opera, in quanto,
prima ancora della logica giuridica, è la ragionevolezza ad
escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi
destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa
urbanistico edilizia e, come tale, in potenziale contrasto
con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui
protezione quella disciplina è preordinata» (TAR
Campania Napoli sez. V, 06.07.2016, n. 3409; TAR Torino,
sez. II, 30.06.2016, n. 964; TAR Sicilia Palermo, sez. II
05.05.2016, n. 1100; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II,
23/04/2018, n. 933; TAR Lombardia, Brescia, sez. I,
05/06/2017, n. 731; TAR Abruzzo, L'Aquila, sez. I,
02/03/2017, n. 114; Consiglio di Stato n. 3786/2015;
Consiglio Stato, V, 30.04.2009, n. 2760) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 13.12.2019 n. 3000 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Anche
in sede di verifica di agibilità il Comune può accertare
l'abuso edilizio.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con la
sentenza 29.11.2019 n. 8180 fissa i tratti
distintivi fra permesso di costruire e certificato di
agibilità nell'ambito del testo unico dell'edilizia.
Il primo è un titolo che autorizza la realizzazione di un
intervento edilizio previa verifica del rispetto delle norme
urbanistiche ed edilizie. Il secondo, invece, oggi
sostituito dalla Scia a seguito del Dlgs 222/2016, ha la
funzione di accertare che il manufatto sia stato realizzato
non solo nel rispetto del progetto assentito ma anche della
disposizioni vigenti in materia di sicurezza, salubrità,
igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti.
Le competenze del Sue
Tuttavia, in sede di verifica della segnalazione certificata
di agibilità presentata dall'autore dell'intervento
edilizio, allo sportello unico per l'edilizia (Sue) del
Comune non è preclusa la possibilità di contestare la
presenza di difformità costruttive rispetto al titolo
abilitativo già rilasciato, poiché l'agibilità svolge una
diversa e più ampia funzione e cioè quella di garantire che
l'edificio sia idoneo, sotto ogni profilo, a essere
utilizzato per le destinazioni consentite.
In sostanza, il Sue prima ancora di verificare le condizioni
di salubrità e sicurezza del fabbricato dovrà innanzitutto
assicurarsi della conformità edilizia e urbanistica dello
stesso, essendo questo il primo presupposto di legittimità
alla cui osservanza è istituzionalmente preposto. Con la
conseguenza che, in caso di abusi accertati, il Sue, anche a
distanza di molto tempo dalla realizzazione dell'intervento,
dovrà adottare i provvedimenti sanzionatori prescritti,
dichiarando inefficace la Scia di agibilità.
Il recente intervento del Consiglio di Stato chiarisce
compiutamente il ruolo e le competenze del Sue in sede di
verifica di agibilità degli edifici, deputata in primo luogo
a scongiurare la presenza di abusi che non sono mai sanati
dalla precedente inerzia degli organi comunali accertatori.
La natura vincolata dell'ordine di
demolizione
Infatti, così come sancito dall'adunanza plenaria del
Consiglio di Stato (sentenza n. 9/2017) il provvedimento con
cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di
un immobile abusivo o l'irrogazione di una diversa sanzione,
per la sua natura vincolata, non richiede motivazione in
ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle
inerenti al ripristino della legittimità violata) che
impongono la rimozione dell'abuso.
Il principio in questione non ammette deroghe neppure
nell'ipotesi in cui il provvedimento sanzionatorio
intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione
dell'abuso e se il titolare attuale non sia responsabile
dell'abuso.
L'ordine di demolizione presenta un carattere rigidamente
vincolato (dovendo essere adottato a seguito della sola
verifica dell'abusività dell'intervento) e non richiede né
una specifica motivazione in ordine alla sussistenza di un
interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, né
una comparazione fra l'interesse pubblico e l'interesse
privato al mantenimento in loco dell'immobile.
E questo anche qualora la difformità edilizia venga
accertata in sede di istruttoria della pratica di agibilità
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 10.01.2020).
-------------
SENTENZA
8.1 Per ciò che concerne il presunto difetto di
motivazione, costituisce jus receptum il principio
espresso dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio (cfr.
sentenza n. 9 del 2017) secondo cui il provvedimento con cui
viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un
immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente
ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in
diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di
pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino
della legittimità violata) che impongono la rimozione
dell’abuso.
Secondo il Supremo Consesso, il principio in questione non
ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di
demolizione intervenga a distanza di tempo dalla
realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia
responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti
intenti elusivi dell’onere di ripristino.
8.2 Analogamente, non può invocarsi una deroga a fronte
dell’ottenimento di un titolo, la licenza di abitabilità,
avente fini diversi.
A quest’ultimo riguardo, il permesso di costruire ed il
certificato di agibilità sono collegati a presupposti
diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il
certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l'immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche
vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre
il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del
rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche.
Il rilascio del certificato di abitabilità (o di agibilità)
non preclude quindi agli uffici comunali la possibilità di
contestare successivamente la presenza di difformità
rispetto al titolo edilizio, né costituisce rinuncia
implicita a esigere il pagamento dell'oblazione per il caso
di sanatoria, in quanto il certificato svolge una diversa
funzione, ossia garantisce che l'edificio sia idoneo ad
essere utilizzato per le destinazioni ammissibili.
8.3 Sempre in termini generali, l’inerzia non può certamente
radicare un affidamento di carattere “legittimo” in
capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un
atto amministrativo favorevole, idoneo a ingenerare
un’aspettativa giuridicamente qualificata, come accade nella
diversa ipotesi della autotutela decisoria su titoli edilizi
illegittimamente rilasciati.
A quest’ultimo riguardo, gli oneri motivazionali,
applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria,
non valgono per l’ordine di demolizione il quale deve
ritenersi adeguatamente motivato in forza del richiamo al
comprovato carattere abusivo dell’intervento.
8.4 L’ordine di demolizione presenta un carattere
rigidamente vincolato (dovendo essere adottato a seguito
della sola verifica dell’abusività dell’intervento) e non
richiede né una specifica motivazione in ordine alla
sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla
demolizione, né una comparazione fra l’interesse pubblico e
l’interesse privato al mantenimento in loco dell’immobile (cfr.
Cons. Stato, Sez. VI, 21.03.2017, n. 1267), essendo la
relativa ponderazione compiuta a monte dallo stesso
legislatore nel senso della doverosità della demolizione (cfr.
art. 31, comma 2, del d.P.R. 380 del 2001).
Ciò in generale in quanto non può ammettersi l’esistenza di
alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una
situazione di fatto abusiva, che il tempo non può in alcun
modo legittimare e, in particolare, a fronte di attività
abusiva in zona vincolata, oggetto di specifica e ancor più
severa disciplina di tutela. |
EDILIZIA PRIVATA: Il
permesso di costruire ed il certificato di
agibilità sono collegati a presupposti diversi, non
sovrapponibili fra loro, in quanto il certificato di
agibilità ha la funzione di accertare che l'immobile sia
stato realizzato secondo le norme tecniche vigenti in
materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti, mentre il titolo
edilizio è finalizzato all'accertamento del rispetto delle
norme edilizie ed urbanistiche.
Il rilascio del certificato di abitabilità (o di agibilità)
non preclude quindi agli uffici comunali la possibilità di
contestare successivamente la presenza di difformità
rispetto al titolo edilizio, né costituisce rinuncia
implicita a esigere il pagamento dell'oblazione per il caso
di sanatoria, in quanto il certificato svolge una diversa
funzione, ossia garantisce che l'edificio sia idoneo ad
essere utilizzato per le destinazioni ammissibili.
---------------
8.2 Analogamente, non può invocarsi una deroga a fronte
dell’ottenimento di un titolo, la licenza di abitabilità,
avente fini diversi.
A quest’ultimo riguardo, il permesso di costruire ed il
certificato di agibilità sono collegati a presupposti
diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il
certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l'immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche
vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre
il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del
rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche.
Il rilascio del certificato di abitabilità (o di agibilità)
non preclude quindi agli uffici comunali la possibilità di
contestare successivamente la presenza di difformità
rispetto al titolo edilizio, né costituisce rinuncia
implicita a esigere il pagamento dell'oblazione per il caso
di sanatoria, in quanto il certificato svolge una diversa
funzione, ossia garantisce che l'edificio sia idoneo ad
essere utilizzato per le destinazioni ammissibili (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.11.2019 n. 8180 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
immobili abusivi e acquisizione della agibilità
(Regione Emilia Romagna,
nota 26.11.2019 n. 870874 di
prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza formatasi sull’art.
221 del R.D. 27.07.1934, n. 1265 (c.d. Testo unico delle
leggi sanitarie) ha chiaramente evidenziato che la funzione
della licenza di agibilità/abitabilità, e l’interesse
pubblico cui essa ha riguardo, attengono solo ai profili
della agibilità/abitabilità (tutela dell'igienicità,
salubrità e sicurezza dell'edificio) e non anche al profilo
urbanistico-edilizio.
Va inoltre sottolineato che –secondo consolidata
giurisprudenza- la destinazione d'uso di fatto di un
immobile è irrilevante.
In altri termini, la destinazione d'uso giuridicamente
rilevante di un immobile è unicamente quella prevista da
atti amministrativi pubblici, di carattere urbanistico o
catastale, dovendosi del tutto escludere il rilievo di un
uso di fatto che in concreto si assume sia stato praticato
sull'immobile, risultante da circostanza di mero fatto; tale
uso, quantunque si sia protratto nel tempo, è comunque
inidoneo a determinare un consolidamento di situazioni ed a
modificare ex se la qualificazione giuridica dell'immobile.
---------------
Il successivo certificato di abitabilità del 04.06.1981
(doc. 5 della produzione di parte ricorrente), che dichiara
abitabili i locali del “fabbricato industriale (escluso
l’alloggio a nord) sito in Via ...”, non ha quel valore
che la ricorrente pretende di attribuirgli.
Ed invero, da un lato detto certificato contiene il medesimo
errore già visto a proposito della nota sindacale datata
25.09.1979, prot. n. 7924, in quanto nel richiamare la
concessione n. 1032 del 05.08.1977, il certificato esplicita
(erroneamente, si ribadisce) che era stata originariamente
assentita la costruzione di un “fabbricato industriale”
(e non di un “complesso artigianale”, come avvenne
effettivamente).
Dall’altro, la giurisprudenza formatasi sull’art. 221 del
R.D. 27.07.1934, n. 1265 (c.d. Testo unico delle leggi
sanitarie) ha chiaramente evidenziato che la funzione della
licenza di agibilità/abitabilità, e l’interesse pubblico cui
essa ha riguardo, attengono solo ai profili della
agibilità/abitabilità (tutela dell'igienicità, salubrità e
sicurezza dell'edificio) e non anche al profilo
urbanistico-edilizio (arg. ex TAR Toscana, sez. III,
28.01.2014, n. 177; TAR Puglia, Bari, sez. II, 04.02.2003,
n. 489; TAR Molise, 10.05.1995, n. 111).
Va inoltre sottolineato che –secondo consolidata
giurisprudenza- la destinazione d'uso di fatto di un
immobile è irrilevante (arg. ex TAR Campania, Napoli, sez.
III, 05.05.2016, n. 2243).
In altri termini, la destinazione d'uso giuridicamente
rilevante di un immobile è unicamente quella prevista da
atti amministrativi pubblici, di carattere urbanistico o
catastale, dovendosi del tutto escludere il rilievo di un
uso di fatto che in concreto si assume sia stato praticato
sull'immobile, risultante da circostanza di mero fatto; tale
uso, quantunque si sia protratto nel tempo, è comunque
inidoneo a determinare un consolidamento di situazioni ed a
modificare ex se la qualificazione giuridica
dell'immobile (arg. ex Cons. Stato, sez. IV, 26.03.2013, n.
1712; TAR Valle d'Aosta, sez. I, 19.09.2013, n. 62)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 15.07.2019 n. 835 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Anche
per le richieste di agibilità pendenti deve essere
presentata la S.C.I.A. di cui all'art. 24 del T.U. edilizia.
DOMANDA:
Un Comune riferisce che, in data 25/06/2008, una società
presentava richiesta di agibilità per un immobile ai sensi
dell'art. 25 del DPR 380/2001 in allora vigente.
Tuttavia, stante l'incompletezza della pratica, l’ufficio
richiedeva in data 14/07/2008 la documentazione integrativa
mancante, rappresentando –in coerenza con quanto previsto
dal c. 5 dell'art. 25 sopra citato– che venivano così
interrotti i termini per il rilascio dell’atto
amministrativo e che gli stessi sarebbero decorsi nuovamente
dalla data di integrazione.
Dopo circa un decennio di inattività la ditta ha prodotto la
documentazione mancante (tutta risalente agli anni
2008-2009) chiedendo il rilascio del certificato di
agibilità come previsto ex art. 25 DPR 380/2001.
Nel frattempo, però, il D.Lgs. n. 222/2016 ha abrogato
l’articolo 25 e sostituito l’art. 24 prevedendo
l’attestazione dell’agibilità mediante segnalazione
certificata.
Così stando le cose il Comune chiede se, a completamento
della pratica, sia necessaria la presentazione di apposita
segnalazione certificata ai sensi del vigente art. 24 con
decorrenza dalla presentazione della Scia stante
l’abrogazione del procedimento previsto dall’art. 25, ovvero
se sia ancora possibile il rilascio ad oggi del richiesto
certificato ( o ipotizzare la formazione di un silenzio
assenso)
RISPOSTA:
I problemi di diritto prospettati possono essere risolti
facendo ricorso ad una corretta applicazione, in relazione
al procedimento amministrativo in generale, del principio
tempus regit actum.
Il richiamato principio comporta infatti che la Pubblica
amministrazione deve considerare anche le modifiche
normative intervenute durante il procedimento, non potendo
considerare l'assetto normativo cristallizzato in via
definitiva alla data dell'atto che vi ha dato avvio, con la
conseguenza che la legittimità del provvedimento adottato al
termine di un procedimento avviato ad istanza di parte deve
essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al
tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale, e non
al tempo della presentazione della domanda da parte del
privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo
essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato in
dipendenza della circostanza che lo jus superveniens
reca sempre una diversa valutazione (Consiglio di Stato sez.
IV, 13/04/2016, n. 1450).
Così risolta alla radice la questione si tenga comunque
presente, per mera completezza, come nel caso di specie la
normativa sopravvenuta preveda di ottenere l'agibilità solo
ed esclusivamente mediante attestazione-SCIA: è
conseguentemente venuta meno, con l'abrogazione dell'art.
25, ogni previsione che legittimava l'adozione di uno
specifico provvedimento di certificazione di agibilità.
Tutto ciò premesso e considerato nel caso di specie dovrà
essere richiesta la presentazione di apposita SCIA per come
attualmente previsto dall'art. 24 del d.P.R. 380/2001
(01.07.2019 - link a www.conord.eu). |
EDILIZIA PRIVATA: Funzione
del certificato di agibilità.
Il rilascio del
certificato di agibilità non appare idoneo
ad attestare la conformità edilizia
dell’immobile, considerati i diversi ambiti
di operatività dei citati titoli, fondati su
presupposti diversi e non sovrapponibili: il
certificato di agibilità ha la funzione di
accertare che l’immobile al quale si
riferisce è stato realizzato nel rispetto
delle norme tecniche vigenti in materia di
sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti,
mentre il rispetto delle norme edilizie e
urbanistiche è oggetto della specifica
funzione del titolo edilizio, sicché i
diversi piani possono convivere sia nella
forma fisiologica della conformità
dell’edificio ad entrambe le tipologie
normative sia in quella patologica di una
loro divergenza.
---------------
Inoltre, a prescindere dal tema
dell’affidamento, il rilascio del
certificato di agibilità non appare idoneo
ad attestare la conformità edilizia
dell’immobile, considerati i diversi ambiti
di operatività dei citati titoli, fondati su
presupposti diversi e non sovrapponibili: il
certificato di agibilità ha la funzione di
accertare che l’immobile al quale si
riferisce è stato realizzato nel rispetto
delle norme tecniche vigenti in materia di
sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti,
mentre il rispetto delle norme edilizie ed
urbanistiche è oggetto della specifica
funzione del titolo edilizio, sicché i
diversi piani possono convivere sia nella
forma fisiologica della conformità
dell’edificio ad entrambe le tipologie
normative sia in quella patologica di una
loro divergenza (Consiglio di Stato, V,
29.05.2018, n. 3212; TAR Lazio, Roma, II-bis,
04.06.2019, n. 7180)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.06.2019 n. 1482 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
mancato rispetto del requisito dell’altezza interna minima
di 2,70 metri, previsto dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975, non
consente la destinazione all’uso abitativo dei locali
oggetto di condono edilizio.
La giurisprudenza è stabilmente
orientata nel senso di ritenere che, ai sensi dell’art. 35,
co. 20, della legge n. 47/1985, il certificato di
abitabilità a seguito di condono edilizio possa venire
rilasciato in deroga a norme regolamentari, ma non anche
quando siano carenti le condizioni di salubrità richieste da
fonti normative di livello primario.
Questo in coerenza con l’interpretazione che della
disposizione sopra citata ha fornito la Corte Costituzionale
con la sentenza n. 256 del 18.07.1996, che ha espressamente
riconosciuto il permanere in capo ai Comuni di tutti gli
obblighi “inerenti alla verifica delle condizioni
igienico-sanitarie per l'abitabilità degli edifici, con
l'unica possibile deroga ai requisiti fissati da norme
regolamentari”.
L’art. 35, co. 20 cit., in altre parole, non contiene una
deroga indiscriminata alle norme che presidiano i requisiti
di abitabilità degli edifici, implicando semmai il
contemperamento di una serie di valori tutti
costituzionalmente garantiti, dal diritto alla salute al
diritto all’abitazione.
E comunque, nel definire l’ambito della deroga, non rileva
il mero dato formale dell’appartenenza della disposizione a
una fonte primaria o secondaria, ma deve piuttosto
verificarsi se le specifiche condizioni igienico-sanitarie
violino norme regolamentari imposte, ad esempio, dai
regolamenti comunali, derogabili nella misura in cui siano
espressive di esigenze locali e non siano attuative di norme
di legge gerarchicamente sovraordinate; ovvero se si tratti
di norme regolamentari che attuano precedenti disposizioni
di legge, come accade per quelle di cui al d.m. 05.07.1975,
integranti una normativa di rango primario in virtù del
rinvio disposto dall’art. 218 R.D. n. 1265/1934, n. 1265, e
pertanto inderogabili, al pari delle disposizioni in materia
di sicurezza statica e di prevenzione degli incendi e degli
infortuni.
---------------
La giurisprudenza (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez.
03.06.2013, n. 3034; id., 03.05.2011, n. 2620) è stabilmente
orientata nel senso di ritenere che, ai sensi dell’art. 35,
co. 20, della legge n. 47/1985, il certificato di
abitabilità a seguito di condono edilizio possa venire
rilasciato in deroga a norme regolamentari, ma non anche
quando siano carenti le condizioni di salubrità richieste da
fonti normative di livello primario. Questo in coerenza con
l’interpretazione che della disposizione sopra citata ha
fornito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 256 del
18.07.1996, che ha espressamente riconosciuto il permanere
in capo ai Comuni di tutti gli obblighi “inerenti alla
verifica delle condizioni igienico-sanitarie per
l'abitabilità degli edifici, con l'unica possibile deroga ai
requisiti fissati da norme regolamentari”.
L’art. 35, co. 20 cit., in altre parole, non contiene una
deroga indiscriminata alle norme che presidiano i requisiti
di abitabilità degli edifici, implicando semmai il
contemperamento di una serie di valori tutti
costituzionalmente garantiti, dal diritto alla salute al
diritto all’abitazione. E comunque, nel definire l’ambito
della deroga, non rileva il mero dato formale
dell’appartenenza della disposizione a una fonte primaria o
secondaria, ma deve piuttosto verificarsi se le specifiche
condizioni igienico-sanitarie violino norme regolamentari
imposte, ad esempio, dai regolamenti comunali, derogabili
nella misura in cui siano espressive di esigenze locali e
non siano attuative di norme di legge gerarchicamente
sovraordinate; ovvero se si tratti di norme regolamentari
che attuano precedenti disposizioni di legge, come accade
per quelle di cui al d.m. 05.07.1975, integranti una
normativa di rango primario in virtù del rinvio disposto
dall’art. 218 R.D. n. 1265/1934, n. 1265, e pertanto
inderogabili, al pari delle disposizioni in materia di
sicurezza statica e di prevenzione degli incendi e degli
infortuni (così Cons. Stato n. 2620/2011, cit.).
Alla luce degli indirizzi interpretativi consolidati, dai
quali non vi sono ragioni per discostarsi, il mancato
rispetto del requisito dell’altezza interna minima di 2,70
metri, previsto dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975, non
consente la destinazione all’uso abitativo dei locali di
proprietà del ricorrente.
La certificazione di abitabilità o agibilità conseguita
secondo il meccanismo disciplinato dall’art. 86, co. 4, l.r.
n. 1/2005 è pertanto illegittima, per questo aspetto
giustificandosi l’esercizio del potere di autotutela da
parte del Comune resistente (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 14.06.2019 n. 857 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a
presupposti diversi e non sovrapponibili, dato che il certificato di
agibilità ha la funzione di accertare che l'immobile al quale si riferisce è
stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di
sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli
impianti, mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto
della specifica funzione del titolo edilizio, sicché i diversi piani possono
convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell'edificio ad
entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro
divergenza.
Pertanto, ai fini dell’agibilità rilevano esclusivamente i presupposti
stabiliti dall’art. 24 del d.P.R. n. 380 del 2001.
---------------
Considerato che:
- con il ricorso introduttivo del presente giudizio le società
Ed.Im.Ri. S.r.l. e Nu.Si.Im.Co. S.r.l. Unipersonale hanno agito per
l’annullamento della determinazione in epigrafe indicata, con la quale Roma
Capitale ha disposto la sospensione, senza un termine determinato,
dell'efficacia della segnalazione certificata di agibilità parziale
presentata 23.03.2017, relativa al fabbricato con destinazione residenziale
e non residenziale sito in Roma, Largo ... nn. 15, 19, 21, 23, 25, 27, 29,
31, 33, formulando, altresì, riserva di proposizione della domanda
risarcitoria;
...
Ritenuto che:
- il ricorso si palesa fondato;
- la sospensione dell’efficacia risulta essere stata disposta da
Roma Capitale “sine die”, oltre la scadenza del termine di 30 giorni
previsto per l’esercizio del potere inibitorio dall’art. 19, commi 3 e
6-bis, della l. n. 241/1990, in assenza di ogni esplicitazione
dell’attualità dell’interesse pubblico e di qualsiasi ponderazione degli
altri interessi pubblici e privati coinvolti, nonché al di fuori di
qualsiasi valutazione dei profili di igiene che avrebbero potuto condurre ad
un eventuale giudizio di inabitabilità e dunque allo sgombero dell’edificio,
bensì esclusivamente sulla base di asserite carenze documentali;
- emerge per tabulas dagli atti prodotti dalla parte
ricorrente che le carenze documentali poste a fondamento della
determinazione adottata sono in larga parte insussistenti, venendo in
rilievo documentazione già allegata alla segnalazione, e, per la restante
parte, con precipuo riferimento al nulla osta di regolarità urbanistica, del
tutto ultronee, afferendo a profili radicalmente estranei ai fini della
valutazione avente ad oggetto l’agibilità del fabbricato;
- come chiarito dalla consolidata giurisprudenza anche del Giudice
d’Appello, il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono
collegati a presupposti diversi e non sovrapponibili, dato che il
certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l'immobile al quale
si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in
materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici
e degli impianti, mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è
oggetto della specifica funzione del titolo edilizio, sicché i diversi piani
possono convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell'edificio
ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro
divergenza (Cons. Stato, sez. V, 29.05.2018, n. 3212; id., sez. IV,
24.10.2012 n. 5450; id, sez. V, 30.04.2009 n. 2760);
- pertanto, ai fini dell’agibilità rilevano esclusivamente i
presupposti stabiliti dall’art. 24 del d.P.R. n. 380 del 2001;
- anche con riferimento all’impianto di illuminazione, la
circostanza, valorizzata dalla difesa dell’amministrazione, della mancanza
del collaudo dello stesso non è idonea a legittimare la determinazione
adottata, sia alla luce della comunicazione trasmessa all’Inail concernente
al conformità della messa a terra dell’impianto di illuminazione, sia tenuto
conto della omessa esplicitazione di qualsivoglia carenza in concreto
riscontrata;
- alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso va,
quindi, accolto, con assorbimento delle ulteriori deduzioni e, per l’effetto
la determinazione impugnata va annullata
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 04.06.2019 n. 7180 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
P. Tonalini,
L’evoluzione del certificato di agibilità dei fabbricati e
la prassi notarile (15.05.2019 - link a
www.federnotizie.it).
---------------
Il concetto di abitabilità degli edifici fa ingresso nel
nostro ordinamento con l’art. 221, primo comma, del regio
decreto 27.07.1934, n. 1265 (testo unico delle leggi
sanitarie), secondo il quale gli edifici urbani o rurali, o
parti di essi, di nuova costruzione, oppure già esistenti ma
oggetto di ricostruzione o sopraelevazione, ovvero di
modificazioni che comunque possono influire sulle condizioni
di salubrità, non possono essere abitati senza
autorizzazione del podestà, il quale la concede quando,
previa ispezione dell’ufficiale sanitario o di un ingegnere
a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata
eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri
siano convenientemente prosciugati e che non sussistano
altre cause di insalubrità. (...continua). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato
di agibilità è finalizzato esclusivamente alla tutela dell'igienicità,
salubrità e sicurezza dell'edificio e non è diretto anche a
garantire la conformità urbanistico-edilizia del manufatto;
con la conseguenza che la verifica di conformità edilizia
effettuata a tal fine è svolta nei limiti necessari a
inferirne l’assentibilità della agibilità; restando diverso
e distinto il profilo della piena conformità edilizia in
quanto tale, sul piano dei titoli edilizi, che non può
ricavarsi da un incidentale accertamento compiuto in sede di
rilascio della licenza di agibilità.
---------------
10.3. Ad ogni modo, a prescindere dal tema dell’affidamento
nella nostra fattispecie non prospettabile, il certificato
di agibilità è finalizzato esclusivamente alla tutela dell'igienicità,
salubrità e sicurezza dell'edificio e non è diretto anche a
garantire la conformità urbanistico-edilizia del manufatto;
con la conseguenza che la verifica di conformità edilizia
effettuata a tal fine è svolta nei limiti necessari a
inferirne l’assentibilità della agibilità; restando diverso
e distinto il profilo della piena conformità edilizia in
quanto tale, sul piano dei titoli edilizi, che non può
ricavarsi da un incidentale accertamento compiuto in sede di
rilascio della licenza di agibilità (da ultimo Cons. Stato,
sez. IV, n. 2456 del 2018) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.04.2019 n. 2216 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: Sulla
dichiarazione di inagibilità di un fabbricato.
La competenza in ordine ai provvedimenti
di cui all'art. 222 del r.d. n. 1265/1934 è da ricondursi al
personale dirigente, come risulta indirettamente confermato
dal testo dell'art. 24, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, il
quale, sostituendo gli artt. 220 e 221 del r.d. n.
1265/1934, prevede che <<il certificato di agibilità viene
rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente
Ufficio comunale>>: dal che deve ritenersi che anche
un'eventuale dichiarazione di inagibilità non possa che
essere adottata da tali organi.
---------------
La Società Pa. Srl è
proprietaria di un albergo con ristorante sito nel Comune di
San Pietro in Gu concesso in affitto alla Società Di.Ve. Srl.
Il Prefetto di Padova con nota 01.09.2016 ha comunicato
l’arrivo di 36 richiedenti asilo presso la struttura.
Il Comune con ordinanza n. 14 del 04.04.2017 ha diffidato le
ricorrenti a ripristinare immediatamente la capacità
ricettiva della struttura, contestando la presenza di 47
ospiti in luogo dei 24 per i quali la stessa è autorizzata,
la mancanza dell’attestazione di verifica di alcuni
estintori, la mancanza della copia del piano di
autocontrollo HACCP, del piano di autocontrollo legionella,
della certificazione di controllo della caldaia e della
messa a terra dell’impianto elettrico.
Le Società hanno replicato alle contestazioni producendo la
documentazione e le certificazioni richieste, e in data
04.05.2017 hanno presentato una segnalazione certificata di
inizio attività presso il comando dei vigili del fuoco di
Padova per munirsi dell’autorizzazione ad una capacità
ricettiva fino a 50 posti letto.
La Prefettura di Padova con nota del 09.05.2017 ha
comunicato l’istituzione con effetto immediato di un centro
di accoglienza straordinario presso l’immobile.
Il Comune con provvedimento prot. n. 4369 del 16.05.2017, ha
revocato il certificato di agibilità e l’autorizzazione
sanitaria alla struttura, contestando il mancato ripristino
della capacità ricettiva del fabbricato.
Tale provvedimento, impugnato con ricorso straordinario al
Capo dello Stato, è stato trasposto in sede giurisdizionale,
ed è contestato con tre motivi.
...
Il terzo motivo, che
deve essere delibato prioritariamente, con il quale le
ricorrenti lamentano il vizio di incompetenza perché la
revoca dell’agibilità e dell’autorizzazione sanitaria è
stata emanata dal dirigente anziché dal Sindaco, è infondato
e deve essere respinto.
Infatti, come è stato condivisibilmente affermato in
giurisprudenza “la competenza in ordine ai provvedimenti
di cui all'art. 222 del r.d. n. 1265/1934 è da ricondursi al
personale dirigente, come risulta indirettamente confermato
dal testo dell'art. 24, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, il
quale, sostituendo gli artt. 220 e 221 del r.d. n.
1265/1934, prevede che <<il certificato di agibilità viene
rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente
Ufficio comunale>>: dal che deve ritenersi che anche
un'eventuale dichiarazione di inagibilità non possa che
essere adottata da tali organi" (cfr. Tar Piemonte, Sez.
II, 25.10.2017; negli stessi termini Tar Lombardia, Milano,
Sez, I, 29.12.2016, n. 2486; Tar Campania, Salerno, Sez. II,
07.09.2005. n. 1513).
Il terzo motivo deve pertanto essere respinto
(TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 20.05.2019 n. 624 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La funzione e le modalità di rilascio
del certificato di abitabilità sono regolate dall’art. 24
del D.P.R. 380/2001 secondo cui detto certificato accerta
“La sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene,
salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli
impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto
dispone la normativa vigente, nonché la conformità
dell'opera al progetto presentato…”.
Secondo la norma citata ed il successivo art. 25 la
certificazione avviene attraverso la segnalazione
certificata di inizio di attività asseverata e documentata
dai competenti professionisti.
Il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono
perciò collegati a presupposti diversi e non sovrapponibili,
dato che il certificato di agibilità ha la funzione di
accertare che l'immobile al quale si riferisce è stato
realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in
materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti, mentre il
rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto
della specifica funzione del titolo edilizio, essendo stato
sottolineato che i diversi piani possano convivere sia nella
forma fisiologica della conformità dell'edificio ad entrambe
le tipologie normative sia in quella patologica di una loro
divergenza.
E’ dunque paradossalmente possibile che un edificio sia
eseguito in difformità dal titolo edilizio rilasciato ma
rispetti le norme di igiene, sicurezza e contenimento del
consumo energetico indicate dall’art. 24 seguendone che, in
tale ipotesi, l'edificio è agibile (e quindi può essere
rilasciato il certificato di agibilità), ma difforme dal
progetto approvato e quindi sanzionabile dal punto di vista
urbanistico-edilizio.
---------------
1. Viene impugnata la nota in epigrafe con cui il Comune di
Pisa ha dichiarato l’inefficacia della SCIA n. 108 del
15.01.2013 presentata dalla parte ricorrente per la
ristrutturazione e cambio d'uso da magazzino a civile
abitazione di una porzione di immobile sito in località
Tirrenia, via ... n. 77.
Il ricorso non è suscettibile di accoglimento.
2. Assume la ricorrente, richiamando giurisprudenza anche di
questo TAR, che le unità immobiliari in questione possiedono
una destinazione abitativa sin dal 1957 e tale destinazione
risulterebbe legittimata dal certificato di abitabilità
rilasciato lo stesso anno. Ebbene tale licenza, ove si
esprima anche in merito alla conformità del titolo edilizio
rilasciato, avrebbe piena validità in ordine alla
legittimazione edilizia e urbanistica della destinazione con
essa certificata.
La tesi, per quanto sorretta da una parte minoritaria della
giurisprudenza, non appare condivisibile.
Come rilevato dalla difesa del Comune, la funzione e le
modalità di rilascio del certificato di abitabilità sono
regolate dall’art. 24 del D.P.R. 380/2001 secondo cui detto
certificato accerta “La sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate
secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la
conformità dell'opera al progetto presentato…”.
Secondo la norma citata ed il successivo art. 25 la
certificazione avviene attraverso la segnalazione
certificata di inizio di attività asseverata e documentata
dai competenti professionisti.
Il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono
perciò collegati a presupposti diversi e non sovrapponibili,
dato che il certificato di agibilità ha la funzione di
accertare che l'immobile al quale si riferisce è stato
realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in
materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti, mentre il
rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto
della specifica funzione del titolo edilizio, essendo stato
sottolineato che i diversi piani possano convivere sia nella
forma fisiologica della conformità dell'edificio ad entrambe
le tipologie normative sia in quella patologica di una loro
divergenza (Cons. Stato, sez. V, 29.05.2018, n. 3212 id.,
sez. IV, 24.10.2012 n. 5450; id, sez. V, 30.04.2009 n.
2760).
E’ dunque paradossalmente possibile che un edificio sia
eseguito in difformità dal titolo edilizio rilasciato ma
rispetti le norme di igiene, sicurezza e contenimento del
consumo energetico indicate dall’art. 24 seguendone che, in
tale ipotesi, l'edificio è agibile (e quindi può essere
rilasciato il certificato di agibilità), ma difforme dal
progetto approvato e quindi sanzionabile dal punto di vista
urbanistico-edilizio (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 11.03.2019 n. 348 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI: Il
promissario acquirente si rifiuta legittimamente di
perfezionare l'atto di trasferimento dell'appartamento privo
della certificazione di abitabilità..
Il rifiuto del promissario
acquirente di stipulare il contratto di compravendita
definitivo di un immobile privo dei certificati di
agibilità, abitabilità e di conformità alla concessione
edilizia, anche se il mancato rilascio dipende dall'inerzia
del Comune, è giustificato in quanto l'acquirente ha
interesse ad ottenere la proprietà dell'immobile idoneo ad
assolvere alla funzione economico-sociale e a soddisfare
bisogni che inducono all'acquisto, per cui tali certificati
risultano essenziali.
---------------
Con l'unico motivo di ricorso si lamenta la falsa
applicazione ed estensione al contratto preliminare delle
norme disciplinanti il contratto di compravendita, in
particolare degli artt. 1470 e 1477 c.c., in relazione
all'art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c..
Afferma la ricorrente che la Corte territoriale ha errato
nell'applicare al caso di specie le predette norme che, in
quanto dettate per il contratto di compravendita, possono
operare solo a seguito della stipulazione del definitivo, e
non anche per effetto della conclusione del contratto
preliminare.
Le obbligazioni gravanti sul venditore, tra le quali rientra
anche quella della consegna della cosa oggetto della
compravendita, dei titoli e dei documenti relativi alla
proprietà della cosa venduta, vanno eseguite al momento
della stipula del definitivo, non potendosene esigere
l'adempimento nella fase precedente.
Il ricorso deve essere rigettato.
In tal senso rileva che, con accertamento in fatto i i
giudici di appello hanno ritenuto che la ricorrente avesse
garantito la totale regolarità urbanistica dell'immobile, e
che quindi "avrebbe dovuto fornire al promissario
acquirente la documentazione attestante tale regolarità",
documentazione in cui rientra inequivocabilmente anche il
certificato di abitabilità, ritenendo che tale obbligo fosse
consequenziale all'assunzione della garanzia quanto alla
regolarità urbanistica del bene.
Peraltro è consolidato orientamento di questa Corte quello
per cui il rifiuto del promissario
acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un
immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità
e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato
rilascio dipende da inerzia del Comune -nei cui confronti,
peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore-
è giustificato, ancorché anteriore all'entrata in vigore
della legge 28.02.1985, n. 47, perché l'acquirente ha
interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad
assolvere la funzione economico-sociale e a soddisfare i
bisogni che inducono all'acquisto, e cioè la fruibilità e la
commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati
devono ritenersi essenziali
(Cass. nn. 10820/2009 e 15969/2000).
Nella vendita di immobile destinato ad
abitazione, il certificato di abitabilità costituisce
requisito giuridico essenziale del bene compravenduto,
come ricorda Cass. n. 1514/2006, al punto
tale che esso è in grado di incidere sull'attitudine del
bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale,
assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità.
D'altronde, ed anche prima della formale
stipula del definitivo, si è affermato che
(cfr. Cass. n. 13969/2006) nel caso in cui
il preliminare preveda la consegna anticipata del bene,
rientra tra le obbligazioni gravanti sul promittente
venditore anche quella di allegare il certificato di
abitabilità dell'immobile contestualmente alla consegna
dell'appartamento, nel caso in cui sia anche anticipato il
pagamento del prezzo
(conf. Cass. n. 4513/2001).
In tale ottica, reputa il Collegio che non possa essere
censurata la valutazione compiuta dai giudici di appello
circa l'attualità dell'obbligo della ricorrente di dover
consegnare il certificato in questione, attese le reiterate
richieste di parte intimata, così come comprovate
dall'istruttoria svolta, ed avvenute in prossimità proprio
della scadenza del termine per la stipula del definitivo, e
con il chiaro intento quindi di mettere a disposizione del
notaio rogante tutta la documentazione idonea ad assicurare
la verifica circa la regolarità urbanistica del bene.
Trattasi di soluzione che costituisce a ben vedere una piana
applicazione del principio della buona fede.
Al riguardo può richiamarsi quanto ritenuto in passato da
questa Corte (cfr. Cass. n. 20399/2004, Cass. n.
13345/2006), secondo cui in tema di
contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè
della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere
all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione
ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo
in ogni sua fase, sicché la clausola generale di buona fede
e correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti
del debitore e del creditore nell'ambito del singolo
rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul
piano del complessivo assetto di interessi sottostanti
all'esecuzione di un contratto (art. 1375 cod. civ.),
concretizzandosi nel dovere di ciascun contraente di
cooperare alla realizzazione dell'interesse della
controparte e ponendosi come limite di ogni situazione,
attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando
così integrativamente il contenuto e gli effetti del
contratto.
La buona fede, pertanto, si atteggia come
un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna
parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da
specifici obblighi contrattuali e dal dovere del "neminem
laedere", senza rappresentare un apprezzabile sacrificio
a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi
dell'altra parte
(nel precedente del 2004 è stata confermata la sentenza
della Corte d'Appello che, in relazione all'esecuzione di un
contratto preliminare di vendita immobiliare antecedente
l'entrata in vigore della legge n. 47 del 1985, aveva
ritenuto inadempienti i promittenti venditori in quanto essi
non avevano proceduto a sanare l'immobile, abusivamente
costruito, e ad acquisire il relativo certificato di
abitabilità, e ciò aveva fatto sebbene tale condotta
omissiva non fosse stata esplicitamente sanzionata
nell'accordo negoziale).
Ad avviso del Collegio, a fronte di
un'assunzione della garanzia circa la regolarità urbanistica
del bene, se, come
dedotto in ricorso, il certificato de
quo era già esistente, l'omessa risposta alle richieste
di consegna dello stesso da parte del promissario acquirente
in epoca prossima alla scadenza del termine previsto per la
stipula del definitivo, allorquando quindi si palesava la
necessità di entrarne in possesso, costituisce comportamento
evidentemente contrario ai principi di buona fede, laddove
allo stesso abbia fatto poi seguito la dichiarazione di
recesso della promittente venditrice sul presupposto del
mancato rispetto del termine de quo, e giustifica quindi
l'accoglimento della domanda di risoluzione per
inadempimento della ricorrente
(Corte di Cassazione, Sez. VI civile,
ordinanza 14.01.2019 n. 622). |
anno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il procedimento volto ad attestare
l’agibilità di un immobile non interferisce con l’esercizio
del potere di repressione degli illeciti edilizi.
I due procedimenti hanno un differente oggetto: l’uno
è finalizzato unicamente a verificare la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, mentre l’altro è volto a sanzionare
l’attività urbanistico edilizia, laddove non sia stata
realizzata in rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e
alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi.
Pertanto, il precedente rilascio del certificato di
agibilità non è sintomo di contraddittorietà dell’irrogata
sanzione demolitori.
---------------
3.2. Asserisce altresì la parte ricorrente che il
provvedimento demolitorio sarebbe illegittimo in quanto il
Comune aveva già accertato l’agibilità dell’intervento
edilizio realizzato, completo del cancello del quale oggi
viene ordinata la demolizione.
Conseguentemente, essendo già stata valutata la conformità
urbanistica dell’intervento, la successiva adozione
dell’ordine di demolizione integrerebbe la fattispecie della
contraddittorietà dell’azione amministrativa, figura
sintomatica dell’eccesso di potere.
La censura non può trovare accoglimento.
Nessuna contraddizione sussiste infatti nell’adozione, da
parte del Comune, di un’ordinanza di demolizione avente ad
oggetto un immobile per il quale era già stata assentita
l’agibilità.
La valutazione sfociante nel rilascio del certificato di
agibilità ha infatti ad oggetto parametri differenti
rispetto a quella posta in essere dalla p.a. in sede di
emissione del provvedimento repressivo di un abuso edilizio.
La prima, pertanto, non assorbe né tanto meno esclude la
seconda.
Come sancito dalla giurisprudenza amministrativa, in termini
condivisi dal Collegio, infatti: “Il procedimento volto
ad attestare l’agibilità di un immobile non interferisce con
l’esercizio del potere di repressione degli illeciti
edilizi. I due procedimenti hanno un differente oggetto:
l’uno è finalizzato unicamente a verificare la sussistenza
delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, mentre l’altro è volto a sanzionare l’attività
urbanistico edilizia, laddove non sia stata realizzata in
rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici e alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi. Pertanto, il
precedente rilascio del certificato di agibilità non è
sintomo di contraddittorietà dell’irrogata sanzione
demolitoria” (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII,
08.10.2015 n. 4717; cfr: TAR Valla d’Aosta, Aosta, Sez. I,
08.08.2015 n. 61).
Anche tale ulteriore censura deve dunque essere respinta in
quanto infondata (TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 19.12.2018 n. 1923 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: rettifica di un permesso di abitabilità rilasciato nel 1972 –
presupposti – parere (Legali Associati per Celva,
nota 23.10.2018 - tratto da www.celva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’agibilità di un locale in cui è svolta
un’attività commerciale o artigianale non può essere
frazionata per le parti in cui esso si compone, poiché
l’utilizzo della parte abusiva si riflette
sull’incompatibilità dell’attività nel complesso.
---------------
4.3 - Va per completezza, altresì, evidenziato che in
fattispecie relativa –come quella in esame– ad inagibilità
di un (solo) manufatto realizzato in ampliamento, è stato
sostenuto: “Né può affermarsi che il carattere abusivo
riguarda solo una parte dell’immobile (mantenendosi invece
l’agibilità per la restante porzione), trattandosi di un
requisito unico ed inscindibile.
L’agibilità di un locale in cui è svolta un’attività
commerciale o artigianale non può essere frazionata per le
parti in cui esso si compone, poiché l’utilizzo della parte
abusiva si riflette sull’incompatibilità dell’attività nel
complesso (nella specie, la chiusura perimetrale dello
spazio ha incrementato le superfici destinate all’attività,
risultando per ciò svolta in un immobile con caratteristiche
nuove rispetto alla richiesta del certificato di agibilità)”
– TAR Campania-Napoli, sez. III, sent. 13/01/2016 n. 141 (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 26.07.2018 n. 4979 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel rilascio dell’autorizzazione commerciale
occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia
dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere,
con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di
attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo
ove fondato […] su rappresentate e accertate ragioni di
abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene
svolta.
Il legittimo esercizio dell’attività
commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di
rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua
durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità
sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa
viene posta in essere, con conseguente potere-dovere
dell’autorità amministrativa di inibire l'attività
commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano
stati adottati provvedimenti repressivi che accertano
l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che
precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività
commerciale.
Tale conclusione trova del resto riscontro nel d.lgs.
31.03.1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al
settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo
agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore
dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs.
n. 59 del 26.03.2010, impone al soggetto interessato il
rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche,
oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.
---------------
Al presupposto del rispetto delle norme edilizie ed
urbanistiche (oggetto della specifica funzione del titolo
edilizio) si aggiunge quello del rispetto delle norme
tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti che il
certificato di agibilità aveva la funzione di attestare
(art. 24 s. dPR 380/2001).
Ed al riguardo la giurisprudenza testé citata ha ribadito
come «i diversi piani possano convivere sia nella forma
fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le
tipologie normative sia in quella patologica di una loro
divergenza”.
---------------
La ricorrente impugna l’ordinanza del 21.04.2017, n. 6743,
con cui il Comune di Orta di Atella, facendo richiamo a
quanto già contestatole con l’atto di diffida alla
prosecuzione dell’attività del 18.12.2014, prot. 15335, le
ha ingiunto l’immediata chiusura dell’esercizio commerciale
esercitato in via ... n. 45 in relazione alla mancanza del
certificato di agibilità dei locali presso i quali
l’attività è svolta, da ultimo acclarata con verbale di
accertamento del Comando di Polizia Municipale n. 121/17,
prot. 852/P.M. del 14.04.2017.
...
Nel merito, il ricorso è infondato.
In via generale, deve osservarsi che, come recentemente
ribadito dal giudice di appello in altra controversia
concernente il Comune di Orta di Atella, «secondo un
consolidato indirizzo giurisprudenziale nel rilascio
dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i
presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei
locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con
l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività
di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato
[…] su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei
locali nei quali l’attività commerciale viene svolta (cfr.,
tra le altre, Cons. Stato, IV, 14.10.2011 n. 5537 e id., V,
08.05.2012, n. 5590). Il legittimo esercizio dell’attività
commerciale è pertanto ancorato, non solo in sede di
rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per la intera sua
durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità
sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa
viene posta in essere, con conseguente potere-dovere
dell’autorità amministrativa di inibire l'attività
commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano
stati adottati provvedimenti repressivi che accertano
l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che
precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività
commerciale (cfr. Cons. Stato, VI, 23.10.2015, n. 4880) [….]
Tale conclusione trova del resto riscontro nel d.lgs.
31.03.1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al
settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo
agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore
dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs.
n. 59 del 26.03.2010, impone al soggetto interessato il
rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche,
oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso. In
ambito regionale, poi, va tenuto presente l’art. 15 della
legge della Regione Campania n. 1 del 09.01.2014 e succ.
mod. (Nuova disciplina in materia di distribuzione
commerciale), che contiene una previsione analoga in
riferimento, tra l’altro, all’apertura degli esercizi di
vicinato, soggetti alla SCIA» (cfr. C.d.S., sez. V,
29.05.2018, n. 3212).
Ancora sul piano generale, va ricordato che al presupposto
del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche (oggetto
della specifica funzione del titolo edilizio) si aggiunge
quello del rispetto delle norme tecniche vigenti in materia
di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti che il certificato di agibilità
aveva la funzione di attestare (art. 24 s. dPR 380/2001);
ed al riguardo la giurisprudenza testé citata (C.d.S., sez.
V, n. 3212/2018) ha ribadito come «i diversi piani
possano convivere sia nella forma fisiologica della
conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative
sia in quella patologica di una loro divergenza” (così Cons.
Stato, IV, 13.03.2014, n. 1220)».
Nel caso in esame, la mancanza del certificato di agibilità
dei locali di svolgimento dell’attività risulta già alla
base dell’atto di diffida del 18.12.2014, prot. 15335, con
il quale l’Ente territoriale ha contestato alla ricorrente
il comportamento inerte dalla stessa tenuto ben oltre i
termini concessi ai proprietari, a far data
dall’approvazione del Piano urbanistico comunale, per
regolarizzare la propria posizione amministrativa ed
eliminare i vizi ostativi per il proseguimento delle loro
attività.
Non consta che, nonostante ciò, da allora la ricorrente
abbia provveduto a tanto, dotandosi del certificato di
agibilità o di titolo equipollente. Si aggiunga che la
stessa non ha fornito alcun inizio di prova di aver in corso
altro procedimento finalizzato a regolarizzare l’aspetto in
questione, concentrandosi piuttosto sulla tesi, che si è
dimostrata infondata, della sostanziale irrilevanza della
semplice mancanza del certificato di agibilità.
Constatata la carenza del presupposto, il Comune non avrebbe
potuto fare altro che impedire lo svolgimento dell’attività
commerciale mediante l’adozione di un provvedimento di
natura doverosa e vincolata (cfr., ancora, C.d.S., sez. V,
n. 3212/2018 cit.), che, perciò, resiste anche alla censura
di omessa comunicazione di avvio del procedimento.
Per queste ragioni, in conclusione, il ricorso dev’essere
respinto (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 04.07.2018 n. 4448 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel rilascio dell’autorizzazione commerciale
occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia
dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere,
con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di
attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo
ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di
abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene
svolta.
Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto
ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli
abilitativi, ma anche per la intera sua durata di
svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il
profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene
posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità
amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata
in locali rispetto ai quali siano stati adottati
provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle
opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in
modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale.
Va quindi confermato che la regolarità urbanistico-edilizia
dell’opera condiziona l’esercizio dell’attività commerciale
al suo interno anche perché ritenere il contrario
comporterebbe elusione delle sanzioni previste per gli
illeciti edilizi. Così si è affermato che la stretta
connessione tra materie del commercio e dell’urbanistica ha
indotto il legislatore a indicare il medesimo fatto quale
presupposto per l’esercizio di poteri propri sia della
materia dell’urbanistica, sia di quella del commercio, con
la conseguente inibizione, per l’autorità amministrativa, di
assentire l’attività nel caso di non conformità della stessa
alla disciplina urbanistico–edilizia.
E’ stato così
superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che
affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione
commerciale (o di ampliamento o di trasferimento
dell’esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul
presupposto che l’interesse pubblico nella materia del
commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò
criteri valutativi differenti: il revirement giurisprudenziale
si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio
costituzionale di buona amministrazione per cui non è
tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura
contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per
la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra
questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è
per le materie dell’urbanistica e del commercio.
Tale conclusione trova del resto riscontro nel d.lgs.
31.03.1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al
settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo
agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore
dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs.
n. 59 del 26.03.2010, impone al soggetto interessato il
rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche,
oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.
---------------
Per un verso è da ritenere che
sussista un collegamento funzionale tra i due provvedimenti,
atteso che il rilascio del certificato di agibilità (e la
formazione del relativo silenzio-accoglimento) presuppongono
la conformità delle opere al permesso di costruire ed allo
strumento urbanistico; di guisa che va negato il rilascio
del detto certificato nel caso di opera abusiva o difforme
dal titolo abilitativo edilizio rilasciato e conseguentemente va
anche ritenuto che la validità e l’efficacia del permesso di
costruire possano condizionare quelle del certificato di
agibilità.
Per altro verso tali conclusioni non sono infirmate dal
fatto che il permesso di costruire ed il certificato di
agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita
a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che il
certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel
rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di
sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti (come espressamente recita l’art.
24 del Testo unico dell’edilizia), mentre il rispetto delle
norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica
funzione del titolo edilizio, essendo stato sottolineato che
“i diversi piani possano convivere sia nella forma
fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le
tipologie normative sia in quella patologica di una loro
divergenza”.
---------------
... per la riforma della
sentenza breve 20.02.2017
n. 1036
del TAR CAMPANIA–NAPOLI, SEZ. III, resa tra le parti.
...
1. Il Comune di Orta di Atella (CE) ha impugnato la sentenza
indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale
Amministrativo Regionale della Campania, Sez. III, ha
accolto il ricorso proposto da Cr.Ci., quale titolare della
ditta individuale “Minimarket ...” con sede in Orta
di Atella (CE), avviata per lo svolgimento di attività di
commercio al pubblico di generi alimentari e diversi,
avverso il provvedimento prot. n. 21122 del 21.12.2016, con
cui il Responsabile del Settore Attività Produttive –
Sportello Unico Attività Produttive del Comune aveva
disposto l’annullamento della s.c.i.a. presentata in data
28.07.2016 dal Ci. per l’esercizio dell’attività di
commercio al pubblico di generi alimentari vari, presso i
locali di via ..., con
conseguente inibizione dell’attività commerciale avviata.
A base dell’annullamento della s.c.i.a. era posto
l’annullamento in autotutela del permesso a costruire n. 130
del 15.07.2005 (avvenuto con provvedimento n. 1854 del
21.09.2009), relativo ai locali ospitanti l’attività di
commercio al pubblico di generi alimentari, e la mancanza di
validità dell’attestazione di agibilità per i locali
interessati dal permesso di costruire annullato.
...
5. L’appello è fondato e va accolto.
...
5.3. Passando all’esame del merito si rileva quanto segue.
5.3.1. Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale
nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere
presente i presupposti aspetti di conformità
urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività
commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il
diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi
senz’altro legittimo ove fondato, come nella fattispecie, su
rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali
nei quali l’attività commerciale viene svolta (cfr., tra le
altre, Cons. Stato, IV, 14.10.2011 n. 5537 e id., V, 08.05.2012, n. 5590).
Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto
ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli
abilitativi, ma anche per la intera sua durata di
svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il
profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene
posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità
amministrativa di inibire l'attività commerciale esercitata
in locali rispetto ai quali siano stati adottati
provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle
opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in
modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale
(cfr. Cons. Stato, VI, 23.10.2015, n. 4880).
5.3.2. Va quindi confermato che la regolarità urbanistico-edilizia dell’opera condiziona l’esercizio dell’attività
commerciale al suo interno anche perché ritenere il
contrario comporterebbe elusione delle sanzioni previste per
gli illeciti edilizi. Così si è affermato che la stretta
connessione tra materie del commercio e dell’urbanistica ha
indotto il legislatore a indicare il medesimo fatto quale
presupposto per l’esercizio di poteri propri sia della
materia dell’urbanistica, sia di quella del commercio, con
la conseguente inibizione, per l’autorità amministrativa, di
assentire l’attività nel caso di non conformità della stessa
alla disciplina urbanistico–edilizia (Cons. Stato, V,
17.10.2002, n. 5656 e 28.06.2000, n. 3639).
E’ stato così
superato il precedente indirizzo giurisprudenziale che
affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione
commerciale (o di ampliamento o di trasferimento
dell’esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul
presupposto che l’interesse pubblico nella materia del
commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò
criteri valutativi differenti (cfr. Cons. Stato, V,
21.04.1997, n. 380): il revirement giurisprudenziale
si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio
costituzionale di buona amministrazione per cui non è
tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura
contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per
la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra
questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è
per le materie dell’urbanistica e del commercio.
5.3.4. Tale conclusione trova del resto riscontro nel d.lgs.
31.03.1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al
settore del commercio) e succ. mod., il cui art. 7, relativo
agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore
dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il d.lgs.
n. 59 del 26.03.2010, impone al soggetto interessato il
rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche,
oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso.
In ambito regionale, poi, va tenuto presente l’art. 15 della
legge della Regione Campania n. 1 del 09.01.2014 e succ.
mod. (Nuova disciplina in materia di distribuzione
commerciale), che contiene una previsione analoga in
riferimento, tra l’altro, all’apertura degli esercizi di
vicinato, soggetti alla SCIA.
Per comprendere se le regole ed i principi di cui sopra
trovino applicazione nel caso di specie, che pur presenta
delle peculiarità, occorre evidenziare, in fatto, i seguenti
elementi, così come risultano dagli atti, secondo il loro
ordine cronologico:
- il permesso a costruire n. 130 del 15.07.2005, rilasciato in
favore della società Ed.F.G.C. s.r.l. (oggi Ed.F.G.C. S.p.A.), cui fa capo la titolarità dell’immobile nel
quale si trovano i locali da adibire ad attività commerciale
da parte del sig. Ci., è stato annullato in autotutela
con provvedimento n. 1854 del 21.09.2009;
- detto provvedimento è stato impugnato dalla società Ed.F.G.C. S.p.A. ed il ricorso è stato respinto con sentenza
del TAR Campania, sez. VIII, depositata il 02.07.2015, n.
3483/15;
- la sentenza è stata appellata dalla società ricorrente ed il
ricorso in appello, depositato il 26.02.2016, iscritto
col numero di registro 1542/2016, è tuttora pendente dinanzi
alla IV sezione di questo Consiglio di Stato, senza che
siano state adottati provvedimenti cautelari;
- in data 28.07.2016, pendente perciò tale ultimo giudizio, il
sig. Ci.Cr., nella qualità di titolare della
ditta individuale “Minimarket ...”, ha presentato
segnalazione certificata di inizio di attività in materia di
“minimercati ed altri esercizi non specializzati di
alimentari vari” presso i locali siti in Orta di Atella,
alla via ..., ..., s.n.c., già oggetto
del permesso di costruire di cui sopra, nonché di
certificato di agibilità con destinazione commerciale n. 36
del 20.01.2007 (non fatto oggetto di provvedimenti in
autotutela);
- il procedimento di verifica della s.c.i.a. è stato avviato in
data 30.09.2016 nota prot. n. 15148 e si è concluso
col provvedimento impugnato, prot. n. 21122 del 21.12.2016, che nella motivazione richiama sia la sentenza del
TAR (erroneamente indicata col numero di iscrizione del
ricorso) di rigetto del ricorso avverso il provvedimento di
annullamento del permesso di costruire, sia il parere legale
del 23.11.2016 (con cui si assume che il certificato
di agibilità sia stato “travolto” dall’annullamento in
autotutela del permesso di costruire), sia un precedente
giurisprudenziale che afferma il principio -di cui si è
detto sopra- che la “legittimità urbanistica dei locali
costituisce presupposto indefettibile del legittimo
esercizio dell’attività commerciale”; disponendone perciò
annullamento della s.c.i.a. presentata in data 28.07.2016.
5.3.5. L’appello del Comune in sostanza si basa
sull’applicazione del principio di cui si è appena detto
(pur intrattenendosi più del necessario sulla non sanabilità
dell’abuso e sull’impraticabilità dei rimedi, compresa la
sanzione amministrativa, di cui all’art. 38 del d.P.R. n.
380 del 2001), oltre che sulla circostanza dell’avvenuta
caducazione dell’agibilità dei locali.
L’appellato oppone diversi argomenti, che ricalcano quelli
posti a fondamento della sentenza impugnata, che tuttavia
vanno disattesi per le ragioni qui di seguito indicate.
5.3.5.1. Il provvedimento di annullamento del permesso di
costruire n. 1854 del 21.09.2009, sebbene asseritamente illegittimo e impugnato in separato giudizio
(al quale è estraneo l’appellato), è nondimeno efficace e
non disapplicabile, per la stessa amministrazione e per il
giudice amministrativo, finché non risulti annullato o
sospeso nelle forme previste dall’ordinamento; non può
rilevare che in riferimento ad altri annullamenti in
autotutela disposti dal Comune di Orta di Atella il giudizio
di appello si sia concluso sfavorevolmente per l’ente
locale, come sottolinea la difesa dell’appellato citando le
relative decisioni di questo Consiglio di Stato (aventi i
numeri 3996 e 3997 del 2016), poiché riferite a permessi di
costruire ed a provvedimenti di annullamento riguardanti
altri immobili ed altri soggetti;
5.3.5.2. Se è vero che, allo stato, non risultano adottate
dagli organi competenti del Comune apposite sanzioni
repressive dell’abuso che precludano in modo assoluto
l’esercizio di un’attività commerciale (in particolare
l’ordine di demolizione), riguardanti l’immobile abusivo nel
quale si trovano i locali nella disponibilità
dell’appellato, va considerato che nel caso di specie è
fondamentale il dato -trascurato nella sentenza impugnata-
che la presentazione della s.c.i.a. è di gran lunga
successiva (2016) all’adozione del provvedimento di
annullamento (2009), nonché al rigetto del ricorso avverso
questo provvedimento da parte del Tar (2015): quando
l’attività commerciale è stata avviata l’immobile era già
privo di permesso di costruire.
E’ vero perciò che la verifica della regolarità
urbanistico-edilizia dei locali adibito a negozio è stata
compiuta dopo l’inizio dell’esercizio dell’attività, ma si
tratta di verifica avviata ai sensi dell’art. 19 della legge
07.08.1990, n. 241: tale norma testualmente dispone che
l’amministrazione deve procedere alla verifica dei requisiti
e dei presupposti previsti dalla legge, in carenza dei quali
vieta la prosecuzione dell’attività (comma 3, art. 19 cit.).
La norma, riferita al caso in esame, ha comportato che il
Comune abbia dovuto controllare che i locali, dove avrebbe
dovuto essere svolta l’attività commerciale oggetto della
s.c.i.a., fossero, dal punto di vista urbanistico-edilizio, conformi a legge, giacché tale conformità si pone
come un presupposto indispensabile per consentire lo
svolgimento legittimo di un’attività che, per sua natura,
coinvolge il pubblico. Constatata la carenza del
presupposto, venuto meno in epoca precedente la
presentazione dell’istanza di s.c.i.a. da parte del sig.
Ci., il Comune non avrebbe potuto fare altro che
impedire lo svolgimento dell’attività commerciale denunciata
da quest’ultimo.
5.3.5.3. Si tratta di provvedimento vincolato, rispetto al
quale non è invocabile la valutazione alla stregua dei
principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione
amministrativa, soprattutto se si considera che l’appellato,
pur essendo terzo rispetto alla vicenda inerente il permesso
di costruire, non ha da invocare la tutela del proprio
legittimo affidamento.
Infatti, prima di avviare l’attività commerciale avrebbe
dovuto assicurarsi dell’idoneità dei locali da adibire allo
scopo (fatto salvo quanto previsto nel contratto di
locazione commerciale stipulato con la società proprietaria
e locatrice F.G.C. Ed. S.p.A., rilevante nei rapporti
tra i soggetti contraenti, e in ambito di diritto privato),
tenuto conto delle previsioni normative che ne richiedono la
conformità alla normativa edilizia ed urbanistica – senza
che rilevi che negli stessi locali fosse già esercitata
altra attività commerciale, poiché autorizzata nei confronti
di diversi soggetti.
5.3.5.4. Non rileva, ancora, il mancato ritiro, da parte del
Comune di Orta di Atella, del certificato di agibilità dei
locali con destinazione commerciale n. 36 del 20.01.2007.
Per un verso è da ritenere, anche alla stregua dell’art. 24
del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (secondo cui la richiesta
di certificato di agibilità presuppone necessariamente la
“conformità delle opere realizzate al progetto approvato”,
dato che la richiesta deve essere corredata da una
dichiarazione resa in tal senso dell’interessato), che
sussista un collegamento funzionale tra i due provvedimenti,
atteso che il rilascio del certificato di agibilità (e la
formazione del relativo silenzio-accoglimento) presuppongono
la conformità delle opere al permesso di costruire ed allo
strumento urbanistico; di guisa che va negato il rilascio
del detto certificato nel caso di opera abusiva o difforme
dal titolo abilitativo edilizio rilasciato (cfr. Cons.
Stato, V, 16.10.2013, n. 5025) e conseguentemente va
anche ritenuto che la validità e l’efficacia del permesso di
costruire possano condizionare quelle del certificato di
agibilità.
Per altro verso tali conclusioni non sono infirmate dal
fatto che il permesso di costruire ed il certificato di
agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita
a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che il
certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel
rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di
sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti (come espressamente recita l’art.
24 del Testo unico dell’edilizia), mentre il rispetto delle
norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica
funzione del titolo edilizio, essendo stato sottolineato che
“i diversi piani possano convivere sia nella forma
fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le
tipologie normative sia in quella patologica di una loro
divergenza” (così Cons. Stato, IV, 13.03.2014, n. 1220).
Il mancato ritiro del certificato di agibilità, così come
non impedirebbe al Sindaco di reprimere gli abusi edilizi
(cfr. Cons. Stato, V, 03.02.1992, n. 87), nemmeno
avrebbe potuto consentire l’esercizio dell’attività
commerciale in immobile privo di permesso di costruire.
D’altronde, entrambe le ragioni –carenza di permesso di
costruire e caducazione sopravvenuta del certificato di
agibilità- sono poste a fondamento del provvedimento qui
impugnato, ma la prima è, da sola, idonea a sorreggere
l’adozione del provvedimento di annullamento della S.C.I.A.
ai sensi dell’art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990.
5.3.5.5. Infine tutti gli argomenti che fanno leva sull’art.
38 del d.P.R. n. 380 del 2001, sia a sostegno
dell’accoglimento dell’appello (nel presupposto della sua
inapplicabilità in ragione dei vizi di carattere sostanziale
che avrebbero inficiato l’originario permesso di costruire)
sia a sostegno del suo rigetto (nel presupposto che,
comunque, si dovrebbero attendere le determinazioni da
prendersi da parte della p.a. in merito alle conseguenze
prodotte dall’annullamento del permesso di costruire, quindi
si dovrebbe attendere anche l’adozione di provvedimenti
espliciti in merito alla sanabilità dell’opera od
all’applicabilità/inapplicabilità della sanzione ex art. 38
detto) risultano irrilevanti ed estranei al presente
giudizio (ed, invece, più pertinenti rispetto a quello
relativo all’impugnazione del provvedimento di annullamento,
nel quale il Comune è ovviamente coinvolto).
Parimenti irrilevanti risultano i procedimenti
amministrativi che si assumono avviati dalla FGG Ed.
S.p.A. volti a rimediare alle carenze urbanistiche poste a
base dell’annullamento del permesso di costruire e le
criticità che discendono da tale annullamento quali
rappresentate anche nella nota prot. n. 1334 del 25.11.2016 del Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di
Orta di Atella, richiamata dall’appellato.
L’attuale carenza di permesso di costruire impedisce che,
allo stato, i locali che si trovano all’interno
dell’immobile interessato dal provvedimento di annullamento
del titolo abilitativo edilizio siano adibiti ad attività
commerciali.
6. In conclusione, l’appello va accolto ed, in riforma della
sentenza impugnata, va respinto l’originario ricorso
proposto da Ci.Cr., in proprio e quale titolare
della ditta individuale “Minimarket ...” (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 29.05.2018 n. 3212 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI: Certificato
di abitabilità e compravendita.
«In tema di compravendita immobiliare, qualora il venditore
ometta di consegnare il certificato di abitabilità e,
tuttavia, si accerti l'utilizzabilità del bene, il
compratore non può chiedere il risarcimento del danno
commisurato all'importo dei canoni di locazione perduti,
atteso che il mancato rilascio di concessioni,
autorizzazioni o licenze amministrative relative alla
destinazione d'uso di un bene immobile o alla sua
abitabilità non è in sé di ostacolo alla valida costituzione
di un rapporto locatizio».
Così ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. VI civile (ordinanza
18.05.2018 n. 12226) (articolo ItaliaOggi del
05.06.2019).
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MASSIMA
1 Con il primo motivo si denunzia ai sensi
dell'art. 360, n. 3, cpc la violazione ed errata
applicazione degli artt. 1477, 1453 e 1455 cc. per avere la
Corte d'Appello ritenuto che la mancata consegna del
certificato di abilità costituisse un inadempimento di
scarsa importanza, discostandosi in tal modo dal prevalente
orientamento giurisprudenziale.
2 Con il secondo motivo la ricorrente deduce ai sensi
dell'art. 360 n. 3 cpc la violazione ed errata applicazione
degli artt. 1218, 1453, 1455 e 2697 cc rimproverando alla
Corte di Appello di avere invertito l'onere probatorio
violando la tradizionale regola secondo cui spettava al
convenuto di fornire la prova dell'esatto adempimento oppure
che l'inadempimento era stato determinato da impossibilità
della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Ad avviso della ricorrente spettava ai venditori di provare
perché non erano stati in grado di adempiere alla loro
obbligazione oppure che il certificato potesse essere
rilasciato, restando assolutamente irrilevante, rispetto
alla inesistenza della agibilità, l'eventuale
perfezionamento di procedimenti urbanistici di sanatoria.
Richiama il principio della presunzione di colpa
dell'inadempimento ai sensi dell'art. 1218 cc.
Queste due censure, da esaminarsi congiuntamente
perché collegate al problema dell'incidenza del certificato
di abitabilità nel sinallagma contrattuale, sono
manifestamente infondate.
Secondo la prevalente e più recente giurisprudenza di questa
Corte, in tema di compravendita
immobiliare, la mancata consegna al compratore del
certificato di abitabilità non determina, in via automatica,
la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento
del venditore, dovendo essere verificata in concreto
l'importanza e la gravità dell'omissione in relazione al
godimento e alla commerciabilità del bene, sicché, ove in
corso di causa si accerti che l'immobile promesso in vendita
presentava tutte le caratteristiche necessarie per l'uso suo
proprio e che le difformità edilizie rispetto al progetto
originario erano state sanate a seguito della presentazione
della domanda di concessione in sanatoria, del pagamento di
quanto dovuto e del formarsi del silenzio-assenso sulla
relativa domanda, la risoluzione non può essere pronunciata
(v. tra le varie, sez. 2, Ordinanza n. 29090 del 05/12/2017
Rv. 646535; Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 22561 del 2014; Sez. 2,
Sentenza n. 13231 del 31/05/2010 Rv. 613156).
Il principio, affermato in tema di
risoluzione del contratto preliminare, vale logicamente
anche per il contratto definitivo.
Ebbene, nel caso di specie, il giudice di merito ha
accertato che la mancanza di agibilità non incide sulla
funzione economico-sociale del bene e ha tratto tale
convincimento dal fatto, pacifico tra le parti e attestato
anche nel rogito notarile, "che non constano irregolarità
sul piano edilizio-urbanistico (la costruzione risale a data
anteriore al 10.09.1967 ed è subentrata concessione in
sanatoria in data 03.04.1998 con cambio di destinazione, ora
commerciale)".
Come si vede, l'apprezzamento in fatto sulla assenza di
elementi ostativi al rilascio del certificato di
abitabilità, si rivela conforme ai principi di diritto
affermati da questa Corte sugli effetti della mancata
consegna del certificato di abitabilità e non si pone
neppure in contrasto col precedente citato dalla ricorrente
(Ordinanza n. 2438/2016): in quel caso, infatti, il rifiuto
dei promissari acquirenti di procedere alla stipula del
definitivo era stato ritenuto giustificato in quanto il dato
oggettivo della mancata consegna del certificato di
destinazione urbanistica -il cui obbligo grava ex lege
sul venditore, in base all'art. 1477, terzo comma, cod. civ.-
non risultava suffragato da alcun elemento che potesse in
qualche modo far ritenere sussistente l'idoneità del bene ad
assolvere la funzione economico-sociale e a soddisfare i
bisogni che inducono all'acquisto, e cioè la fruibilità e la
commerciabilità del bene. |
EDILIZIA PRIVATA:
L'installazione di sanitari non è manutenzione
straordinaria.
L’art. 3, comma 1, lett. b), del DPR n.
380 del 2001 qualifica come <manutenzione straordinaria> gli
interventi volti a “realizzare ed integrare i servizi
igienico-sanitari” e nella specie non si ipotizza la
realizzazione ex novo di un servizio igienico prima
inesistente o l’ampliamento di servizio esistente, bensì la
semplice allocazione dei sanitari (come sarebbe la
sostituzione di un lavandino o w.c. vecchio con un nuovo),
come tale non rientrante nella <manutenzione straordinaria>.
---------------
E' da escludersi che gli interventi ipotizzati comportino la
necessità di nuova attestazione di abitabilità.
Invero, l’art. 24 del DPR n. 380 del 2001, al comma 3,
richiede attestazione di agibilità per “interventi sugli
edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di
cui al comma 1”, cioè sulla “sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità”.
L’esame della giurisprudenza pone in evidenza come gli
interventi che rendono obbligatoria una nuova valutazione
dell’agibilità sono sostanzialmente quelli che hanno
carattere “strutturale” e quelli che danno adito ad un
mutamento di destinazione d’uso.
In tal senso:
- "appare legittima la richiesta di una nuova valutazione
delle condizioni di agibilità di un immobile «a fronte di
modifiche strutturali, che implicano anche un cambiamento
dell'uso degli spazi»;
- «gli artt. 24 e segg. del T.U.E. non individuano
espressamente le diverse ipotesi in cui, pur vertendosi in
tema di interventi “minori”, gli stessi influiscano sulle
condizioni di igiene e sicurezza, evidentemente rimettendo
tale valutazione (di “influenza”) alle Amministrazioni
deputate a tale verifica», dunque attribuendo
all’Amministrazione un potere discrezionale di valutare se
–nel caso concreto– gli interventi edilizi posti in essere
alterino o meno le condizioni igienico-sanitarie
dell’edificio, il che comunque appare difficile da sostenere
in relazione alla mera collocazione degli arredi sanitari;
- la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che anche il
mero mutamento di destinazione d’uso di un locale possa
giustificare la richiesta di un nuovo certificato di
agibilità;
- il rilascio di un nuovo certificato di agibilità si
rende necessario per le sole modifiche “strutturali”
dell’edificio, esclude la necessità di acquisire un simile
titolo a fronte di un intervento di mero ampliamento di
un’uscita di sicurezza;
- «i lavori, effettuati successivamente all’interno del
locale, hanno riguardato solo l’inserimento di un locale
igienico, che non determina la necessità di un nuovo
certificato di agibilità, in quanto, secondo la
giurisprudenza costante, è necessario richiedere un nuovo
certificato di agibilità solo quando si procede alla
ristrutturazione totale».
---------------
6.2 – In termini giuridici pare comunque da escludere che il
mero intervento di installazione dei sanitari –eseguito
allorquando tutte le reti e gli allacci ad essi propedeutici
sono già stati realizzati– sia riconducibile alla categoria
della manutenzione straordinaria.
L’art. 3, comma 1, lett. b), del DPR n. 380 del 2001
qualifica come <manutenzione straordinaria> gli
interventi volti a “realizzare ed integrare i servizi
igienico-sanitari” e nella specie non si ipotizza la
realizzazione ex novo di un servizio igienico prima
inesistente o l’ampliamento di servizio esistente, bensì la
semplice allocazione dei sanitari (come sarebbe la
sostituzione di un lavandino o w.c. vecchio con un nuovo),
come tale non rientrante nella <manutenzione
straordinaria> (in tal senso Cons. Giust. Amm. Regione
Siciliana, 15.03.2017, n. 102).
6.3 – Analogamente pare da escludere che gli interventi
ipotizzati comportassero la necessità di nuova attestazione
di abitabilità. L’art. 24 del DPR n. 380 del 2001, al comma
3, richiede attestazione di agibilità per “interventi
sugli edifici esistenti che possano influire sulle
condizioni di cui al comma 1”, cioè sulla “sussistenza
delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità”.
L’esame della giurisprudenza pone in evidenza come gli
interventi che rendono obbligatoria una nuova valutazione
dell’agibilità sono sostanzialmente quelli che hanno
carattere “strutturale” e quelli che danno adito ad
un mutamento di destinazione d’uso.
In tal senso TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 16.03.2011, n.
740, secondo cui appare legittima la richiesta di una nuova
valutazione delle condizioni di agibilità di un immobile «a
fronte di modifiche strutturali, che implicano anche un
cambiamento dell'uso degli spazi»; TAR Abruzzo, Sez. I,
17.06.2015, n. 456 invece precisa che «gli artt. 24 e
segg. del T.U.E. non individuano espressamente le diverse
ipotesi in cui, pur vertendosi in tema di interventi
“minori”, gli stessi influiscano sulle condizioni di igiene
e sicurezza, evidentemente rimettendo tale valutazione (di
“influenza”) alle Amministrazioni deputate a tale verifica»,
dunque attribuendo all’Amministrazione un potere
discrezionale di valutare se –nel caso concreto– gli
interventi edilizi posti in essere alterino o meno le
condizioni igienico-sanitarie dell’edificio, il che comunque
appare difficile da sostenere in relazione alla mera
collocazione degli arredi sanitari; la giurisprudenza è
pacifica nel ritenere che anche il mero mutamento di
destinazione d’uso di un locale possa giustificare la
richiesta di un nuovo certificato di agibilità (ex multis,
TAR Abruzzo, Sez. I, 11.02.2014, n. 107); Cons. Stato, Sez.
V, 12.02.2013, n. 795, nell’affermare che il rilascio di un
nuovo certificato di agibilità si rende necessario per le
sole modifiche “strutturali” dell’edificio, esclude
la necessità di acquisire un simile titolo a fronte di un
intervento di mero ampliamento di un’uscita di sicurezza;
TAR Puglia, Lecce, 07.05.2009, n. 956, la quale afferma che
«i lavori, effettuati successivamente all’interno del
locale, hanno riguardato solo l’inserimento di un locale
igienico, che non determina la necessità di un nuovo
certificato di agibilità, in quanto, secondo la
giurisprudenza costante, è necessario richiedere un nuovo
certificato di agibilità solo quando si procede alla
ristrutturazione totale».
Nel caso di specie, l’attestazione di agibilità è stata
presentata allorquando tutti gli interventi strutturali
nonché i mutamenti di destinazione d’uso erano già stati
posti in essere; conseguentemente, la nuova attestazione di
agibilità che il Comune ha ritenuto necessaria nel caso di
specie, avrebbe dovuto riguardare solo l’installazione dei
sanitari (lavandini, wc, ecc.).
Ma tale intervento non risulta tuttavia dar luogo ad una “modifica
strutturale” né ad un mutamento di destinazione d’uso
(essendo di fatto i locali già completi degli impianti e,
per ciò stesso, già destinati a bagno) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 07.05.2018 n. 635 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Parere in merito al rapporto tra agibilità e conformità
edilizia di un immobile – Comune di Fara in Sabina (Regione Lazio,
nota
29.03.2018 n. 186215 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato di
agibilità non assume una capacità sanante dei vizi che
affliggono un titolo edilizio, il cui annullamento all’esito
dell’impugnazione giurisdizionale si ripercuote
inevitabilmente sul primo, con effetto caducante, stante la
relazione di stretta consequenzialità.
---------------
La Società ricorrente censura il provvedimento comunale
18/03/2015, di rilascio del permesso di costruire in
sanatoria per la realizzazione del sopralzo di un sottotetto
e di un balcone.
0. Si premette che, come ha messo in evidenza la parte
ricorrente, il certificato di agibilità non assume una
capacità sanante dei vizi che affliggono un titolo edilizio,
il cui annullamento all’esito dell’impugnazione
giurisdizionale si ripercuote inevitabilmente sul primo, con
effetto caducante, stante la relazione di stretta
consequenzialità (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia –
22/04/2015 n. 188, confermata da Consiglio di Stato, sez. VI
– 09/08/2016 n. 3559).
Pertanto, non ha alcun rilievo l’omessa tempestiva
proposizione di un ricorso avverso il certificato suddetto (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 26.03.2018 n. 341 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell'art. 24 del D.P.R. n.
380/2001, il certificato di agibilità attesta la sussistenza
delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, valutate secondo quanto dispone la normativa
vigente.
Esso, dunque, non può essere prefigurato come un atto
meramente formale, ma rappresenta il presupposto del
regolare uso dell’edificio in coerenza alla destinazione
dello stesso.
---------------
La conformità dei manufatti alle norme urbanistico/edilizie
costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo
rilascio del certificato di agibilità, in quanto, ancor
prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad
escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi
destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa
urbanistico/edilizia e, come tale, in potenziale contrasto
con la tutela degli interessi collettivi alla cui protezione
quella disciplina è preordinata.
Ciò trova fonte normativa nella lettera dell’art. 25, comma
1, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001 che richiede, da parte
del richiedente, una dichiarazione di conformità dell’opera
rispetto al progetto approvato.
Infatti, se in linea generale il tacito accoglimento di una
domanda si differenzia dalla decisione esplicita solo per
l'aspetto formale, è necessario tuttavia che sussistano
tutti gli elementi soggettivi e oggettivi che rappresentano
gli elementi costitutivi della fattispecie di cui si invoca
il perfezionamento.
---------------
Giova rammentare, in via generale, che la formazione del
silenzio-assenso sulle istanze dei privati postula che
l'istanza sia assistita da tutti i presupposti di legge, non
determinandosi ope legis l'accoglimento della richiesta ogni
qualvolta manchino i presupposti di fatto e di diritto
previsti dalla norma.
Difatti, il provvedimento di assenso tacito non può formarsi
in assenza della documentazione completa prescritta dalle
norme di settore, in quanto l'eventuale inerzia
dell'amministrazione nel provvedere sull’istanza di avvio
del procedimento non può far conseguire agli interessati un
risultato che gli stessi non potrebbero mai conseguire in
virtù di un provvedimento espresso; al riguardo, va
precisato che il silenzio equivale al provvedimento
amministrativo ma non incide in senso abrogativo
sull'esistenza del regime autorizzatorio, che rimane
inalterato, trattandosi di una modalità semplificata di
conseguimento dell'autorizzazione.
La produzione di tale documentazione è indispensabile
proprio al fine del riscontro dei requisiti soggettivi ed
oggettivi, la cui incompletezza preclude la formazione del
titolo abilitativo in forma tacita.
Peraltro, della presenza di tutta la documentazione deve
essere data prova, alla stregua degli ordinari principi
processuali (art. 64 c.p.a.), dalla parte ricorrente, poiché
si presume che la copia sia nella sua disponibilità oppure
che sia virtualmente accessibile mediante l'impiego degli
strumenti procedimentali o processuali previsti
dall'ordinamento.
---------------
Il ricorso è infondato.
Come noto, ai sensi dell'art. 24 del D.P.R. n. 380/2001, il
certificato di agibilità attesta la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, valutate secondo quanto dispone la normativa
vigente.
Esso, dunque, non può essere prefigurato come un atto
meramente formale, ma rappresenta il presupposto del
regolare uso dell’edificio in coerenza alla destinazione
dello stesso.
Il successivo art. 25, comma 3, prevede che "Entro trenta
giorni dalla ricezione della domanda di cui al comma 1, il
dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale,
previa eventuale ispezione dell'edificio, rilascia il
certificato di agibilità verificata la seguente
documentazione (...)".
Il comma 4 stabilisce ancora che "Trascorso inutilmente
il termine di cui al comma 3, l'agibilità si intende
attestata nel caso sia stato rilasciato il parere dell'A.S.L.
di cui all'articolo 5, comma 3, lettera a). In caso di
autodichiarazione, il termine per la formazione del
silenzio-assenso è di sessanta giorni”.
Secondo consolidato indirizzo della giurisprudenza
amministrativa, la conformità dei manufatti alle norme
urbanistico/edilizie costituisce il presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di
agibilità, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è
la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato,
per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla
normativa urbanistico/edilizia e, come tale, in potenziale
contrasto con la tutela degli interessi collettivi alla cui
protezione quella disciplina è preordinata. Ciò trova fonte
normativa nella lettera dell’art. 25, comma 1, lett. b), del
D.P.R. n. 380/2001 che richiede, da parte del richiedente,
una dichiarazione di conformità dell’opera rispetto al
progetto approvato.
Infatti, se in linea generale il tacito accoglimento di una
domanda si differenzia dalla decisione esplicita solo per
l'aspetto formale, è necessario tuttavia che sussistano
tutti gli elementi soggettivi e oggettivi che rappresentano
gli elementi costitutivi della fattispecie di cui si invoca
il perfezionamento (cfr. TAR Napoli, n. 1767/2016 e n.
2191/2014; TAR Salerno, n. 1325/2013).
Ebbene, dalla documentazione esibita in giudizio dal Comune
di Pastorano emergono i seguenti profili ostativi al
rilascio per silentium dell’agibilità.
Sotto un primo profilo, mette conto evidenziare che, come
rilevato dalla difesa dell’ente locale (cfr. nota del Comune
di Pastorano prot. n. 7065 del 12.10.2012) il manufatto di
cui si controverte venne autorizzato con concessione
edilizia n. 31/98 dell’11.01.1999 e successiva variante in
sanatoria n. 47/2000 del 27.11.2000, titoli che riguardavano
la realizzazione di un capannone industriale da adibire alla
lavorazione del ferro con annessa palazzina destinata ad
uffici e alloggio custode.
Viceversa, la domanda di agibilità dell’08.06.2010 è stata
avanzata per una difforme destinazione, segnatamente quella
di recupero e messa in riserva di rifiuti speciali non
pericolosi che, ovviamente, presenta differenti esigenze
igienico-edilizie derivanti dal diverso uso dei locali.
Ciò collide con l’art. 25, comma 1 lett. b), del Testo Unico
dell’Edilizia che richiede la presentazione di una
dichiarazione sottoscritta dallo stesso richiedente “di
conformità dell'opera rispetto al progetto approvato”.
In secondo luogo, l’intervento contrasta con la destinazione
urbanistica visto che, sulle aree de quibus
(ricadenti in zona industriale) con delibere del 10.01.2008,
27.05.2008 e 05.08.2008, il Consiglio Comunale di Pastorano
ha inibito lo svolgimento di attività di stoccaggio e
trattamento di rifiuti pericolosi e, altresì, di quelli non
pericolosi che presentano potenziali nocività per la
salubrità dell’ambiente e per la salute dei cittadini.
Sussiste poi una ulteriore ragione a sostegno della
legittimità dell’azione amministrativa, costituita dalla
carenza dei presupposti di legge, con specifico riferimento
alla omessa allegazione della documentazione prescritta
dall’art. 25 del D.P.R. n. 380/2001.
Al riguardo, giova infatti rammentare, in via generale, che
la formazione del silenzio-assenso sulle istanze dei privati
postula che l'istanza sia assistita da tutti i presupposti
di legge, non determinandosi ope legis l'accoglimento
della richiesta ogni qualvolta manchino i presupposti di
fatto e di diritto previsti dalla norma. Difatti, il
provvedimento di assenso tacito non può formarsi in assenza
della documentazione completa prescritta dalle norme di
settore, in quanto l'eventuale inerzia dell'amministrazione
nel provvedere sull’istanza di avvio del procedimento non
può far conseguire agli interessati un risultato che gli
stessi non potrebbero mai conseguire in virtù di un
provvedimento espresso; al riguardo, va precisato che il
silenzio equivale al provvedimento amministrativo ma non
incide in senso abrogativo sull'esistenza del regime
autorizzatorio, che rimane inalterato, trattandosi di una
modalità semplificata di conseguimento dell'autorizzazione.
La produzione di tale documentazione è indispensabile
proprio al fine del riscontro dei requisiti soggettivi ed
oggettivi, la cui incompletezza preclude la formazione del
titolo abilitativo in forma tacita (TAR Campania, Napoli,
Sez. IV, n. 1100/2016).
Peraltro, della presenza di tutta la documentazione deve
essere data prova, alla stregua degli ordinari principi
processuali (art. 64 c.p.a.), dalla parte ricorrente, poiché
si presume che la copia sia nella sua disponibilità oppure
che sia virtualmente accessibile mediante l'impiego degli
strumenti procedimentali o processuali previsti
dall'ordinamento (cfr. TAR Lazio, Roma, n. 9267/2016).
Applicando tali coordinate ermeneutiche alla fattispecie in
esame deve allora ritenersi che non sussistano in atti gli
elementi sufficienti per la pronuncia, allo stato degli atti
di causa, di una declaratoria di formazione del
silenzio-assenso.
In particolare, dalla nota del Comune di Pastorano prot. n.
7065 del 12.10.2012 si evince che, contrariamente a quanto
riportato nell’atto di diffida della società istante, non
risultano acquisiti al protocollo dell’amministrazione
locale l’autocertificazione dell’agibilità a firma
dell’arch. An.Ce. -asseritamente prodotta in data
20.10.2010- e la relativa documentazione. Benché richiesti
dall’ente locale, tali atti non sono stati esibiti dalla
società ricorrente, con la conseguenza che l’incompletezza
documentale impedisce la formazione del titolo per
silentium.
Si aggiunga infine che, come sottolineato dalla difesa
dell’amministrazione comunale, non vi è neppure prova del
rilascio del parere dell’A.S.L., atto richiesto
espressamente dall’art. 25, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001
per la formazione del provvedimento tacito di assenso (“Trascorso
inutilmente il termine di cui al comma 3, l'agibilità si
intende attestata nel caso sia stato rilasciato il parere
dell'A.S.L. di cui all'all'articolo 5, comma 3, lettera ‘a’.
In caso di autodichiarazione, il termine per la formazione
del silenzio-assenso è di sessanta giorni”).
Le considerazioni illustrate ostano alla piena operatività
del silenzio-assenso sulla richiesta di agibilità avanzata
dalla società ricorrente, con la conseguenza che gli atti
impugnati si appalesano legittimamente adottati dalle
amministrazioni intimate.
Per l’effetto, il ricorso ed i motivi aggiunti vanno
respinti con conseguente condanna della società ricorrente
al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di
Pastorano (TAR Calabria-Napoli, Sez. I,
sentenza 21.03.2018 n. 1773 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato di agibilità non assume
una capacità sanante dei vizi che affliggono un titolo
edilizio, il cui annullamento all’esito dell’impugnazione
giurisdizionale si ripercuote inevitabilmente sul primo, con
effetto caducante, stante la relazione di stretta
consequenzialità.
---------------
La Società ricorrente censura il provvedimento comunale
18/03/2015, di rilascio del permesso di costruire in
sanatoria per la realizzazione del sopralzo di un sottotetto
e di un balcone.
0. Si premette che, come ha messo in evidenza la parte
ricorrente, il certificato di agibilità non assume una
capacità sanante dei vizi che affliggono un titolo edilizio,
il cui annullamento all’esito dell’impugnazione
giurisdizionale si ripercuote inevitabilmente sul primo, con
effetto caducante, stante la relazione di stretta
consequenzialità (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia –
22/04/2015 n. 188, confermata da Consiglio di Stato, sez. VI
– 09/08/2016 n. 3559).
Pertanto, non ha alcun rilievo l’omessa tempestiva
proposizione di un ricorso avverso il certificato suddetto
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 26.03.2018 n. 341 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non v’è necessaria identità di disciplina tra
titolo abilitativo edilizio e certificato di agibilità: i
detti diversi provvedimenti (…) sono collegati a presupposti
diversi e danno vita a conseguenze disciplinari non
sovrapponibili.
Infatti, il certificato di agibilità ha la funzione di
accertare che l’immobile al quale si riferisce è stato
realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in
materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti (come
espressamente recita l’art. 24 del Testo unico
dell’edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed
urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo
edilizio.
Il che comporta che i diversi piani ben possano convivere
sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio
ad entrambe le tipologie normative, sia in quella patologica
di una loro divergenza (si ricordano episodi
giurisprudenziali in cui si è affermata l’illegittimità del
diniego della agibilità motivato unicamente con la
difformità dell’immobile dal progetto approvato oppure, in
senso opposto, l’irrilevanza del rilascio del certificato di
agibilità come fatto ostativo al potere del sindaco di
reprimere abusi edilizi o alla revoca di un eventuale
precedente ordine di demolizione delle opere).
---------------
Come ha, in più occasioni, ribadito la giurisprudenza, “non
v’è necessaria identità di disciplina tra titolo abilitativo
edilizio e certificato di agibilità: i detti diversi
provvedimenti (…) sono collegati a presupposti diversi e
danno vita a conseguenze disciplinari non sovrapponibili.
Infatti, il certificato di agibilità ha la funzione di
accertare che l’immobile al quale si riferisce è stato
realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in
materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti (come
espressamente recita l’art. 24 del Testo unico
dell’edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed
urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo
edilizio. Il che comporta che i diversi piani ben possano
convivere sia nella forma fisiologica della conformità
dell’edificio ad entrambe le tipologie normative, sia in
quella patologica di una loro divergenza (si ricordano
episodi giurisprudenziali in cui si è affermata
l’illegittimità del diniego della agibilità motivato
unicamente con la difformità dell’immobile dal progetto
approvato –Consiglio di Stato, sez. V, 06.07.1979 n. 479–
oppure, in senso opposto, l’irrilevanza del rilascio del
certificato di agibilità come fatto ostativo al potere del
sindaco di reprimere abusi edilizi –id., 03.02.1992 n. 87– o
alla revoca di un eventuale precedente ordine di demolizione
delle opere – id., 15.04.1977 n. 335)” (cfr. Consiglio
di Stato, sez. IV, 26.08.2014, n. 4309) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.03.2018 n. 611 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Questo Consiglio ha a più riprese chiarito che
nell’ambito del procedimento amministrativo, occorre
distinguere tra invalidità ad effetto caducante e
invalidità ad effetto viziante; per la prima forma di
vizio, di natura più dirompente, occorrono due elementi
precisi:
a) il primo dato dall’appartenenza, sia dell’atto annullato
direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla
medesima serie procedimentale;
b) il secondo individuato nel rapporto di necessaria derivazione
del secondo dal primo, come sua inevitabile ed ineluttabile
conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori
valutazioni di interessi, con particolare riguardo al
coinvolgimento di soggetti terzi.
Pertanto, qualora almeno uno dei due detti presupposti sia
inesistente, è inapplicabile lo schema concettuale della
caducazione e debbono ritenersi utilizzabili unicamente le
usuali impugnative tipiche del diritto amministrativo.
---------------
Nella fattispecie non si rinviene tra il permesso di costruire impugnato
ed i successivi provvedimenti e cioè:
a) in data 26.09.2009 un provvedimento sanzionatorio ex art. 38, d.P.R.
380/2001, in relazione alla porzione abitativa
dell’immobile;
b) in data 17.11.2009 un permesso di costruire avente ad oggetto
l’annesso rustico ed il suo ampliamento con rilascio del
certificato di agibilità del 06.06.2010;
c) in data 26.12.2010 è stato rilasciato permesso di costruire con
il quale è stato autorizzato l’ampliamento della superficie
con destinazione agricolo-produttiva, utilizzando porzioni
in precedenza previste ad uso residenziale, con rilascio del
certificato di agibilità del 07.07.2011;
d) in data 24.05.2012 è stato rilasciato permesso di costruire n.
18/2012, in forza del quale è stato autorizzato
l’ampliamento della casa di abitazione con utilizzo di
porzione rustica del fabbricato in questione,
un rapporto di consequenzialità necessaria, in quanto quest’ultimi
non eseguono il provvedimento oggi impugnato, ma
costituiscono autonomo esercizio del potere discrezionale
dell’amministrazione.
Tali permessi, inoltre, non sono meramente confermativi dei
precedenti e sono stati rilasciati in accoglimento di
altrettanto autonome istanze, ed all’esito di un originale
percorso istruttorio fondato su diverse basi normative.
Da ciò deriva che l’eventuale caducazione del permesso di
costruire non farebbe venire meno i plurimi titoli
autorizzatori sui quali fonda la costruzione avversata
dall’odierno appellante. Conseguentemente, quest’ultimo non
potrebbe ottenere il soddisfacimento del bene della vita
sotteso al suo interesse legittimo e rappresentato dalla
demolizione dell’immobile in questione con conseguente
riduzione in pristino.
---------------
7. L’odierno appello è improcedibile per sopravvenuto
difetto di interesse.
8. Preliminarmente, è necessario chiarire la portata della
sentenza n. 780/2006 di questo Consiglio, che -nel
confermare la sentenza del TAR per il Veneto di annullamento
del permesso di costruire n. 3/2005, rilasciato
dall’amministrazione appellata a favore dell’originario
controinteressato– ha respinto l’appello principale di
quest’ultimo.
8.1. Nella specie il Consiglio:
a) conveniva con le conclusioni raggiunte dal primo giudice in
relazione al fatto che la superficie relativa alla sottozona
E3, ricompresa nel fondo rustico dell’odierno appellato, su
cui insisteva l’intervento, fosse inferiore ai minimi
prescritti dalla disciplina regionale;
b) rilevava come l’annullamento del permesso di costruire n.
3/2005, non potesse non travolgere l’intero provvedimento,
stante la sua inscindibilità formale e la unitarietà
strutturale e funzionale dell’intervento edilizio;
c) aggiungeva, però, che restava: “…salva la potestà del Comune
di valutare, in diverso contesto procedimentale,
l'ammissibilità di interventi edificatori concernenti
esclusivamente annessi rustici per attività aziendale”.
8.2. Tanto evidenziato, ritiene il Collegio che la pronuncia
in questione non abbia concluso per la obbligatorietà della
demolizione di tutto quanto edificato dall’odierno
appellato.
La sopra riportata precisazione contenuta nel giudicato,
infatti, ha legittimato l’amministrazione comunale ad
adottare ulteriori provvedimenti salvaguardando gli annessi
rustici.
Dall’esame degli eventi e delle iniziative procedimentali
successivi al giudicato, risulta che all’indomani
dell’adozione del permesso di costruire n. 39/2006, avente
ad oggetto “la costruzione di un fabbricato ad uso
annessi rustici in Z.T.O. E3, ai sensi dell’art. 6 della
L.R. 24/1985”, quivi impugnato, l’amministrazione
comunale ha emanato:
a) in data 26.09.2009 un provvedimento sanzionatorio ex art. 38,
d.P.R. 380/2001, in relazione alla porzione abitativa
dell’immobile;
b) in data 17.11.2009 un permesso di costruire avente ad oggetto
l’annesso rustico ed il suo ampliamento con rilascio del
certificato di agibilità del 06.06.2010;
c) in data 26.12.2010 è stato rilasciato permesso di costruire con
il quale è stato autorizzato l’ampliamento della superficie
con destinazione agricolo-produttiva, utilizzando porzioni
in precedenza previste ad uso residenziale, con rilascio del
certificato di agibilità del 07.07.2011;
d) in data 24.05.2012 è stato rilasciato permesso di costruire n.
18/2012, in forza del quale è stato autorizzato
l’ampliamento della casa di abitazione con utilizzo di
porzione rustica del fabbricato in questione.
In particolare, dall’esame di quest’ultimo titolo edilizio
-che ha ad oggetto “ampliamento di casa di abitazione in
zona agricola mediante utilizzo di porzione rustica di
fabbricato esistente”- emerge che lo stesso è stato
adottato anche in forza delle ll.rr. Veneto n. 14/2009 e
13/2011, ossia in forza di una disciplina che modifica
sensibilmente la materia de qua e che spezza del
tutto ogni possibile collegamento tra l’esercizio del potere
edilizio cristallizzatosi con il provvedimento impugnato in
prime cure con quello esercitato successivamente
dall’amministrazione e culminato con il citato permesso n.
18/2012.
8.3. A questo punto occorre chiarire che l’eventuale
annullamento del permesso di costruire n. 39/2006, non
avrebbe portata caducante rispetto ai successivi
provvedimenti autorizzatori rilasciati dall’amministrazione
comunale.
Questo Consiglio (cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez.
IV, 21.09.2015, n. 4404) ha a più riprese chiarito che
nell’ambito del procedimento amministrativo, occorre
distinguere tra invalidità ad effetto caducante e
invalidità ad effetto viziante; per la prima forma di
vizio, di natura più dirompente, occorrono due elementi
precisi:
a) il primo dato dall’appartenenza, sia dell’atto annullato
direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla
medesima serie procedimentale;
b) il secondo individuato nel rapporto di necessaria derivazione
del secondo dal primo, come sua inevitabile ed ineluttabile
conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori
valutazioni di interessi, con particolare riguardo al
coinvolgimento di soggetti terzi.
Pertanto, qualora almeno uno dei due detti presupposti sia
inesistente, è inapplicabile lo schema concettuale della
caducazione e debbono ritenersi utilizzabili unicamente le
usuali impugnative tipiche del diritto amministrativo.
8.4. Nella fattispecie non si rinviene tra il permesso di
costruire impugnato ed i successivi provvedimenti sopra
elencati un rapporto di consequenzialità necessaria, in
quanto quest’ultimi non eseguono il provvedimento oggi
impugnato, ma costituiscono autonomo esercizio del potere
discrezionale dell’amministrazione.
Tali permessi, inoltre, non sono meramente confermativi dei
precedenti e sono stati rilasciati in accoglimento di
altrettanto autonome istanze, ed all’esito di un originale
percorso istruttorio fondato su diverse basi normative.
Da ciò deriva che l’eventuale caducazione del permesso di
costruire n. 39/2006, non farebbe venire meno i plurimi
titoli autorizzatori sui quali fonda la costruzione
avversata dall’odierno appellante. Conseguentemente, quest’ultimo
non potrebbe ottenere il soddisfacimento del bene della vita
sotteso al suo interesse legittimo e rappresentato dalla
demolizione dell’immobile in questione con conseguente
riduzione in pristino (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV,
n. 2637 del 2016).
8.5. La statuizione di improcedibilità non trova ostacoli
neppure nella norma sancita dall’art. 34, comma 3, cod. proc.
amm., non essendo stata proposta la relativa domanda di
accertamento o comunque una pertinente istanza che manifesti
l’interesse della parte per un tale tipo di pronuncia (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 15.06.2016, n. 2637; Ad. plen., n. 4
del 2015; Sez. IV, 28.12.2012, n. 6703, 07.11.2012, n. 5674
cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), cod.
proc. amm.).
9. L’odierno appello deve, quindi, essere dichiarato
improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.02.2018 n. 1247 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Spettacolo,
ristretto l'obbligo di richiesta del certificato di
agibilità.
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 289 del
12/12/2017, la legge sulle disposizioni di spettacolo e
deleghe al governo per il riordino della materia, legge 175
del 22.11.2017, fa un notevole passo in avanti per il
riordino di tutto il settore dello spettacolo.
La legge è ancora una scatola vuota, ma le deleghe per cui
il governo è chiamato a legiferare attraverso più decreti
legislativi, entro dodici mesi dalla data di entrata in
vigore della stessa, riguarderanno l'attività,
organizzazione e gestione delle fondazioni lirico-sinfoniche
e degli enti di cui al decreto legislativo n. 367/1996.
Inoltre il governo dovrà occuparsi della riforma, della
revisione e del riassetto della vigente disciplina nei
settori del teatro, della musica, della danza, degli
spettacoli viaggianti, delle attività circensi, dei
carnevali storici e delle rievocazioni storiche, con la
redazione di un unico testo denominato «codice dello
spettacolo», al fine di conferire al settore un assetto
più efficace, organico e conforme ai principi di
semplificazione delle procedure amministrative e
ottimizzazione della spesa e volto a migliorare la qualità
artistico culturale delle attività.
Tra le varie aspettative, il governo dovrà occuparsi anche
di una revisione delle forme contrattuali nel settore dello
spettacolo, tenuto conto del carattere saltuario con cui le
prestazioni vengono svolte e della peculiarità del settore a
cui le attuali norme di diritto del lavoro non sempre si
adattano alle esigenze del settore. Attualmente il settore
dello spettacolo è disciplinato da norme vetuste che
risalgono al 1947 (dlgs Capo provvisorio dello Stato n. 708)
In attesa quindi dei decreti legislativi, altre norme di
legge sono intervenute nell'ultimo periodo, apportando
novità interessanti e di rilievo.
Con il decreto legislativo n. 202 del 07.12.2017 sono state
introdotte importanti novità nel settore cinematografico e
audiovisivo. L'articolo 1 del dlgs 202/2017 interviene
sull'ampliamento dell'art. 23, comma 2, lettera d), del dlgs
81/2015, che individua le attività esenti dai limiti
quantitativi per la stipula dei contratti a tempo
determinato. Il nuovo comma 2, lettera d), del dlgs 81/2015
è ora il seguente: «per specifici spettacoli ovvero
specifici programmi radiofonici o televisivi, o per la
produzione di specifiche opere audiovisive».
Trattasi di una specifica importante e necessaria a
sgombrare ogni dubbio sulla possibilità di assumere per
esempio per una produzione cinematografica personale a tempo
determinato senza limiti quantitativi da rispettare. In
realtà, che le produzioni cinematografiche o audiovisive
fossero già esenti da limiti quantitativi, lo si poteva
evincere dal dlgs 28 del 22.01.2004 (riforma della
disciplina in materia di attività cinematografiche), dove
all'art. 2, comma 1, si legge «Ai fini del presente
decreto per film si intende lo spettacolo realizzato su
supporti di qualsiasi natura, anche digitali».
Ergo, un film è uno spettacolo e il comma 2, lettera d), del
dlgs 81/2015 già si riferiva a specifici spettacoli. Altra
novità importantissima è stata varata nella legge 205/2017
(legge di Bilancio 2018) al comma 1097, con cui viene
ristretto l'obbligo di richiesta del certificato di
agibilità di cui all'art. 10 dlgs 708/1947.
Per le imprese dell'esercizio teatrale, cinematografico e
circense, i teatri tenda, gli enti, le associazioni, le
imprese del pubblico esercizio, gli alberghi, le emittenti
radiotelevisive e gli impianti sportivi, l'obbligo della
richiesta del certificato di agibilità (art. 10 dlgs
708/1947) non sussiste nei confronti dei lavoratori dello
spettacolo appartenenti alle categorie indicate dall'art. 3,
c. 1, nn. dall'1 a 14, del dlgs 708/1947 con contratto di
lavoro subordinato, qualora utilizzati nei locali di
proprietà o di cui abbiano un diritto personale di godimento
per i quali le medesime imprese effettuano regolari
versamenti contributivi presso l'Inps.
Diversamente le stesse imprese sono obbligate a richiedere
il rilascio del certificato di agibilità per i lavoratori
autonomi dello spettacolo di cui all'art. 3, comma 1, nn.
dall'1 al 14, dlgs 708/1947 con contratto d'opera per
prestazioni superiori a 30 giorni e per specifici eventi, di
durata limitata nell'arco di tempo della complessiva
programmazione dell'impresa, spettacoli singolari e non
ripetuti rispetto alle stagioni o cicli produttivi.
L'obbligo della richiesta del certificato di agibilità
ricorre per le suddette imprese, ogni qualvolta sia resa una
prestazione da parte dei lavoratori autonomi dello
spettacolo appartenenti alle citate categorie di cui sopra,
nei locali di proprietà o di cui abbiano un diritto
personale di godimento le imprese committenti.
In caso di inosservanza delle disposizioni le imprese sono
soggette alla sanzione amministrativa di euro 129,00 per
ogni lavoratore e per ogni giornata di lavoro. In realtà
trattasi di una semplificazione che riguarderà
principalmente le organizzazioni stabili, mentre per le
compagnie di giro che si esibiscono in teatri, locali sempre
diversi e di cui non hanno un diritto personale di godimento
non dovrebbe cambiare nulla. Inoltre non si riesce a
comprendere, quando si parla di lavoratori autonomi dello
spettacolo con contratto d'opera per prestazioni superiori a
30 giorni, e per cui sussiste l'obbligo di richiesta del
certificato di agibilità, cosa effettivamente voglia dirsi.
Una prima interpretazione in attesa di chiarimenti
ministeriali è che si voglia intendere quelle prestazioni
d'opera di natura prettamente occasionali e pertanto fino a
30 giorni e che sarebbero esenti dal certificato di
agibilità, distinguendoli dai contratti artistici
professionali che invece sarebbero sempre soggetti alla
richiesta del certificato di agibilità. Inoltre l'obbligo
continua a sussistere per gli esercenti attività musicali di
cui al n. 23-bis del primo comma dell'art. del dlgs 708/1947
(articolo ItaliaOggi del 09.02.2018). |
EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO:
Parere in merito all’opportunità di eliminare gli estremi
del certificato di agibilità dei locali dal procedimento per
l’avvio di un’attività commerciale o produttiva (Legali
Associati per Celva,
nota 07.02.2018 - tratto da www.celva.it).
---------------
Problema riscontrato: Lo Sportello unico degli
enti locali ha messo in atto un processo di revisione dei
procedimenti di propria competenza nell’ottica della
semplificazione per il richiedente.
Il processo, inoltre, persegue l’obiettivo di adeguare i
procedimenti telematici del SUEL alla modulistica approvata
in sede di Conferenza Unificata, in accordo tra Governo,
Regioni ed enti locali.
Tra le diverse novità introdotte dalla modulisitica
unificata, vi è l’eliminazione di alcuni dati e adempimenti,
tra i quali l’indicazione degli estremi relativi
all’agibilità dei locali, per l’avvio di un’attività
commerciale o produttiva.
Il sito www.italiasemplice.gov.it, curato dal Dipartimento
della Funzione pubblica, illustra tali premesse: "(…) Con
l'accordo tra Governo, Regioni ed enti locali siglato in
Conferenza Unificata il 04.05.2017, è stata raggiunta
l’intesa su moduli unificati e standardizzati per
comunicazioni e istanze nei settori dell'edilizia e delle
attività commerciali e assimilate.
L’accordo è stato pubblicato sul Supplemento ordinario n. 26
della Gazzetta Ufficiale n. 128 del 05.06.2017.
Con l’arrivo dei moduli unici nazionali i cittadini e le
imprese che vogliono aprire, ad esempio, un negozio, un bar,
o un esercizio commerciale (comprese le attività di
e-commerce e di vendita a domicilio) o avviare interventi
edilizi, come i lavori di ristrutturazione della propria
casa, avranno tempi e regole certi e una riduzione dei costi
e degli adempimenti, con una modulistica più semplice e
valida su tutto il territorio nazionale.
Tra le novità più importanti:
Non possono più essere richiesti dati e adempimenti che
derivano da prassi amministrative, ma non sono espressamente
previsti dalla legge. Ad esempio, non è più richiesto il
certificato di agibilità dei locali per l’avvio di
un’attività commerciale o produttiva. (…)”.
Riferimenti normativi: legge regionale 06.041998, n.
11
Ipotesi di risoluzione da parte dell'ente: -
Quesiti: Si richiede pertanto un parere con
riferimento all’opportunità di eliminare gli estremi del
certificato di agibilità dei locali per l’avvio di
un’attività commerciale o produttiva, considerando anche
quanto previsto dalla legge regionale 06.04.1998, n. 11
“Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale
della Valle d'Aosta”. |
EDILIZIA
PRIVATA: Agibilità
light nello spettacolo. No al certificato per artisti
impiegati in locali del datore. La semplificazione prevista
dalla legge di Bilancio per teatri, cinema, emittenti.
Semplificato il certificato di agibilità per i lavoratori
dello spettacolo. Dal 1° gennaio non serve richiederlo in
caso di assunzione di artisti, attori, concertisti,
direttori (e altre categorie) che siano impiegati in locali
di proprietà del datore di lavoro.
A stabilirlo è la legge Bilancio 2018 a favore di imprese
teatrali, cinematografici e circense; teatri tenda; enti;
associazioni; imprese del pubblico esercizio; alberghi;
emittenti radiotelevisive e impianti sportivi. L'obbligo
resta, invece, con riferimento a ingaggi con contratti di
prestazione d'opera di durata superiore a 30 giorni per
specifici eventi di durata limitata e per i lavoratori
autonomi.
Sanzione più pesante per l'inosservanza degli obblighi: 129
euro per ogni lavoratore e per giornata di lavoro prestata
(al posto di 25,82 euro, cioè delle vecchie 50 mila lire).
Il certificato di agibilità.
Il certificato di agibilità (una sorta di «Durc» del settore
spettacolo) ha la finalità di rafforzare la tutela dei
lavoratori appartenenti a determinate categorie artistiche e
tecniche. Considerate le peculiarità delle prestazioni
lavorative in questo settore, attraverso il documento (di
cui devono essere munite le imprese che intendano avvalersi
delle prestazioni), viene operato un preventivo controllo di
regolarità contributiva dell'impresa richiedente. Se
l'impresa non è in regola non è possibile il rilascio del
certificato e, dunque, l'impresa non può avvalersi delle
prestazioni lavorative.
La richiesta del certificato di agibilità va fatta entro
cinque giorni dalla stipula dei contratti di lavoro e,
comunque, prima dello svolgimento delle prestazioni
lavorative. Il datore di lavoro interessato, in particolare,
deve richiederlo all'Inps esclusivamente in via telematica,
online, accedendo al portale www.inps.it, alla voce Servizi
per aziende e consulenti>Servizi Sport e
spettacolo>Richiesta agibilità. Lo stesso vale per le
comunicazioni delle variazioni dei dati contenuti nel
certificato di agibilità già ottenuto: vanno fatte entro
cinque giorni dal verificarsi dell'evento che ha determinato
la variazione.
L'obbligo di custodia di una copia del certificato è a
carico del committente che deve esibirlo a richiesta degli
ispettori in caso di accertamento. Alle imprese di nuova
costituzione/operatività, all'atto del rilascio della prima
agibilità, viene richiesto il versamento di una somma a
titolo di deposito cauzionale pari al 10% del carico
contributivo stimato per un periodo di tre mesi. In
alternativa, l'impresa può produrre una fideiussione
bancaria o assicurativa per lo stesso importo.
La semplificazione.
La legge di Bilancio 2018
(art. 1, comma 1097, legge n. 2015/2017) ha sostituito
l'art. 6 del dlgs cps n. 708/1947, che disciplina il
certificato di agibilità per i lavoratori dello spettacolo.
Il nuovo art. 6 esclude l'obbligo di richiesta del
certificato di agibilità da parte delle imprese
dell'esercizio teatrale, cinematografico e circense, i
teatri tenda, gli enti, le associazioni, le imprese del
pubblico esercizio, gli alberghi, le emittenti
radiotelevisive e gli impianti sportivi in relazione ai
lavoratori delle categorie dalla n. 1 alla n. 14 dell'art.
3, comma 1, del dlgs cps n. 708/1947 (si veda tabella),
assunti con contratto di lavoro subordinato e operanti nei
locali di proprietà o di cui abbiano un diritto personale di
godimento.
Diversamente, la nuova norma ne statuisce l'obbligo in
relazione ai lavoratori autonomi appartenenti alle stesse
categorie, legati da «contratto di prestazione d'opera di
durata superiore a 30 giorni e contrattualizzati per
specifici eventi, di durata limitata nell'arco di tempo
della complessiva programmazione dell'impresa, singolari e
non ripetuti rispetto alle stagioni o cicli produttivi».
La norma, infine, specifica pure che le stesse imprese
devono richiedere il certificato di agibilità ogni qualvolta
la prestazione sia resa da parte dei lavoratori autonomi
dello spettacolo appartenenti sempre a quelle categorie (si
veda tabella) in «locali di proprietà o di cui abbiano un
diritto personale di godimento le imprese committenti».
Sanzione più salata.
Per i casi d'inosservanza degli obblighi sul certificato di
agibilità, la legge di Bilancio 2018 ha confermato, come
nella precedente formulazione, la previsione di una sanzione
a carico delle imprese modificandone tuttavia l'importo. La
sanzione amministrativa, infatti, è passata a 129 euro per
ogni lavoratore e per ogni giornata di lavoro da ciascuno
prestata, in luogo dei 25,82 euro (vecchie 50 mila lire).
---------------
Tre tipologie di documenti.
Ci sono tre tipi di certificato di agibilità: certificato di
agibilità a titolo oneroso; certificato di agibilità a
titolo gratuito; certificato di agibilità in «esenzione
contributiva».
Il certificato di agibilità a titolo oneroso è il documento
che autorizza alcune tipologie di imprese (imprese
dell'esercizio teatrale cinematografico e circense, i teatri
tenda, gli enti, le associazioni, le imprese del pubblico
esercizio, gli alberghi, le emittenti radiotelevisive e gli
impianti sportivi) a far agire nei locali di proprietà (o
sui quali abbiano un diritto personale di godimento) i
lavoratori dello spettacolo, occupati nelle categorie da 1 a
14 dell'art. 3 del dlgs cps n. 708/1947 (si veda tabella) in
relazione a uno specifico evento (o a una serie di eventi)
riferito a un periodo limitato nel tempo.
L'agibilità è rilasciata previo accertamento della
regolarità contributiva complessiva dell'impresa (nella
totalità delle attività svolte) nei confronti della gestione
lavoratori dello spettacolo (ex Enpals) ovvero, in caso di
pendenze contributive, a seguito di presentazione di idonea
garanzia, quale può essere la produzione di valida
fideiussione bancaria o assicurativa di importo
corrispondente alla misura dei debiti contributivi.
Il certificato di agibilità a titolo gratuito è il documento
che autorizza talune tipologie di imprese (imprese
dell'esercizio teatrale cinematografico e circense, i teatri
tenda, gli enti, le associazioni, le imprese del pubblico
esercizio, gli alberghi, le emittenti radiotelevisive e gli
impianti sportivi) a far operare nei locali di proprietà (o
sui quali abbiano diritto personale di godimento) i
lavoratori dello spettacolo, occupati nelle categorie da 1 a
14 dell'art. 3 del dlgs cps n. 708/1947 (artisti e tecnici)
in relazione a uno specifico evento che si svolga a scopo
benefico, sociale o solidaristico.
Il certificato è rilasciato a condizione che gli eventuali
ricavi derivanti dallo svolgimento della manifestazione,
dedotte le spese di allestimento e di organizzazione,
vengano interamente destinati alle citate finalità e che ai
lavoratori dello spettacolo coinvolti non venga corrisposto
alcun compenso. Ai fini del rilascio del predetto
certificato, la sussistenza dei presupposti della gratuità
deve essere opportunamente documentata.
Infine, il certificato di agibilità in «esenzione
contributiva» è il documento che attesta lo svolgimento
di attività lavorativa nel territorio nazionale da parte di
lavoratori dello spettacolo (sempre occupati nelle categorie
da 1 a 14 dell'art. 3 del dlgs cps n. 708/1947) stranieri
(provenienti da Paesi comunitari o con i quali vigono
convenzioni sulla sicurezza sociale) muniti dei documenti
esonerativi. Il possesso del certificato di agibilità è,
pertanto, necessario anche per quelle imprese (straniere o
italiane) che impiegano lavoratori operanti in Italia senza
obblighi contributivi.
Per tutte e tre le tipologie anzidette, dal 01.01.2018 il
certificato non occorre più per gli assunti di quelle
categorie di lavoratori con contratto di lavoro subordinato
e operanti in locali di proprietà dell'impresa che assume o
di cui l'impresa abbia un diritto personale di godimento;
mentre permane per gli ingaggi con contratto di prestazione
d'opera di durata superiore a 30 giorni e per i lavoratori
autonomi delle stesse categorie (articolo
ItaliaOggi Sette del 05.02.2018). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo il consolidato insegnamento
della giurisprudenza, il rilascio del certificato di
agibilità, ai sensi dell’art. 24 del d.P.R. n. 380 del 2001,
presuppone non soltanto la regolarità igienico-sanitaria
dell’immobile, ma anche la sua conformità al titolo edilizio
che ne ha consentito la costruzione o la trasformazione.
Siffatto accertamento può e deve essere eseguito
dall’Amministrazione in ogni tempo, quando sia richiesto il
rilascio dell’attestazione di agibilità, senza limitazioni
correlate alla risalenza dell’ultimazione dei lavori,
restando a carico del proprietario dell’immobile le
conseguenze pregiudizievoli dell’omessa esecuzione delle
opere di urbanizzazione alle quali si era obbligato il
titolare del permesso di costruire.
---------------
Nella specie, nessun affidamento meritevole di tutela può
ravvisarsi in favore della società ricorrente, la quale ha
ultimato ed utilizzato il capannone artigianale senza aver
adempiuto all’obbligo accessorio di cessione delle aree a
standards e servizi.
Invero, con
atto unilaterale d’obbligo dell'01.07.1992, il legale
rappresentante della società ricorrente aveva assunto
l’impegno alla realizzazione delle aree a servizi,
parcheggio, verde, centri e servizi socialib contestualmente
alla realizzazione dell’ampliamento del capannone e prima
della richiesta dell’agibilità.
Ciò non si è verificato e legittima l'amministrazione
comunale a diniegare il rilascio del richiesto certificato
di agibilità.
---------------
Premesso, in fatto:
- che la società ricorrente impugna il provvedimento in
epigrafe, con il quale il Comune di Cumiana ha negato il
rilascio del certificato di agibilità, in relazione alla
pratica edilizia n. 87/92 i cui lavori si erano conclusi nel
1994 (ampliamento di un capannone artigianale in via
Provinciale n. 166);
- che il diniego è scaturito, in esito ad una lunga
corrispondenza tra il Comune la ricorrente To. s.r.l., dal
rilievo che “ad oggi non risulta definita la questione
della messa a disposizione o monetizzazione dell’area a
servizi, come da atto di impegno sottoscritto dalla società”
ai sensi dell’art. 21 della legge regionale n. 56 del 1977;
- che, in effetti, con atto unilaterale d’obbligo del
01.07.1992, il legale rappresentante della To. s.n.c. aveva
assunto l’impegno alla realizzazione delle aree a servizi,
parcheggio, verde, centri e servizi sociali, come da
planimetria allegata (doc. 2), contestualmente alla
realizzazione dell’ampliamento del capannone e prima della
richiesta dell’agibilità;
- che la ricorrente deduce la violazione dell’art.
21-septies della legge n. 241 del 1990, la violazione del
legittimo affidamento e l’eccesso di potere sotto molteplici
profili: a suo dire, sarebbe prescritto per decorso del
termine decennale il diritto del Comune di esigere la
realizzazione delle opere di urbanizzazione o, in
alternativa, la loro monetizzazione;
- che il Comune di Cumiana si è costituito, chiedendo il
rigetto del ricorso;
Ritenuto, in diritto:
- che le censure dedotte dalla ricorrente possono essere
esaminate unitariamente e sono del tutto infondate;
- che è pacifico l’inadempimento all’atto d’obbligo
sottoscritto nel 1992 dal titolare della concessione
edilizia;
- che non può fondatamente farsi questione della
prescrizione del diritto dell’Amministrazione a richiedere
l’adempimento alle obbligazioni discendenti dall’atto di
impegno accessorio alla concessione edilizia, poiché la
società ricorrente ha richiesto il rilascio della
certificazione di agibilità, con istanza in data 22.07.2011
(in occasione della presentazione di un nuovo progetto per
il cambio di destinazione d’uso di una porzione del
capannone esistente) e l’Amministrazione l’ha correttamente
negato, dopo il sopralluogo che ha rivelato la mancata
esecuzione delle opere di urbanizzazione;
- che, secondo il consolidato insegnamento della
giurisprudenza, il rilascio del certificato di agibilità, ai
sensi dell’art. 24 del d.P.R. n. 380 del 2001, presuppone
non soltanto la regolarità igienico-sanitaria dell’immobile,
ma anche la sua conformità al titolo edilizio che ne ha
consentito la costruzione o la trasformazione (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 16.05.2013 n. 2665; Tar Sicilia, Palermo,
sez. III, 20.12.2013 n. 2534; TAR Campania, Napoli, sez. IV,
02.04.2015 n. 1917);
- che siffatto accertamento può e deve essere eseguito
dall’Amministrazione in ogni tempo, quando sia richiesto il
rilascio dell’attestazione di agibilità, senza limitazioni
correlate alla risalenza dell’ultimazione dei lavori,
restando a carico del proprietario dell’immobile le
conseguenze pregiudizievoli dell’omessa esecuzione delle
opere di urbanizzazione alle quali si era obbligato il
titolare del permesso di costruire;
- che, nella specie, nessun affidamento meritevole di
tutela può ravvisarsi in favore della società ricorrente, la
quale ha ultimato ed utilizzato il capannone artigianale
senza aver adempiuto all’obbligo accessorio di cessione
delle aree a standards e servizi;
Ritenuto, in conclusione, di dover respingere il ricorso,
con condanna della ricorrente alla refusione delle spese
processuali (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 17.01.2018 n. 93 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio del certificato di abitabilità, già nel regime
dell'art. 221 del Testo unico delle leggi sanitarie e
dell'art. 4 del d.P.R. n. 425 del 1994, ed ora nel regime
degli artt. 24 e 25 del d.P.R. n. 380 del 2001, è
condizionato non soltanto alla salubrità degli ambienti, ma
anche alla conformità edilizia dell'opera, sicché, attesa la
presunzione iuris tantum di legittimità degli atti
amministrativi, col rilascio del permesso di abitabilità
devono intendersi verificate, salvo prova contraria,
entrambe le suddette condizioni, senza necessità -per il
contraente obbligato a far constare la loro esistenza- di
produrre un certificato ulteriore.
Pertanto, essendosi al cospetto di una presunzione relativa
di legittimità, è possibile in sede civile offrire la prova
contraria.
Il rilascio del certificato di abitabilità, infatti,
costituisce una circostanza che, essendo sintomatica
dell'insussistenza di un impedimento assoluto al suo
rilascio e documentando la conformità dell'immobile alle
norme igienico-sanitarie ed urbanistiche e alle prescrizioni
della concessione, deve essere esaminata dal giudice,
unitamente alle altre prospettate dalle parti, nella
valutazione della gravità, sotto il profilo qualitativo e
quantitativo, dell'inadempimento costituito dalla mancata
consegna del detto certificato al compratore.
In sostanza, il successivo rilascio del certificato di
abitabilità esclude che la vendita dell'immobile che al
momento del contratto ne sia privo possa essere configurata
come una ipotesi di vendita di aliud pro alio (i.e,
"qualcosa per qualcos'altro").
---------------
Essendo il
certificato di abitabilità un requisito giuridico essenziale
ai fini non solo del legittimo godimento (in relazione al
cui profilo rileva l'utilizzo effettivo del bene), ma anche
della normale commerciabilità del bene (con riferimento al
quale è irrilevante la concreta utilizzazione fattane), è
evidente che, pur in sua presenza, ma in difetto dei
requisiti minimi di altezza, va esclusa in modo
significativo la oggettiva attitudine del bene a soddisfare
le aspettative dell'acquirente, essendo il cespite
oggettivamente inidoneo ad assolvere alla sua funzione
economico-sociale.
---------------
1) come nel caso in cui ricorrano le condizioni per
l'ottenimento del certificato di abitabilità, il suo
(attuale) mancato rilascio non determina di per sé un
inadempimento e non giustifica, per l'effetto, la
risoluzione del contratto e/o il risarcimento dei danni,
alla stessa stregua, e in senso opposto, la presenza formale
del documento, ma, al contempo, di insanabili violazioni di
disposizioni urbanistiche, integra gli estremi di un
inadempimento ex se idoneo alla risoluzione della
compravendita, da qualificarsi grave in relazione alle
concrete esigenze del compratore di utilizzazione diretta od
indiretta dell'immobile;
2) la mancata consegna del certificato di abitabilità
implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare
necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può
comunque essere fonte di un danno risarcibile, configurabile
anche nel solo fatto di aver ricevuto un bene che presenta
problemi di commerciabilità, essendo al riguardo irrilevante
la concreta utilizzazione ad uso abitativo da parte dei
precedenti proprietari.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il rilascio
di una licenza di abitabilità illegittima andrebbe
equiparato al mancato rilascio della stessa ed integra
inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio,
come tale non soggetto ai termini di decadenza e di
prescrizione di cui all'art. 1495 c.c., adducibile da parte
del compratore anche come fonte di pretesa risarcitoria per
la ridotta commerciabilità del bene.
Integra, infatti, l'ipotesi di consegna di aliud pro alio
l'insussistenza delle condizioni necessarie per ottenere il
certificato a causa della presenza di insanabili violazioni
della legge urbanistica.
---------------
1. Con l'unico motivo i ricorrenti deducono la
violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 1453,
1477, co. 3 (anche in relazione al d.m. 05.07.1975,
attuativo del r.d. n. 1265/1934, ed alle disposizioni in
materia di conformità edilizia di cui alle leggi nn. 47/1985
e 380/2001), e 1495 c.c., nonché l'omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio (in relazione all'art. 360,
co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c.), per non aver la corte
territoriale considerato che la difformità concernente
l'altezza minima per locali abitabili, esistente al momento
della compravendita, non era mai stata sanata, che il
certificato di abitabilità era stato conseguito dai
venditori rappresentando al Comune uno stato di fatto
diverso da quello effettivo (altezza dei vani di cm. 270,
anziché di cm. 268; cfr. la variante in corso d'opera a
firma di Ci.Fr. e la planimetria in sezione allegata alla
c.t.u.), che, in ogni caso, l'avvenuto rilascio del detto
documento non poteva di per sé far ritenere legittimo
l'immobile alienato e che, pertanto, si era in presenza di
una vendita di aliud pro alio, come tale svincolata
dai termini di decadenza e di prescrizione di cui all'art.
1495 c.c..
1.1. Il motivo è, per quanto di ragione, fondato.
Il rilascio del certificato di abitabilità, già nel regime
dell'art. 221 del Testo unico delle leggi sanitarie e
dell'art. 4 del d.P.R. n. 425 del 1994, ed ora nel regime
degli artt. 24 e 25 del d.P.R. n. 380 del 2001, è
condizionato non soltanto alla salubrità degli ambienti, ma
anche alla conformità edilizia dell'opera, sicché, attesa la
presunzione iuris tantum di legittimità degli atti
amministrativi, col rilascio del permesso di abitabilità
devono intendersi verificate, salvo prova contraria,
entrambe le suddette condizioni, senza necessità -per il
contraente obbligato a far constare la loro esistenza- di
produrre un certificato ulteriore (Sez. 2, Sentenza n. 17498
del 12/10/2012).
Pertanto, essendosi al cospetto di una presunzione relativa
di legittimità, è possibile in sede civile offrire la prova
contraria.
Il rilascio del certificato di abitabilità, infatti,
costituisce una circostanza che, essendo sintomatica
dell'insussistenza di un impedimento assoluto al suo
rilascio e documentando la conformità dell'immobile alle
norme igienico-sanitarie ed urbanistiche e alle prescrizioni
della concessione, deve essere esaminata dal giudice,
unitamente alle altre prospettate dalle parti, nella
valutazione della gravità, sotto il profilo qualitativo e
quantitativo, dell'inadempimento costituito dalla mancata
consegna del detto certificato al compratore.
In sostanza, il successivo rilascio del certificato di
abitabilità esclude che la vendita dell'immobile che al
momento del contratto ne sia privo possa essere configurata
come una ipotesi di vendita di aliud pro alio.
Nel caso di specie, la corte territoriale ha omesso di
valutare la variante in corso d'opera a firma di Ci.Fr. e
del suo tecnico geom. Va.Vi. e la planimetria in sezione
allegata alla c.t.u., dalle quali si evince che i vani
interni erano stati indicati, all'atto di chiedere il
rilascio del certificato di agibilità, dell'altezza di cm.
270, in luogo di quella reale di cm. 268, e, dunque,
rappresentando di fatto all'ente pubblico una situazione dei
luoghi difforme rispetto a quella reale.
Costituisce una circostanza pacifica quella, riscontrata in
sede di c.t.u., della difformità relativa all'altezza di una
parte (circa 45 mq.) dei locali interni, che è risultata
essere pari a cm. 268, anziché a quella, prescritta ai fini
del rilascio della certificazione di abitabilità, di cm. 270
(cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).
Essendo il certificato di abitabilità un requisito giuridico
essenziale ai fini non solo del legittimo godimento (in
relazione al cui profilo rileva l'utilizzo effettivo del
bene), ma anche della normale commerciabilità del bene (con
riferimento al quale è irrilevante la concreta utilizzazione
fattane), è evidente che, pur in sua presenza, ma in difetto
dei requisiti minimi di altezza, va esclusa in modo
significativo la oggettiva attitudine del bene a soddisfare
le aspettative dell'acquirente, essendo il cespite
oggettivamente inidoneo ad assolvere alla sua funzione
economico-sociale.
Si è, quindi, al cospetto, sia di una violazione dell'art.
1495 c.c., avendo la corte territoriale erroneamente escluso
la configurabilità di una vendita di aliud pro alio
per il solo fatto che fosse stato rilasciato il certificato
di abitabilità e lo stesso non fosse stato medio tempore
revocato, sia dell'omesso esame di un fatto storico decisivo
ai fini della decisione (identificabile nell'aver il tecnico
nominato dal Ci. rappresentato graficamente, in occasione
della richiesta di rilascio del certificato) uno stato dei
luoghi difforme rispetto a quello reale) Non essendovi sulla
questione specifica precedenti editi, è opportuno, ai sensi
dell'art. 384, co. 1, c.p.c., enunciare i seguenti principi
di diritto:
1) come nel caso in cui ricorrano le condizioni per
l'ottenimento del certificato di abitabilità, il suo
(attuale) mancato rilascio non determina di per sé un
inadempimento e non giustifica, per l'effetto, la
risoluzione del contratto e/o il risarcimento dei danni,
alla stessa stregua, e in senso opposto, la presenza formale
del documento, ma, al contempo, di insanabili violazioni di
disposizioni urbanistiche, integra gli estremi di un
inadempimento ex se idoneo alla risoluzione della
compravendita, da qualificarsi grave in relazione alle
concrete esigenze del compratore di utilizzazione diretta od
indiretta dell'immobile;
2) la mancata consegna del certificato di abitabilità
implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare
necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può
comunque essere fonte di un danno risarcibile, configurabile
anche nel solo fatto di aver ricevuto un bene che presenta
problemi di commerciabilità, essendo al riguardo irrilevante
la concreta utilizzazione ad uso abitativo da parte dei
precedenti proprietari.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il rilascio
di una licenza di abitabilità illegittima andrebbe
equiparato al mancato rilascio della stessa ed integra
inadempimento del venditore per consegna di aliud pro
alio, come tale non soggetto ai termini di decadenza e
di prescrizione di cui all'art. 1495 c.c., adducibile da
parte del compratore anche come fonte di pretesa
risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene (Sez.
2, Sentenza n. 1514 del 26/01/2006).
Integra, infatti, l'ipotesi di consegna di aliud pro alio
l'insussistenza delle condizioni necessarie per ottenere il
certificato a causa della presenza di insanabili violazioni
della legge urbanistica (Corte di Cassazione, Sez. II
civile,
ordinanza 27.12.2017 n. 30950). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il venditore di un bene immobile
destinato ad abitazione ha l'obbligo di dotare tale bene
della licenza di abitabilità, senza la quale esso non
acquista la normale attitudine a realizzare la sua funzione
economico-sociale.
La mancata consegna della medesima implica un inadempimento
che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo a
risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un
danno risarcibile configurabile anche nel solo fatto di aver
ricevuto un bene che presenta problemi di commerciabilità.
---------------
1. Con il primo motivo i ricorrenti principali
denunciano la violazione e/o falsa applicazione degli artt.
1453, 1477, 1489 e 1497 c.c. (con riferimento all'art. 360,
co. 1, n. 3, c.p.c.), per aver la corte d'appello escluso la
risoluzione del contratto per inadempimento della
venditrice, nonostante il certificato di agibilità dovesse
sussistere ed essere o consegnato all'acquirente di un
immobile già al momento del perfezionamento della
compravendita ed il suo mancato rilascio, rappresentando un
requisito giuridico essenziale per il legittimo godimento
del bene e per la sua commerciabilità, determinasse una
responsabilità per l'alienazione di un aliud pro alio.
1.1. Il motivo è infondato.
In tema di compravendita immobiliare, la
mancata consegna al compratore del certificato di
abitabilità non determina, in via automatica, la risoluzione
del contratto preliminare per inadempimento del venditore,
dovendo essere verificata in concreto l'importanza e la
gravità dell'omissione in relazione al godimento e alla
commerciabilità del bene; e risoluzione non può essere
pronunciata ove in corso di causa si accerti che l'immobile
promesso in vendita presentava tutte le caratteristiche
necessarie per l'uso suo proprio e che le difformità
edilizie rispetto al progetto originario erano state sanate
a seguito della presentazione della domanda di concessione
in sanatoria, del pagamento di quanto dovuto e del formarsi
del silenzio-assenso sulla relativa domanda
(Sez. 2, Sentenze n. 13231 del 31/05/2010 - e n. 7547/2017).
Non può, pertanto, negarsi rilievo, al
rilascio della certificazione predetta nel corso del
giudizio relativo all'azione di risoluzione del contratto,
promosso dal compratore, nonostante l'irrilevanza
dell'adempimento successivo alla domanda di risoluzione
stabilita dall'art. 1453 terzo comma cod. civ., perché sì
tratta di circostanza che evidenzia l'inesistenza originaria
di impedimenti assoluti al rilascio della certificazione e
l'effettiva conformità dell'immobile alle norme urbanistiche
(Sez. 2, Sentenza n. 3851 del 15/02/2008).
In quest'ottica, nel caso di compravendita
di una unità immobiliare per la quale, al momento della
conclusione del contratto, non sia stato ancora rilasciato
il certificato di abitabilità, il successivo rilascio di
tale certificato esclude la possibilità stessa di
configurare l'ipotesi di vendita di alicid pro alio e
di ritenere l'originaria mancanza di per sé sola fonte di
danni risarcibili
(Sez. 2„ Sentenza n. 6548 del 18/03/2010).
Dalle considerazioni che precedono, consegue che
il venditore di un bene immobile destinato ad
abitazione ha l'obbligo di dotare tale bene della licenza di
abitabilità, senza la quale esso non acquista la normale
attitudine a realizzare la sua funzione economico-sociale;
la mancata consegna della medesima implica un inadempimento
che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo a
risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un
danno risarcibile configurabile anche nel solo fatto di aver
ricevuto un bene che presenta problemi di commerciabilità
(Cass. 20/04/2006 n. 9253; 03/07/2000 n. 8880; 19/07/1999 n.
7681).
Nella fattispecie in esame, risulta ex actis e,
comunque, non è contestato che in data 22.12.2010 il Comune
di Cairo Montenotte ha rilasciato il certificato di
agibilità del bene immobile compravenduta, in tal guisa
attestando di fatto che l'alloggio presentava tutte le
caratteristiche necessarie per l'uso che gli era proprio.
Il motivo va, dunque, respinto (Corte di Cassazione, Sez. II
civile,
ordinanza 05.12.2017 n. 29090). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’osservanza della disposizione di cui
all’art. 24, comma 1, del DPR 380/2001 (“la sussistenza
delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, valutate secondo quanto dispone la normativa
vigente, nonché la conformità dell'opera al progetto
presentato e la sua agibilità sono attestati mediante
segnalazione certificata”) non può prescindere da un
accertamento che ha, quale oggetto, “l’integrale conformità
delle opere realizzate al progetto approvato come
presupposto giuridico di ammissibilità dell’istanza stessa
alla successiva istruttoria di merito”.
---------------
Parimenti infondati sono il secondo e terzo motivo,
connotati da interdipendenza tematica e per questo
trattabili congiuntamente, con i quali si è, in sostanza,
censurata la violazione della disciplina sul rilascio del
certificato di agibilità (art. 25 del DPR 380/2001) e, in
ogni caso, l’inappropriatezza delle valutazioni esperite
dall’ufficio tecnico in ordine agli atti della procedura
definita con l’approvazione del piano di lottizzazione che
ha condotto alla realizzazione del complesso immobiliare
controverso.
L’istituto dell’abitabilità per le residenze e
dell’agibilità per gli usi non abitativi, originariamente
introdotto con l’art. 221 del R.D. 1265/1934 (c.d. testo
unico delle leggi sanitarie), ha sempre avuto, quale
peculiare finalità, l’accertamento “che la costruzione
sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che
i muri siano convenientemente prosciugati e che non
sussistano altre cause di insalubrità”.
Tale disposizione è stata confermata dalla norma di
semplificazione procedimentale di cui all’art. 4 del DPR
425/1994 (regolamento recante disciplina dei procedimenti di
autorizzazione all'abitabilità, di collaudo statico e di
iscrizione al catasto), abrogato dall'art. 136, comma 2, del
DPR 380/2001, in cui si era previsto che fosse “il
direttore dei lavori che deve certificare, sotto la propria
responsabilità, la conformità rispetto al progetto
approvato, l'avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità
degli ambienti”.
Il precetto è stato infine riprodotto nell’art. 25, lett.
b), del DPR 380/2001 (abrogato dal D.lgs. 25.11.2016, n.
222: dunque applicabile, ratione temporis, al momento
dell’adozione dell’impugnato provvedimento del 10.3.2016),
in cui si è previsto, tra i presupposti necessari
dell’istanza di agibilità, l’allegazione di una “dichiarazione
sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di
agibilità, di conformità dell'opera rispetto al progetto
approvato”.
Pertanto, l’osservanza della disposizione di cui all’art.
24, comma 1, del DPR 380/2001 (“la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, valutate secondo quanto dispone la normativa
vigente, nonché la conformità dell'opera al progetto
presentato e la sua agibilità sono attestati mediante
segnalazione certificata”) non può prescindere da un
accertamento che ha, quale oggetto, “l’integrale
conformità delle opere realizzate al progetto approvato come
presupposto giuridico di ammissibilità dell’istanza stessa
alla successiva istruttoria di merito” (cfr. Consiglio
di Stato, sez. IV, 24.10.2012, n. 5054)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 29.11.2017 n. 2293 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: D.Lgs. 25.11.2016, n. 222 – Chiarimenti PCM –
Ufficio per la semplificazione e la sburocratizzazione su
SCIA di agibilità (Ministero dello Sviluppo Economico -
Direzione Generale per il Mercato, la Concorrenza, il
Consumatore, la Vigilanza e la Normativa Tecnica - Divisione IV - Promozione della concorrenza e semplificazioni per le
imprese,
risoluzione 14.09.2017 n. 375622).
---------------
Scia di
agibilità. «Le
modifiche recate al Testo unico edilizia dal d.lgs. n. 69
del 2013 hanno esteso la facoltà prevista per l'edilizia
produttiva di presentare la dichiarazione o attestazione di
agibilità da parte del direttore dei lavori o dal
professionista abilitato (articolo 10, dpr n. 160 del 2010)
in alternativa al certificato di agibilità (articolo 25 del
T.u. edilizia), all'edilizia residenziale (articolo 25,
comma 5-bis, dpr n. 380 del 2001).
In attuazione della delega di cui all'articolo 5 del d.lgs.
n. 124/2015, l'articolo del d.lgs. n. 222/2016 e la tabella
allegata hanno individuato un unico regime amministrativo
per l'agibilità.
Infatti, è stato abrogato l'articolo 25 e sostituito
l'articolo 24 del dpr n. 380 del 2001 introducendo la
segnalazione certificata di inizio di attività ai fini
dell'agibilità.
Tale nuovo regime, che supera quello previgente (ivi
compreso quello di cui all'art. 10 del dpr n. 160 del 2010)
si applica, in tutti i casi, sia all'edilizia produttiva che
all'edilizia residenziale».
Questo è quanto si legge nella
risoluzione 14.09.2017 n. 375622 del Ministero
dello Sviluppo economico in merito alle disposizioni in
materia di Scia di agibilità
(articolo ItaliaOggi del
17.02.2018). |
EDILIZIA PRIVATA: I
requisiti della certificazione di agibilità di un edificio
sono, per unanime giurisprudenza, da rinvenire nella
verifica sulla salubrità dell'edificio, posto che il
rilascio o il diniego devono essere basati su ragioni
prevalentemente inerenti il profilo igienico-sanitario ed è
altresì previsto che l'agibilità presupponga che si tratti
di locali dei quali va dichiarata la conformità rispetto al
progetto approvato.
A fronte di un'istanza con la quale il titolare di una
concessione edilizia, ultimati i lavori, chiede rilasciarsi
l'attestazione di abitabilità dei locali, il Comune esercita
un potere vincolato ai presupposti di legge, da accertarsi
con le dovute cautele tecniche, ma che non può essere
ritardato, dilazionato o condizionato a fattori diversi
dalla conformità del manufatto realizzato al progetto
assentito ed alle regole della tecnica edilizia.
Il comune è tenuto, per unanime giurisprudenza, a verificare
l'osservanza non solo delle disposizioni in materia
sanitaria ma anche quelle previste da altre disposizioni di
legge in materia di abitabilità e servizi essenziali e
rispettiva normativa tecnica: se pertanto è legittimo il
diniego di abitabilità opposto dall'amministrazione in
considerazione delle deficienze igienico-sanitarie
riscontrate nei locali altrettanto non può dirsi qualora il
diniego trovi il proprio fondamento nell’inadempimento di
obblighi cui il privato interessato si era convenzionalmente
obbligato al momento di ottenere il titolo edilizio.
---------------
... per l'annullamento nota del comune di bastia umbra p.
12002 del 06.05.2010 con la quale si nega il rilascio
dell'agibilità parziale di un immobile.
...
4. Il ricorso è fondato nei limiti che si darà.
4.1. I requisiti della certificazione di agibilità di un
edificio sono, per unanime giurisprudenza, da rinvenire
nella verifica sulla salubrità dell'edificio, posto che il
rilascio o il diniego devono essere basati su ragioni
prevalentemente inerenti il profilo igienico-sanitario ed è
altresì previsto che l'agibilità presupponga che si tratti
di locali dei quali va dichiarata la conformità rispetto al
progetto approvato (TAR Catania, I, 31/10/2008, n. 1898).
4.2. A fronte di un'istanza con la quale il titolare di una
concessione edilizia, ultimati i lavori, chiede rilasciarsi
l'attestazione di abitabilità dei locali, il Comune esercita
un potere vincolato ai presupposti di legge, da accertarsi
con le dovute cautele tecniche, ma che non può essere
ritardato, dilazionato o condizionato a fattori diversi
dalla conformità del manufatto realizzato al progetto
assentito ed alle regole della tecnica edilizia.
4.3. Secondo l’art. 29, L.R. Umbria n. 1/2004, il
certificato di agibilità attesta che l'opera realizzata
corrisponde al progetto comunque assentito, dal punto di
vista dimensionale, della destinazione d'uso e delle
eventuali prescrizioni contenute nel titolo abilitativo o
negli atti di assenso o autorizzazioni rilasciate, nonché
attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza,
igiene, salubrità degli edifici, di risparmio energetico e
di sicurezza degli impianti negli stessi installati,
valutate secondo quanto dispone la normativa vigente.
5. Nella nota n. 12002 del 06/05/2010, il Comune rilevava
che “la pratica per rilascio del certificato di
agibilità, benché comprendere certificazioni necessarie,
presuppone comunque una verifica generale sulla legittimità
dell’intervento nel suo complesso … a tale proposito
quest’ufficio non potrebbe reputare regolare l’intervento,
mancando l’assolvimento di una condizione prevista dalle
stesse N.T.A. del piano che determina la possibilità di
assorbire anche il carico urbanistico prodotto
dall’intervento stesso”.
5.1. A chiosa della nota, l’Ufficio “rinnova pertanto
l’invito alla cessione onde rendere regolare la pratica e
definirla in ogni aspetto, tenuto conto che, nel medesimo
contesto, lo stesso Ufficio rilevava la piena legittimità ed
opportunità delle richiesta formulata alla proprietà di
cedere le aree destinate ad urbanizzazione così come
previsto dal P.P.E. vigente e come ben noto ai proprietari
stessi”.
5.2. Il comune è tenuto, per unanime giurisprudenza, a
verificare l'osservanza non solo delle disposizioni in
materia sanitaria ma anche quelle previste da altre
disposizioni di legge in materia di abitabilità e servizi
essenziali e rispettiva normativa tecnica: se pertanto è
legittimo il diniego di abitabilità opposto
dall'amministrazione in considerazione delle deficienze
igienico-sanitarie riscontrate nei locali (Cons. St., sez.
V, 15/04/2004, n. 2140) altrettanto non può dirsi qualora il
diniego trovi il proprio fondamento nell’inadempimento di
obblighi cui il privato interessato si era convenzionalmente
obbligato al momento di ottenere il titolo edilizio.
6. Per queste ragioni il diniego come tale è illegittimo e
deve essere annullato anche se l’inadempimento del
ricorrente agli oneri convenzionalmente assunti priva di
fondamento la domanda risarcitoria dei pregiudizi sofferti
per l’incommerciabilità da mancato rilascio del certificato
di abitabilità trovando, sul piano privatistico totale
applicazione la regola riassunto nel brocardo “inadimplenti
non est adimplendum”
(TAR Umbria,
sentenza 04.09.2017 n. 567 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Anche
per l’agibilità basta la dichiarazione del tecnico. Moduli
unici adeguati al nuovo regime abilitativo.
Semplificazione. Addio al certificato che prova igiene e
salubrità degli immobili.
Con l’intesa tra Stato, Regioni ed enti locali, raggiunta
nella conferenza unificata dello scorso 4 maggio sulla
modulistica “unica” e standardizzata per le attività
edilizie, va in archivio il certificato di agibilità e al
suo posto arriva la segnalazione certificata per
l’agibilità.
Finora era necessario aspettare il rilascio da parte del
Comune di un attestato sulla sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti, previste dalle normative in vigore
per i diversi settori, e sulla conformità dei lavori
eseguiti al progetto presentato agli uffici tecnici. D’ora
in avanti tutto questo sarà oggetto di un’autodichiarazione
di un professionista, che in tutti gli 8mila Comuni d’Italia
dovrebbe essere compilata utilizzando lo stesso modulo e
fornendo le stesse informazioni.
È uno dei risultati dell’applicazione delle disposizioni
contenute nel Dlgs 222/2016 (noto come decreto “Scia 2”),
emanato in base alla legge 124/2014 sulla riorganizzazione
delle amministrazioni pubbliche, finalizzata
all’accelerazione e semplificazione delle procedure
burocratiche e di quelle per l’erogazione dei servizi
pubblici.
Per l’edilizia, lo snellimento dei regimi amministrativi
introdotti dal quel decreto legislativo (e dal Dlgs
126/2016, cosiddetto “Scia 1”) ha modificato alcune norme
del Dpr 380/2001 (il Testo unico dell’edilizia), relative
sia all’individuazione dei regimi abilitativi alla
realizzazione degli interventi edilizi, sia all’agibilità
degli edifici.
L’agibilità
È stato abrogato l’articolo 25 del Testo unico e riscritto
il 24, in cui sono state tra l’altro trasferite alcune
disposizioni contenute nell’articolo cancellato.
La segnalazione certificata di agibilità continua ad essere
necessaria per le nuove costruzioni, per gli interventi di
ricostruzione e sopraelevazione, totale o parziale, e per la
realizzazione di interventi sugli edifici esistenti che
possono influire sulle condizioni di sicurezza, salubrità e
su tutti gli altri aspetti relativi all’agibilità.
La segnalazione può riguardare anche l’agibilità parziale di
edifici singoli, o parti di una costruzione funzionalmente
autonome o singole unità immobiliari, purché ricorrano le
condizioni per i singoli casi specificate nel comma 4
dell’articolo 24 del Dpr 380/2001.
Il termine per la presentazione è lo stesso entro il quale
in precedenza occorreva presentare la richiesta del
certificato: 15 giorni dall’ultimazione dei lavori di
finitura dell’intervento. Sgarrare può costare una multa da
77 a 464 euro.
La segnalazione deve essere presentata dal soggetto al quale
è stato rilasciato il permesso di costruire o che ha
presentato la Scia, che può essere sia una società sia una
persona fisica.
In ogni caso serve sempre l’aiuto di un professionista.
Bisogna rivolgersi all’ingegnere, al geometra o
all’architetto che ha diretto i lavori, o che viene
appositamente incaricato, per l’asseverazione della
sussistenza delle condizioni di agibilità dell’immobile.
Alla segnalazione devono essere, inoltre, allegati il
certificato di collaudo statico (che, per i piccoli
interventi, può essere sostituito da una dichiarazione di
regolare esecuzione dei lavori) e una dichiarazione di
conformità delle opere realizzate alla normativa
sull’accessibilità e il superamento delle barriere
architettoniche. Serve anche una dichiarazione dell’impresa
che ha installato gli impianti, attestante il rispetto dei
requisiti di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio
energetico previsti dalle normative di settore .
Non è però più necessario allegare la richiesta di
accatastamento dell’edificio, ma è sufficiente indicare gli
estremi dell’avvenuta dichiarazione di aggiornamento
catastale.
Gli altri modelli
Sempre in attuazione del decreto legislativo 222/2016, con
l’intesa del 4 maggio sono stati approvati anche i
moduli unificati e standardizzati per la
presentazione della segnalazione certificata di inizio
attività (anche in alternativa al permesso di costruzione)
della comunicazione di inizio dei lavori asseverata e della
comunicazione di inizio lavori per le opere necessarie a
soddisfare esigenze temporanee.
Per la Scia si tratta di un aggiornamento della modulistica
già licenziata nel 2014, quando fu approvato un modulo unico
anche per la richiesta del permesso di costruire. I nuovi
moduli, per ogni titolo abilitativo, contengono anche il
riferimento alle attività descritte, e numerate
progressivamente,nel Dlgs 222/2016, per le quali è
consentito l’utilizzo.
I tempi
Ora la palla passa alle Regioni, che hanno tempo fino al
prossimo 20 giugno per decidere se mantenere la modulistica
così come è, oppure se fare qualche aggiustamento. In ogni
caso, entro il 30 giugno i Comuni devono adeguare la
modulistica attuale ai nuovi schemi (articolo
Il Sole 24 Ore del 15.05.2017 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - VARI: Non
agibilità, locazione valida. Se l'assenza del certificato
era nota il contratto rimane. Il principio della Corte di
cassazione in una sentenza del 13/4 sugli immobili
commerciali.
L'assenza del certificato di agibilità, se nota al
conduttore di un immobile commerciale (ma anche in caso di
vendita di abitazioni tra privati), non ha alcun effetto
sulla validità stessa del contratto di locazione.
L'inadempimento del locatore si ha solo quando la mancanza
di titoli autorizzativi dipenda da carenze intrinseche o da
caratteristiche proprie del bene locato, tali impedire il
rilascio degli atti amministrativi necessari per l'esercizio
dell'attività.
È il principio espresso dalla Corte di Cassazione, III Sez.
civile (ordinanza
13.04.2017 n. 9558) sull'eventuale nullità di un
contratto di locazione di un immobile per attività d'impresa
in assenza del certificato di agibilità.
La funzione del certificato di agibilità è quella di
attestare la sussistenza di determinati standards igienici e
sanitari e di sicurezza, garantendo che in fase di
costruzione, siano state osservate determinate prescrizioni
igienico-sanitarie, in base alle leggi vigenti al momento
della costruzione o dell'intervento.
Il fatto.
Tizia chiedeva la risoluzione del contratto di locazione di
immobile ad uso diverso da quello abitativo per
inadempimento della società cooperativa per i mancati
versamenti delle mensilità pattuite, nonché la condanna
della stessa al pagamento dei canoni maturati nel periodo
agosto 2009-settembre 2010.
La Corte d'appello di Roma (con la sentenza 05/06/2014 n.
3784) evidenziava che la condizione giuridica dell'immobile,
non conforme alla vigente normativa urbanistica, non
cagionava la nullità ex articolo 1418, comma 2, c.c. del
contratto di locazione, in quanto tale condizione era stata
specificamente indicata nel contratto stesso ed accettata
dalla conduttrice, che aveva approvato per iscritto
separatamente la relativa clausola, rimanendo quindi esclusa
l'applicazione della disciplina normativa dei vizi della
cosa locata.
I giudici della Cassazione, rigettando il ricorso presentato
dalla società, la condannavano al pagamento dei canoni
mensili e le relative spese in favore della ricorrente.
Vendita e locazione senza certificato di
agibilità. La
Corte di cassazione, con la sentenza dell'8 febbraio 2016 n.
24386, ha stabilito che la vendita di un immobile ad uso
abitativo privo di certificato di agibilità:
- configura una vendita di cosa in parte o del tutto
diversa da quella dedotta in contratto;
- il compratore può chiedere legittimamente o la
risoluzione del contratto (ovvero lo scioglimento del
contratto) o l'adempimento dello stesso qualora abbia
interesse all'acquisto, ferma la possibilità di chiedere il
risarcimento dei danni;
- l'acquirente può rifiutarsi di firmare il rogito
notarile, anche qualora abbia già stipulato il contratto
preliminare di compravendita;
- se manca l'agibilità per adibire un immobile a casa di
abitazione e quindi l'immobile può essere utilizzato solo
per altri scopi (ad es.: magazzino) l'acquisto è valido lo
stesso, ma l'acquirente ha acquistato una cosa per un altra,
con lesione dei suoi diritti.
In tema di locazione d'immobili ad uso diverso da
abitazione, diversamente che per le autorizzazioni
amministrative (come l'iscrizione alla camera di commercio),
ovvero di quelle di pubblica sicurezza necessarie
all'esercizio di specifiche attività (o per poter adibire i
locali a pubblici spettacoli), incombe sul locatore
l'obbligo di curare l'ottenimento del certificato di
abitabilità.
Quest'ultimo è posto a tutela delle esigenze igieniche e
sanitarie nonché degli interessi urbanistici e attestante
l'idoneità dell'immobile a essere «abitato» e più
generalmente ad essere frequentato dalle persone fisiche. La
mancanza dello stesso determina non la nullità del contratto
per illiceità dell'oggetto, bensì una situazione
d'inadempimento.
Le norme sul certificato di agibilità.
È con l'articolo 26 del dpr 06.06.2001 n. 380 (Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia) che vengono disciplinati casi e modalità di
rilascio del certificato di agibilità.
Ai fini dell'agibilità, entro 15 giorni dall'ultimazione dei
lavori di finitura dell'intervento, il soggetto titolare del
permesso di costruire, o il soggetto che ha presentato la
segnalazione certificata di inizio di attività, o i loro
successori o aventi causa, presentano allo sportello unico
per l'edilizia la segnalazione certificata, per i seguenti
interventi:
- nuove costruzioni;
- ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;
- interventi sugli edifici esistenti che possano influire
sulle condizioni di igiene e sicurezza.
Pertanto a partire dall'entrata in vigore del T.u.
sull'edilizia, il certificato di agibilità deve essere
richiesto solo per i nuovi edifici (ossia quelli costruiti
successivamente al 30/06/2003) o per quelli già esistenti
per i quali siano stati eseguite talune tipologie di
interventi edilizi. Non sussiste invece nessun obbligo di
richiedere il certificato di agibilità per le vecchie
costruzioni che non siano state oggetto di interventi
successivamente all'entrata in vigore del dpr 380/2001.
---------------
Contratti a canone concordato, regole in
chiaro.
I contratti a canone concordato possono essere sottoscritti
in qualsiasi città, ma è anche vero che la chance delle
agevolazioni fiscali che può indurre i proprietari di casa a
optare per questo strumento vale solo per gli immobili
localizzati nei c.d. comuni ad alta tensione abitativa. Il
recente decreto del ministero delle infrastrutture e dei
trasporti del 16.01.2017, pubblicato in G.U. lo scorso 15
marzo e in vigore dal 30 marzo, nel lasciare sostanzialmente
immutato l'impianto normativo, non ha quindi potuto
risolvere uno dei problemi che rendono poco appetibile
questo strumento.
Gli incentivi fiscali della deduzione Irpef del 30% e della
riduzione del 30% della base imponibile della tassa di
registro, nonché, soltanto fino al 31.12.2017, l'aliquota
del 10% della cedolare secca, sono infatti stati previsti
per i contratti di locazione agevolati dall'art. 8 della
legge n. 431/98 (dunque da una norma di legge) soltanto per
i comuni ad alta tensione abitativa, laddove l'ulteriore
beneficio della possibile riduzione del 25% dell'Imu e della
Tasi, introdotto con la legge di stabilità del 2016, si
applica all'intero territorio nazionale. La limitazione
territoriale degli incentivi fiscali, seppure all'epoca
motivata da altre ragioni, rischia però di stroncare sul
nascere qualsiasi velleità di rilancio di tale strumento
contrattuale.
I proprietari di casa, infatti, sottoscrivendo un accordo
del genere, rinunciano ad applicare i ben più cospicui
canoni di mercato, rimessi alla libera contrattazione.
È vero che, oggigiorno, vista la grave situazione di crisi
economica e l'impennata vertiginosa del numero degli sfratti
per morosità, un canone più basso (e, dunque, maggiormente
sostenibile), può rappresentare una migliore garanzia di
adempimento da parte del conduttore, ma il beneficio fiscale
connesso a tale strumento negoziale rappresenta di gran
lunga la principale motivazione che spinge il locatore a
tollerare l'imposizione del calmiere.
Al decreto ministeriale sono allegati gli schemi
contrattuali da utilizzare in questi casi, ma la
determinazione della misura del canone agevolato sulla base
degli accordi territorialmente applicabili continua a essere
un'operazione non certo alla portata di tutti, rendendo
quindi consigliabile il ricorso a un'organizzazione di
categoria dei proprietari o degli inquilini.
Ove ciò non sia avvenuto, qualora cioè le parti abbiano
provveduto da sole alla redazione e alla sottoscrizione del
contratto di locazione a canone agevolato, è però previsto
che le stesse possano rivolgersi all'occorrenza alle
apposite commissioni di negoziazione paritetica e di
conciliazione giudiziale che la nuova convenzione nazionale
dello scorso ottobre 2016 ha previsto di istituire presso le
organizzazioni di categoria.
Dette commissioni, infatti, potranno attestare la
rispondenza del contenuto normativo ed economico dei
contratti agli accordi di riferimento, oltre a tentare di
risolvere transattivamente eventuali controversie insorte
tra le parti circa l'interpretazione e/o l'esecuzione del
contratto di locazione e/o degli accordi territoriali o
integrativi, evitando così l'avvio di nuovi contenziosi
giudiziali (articolo
ItaliaOggi Sette dell'01.05.2017).
---------------
MASSIMA
La questione della nullità del contratto è stata
compiutamente esaminata dalla Corte territoriale, sotto
entrambi i profili di illiceità dell'oggetto e di illiceità
della causa.
In particolare, quanto al primo aspetto, i Giudici di merito
hanno rilevato che la difformità urbanistica dell'immobile,
specificamente per quanto concerneva la destinazione
commerciale dei locali, era stata oggetto di espressa
clausola, sottoscritta anche separatamente dalla società
conduttrice, in conformità all'art. 1341, comma 2, c.c.,
traendone la conseguenza, da un lato, che la condizione di
difformità urbanistica dell'immobile non inficiava la
illiceità della prestazione (concessione in godimento del
bene), e dall'altro che la conduttrice aveva espressamente
accettato tale condizione assumendo quindi il rischio
dell'eventuale impossibilità di sfruttamento dell'immobile
ad uso commerciale.
La Corte territoriale ha pertanto deciso conformemente ai
consolidati principi di diritto enunciati in materia da
questa Corte secondo cui il carattere "abusivo"
di una costruzione concretandosi in una illiceità
dell'opera, può costituire fonte della responsabilità
dell'autore nei confronti dello Stato ma non comporta la
invalidità del contratto di locazione della costruzione
stipulato tra privati, trattandosi di rapporti distinti e
regolati ciascuno da proprie norme, venendo e riverberare la
condizioni giuridica predetta sulla qualità del bene
immobile, e non anche sulla eseguibilità della prestazione
del locatore avente ad oggetto la concessione del pieno e
continuato godimento del bene
(cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 583 del 29/01/1982 che
ha esaminato il caso di abuso edilizio consistente nella
costruzione fatta dal privato su terreno demaniale. Vedi
giurisprudenza sopra richiamata: Corte cass. Sez. 3,
Sentenza n. 583 del 29/01/1982; id. Sez. 3, Sentenza n. 4228
del 28/04/1999; id. Sez. 3, Sentenza n. 19190 de/
15/12/2003; id. Sez. 3, Sentenza n. 22312 del 24/10/2007;
id. Sez. 3, Sentenza n. 12983 del 27/05/2010; vedi Corte
cass. Sez. 3, Sentenza n. 11964 del 16/05/2013)
nel caso in cui non sia stata resa nota, né
altrimenti conosciuta dal conduttore la condizione
urbanistica dell'immobile locato, il mancato rilascio di
concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative
relative alla destinazione d'uso dei beni immobili -ovvero
alla abitabilità dei medesimi- non è di ostacolo alla valida
costituzione di un rapporto locatizio, sempre che vi sia
stata concreta utilizzazione del bene locato
(cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 23695 del 21/12/2004),
in difetto soccorrendo, invece, il rimedio
della risoluzione del contratto
(cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 12708 del 25/05/2010)
se il locatore ha assunto la obbligazione
di garantire il pacifico godimento dell'immobile
espressamente in funzione della specifica destinazione
prevista e concordata in contratto, occorrendo all'uopo una
"specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera
enunciazione, nel contratto, che la locazione sia stipulata
per un certo uso e l'attestazione del riconoscimento della
idoneità dell'immobile da parte del conduttore", in tal
caso l'impedimento all'esercizio della attività svolta dal
conduttore per difetto di rilascio del provvedimento di
conformità urbanistica della destinazione impressa dalle
parti all'immobile, determina il colpevole inadempimento del
locatore alla esecuzione della prestazione di godimento
derivante dal contratto
(cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 20831 del 26/09/2006;
id. Sez. 3, Sentenza n. 975 del 17/01/2007; id. Sez. 3,
Sentenza n. 5836 del 13/03/2007) se invece
la situazione urbanistica, pur se di ostacolo
all'ottenimento delle autorizzazioni o licenze relative
all'esercizio della attività commerciale da condurre
nell'immobile locato, era nota ed è stata consapevolmente
accettata dal conduttore, alcuna responsabilità contrattuale
potrà gravare sul locatore per la impossibilità di
utilizzazione dell'immobile locato in funzione
dell'esercizio della predetta attività, in quanto non
risulti successivamente autorizzata la modifica di
destinazione d'uso
(cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1398 del 2110112011).
I predetti principi sono stati compendiati, da ultimo, nelle
più recenti sentenze di questa Corte, nella statuizione,
condivisa dal Collegio, secondo cui «in
tema di obblighi del locatore, in relazione ad immobili
adibiti ad uso non abitativo convenzionalmente destinati ad
una determinata attività il cui esercizio richieda specifici
titoli autorizzativi dipendenti anche dalla situazione del
bene sotto il profilo edilizio -e con particolare riguardo
alla sua abitabilità e alla sua idoneità all'esercizio di
un'attività commerciale- solo quando la mancanza di tali
titoli autorizzativi dipenda da carenze intrinseche o da
caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire in
radice il rilascio degli atti amministrativi necessari e
quindi da non consentire in nessun caso l'esercizio lecito
dell'attività del conduttore conformemente all'uso pattuito,
può configurarsi l'inadempimento del locatore, fatte salve
le ipotesi in cui quest'ultimo abbia assunto l'obbligo
specifico di ottenere i necessari titoli abilitativi o, di
converso, sia conosciuta e consapevolmente accettata dal
conduttore l'assoluta impossibilità di ottenerli»
(cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 13651 del 16/06/2014;
id. Sez. 3, Sentenza n. 15377 del 26/07/2016). |
EDILIZIA PRIVATA:
Senza certificato di abitabilità la casa non si può vendere.
Ricorda la Cassazione che tale mancanza legittima la
risoluzione del contratto e il risarcimento del danno.
L'immobile non è commerciabile se manca
il certificato di abitabilità.
Lo ha sancito
la II Sez. civile della Corte di Cassazione (con la
sentenza 30.01.2017 n. 2294), esprimendosi in una
vicenda che vedeva un acquirente chiamare in causa il
venditore a causa del mancato rilascio del certificato di
abitabilità dell'appartamento acquistato, data
l'insussistenza delle condizioni necessarie per ottenerlo "in
dipendenza della presenza di un fenomeno di umidità di ampie
proporzioni".
La violazione di tale obbligo legittima, perciò, si legge
nella sentenza "sia la domanda di risoluzione del
contratto, sia quella di risarcimento del danno -sia ancora-
l'eccezione di inadempimento" e non è sanata dalla mera
circostanza che il venditore, al momento della stipula, "abbia
già presentato una domanda di condono per sanare
l'irregolarità amministrativa dell'immobile" (commento
tratto da www.studiocataldi.it).
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MASSIMA
Va debitamente premesso che, in materia
di vendita di immobile destinato ad abitazione,
questa Corte spiega che integra ipotesi di
consegna di aliud pro alio il difetto assoluto della
licenza di abitabilità ovvero l'insussistenza delle
condizioni necessarie per ottenerla in dipendenza della
presenza di insanabili violazioni della legge urbanistica
(cfr. Cass. 27.07.2006, n. 17140).
E soggiunge che il venditore di un immobile
destinato ad abitazione ha l'obbligo di consegnare
all'acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale
l'immobile stesso è incommerciabile;
e che la violazione di tale obbligo può
legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia
quella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di
inadempimento, e non è sanata dalla mera circostanza che il
venditore, al momento della stipula, abbia già presentato
una domanda di condono per sanare l'irregolarità
amministrativa dell'immobile
(cfr. Cass. 23.01.2009, n. 1701; cfr. Cass. 20.04.2006, n.
9253, ove si precisa inoltre che è irrilevante la concreta
utilizzazione dell'immobile ad uso abitativo da parte dei
precedenti proprietari). |
EDILIZIA PRIVATA:
Casa priva di certificato di abitabilità: è vendita dell'aliud
pro alio (letteralmente “di una cosa per un'altra”).
In materia di vendita di immobile
destinato ad abitazione, integra ipotesi di consegna di
aliud pro alio il difetto assoluto della licenza di
abitabilità ovvero l'insussistenza delle condizioni
necessarie per ottenerla in dipendenza della presenza di
insanabili violazioni della legge urbanistica.
Il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha
l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di
abitabilità, senza il quale l'immobile stesso è
incommerciabile; la violazione di tale obbligo può
legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia
quella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di
inadempimento, e non è sanata dalla mera circostanza che il
venditore, al momento della stipula, abbia già presentato
una domanda di condono per sanare l'irregolarità
amministrativa dell'immobile.
Tra l'altro, è irrilevante la concreta utilizzazione
dell'immobile ad uso abitativo da parte dei precedenti
proprietari.
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Va debitamente premesso che, in materia di vendita di
immobile destinato ad abitazione, questa Corte spiega che
integra ipotesi di consegna di aliud pro alio il
difetto assoluto della licenza di abitabilità ovvero
l'insussistenza delle condizioni necessarie per ottenerla in
dipendenza della presenza di insanabili violazioni della
legge urbanistica (cfr. Cass. 27.07.2006, n. 17140).
E soggiunge che il venditore di un immobile destinato ad
abitazione ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il
certificato di abitabilità, senza il quale l'immobile stesso
è incommerciabile; e che la violazione di tale obbligo può
legittimare sia la domanda di risoluzione del contratto, sia
quella di risarcimento del danno, sia l'eccezione di
inadempimento, e non è sanata dalla mera circostanza che il
venditore, al momento della stipula, abbia già presentato
una domanda di condono per sanare l'irregolarità
amministrativa dell'immobile (cfr. Cass. 23.01.2009, n.
1701; cfr. Cass. 20.04.2006, n. 9253, ove si precisa inoltre
che è irrilevante la concreta utilizzazione dell'immobile ad
uso abitativo da parte dei precedenti proprietari) (Corte di
Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 30.01.2017 n. 2294). |
anno 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: L’agibilità
passa dal certificato alla segnalazione. Fine lavori. Ma i
documenti sono simili.
Va in pensione il certificato di agibilità, rilasciato
finora dal Comune, per attestare che un edificio, e gli
impianti in esso installati, sono conformi al progetto e
alle normative vigenti in fatto di sicurezza, igiene,
salubrità e risparmio energetico.
La nuova segnalazione
D’ora in avanti il titolare del permesso di costruire o
della Scia, nei 15 giorni successi all’ultimazione dei
lavori di finitura dell’opera, non dovrà più richiedere il
rilascio del certificato, ma dovrà presentare una
segnalazione certificata allo sportello unico per l’edilizia
del Comune in cui è localizzato l’intervento. È un cambio di
procedura dovuto alle modifiche introdotte con il Dlgs
222/2016 agli articoli sull’agibilità degli edifici del Dpr
380/2001, il testo unico per l’edilizia.
La documentazione da allegare alla segnalazione certificata
si discosta poco da quella che doveva essere presentata con
la richiesta del certificato. Il direttore dei lavori o un
altro tecnico deve, tra l’altro, attestare che l’edificio
presenta tutte le condizioni richieste per poter essere
considerato agibile; deve essere anche attestata la
realizzazione delle opere nel rispetto delle norme in
materia di accessibilità e di barriere architettoniche.
Con le regole precedenti occorreva allegare la richiesta di
accatastamento dell’edificio; con le nuove devono essere
indicati gli estremi dell’avvenuta dichiarazione di
aggiornamento catastale.
Le Regioni e i Comuni dovranno stabilire i criteri per
effettuare i controlli per verificare che le dichiarazioni
riportate nella documentazione allegata alla segnalazione
riflettano effettivamente i lavori realizzati.
L’agibilità continua a essere richiesta per le nuove
costruzioni, per gli edifici demoliti e ricostruiti
totalmente o in parte e per quelli sui quali sono stati
realizzati interventi che ne hanno aumentato l’altezza. La
segnalazione certificata interessa anche gli edifici già
esistenti nel caso in cui siano stati realizzati lavori che
possano avere inciso sul loro stato di sicurezza, igiene,
salubrità e risparmio energetico.
Non cambiano neanche, sia pure con qualche specificazione,
le altre tipologie di edifici che possono essere interessate
alla segnalazione certificata relativa all’agibilità. Si
tratta di singoli edifici o di loro parti, funzionalmente
autonomi, nei casi in cui siano realizzate e collaudate
fognature, reti di distribuzione delle acque o altre opere
di urbanizzazione primaria sull’intero complesso edilizio e
siano state completate e collaudate o certificate le sue
parti strutturali e gli impianti relativi alle parti comuni.
Possono essere interessate anche singole unità immobiliari,
completate e collaudate nelle loro parti strutturali e le
opere di urbanizzazione primaria funzionali all’edificio.
Sanzioni confermate
La mancata segnalazione, nei casi in cui essa è
obbligatoria, espone a una sanzione amministrativa variabile
da 77 a 464 euro (sono le stesse cifre previste in
precedenza in caso di mancata della richiesta del
certificato di agibilità) (articolo
Il Sole 24 Ore del 19.12.2016 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
TRIBUTI:
A fini fiscali è decisivo
l'accatastamento.
Le imposte locali sui fabbricati sono dovute dal momento in
cui vengono accatastati. È decisivo l'accatastamento dei
fabbricati ai fini fiscali. Sono soggetti al pagamento di
Ici, Imu e Tasi dal momento in cui risultano iscritti in
catasto, nonostante la legge fissi come criteri alternativi
per l'assoggettamento a imposizione o l'ultimazione dei
lavori o l'utilizzazione dei fabbricati.
Questi ultimi criteri, secondo la Corte di Cassazione - Sez.
V civile (sentenza
16.12.2016 n. 26054), assumono rilievo solo nel
caso in cui il fabbricato di nuova costruzione non sia
ancora iscritto in catasto. Per i giudici di legittimità, ai
fini dell'assoggettabilità a imposta di fabbricati di nuova
costruzione, il criterio alternativo previsto dalla
normativa Ici, che si applica anche a Imu e Tasi, «della
data di ultimazione dei lavori ovvero di quella anteriore di
utilizzazione, acquista rilievo solo quando il fabbricato
medesimo non sia ancora iscritto al catasto, realizzando
tale iscrizione, di per sé, il presupposto principale per
assoggettare il bene all'imposta».
Va ricordato che per i fabbricati iscritti in catasto il
valore dell'immobile si ottiene facendo riferimento
all'ammontare delle rendite vigenti al 1° gennaio dell'anno
di imposizione. Tuttavia, la rendita è solo il parametro per
la determinazione della base imponibile. Quindi, è opinabile
l'interpretazione della Suprema corte che identifica
nell'iscrizione in catasto il presupposto impositivo.
L'articolo 2 del decreto legislativo 504/1992, infatti,
fissa letteralmente il presupposto per il pagamento delle
imposte locali nella ultimazione dei lavori del fabbricato o
nel suo utilizzo, qualora preceda l'ultimazione. E non è
affatto previsto che questi criteri valgano solo per gli
immobili di nuova costruzione (articolo ItaliaOggi Sette
del 06.05.2019).
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MASSIMA
Il motivo di ricorso principale è fondato.
È, infatti, insegnamento di questa Corte, quello secondo cui
"In tema di imposta comunale sugli
immobili (ICI), ai fini dell'assoggettabilità ad imposta di
fabbricati di nuova costruzione, il criterio alternativo,
previsto dall'art. 2 del d.lgs. 30.12.1992, n. 504, della
data di ultimazione dei lavori ovvero di quella anteriore di
utilizzazione, acquista rilievo solo quando il fabbricato
medesimo non sia ancora iscritto al catasto, realizzando
tale iscrizione, di per sé, il presupposto principale per
assoggettare il bene all'imposta"
(Cass. n. 15177/2010, 8781/2015, ord. n. 5372/2009,
24924/2008).
Nella vicenda, l'immobile risulta pacificamente accatastato
dal 1999 e, pertanto, da tale data risulta assoggettabile
all'imposta ICI mentre, il certificato di abitabilità non
attesta alcuna agibilità dello stesso, ma la sola
idoneità-igienico sanitaria del manufatto atta a consentirne
l'uso, che non incide, però, sulla sua esistenza (in
particolare, ai fini fiscali).
Pertanto, da una parte, l'iscrizione
nel catasto edilizio dell'unità immobiliare costituisce di
per sé, presupposto sufficiente perché l'unità sia
considerata fabbricato e, di conseguenza, assoggettabile
all'imposta prevista, laddove per i fabbricati di nuova
costruzione i criteri alternativi dell'ultimazione dei
lavori o di utilizzazione del fabbricato assumono rilievo
solo per l'ipotesi in cui il fabbricato di nuova
costruzione non sia ancora iscritto in catasto
(Cass. n. 24924/2008), mentre, d'altra
parte, l'inagibilità (che consente la riduzione
d'imposta) è correlata alla temporanea impossibilità di
utilizzo dell'immobile, intesa come situazione intrinseca di
degrado dello stesso, superabile con interventi di
manutenzione straordinaria, e non come qualità giuridica
superabile con il rilascio del certificato di abitabilità
(secondo Cass. ord. n. 5372/2009 "...il
rilascio del certificato di abitabilità non costituisce
presupposto per l'applicazione dell'imposta, non potendosi
desumere il contrario dal tenore dell'art. 8, comma 1, del
citato decreto, che si riferisce esclusivamente all'ipotesi
di fabbricati dichiarati inagibili e inabitabili a seguito
di perizia dell'ufficio tecnico comunale, e di fatto non
utilizzati"). |
COMPETENZE GESTIONALI - PATRIMONIO - SICUREZZA LAVORO:
INCENDIO IN EDIFICIO COMUNALE E
RESPONSABILITÀ DELL’ASSESSORE SPROVVISTO DI COGNIZIONI
TECNICHE.
Tragica la vicenda esaminata da questa sentenza: un “devastante
incendio della struttura in cui si trovavano 19 pazienti
affetti da patologie psichiatriche che vi avevano poi
trovato la morte per asfissia seguita da combustione dei
corpi”.
Al riguardo, la Sez. III conferma la condanna di un
assessore del comune per omicidio colposo (con la precedente
Cass., 03.06.2013, n. 23944, erano già stati definitivamente
condannati il sindaco, un tecnico comunale, un ingegnere
esterno incaricato della verifica delle strutture e degli
impianti tecnologici del fabbricato interessato
dall’incendio, e due direttori sanitari del distretto).
A propria discolpa, l’assessore sostiene che, essendo “sprovvisto
delle necessarie cognizioni tecniche,non poteva non fare
affidamento sulle relazioni redatte da soggetti muniti delle
prescritte cognizioni ed addirittura officiati di esaminare
la struttura e sviluppare le relative conclusioni”.
La Sez. III non accoglie questa tesi difensiva.
Premette che
- “la struttura in argomento, costituita da un
prefabbricato donato a suo tempo dal consolato francese al
comune in occasione degli eventi sismici del 1980 e rimasto
per anni inutilizzato, era stata destinata nel lontano 1996,
in forza di una delibera della giunta municipale, ad
ospitare pazienti dimessi dagli ospedali psichiatrici, cui
era seguita pochi mesi dopo altra delibera con la quale si
affidava detta struttura alla A.S.L.”, che,
- “successivamente, la struttura era stata sottoposta
a verifiche da parte della commissione tecnica regionale che
aveva constatato numerose inadeguatezze tecniche e
soprattutto la specifica inidoneità dell’impianto
antincendio”, che,
- “ciò nonostante il comune, su esplicita richiesta
della A.S.L. competente, veniva sollecitato al rilascio del
certificato di agibilità e del certificato di autorizzazione
sanitaria per l’utilizzazione mirata della struttura
suddetta”, che
- “il certificato di agibilità veniva rilasciato
dall’assessore, anche sulla base di una verifica tecnica
operata dall’ingegnere esterno, condannato al pari del
tecnico comunale che aveva suggerito il conferimento
dell’incarico ad un tecnico esterno, onde accertare le
condizioni della struttura in vista del rilascio del
certificato di agibilità e soprattutto al fine di garantire
la rispondenza dell’edificio alle norme di sicurezza
richieste dalla legislazione vigente”, e che
- “il sopralluogo dell’ingegnere era stata preceduto
da altra certificazione ad opera del tecnico comunale che
aveva attestato la qualità della struttura da lui definita ‘pesante’”.
Sottolinea, altresì, che “il vero regista della intera
operazione doveva ritenersi il sindaco del comune”, e
che fu il sindaco ad effettuare la “scelta di consentire
a tutti i costi l’impiego e l’utilizzazione della struttura
nonostante il parere di inadeguatezza dal punto di vista
tecnico e della sicurezza in generale”.
A questo punto, però, la Sez. III osserva che, “perché
possa parlarsi di errore incolpevole derivante da un
affidamento da parte del soggetto agente a dati elaborati da
altri, occorre che non sia necessaria alcuna operazione di
verifica da parte del soggetto officiato istituzionalmente
di determinati compiti e poteri, dovendosi esigere un
comportamento positivo ed attento, sulla base di una
diligenza media, nella specie venuta meno”.
Rileva che le argomentazioni difensive svolte dall’assessore
“bypassano quell’obbligo di doverosa informazione e
cautela che deve ispirare il pubblico ufficiale nello
svolgimento dei propri compiti istituzionali anche laddove
coadiuvato da soggetti terzi dotati di specifiche cognizioni”.
Ritiene convincente l’analisi della “posizione
dell’assessore quale soggetto pubblico incaricato di
verificare la situazione - peraltro estremamente delicata e
a sua conoscenza per la pregressa evidenziazione di
criticità che avrebbero dovuto metterlo in allarme
nonostante la apparente situazione di legittimità della
struttura connessa al sopralluogo ‘rassicurante’ da parte
dell’ingegnere che abbisognava invece di una attenta lettura
dei dati nel loro complesso non svolta dall’imputato”.
(In passato, Cass., 01.07.2010, n. 24732, riportata
nell’e-book Guariniello, Terremoti: obblighi e
responsabilità, 2016, Wolters Kluwer, pagg. 20-21,
nell’occuparsi di un’altra tragedia, quella della scuola di
San Giuliano di Puglia, esaminò l’asserita “sconoscenza
scusabile di un sindaco medico che non possiede cognizioni
in materia edilizia per essere altrimenti specializzato”.
Spiegò che “ogni sindaco conosce, per proprio sapere, o
per acquisizione mediante i canali di apprendimento della
sua amministrazione, gli obblighi minimi connessi
all’esercizio del suo incarico elettivo”, e per giunta
pose in rilievo “i comuni oneri di diligenza e prudenza
che sono richiesti non ad un sindaco in ragione della sua
carica, ma che sono richiesti rispetto a qualsiasi condotta
umana”.
Precisò che “la separazione tra attività politica di
indirizzo e attività di gestione, non si spinge al punto di
sottrarre alla attività di indirizzo e controllo l’onere di
conoscenza (col suo corredo necessario di responsabilità)
dell’oggetto sul quale quelle attività peculiari della
carica elettiva, si esercitano”; che “la scriminante
definita amministrativa o politica da far valere per le sole
condotte omissive - non ha anche una efficacia diretta di
scriminante penale, se perfino la stessa scriminante
amministrativa non opera quando i vizi dell’assunzione
dell’atto deliberativo dell’organo elettivo siano così
evidenti da escludere la buonafede”; e che “l’addebito
di condotte commissive dirette e personali che abbiano
causalmente concorso a determinare il prodursi degli effetti
vietati dalla legge penale, è indifferente alla esistenza di
separazioni delle competenze amministrative incidenti,
invece, salva individuazione della misura della incidenza,
sulle omissioni rivenienti da inosservanza di norme
cautelari”.
In questo quadro, mise in luce a carico del sindaco due
tipologie di violazione: “la prima tipologia riguarda
violazioni derivanti da carenze di ordine strutturale
riconducibili all’esercizio (mancato) di poteri di indirizzo
e di programmazione, nonché di controllo dell’organo
politico; omessa attivazione del sindaco, a fronte di
violazioni derivanti da carenze strutturali, per l’esercizio
dei poteri sindacali di sollecitazione e rimedio; ancora
mancato esercizio delle proprie prerogative di controllo
indirizzo e sollecitazione nonostante numerose
sollecitazioni (per esempio dei presidi) ad attuare quell’esercizio”;
“la seconda tipologia riguarda violazioni derivanti da
indebita attivazione costituente ingerenza nei poteri di
gestione del funzionario responsabile del procedimento e
tale da portare a compimento e aggravare gli effetti delle
violazioni che dovevano essere fermate”.
In questa seconda prospettiva, rileva che “il sindaco,
inerte rispetto a condotte imposte da obblighi di legge, si
è invece adoperato in fatto col rilasciare al dirigente
scolastico che reclamava un certificato di collaudo, un
atipico certificato di agibilità della scuola, autorizzando
con ciò l’apertura della scuola al suo uso, pur in assenza
di un collaudo statico e violando il divieto di consentire
l’utilizzazione di una costruzione prima del collaudo
stesso, utilizzazione a lui in concreto personalmente nota,
quanto all’ala della scuola sottostante la sopraelevazione”.
Quanto alla inesigibilità dalla comune diligenza di un
medico/sindaco (non attrezzato con competenze edilizie
specialistiche) della capacità di individuare il difetto di
validità e la non effettiva equipollenza di un certificato
di staticità e agibilità redatto dal progettista direttore
dei lavori, insegnò che “una qualsiasi persona mediamente
diligente, incaricata o meno di rappresentanza politica di
una intera comunità locale, doveva quantomeno percepire che
il certificato preso per buono conteneva la sottoscrizione
del progettista, direttore dei lavori, e dunque rivelava la
coincidenza tra soggetto controllante e soggetto
controllato, manifestando agli occhi di chiunque il
contrasto radicale di quella certificazione con gli stessi
obbiettivi per i quali era richiesta e rilasciata”)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 05.12.2016 n. 51680 - Igiene & Sicurezza
del Lavoro 1/2017). |
EDILIZIA PRIVATA: Addio
al certificato di agibilità. Ecco la segnalazione
certificata di agibilità (01.12.2016 -
link a http://biblus.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
mancanza del certificato di agibilità non comporta quale
necessaria ed inderogabile conseguenza l’obbligo per il
Comune di adottare l’ordine di sgombero dell’immobile.
In tale materia è opportuno distinguere tra
la mancanza dell’agibilità, e la mancanza
del certificato di agibilità, che operano su piani
diversi, sostanziale l’uno, e formale l’altro.
L’ordinanza di sgombero si giustifica senz’altro, ai sensi
dell’art. 222, del RD 27.07.1934, n. 1265, per la
mancanza dei requisiti sostanziali prescritti dalle norme
tecniche in materia di sicurezza, salubrità ed igiene, e
prescinde dalla presenza o meno del certificato, che ha la
funzione solo di attestare il possesso di tali requisiti, ma
che, anche se presente, non è ostativo all’adozione di
un’ordinanza di sgombero come chiarito dall’art. 26 del DPR
06.06.2001, n. 280, secondo il quale “il rilascio del
certificato di agibilità non impedisce l’esercizio del
potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di
parte di esso ai sensi dell’articolo 222 del regio decreto
27.07.1934, n. 1265”.
Va pertanto valutato quando la mancanza del certificato è
dovuta a motivi formali o quando è dovuta alla carenza
sostanziale dei requisiti di agibilità, perché solo nel
secondo caso è sempre giustificata un’ordinanza di sgombero.
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Nella fattispecie, non vi è alcuna contestazione circa la
mancanza dei requisiti sostanziali di agibilità
dell’immobile, ma è contestato quale unico elemento ostativo
al rilascio del certificato la previsione dello strumento
urbanistico che lo subordina al recupero della torre colombara che non è stato ancora effettuato dai ricorrenti.
Ritiene il Collegio che fino a che sarà vigente tale
previsione dello strumento urbanistico non possa
effettivamente essere legittimamente rilasciato il
certificato di agibilità, ma che al contempo, nel caso di
occupazione dell’immobile legittimamente costruito in
conformità a quanto previsto dal piano regolatore, nel caso
di specie ciò non giustifichi di per sé l’adozione di
un’ordinanza di sgombero in presenza dei presupposti
sostanziali di agibilità.
Deve infatti essere considerato che allo stato attuale non
vi è una norma che disciplini espressamente le conseguenze
della mancanza, sul piano formale, del certificato di
agibilità, posto che l’art. 221, secondo comma, del regio
decreto 27.07.1934, n. 1265, che puniva con una sanzione
pecuniaria il mancato possesso del certificato, è stato
abrogato a decorrere dal 30.06.2003, dall’articolo 136,
comma 2, lettera a), del DPR 06.06.2001, n. 380, senza
essere sostituito da una norma dello stesso tenore (l’art.
24, comma 3, del DPR 06.06.2001, n. 380, sanziona la
mancata presentazione dell’istanza), ed anche il primo
comma, il quale dispone che gli edifici o le parti di essi
di nuova costruzione non possono essere abitati senza la
previa autorizzazione dell'Autorità comunale, a giudizio del
Collegio, deve essere interpretato tenendo conto della
finalità che gli è propria di tutela, in senso sostanziale,
della salute e dell'incolumità della collettività.
Ne discende che nel caso di specie il Comune non può
ordinare lo sgombero dell’abitazione in presenza dei
presupposti sostanziali di agibilità, perché le peculiarità
della fattispecie la fanno ritenere maggiormente
assimilabile a quegli edifici privi di certificato già
esistenti alla data di entrata in vigore del DPR 06.06.2001, n. 380, per i quali non siano state eseguite le
tipologie di interventi edilizi indicate all’art. 24, comma
2, che comportano l’obbligo di acquisire il certificato, o a
quegli edifici per i quali, pur essendo obbligatorio il
possesso del certificato, questo manchi per inerzia degli
interessati, che non lo hanno chiesto, o per il diniego del
Comune motivato con riferimento ad incompletezze di
carattere istruttorio, ma che in ogni caso sono in possesso
dei requisiti sostanziali di agibilità; poiché si tratta, in
questi casi, di ipotesi regolarizzabili sul piano formale,
un’ordinanza di sgombero risulterebbe non giustificata.
E’ evidente che in tal modo il Comune rimane privo di un
efficace strumento per ottenere dai ricorrenti l’adempimento
dell’obbligo di recuperare la torre colombara previsto dallo
strumento urbanistico, che è l’interesse primario dallo
stesso perseguito con l’adozione della variante al piano
regolatore, ma tale conseguenza è addebitabile alla condotta
non sufficientemente prudente della stessa Amministrazione
comunale che non ha predisposto gli strumenti giuridici
necessari da utilizzare in caso di inadempimento, omettendo
di trasfondere la previsione dello strumento urbanistico in
un atto convenzionale di cui poter chiedere eventualmente
l’adempimento, omettendo di prevedere una penale o una
polizza fiudeiussoria a garanzia dell’adempimento, ritenendo
successivamente di poter sostituire lo stesso divieto di
rilascio del certificato previsto dallo strumento
urbanistico mediante la previsione di una polizza
fideiussoria che non è stata stipulata dai ricorrenti, ed
infine lasciando trascorrere diversi anni tollerando di
fatto sia l’inadempimento che l’utilizzo dell’immobile, con
la conseguenza che non appare legittimo ora ovviare a tali
mancanze utilizzando l’ordine di sgombero dell’immobile e di
rimozione dei collegamenti dei servizi pubblici alla rete
come una sanzione indiretta di carattere afflittivo volta a
perseguire non la mancanza dei requisiti sostanziali di
agibilità, ma l’inadempimento di un obbligo.
---------------
Conseguentemente, deve
essere annullata l’ordinanza di sgombero e deve essere annullata anche l’ordinanza che
ha disposto la rimozione dei collegamenti, perché è motivata
con riferimento al DM 22.01.2008, n. 37, che prevede
che l’agibilità venga rilasciata sulla base della
dichiarazione di conformità degli impianti resa dall’impresa
installatrice, e con riferimento all’art. 48 del DPR 06.06.2001,
n. 380, che ha uno specifico ambito di applicazione riferito
alle aziende erogatrici dei servizi pubblici ponendo
obblighi sulle stesse, atteso che si tratta di norme che non
prevedono un potere in capo al Comune di ordinare la
rimozione dei collegamenti.
---------------
FATTO
I ricorrenti con concessione edilizia n. 01P14441 prot. n.
17310 del 30.08.2001, hanno ottenuto dal Comune la
possibilità di realizzare in zona agricola un edificio
unifamiliare di circa 600 mc.
Tale facoltà edificatoria è stata ammessa dal piano
regolatore mediante un’apposita previsione nella quale era
previsto un intervento unitario che comprendeva anche il
necessario recupero di un’antica torre colombara denominata
“Lettra”, con l’indicazione che “il rilascio del certificato
di abitabilità per i nuovi volumi è subordinato alla
verifica da parte degli uffici comunali, dell’avvenuto
recupero e risanamento degli antichi edifici”.
I ricorrenti hanno realizzato la nuova unità abitativa, per
la quale hanno chiesto il rilascio del certificato di
abitabilità in data 29.12.2003, e non hanno realizzato
il recupero della torre colombara.
In merito alla richiesta di rilascio del certificato di
agibilità il Comune con nota prot. n. 1306 del 21.01.2004, pervenuta ai ricorrenti il 23.01.2004, ha
dapprima chiesto delle integrazioni documentali
relativamente al nulla osta del gestore del servizio idrico
integrato per l’allaccio al sistema fognario e alla
regolarità dell’impianto radiotelevisivo, che sono state
fornite dai ricorrenti il 04.02.2004.
Infine il Comune, con provvedimento prot. n. 3029 del 12.02.2004, ha comunicato di non poter rilasciare il
certificato di agibilità in quanto non risultava ottemperata
la prescrizione contenuta nello strumento urbanistico che
subordinava il rilascio del certificato all’avvenuto
recupero e risanamento della torre colombara Lettra.
I ricorrenti con istanza del 16.02.2004, hanno
nuovamente chiesto il rilascio del certificato di agibilità,
rappresentando delle ragioni di urgenza e dichiarandosi
disponibili a sottoscrivere una polizza fideiussoria a
garanzia del completamento dei lavori della torre colombara.
Il Comune con nota prot. n. 4584 del 04.03.2004, ha
accolto quest’istanza assegnando un termine di due anni per
il completamento dei lavori e disponendo la necessità di una
polizza fideiussoria per l’importo di € 100.000,00, da
riscuotere in caso di inadempimento.
Tali impegni tuttavia non hanno avuto seguito.
A distanza di alcuni anni, a seguito di un sopralluogo
svolto il 22.02.2010, il Comune ha accertato che
l’edificio risultava utilizzato come abitazione.
Con ordinanze nn. 67 e 68 del 23.03.2010, ha ordinato di
rimuovere gli allacciamenti e di sgomberare i locali per la
mancanza del certificato di agibilità.
Con il ricorso in epigrafe tali ordinanze, unitamente al
diniego di rilascio dell’agibilità, sono impugnate per le
seguenti censure:
I) violazione dell’art. 4 del DPR 22.04.1994, n. 425,
nonché degli artt. 221 e 222 del RD 27.07.1934, n. 1265,
nonché dell’art. 26 del DPR 06.06.2001, n. 380,
travisamento e difetto di motivazione perché il Comune non
ha tenuto conto che il certificato di agibilità deve
ritenersi rilasciato per silenzio assenso, in quanto sono
decorsi i termini di legge tra la data di presentazione
dell’istanza ed il diniego, e comunque perché il Comune non
può negare il rilascio del certificato in presenza dei
requisiti di agibilità;
II) violazione degli artt. 24, 25 e 26 del DPR 06.06.2001, n. 380, nonché degli artt. 221 e 222 del RD 27.07.1934, n. 1265, difetto di motivazione e carenza di
istruttoria perché lo sgombero può essere disposto solo per
la carenza dei requisiti sostanziali di igiene, salubrità e
sicurezza che nel caso all’esame sussistono;
III) erronea applicazione dell’art. 24 del DPR 06.06.2001, n. 380, e dell’art. 222 del RD 27.07.1934, n.
1265, difetto di istruttoria e travisamento perché lo
sgombero dell’edificio non può essere impropriamente
utilizzato per una finalità sanzionatoria;
IV) sviamento, difetto di motivazione e difetto di
presupposto perché l’ordine non è rivolto a tutti gli
occupanti dell’immobile, ma solo all’intestatario del titolo
edilizio;
V) difetto di motivazione e violazione del principio
dell’affidamento per il lunghissimo lasso di tempo
intercorso e per la circostanza che, a seguito di un
precedente sopralluogo del 2007, l’Amministrazione non ha
assunto alcun provvedimento;
VI) contraddittorietà, perché l’Amministrazione
successivamente al diniego del certificato di agibilità ha
manifestato la disponibilità a rilasciarlo;
VII) difetto di istruttoria e di motivazione perché non
risulta svolto un accertamento circa l’avvenuto recupero o
meno della torre colombara;
VII) travisamento, contraddittorietà, perplessità e carenza
di istruttoria perché dal verbale del sopralluogo del 2010,
non emerge con chiarezza né se la situazione sia o meno
cambiata rispetto al sopralluogo del 2007, né se l’edificio
sia effettivamente abitato, in quanto risulta solo che la
taverna è occupata;
IX) violazione, relativamente all’ordinanza che ha disposto
il distacco dei collegamenti, dell’art. 48 del DPR 06.06.2001, n. 380, e dell’art. 9 del DM 22.01.2008, n. 37,
perché tali norme non ammettono l’adozione di un ordine di
sgombero, ma adempimenti a carico di soggetti diversi dal
Comune;
X) violazione dell’art. 7 della legge 07.08.1990, n. 241,
perché, ove si ammetta che il certificato di agibilità si è
formato per silenzio assenso, l’atto impugnato deve essere
qualificato come un provvedimento in autotutela, adottato in
mancanza della previa acquisizione dell’apporto
procedimentale dell’interessato.
Si è costituito in giudizio il comune di Malo concludendo
per la reiezione del ricorso.
Con ordinanza n. 426 del 01.07.2010, è stata accolta la
domanda cautelare.
Alla pubblica udienza del 26.10.2016, in prossimità
della quale le parti hanno depositato memorie a sostegno
delle proprie difese, la causa è stata trattenuta in
decisone.
DIRITTO
1. Preliminarmente deve essere dichiarata l’irricevibilità
delle censure contenute nell’ambito del primo motivo volte a
contestare il provvedimento prot. n. 3029 del 12.02.2004, con il quale è stato negato il rilascio del
certificato di agibilità, perché proposte tardivamente per
la prima volta a distanza di anni con il ricorso in
epigrafe.
Le censure contenute nel primo motivo e nel decimo motivo,
con le quali i ricorrenti sostengono che il certificato di
agibilità deve ritenersi rilasciato per silenzio-assenso,
sono infondate e devono essere respinte.
Infatti, come è chiarito dalla documentazione versata in
atti, il termine per la formazione del silenzio-assenso è
stato interrotto a seguito della richiesta di integrazione
documentale effettuata con nota prot. n. 1306 del 21.01.2004, pervenuta ai ricorrenti il 23.01.2004, e alla
quale gli stessi hanno risposto il 04.02.2004, e ciò
impedisce il decorso del termine necessario per la
formazione del silenzio-assenso.
2. Tenuto conto dell’assoluta peculiarità della fattispecie
all’esame, si rivelano fondate le assorbenti censure di cui
al secondo, terzo e nono motivo.
I provvedimenti del Comune muovono dal presupposto secondo
il quale la mancanza del certificato di agibilità comporta
quale necessaria ed inderogabile conseguenza l’obbligo per
il Comune di adottare l’ordine di sgombero dell’immobile.
Tale premessa non può essere condivisa e la giurisprudenza
alla quale si richiama il Comune nelle memorie e in sede di
trattazione orale è inconferente, perché riguarda
fattispecie nelle quali era impugnato il diniego di rilascio
del certificato di agibilità e non, come nel caso all’esame,
un’ordinanza di sgombero di un’abitazione, o fattispecie
nelle quali gli obblighi assunti dal privato il cui
adempimento era condizione per il rilascio del certificato
di agibilità, erano stati assunti nell’ambito di una
convenzione che invece nel caso all’esame non è stata
stipulata, o ancora fattispecie nelle quali la mancanza del
certificato di agibilità si accompagnava alla carenza dei
requisiti sostanziali per il suo rilascio, che nel caso
all’esame non sono contestati dal Comune.
Come dedotto nel ricorso, in tale materia è opportuno
distinguere tra la mancanza dell’agibilità, e la mancanza
del certificato di agibilità, che operano su piani diversi,
sostanziale l’uno, e formale l’altro (cfr. Tar Campania,
Napoli, Sez. III, 18.01.2011, n. 275).
L’ordinanza di sgombero si giustifica senz’altro, ai sensi
dell’art. 222, del RD 27.07.1934, n. 1265, per la
mancanza dei requisiti sostanziali prescritti dalle norme
tecniche in materia di sicurezza, salubrità ed igiene, e
prescinde dalla presenza o meno del certificato, che ha la
funzione solo di attestare il possesso di tali requisiti, ma
che, anche se presente, non è ostativo all’adozione di
un’ordinanza di sgombero come chiarito dall’art. 26 del DPR
06.06.2001, n. 280, secondo il quale “il rilascio del
certificato di agibilità non impedisce l’esercizio del
potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di
parte di esso ai sensi dell’articolo 222 del regio decreto
27.07.1934, n. 1265”.
Va pertanto valutato quando la mancanza del certificato è
dovuta a motivi formali o quando è dovuta alla carenza
sostanziale dei requisiti di agibilità, perché solo nel
secondo caso è sempre giustificata un’ordinanza di sgombero.
La peculiarità della controversia all’esame è dovuta alla
circostanza che non vi è alcuna contestazione circa la
mancanza dei requisiti sostanziali di agibilità
dell’immobile, ma è contestato quale unico elemento ostativo
al rilascio del certificato la previsione dello strumento
urbanistico che lo subordina al recupero della torre
colombara che non è stato ancora effettuato dai ricorrenti.
Ritiene il Collegio che fino a che sarà vigente tale
previsione dello strumento urbanistico non possa
effettivamente essere legittimamente rilasciato il
certificato di agibilità, ma che al contempo, nel caso di
occupazione dell’immobile legittimamente costruito in
conformità a quanto previsto dal piano regolatore, nel caso
di specie ciò non giustifichi di per sé l’adozione di
un’ordinanza di sgombero in presenza dei presupposti
sostanziali di agibilità.
Deve infatti essere considerato che allo stato attuale non
vi è una norma che disciplini espressamente le conseguenze
della mancanza, sul piano formale, del certificato di
agibilità, posto che l’art. 221, secondo comma, del regio
decreto 27.07.1934, n. 1265, che puniva con una sanzione
pecuniaria il mancato possesso del certificato, è stato
abrogato a decorrere dal 30.06.2003, dall’articolo 136,
comma 2, lettera a), del DPR 06.06.2001, n. 380, senza
essere sostituito da una norma dello stesso tenore (l’art.
24, comma 3, del DPR 06.06.2001, n. 380, sanziona la
mancata presentazione dell’istanza), ed anche il primo
comma, il quale dispone che gli edifici o le parti di essi
di nuova costruzione non possono essere abitati senza la
previa autorizzazione dell'Autorità comunale, a giudizio del
Collegio, deve essere interpretato tenendo conto della
finalità che gli è propria di tutela, in senso sostanziale,
della salute e dell'incolumità della collettività.
Ne discende che nel caso di specie il Comune non può
ordinare lo sgombero dell’abitazione in presenza dei
presupposti sostanziali di agibilità, perché le peculiarità
della fattispecie la fanno ritenere maggiormente
assimilabile a quegli edifici privi di certificato già
esistenti alla data di entrata in vigore del DPR 06.06.2001, n. 380, per i quali non siano state eseguite le
tipologie di interventi edilizi indicate all’art. 24, comma
2, che comportano l’obbligo di acquisire il certificato, o a
quegli edifici per i quali, pur essendo obbligatorio il
possesso del certificato, questo manchi per inerzia degli
interessati, che non lo hanno chiesto, o per il diniego del
Comune motivato con riferimento ad incompletezze di
carattere istruttorio, ma che in ogni caso sono in possesso
dei requisiti sostanziali di agibilità; poiché si tratta, in
questi casi, di ipotesi regolarizzabili sul piano formale,
un’ordinanza di sgombero risulterebbe non giustificata.
E’ evidente che in tal modo il Comune rimane privo di un
efficace strumento per ottenere dai ricorrenti l’adempimento
dell’obbligo di recuperare la torre colombara previsto dallo
strumento urbanistico, che è l’interesse primario dallo
stesso perseguito con l’adozione della variante al piano
regolatore, ma tale conseguenza è addebitabile alla condotta
non sufficientemente prudente della stessa Amministrazione
comunale che non ha predisposto gli strumenti giuridici
necessari da utilizzare in caso di inadempimento, omettendo
di trasfondere la previsione dello strumento urbanistico in
un atto convenzionale di cui poter chiedere eventualmente
l’adempimento, omettendo di prevedere una penale o una
polizza fiudeiussoria a garanzia dell’adempimento, ritenendo
successivamente di poter sostituire lo stesso divieto di
rilascio del certificato previsto dallo strumento
urbanistico mediante la previsione di una polizza
fideiussoria che non è stata stipulata dai ricorrenti, ed
infine lasciando trascorrere diversi anni tollerando di
fatto sia l’inadempimento che l’utilizzo dell’immobile, con
la conseguenza che non appare legittimo ora ovviare a tali
mancanze utilizzando l’ordine di sgombero dell’immobile e di
rimozione dei collegamenti dei servizi pubblici alla rete
come una sanzione indiretta di carattere afflittivo volta a
perseguire non la mancanza dei requisiti sostanziali di
agibilità, ma l’inadempimento di un obbligo.
Ne consegue che per le censure di cui al secondo e terzo
motivo del ricorso, che hanno carattere assorbente, deve
essere annullata l’ordinanza di sgombero e, in accoglimento
del nono motivo, deve essere annullata anche l’ordinanza che
ha disposto la rimozione dei collegamenti, perché è motivata
con riferimento al DM 22.01.2008, n. 37, che prevede
che l’agibilità venga rilasciata sulla base della
dichiarazione di conformità degli impianti resa dall’impresa
installatrice, e con riferimento all’art. 48 del DPR 06.06.2001, n. 380, che ha uno specifico ambito di
applicazione riferito alle aziende erogatrici dei servizi
pubblici ponendo obblighi sulle stesse, atteso che si tratta
di norme che non prevedono un potere in capo al Comune di
ordinare la rimozione dei collegamenti
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 25.11.2016 n. 1299 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
All'epoca di
costruzione del manufatto operavano gli articoli 220 e 221
R.D. n. 1265/1934, a mente dei quali erano assoggettati a
certificato di abitabilità solamente i fabbricati urbani o
rurali destinati a essere abitati, mentre non lo erano i
locali, quale quello di cui qui si discute, destinati al
ricovero di animali.
Solo successivamente è stato introdotto, sia a livello
statale, sia a livello regionale, l’obbligo di dotare tutti
gli edifici, qualunque ne sia la destinazione d’uso, del
certificato di agibilità.
Si tratta indubbiamente di un obbligo nuovo, come si evince
chiaramente dalla scelta del legislatore di utilizzare il
più ampio termine “agibilità” in luogo di quello di
“abitabilità”, che per definizione si adatta solamente ai
luoghi destinati a ospitare gli uomini.
E si tratta di un obbligo che non opera retroattivamente, ma
che, al contrario vale esclusivamente per gli edifici nuovi
o per quelli che subiscono delle modifiche tali da
giustificare una verifica delle relative condizioni di
sicurezza, di igiene, di salubrità e di risparmio
energetico, come del resto precisato dall’articolo 24, comma
2, D.P.R. n. 380/2001.
Sicché, in conclusione, gli edifici preesistenti e non
destinati all’uso abitativo, fino a quando non mutano la
propria destinazione ovvero non sono modificati, non sono
tenuti ad ottenere detto certificato.
---------------
E’ di contro fondato il quarto motivo di
impugnazione.
Stabilisce, infatti, l’articolo 45, comma 2, L.R. F.V.G. n.
19/2009 che in caso di intervento edilizio realizzato in
assenza di permesso di costruire, in difformità da esso o
con variazioni essenziali l’Autorità può applicare la
sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria quando
ricorra anche una sola delle seguenti condizioni:
a) che l’intervento risalga a prima della L. n. 765/1967
ovvero sia stato eseguito in conseguenza di calamità
naturali per le quali è stato dichiarato lo stato di
emergenza;
b) che gli immobili siano conformi alla disciplina
urbanistica vigente o a quella vigente al momento
dell’intervento edilizio e poi non siano più stati
modificati;
c) che gli immobili siano in possesso del certificato di
abitabilità o agibilità ovvero siano in regola, nello stato
di fatto in cui si trovano all’atto dell’accertamento, con
le leggi di settore applicabili, nonché con gli obblighi di
natura fiscale e tributaria.
Ora risulta per tabulas che la costruzione del
fabbricato a uso ricovero animali sia stato a suo tempo
assentito perché conforme alla disciplina urbanistica allora
vigente e non risulta che il mappale sul quale è stato
realizzato il fabbricato avesse una diversa qualificazione,
né risulta che nelle more sia stato sottoposto a modifiche.
Sicché paiono integrati i presupposti di cui alla
surrichiamata lettera b) del comma 2 dell’articolo 45 della
L.R. F.V.G. n. 19/2009.
Né, d’altro canto, la difesa del Comune, per contrastare la
domanda risarcitoria formulata dal ricorrente, ha sostenuto
che l’attuale disciplina urbanistica non consenta di
realizzare esattamente ove ora si trova un fabbricato
analogo a quello per cui è causa. Sicché anche per questa
via risulta soddisfatta la condizione posta dalla precitata
lettera b).
Il che di per sé è sufficiente per poter applicare nel caso
in esame la sanzione pecuniaria in luogo di quella
demolitoria, ponendosi come alternative le ipotesi enucleate
al comma 2 dell’articolo 45 della L.R. F.V.G. n. 19/2009.
Nondimeno, poiché la questione è oggetto di specifica
censura da parte del ricorrente, va osservato come nella
fattispecie concreta risulti integrata pure l’ipotesi sub
lettera c) del comma 2 dell’articolo 45 della L.R. F.V.G. n.
19/2009.
Il ricorrente non nega di non aver mai richiesto il rilascio
del certificato di abitabilità per l’immobile de quo.
E, tuttavia, il Collegio concorda che quando esso venne
costruito non vi fosse un obbligo di verifica di salubrità
dei locali.
Vero è, infatti, che all’epoca operavano gli articoli 220 e
221 R.D. n. 1265/1934, a mente dei quali erano assoggettati
a certificato di abitabilità solamente i fabbricati urbani o
rurali destinati a essere abitati, mentre non lo erano i
locali, quale quello di cui qui si discute, destinati al
ricovero di animali. Solo successivamente è stato
introdotto, sia a livello statale, sia a livello regionale,
l’obbligo di dotare tutti gli edifici, qualunque ne sia la
destinazione d’uso, del certificato di agibilità.
Si tratta indubbiamente di un obbligo nuovo, come si evince
chiaramente dalla scelta del legislatore di utilizzare il
più ampio termine “agibilità” in luogo di quello di “abitabilità”,
che per definizione si adatta solamente ai luoghi destinati
a ospitare gli uomini.
E si tratta di un obbligo che non opera retroattivamente, ma
che, al contrario vale esclusivamente per gli edifici nuovi
o per quelli che subiscono delle modifiche tali da
giustificare una verifica delle relative condizioni di
sicurezza, di igiene, di salubrità e di risparmio
energetico, come del resto precisato dall’articolo 24, comma
2, D.P.R. n. 380/2001.
Sicché, in conclusione, gli edifici, quali quelli del signor
Ba., preesistenti e non destinati all’uso abitativo, fino a
quando non mutano la propria destinazione ovvero non sono
modificati, non sono tenuti ad ottenere detto certificato
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 03.11.2016 n. 497 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il fabbricato per cui è causa è privo
del certificato di abitabilità/agibilità in quanto mai
richiesto. Invero, deve considerarsi che detto fabbricato
risale al 1973.
Ora, all’epoca operavano gli articoli 220 e 221 R.D. n.
1265/1934, a mente dei quali erano assoggettati a
certificato di abitabilità solamente i fabbricati urbani o
rurali destinati a essere abitati, mentre non lo erano i
locali destinati al ricovero di animali. Solo
successivamente è stato introdotto, sia a livello statale,
sia a livello regionale, l’obbligo di dotare tutti gli
edifici, qualunque ne sia la destinazione d’uso, del
certificato di agibilità.
Si tratta indubbiamente di un obbligo nuovo, come si evince
chiaramente dalla scelta del legislatore di utilizzare il
più ampio termine “agibilità” in luogo di quello di
“abitabilità”, che per definizione si adatta solamente ai
luoghi destinati a ospitare gli uomini.
E si tratta di un obbligo che non opera retroattivamente, ma
che, al contrario vale esclusivamente per gli edifici nuovi
o per quelli che subiscono delle modifiche tali da
giustificare una verifica delle relative condizioni di
sicurezza, di igiene, di salubrità e di risparmio
energetico, come del resto precisato dall’articolo 24, comma
2, D.P.R. n. 380/2001.
Sicché, in conclusione, gli edifici, preesistenti e non
destinati all’uso abitativo, fino a quando non mutano la
propria destinazione ovvero non sono modificati, non sono
tenuti ad ottenere detto certificato. Viceversa, era ed è
obbligo del ricorrente, una volta mutata la destinazione
d’uso del proprio fabbricato in ricettivo-agrituristica,
chiedere e ottenere il certificato di agibilità.
---------------
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio il signor
Gi.De.Ba. agisce per l’ottemperanza della sentenza di questo
Tribunale n. 698/2010, divenuta definitiva, e per il
risarcimento del danno patito.
Con la precitata pronuncia è stata annullata la nota del
Sindaco del Comune di Pinzano al Tagliamento contenente il
parere contrario alla modifica della destinazione d’uso -da
rurale ad attività ricettivo-agrituristica– del fabbricato
di proprietà dell’odierno ricorrente, per contrarietà alle
misure di salvaguardia del Piano stralcio per la sicurezza
idraulica del medio e basso corso del Fiume Tagliamento
adottato dall’Autorità di Bacino.
L’annullamento giudiziale è intervenuto per un duplice
ordine di ragioni, e precisamente:
- perché la delibera di adozione del su richiamato Piano
stralcio era stata nelle more annullata dal Tribunale
Superiore delle Acque;
- perché le misure di salvaguardia del Piano non vietavano
ogni intervento edilizio, in particolare non vietavano gli
interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di
restauro o di risanamento conservativo, di ristrutturazione
edilizia (esclusa la demolizione costruzione) senza aumento
di superficie coperta e di volume dei fabbricati esistenti.
Il Comune resistente si oppone alle domande avversarie
evidenziando l’abusività del fabbricato di controparte, per
il quale, infatti, è stata adottata ordinanza-ingiunzione di
demolizione.
Su tale specifico punto, il Collegio deve dare atto che
questo Giudice con decisione assunta nella medesima camera
di Consiglio e in corso di pubblicazione, in accoglimento di
due distinti ricorsi promossi dal signor Ba., ha annullato
il summenzionato provvedimento sanzionatorio.
Con questa precisazione il ricorso è fondato nei termini che
si vanno a indicare.
Quanto alla domanda di ottemperanza, verificato che
risultano sussistere tutti presupposti di cui agli articoli
112 e ss. Cod. proc. amm., si ordina al Comune di Pinzano al
Tagliamento di dare esecuzione alla sentenza di questo
Tribunale n. 698/2010, provvedendo sulla domanda il cambio
di destinazione d’uso da rurale ad attività
ricettivo-agrituristica del fabbricato di proprietà del
ricorrente, nel termine di giorni 30 (trenta) decorrente
dalla comunicazione in via amministrativa della presente
decisione, ovvero dalla sua notificazione a cura di parte se
anteriore.
Per il caso di perdurante inerzia dell’Amministrazione
comunale oltre il prefissato termine, si nomina sin da ora,
ai sensi dell’articolo 114, comma 4, lettera d), Cod. proc.
amm., il commissario ad acta, designandolo nella
persona del dirigente del settore pianificazione del
territorio del Comune di Pordenone, o di altro dipendente
del medesimo Comune di Pordenone con qualifica non inferiore
a quella di funzionario, da lui delegato, affinché compia
–previa sollecitazione di parte- nel termine di giorni 30
(trenta), decorrente dalla suddetta sollecitazione, tutti
gli atti necessari in luogo del Comune di Pinzano al
Tagliamento, con riserva di liquidazione del compenso –a
carico del bilancio dell’Amministrazione inottemperante- in
esito alla presentazione, da parte del medesimo commissario,
di un’istanza che documenti l’attività espletata.
Quanto alla domanda risarcitoria, va preliminarmente
delibata l’eccezione di prescrizione, sollevata dalla difesa
di parte resistente con riguardo ai danni verificatisi
anteriormente al 27.09.2006, ovverosia anteriormente al
quinquennio ex articolo 2947, comma 1, Cod. civ., decorrente
dal perfezionamento per il Comune resistente del ricorso
introduttivo del presente giudizio.
Ora, costituisce approdo oramai consolidato della
giurisprudenza, anche di questo Tribunale amministrativo (cfr.
sentenza n. 526/2015) la sussunzione della responsabilità
della pubblica Amministrazione per atto amministrativo
illegittimo nel paradigma della responsabilità
extracontrattuale ex articolo 2043 Cod. civ., con il
conseguente assoggettamento della tutela risarcitoria al
corrispondente regime civilistico.
Quanto al termine di proposizione dell’azione, nel caso di
specie, essendo l’atto generatore del danno (i.e.
l’atto amministrativo illegittimo) e l’introduzione del
relativo giudizio caducatorio anteriori all’entrata in
vigore del nuovo Codice di rito, l’azione di risarcimento
del danno, ancorché proposta ai sensi del D.Lgs. n.
104/2010, non è assoggettata al termine decadenziale di 120
giorni, ma a quello di prescrizione di 5 anni (cfr., C.d.S.,
Ad. pl., sentenza n. 6/2015).
Con il superamento della teoria della pregiudiziale
amministrativa, non risultando più necessario l’annullamento
dell’atto presupposto per ottenere il risarcimento del
danno, il dies a quo del termine prescrizionale
coincide con la data di adozione del provvedimento
amministrativo o –ove diversa– dalla data nella quale questo
ha prodotto effetti nella sfera giuridica del destinatario (cfr.
TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza n. 66/2016).
Detto termine, ai sensi degli articoli 2943 e 2945 Cod. civ.,
è, tuttavia, interrotto con la proposizione dell’azione di
annullamento avanti al Giudice amministrativo, in quanto
manifestazione della volontà del destinatario di reagire
alla lesione subita, e rimane sospeso per tutta la durata
del giudizio, tornando a decorrere dal passaggio in
giudicato della sentenza (cfr., TAR Lombardia–Milano, Sez.
I, sentenza n. 679/2014; C.d.S., Sez. IV, sentenza n.
2856/2014).
Orbene, risulta per tabulas che il diniego di cambio
di destinazione d’uso reca la data del 21.09.1998; che
l’atto lesivo è stato tempestivamente impugnato nel termine
decadenziale di 60 giorni; che in data 14.10.2010 è stata
depositata la sentenza di annullamento; che il ricorso
introduttivo del presente giudizio risarcitorio è stato
portato dal ricorrente alla notifica in data 26.09.2011.
Pertanto, non si è maturata alcuna prescrizione del
risarcimento dei nocumenti arrecati al signor Ba. dal
suddetto diniego.
Nondimeno, l’accoglimento della domanda risarcitoria passa
necessariamente per la prova da parte di colui che si assume
danneggiato dall’azione della pubblica Amministrazione della
ricorrenza nel caso di specie di tutti gli elementi
costitutivi dell’illecito aquiliano, e segnatamente del
danno ingiusto, dell’elemento soggettivo in capo all’assunto
danneggiante e del nesso di causalità tra la condotta del
danneggiante e il nocumento patito dal danneggiato (cfr.,
TAR Piemonte, Sez. I, sentenza n. 411/2014; C.d.S., Sez. III,
sentenza n. 3707/2015).
L’illegittimità dell’atto amministrativo non è più in
discussione in quanto definitivamente accertata con la
sentenza di cui qui si chiede l’ottemperanza.
Con riguardo all’elemento soggettivo, va precisato che esso
–al di fuori delle cause che hanno a oggetto procedure per
l’affidamento di pubblici appalti– non è assorbito nella
illegittimità dell’atto medesimo, ma consiste nella colpa o
nel dolo dell’Amministrazione procedente (cfr., C.d.S., Sez.
VI, sentenza n. 1099/2015).
In particolare, l’elemento soggettivo dell’illecito
aquiliano risulta integrato quando l’adozione e l’esecuzione
dell’atto amministrativo sia avvenuta in violazione delle
regole di imparzialità, di correttezza e di buona fede alle
quali l’esercizio della funzione deve costantemente
ispirarsi. Cosicché la responsabilità della Amministrazione
può essere affermata solamente quando la violazione risulti
grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in
un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da
palesare la negligenza e l’imperizia nell’assunzione del
provvedimento viziato. Al contrario, la suddetta
responsabilità va esclusa laddove sia ravvisabile un errore
scusabile per via di un contrasto giurisprudenziale, della
complessità della vicenda fattuale, per l’incertezza o la
novità della normativa da applicarsi (cfr., C.d.S., Sez. III,
sentenza n. 1272/2015).
Ebbene, nessuna delle suvviste esimenti ricorre nel caso di
specie.
Vero è, infatti, che, come risulta documentalmente,
l’Amministrazione comunale si fosse inizialmente pronunciata
favorevolmente rispetto al progettato cambio di destinazione
d’uso per cui è causa, e che il successivo mutamento di
posizione non fosse affatto giustificato dalle sopravvenute
misure di salvaguardia del Piano stralcio di tutela
idraulica, il quale non vietava qualsivoglia intervento
edilizio, ma solamente quelli di nuova edificazione e quelli
sui fabbricati esistenti che comportavano l’aumento della
superficie coperta e del volume.
La ricostruzione fattuale emergente dalla stessa sentenza
che qui si chiede di ottemperare, evidenzia come sarebbe
stata sufficiente un’ordinaria attività istruttoria per
concludere il procedimento con un provvedimento coerente con
la disciplina posta, sia pure provvisoriamente, dal Piano
urbanistico sovraordinato. Non richiedeva, infatti, una
complessa attività di accertamento la verifica se il cambio
di destinazione d’uso progettato dal signor Ba. comportasse
o meno l’aumento della superficie coperta e del volume, così
come non richiedeva una difficile attività di ricostruzione
ermeneutica l’apprezzamento che il Piano stralcio dettava
una disciplina differenziata per gli interventi edilizi sui
fabbricati esistenti a seconda, per l’appunto, che
comportassero o meno l’aumento della superficie coperta e
del volume.
E la leggerezza del Comune è ancora più grave se si
considera che nel frattempo l’interessato aveva ottenuto un
finanziamento pubblico per realizzare l’intervento, che il
diniego di cambio di destinazione d’uso ostava alla
conservazione di detto beneficio, e che di tanto
l’Amministrazione era informata. Anzi, risulta
documentalmente che lo stesso Ente regionale deputato
all’erogazione del contributo, proprio al fine di evitare la
decadenza dal beneficio, sollecitava l’Ente comunale a
verificare se l’intervento progettato dal signor Ba. non
rientrassi tra quelli esclusi dal vincolo del Piano di
sicurezza idraulica, senza che –a quanto consta– il Comune
di Pinzano al Tagliamento si sia peritato di verificare la
circostanza.
Né certo esime il Comune da responsabilità la circostanza,
particolarmente valorizzata dalla difesa di parte
resistente, che il fabbricato per cui è causa fosse privo
del certificato di abitabilità/agibilità in quanto mai
richiesto.
Deve, infatti, considerarsi che detto fabbricato risale al
1973.
Ora, all’epoca operavano gli articoli 220 e 221 R.D. n.
1265/1934, a mente dei quali erano assoggettati a
certificato di abitabilità solamente i fabbricati urbani o
rurali destinati a essere abitati, mentre non lo erano i
locali destinati al ricovero di animali. Solo
successivamente è stato introdotto, sia a livello statale,
sia a livello regionale, l’obbligo di dotare tutti gli
edifici, qualunque ne sia la destinazione d’uso, del
certificato di agibilità.
Si tratta indubbiamente di un obbligo nuovo, come si evince
chiaramente dalla scelta del legislatore di utilizzare il
più ampio termine “agibilità” in luogo di quello di “abitabilità”,
che per definizione si adatta solamente ai luoghi destinati
a ospitare gli uomini.
E si tratta di un obbligo che non opera retroattivamente, ma
che, al contrario vale esclusivamente per gli edifici nuovi
o per quelli che subiscono delle modifiche tali da
giustificare una verifica delle relative condizioni di
sicurezza, di igiene, di salubrità e di risparmio
energetico, come del resto precisato dall’articolo 24, comma
2, D.P.R. n. 380/2001.
Sicché, in conclusione, gli edifici, quali quelli del signor
Ba., preesistenti e non destinati all’uso abitativo, fino a
quando non mutano la propria destinazione ovvero non sono
modificati, non sono tenuti ad ottenere detto certificato.
Viceversa, era ed è obbligo del ricorrente, una volta mutata
la destinazione d’uso del proprio fabbricato in
ricettivo-agrituristica, chiedere e ottenere il certificato
di agibilità.
Procedendo, pertanto, nella disamina degli elementi
costitutivi dell’illecito aquiliano, va ricordato che il
nesso di causalità tra condotta e evento è regolato dagli
articoli 40 e 41 Cod. pen., in forza dei quali esso sussiste
se, ferme restando le altre condizioni, l’evento non si
sarebbe verificato in assenza della condotta illecita (cd.
teoria della condicio sine qua non), e sempre che,
con una valutazione ex ante, l’evento non appaia una
conseguenza del tutto inverosimile della condotta medesima
(cd. teoria della causalità adeguata).
Una volta accertata la sussistenza del nesso di causalità,
non tutti i danni prodotti dalla condotta illecita sono
risarcibili, ma solamente le perdite subite e i guadagni non
realizzati che, ai sensi del combinato disposto degli
articoli 2056 e 1223 Cod. civ., costituiscono conseguenza
diretta e immediata dell’illecito, ovverosia quelli che non
appaiono del tutto inverosimili, così come richiesto dalla
cosiddetta teoria della causalità adeguata o della
regolarità causale (cfr., ex plurimis, Cass. civ.,
Sez. III, sentenza n. 21086/2015) (TAR Friuli Venezia
Giulia,
sentenza 03.11.2016 n. 496 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
conformità dei manufatti alle norme urbanistico edilizie
costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo
rilascio del certificato di agibilità come si evince dagli
artt. 24, comma 3, del DPR n. 380/2001 e 35, comma 20, della
Legge n. 47/1985, in quanto, ancor prima della logica
giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere
utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non
conforme alla normativa urbanistico edilizia e, come tale,
in potenziale contrasto con la tutela del fascio di
interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è
preordinata.
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3.5 Nessun pregio, infine, può attribuirsi all’ultimo
rilievo con cui le parti ricorrenti in entrambi i giudizi
affermano che la destinazione d’uso pubblico del porticato
non costituisce vincolo d’inedificabilità assoluta, ma ha
natura pattizia: proprio per questo –cioè che il vincolo ha
carattere contrattuale e che giammai il Comune ha prestato
il proprio consenso a modificare l’originaria determinazione
negoziale– il vincolo esiste tutt’ora e va rispettato.
4.- Dalla testé riscontrata infondatezza dei proposti
gravami deriva, come si è innanzi anticipato, l’infondatezza
della domanda contenuta nel ricorso Rg. n. 2619/2015: la
conformità dei manufatti alle norme urbanistico edilizie
costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo
rilascio del certificato di agibilità come si evince dagli
artt. 24, comma 3, del DPR n. 380/2001 e 35, comma 20, della
Legge n. 47/1985, in quanto, ancor prima della logica
giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere
utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non
conforme alla normativa urbanistico edilizia e, come tale,
in potenziale contrasto con la tutela del fascio di
interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è
preordinata (TAR Campania, Napoli, VIII, 07.04.2016, n. 1767
cit.).
Pertanto correttamente l’Ente, dopo aver provveduto a
legittimare dal punto di vista edilizio le opere di chiusura
di parte di porticato e di cambio di destinazione d’uso del
piano terra, ha rivisto la pregressa attività amministrativa
come culminata nell’adozione di titoli in sanatoria
rilasciati in violazione del vincolo di destinazione ad uso
pubblico dei porticati; a nulla rileva, poi, che la
realizzazione dei porticati sia stata scomputata dagli oneri
d’urbanizzazione, atteso che si trattava di aree destinate
alla collettività quali sono risultate quasi dimezzate
dall’avanzamento del fronte edificato (TAR Campania-Napoli,
Sez. II,
sentenza 17.10.2016 n. 4737 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Via
l’agibilità, arriva la segnalazione del tecnico. Commercio
ed edilizia. In approvazione il correttivo al decreto
126/2016 sulla Scia: la responsabilità si sposta sul
professionista.
Secondo atto in
materia di semplificazione, con uno schema di decreto
legislativo approvato dal Consiglio dei ministri e inviato
l’11 luglio alla Conferenza unificata (Atto
del Governo n. 322 - Schema di decreto
legislativo recante individuazione di procedimenti oggetto
di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio
attività (SCIA), silenzio-assenso e comunicazione e
definizione dei regimi amministrativi applicabili a
determinate attività e procedimenti), per poi passare
alle Commissioni delle Camere e giungere al traguardo in
prevedibili 90 giorni. Si tratta di una voluminosa serie di
precisazioni rispetto al pur recentissimo decreto
legislativo 126, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 162
del 13 luglio scorso, che ha chiarito il meccanismo della
Scia.
Lo schema del nuovo decreto legislativo specifica, nei
settori del commercio e dell’edilizia, i casi nei quali è
necessaria un’autorizzazione espressa, quelli cui basta una
comunicazione preventiva, e anche i procedimenti per i quali
non vi è necessità di alcuna comunicazione ad uffici
pubblici.
Nel recente decreto legislativo 126/2016 sono contenute
precisazioni sulla Scia, segnalazione che consente l’inizio
immediato dell’attività (anche se sono necessari pareri o
attestazioni di altre amministrazioni). In particolare, una
Scia imperfetta genera l’onere per l’amministrazione di
sospendere, entro 60 giorni, l’attività (nel frattempo
iniziata).
Insieme alla sospensione dell’attività, l’ amministrazione
deve prescrivere le misure necessarie per rettificare le
irregolarità, rettifica da effettuare –a bocce ferme, quindi
con attività sospesa- entro un termine non inferiore a 30
giorni. Proprio l’esistenza di tempi ristretti per
controllare le Scia, le autorizzazioni e le stesse attività
“libere” rendono opportuna un’ampia tabella, appunto
allegata allo schema di decreto legislativo, dove si
elencano circa 200 attività commerciali ed edili, con i
relativi titoli necessari ed i riferimenti normativi.
Per esempio, che vuole vendere prodotti mediante apparecchi
automatici in un esercizio di vicinato di tipo alimentare,
saprà con precisione di dover effettuare una “Scia unica”
a norma dei decreti legislativi 59 del 2010 (articolo 65,
comma 1) e 114 del 1998 (articoli 7, 8, 9 e 17, comma 4),
con i relativi tempi di reazione da parte del Comune.
Poiché lo Stato, in questo modo, individua un «livello
essenziale» delle prestazioni erogate da pubbliche
amministrazioni, le norme del futuro decreto legislativo
prevarranno su eventuali più severe norme regionali e
locali, in caso di conflitto. Tale prevalenza si estenderà
anche ad un glossario unico nazionale, cioè un vocabolario
delle definizioni e dei titoli giuridici necessari per ogni
intervento.
Due importanti modifiche riguardano l’attuazione delle
singole attività edilizia e la pianificazione nei centri
storici. Sarà sostituito il certificato di agibilità delle
residenze, atto finale dell’attività edilizia, che si
prevede di sostituire con una segnalazione a firma del
tecnico abilitato, con evidente snellimento di procedure e
traslazione di responsabilità.
Nei centri storici, con ampliamento delle previsioni del
codice dei beni culturali (Dlgs 42/2004), i comuni potranno
vietare o subordinare ad autorizzazioni (anche contenenti
prescrizioni) le attività commerciali ritenute non
compatibili con le esigenze di tutela e valorizzazione del
patrimonio culturale (lavanderie, kebab e simili). In tal
modo si legittima l’ente locale adottare provvedimenti di
pianificazione locale per esigenze culturali, storico
artistiche e paesaggistiche, superando le vigenti norme
difficilmente consentono di raggiungere lo stesso risultato
basandosi su esigenze di ordine pubblico
(articolo
Il Sole 24 Ore del 17.07.2016). |
EDILIZIA PRIVATA:
Edilizia, meno lacci nei lavori.
Agibilità, basta la segnalazione. Piccoli interventi liberi.
Lo schema di decreto che attua la legge 124/2015 approvato
dal consiglio dei ministri.
Pratiche edilizie in outsourcing.
Con le segnalazioni certificate si sposta sul privato
l'onere di verificare la regolarità edilizia e l'agibilità
degli edifici.
Questa la direzione in cui si muove il
decreto legislativo attuativo della legge 124/2015,
esaminato in via preliminare dal consiglio dei ministri del
15.06.2016, che si occupa anche di titoli edilizi, mandando
in soffitta la denuncia di inizio attività alternativa al
permesso di costruire.
Il decreto dice addio anche al certificato di agibilità,
sostituito dalla segnalazione certificata di agibilità.
Vediamo le principali modifiche al Testo Unico dell'Edilizia
(dpr 380/2001).
OPERE LIBERE
Si amplia l'elenco delle attività non assoggettate al
rilascio di un titolo edilizio. Per effetto del decreto
rientrano nell'attività edilizia libera (prima erano
soggette a Comunicazione di inizio lavori) le opere precarie
destinate a sopperire a necessità fino a 90 giorni; la
pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per
aree di sosta; la realizzazione di intercapedini interamente
interrate e non accessibili, vasche di raccolta delle acque,
locali tombati; i pannelli solari, fotovoltaici, a servizio
degli edifici, da realizzare al di fuori dei centri storici;
aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo
delle aree pertinenziali degli edifici.
TITOLI EDILIZI
La comunicazione di inizio lavori (Cil) diventa «Comunicazione
di inizio lavori asseverata» e riguarda, per differenza,
tutte le opere escluse da quelle libere (articolo 6) e
quelle assoggettate a segnalazione certificata di inizio
attività o a permesso di costruire.
Si tratta, ad esempio, degli interventi di manutenzione
straordinaria, ma su parti diverse da quelle strutturali
degli edifici o delle modifiche interne o delle modifiche di
destinazione d'uso per fabbricati ad uso d'impresa.
SCIA
Ci vuole la Segnalazione certificata di inizio attività per
gli interventi di manutenzione straordinaria su parti
strutturali dell'edificio; gli interventi di restauro e di
risanamento conservativo sempre su parti strutturali
dell'edificio; interventi di ristrutturazione edilizia «pesante».
La ristrutturazione edilizia «pesante» comprende gli
interventi che portano a un organismo edilizio in tutto o in
parte diverso dal precedente e che comportino modifiche
della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti,
o ancora che, limitatamente agli immobili compresi nei
centri storici, comportino mutamenti della destinazione
d'uso, oltre agli interventi che comportino modificazioni
della sagoma di immobili sottoposti a vincoli.
Muore la Dia alternativa al permesso di costruire,
sostituita dalla Scia alternativa al permesso di costruire.
Quest'ultimo titolo servirà per le ristrutturazioni pesanti,
per le nuove costruzioni e le ristrutturazioni urbanistiche
(se disciplinati da piani attuativi comunque denominati),
per le nuove costruzioni diretta esecuzione di strumenti
urbanistici generali recanti precise disposizioni
plano-volumetriche e anche per gli interventi di nuova
costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti
urbanistici generali recanti precise disposizioni
plano-volumetriche.
AGIBILITÀ
Scompare il certificato sostituito dalla segnalazione
certificata di agibilità, da presentare entro 15 giorni
dall'ultimazione dei lavori di finitura di nuove
costruzioni; ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o
parziali; oppure interventi sugli edifici esistenti che
possano influire sulle condizioni igienico-sanitarie.
La mancata presentazione della segnalazione comporta
l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da
77 a 464 euro. La segnalazione certificata di agibilità può
riguardare anche singoli edifici o singole porzioni della
costruzione, o singole unità immobiliari, purché siano
completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano
certificati gli impianti.
PERMESSO DI COSTRUIRE
Il progettista, tenuto a d asseverare la conformità a leggi
e strumenti urbanistici ed edilizi, deve sempre dichiarare
la conformità del progetto alla disposizioni
igienico-sanitarie e non solo, come ora previsto, nel caso
in cui la verifica non comporti valutazioni
tecnico-discrezionali.
COLLAUDO STATICO
Non sarà sempre necessario il collaudo statico. Per gli
interventi di riparazione e per gli interventi locali sulle
costruzioni esistenti, come definiti dalla normativa
tecnica, il certificato di collaudo è sostituito dalla
dichiarazione di regolare esecuzione resa dal direttore dei
lavori.
AMBIENTE
Il decreto razionalizza la fase finale del procedimento di
rilascio dell'autorizzazione integrata, rimodulando lo
svolgimento della conferenza dei servizi In materia di
bonifica di siti inquinati il decreto prevede che il
proprietario del fondo inquinato possa auto-dichiarare la
propria estraneità rispetto alla potenziale contaminazione
dei siti, attestando di non avere operato presso il sito a
qualsiasi titolo, anche tenuto conto dei collegamenti
societari e di cariche direttive ricoperte in soggetti che
abbiano invece operato in quel luogo.
---------------
La Scia non libera gli enti dall'onere
delle istruttorie.
Può costare caro ai funzionari pubblici restare inerti nei
procedimenti amministrativi e farli concludere col silenzio
assenso o con il consolidamento delle attività avviate con
la Scia.
Il decreto attuativo della legge 124/2015 proprio di riforma
della Scia (segnalazione certificata di inizio attività)
incide in maniera molto rilevante sulla legge 241/1990 che
regola il procedimento amministrativo, responsabilizzando in
maniera molto forte gli apparati.
L'operazione è compiuta in particolare con l'inserimento
nell'articolo 21 della legge sul procedimento amministrativo
del nuovo comma 2-ter, ai sensi del quale «la decorrenza
del termine previsto dall'articolo 19, comma 3, e la
formazione del silenzio assenso ai sensi dell'articolo 20
non escludono la responsabilità del dipendente che non abbia
agito tempestivamente nel caso in cui la segnalazione
certificata o l'istanza del privato non fosse conforme alle
norme vigenti».
L'articolo 19, comma 3, contiene il termine di 60 giorni
dalla ricezione della Scia, entro il quale l'amministrazione
accerta l'effettivo possesso dei requisiti e dei presupposti
di legittimità e di diritto che consentono il legittimo
avvio dell'attività imprenditoriale.
L'articolo 20 disciplina il silenzio-assenso, stabilendo che
nei procedimenti ad istanza di parte il silenzio
dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di
accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori
istanze o diffide, se la medesima amministrazione non
comunica all'interessata entro il termine finale del
procedimento (stabilito dalla legge o dai regolamenti) il
provvedimento di diniego.
Non poche amministrazioni hanno inteso queste disposizioni
come una sorta di liberazione dall'onere di svolgere le
istruttorie sulle pratiche e di concluderle con
provvedimenti espressi.
In effetti, questo modo di agire è di per sé contrario
all'obbligo, sempre posto dalla legge 241/1990, all'articolo
21, comma 1, di concludere ogni procedimento amministrativo
con un provvedimento espresso.
Qualsiasi Scia, quindi, dovrebbe implicare l'apertura di un
procedimento, da concludere entro 60 giorni, per la verifica
dei presupposti oggetto della dichiarazione; allo stesso
modo, tutti i procedimenti ad istanza di parte vanno
conclusi entro la scadenza fissata, prima che si formi il
silenzio assenso. Infatti, sia il silenzio assenso, sia la
formazione implicita dell'autorizzazione all'esercizio
dell'attività oggetto di Scia sono un rimedio all'inerzia
della p.a.: quindi, strumenti straordinari, finalizzati a
non lasciare cittadini e imprese privi di un titolo
giuridico, anche se tacito.
La riforma della Scia, adesso, chiarisce che i dipendenti
che non hanno esercitato i controlli sulle Scia entro i 60
giorni, o che hanno lasciato decorrere i termini del
silenzio assenso senza istruire la pratica come dovuto,
incorrono in responsabilità qualora si accerti, a
posteriori, che la Scia era fondata su presupposti erronei o
che il richiedente non aveva titolo alla formazione di un
provvedimento tacito di assenso.
In parole più povere, gli strumenti di autoproduzione del
titolo giuridico (Scia) o di formazione tacita dell'assenso
non esentano in alcun modo la p.a. dal dovere di istruire le
pratiche, per verificare la legittimità delle attività del
privato entro i termini previsti. Non solo, infatti, se non
si provvede si vìola il dovere di concludere ogni
procedimento in modo espresso, ma si rischia di rispondere
dei danni possibili eventualmente connessi all'inerzia che
ha permesso alle Scia di consolidarsi senza verifiche nei 60
giorni, e alle istanze di ottenere assensi taciti, senza
alcuna attività istruttoria che, se realizzata, avrebbe
dovuto condurre al rigetto, invece che all'accoglimento (articolo
ItaliaOggi del 17.06.2016 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Addio al certificato di agibilità. E dal
2017 saranno su internet tutti i dati dei rogiti. DECRETO
COMPETITIVITÀ/ Le misure allo studio per il rilancio
dell'economia.
Addio al certificato di agibilità. Sarà sostituito dalla
segnalazione certificata di agibilità. Inoltre trasparenza
delle vendite immobiliari: dal 2017 sul sito dell'Agenzia
del territorio saranno disponibili i dati dei rogiti (tranne
nomi delle parti).
Sono alcune
delle novità, nel settore dell'edilizia e degli immobili, in
corso di definizione nel decreto competitività, atteso in
uno dei prossimi consigli dei ministri.
Ma vediamo di tratteggiare le disposizioni in corso di
elaborazione.
AGIBILITÀ
Viene riscritta tutta la procedura per l'agibilità. Viene
definitivamente eliminato il certificato di agibilità, che
prevede da parte del comune un mero controllo documentale.
Si valorizza il collaudo statico e il controllo ispettivo
sull'opera realizzata.
Inoltre il certificato di collaudo statico assorbirà il
certificato di rispondenza dell'opera alle norme tecniche
eliminando le duplicazioni di adempimenti.
Secondo le misure allo studio è attribuito al direttore
lavori o, se non è stato nominato, ad un professionista
abilitato il compito di attestare la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene e salubrità e risparmio
energetico degli edifici e degli impianti, valutate secondo
quanto dispone la normativa.
Alla presentazione delle Scia seguiranno i controlli anche
attraverso un'attività ispettiva sulle opere realizzate da
effettuarsi con modalità stabilite dalle regioni e dai
comuni. Le nuove norme danno uniformità alla procedura
relativa all'agibilità degli edifici, ad oggi sottoposta a
regimi differenziati tra una regione e l'altra (certificato
di agibilità rilasciato dal comune, attestazione del tecnico
e certificato di collaudo sempre previsti).
AUTORIZZAZIONE SISMICA
Per quanto riguarda gli adempimenti formali nei confronti
dell'ufficio tecnico regionale, ferma restando, se prevista,
l'autorizzazione sismica, viene assicurato nelle località a
bassa sismicità un regime omogeneo e tempi certi.
Sono previste modifiche agli articoli 93 e 94 del T.u.
Edilizia (dpr 80/2001). Il governo, le regioni e enti locali
concluderanno in sede di conferenza unificata accordi, ai
sensi dell'articolo 9 del dlgs 281/1997, in base ai quali
viene individuato un elenco tassativo di interventi
secondari e minori che non comportano pericoli per la
pubblica incolumità da sottoporre a Scia e Cil.
In questo modo gli adempimento vengono differenziati in
relazione alle esigenze di tutela della pubblica incolumità
sulla base del principio di proporzionalità.
Nelle relazioni esplicative del provvedimento si legge che
attualmente la costruzione di un muretto a secco in campagna
o di un tramezzo sono soggetti alla stessa disciplina
prevista per la sopraelevazione di un edificio. Le
disposizioni allo studio riducono i tempi medi di rilascio
delle autorizzazioni e del permesso di costruire.
Viene introdotta l'autorizzazione attualmente non prevista
nelle zone a bassa sismicità per interventi relativi a
edifici di interesse strategico e alle opere
infrastrutturali, la cui funzionalità durante gli eventi
sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di
protezione civile nonché per gli interventi relativi agli
edifici e alle opere.
TRASPARENZA IMMOBILIARE
Il decreto vuole dare visibilità alle informazioni su
compravendite e prezzi nel settore immobiliare, informato
elettronico. Sul sito dell'Agenzia del territorio, dal 2017,
disponibili i dati sulla descrizione degli immobili e sui
prezzi degli atti rogitati dai notai. È una cosa diversa
dalla visura, che viene chiesta caso per caso presso le
conservatorie. La proposta normativa non riguarda gli
immobili e la loro storia come nelle visure in
catasto/conservatoria. Si tratta di informazioni sulle
transazioni definite con atti notarili.
Si potrà tracciare una mappa in cui si evidenziano i prezzi
delle singole case, cosicché gli operatori potranno
visualizzare i prezzi delle transazioni immobiliari in una
certa area.
Per ragioni di riservatezza non sono visibili le
informazioni personali delle parti e non sarà disponibile la
copia degli atti (per cui si dovrà continuare a chiedere la
visura) (articolo
ItaliaOggi dell'01.06.2016 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
G. D. Nuzzo,
Senza il certificato di agibilità l'acquirente dell'immobile
deve essere risarcito (15.04.2016 - link a
www.condominioweb.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Certificato agibilità, ok al rilascio solo se il manufatto
non è abusivo.
Tar Campania: il meccanismo del silenzio
assenso non può essere invocato qualora manchi il
presupposto per il rilascio del certificato di agibilità.
Il TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, con la
sentenza 07.04.2016 n. 1767, aderisce alla “pacifica
giurisprudenza amministrativa” secondo la quale “la
conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie
costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo
rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli
art. 24, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, e 35, comma 20, l.
n. 47/1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è
la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato,
per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla
normativa urbanistico-edilizia, e, come tale, in potenziale
contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi
alla cui protezione quella disciplina è preordinata”.
Di conseguenza, “il meccanismo del silenzio assenso non
può essere invocato allorché manchi il presupposto stesso
per il rilascio del certificato di agibilità, costituito dal
carattere non abusivo del fabbricato in relazione al quale
sia stata presentata l'istanza tesa ad ottenere il
certificato menzionato; invero, se in linea generale il
tacito accoglimento di una domanda si differenzia dalla
decisione esplicita solo per l'aspetto formale, è necessario
tuttavia che sussistano tutti gli elementi soggettivi e
oggettivi che rappresentano gli elementi costitutivi della
fattispecie di cui si invoca il perfezionamento”.
NON È NECESSARIO L'INVIO DELLA
COMUNICAZIONE DI AVVIO DEL PROCEDIMENTO.
I giudici amministrativi campani ricordano, inoltre, che “secondo
il costante indirizzo giurisprudenziale dal quale il
Collegio non ha ragione di discostarsi, l'esercizio del
potere repressivo degli abusi edilizi costituisce
manifestazione di attività amministrativa doverosa, con la
conseguenza che i relativi provvedimenti, quali l'ordinanza
di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui
adozione non è necessario l'invio della comunicazione di
avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti
partecipativi del destinatario dell'atto”.
NON OCCORRE UNA PARTICOLARE MOTIVAZIONE.
Il Tar Campania osserva anche che “secondo la
condivisibile giurisprudenza amministrativa prevalente,
l'ordinanza di demolizione, in quanto atto dovuto e
rigorosamente vincolato, non necessita di particolare
motivazione, potendosi ritenersi adeguata e autosufficiente
la motivazione quando già solo sia rinvenibile la compiuta
descrizione delle opere abusive, la constatazione della loro
esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo
edilizio e l'individuazione della norma applicata, come
ravvisabile nel caso di specie, ogni altra indicazione
esulando dal contenuto tipico del provvedimento”.
Inoltre, “il potere della P.A. in tema di vigilanza
sull'assetto del territorio non è suscettibile di decadenza”.
L’ordinanza di demolizione, per la sua natura di atto dovuto
e rigorosamente vincolato, va ritenuta sorretta da adeguata
istruttoria ed autosufficiente motivazione, qualora sia
rinvenibile la compiuta descrizione degli interventi abusivi
contestati, l’individuazione delle violazioni accertate e
della normativa applicata (commento tratto da
www.casaeclima.com).
----------------
MASSIMA
Con il quarto motivo di ricorso, parte ricorrente ha
dedotto le seguenti censure: violazione e falsa applicazione
degli artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 380 del 2001, eccesso di
potere per illogicità e contraddittorietà, difetto di
presupposti e difetto di motivazione, ingiustizia manifesta,
in quanto si sarebbe formato il silenzio-assenso
sull’istanza di rilascio del certificato di agibilità
presentata in data 20.11.2006 ed assunta al protocollo del
Comune di Sessa Aurunca n. 24716.
Il motivo è infondato.
La pacifica giurisprudenza amministrativa, condivisa dal
Collegio, ritiene che la conformità dei
manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il
presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del
certificato di agibilità, come si evince dagli art. 24,
comma 3, del D.P.R. n. 380/2001, e 35, comma 20, l. n.
47/1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la
ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per
qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla
normativa urbanistico-edilizia, e, come tale, in potenziale
contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi
alla cui protezione quella disciplina è preordinata.
Conseguentemente, il meccanismo del
silenzio assenso non può essere invocato allorché manchi il
presupposto stesso per il rilascio del certificato di
agibilità, costituito dal carattere non abusivo del
fabbricato in relazione al quale sia stata presentata
l'istanza tesa ad ottenere il certificato menzionato;
invero, se in linea generale il tacito accoglimento di una
domanda si differenzia dalla decisione esplicita solo per
l'aspetto formale, è necessario tuttavia che sussistano
tutti gli elementi soggettivi e oggettivi che rappresentano
gli elementi costitutivi della fattispecie di cui si invoca
il perfezionamento
(cfr. TAR Napoli, sez. III, 17.04.2014, n. 2191, sez. II,
21.02.2013, n.969, TAR Salerno, sez., 13.06.2013, n. 1325).
Alla luce di quanto sopra deve, allora,
escludersi che nella fattispecie oggetto di gravame possa
ritenersi formato il silenzio-assenso sulla richiesta di
certificato di agibilità, alla luce della riscontrata
difformità delle opere di cui all’ordinanza di demolizione
rispetto al permesso di costruire n. 110/2000. |
EDILIZIA PRIVATA:
OBBLIGO D’INFORMATIVA DI IRREGOLARITÀ EDILIZIE O
URBANISTICHE IN CASO DI COMPRAVENDITA IMMOBILIARE.
È onere della parte venditrice di un
immobile notiziare l’acquirente di eventuali irregolarità
edilizie o urbanistiche, indipendentemente dalla concreta
rappresentazione nel corso delle trattative della specifica
finalità che spinge quest’ultimo al perfezionamento
dell’operazione, posto che quest’ultimo soggetto ha
interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad
assolvere la sua funzione economico-sociale e a soddisfare i
bisogni che ne inducono all’acquisto, ossia a conseguire la
fruibilità e la commerciabilità del bene, rispetto alla
quale il certificato di abitabilità -indispensabile ai fini
della piena realizzazione della funzione socio-economica del
contratto di compravendita immobiliare- deve ritenersi
essenziale: onde il suo rifiuto di stipulare la
compravendita definitiva dell’immobile privo del suddetto
certificato di abitabilità è da ritenersi giustificato.
Il promissario acquirente di un immobile convenne in
Tribunale il venditore del bene, chiedendo dichiararsi la
legittimità del proprio recesso dal preliminare di
compravendita immobiliare e la condanna della parte
convenuta, promittente alienante, alla corresponsione del
doppio della caparra versata.
Il contratto riguardava un immobile che l’attrice deduceva
non conforme a quello promesso in vendita.
Il Tribunale accolse le domande attrici ritenendo che, in
disparte la questione della contestata presenza di alcune
planimetrie dell’immobile tra i documenti, allegati al
preliminare, il recesso dell’attrice fosse legittimo perché,
con riferimento al bene promesso in vendita, erano emerse
delle irregolarità urbanistiche e che, in definitiva, due
delle tre unità abitative di cui si componeva l’immobile
erano prive dei requisiti costruttivi e volumetrici idonei
al conseguimento del certificato di abitabilità.
Ancora, il Tribunale rilevava che la promittente alienante
aveva omesso di comunicare tali carenze e che pertanto
trovava giustificazione l’applicazione della disciplina
prevista dall’art. 1385, comma 2, c.c. La sentenza era
oggetto di gravame che la Corte d’Appello respinse,
evidenziando peraltro che solo all’esito dello scambio di
corrispondenza intercorso tra le parti (dopo la stipulazione
del preliminare e le verifiche catastali e urbanistiche) la
promissaria acquirente aveva avuto modo di accertare che
l’immobile non era confacente alla finalità per cui era
stato acquistato. Per l’effetto, correttamente il Tribunale
aveva ritenuto inadempiente la venditrice, per non aver
messo a conoscenza la controparte della reale situazione
dell’immobile, avendo particolare riguardo al profilo
concernente l’utilizzabilità a scopo abitativo dello stesso.
Era, infatti, obbligo della promittente alienante
evidenziare a controparte i limiti della fruibilità di tutti
i locali costituenti l’immobile oggetto dell’affare.
La sentenza della Corte d’Appello è oggetto di ricorso per
Cassazione, che la S.C. respinge.
Anzitutto, per ragioni di rito, sono disattesi i motivi
poggianti sulla dedotta interpretazione delle risultanze
istruttorie, qui prospettati come vizio di “omessa e
insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo” nonché di violazione e falsa applicazione del
combinato disposto degli artt. 1385 e 1355 c.c. In
proposito, la Corte di cassazione rammenta che il vizio di
violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea
ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi
implica necessariamente un problema interpretativo della
stessa. Viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione
della fattispecie concreta, tramite le risultanze di causa,
è estranea all’esatta interpretazione della norma di legge e
inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la
cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto
l’aspetto del vizio di motivazione.
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi -violazione di
legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione
dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea
applicazione della legge in ragione della carente o
contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta- è
segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche
la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle
risultanze di causa (Cass., SS.UU., n. 10313/2006; Cass. n.
8315/2013).
Nel merito, la S.C. respinge il ricorso osservando che
l’inidoneità del bene, oggetto di compromesso, allo scopo
pattuito è palese alla luce della documentazione di causa:
l’edificio non si prestava allo scopo per il quale
s’intendeva acquistarlo. Inoltre, rileva un inadempimento
del promittente venditore che non ha posto l’altra parte a
conoscenza della reale situazione urbanistica del bene
-compresa l’utilizzabilità a scopo abitativo di tutte o
alcune delle sue zone- in osservanza degli obblighi di
correttezza e buona fede delle parti, che nella fattispecie
imponevano di informare l’aspirante acquirente della
mancanza anche solo parziale delle caratteristiche ricercate
del bene da acquisire.
Del resto, indipendentemente dalla concreta rappresentazione
nel corso delle trattative dello specifica finalità che
spinge il promissario acquirente al perfezionamento
dell’operazione, quest’ultimo soggetto ha interesse ad
ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la
sua funzione economico sociale e a soddisfare i bisogni che
inducono all’acquisto, ossia a conseguire la fruibilità e la
commerciabilità del bene, rispetto alla quale il certificato
di abitabilità deve ritenersi essenziale: onde il suo
rifiuto di stipulare la compravendita definitiva
dell’immobile privo del suddetto certificato di abitabilità
è da ritenersi giustificato (Cass. 11.05.2009, n. 10820;
Cass. 19.12.2000, n. 15969).
In altri termini, come sottolineato anche dalla più
autorevole dottrina, il possesso del certificato di
abitabilità è indispensabile ai fini della piena
realizzazione della funzione socio- economica del contratto
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 10.03.2016 n. 4717 - Urbanistica e
appalti 6/2016). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI:
Consegna del certificato di abitabilità all'acquirente
dell'immobile: è una condotta ricompresa tra le obbligazioni
del venditore ai sensi dell'art. 1477 cod. civ..
La consegna del certificato di
abitabilità dell'immobile oggetto del contratto, ove questo
sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non
costituendo di per sé condizione di validità della
compravendita, integra un'obbligazione incombente sul
venditore ai sensi dell'art. 1477 c.c., attenendo ad un
requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incide
sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa
all'uso contrattualmente previsto.
Il venditore-costruttore ha dunque l'obbligo di consegnare
all'acquirente dell'immobile il certificato, curandone la
richiesta e sostenendo le spese necessarie al rilascio, e
l'inadempimento di questa obbligazione è ex se foriero di
danno emergente, perché costringe l'acquirente a provvedere
in proprio, ovvero a ritenere l'immobile tal quale, cioè con
un valore di scambio inferiore a quello che esso
diversamente avrebbe, a prescindere dalla circostanza che il
bene sia alienato o comunque destinato all'alienazione a
terzi.
---------------
La pronunzia mette a fuoco il tema specifico del rifiuto da
parte del promissario acquirente di addivenire alla
stipulazione del contratto traslativo di compravendita in
difetto della consegna, da parte del promittente alienante,
del certificato di agibilità.
Si tratta invero di una situazione non infrequente, in parte
anche riconducibile all'inerzia degli uffici comunali ed
alle incertezze conseguenti al fatto che l'abitabilità
scaturisce anche semplicemente per effetto del
perfezionamento del procedimento che culmina con il
silenzio-assenso.
Nel caso concreto non era in questione l'aspetto costituito
dalla mancanza o meno dei requisiti affinché l'immobile
potesse essere dichiarato abitabile. Giova rilevare come, in
quest'ultimo caso, si possa giungere a configurare la
radicale ipotesi di aliud pro alio (in relazione
all'eventuale perfezionamento di atto traslativo della
proprietà) (commento tratto da www.e-glossa.it - Corte di
Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 08.02.2016 n. 2438).
---------------
MASSIMA
1.1. - Il ricorso principale è fondato.
1.2. - Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa
applicazione degli artt. 1453-1460, 1477, terzo comma, 1490,
primo e secondo comma, 2932 cod. civ., nonché vizio di
motivazione.
I ricorrenti si dolgono che la Corte d'appello abbia
ritenuto ingiustificato il loro rifiuto di stipulare il
contratto definitivo a fronte della mancata consegna del
certificato di agibilità dell'immobile oggetto del
trasferimento.
La consegna del certificato costituiva prestazione
essenziale del promittente venditore, con la conseguenza che
erano privi di significato i rilievi della Corte d'appello
in ordine alla mancanza assunzione di uno specifico impegno
in tal senso da parte del promittente venditore, e alla
mancata deduzione, da parte dei promissari acquirenti,
dell'impossibilità di ottenere il certificato.
1.3 - La doglianza è fondata.
1.3.1. - L'obbligo di consegnare il
certificato di agibilità grava ex lege sul venditore,
in base all'art. 1477, terzo comma, cod. civ., e a ciò
consegue che il rifiuto del promissario acquirente di
stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo
dei certificati di abitabilità o di agibilità e di
conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato
rilascio dipende da inerzia del Comune -nei cui confronti
peraltro è obbligato ad attivarsi il promittente venditore-
è giustificato, poiché l'acquirente ha interesse ad ottenere
la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione
economico- sociale e a soddisfare i bisogni che inducono
all'acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del
bene (ex
plurimis, Cass., sez. 2^, sentenza n. 15969 del 2000;
sentenza n. 16216 del 2008).
...
2. - Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa
applicazione degli artt. 1453 e ss., 1218 e ss. cod. civ.,
nonché vizio di motivazione.
I ricorrenti lamentano il mancato accoglimento della domanda
di risarcimento del danno provocato dall'omessa consegna del
certificato di abitabilità relativo all'appartamento
acquistato con rogito del 05.09.2001, che Orlando si era
impegnato a consegnare con scrittura privata in pari data.
La Corte territoriale, infatti, aveva condannato St.Or.
consegnare il certificato o, in alternativa, a rimborsare le
spese a tal fine necessarie, ed aveva motivato il rigetto
della pretesa risarcitoria sul rilievo che gli appellanti
Ca.-Si. non avevano allegato che il certificato fosse stato
rifiutato o non potesse essere rilasciato.
Oltre all'erronea applicazione dei principi in tema di onere
di allegazione, la Corte territoriale non aveva tenuto conto
che Orlando non aveva contestato la circostanza che, a
distanza ormai di molti anni, non era stata ottenuta
l'abitabilità dell'immobile.
A tale ultimo proposito, i ricorrenti precisano che il
certificato non è stato rilasciato per difetti di
costruzione dell'appartamento, e che pertanto essi sono
tenuti a far eseguire a loro spese i lavori necessari.
2.1. - La doglianza è fondata.
La Corte territoriale ha erroneamente escluso che
l'accertata mancata consegna del certificato dà abitabilità
dell'appartamento integrasse inadempimento contrattuale,
ponendo a carico degli acquirenti l'onere di dimostrare che
il certificato non potesse essere ottenuto.
2.1.1. - Come già evidenziato nell'esame del precedente
motivo, la consegna del certificato di
abitabilità dell'immobile oggetto del contratto, ove questo
sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non
costituendo di per sé condizione di validità della
compravendita, integra un'obbligazione incombente sul
venditore ai sensi dell'art. 1477 cod. civ., attenendo ad un
requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incide
sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa
all'uso contrattualmente previsto.
Il venditore-costruttore ha dunque l'obbligo di consegnare
all'acquirente dell'immobile il certificato, curandone la
richiesta e sostenendo le spese necessarie al rilascio, e
l'inadempimento di questa obbligazione è ex se
foriero di dann emergente, perché costringe l'acquirente a
provvedere in proprio, ovvero a ritenere l'immobile tal
quale, cioè con un valore di scambio inferiore a quello che
esso diversamente avrebbe, a prescindere dalla circostanza
che il bene sia alienato o comunque destinato
all'alienazione a terzi
(ex plurimis, Cass., sez. 2^, sentenza n. 23157 del
2013).
2.1.2. - Sulla base dei principi richiamati e di quelli in
tema di inadempimento contrattuale, non è
dubitabile che l'onere di allegazione e di prova della
perdurante possibilità di procurare il certificato gravi
sulla parte che è tenuta alla consegna.
Nel caso di specie, la parte promittente venditrice non ha
dimostrato di poter onorare l'impegno, e quindi sussiste
l'inadempimento e, con esso, il relativo danno.
2.2. - Nell'accoglimento dei motivi che precedono, rimane
assorbito il terzo motivo del ricorso principale, relativo
alla regolamentazione delle spese di lite disposta dalla
Corte d'appello.
---------------
In argomento, si legga anche:
●
Obbligazioni del venditore (22.07.2016 -
link a www.e-glossa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI: L'obbligo
di consegnare il certificato di agibilità grava ex lege sul
venditore, in base all'art. 1477, terzo comma, cod. civ., e
a ciò consegue che il rifiuto del promissario acquirente di
stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo
dei certificati di abitabilità o di agibilità e di
conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato
rilascio dipende da inerzia del Comune -nei cui confronti
peraltro è obbligato ad attivarsi il promittente venditore-
è giustificato, poiché l'acquirente ha interesse ad ottenere
la proprietà. di un immobile idoneo ad assolvere la funzione
economico-sociale e a soddisfare i bisogni che inducono
all'acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del
bene.
Nel caso di specie, incontestata la
circostanza che al momento della stipula del contratto
definitivo il promittente venditore non era in grado di
consegnare il certificato di agibilità, risultava legittimo
il rifiuto di stipulare dei promissari acquirenti, né
gravava su questi ultimi l'onere di allegare la circostanza
negativa che il certificato non potesse essere rilasciato,
come erroneamente ritenuto dalla Corte d'appello,
essendo nell'interesse esclusivo del
promittente venditore, ai fini della valutazione della
gravità dell'inadempimento, l'allegazione del fatto positivo
e contrario, e cioè che il certificato potesse essere
rilasciato.
---------------
La consegna del certificato di abitabilità dell'immobile
oggetto del contratto, ove questo sia un appartamento da
adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sé
condizione di validità della compravendita, integra
un'obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell'art.
1477 cod. civ., attenendo ad un requisito essenziale della
cosa venduta, in quanto incide sulla possibilità di adibire
legittimamente la stessa all'uso contrattualmente previsto.
Il venditore-costruttore ha dunque l'obbligo di consegnare
all'acquirente dell'immobile il certificato, curandone la
richiesta e sostenendo le spese necessarie al rilascio, e
l'inadempimento di questa obbligazione è ex se foriero di
datino emergente, perché costringe l'acquirente a provvedere
in proprio, ovvero a ritenere l'immobile tal quale, cioè con
un valore di scambio inferiore a quello che esso
diversamente avrebbe, a prescindere dalla circostanza che il
bene sia alienato o comunque destinato all'alienazione a
terzi.
Sulla base dei principi richiamati e di quelli in tema di
inadempimento contrattuale, non è
dubitabile che l'onere di allegazione e di prova della
perdurante possibilità di procurare il certificato gravi
sulla parte che è tenuta alla consegna.
---------------
1.1. - Il ricorso principale è fondato.
1.2. - Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa
applicazione degli artt. 1453-1460, 1477, terzo comma, 1490,
primo e secondo comma, 2932 cod. civ., nonché vizio di
motivazione. I ricorrenti si dolgono che la Corte d'appello
abbia ritenuto ingiustificato il loro rifiuto di stipulare
il contratto definitivo a fronte della mancata consegna del
certificato di agibilità dell'immobile oggetto del
trasferimento. La consegna del certificato costituiva
prestazione essenziale del promittente venditore, con la
conseguenza che erano privi di significato i rilievi della
Corte d'appello in ordine alla mancanza assunzione di uno
specifico impegno in tal senso da parte del promittente
venditore, e alla mancata deduzione, da parte dei promissari
acquirenti, dell'impossibilità di ottenere il certificato.
1.3 - La doglianza è fondata.
1.3.1. - L'obbligo di consegnare il
certificato di agibilità grava ex lege sul venditore,
in base all'art. 1477, terzo comma, cod. civ., e a ciò
consegue che il rifiuto del promissario acquirente di
stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo
dei certificati di abitabilità o di agibilità e di
conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato
rilascio dipende da inerzia del Comune -nei cui confronti
peraltro è obbligato ad attivarsi il promittente venditore-
è giustificato, poiché l'acquirente ha interesse ad ottenere
la proprietà. di un immobile idoneo ad assolvere la funzione
economico-sociale e a soddisfare i bisogni che inducono
all'acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del
bene (ex
plurimis, Cass., sez. 2^, sentenza n. 15969 del 2000;
sentenza n. 16216 del 2008).
1.3.2. - Nel caso di specie, incontestata
la circostanza che al momento della stipula del contratto
definitivo il promittente venditore non era in grado di
consegnare il certificato di agibilità, risultava legittimo
il rifiuto di stipulare dei promissari acquirenti, né
gravava su questi ultimi l'onere di allegare la circostanza
negativa che il certificato non potesse essere rilasciato,
come erroneamente ritenuto dalla Corte d'appello,
essendo nell'interesse esclusivo del promittente
venditore, ai fini della valutazione della gravità
dell'inadempimento, l'allegazione del fatto positivo e
contrario, e cioè che il certificato potesse essere
rilasciato.
2. - Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa
applicazione degli artt. 1453 e ss., 1218 e ss. cod. civ.,
nonché vizio di motivazione.
I ricorrenti lamentano il mancato accoglimento della domanda
di risarcimento del danno provocato dall'omessa consegna del
certificato di abitabilità relativo all'appartamento
acquistato con rogito del 05.09.2001, che Orlando si era
impegnato a consegnare con scrittura privata in pari data.
La Corte territoriale, infatti, aveva condannato St.Or. a
consegnare il certificato o, in alternativa, a rimborsare le
spese a tal fine necessarie, ed aveva motivato il rigetto
della pretesa risarcitoria sul rilievo che gli appellanti
Ca.-Si. non avevano allegato che il certificato fosse stato
rifiutato o non potesse essere rilasciato. Oltre all'erronea
applicazione dei principi in tema di onere di allegazione,
la Corte territoriale non aveva tenuto conto che Orlando non
aveva contestato la circostanza che, a distanza ormai di
molti anni, non era stata ottenuta l'abitabilità
dell'immobile.
A tale ultimo proposito, i ricorrenti precisano che il
certificato non è stato rilasciato per difetti di
costruzione dell'appartamento, e che pertanto essi sono
tenuti a far eseguire a loro spese i lavori necessari.
2.1. - La doglianza è fondata.
La Corte territoriale ha erroneamente escluso che
l'accertata mancata consegna del certificato dà abitabilità
dell'appartamento integrasse inadempimento contrattuale,
ponendo a carico degli acquirenti l'onere di dimostrare che
il certificato non potesse essere ottenuto.
2.1.1. - Come già evidenziato nell'esame del precedente
motivo, la consegna del certificato di
abitabilità dell'immobile oggetto del contratto, ove questo
sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non
costituendo di per sé condizione di validità della
compravendita, integra un'obbligazione incombente sul
venditore ai sensi dell'art. 1477 cod. civ., attenendo ad un
requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incide
sulla possibilità di adibire legittimamente la stessa
all'uso contrattualmente previsto.
Il venditore-costruttore ha dunque l'obbligo di consegnare
all'acquirente dell'immobile il certificato, curandone la
richiesta e sostenendo le spese necessarie al rilascio, e
l'inadempimento di questa obbligazione è ex se
foriero di datino emergente, perché costringe l'acquirente a
provvedere in proprio, ovvero a ritenere l'immobile tal
quale, cioè con un valore di scambio inferiore a quello che
esso diversamente avrebbe, a prescindere dalla circostanza
che il bene sia alienato o comunque destinato
all'alienazione a terzi
(ex plurimis, Cass., sez. 2^, sentenza n. 23157 del
2013).
2.1.2. - Sulla base dei principi richiamati e di quelli in
tema di inadempimento contrattuale, non è
dubitabile che l'onere di allegazione e di prova della
perdurante possibilità di procurare il certificato gravi
sulla parte che è tenuta alla consegna.
Nel caso di specie, la parte promittente venditrice non ha
dimostrato di poter onorare l'impegno, e quindi sussiste
l'inadempimento e, con esso, il relativo danno
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 08.02.2016 n. 2438). |
anno 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA: Se
aria e luce sono insufficienti niente abitabilità
dell'alloggio.
E'
legittimo il diniego di rilascio di
certificato di abitabilità laddove risulta che:
- l’unità ha altezza interna pari a metri 2,62. Il piano di
calpestio è posto a circa metri 2 sotto il circostante piano
campagna, la differenza tra la quota del terreno circostante
e l’intradosso del solaio di copertura del locale è circa
cm. 60;
- l’unità immobiliare non ha adeguata e sufficiente
illuminazione ed aerazione naturale diretta in quanto le
finestre non garantiscono il rapporto aeroilluminante minimo
prescritto. La superficie finestrata apribile è inferiore ad
1/8 della superficie del pavimento. La superficie finestrata
apribile risulta rispettivamente del 5% per il locale
cucina–soggiorno, del 5% per la camera da metri quadrati
14,46, del 4% per la camera da metri quadrati 16,24 e del 2%
per la camera da metri quadrati 16,75. Le finestre sono
impostate all’altezza di circa metri 2 dal pavimento;
- l’unità immobiliare posta al piano interrato non consente
la permanenza a fini abitativi di persone, essendo ciò
vietato dall’art. 76 del regolamento edilizio e dall’art. 58
delle istruzioni ministeriali del 20.06.1896 poi
parzialmente modificate dal d.m. 05.07.1975;
- vi è difetto di aria e di luce e non sussistono le
condizioni minime di rispetto dei requisiti
igienico–sanitari e di salubrità dei locali così come
prescritti dall’art. 218 del testo unico delle leggi
sanitarie e dagli artt. 3 e 5 del d.m. 05.07.1975;
- le caratteristiche complessive dell’unità non sono
adeguate alla destinazione d’uso residenziale.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento di diniego di
rilascio di certificato di abitabilità;
...
1. Con il provvedimento impugnato il comune di Venezia ha rigettato
l’istanza di rilascio del certificato di agibilità.
Con precedente provvedimento in data 01.12.2005 era
stata rilasciata concessione edilizia in sanatoria per
cambio d’uso del piano interrato da cantina–magazzino ad
unità residenziale.
Il diniego di cui sopra è motivato in relazione tra l’altro
alle seguenti circostanze:
- l’unità ha altezza interna pari a metri 2,62. Il piano di
calpestio è posto a circa metri 2 sotto il circostante piano
campagna, la differenza tra la quota del terreno circostante
e l’intradosso del solaio di copertura del locale è circa
cm. 60;
- l’unità immobiliare non ha adeguata e sufficiente
illuminazione ed aerazione naturale diretta in quanto le
finestre non garantiscono il rapporto aeroilluminante minimo
prescritto. La superficie finestrata apribile è inferiore ad
1/8 della superficie del pavimento. La superficie finestrata
apribile risulta rispettivamente del 5% per il locale cucina–soggiorno, del 5% per la camera da metri quadrati 14,46,
del 4% per la camera da metri quadrati 16,24 e del 2% per la
camera da metri quadrati 16,75. Le finestre sono impostate
all’altezza di circa metri 2 dal pavimento;
- l’unità immobiliare posta al piano interrato non consente
la permanenza a fini abitativi di persone, essendo ciò
vietato dall’art. 76 del regolamento edilizio e dall’art. 58
delle istruzioni ministeriali del 20.06.1896 poi
parzialmente modificate dal d.m. 05.07.1975;
- vi è difetto di aria e di luce e non sussistono le
condizioni minime di rispetto dei requisiti igienico–sanitari e di salubrità dei locali così come prescritti
dall’art. 218 del testo unico delle leggi sanitarie e dagli
artt. 3 e 5 del d.m. 05.07.1975;
- le caratteristiche complessive dell’unità non sono
adeguate alla destinazione d’uso residenziale.
2. Parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione
dell’art. 35 della legge n. 47 del 1985, eccesso di potere,
travisamento di fatti, difetto di motivazione, carenza
d’istruttoria, erronea valutazione degli elementi fattuali.
Lamenta in particolare che l’art. 35 della legge n. 47 del
1985 consente, ai fini del rilascio del certificato di
abitabilità per manufatti condonati, la deroga ai requisiti
fissati da norme regolamentari, qualora le opere non
contrastino con le disposizioni vigenti in materia di
sicurezza statica e di prevenzione degli incendi e degli
infortuni.
La censura è infondata.
Infatti l’amministrazione ha valutato le condizioni di
igiene e salubrità, così come le è imposto di fare dall’art.
24 del testo unico dell’edilizia.
Nel caso di specie non si tratta di semplice contrasto tra
lo stato del sito e le prescrizioni regolamentari, ma di
carenza dei requisiti di igiene e salubrità che devono in
ogni caso sussistere per effetto di disposizioni di legge,
quali l’art. 24 del testo unico dell’edilizia, l’art. 47
della legge n. 47 del 1985, l’art. 218 del testo unico delle
leggi sanitarie.
Con il provvedimento impugnato è stata data congrua
motivazione in relazione alla concomitanza di una pluralità
di elementi di fatto determinante l’insussistenza dei
requisiti di igiene e salubrità.
Tali elementi di fatto sono dati dall’altezza interna, dalla
differenza tra la quota del terreno circostante e
l’intradosso del solaio di copertura del locale,
dall’insufficiente apporto di aria e luce dato dalle
finestre.
3. Parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione
della legge regionale n. 12 del 1999, eccesso di potere,
carenza di motivazione, errore e illogicità manifesta.
Lamenta in particolare che il mancato rispetto dell’altezza
media di metri 2,70 nonché della superficie finestrata
apribile di almeno un ottavo della superficie di pavimento
di cui al d.m. del 1975 non costituiscono carenze tali da
determinare necessariamente la violazione delle norme
igieniche e sanitarie.
Sotto tale profilo dovrebbe essere
considerata la legge regionale n. 12 del 1999 che fissa le
condizioni e i limiti per il recupero a fini abitativi dei
sottotetti esistenti alla data del 31.12.1998, tra cui
l’altezza utile media di almeno metri 2,40 per i locali
adibiti ad abitazione ed un rapporto illuminante pari ad
almeno un sedicesimo della superficie di pavimento.
La censura è infondata perché nel caso di specie non si
tratta di un sottotetto, ma di un piano interrato. La legge
regionale n. 12 del 1999 prevede disposizioni eccezionali di
deroga delle norme generali, che in quanto tali non possono
essere applicate fuori dei casi considerati (art. 14 delle preleggi).
4. Parte ricorrente lamenta carenza e contraddittorietà
della motivazione e insussistenza di una lesione al diritto
alla salute. Lamenta in particolare che la legge non detta
nessuna prescrizione in materia di altezza media e/o di
dimensioni della superficie finestrata, limitandosi a
stabilire che non vi sia difetto di luce e di aria.
La censura è infondata.
L’amministrazione ha infatti svolto un congruo e motivato
giudizio, sulla base di una pluralità di elementi di fatto,
giungendo alla conclusione che vi è difetto di luce e di
aria tale per cui verrebbe arrecato un pregiudizio alla
salute se gli ambienti fossero abitabili.
5. Parte ricorrente lamenta violazione degli articoli 10 e
11 della legge n. 15 del 2005, eccesso di potere per difetto
e carenza di motivazione. Lamenta in particolare che
l’amministrazione non ha valutato la possibilità di disporre
prescrizioni al fine di rendere abitabili gli ambienti.
La censura è infondata, dovendo l’amministrazione valutare
l’abitabilità dei locali sulla base dello stato di fatto
esistente.
In conclusione il ricorso è infondato (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 14.12.2015 n. 1326 - link a
www.giustizia-amministratva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
certificato di agibilità, a norma dell’art. 24 del T.U.
sull’edilizia, unicamente “attesta la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti”, come la
giurisprudenza, anche della Sezione, ha già precisato.
Il Giudice d’appello ha al riguardo ribadito la delineata
funzione già dalla giurisprudenza di prime cure riconosciuta
al certificato di agibilità, avendo condivisibilmente
puntualizzato la differenza ontologica tra i titoli
abilitativi edilizi e il certificato di agibilità,
precisando al riguardo che la “funzione del certificato di
agibilità è accertare che l'immobile, al quale si riferisce,
è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti
in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti; invece funzione
specifica della d.i.a. (come del permesso di costruire,
n.d.s.) è il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche”.
La giurisprudenza ha più di recente riproposto la cennata
opzione interpretativa avendo ribadito che “Il certificato
di agibilità ha la funzione di attestare il conseguimento
degli standard minimi e generali di qualità degli edifici.
Ai sensi dell'art. 24 n. 1, d.P.R. n. 380 del 2001, esso
attiene unicamente agli aspetti della conformità dell'opera
ai profili tecnici e igienico-sanitari, non avendo riguardo
ai profili più strettamente urbanistici”.
---------------
2.5. Quanto alla dedotta mancata allegazione all’istanza di
trasferimento che occupa, di documentazione comprovante la
regolarità urbanistico-edilizia del locale proposto,
occorrendo infatti altresì corredare la domanda di
trasferimento fuori zona di “idonea documentazione che
attesta la regolarità urbanistico–edilizia del locale
proposto, nonché la relativa destinazione d’uso commerciale”
(art. 11, comma 3, D.M. n. 38/2013), come già anticipato in
sede cautelare la delineata doglianza è fondata e va
pertanto accolta.
Osserva in proposito il Collegio che il certificato di
agibilità rilasciato dal Comune di Casamicciola Terme il
20.06.2014 e prodotto alla P.A. dalla controinteressata solo
l’08.07.2014, tre giorni prima dell’adozione del
provvedimento, a norma dell’art. 24 del T.U. sull’edilizia,
unicamente “attesta la sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti”, come la giurisprudenza, anche
della Sezione, ha già precisato (TAR Campania–Napoli,
Sez. III, n. 2240/2010; TAR Lombardia–Milano, Sez. II,
17.09.2009 n. 4672).
Il Giudice d’appello ha al riguardo ribadito la delineata
funzione già dalla giurisprudenza di prime cure riconosciuta
al certificato di agibilità, avendo condivisibilmente
puntualizzato la differenza ontologica tra i titoli
abilitativi edilizi e il certificato di agibilità,
precisando al riguardo che la “funzione del certificato di
agibilità è accertare che l'immobile, al quale si riferisce,
è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti
in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti; invece funzione
specifica della d.i.a. (come del permesso di costruire,
n.d.s.) è il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche”
(Consiglio di Stato sez. IV, 26.08.2014 n. 4309).
La giurisprudenza ha più di recente riproposto la cennata
opzione interpretativa avendo ribadito che “Il certificato
di agibilità ha la funzione di attestare il conseguimento
degli standard minimi e generali di qualità degli edifici.
Ai sensi dell'art. 24 n. 1, d.P.R. n. 380 del 2001, esso
attiene unicamente agli aspetti della conformità dell'opera
ai profili tecnici e igienico-sanitari, non avendo
riguardo ai profili più strettamente urbanistici” (TAR
Valle d’Aosta, 08.08.2015 n. 61).
Va inoltre soggiunto, come pure anticipato in sede
cautelare, che il certificato di agibilità è del tutto
inidoneo ad attestare la specifica destinazione d’uso
commerciale, che, a norma dell’art. 11, comma 3, sopra
riportato del D.M. n. 38/2013 deve essere attestata con
idonea documentazione da allegare alla domanda di
trasferimento della rivendita
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 06.11.2015 n. 5188 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’ordinanza
di demolizione, per la sua natura di atto urgente dovuto e
rigorosamente vincolato, non implicante valutazioni
discrezionali, ma risolventesi in meri accertamenti tecnici,
fondato, cioè, su un presupposto di fatto rientrante nella
sfera di controllo dell’interessato, non richiede apporti
partecipativi di quest’ultimo, il quale, in relazione alla
disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi,
contemplante la preventiva contestazione dell'abuso, ai fini
del ripristino di sua iniziativa dell'originario assetto dei
luoghi, viene, in ogni caso, posto in condizione di
interloquire con l'amministrazione prima di ogni definitiva
statuizione di rimozione d'ufficio delle opere abusive;
tanto più che, in relazione ad una simile tipologia
provvedimentale, può trovare applicazione l’art. 21-octies
della l. n. 241/1990, che statuisce la non annullabilità
dell’atto adottato in violazione delle norme su
procedimento, qualora, per la sua natura vincolata, sia
palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello concretamente enucleato.
---------------
La gravata misura repressivo-ripristinatoria rimane
affrancata dalla ponderazione discrezionale dell’interesse
privato al mantenimento in loco della res, in quanto
costituisce –come già evidenziato– atto dovuto e
rigorosamente vincolato, dove il preminente interesse
pubblico risiede in re ipsa nell’eliminazione dell’abuso e,
stante il carattere permanente di quest’ultimo, non viene
meno per il mero decorso del tempo, insuscettibile di
ingenerare affidamenti.
---------------
L'ordinanza di demolizione può legittimamente essere emessa
nei confronti del proprietario dell’opera abusiva, anche se
non responsabile della relativa esecuzione, trattandosi
–come accennato– di illecito permanente sanzionato in via
ripristinatoria, a prescindere dall'accertamento del dolo o
della colpa del soggetto interessato.
---------------
Il
procedimento volto ad attestare l’agibilità di un immobile
non interferisce con l’esercizio del potere di repressione
degli illeciti edilizi.
I due procedimenti hanno un differente oggetto: l’uno
è finalizzato unicamente a verificare la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati (cfr. art. 24 del d.p.r. n. 380/2001), mentre
l’altro è volto a sanzionare l’attività
urbanistico-edilizia, laddove non sia stata realizzata in
rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici e alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi.
Pertanto, il precedente rilascio del certificato di
agibilità non è sintomo di contraddittorietà della irrogata
sanzione demolitoria.
---------------
1.5. Privo di pregio si rivela anche l’ulteriore profilo di
censura volto a denunciare la mancata instaurazione del
contraddittorio procedimentale previamente all’adozione
della misura repressivo-ripristinatoria.
Ed invero, l’ordinanza di demolizione, per la sua natura di
atto urgente dovuto e rigorosamente vincolato, non
implicante valutazioni discrezionali, ma risolventesi in
meri accertamenti tecnici, fondato, cioè, su un presupposto
di fatto rientrante nella sfera di controllo
dell’interessato, non richiede apporti partecipativi di
quest’ultimo, il quale, in relazione alla disciplina
tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la
preventiva contestazione dell'abuso, ai fini del ripristino
di sua iniziativa dell'originario assetto dei luoghi, viene,
in ogni caso, posto in condizione di interloquire con
l'amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di
rimozione d'ufficio delle opere abusive; tanto più che, in
relazione ad una simile tipologia provvedimentale, può
trovare applicazione l’art. 21-octies della l. n. 241/1990,
che statuisce la non annullabilità dell’atto adottato in
violazione delle norme su procedimento, qualora, per la sua
natura vincolata, sia palese che il suo contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello
concretamente enucleato (cfr., ex multis, Cons.
Stato, sez. VI, 03.03.2007, n. 1021; sez. IV, 01.10.2007, n.
5050; 10.08.2011, n. 4764; TAR Lazio, Roma, sez. II,
03.07.2007, n. 5968; TAR Campania, Napoli, sez. IV,
17.01.2007, n. 357; sez. VI, 08.02.2007, n. 961; sez. IV,
22.03.2007, n. 2725; sez. VII, 09.05.2007, n. 4859;
08.06.2007, n. 6038; Salerno, sez. II, 13.08.2007, n. 900;
Napoli, sez. IV, 06.11.2007, n. 10676; 06.11.2007, n. 10679;
sez. VII, 12.12.2007, n. 16226; sez. IV, 17.12.2007, n.
16316; sez. VII, 28.12.2007, n. 16550; sez. IV, 24.01.2008,
n. 367; 21.03.2008, n. 1460; sez. VII, 21.03.2008, n. 1474;
04.04.2008, n. 1883; sez. III, 16.04.2008, n. 2207; sez. IV,
18.04.2008, n. 2344; sez. VI 18.06.2008, n. 5973; TAR
Umbria, Perugia, 26.01.2007, n. 44; TAR Trentino Alto Adige,
Bolzano, 08.02.2007, n. 52; TAR Molise, Campobasso,
20.03.2007, n. 178; TAR Sardegna, Cagliari, sez. I,
20.04.2007, n. 709; sez. VII, 09.05.2007, n. 4859; TAR
Basilicata, Potenza, sez. I, 16.02.2008, n. 33; TAR Veneto,
Venezia, sez. II, 26.02.2008, n. 454; 13.03.2008, n. 605;
TAR Puglia, Lecce, sez. III, 20.09.2008, n. 2651).
2. I superiori approdi –quanto, precipuamente, al mancato
consolidamento degli effetti della d.i.a. presentata per
interventi esulanti dal relativo regime abilitativo e,
quindi, quanto alla diretta irrogabilità della sanzione
reale, senza l’intermediazione delle garanzie
dell’autotutela, operanti in esito al prodursi degli effetti
anzidetti (cfr. art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990)–
inducono a ripudiare anche il motivo di impugnazione inteso
a denunciare l’omessa ponderazione tra l’interesse pubblico
al ripristino dello stato dei luoghi e il confliggente
affidamento dei privati (non responsabili dell’abuso) nella
conservazione delle opere eseguite.
Al riguardo, occorre rimarcare che la gravata misura
repressivo-ripristinatoria rimane affrancata dalla
ponderazione discrezionale dell’interesse privato al
mantenimento in loco della res, in quanto costituisce
–come già evidenziato– atto dovuto e rigorosamente
vincolato, dove il preminente interesse pubblico risiede
in re ipsa nell’eliminazione dell’abuso e, stante il
carattere permanente di quest’ultimo, non viene meno per il
mero decorso del tempo, insuscettibile di ingenerare
affidamenti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV,
31.08.2010, n. 3955; sez. V, 11.01.2011, n. 79; sez. IV,
04.05.2012, n. 2592; TAR Campania, sez. VI, 06.09.2010, n.
17306; sez. VII, 03.11.2010, n. 22291; sez. VIII,
05.01.2001, n. 4; 06.04.2011, n. 1945; TAR Puglia, Lecce,
sez. III, 10.09.2010, n. 1962; 09.11.2010, n. 2631; TAR
Piemonte, Torino, sez. I, 19.11.2010, n. 4164; TAR Lazio,
Roma, sez. II, 06.12.2010, n. 35404; TAR Liguria, Genova,
sez. I, 21.03.2011, n. 432).
Tale conclusione neppure resta menomata dalla dedotta
circostanza che i ricorrenti non sarebbero responsabili
dell’abuso contestato (avendo acquistato da terzi l’immobile
già nelle condizioni emerse in sede di accertamento).
L'ordinanza di demolizione può, infatti, legittimamente
essere emessa nei confronti del proprietario dell’opera
abusiva, anche se non responsabile della relativa
esecuzione, trattandosi –come accennato– di illecito
permanente sanzionato in via ripristinatoria, a prescindere
dall'accertamento del dolo o della colpa del soggetto
interessato (cfr., ex multis, TAR Lazio, Latina,
06.08.2009, n. 780; TAR Campania, Napoli, sez. II,
15.12.2009, n. 8704; sez. IV, 09.04.2010, n. 1890; sez. III,
23.04.2010, n. 2106; sez. IV, 24.05.2010, n. 8343; TAR
Sicilia, Palermo, sez. III, 13.08.2013, n. 1619).
3. I nominati in epigrafe non possono, poi, fondatamente
dolersi del fatto che le unità immobiliari abusivamente
adibite ad appartamenti residenziali avrebbero, dapprima,
conseguito l’autorizzazione di abitabilità ed usabilità,
prot. n. 99, dell’11.02.2008 e, poi, contraddittoriamente,
formato oggetto della gravata misura
repressivo-ripristinatoria.
Rileva, in questo senso, il Collegio che il procedimento
volto ad attestare l’agibilità di un immobile non
interferisce con l’esercizio del potere di repressione degli
illeciti edilizi.
I due procedimenti hanno un differente oggetto: l’uno
è finalizzato unicamente a verificare la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati (cfr. art. 24 del d.p.r. n. 380/2001), mentre
l’altro è volto a sanzionare l’attività
urbanistico-edilizia, laddove non sia stata realizzata in
rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici e alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi.
Pertanto, il precedente rilascio del certificato di
agibilità non è sintomo di contraddittorietà della irrogata
sanzione demolitoria
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 05.11.2015 n. 5136 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
TRIBUTI: N.
Bertolini,
La dichiarazione di inagibilità non è sempre necessaria (Azienditalia
- Finanza e Tributi 10/2015).
---------------
La mera richiesta formale del beneficio previsto per i fabbricati
inagibili e inabitabili non è necessaria quando i fatti sono già
documentalmente noti all’ente impositore. Così ha stabilito la Corte di
cassazione con le sentenze n. 12014 e n. 12015 del 10.06.2015 emesse dalla
Sezione V. |
EDILIZIA PRIVATA:
G. Giustiniani e A.S. Pavesi, “I
permessi edilizi alla luce delle recenti novità normative”
(Politecnico di Milano - Scuola di Ingegneria Edile
Architettura – Laurea Magistrale in Gestione del Costruito –
Strumenti e Tecniche di Progettazione sul Costruito - A.A.
2014/2015) (26.06.2015).
---------------
SOMMARIO:
IL GOVERNO DEL TERRITORIO:
- l’oggetto; - le competenze legislative e le funzioni
amministrative.
L’URBANISTICA:
- il sistema tradizionale della pianificazione urbanistica;
- il piano regolatore generale, contenuto; - il piano
regolatore generale, gli standard urbanistici.
L’EDILIZIA:
- il regolamento edilizi; - i titoli abilitativi
all’attività edilizia, profilo storico; - i titoli
abilitativi all’attività edilizia, la disciplina oggi: (i)
le attività completamente libere; (ii) la comunicazione di
inizio lavori per attività libere; (iii) la segnalazione
certificata di inizio attività; (iv) la denuncia di inizio
attività in alternativa al permesso di costruire; (v) il
permesso di costruire; (vi) il permesso di costruire in
deroga; (vii) il permesso di costruire convenzionato; (viii)
gli interventi di conservazione; (ix) i cambi di
destinazione d’uso; - il piano regolatore generale
“adottato”, l’attività edilizia e le misure di salvaguardia;
- il certificato di agibilità.
LA REGIONE LOMBARDIA:
- i nuovi modelli di pianificazione generale, il piano di
governo del territorio («PGT») della Regione Lombardia; - le
definizioni degli interventi edilizi; - la sentenza della
Corte Costituzionale 21.11.2011, n. 309; - i titoli
abilitativi e i procedimenti amministrativi i cambi di
destinazione d’uso; - il PGT della Regione Lombardia,
attività edilizia, misure di salvaguardia e perdita di
efficacia dei piani regolatori generali; - il certificato di
agibilità.
LA BIBLIOGRAFIA:
- i testi consigliati. |
EDILIZIA PRIVATA: Il
certificato di agibilità attesta la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità … Al tempo stesso
l'accertamento della piena conformità dei manufatti alle
norme urbanistico-edilizie ed alle prescrizioni del permesso
di costruire, nonché alle disposizioni di convenzione
urbanistica, costituisce il presupposto indispensabile per
il legittimo rilascio del certificato di agibilità.
L’art. 25 del d.p.r. n. 380/2001 prescrive espressamente
che, ai fini del rilascio del certificato di agibilità,
risulta necessaria: “b) dichiarazione sottoscritta dallo
stesso richiedente il certificato di agibilità di conformità
dell'opera rispetto al progetto approvato, nonché in ordine
alla avvenuta prosciugatura dei muri e della salubrità degli
ambienti”.
Il quarto motivo di ricorso è infondato in quanto, per
pacifica giurisprudenza, l’agibilità presuppone non solo il
rispetto dei requisiti igienico sanitari ma altresì la
conformità dell’opera ai titoli abilitativi presupposti.
Ex pluribus Consiglio di Stato n. 5523/2013 secondo
cui: “il certificato di agibilità attesta la sussistenza
delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità … Al tempo
stesso l'accertamento della piena conformità dei manufatti
alle norme urbanistico-edilizie ed alle prescrizioni del
permesso di costruire, nonché alle disposizioni di
convenzione urbanistica, costituisce il presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di
agibilità”.
L’art. 25 del d.p.r. n. 380/2001 prescrive espressamente
che, ai fini del rilascio del certificato di agibilità,
risulta necessaria: “b) dichiarazione sottoscritta dallo
stesso richiedente il certificato di agibilità di conformità
dell'opera rispetto al progetto approvato, nonché in ordine
alla avvenuta prosciugatura dei muri e della salubrità degli
ambienti”.
Né può trovare spazio la valutazione di agibilità parziale
posto che la normativa subordina il rilascio del certificato
all’ultimazione dei lavori, conformemente al progetto;
ancora l’art. 49, co. 12, della l.r Piemonte n. 56/1977
nella versione vigente all’epoca di adozione degli atti
impugnati (e per altro il co. 6 del medesimo articolo del
testo normativo nella formulazione attualmente in vigore)
prevede che: “per ultimazione dell'opera si intende il
completamento integrale di ogni parte del progetto,
confermata con la presentazione della comunicazione di
ultimazione dei lavori"
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 15.05.2015 n. 836 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato di agibilità parziale.
DOMANDA:
Si chiede un parere in merito alla possibilità di rilasciare
il certificato di agibilità parziale di una unità
immobiliare residenziale posta al piano primo di un immobile
plurifamiliare composto da più livelli, nel quale esiste
l’ascensore seppure al momento attuale non funzionate e mai
collaudato.
Nel particolare anche alla luce delle disposizioni
specifiche introdotte dalla legge n. 98/2013, di conversione
del D.L. n. 69/2013 (Decreto del Fare), che stabilisce per
il certificato di agibilità l’introduzione del comma 4-bis
all’art. 24 del Testo unico dell’edilizia, che prevede il
rilascio di agibilità parziale degli edifici.
In concreto, secondo la recente disciplina il certificato di
agibilità può essere rilasciato per singoli edifici o
singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente
autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le
opere di urbanizzazione primaria relative all’intero
intervento edilizio e siano state completate e collaudate le
parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati
gli impianti relativi alle parti comuni, oppure per singole
unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le
opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e
siano completate le parti comuni e le opere di
urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto
all’edificio oggetto di agibilità parziale.
Pertanto atteso che relativamente al caso specifico non
risultano collaudati e certificati gli impianti relativi
alle parti comuni (ascensore), mentre risultano certificati
gli impianti della singola unità immobiliare, che è
posizionata al piano primo e pertanto ad un livello per il
quale singolarmente non sarebbe essenziale l’esistenza
dell’ascensore, si chiede parere in merito alla possibilità
di rilasciare il certificato di agibilità parziale per tale
unità immobiliare.
RISPOSTA:
Si ritiene che, sul punto, la normativa sia abbastanza
chiara, né suscettibile di interpretazioni estensive, dal
momento che si tratta di una normativa "derogatoria".
L'articolo 30 del decreto legge n. 69/2013, integrando
l'articolo 24 del Testo Unico Edilizia D.P.R. n. 380/2001,
ha introdotto la possibilità del rilascio del certificato di
agibilità parziale che, nel caso di edifici singoli o
singole porzioni della costruzione (caso di specie), può
essere rilasciato a condizione che:
- siano funzionalmente
autonomi;
- siano state realizzate e collaudate le opere di
urbanizzazione primaria relative all'intero intervento
edilizio;
- siano state completate e collaudate le parti
strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli
impianti relativi alle parti comuni.
Nella fattispecie concreta, la concessione edilizia è stata
rilasciata in virtù di un progetto che contempla, tra gli
impianti relativi alle parti comuni, anche l’ascensore (che,
attualmente, non funziona, né è stato oggetto di collaudo).
Mancando quindi uno dei presupposti richiesti dalla
richiamata normativa, sarebbe illegittimo il rilascio del
certificato di agibilità parziale, ponendosi come
irrilevante, sotto il profilo giuridico, il fatto che
l'immobile sia ubicato al primo piano e quindi non sia
essenziale l'utilizzo dell’ascensore (link a
www.ancirisponde.ancitel.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI: ASSENZA
DEL CERTIFICATO DI ABITABILITÀ E SUE CONSEGUENZE.
L’esistenza dei requisiti di abitabilità
e agibilità deve essere attuale al momento del contratto,
non già meramente futura, ipotetica o condizionata, poiché è
obbligo del venditore il trasferire la proprietà di un bene
immobile che, per la sua destinazione a uso abitativo, già
presenti all’atto della vendita i requisiti indispensabili
ai fini della piena realizzazione della funzione
socio-economica del contratto da stipulare: la carenza
comporta ricadute sulla valutazione di adempimento del
promittente venditore, in relazione all’interesse del
promissario acquirente a ottenere la proprietà di un
immobile idoneo a soddisfare i bisogni che lo inducono
all’acquisto, ossia la fruibilità e la commerciabilità del
bene, per i quali il certificato di abitabilità deve
ritenersi essenziale.
La promissaria acquirente di un immobile convenne al
Tribunale civile i promittenti venditori assumendo, tra
l’altro, che il bene era affetto da varie anomalie, fra le
quali la mancanza del certificato di abitabilità. Era perciò
chiesta la condanna dei convenuti al pagamento del doppio
della caparra corrisposta e alla restituzione dell’importo
dato in acconto sul prezzo, oltre interessi legali.
I convenuti, nel costituirsi, contestavano il fondamento
della domanda di cui chiedevano il rigetto, a loro volta
avanzando riconvenzionale per la risoluzione del contratto
preliminare determinato da fatto e colpa della promissaria
acquirente, con richiesta di sua condanna al risarcimento
dei danni e, in subordine, ponendo domanda di accertamento
circa la legittimità del loro recesso contrattuale, con
declaratoria del diritto a trattenere l’importo ricevuto a
titolo di caparra.
Il Tribunale adito dichiarava la legittimità del recesso
dell’attrice e condannava i convenuti a corrispondere
all’attrice tanto l’importo degli acconti, quanto quello
pari al doppio della caparra.
L’appello, proposto dagli originari convenuti, fu respinto
della Corte territoriale assumendosi tra l’altro che i
venditori non avevano presentato domanda per il rilascio del
certificato di abitabilità per la parte dell’edificio di
loro proprietà esclusiva sicché la venditrice non poteva
invocare in suo favore, per la parte dell’edificio oggetto
di compravendita, il silenzio assenso del Comune del luogo,
non potendo operare tal silenzio circostanziato in
dipendenza di una domanda non presentata o presentata da
soggetto terzo (il costruttore, per le parti condominiali)
non proprietario della parte d’edificio di proprietà
esclusiva dei venditori. Al definitivo, la Corte
territoriale escluse che tale porzione dell’immobile potesse
intendersi dotata di abitabilità ai fini della stipulazione
tra le parti del contratto definitivo di compravendita.
Pertanto, mancando il certificato di abitabilità, la diffida
ad adempiere inviata dall’acquirente ricadeva nel periodo
durante il quale l’abitabilità -da intendersi “attestata”
per silenzio-assenso- ancora mancava.
Tra l’altro, la Corte territoriale non mancò di rilevare che
il Comune aveva dichiarato in seguito addirittura la non
abitabilità dell’edificio compromesso in vendita, per la
carenza di requisiti minimi a tale scopo in ispecie quelli
fognari.
In definitiva all’esito del giudizio di merito si è ritenuto
che l’esistenza dei requisiti dell’edificio per essere
abitabile, essendo soggetta a verifica preventiva, deve
essere attuale al momento del contratto, e non già meramente
futura, ipotetica ed eventuale, come prospettato gli
appellanti condizionandola al verificarsi di un evento in
fieri ed incerto, in quanto compete al venditore trasferire
la proprietà di un bene immobile che, per la sua
destinazione ad uso abitativo, già presenti all’atto della
vendita i requisiti indispensabili ai fini della piena
realizzazione della funzione socio-economica del contratto
da stipulare. Sicché, legittimamente la promittente
acquirente aveva esercitato il recesso dal contratto
preliminare e aveva fatto valere il suo diritto al
versamento in proprio favore del doppio della caparra
confirmatoria.
Per la cassazione di tale sentenza i promissari venditori,
soccombenti nel doppio grado di merito, ricorrono per
Cassazione, con mezzi che la Suprema Corte respinge. Tra le
enunciazioni contenute nella sentenza in commento, alcune
meritano attenzione per la materia oggetto della presente
Rivista.
La ratio della produzione documentale -effettuata dai
venditori per mettere la P.A. nelle condizioni di verificare
l’esistenza degli elementi necessari perché la costruzione
sia abitabile e considerato che in materia ricorre la
fattispecie di assenso delineata dall’art. 4, d.P.R. n.
425/1994- presuppone tanto che il proprietario, all’atto
della presentazione della domanda d’abitabilità offra tutta
la documentazione richiesta dal primo comma di detta norma,
quanto il decorso del tempo idoneo a integrare il silenzio
circostanziato dalla norma come “assenso”.
Detta documentazione è necessaria ai fini della formazione
del silenzio-assenso per l’attestazione della sussistenza
dei requisiti urbanistici e igienici dell’immobile (con
ricadute sull’adempimento o meno del promittente venditore
di un immobile destinato a civile abitazione a corredare il
bene del certificato di abitabilità, in relazione
all’interesse del promissario acquirente a ottenere la
proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la sua funzione
economico-sociale e a soddisfare i bisogni che inducono
all’acquisto, ovvero la fruibilità e la commerciabilità del
bene, per i quali il certificato di abitabilità deve
ritenersi essenziale).
Per tale ragione, la Suprema Corte ritiene pienamente da
condividersi il convincimento del Giudice di appello, con la
conseguenza che, in mancanza del certificato di abitabilità,
la diffida ad adempiere inviata ricadeva logicamente nel
periodo di tempo durante il quale l’abitabilità ancora
mancava per la parte dell’edificio compromesso (Corte di
Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 14.04.2015 n. 7472 - Urbanistica e
appalti n. 6/2015). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio del certificato di agibilità presuppone la
conformità del fabbricato ai parametri normativi e
regolamentari urbanistici ed edilizi.
Invero, l'art. 24, comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001 dispone
che "il soggetto titolare del permesso di costruire" è
tenuto "a chiedere il certificato di agibilità".
L'art. 35, comma 20, L. 28.02.1985, n. 47 (norme in materia
di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni,
recupero e sanatoria delle opere edilizia) prevede che "a
seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria
viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o
agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme
regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con
le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica".
I dati normativi sopra richiamati ed il principio di
ragionevolezza dell'azione amministrativa, nella valutazione
e nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in
campo, escludono l'utilizzo, per qualsivoglia destinazione,
di un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico
edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela
del fascio di interessi collettivi alla cui protezione
quella disciplina è preordinata.
Non a caso le sopra descritte precise indicazioni normative
sono seguite da univoca giurisprudenza, secondo cui il
rilascio del certificato di agibilità, lungi dall'essere
subordinato all'accertamento dei soli requisiti
igienico-sanitari, presuppone altresì la conformità
urbanistica ed edilizia dell'opera.
E' stato anche chiarito che il requisito dell'agibilità
riflette non solo la regolarità igienico-sanitaria
dell'edificio, ma anche alla sua conformità
urbanistico-edilizia e paesaggistica.
Quanto al provvedimento sub a) (diniego del permesso di
costruire in sanatoria), il ricorso non è fondato e va
respinto per i motivi di seguito precisati.
Come già osservato in sede cautelare, e confermato dal
Consiglio di Stato (che, con ordinanza n. 2140/2011, ha
respinto l’appello proposto dai ricorrenti avverso
l’ordinanza cautelare pronunziata da questa Sezione), la
deroga di cui all’art. 35 l. 47/1985 non concerne le
prescrizioni di carattere igienico-sanitario.
Come precisato da Tar Campania, Napoli, sez. III, n.
3992/2014, “il rilascio del certificato di agibilità
presuppone la conformità del fabbricato ai parametri
normativi e regolamentari urbanistici ed edilizi.
Invero, l'art. 24, comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001 dispone
che "il soggetto titolare del permesso di costruire" è
tenuto "a chiedere il certificato di agibilità".
L'art. 35, comma 20, L. 28.02.1985, n. 47 (norme in materia
di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni,
recupero e sanatoria delle opere edilizia) prevede che "a
seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria
viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o
agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme
regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con
le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica".
I dati normativi sopra richiamati ed il principio di
ragionevolezza dell'azione amministrativa, nella valutazione
e nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in
campo, escludono l'utilizzo, per qualsivoglia destinazione,
di un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico
edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela
del fascio di interessi collettivi alla cui protezione
quella disciplina è preordinata.
Non a caso le sopra descritte precise indicazioni normative
sono seguite da univoca giurisprudenza, secondo cui il
rilascio del certificato di agibilità, lungi dall'essere
subordinato all'accertamento dei soli requisiti
igienico-sanitari, presuppone altresì la conformità
urbanistica ed edilizia dell'opera (cfr. TAR Palermo, sez.
III, 20.12.2013, n. 2534). E' stato anche chiarito che il
requisito dell'agibilità riflette non solo la regolarità
igienico-sanitaria dell'edificio, ma anche alla sua
conformità urbanistico-edilizia e paesaggistica (ex multis:
Cons. Stato, sez. V, 16.05.2013, n. 2665; idem 30.04.2009,
n. 2760; TAR Palermo, II, 24.05.2012, n. 1055)”. In
senso analogo si è pronunziato Tar Marche, sez. I, n.
3345/2010.
Pertanto, il diniego è legittimamente motivato, atteso che
il parere negativo espresso dall'ASL Napoli 1 che l'immobile
de quo non possiede i requisiti minimi di abitabilità
trova luogo nel fatto immanente che, come evidenziato nella
nota prot. 2011/11768 dell'11.01.2011 del Servizio Progetto
Condono Edilizio, la "superficie complessiva di mq. 3,28
(come risultante dalla perizia giurata presentata) non
assicura il livello minimo di 1/8 della superficie di
pavimento previsto dall'art. 5 del D.M. 05.07.1975 recepito
anche dal Regolamento Edilizio del Comune di Napoli all'art.
17 dell'Allegato B" (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 02.04.2015 n. 1917 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 24, comma 1, T.U. 380/2001, “Il certificato
di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate
secondo quanto dispone la normativa vigente”.
Il certificato stesso, quindi, non può essere negato per
questioni relative alla conformità edilizia dell’immobile,
in particolare per il mancato pagamento del contributo di
concessione.
Il rilascio dell’agibilità, ai sensi del successivo art. 25
T.U., consegue sempre ad un provvedimento, ancorché, come
nella specie, tacitamente formatosi col meccanismo del
silenzio-assenso a fronte di una certificazione del privato;
consiste poi in un provvedimento “allo stato”, nel senso che
è revocabile ai sensi dell’art. 26 ancora seguente, ove i
presupposti di fatto vengano a mancare, ovvero se la
costruzione divenga insalubre.
... per l’annullamento, previa sospensione, del
provvedimento 21.05.2014 prot. n. 15683, comunicato in data
imprecisata, con il quale il Responsabile del settore
urbanistico del Comune di Palazzolo sull’Oglio ha disposto
nei confronti della CMT Due Srl la revoca dell’agibilità
dell’immobile sito in Via ... autocertificata con atti
30.01.2013 prot. n. 3102 e 21.08.2013 n. 21700;
...
La C.M.T. Due S.r.l., odierna ricorrente, insorge nella
presente sede giurisdizionale avverso il provvedimento
meglio indicato in epigrafe (doc. 1 ricorrente, copia di
esso), mediante il quale ha visto pronunciare la “revoca”
delle agibilità presentate nelle forme della
autocertificazione in data 30.01. e 21.08.2013 quanto ad un
immobile di proprietà, sito in Palazzolo sull’Oglio, in Via
... e distinto al relativo catasto al foglio 16, mappale 51,
in dichiarata esecuzione del capo A punto 2 di un “protocollo
di intesa” stipulato con il Comune in data 15.11.2012.
In detto protocollo, per quanto interessa, si dà in sintesi
atto che, per regolarizzare la realizzazione abusiva di un
centro benessere all’interno dell’immobile in questione,
alla ricorrente è stata irrogata una sanzione pecuniaria,
alternativa alla rimessione in pristino così come consentito
dall’art. 33 del T.U. 06.06.2001 n. 380; si conviene poi una
rateizzazione degli importi corrispondenti sia alla sanzione
sia al contributo di costruzione ed infine si stipula -al
punto 2 del capo A citato- che “resta salvo il potere di
revoca dell’agibilità per l’immobile ad uso commerciale –
centro benessere, quale destinazione d’uso post abuso
accertata e confermata dalla sentenza del TAR Brescia n.
1429 del 03.08.2012, per i casi di cui all’articolo 26 del
D.P.R. 06.06.2001 n. 380, ed il caso in cui non venga
effettuato il pagamento anche di una sola delle rate della
sanzione irrogata” (doc. 11 ricorrente, copia
convenzione, p. 5 prime sei righe), evenienza quest’ultima
poi in effetti verificatasi e posta a fondamento della
revoca per cui è causa.
A sostegno del ricorso, deduce tre censure, riconducibili ad
un unico motivo di violazione degli artt. 24 e ss. del T.U.
380/2001, nel senso che l’agibilità, dichiarata nel relativo
certificato, nella specie formatosi con la procedura del
silenzio assenso prevista dalle norme citate, conseguirebbe
esclusivamente ad un accertamento delle condizioni igieniche
e di sicurezza degli immobili, e potrebbe essere revocata
solo allorquando esse venissero a mancare in un momento
successivo, e non in base a considerazioni di altro tipo,
come l’inadempimento pecuniario verso il Comune per cui è
causa, assolutamente non previste dalla legge.
Ha resistito il Comune, con memoria 29.08.2014, in cui
chiede che il ricorso sia respinto nel merito; sostiene in
dettaglio anzitutto che la revoca sarebbe conseguenza di una
pattuizione liberamente conclusa, a fronte di un
inadempimento non controverso, atteso che la ricorrente -la
quale per vero non lo nega- da un lato ha sospeso il
pagamento delle rate afferenti tanto la sanzione quanto il
contributo di costruzione, dall’altro lato, ha prestato la
garanzia di due fideiussori rivelatisi insolventi (doc. 1
ricorrente, cit.); sostiene poi che l’inadempimento in
questione avrebbe impedito il perfezionarsi della sanatoria,
sì che revocando l’agibilità si sarebbe perseguito
l’interesse pubblico a impedire la circolazione di un
immobile tuttora abusivo
...
1. Il ricorso, nell’unico motivo dedotto, è fondato e va
accolto, non ravvisando il Collegio ragioni per discostarsi
da quanto già sinteticamente motivato nell’ordinanza
cautelare di cui in narrativa.
2. Va per chiarezza ricostruito il dato normativo. Ai sensi
dell’art. 24, comma 1, T.U. 380/2001, “Il certificato di
agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate
secondo quanto dispone la normativa vigente”. Il
certificato stesso quindi –come ritenuto, in particolare
C.d.S. sez. IV 26.08.2014 n. 4309 e, nella giurisprudenza
della Sezione, 09.12.2008 n. 1723, citata dalla ricorrente-
non può essere negato per questioni relative alla conformità
edilizia dell’immobile, in particolare per il mancato
pagamento del contributo di concessione.
3. Il rilascio dell’agibilità, ai sensi del successivo art.
25 T.U., consegue sempre ad un provvedimento, ancorché, come
nella specie, tacitamente formatosi col meccanismo del
silenzio-assenso a fronte di una certificazione del privato;
consiste poi in un provvedimento “allo stato”, nel
senso che è revocabile ai sensi dell’art. 26 ancora
seguente, ove i presupposti di fatto vengano a mancare,
ovvero se la costruzione divenga insalubre.
4. In proposito, l’amministrazione resistente sostiene, per
implicito ma inequivocabilmente, che quella riferita sarebbe
solo la disciplina ordinaria; che essa avrebbe carattere
dispositivo e che nella specie essa sarebbe stata
legittimamente derogata sulla base della libera pattuizione
di cui in premesse e che, anzi, sulla liceità di tale
pattuizione questo Giudice non potrebbe pronunciarsi senza
andare con ciò oltre la domanda. Si tratta però di assunti
tutti non condivisibili, nei termini di che appresso.
5. In ordine logico, è infondato il rilievo di
ultrapetizione. Il provvedimento impugnato, all’evidenza,
sta e cade con la validità ed efficacia della pattuizione di
che trattasi, e quindi la relativa questione –peraltro,
rilevabile anche d’ufficio trattandosi in ipotesi di una
nullità per contrarietà a norme imperative- è una
pregiudiziale di merito che questo Giudice di necessità deve
risolvere.
6. Ciò posto, la pattuizione fra il Comune e l’odierna
ricorrente, di cui si è dato conto in premesse, appartiene
all’evidenza alla categoria degli accordi integrativi ovvero
sostitutivi di provvedimenti, poiché con essa le parti hanno
inteso regolamentare l’esercizio da parte dell’ente dei
propri poteri sanzionatori di un precedente abuso edilizio,
esercizio sul quale l’art. 33 T.U. riconosce spazi di
discrezionalità.
7. Come tale, essa è disciplinata dall’art. 11 l. 07.08.1990
n. 241, e quindi può determinare “il contenuto
discrezionale del provvedimento finale” ovvero
sostituire un provvedimento di tal specie, non già incidere
sull’esercizio di un potere vincolato, che in presenza dei
presupposti di legge ha contenuti imposti.
8. Ai poteri vincolati, appartiene quello di dichiarare
l’agibilità, che come si ricava dalle norme citate,
presuppone unicamente il dato tecnico sanitario della
salubrità dei locali, e quindi serve all’interesse della
sanità pubblica, con ogni evidenza, quindi, ad un interesse
indisponibile in via pattizia. Il contenuto dell’accordo fra
le parti, nella parte in cui pretende di incidere
sull’esercizio di detto potere, per altre –pur in sé non
indegne di tutela- ragioni è quindi nullo per contrasto con
norma imperativa, e comporta l’illegittimità del
provvedimento che su tale contenuto si fondi.
9. Due ulteriori precisazioni. In primo luogo, la
suddetta conclusione non cambierebbe anche a voler
considerare, come dedotto dalla difesa del Comune (memoria
13.02.2015 p. 2 tredicesimo rigo), la clausola in questione
come una penale, poiché, a parte ogni altra considerazione,
una penale non può conferire rilievo giuridico ad una
pattuizione nulla: sul principio, Cass. civ. sez. II
15.02.2002 n. 2209.
10. In secondo luogo, non risponde a verità quanto
affermato sempre dalla difesa del Comune, ovvero (memoria
29.08.2014, p. 4) che la clausola in questione presidierebbe
in via esclusiva un interesse pubblico a impedire la
circolazione dell’immobile sin quando la sanzione non sia
pagata per intero. Si tratterebbe infatti di un fine in sé
legittimo, ma perseguito in maniera impropria, dato che lo
stesso risultato può conseguirsi con gli ordinari mezzi
civilistici di tutela del relativo credito, che ben possono
impiegarsi proprio al fine di impedire al debitore
inadempiente di trasferire a terzi un bene immobile (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 28.03.2015 n. 476 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Sull'illegittimo
annullamento della DIA e del certificato di agibilità.
Coglie nel segno il motivo incentrato
sulla violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del
1990, concernente l’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio da parte della p.a..
Il Comune intimato, mediante l’atto impugnato, è infatti
incorso in un’evidente violazione delle garanzie che, a
norma della citata disposizione di legge, devono assistere
l’adozione di un provvedimento di annullamento d’ufficio di
un precedente atto favorevole per il privato.
Tale norma, così come introdotta dalla legge n. 15 del 2005,
ha declinato le coordinate per il valido esercizio del
potere di autotutela espressamente ponendo, quale
indefettibile condizione di legalità per l'esercizio del
relativo potere, proprio la necessità che l'atto di secondo
grado sia sorretto dal rilievo della sussistenza di ragioni
di interesse pubblico alla rimozione del provvedimento
viziato, nel necessario rispetto di un termine ragionevole
entro il quale intervenire e tenendo conto degli interessi
dei soggetti privati coinvolti.
---------------
Sia pure richiamando l’interesse pubblico astrattamente
sotteso alla classificazione di pericolosità geomorfologica
dell’area– l’atto impugnato risulta carente lungo l’intero
versante del bilanciamento degli opposti interessi in gioco,
sia perché si è mantenuto in una posizione del tutto
generica e non circostanziata in ordine all’interesse
pubblico sussistente in concreto (posto che non risulta
essere mai stata effettuata un’indagine sullo stato dei
luoghi, al fine di verificare la concreta incidenza delle
opere realizzate con l’assetto geomorfologico del
territorio), sia perché non ha dato conto dell’opposto
interesse del privato al mantenimento dell’opera, anche in
relazione alla consistenza di quest’ultima.
Di rilievo è, inoltre, anche il mancato rispetto di un
termine ragionevole entro il quale l’atto di secondo grado
avrebbe dovuto essere adottato: a fronte del perfezionamento
dell’efficacia della d.i.a., avvenuto nell’aprile del 2004,
il Comune è intervenuto per rimuovere quell’efficacia a
distanza di quasi dieci anni (in data 13.12.2013), ossia
dopo un lasso di tempo manifestamente irragionevole.
... per l'annullamento dell'ordinanza n. 1 del 13.12.2013,
notificata il 28.12.2013, con la quale il responsabile del
servizio urbanistica associato della Comunità Montana Terre
del Giarolo ha annullato in autotutela la D.I.A. prot. 490
del 30.03.2004 ed il certificato di agibilità del 21.09.2010
e ordinato il ripristino dei luoghi entro il termine di 90
giorni;
...
Il ricorso è fondato.
Coglie nel segno il motivo incentrato sulla violazione
dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, concernente
l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio da parte
della p.a.
Il Comune intimato, mediante l’atto impugnato, è infatti
incorso in un’evidente violazione delle garanzie che, a
norma della citata disposizione di legge, devono assistere
l’adozione di un provvedimento di annullamento d’ufficio di
un precedente atto favorevole per il privato.
Tale norma, così come introdotta dalla legge n. 15 del 2005,
ha declinato le coordinate per il valido esercizio del
potere di autotutela espressamente ponendo, quale
indefettibile condizione di legalità per l'esercizio del
relativo potere, proprio la necessità che l'atto di secondo
grado sia sorretto dal rilievo della sussistenza di ragioni
di interesse pubblico alla rimozione del provvedimento
viziato, nel necessario rispetto di un termine ragionevole
entro il quale intervenire e tenendo conto degli interessi
dei soggetti privati coinvolti (cfr., ex multis,
Cons. Stato, sez. VI, n. 5609 del 2014; Id., sez. V, n. 4902
del 2014; TAR Campania, Napoli, sez. III, n. 208 del 2012;
TAR Piemonte, questa sez. II, n. 609 e n. 1198 del 2012;
Cons. Stato, sez. IV, n. 4770 del 2011).
Deve osservarsi, in proposito, che –sia pure richiamando
l’interesse pubblico astrattamente sotteso alla
classificazione di pericolosità geomorfologica dell’area–
l’atto impugnato risulta carente lungo l’intero versante del
bilanciamento degli opposti interessi in gioco, sia perché
si è mantenuto in una posizione del tutto generica e non
circostanziata in ordine all’interesse pubblico sussistente
in concreto (posto che non risulta essere mai stata
effettuata un’indagine sullo stato dei luoghi, al fine di
verificare la concreta incidenza delle opere realizzate con
l’assetto geomorfologico del territorio), sia perché non ha
dato conto dell’opposto interesse del privato al
mantenimento dell’opera, anche in relazione alla consistenza
di quest’ultima.
Di rilievo è, inoltre, anche il mancato rispetto di un
termine ragionevole entro il quale l’atto di secondo grado
avrebbe dovuto essere adottato: a fronte del perfezionamento
dell’efficacia della d.i.a., avvenuto nell’aprile del 2004,
il Comune è intervenuto per rimuovere quell’efficacia a
distanza di quasi dieci anni (in data 13.12.2013), ossia
dopo un lasso di tempo manifestamente irragionevole.
Rilevanza, in proposito, assume quanto l’amministrazione ha
illustrato in giudizio mediante l’apposita relazione di
chiarimenti (predisposta a seguito di ordinanza istruttoria
del Collegio). Lungi dal giustificare le ragioni
dell’abnorme ritardo, e lungi dall’allegare circostanze di
fatto tali da far ritenere sussistente, in concreto, un
pericolo per il territorio derivante dalle opere realizzate,
l’amministrazione, al contrario, ha confermato l’inesistenza
di alcuna ragione giustificatrice del proprio intervento in
autotutela.
Per un verso, infatti, essa ha riconosciuto che le opere
realizzate nel 2004 non hanno comportato alcun aumento del
carico antropico e, soprattutto, hanno mantenuto invariati
la superficie ed il volume dell’immobile: onde non si
comprende quale incidenza sul territorio esse abbiano potuto
apportare, in termini anche di mera compromissione della
stabilità geomorfologica, risultando per converso
insussistente alcun interesse pubblico attuale alla
demolizione. Per altro verso, essa ha affermato che il lungo
lasso di tempo intercorso tra la d.i.a. presentata nel 2004
e l’esercizio del potere di annullamento in autotutela nel
2013 è dipeso “dall’avvio del procedimento in data
21.03.2012 da parte della Comunità Montana Terre del Giarolo
a seguito di segnalazione da parte di privato”: ma
davvero non è dato comprendere il significato di siffatta
affermazione, certamente non tale da giustificare le ragioni
del mancato esercizio dell’attività di vigilanza edilizia
per quasi un decennio, peraltro essendo già disponibili, sin
dalla data del deposito della d.i.a., le planimetrie e la
relazione del progettista incaricato dei lavori che avevano
descritto le opere da eseguirsi; e vieppiù, considerando che
nemmeno in occasione della presentazione della successiva
d.i.a. del 2010 l’amministrazione ha avuto alcunché da
obiettare, tantomeno in ordine agli aspetti geomorfologici,
ed ha anzi rilasciato il certificato di agibilità (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 12.02.2015 n. 293 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
ricostruzione storica dell'istituto del certificato di
agibilità.
Il certificato di agibilità attualmente
disciplinato dagli artt. 24 e 25 del D.P.R. 380/2001
corrisponde a quella che un tempo veniva denominata licenza
d’uso o di abitabilità, introdotta dal Testo Unico sulle
Leggi Sanitarie. L’art. 221 del R.D. 1265/1934, infatti, già
prevedeva che le costruzioni di nuove case urbane o
extraurbane “non possono essere abitate senza autorizzazione
del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione di
un ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato,
risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità
del progetto approvato, che i muri siano convenientemente
prosciugati e che non sussistano altre cause di
insalubrità”.
Detta norma è stata abrogata dall’art. 4 del D.P.R.
425/1994, il quale ha parzialmente innovato la disciplina
stabilendo che “Affinché gli edifici o parti di essi,
indicati nel’art. 220 del regio decreto 27.07.1934 n. 1265,
possano essere utilizzati, è necessario che il proprietario
chieda il certificato di abitabilità al sindaco, allegando
alla richiesta il certificato di collaudo, la dichiarazione
presentata per l’iscrizione al catasto dell’immobile,
restituita dagli uffici catastali con l’attestazione
dell’avvenuta presentazione, e una dichiarazione del
direttore dei lavori che deve certificare, sotto la propria
responsabilità, la conformità al progetto approvato,
l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità
dell’ambiente. Entro trenta giorni dalla presentazione della
domanda il sindaco rilascia il certificato di abitabilità;
entro questo termine può disporre una ispezione da parte
degli uffici comunali che verifichi l’esistenza dei
requisiti richiesti alla costruzione per essere
abitabile…...”.
Alla norma dianzi ricordata è infine succeduto l’art. 24 del
D.P.R. 380/2001, attualmente in vigore, a mente del quale
“Il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, valutate secondo quanto dispone la normativa
vigente...”.
La norma prosegue confermando la necessità che alla domanda
sia allegata la domanda di iscrizione al catasto e, con
disposizione introdotta con D.L. 69/2013, precisa che il
certificato di agibilità può, ove esistenti o ultimate le
opere di urbanizzazione primaria e concorrendo altre
circostanze, essere richiesto per singole porzioni di
edifici o per singole unità immobiliari.
Il successivo art. 25 del D.P.R. 380/2001, nel disciplinare
il procedimento finalizzato al rilascio del certificato di
agibilità, di fatto amplia ulteriormente l’ambito della
verifica che l’amministrazione è chiamata ad effettuare ai
fini di autorizzare l’utilizzo dell’immobile, prescrivendo
che il certificato possa essere rilasciato una volta
verificata -oltre alla documentazione attestante l’avvenuto
collaudo dell’opera, la sua conformità al progetto
licenziato ed alle norme vigenti in materia di salubrità
degli edifici, di risparmio energetico e degli edifici e
degli impianti, nonché l’avvenuta denuncia in catasto della
nuova opera o del cambio d’uso- anche la attestazione di
conformità delle opere alla normativa antisismica nonché a
quella relativa al superamento delle barriere
architettoniche.
L’evoluzione normativa di cui si è testé dato conto
evidenzia che il certificato di abitabilità o agibilità
degli immobili è sempre stato essenzialmente finalizzato
alla verifica della sicurezza, per l’incolumità fisica degli
abitanti, delle costruzioni, e ciò nei vari aspetti che la
normativa ha preso in considerazione nel corso del tempo.
In particolare, non pare esulare da tale finalità il momento
di verifica di conformità della costruzione al progetto
licenziato, dacché l’esame del progetto che
l’amministrazione è chiamata ad effettuare al fine del
rilascio del titolo edilizio implica già una prima
valutazione della sussistenza dei requisiti di sicurezza,
normalmente attestata dal parere reso sul progetto da organi
appositamente preposti a vigilare sul rispetto di specifiche
norme tecniche di sicurezza.
Tale, ad esempio: il parere delle autorità sanitarie con
riferimento al rispetto dei rapporti aero-illuminanti e
della superficie minima dei locali; il parere dei Vigili del
Fuoco; il parere delle autorità preposte ai vincoli
idrogeologici, e così via dicendo. Si comprende, allora, che
per la sicurezza di uno stabile è essenziale che esso sia
realizzato in modo conforme al progetto valutato ex ante ed
approvato dalle varie autorità interessate, e proprio tale
constatazione spiega l’esigenza di effettuare anche un
controllo a posteriori della conformità della costruzione
realizzata al progetto licenziato.
Siffatto controllo a posteriori, introdotto prima della
entrata in vigore della L. 1150/1942, non si giustificava
all’origine con l’esigenza di assicurare il rispetto di una
normativa urbanistica ed edilizia non ancora esistente, e
quindi non può essere stato concepito a tale scopo. Dopo di
che non si può sottacere, essendo un dato di fatto, che oggi
l’atto di approvazione di un progetto, da parte della
Autorità comunale, esprime anche, e soprattutto, un giudizio
di conformità del progetto alla normativa edilizia e che
quindi, all’attualità, il controllo a posteriori di che
trattasi è funzionale anche alla attività di vigilanza e
controllo sulla attività edilizia demandata ai comuni.
Ciò non toglie che il momento del rilascio della agibilità
rimane pur sempre caratterizzato, in via prevalente, dalla
esigenza di verificare la sicurezza e la fruibilità di uno
stabile da tutti i punti di vista; non a caso, gli unici
accertamenti -tra quelli richiesti in sede di rilascio della
agibilità- che non paiono ispirati all’esigenza di garantire
l’incolumità di coloro che abitano o utilizzano una
costruzione sono quelli che hanno ad oggetto la denuncia di
accatastamento e le attestazioni di prestazione energetica
degli edifici, cioè documenti che attestano l’avvenuto
compimento di adempimenti obbligatori per legge ma che nulla
hanno a che vedere con il rispetto della normativa edilizia
ed urbanistica, la cui omissione il legislatore ha
evidentemente inteso scoraggiare subordinando la concreta
utilizzabilità degli immobili al loro compimento; non a
caso, come infra meglio si dirà, il certificato di agibilità
non risulta subordinato alla esecuzione e/o esistenza di
tutte le opere di urbanizzazione, né all’integrale pagamento
del relativo contributo, essendo a tal fine necessaria la
sola esistenza delle opere di urbanizzazione primaria, che
sono solo quelle indispensabili a dotare le costruzioni dei
comforts minimi ed a renderle salubri e dignitose.
---------------
Il Collegio non ignora che secondo un nutrito orientamento
di giurisprudenza il rilascio del certificato di agibilità
sarebbe finalizzato non solo alla verifica della sicurezza
della costruzione, ma anche alla verifica della osservanza
delle norme urbanistiche ed edilizie.
Per quanto già osservato il Collegio ritiene tuttavia di
poter condividere solo parzialmente a tale orientamento,
reputando che in occasione del rilascio del certificato di
agibilità la verifica di conformità alle norme urbanistiche
ed edilizie può e deve ritenersi limitata alla verifica di
conformità dell’opera al progetto licenziato, il quale si
presume legittimo e, come tale, conforme alla normativa
urbanistica ed edilizia.
E’ opinione del Collegio che, mentre l’amministrazione
comunale può sempre far valere, in sede di rilascio della
agibilità, la difformità dell’opera a norme di sicurezza,
essa non può invece opporre le difformità a norme edilizie
ed urbanistiche che non si siano anche tradotte in una
difformità dell’opera al progetto autorizzato, a meno che
nel frattempo l’amministrazione non si sia indotta a
sospendere e/o annullare il titolo edilizio già rilasciato.
Opinare diversamente significherebbe conferire alle
amministrazioni comunali il potere di bloccare
l’utilizzazione di una costruzione già ultimata e rispettosa
del progetto autorizzato sulla base (anche solo) di meri
sospetti di illegittimità, in violazione dell’affidamento
riposto dal privato sulla legittimità del titolo edilizio e
compromettendo la certezza delle situazioni giuridiche: il
che è inaccettabile.
Laddove una amministrazione comunale abbia ragione di
dubitare, ex post, della legittimità di un titolo edilizio
già rilasciato ed eseguito, essa non può limitarsi a
bloccare il rilascio del certificato di agibilità, ma deve
soprattutto prendere una chiara posizione riguardo alla
legittimità del titolo edilizio rilasciato, assumendosi se
del caso le responsabilità insite nella adozione di atti di
autotutela, in difetto dei quali la agibilità non potrà
essere negata laddove si riscontri che l’opera è conforme al
progetto licenziato.
---------------
Occorre ora verificare se la mancata esecuzione delle opere
di urbanizzazione che il privato si sia impegnato a
realizzare direttamente o il mancato pagamento del
contributo rateizzato possa, o meno, precludere il rilascio
del certificato di agibilità.
Al proposito va subito ricordato che già con la L. 765/1967
il legislatore, modificando l’art. 31 della L. 1150/1942, ha
introdotto il principio per cui “La concessione edilizia è
comunque ed in ogni caso subordinata alla esistenza delle
opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte
dei Comuni dell’attuazione delle stesse nel successivo
triennio o all’impegno dei privati di procedere
all’attuazione delle medesime contemporaneamente alle
costruzioni oggetto di licenza”, e tale previsione,
confluita immutata nell’art. 12, comma 2, del D.P.R.
380/2001, da sempre è stata interpretata nel senso che il
rilascio della licenza edilizia, o della concessione
edilizia, o del permesso di costruire deve ritenersi
impossibile nelle zone non servite da opere di
urbanizzazione primaria, salvo appunto il caso in cui il
privato richiedente non si assuma l’obbligo di realizzarle
direttamente e contemporaneamente: l’esistenza di tali opere
costituisce, quindi, una condizione la cui mancanza rende
financo improcedibile una richiesta di titolo edilizio, e
ciò evidentemente per la ragione che dette opere sono
funzionali a sopperire a bisogni (e cioè: l’igiene, tramite
l’immediata accessibilità all’acqua corrente; lo svolgimento
delle attività quotidiane, tramite l’energia elettrica; la
salute, la alimentazione, la salubrità degli ambienti,
tramite il riscaldamento a gas; ancora l’igiene e la
salubrità degli ambienti, tramite il corretto smaltimento
delle acque sporche; la possibilità di accedere, tramite una
viabilità, alla via pubblica ed ai servizi offerti dal
Comune e dagli altri enti; ed infine la possibilità di
fruire di parcheggi e di spazi verdi attrezzati) che per gli
standards della vita moderna sono da considerarsi primari e
irrinunciabili.
Ma se ciò è esatto allora logica vuole che l’esistenza delle
opere di urbanizzazione primaria, così come viene
considerata dal legislatore una pre-condizione per il
rilascio del titolo edilizio, deve parimenti condizionare
anche la possibilità di utilizzare le nuove costruzioni,
dovendosi pertanto ritenere precluso il rilascio del
certificato di agibilità laddove si constati l’inadempimento
del privato all’obbligo di realizzare direttamente ed a
scomputo le opere di urbanizzazione primaria.
Tale conclusione, immanente nel sistema sin dalla entrata in
vigore della L. 765/1967, risulta avvalorata dal comma 4-bis
dell’art. 24 del D.P.R. 380/2001, introdotto con D.L.
69/2013, che consente il rilascio del certificato di
agibilità riferito a singoli edifici o parti di edifici, o a
singole unità immobiliari solo se risultino completate e
collaudate le relative opere di urbanizzazione primaria,
oltre che le parti comuni della lottizzazione e le parti
strutturali dell’edificio interessato: tale previsione, in
particolare, é innovativa non nella parte in cui subordina
il rilascio del certificato di agibilità parziale alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria che
servono il singolo edificio interessato, quanto piuttosto
per aver introdotto la possibilità di concedere la c.d.
“agibilità parziale”, cioè la agibilità riferita a singole
parti di un edificio o a singoli edifici facenti parte di
una lottizzazione.
Essa dimostra, comunque, che la esistenza delle opere di
urbanizzazione primaria viene ritenuta dal legislatore come
una condizione dalla quale non si può prescindere ai fini di
valutare la utilizzabilità di un immobile, ed il riferimento
che il citato art. 24, comma 4-bis, effettua alle sole opere
di urbanizzazione primaria si giustifica con il fatto che le
opere di urbanizzazione secondaria, pur funzionali al
soddisfacimento di bisogni ugualmente primari (ad esempio:
l’accesso alle cure sanitarie ed alla istruzione), non
influiscono in modo diretto sulla fruizione degli immobili e
sulla loro salubrità, comodità ed accessibilità.
La norma in esame dimostra dunque, una volta di più, che la
funzione essenziale del certificato di agibilità risiede nel
controllo delle condizioni che rendono una costruzione
realmente fruibile in condizioni di salubrità, sicurezza,
comodità, in modo da assicurare che all’interno di essa la
persona possa svolgere una vita dignitosa, coerentemente con
il valore che la Costituzione assegna alla persona umana.
---------------
Tenuto conto di quanto dianzi esposto il Collegio ritiene
che legittimamente un comune possa, e debba, rifiutare il
rilascio del certificato di agibilità, totale o parziale,
quando risultino mancanti le opere di urbanizzazione
primaria che un privato si sia assunto l’obbligo di
realizzare direttamente a scomputo del contributo previsto
dalla legge: l’agibilità può pertanto essere rilasciata, in
tali casi, solo dopo che le opere di urbanizzazione primaria
siano realizzate, direttamente dal privato o a cura della
amministrazione previo pagamento del relativo contributo.
Alla stessa conclusione non può invece giungersi con
riferimento alle opere di urbanizzazione secondaria o quando
il privato, richiedente il titolo edilizio prima e
l’agibilità poi, non si sia mai assunto l’obbligo di
realizzare in via diretta le opere di urbanizzazione,
optando invece per il pagamento rateizzato del relativo
contributo.
La natura condizionante delle opere di urbanizzazione
secondaria deve escludersi a cospetto del chiarissimo tenore
dell’art. 31, comma 4, della L. 1150/1942 e degli artt. 12,
comma 2, e 24, comma 4-bis, del D.P.R. 380/2001, i quali
fanno riferimento solo ed unicamente alle opere di
urbanizzazione primaria, evidentemente ritenendo che solo
tali opere condizionino direttamente la fruibilità delle
costruzioni.
Quanto ai casi in cui il privato abbia potuto accedere al
pagamento rateizzato dei c.d oneri di urbanizzazione,
omettendo poi di completare tale pagamento, va rammentato
che in linea di massima tale situazione suppone già
esistenti le opere di urbanizzazione primaria. Pertanto, con
riferimento a tali casi il Collegio ritiene che il comune
non possa rifiutare il certificato di agibilità a causa
dell’omesso integrale pagamento degli oneri di
urbanizzazione, perché:
a) ai fini del rilascio del certificato di agibilità è
necessario verificare la conformità dell’opera al “progetto”
assentito, e non al titolo edilizio: pertanto, anche a voler
considerare la determinazione ed il pagamento degli oneri di
urbanizzazione quale condizione di legittimità del titolo
edilizio, l’omesso pagamento di essi dovrebbe semmai portare
il comune ad esercitare l’autotutela nei confronti del
titolo edilizio, e non a bloccare soltanto il certificato di
agibilità; la decisione di annullare o revocare in
autotutela un titolo edilizio per omesso pagamento degli
oneri di urbanizzazione appartiene peraltro alla sfera di
discrezionalità del comune, che il più delle volte
preferisce agire per il recupero delle somme;
b) le opere di urbanizzazione già esistono e quindi la
corretta fruizione della nuova costruzione è garantita.
---------------
Ancora diversa è la situazione in cui al mancato pagamento
degli oneri di urbanizzazione si accompagni alla inesistenza
delle opere di urbanizzazione primaria, ma questa
inesistenza sia addebitabile a comportamento del comune, che
aveva inizialmente previsto di realizzarle nel triennio
successivo al rilascio del titolo edilizio e che però poi
non vi ha dato corso: non può che affermarsi, anche in
questo caso, la preclusione al rilascio del certificato di
abitabilità in dipendenza della mancata realizzazione delle
opere di urbanizzazione primaria, valendo quanto già
precisato al paragrafo che precede relativamente al mancato
pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Anche in questo caso la agibilità può essere attestata solo
ad avvenuta realizzazione delle opere di urbanizzazione
primaria, ed é chiaro che una simile evenienza può
astrattamente comportare, fatte salve le valutazioni
specifiche del caso, una responsabilità del comune per il
ritardo con cui il privato consegue la agibilità
dell’immobile.
11. Passando all’esame del merito del ricorso il Collegio
ritiene opportuno, per priorità logica, esaminare il terzo
motivo, a mezzo del quale si contesta la violazione degli
artt. 24 e 25 del D.P.R. 380/2001 in quanto si assume che il
Comune avrebbe indebitamente subordinato il rilascio del
certificato di agibilità al pagamento del contributo per
oneri di urbanizzazione e comunque alla sottoscrizione di
una transazione.
11.1. Il certificato di agibilità attualmente disciplinato
dagli artt. 24 e 25 del D.P.R. 380/2001 corrisponde a quella
che un tempo veniva denominata licenza d’uso o di
abitabilità, introdotta dal Testo Unico sulle Leggi
Sanitarie. L’art. 221 del R.D. 1265/1934, infatti, già
prevedeva che le costruzioni di nuove case urbane o
extraurbane “non possono essere abitate senza autorizzazione
del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione di
un ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato,
risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità
del progetto approvato, che i muri siano convenientemente
prosciugati e che non sussistano altre cause di
insalubrità”.
11.2. Detta norma è stata abrogata dall’art. 4 del D.P.R.
425/1994, il quale ha parzialmente innovato la disciplina
stabilendo che “Affinché gli edifici o parti di essi,
indicati nel’art. 220 del regio decreto 27.07.1934 n.
1265, possano essere utilizzati, è necessario che il
proprietario chieda il certificato di abitabilità al
sindaco, allegando alla richiesta il certificato di
collaudo, la dichiarazione presentata per l’iscrizione al
catasto dell’immobile, restituita dagli uffici catastali con
l’attestazione dell’avvenuta presentazione, e una
dichiarazione del direttore dei lavori che deve certificare,
sotto la propria responsabilità, la conformità al progetto
approvato, l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità
dell’ambiente. Entro trenta giorni dalla presentazione della
domanda il sindaco rilascia il certificato di abitabilità;
entro questo termine può disporre una ispezione da parte
degli uffici comunali che verifichi l’esistenza dei
requisiti richiesti alla costruzione per essere
abitabile…...”.
11.3. Alla norma dianzi ricordata è infine succeduto l’art.
24 del D.P.R. 380/2001, attualmente in vigore, a mente del
quale “Il certificato di agibilità attesta la sussistenza
delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, valutate secondo quanto dispone la normativa
vigente...”.
La norma prosegue confermando la necessità che
alla domanda sia allegata la domanda di iscrizione al
catasto e, con disposizione introdotta con D.L. 69/2013,
precisa che il certificato di agibilità può, ove esistenti o
ultimate le opere di urbanizzazione primaria e concorrendo
altre circostanze, essere richiesto per singole porzioni di
edifici o per singole unità immobiliari.
Il successivo art.
25 del D.P.R. 380/2001, nel disciplinare il procedimento
finalizzato al rilascio del certificato di agibilità, di
fatto amplia ulteriormente l’ambito della verifica che
l’amministrazione è chiamata ad effettuare ai fini di
autorizzare l’utilizzo dell’immobile, prescrivendo che il
certificato possa essere rilasciato una volta verificata -oltre alla documentazione attestante l’avvenuto collaudo
dell’opera, la sua conformità al progetto licenziato ed alle
norme vigenti in materia di salubrità degli edifici, di
risparmio energetico e degli edifici e degli impianti,
nonché l’avvenuta denuncia in catasto della nuova opera o
del cambio d’uso- anche la attestazione di conformità delle
opere alla normativa antisismica nonché a quella relativa al
superamento delle barriere architettoniche.
11.4. L’evoluzione normativa di cui si è testé dato conto
evidenzia che il certificato di abitabilità o agibilità
degli immobili è sempre stato essenzialmente finalizzato
alla verifica della sicurezza, per l’incolumità fisica degli
abitanti, delle costruzioni, e ciò nei vari aspetti che la
normativa ha preso in considerazione nel corso del tempo.
In
particolare, non pare esulare da tale finalità il momento di
verifica di conformità della costruzione al progetto
licenziato, dacché l’esame del progetto che
l’amministrazione è chiamata ad effettuare al fine del
rilascio del titolo edilizio implica già una prima
valutazione della sussistenza dei requisiti di sicurezza,
normalmente attestata dal parere reso sul progetto da organi
appositamente preposti a vigilare sul rispetto di specifiche
norme tecniche di sicurezza.
Tale, ad esempio: il parere
delle autorità sanitarie con riferimento al rispetto dei
rapporti aero-illuminanti e della superficie minima dei
locali; il parere dei Vigili del Fuoco; il parere delle
autorità preposte ai vincoli idrogeologici, e così via
dicendo. Si comprende, allora, che per la sicurezza di uno
stabile è essenziale che esso sia realizzato in modo
conforme al progetto valutato ex ante ed approvato dalle
varie autorità interessate, e proprio tale constatazione
spiega l’esigenza di effettuare anche un controllo a
posteriori della conformità della costruzione realizzata al
progetto licenziato.
Siffatto controllo a posteriori,
introdotto prima della entrata in vigore della L. 1150/1942,
non si giustificava all’origine con l’esigenza di assicurare
il rispetto di una normativa urbanistica ed edilizia non
ancora esistente, e quindi non può essere stato concepito a
tale scopo. Dopo di che non si può sottacere, essendo un
dato di fatto, che oggi l’atto di approvazione di un
progetto, da parte della Autorità comunale, esprime anche, e
soprattutto, un giudizio di conformità del progetto alla
normativa edilizia e che quindi, all’attualità, il controllo
a posteriori di che trattasi è funzionale anche alla
attività di vigilanza e controllo sulla attività edilizia
demandata ai comuni.
Ciò non toglie che il momento del
rilascio della agibilità rimane pur sempre caratterizzato,
in via prevalente, dalla esigenza di verificare la sicurezza
e la fruibilità di uno stabile da tutti i punti di vista;
non a caso, gli unici accertamenti -tra quelli richiesti in
sede di rilascio della agibilità- che non paiono ispirati
all’esigenza di garantire l’incolumità di coloro che abitano
o utilizzano una costruzione sono quelli che hanno ad
oggetto la denuncia di accatastamento e le attestazioni di
prestazione energetica degli edifici, cioè documenti che
attestano l’avvenuto compimento di adempimenti obbligatori
per legge ma che nulla hanno a che vedere con il rispetto
della normativa edilizia ed urbanistica, la cui omissione il
legislatore ha evidentemente inteso scoraggiare subordinando
la concreta utilizzabilità degli immobili al loro
compimento; non a caso, come infra meglio si dirà, il
certificato di agibilità non risulta subordinato alla
esecuzione e/o esistenza di tutte le opere di
urbanizzazione, né all’integrale pagamento del relativo
contributo, essendo a tal fine necessaria la sola esistenza
delle opere di urbanizzazione primaria, che sono solo quelle
indispensabili a dotare le costruzioni dei comforts minimi
ed a renderle salubri e dignitose.
11.6. Il Collegio non ignora che secondo un nutrito
orientamento di giurisprudenza (si veda, tra le molte e tra
le più recenti: TAR Napoli, sez. III, n. 2191/2014; TAR
Lazio, sez. I, n. 749/2013; C.d.S., sez. IV, n. 5450/2012)
il rilascio del certificato di agibilità sarebbe finalizzato
non solo alla verifica della sicurezza della costruzione, ma
anche alla verifica della osservanza delle norme
urbanistiche ed edilizie.
Per quanto già osservato il
Collegio ritiene tuttavia di poter condividere solo
parzialmente a tale orientamento, reputando che in occasione
del rilascio del certificato di agibilità la verifica di
conformità alle norme urbanistiche ed edilizie può e deve
ritenersi limitata alla verifica di conformità dell’opera al
progetto licenziato, il quale si presume legittimo e, come
tale, conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.
E’
opinione del Collegio che, mentre l’amministrazione comunale
può sempre far valere, in sede di rilascio della agibilità,
la difformità dell’opera a norme di sicurezza, essa non può
invece opporre le difformità a norme edilizie ed
urbanistiche che non si siano anche tradotte in una
difformità dell’opera al progetto autorizzato, a meno che
nel frattempo l’amministrazione non si sia indotta a
sospendere e/o annullare il titolo edilizio già rilasciato.
Opinare diversamente significherebbe conferire alle
amministrazioni comunali il potere di bloccare
l’utilizzazione di una costruzione già ultimata e rispettosa
del progetto autorizzato sulla base (anche solo) di meri
sospetti di illegittimità, in violazione dell’affidamento
riposto dal privato sulla legittimità del titolo edilizio e
compromettendo la certezza delle situazioni giuridiche: il
che è inaccettabile.
Laddove una amministrazione comunale
abbia ragione di dubitare, ex post, della legittimità di un
titolo edilizio già rilasciato ed eseguito, essa non può
limitarsi a bloccare il rilascio del certificato di
agibilità, ma deve soprattutto prendere una chiara posizione
riguardo alla legittimità del titolo edilizio rilasciato,
assumendosi se del caso le responsabilità insite nella
adozione di atti di autotutela, in difetto dei quali la
agibilità non potrà essere negata laddove si riscontri che
l’opera è conforme al progetto licenziato.
11.7. Ciò premesso e chiarito, occorre ora verificare se la
mancata esecuzione delle opere di urbanizzazione che il
privato si sia impegnato a realizzare direttamente o il
mancato pagamento del contributo rateizzato possa, o meno,
precludere il rilascio del certificato di agibilità.
11.7.1. Al proposito va subito ricordato che già con la L.
765/1967 il legislatore, modificando l’art. 31 della L.
1150/1942, ha introdotto il principio per cui “La concessione
edilizia è comunque ed in ogni caso subordinata alla
esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla
previsione da parte dei Comuni dell’attuazione delle stesse
nel successivo triennio o all’impegno dei privati di
procedere all’attuazione delle medesime contemporaneamente
alle costruzioni oggetto di licenza”, e tale previsione,
confluita immutata nell’art. 12, comma 2, del D.P.R. 380/2001,
da sempre è stata interpretata nel senso che il rilascio
della licenza edilizia, o della concessione edilizia, o del
permesso di costruire deve ritenersi impossibile nelle zone
non servite da opere di urbanizzazione primaria, salvo
appunto il caso in cui il privato richiedente non si assuma
l’obbligo di realizzarle direttamente e contemporaneamente:
l’esistenza di tali opere costituisce, quindi, una
condizione la cui mancanza rende financo improcedibile una
richiesta di titolo edilizio, e ciò evidentemente per la
ragione che dette opere sono funzionali a sopperire a
bisogni (e cioè: l’igiene, tramite l’immediata accessibilità
all’acqua corrente; lo svolgimento delle attività
quotidiane, tramite l’energia elettrica; la salute, la
alimentazione, la salubrità degli ambienti, tramite il
riscaldamento a gas; ancora l’igiene e la salubrità degli
ambienti, tramite il corretto smaltimento delle acque
sporche; la possibilità di accedere, tramite una viabilità,
alla via pubblica ed ai servizi offerti dal Comune e dagli
altri enti; ed infine la possibilità di fruire di parcheggi
e di spazi verdi attrezzati) che per gli standards della
vita moderna sono da considerarsi primari e irrinunciabili.
Ma se ciò è esatto allora logica vuole che l’esistenza delle
opere di urbanizzazione primaria, così come viene
considerata dal legislatore una pre-condizione per il
rilascio del titolo edilizio, deve parimenti condizionare
anche la possibilità di utilizzare le nuove costruzioni,
dovendosi pertanto ritenere precluso il rilascio del
certificato di agibilità laddove si constati l’inadempimento
del privato all’obbligo di realizzare direttamente ed a
scomputo le opere di urbanizzazione primaria.
Tale
conclusione, immanente nel sistema sin dalla entrata in
vigore della L. 765/1967, risulta avvalorata dal comma 4-bis
dell’art. 24 del D.P.R. 380/2001, introdotto con D.L. 69/2013,
che consente il rilascio del certificato di agibilità
riferito a singoli edifici o parti di edifici, o a singole
unità immobiliari solo se risultino completate e collaudate
le relative opere di urbanizzazione primaria, oltre che le
parti comuni della lottizzazione e le parti strutturali
dell’edificio interessato: tale previsione, in particolare,
é innovativa non nella parte in cui subordina il rilascio
del certificato di agibilità parziale alla realizzazione
delle opere di urbanizzazione primaria che servono il
singolo edificio interessato, quanto piuttosto per aver
introdotto la possibilità di concedere la c.d. “agibilità
parziale”, cioè la agibilità riferita a singole parti di un
edificio o a singoli edifici facenti parte di una
lottizzazione.
Essa dimostra, comunque, che la esistenza
delle opere di urbanizzazione primaria viene ritenuta dal
legislatore come una condizione dalla quale non si può
prescindere ai fini di valutare la utilizzabilità di un
immobile, ed il riferimento che il citato art. 24, comma 4-bis, effettua alle sole opere di urbanizzazione primaria si
giustifica con il fatto che le opere di urbanizzazione
secondaria, pur funzionali al soddisfacimento di bisogni
ugualmente primari (ad esempio: l’accesso alle cure
sanitarie ed alla istruzione), non influiscono in modo
diretto sulla fruizione degli immobili e sulla loro
salubrità, comodità ed accessibilità.
La norma in esame
dimostra dunque, una volta di più, che la funzione
essenziale del certificato di agibilità risiede nel
controllo delle condizioni che rendono una costruzione
realmente fruibile in condizioni di salubrità, sicurezza,
comodità, in modo da assicurare che all’interno di essa la
persona possa svolgere una vita dignitosa, coerentemente con
il valore che la Costituzione assegna alla persona umana.
11.7.2. Tenuto conto di quanto dianzi esposto il Collegio
ritiene che legittimamente un comune possa, e debba,
rifiutare il rilascio del certificato di agibilità, totale o
parziale, quando risultino mancanti le opere di
urbanizzazione primaria che un privato si sia assunto
l’obbligo di realizzare direttamente a scomputo del
contributo previsto dalla legge: l’agibilità può pertanto
essere rilasciata, in tali casi, solo dopo che le opere di
urbanizzazione primaria siano realizzate, direttamente dal
privato o a cura della amministrazione previo pagamento del
relativo contributo.
11.7.3. Alla stessa conclusione non può invece giungersi con
riferimento alle opere di urbanizzazione secondaria o quando
il privato, richiedente il titolo edilizio prima e
l’agibilità poi, non si sia mai assunto l’obbligo di
realizzare in via diretta le opere di urbanizzazione,
optando invece per il pagamento rateizzato del relativo
contributo.
11.7.3.1. La natura condizionante delle opere di
urbanizzazione secondaria deve escludersi a cospetto del
chiarissimo tenore dell’art. 31, comma 4, della L. 1150/1942 e
degli artt. 12, comma 2, e 24, comma 4-bis, del D.P.R. 380/2001, i
quali fanno riferimento solo ed unicamente alle opere di
urbanizzazione primaria, evidentemente ritenendo che solo
tali opere condizionino direttamente la fruibilità delle
costruzioni.
11.7.3.2. Quanto ai casi in cui il privato abbia potuto
accedere al pagamento rateizzato dei c.d oneri di
urbanizzazione, omettendo poi di completare tale pagamento,
va rammentato che in linea di massima tale situazione
suppone già esistenti le opere di urbanizzazione primaria.
Pertanto, con riferimento a tali casi il Collegio ritiene
che il comune non possa rifiutare il certificato di
agibilità a causa dell’omesso integrale pagamento degli
oneri di urbanizzazione, perché:
a) ai fini del rilascio del
certificato di agibilità è necessario verificare la
conformità dell’opera al “progetto” assentito, e non al
titolo edilizio: pertanto, anche a voler considerare la
determinazione ed il pagamento degli oneri di urbanizzazione
quale condizione di legittimità del titolo edilizio,
l’omesso pagamento di essi dovrebbe semmai portare il comune
ad esercitare l’autotutela nei confronti del titolo
edilizio, e non a bloccare soltanto il certificato di
agibilità; la decisione di annullare o revocare in
autotutela un titolo edilizio per omesso pagamento degli
oneri di urbanizzazione appartiene peraltro alla sfera di
discrezionalità del comune, che il più delle volte
preferisce agire per il recupero delle somme;
b) le opere di
urbanizzazione già esistono e quindi la corretta fruizione
della nuova costruzione è garantita.
11.7.3.3. Ancora diversa è la situazione -che peraltro non
interessa ai fini della decisione del caso di specie- in
cui al mancato pagamento degli oneri di urbanizzazione si
accompagni alla inesistenza delle opere di urbanizzazione
primaria, ma questa inesistenza sia addebitabile a
comportamento del comune, che aveva inizialmente previsto di
realizzarle nel triennio successivo al rilascio del titolo
edilizio e che però poi non vi ha dato corso: non può che
affermarsi, anche in questo caso, la preclusione al rilascio
del certificato di abitabilità in dipendenza della mancata
realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria,
valendo quanto già precisato al paragrafo che precede
relativamente al mancato pagamento degli oneri di
urbanizzazione.
Anche in questo caso la agibilità può essere attestata solo
ad avvenuta realizzazione delle opere di urbanizzazione
primaria, ed é chiaro che una simile evenienza può
astrattamente comportare, fatte salve le valutazioni
specifiche del caso, una responsabilità del comune per il
ritardo con cui il privato consegue la agibilità
dell’immobile (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 12.02.2015 n. 273 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Manca il certificato di agibilità? Sì alla
risoluzione della vendita immobiliare.
Il Tribunale di Taranto, sezione II civile, affronta un caso
di richiesta di risoluzione del contratto di compravendita
di un immobile per il mancato rilascio del certificato di
agibilità. Infatti, nell’atto di compravendita, il venditore
si era impegnato alla consegna del certificato entro un anno
dalla stipula dell’atto. Ciò che non si era verificato,
risultando al contrario del tutto chiaro che non si sarebbe
mai potuto raggiungere tale obiettivo, in quanto il Comune
interessato aveva deciso di sospendere tutte le richieste
riguardanti gli immobili della zona interessata.
Infatti, secondo il soggetto pubblico, era emersa una non
corrispondenza urbanistica, considerato che nella zona in
cui erano stati costruiti gli immobili si sarebbe al più
potuto costruire un alloggio per un custode, in relazione ad
edifici destinati ad attività produttive, visto che l’area
interessata aveva per destinazione urbanistica la sola
attività terziaria. Di contro la parte venditrice sostiene
davanti al giudice di merito che il responsabile del mancato
rilascio del certificato di agibilità poteva essere
considerato esclusivamente il Comune, in quanto aveva posto
la propria decisione di sospendere l’iter amministrativo
solo perché pendente un procedimento penale, dovendosi al
contrario pronunciare nel caso per il rigetto, senza
attendere la definizione del procedimento stesso.
In ogni caso, l’Amministrazione comunale, se avesse ritenuto
che si fosse configurato un illecito urbanistico, avrebbe
dovuto adottare la revoca della concessione edilizia.
Infine, il convenuto evidenziava che, pur in assenza del
certificato di agibilità, il bene era idoneo a svolgere la
sua funzione, tanto da essere stato abitato dagli attori. Il
giudice di merito non può far altro che accogliere la
domanda principale e dichiarare la risoluzione del contratto
di vendita dedotto in giudizio. Infatti, la circostanza che
non sia stata rilasciata la certificazione di agibilità
integra una grave forma di inadempimento ai sensi dell’art.
1455 del codice civile, a maggior ragione se si considera la
circostanza che nello stesso atto di vendita era stato preso
un impegno in tal senso.
Pur in presenza di una regolare concessione edilizia, il
giudice osserva che il suo rilascio era diretto alla
realizzazione di edifici con destinazione ad attività
terziaria, per la quale sarebbe stata ammessa una casa per
il custode. Al contrario, il progetto edilizio si
trasformava di fatto in una lottizzazione abusiva con la
realizzazione di diverse abitazioni.
Nessuna esclusione della gravità dell’addebito può derivare
dalla circostanza che gli acquirenti abbiano abitato
l’immobile. Infatti, conclude il giudice di merito, la
gravità del mancato rilascio della certificazione indicata
può escludersi quando il suo mancato rilascio dipende dalla
semplice inerzia della P.A., pur essendo il bene venduto,
conforme alla disciplina urbanistica, ma non quando, come
nel caso in esame è conclamata la difformità tra concessione
edilizia e quanto di fatto costruito. Né esclude la gravità
dell’inadempimento la circostanza che il Comune si fosse
limitato a sospendere la pratica relativa al rilascio della
certificazione in parola, anziché rigettarla, in attesa
della definizione del procedimento penale (TRIBUNALE
di Taranto, Sez. II civile,
sentenza 10.12.2014 n. 3721 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato di agibilità, a
norma dell’art. 24 del T.U. sull’edilizia,
unicamente “attesta la sussistenza delle condizioni
di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti”, avendo
oltretutto il Consiglio di Stato efficacemente
scolpito la diversa funzione che rivestono i
titoli abilitativi edilizi e il certificato
di agibilità, precisando al riguardo che la
“funzione del certificato di agibilità è accertare
che l'immobile, al quale si riferisce, è stato
realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti
in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti;
invece funzione specifica della d.i.a. (come del
permesso di costruire, n.d.s.) è il rispetto delle
norme edilizie ed urbanistiche”.
---------------
Il certificato di agibilità è del tutto inidoneo ad
attestare la specifica destinazione d’uso
(commerciale nel caso di specie).
... per l'annullamento, previa sospensione
dell'efficacia, del provvedimento n. 3949
dell’11/07/2014, avente ad oggetto autorizzazione al
trasferimento "fuori sede" della rivendita
tabacchi dei ricorrenti.
...
- ritenuto che il trasferimento di una rivendita
fuori zona è subordinato non solo all’accertamento
dei requisiti e condizioni di cui all’art. 10, D.M.
n. 38/2013 ma anche all’osservanza del procedimento
all’uopo definito dall’art. 11, commi 2 e ss. stesso
decreto, dovendo dunque la perizia giurata allegata
all’istanza, indicare le tre rivendite più vicine
non solo alla sede proposta ma anche a quella
attuale, la cui indicazione difetta nella perizia
de qua prodotta dall’Avvocatura di Stato, come
attesta lo stesso provvedimento gravato e occorrendo
altresì allegare alla domanda “idonea
documentazione che attesta la regolarità
urbanistico–edilizia del locale proposto, nonché la
relativa destinazione d’uso commerciale” (art.
11, coma 3, D.M. n. 38/2013), laddove il certificato
di agibilità prodotto alla P.A. dalla
controinteressata, a norma dell’art. 24 del T.U.
sull’edilizia, unicamente “attesta la sussistenza
delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti”,
come del resto la giurisprudenza ha già precisato
(TAR Campania–Napoli, Sez. III, n. 2240/2010; TAR
Lombardia–Milano, Sez. II, 17.09.2009 n. 4672),
avendo oltretutto il Consiglio di Stato
efficacemente scolpito la diversa funzione che
rivestono i titoli abilitativi edilizi e il
certificato di agibilità, precisando al
riguardo che la “funzione del certificato di
agibilità è accertare che l'immobile, al quale si
riferisce, è stato realizzato nel rispetto delle
norme tecniche vigenti in materia di sicurezza,
salubrità, igiene, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti; invece funzione specifica
della d.i.a. (come del permesso di costruire, n.d.s.)
è il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche”
(Consiglio di Stato sez. IV 26.08.2014 n. 4309);
- tenuto anche conto che il certificato di agibilità
è del tutto inidoneo ad attestare la specifica
destinazione d’uso commerciale (TAR Campania-Napoli,
Sez. III,
ordinanza 05.12.2014 n. 2027 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I.
Pagano, In
pendenza del rilascio di condono edilizio,
l’Amministrazione Comunale deve valutare la
possibilità di emettere un certificato di agibilità
provvisoria dei manufatti oggetto di istanza di
sanatoria (23.10.2014 - link a
www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Certificato di agibilità e titolo edilizio: non v’è identità
di disciplina.
Come ribadito da recentissima
giurisprudenza non v’è necessaria identità di “disciplina”
tra titolo abilitativo edilizio e certificato di agibilità:
i detti diversi provvedimenti qui rilevanti, sono collegati
a presupposti diversi e danno vita a conseguenze
disciplinari non sovrapponibili.
Infatti, il certificato di agibilità ha la funzione di
accertare che l’immobile al quale si riferisce è stato
realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in
materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti (come
espressamente recita l’art. 24 del Testo unico
dell’edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed
urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo
edilizio.
Il che comporta che i diversi piani ben possano convivere
sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio
ad entrambe le tipologie normative, sia in quella patologica
di una loro divergenza, infatti, si è affermata
l’illegittimità del diniego della agibilità motivato
unicamente con la difformità dell’immobile dal progetto
approvato, oppure, in senso opposto, l’irrilevanza del
rilascio del certificato di agibilità come fatto ostativo al
potere del sindaco di reprimere abusi edilizi, o alla revoca
di un eventuale precedente ordine di demolizione delle
opere.
Quanto alla questione della licenza di agibilità, ritiene il
Collegio di dovere articolare alcune brevi considerazioni in
parte complementari ed in parte sovrapponibili a quelle
appena rese.
Parte appellante si richiama alla ben nota giurisprudenza
secondo la quale in base all'art. 25, comma quarto, del
d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (T.U. Edilizia), il mancato
rilascio del certificato di agibilità entro il termine di
sessanta giorni decorrente dal momento di ricezione della
relativa istanza da parte del comune, determina la
formazione del silenzio assenso (ex aliis TAR
Lombardia Milano Sez. II, 30.08.2013, n. 2089) e richiama
una pronuncia regiudicata proprio in relazione allo
specifico immobile per cui è causa.
Osserva in proposito il Collegio che è ben vero che sulla
detta questione si è pronunciato in passato il Tar con la
sentenza 4838/2012 resa su ricorso della ditta Sepa
(promittente venditrice dell’immobile per cui è causa).
Ed è altresì ben corretta l’affermazione secondo cui, posto
che detta decisione sebbene non pronunciata anche nei
confronti dell’odierna parte appellata era a quest’ultima
ben nota essa avrebbe potuto eventualmente impugnarla, anche
ex art. 404 cpc e 108-109 cpa.
Sennonché, la semplice lettura della pronuncia regiudicata
in esame rende agevole comprendere che la stessa è stata
resa con riguardo ad una ben definita e specifica questione
(questo l’oggetto della controversia, siccome specificato
dallo stesso Tar nella decisione richiamata: “vista la
data di deposito dell’istanza -04.08.2011-, il
silenzio-assenso su di essa sarebbe maturato allo spirare
del sessantesimo giorno da tale data, ovvero il 04.10.2011;
la richiesta di integrazione non sarebbe stata idonea ad
interrompere il decorso di tale termine, essendo stata
predisposta -e notificata all’interessata- dopo il
quindicesimo giorno dall’istanza.”).
Come è noto, secondo un consolidato orientamento della
giurisprudenza (ex aliis Cons. Giust. Amm. Sic.,
29.02.2012, n. 225) “nel processo amministrativo, il
giudicato può formarsi solo in relazione a capi di sentenza
che si pronunciano sui motivi, e non può formarsi, invece,
laddove i motivi di ricorso non vengano esaminati perché
assorbiti.”
A fortiori non può considerarsi formato il giudicato
su motivi neppure mai prospettati.
Tanto vale a privare di condivisibilità la tesi
dell’appellante amministrazione, secondo cui il silenzio
assenso si sarebbe formato giusta la richiamata decisione
del Tar e, soprattutto, sarebbe un silenzio-assenso
sull’agibilità “a tutto tondo” inattaccabile, e che
non potrebbe risentire di successive manifestazioni di
autotutela in quanto precipitato vincolato del giudicato
formatosi (che è in sostanza, quanto invece paventa parte
appellata).
Ciò implica peraltro la condivisibilità, di converso, della
tesi dell’appellata, secondo cui laddove, in ipotesi,
venissero riscontrate le difformità del titolo abilitativo
da essa paventate (nel duplice senso della inidoneità di
quest’ultimo alla esecuzione delle opere, ovvero
dell’avvenuta esecuzione di opere difformi dalla Dia) tale
accertamento renderebbe doveroso l’esercizio dell’autotutela
anche sul silenzio-assenso formatosi sul certificato di
agibilità: effetto questo, non certo precluso dal giudicato
formatosi che, si ripete, attiene ad una limitata
fattispecie procedimentale.
Per altro verso, come ribadito da recentissima
giurisprudenza (Cons. Stato Sez. IV n. 1220/2014) non v’è
necessaria identità di “disciplina” tra titolo
abilitativo edilizio e certificato di agibilità: i detti
diversi provvedimenti qui rilevanti, sono collegati a
presupposti diversi e danno vita a conseguenze disciplinari
non sovrapponibili. Infatti, il certificato di agibilità ha
la funzione di accertare che l’immobile al quale si
riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme
tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti (come
espressamente recita l’art. 24 del Testo unico
dell’edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed
urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo
edilizio.
Il che comporta che i diversi piani ben possano convivere
sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio
ad entrambe le tipologie normative, sia in quella patologica
di una loro divergenza (si ricordano episodi
giurisprudenziali in cui si è affermata l’illegittimità del
diniego della agibilità motivato unicamente con la
difformità dell’immobile dal progetto approvato –Consiglio
di Stato, sez. V, 06.07.1979 n. 479– oppure, in senso
opposto, l’irrilevanza del rilascio del certificato di
agibilità come fatto ostativo al potere del sindaco di
reprimere abusi edilizi – id., 03.02.1992 n. 87– o alla
revoca di un eventuale precedente ordine di demolizione
delle opere –id., 15 aprile 1977 n. 335) (massima tratta da
www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.08.2014 n. 4309 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI: Le
opere interne abusive, per essere complete a fini di
condonabilità, debbono risultare tali da permettere
l’uso in relazione alla funzione cui sono destinate
e quindi contenere tutti gli elementi essenziali
alla loro destinazione d’uso.
In particolare, tra gli elementi necessari e
sufficienti per assolvere alla destinazione d’uso
abitativa rientrano quelli relativi all’altezza
minima interna e ad una superficie minima non
inferiore a mq. 28, requisiti stabiliti dall’art. 3,
d.m. 05.07.1975, emanato in esecuzione dell’art.
218, r.d. 27.07.1934 n. 1265 (testo unico delle
leggi sanitarie).
---------------
Per costante giurisprudenza, le opere interne
abusive, per essere complete, debbono risultare tali
da permettere l’uso in relazione alla funzione cui
sono destinate e quindi contenere tutti gli elementi
essenziali alla loro destinazione d’uso.
Nel caso di specie, non è contestabile che il
manufatto in questione non presenti le
caratteristiche necessarie e sufficienti per
assolvere alla destinazione d’uso abitativa,
difettando dell’altezza minima interna e di una
superficie minima non inferiore a mq. 28, requisiti
stabiliti dall’art. 3 del D.M. 05.07.1975, emanato
in esecuzione dell’art. 218 del R. D. 27.07.1934, n.
1265 (testo unico delle leggi sanitarie).
Del resto, le disposizioni di cui al D.M. 05.07.1975
integrano una normativa di rango primario in virtù
del rinvio disposto dall’art. 218 del R.D.
27.07.1934, n. 1265, e pertanto, diversamente dalle
disposizioni integrative e supplementari portate dai
regolamenti comunali di igiene (espressione di
esigenze locali e comunque non attuative di norme di
legge gerarchicamente sovraordinate), sono
inderogabili –ex art. 35, comma 20, l. n. 47/1985–
anche in sede di rilascio del certificato di
abitabilità a seguito del condono.
---------------
E' sufficiente a denegare il condono anche soltanto
la mancanza del requisito dell’altezza minima
interna dei locali, conforme a quanto stabilito dal
D.M. del 05.07.1975 ed inderogabile, perché
discendente dalla legge (il D.M. in questione è
stato, infatti, emanato “visti gli articoli 218, 344
e 345 del testo unico delle leggi sanitarie
approvato con regio decreto 27.07.1934, n. 1265”).
Invero, “Ai sensi dell’art. 35, comma 20, l.
28.02.1985, n. 47 il rilascio del certificato di
abitabilità di un fabbricato conseguente al condono
edilizio può legittimamente avvenire in deroga solo
a norme regolamentari e non anche quando siano
carenti le condizioni di salubrità richieste da
fonti normative di livello primario, in quanto la
disciplina del condono edilizio, per il suo
carattere eccezionale e derogatorio, non è
suscettibile di interpretazioni estensive e,
soprattutto, tali da incidere sul fondamentale
principio della tutela della salute con evidenti
riflessi sul piano della legittimità
costituzionale”.
La questione che si
pone è, dunque, se il Comune di Ascea poteva
rilasciare il condono richiesto dalla
controinteressata, pur in assenza dell’altezza
minima interna dei locali.
La risposta, con il conforto di recente
giurisprudenza di merito, è senz’altro negativa: “Le
opere interne abusive, per essere complete a fini di
condonabilità, debbono risultare tali da permettere
l’uso in relazione alla funzione cui sono destinate
e quindi contenere tutti gli elementi essenziali
alla loro destinazione d’uso; in particolare, tra
gli elementi necessari e sufficienti per assolvere
alla destinazione d’uso abitativa rientrano quelli
relativi all’altezza minima interna e ad una
superficie minima non inferiore a mq. 28, requisiti
stabiliti dall’art. 3, d.m. 05.07.1975, emanato in
esecuzione dell’art. 218, r.d. 27.07.1934 n. 1265
(testo unico delle leggi sanitarie)” (TAR
Liguria – Sez. I, 27/01/2012, n. 194).
---------------
In parte motiva, la suddetta sentenza osservava
quanto segue: “Quanto al secondo ed al terzo
motivo di ricorso, che possono essere trattati
congiuntamente attesa la loro connessione logica,
giova richiamare l’art. 31, comma 2, della legge
28.02.1985, n. 47 (applicabile anche all’ultimo
condono edilizio), a mente del quale, ai fini del
conseguimento della sanatoria, “si intendono
ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il
rustico e completata la copertura, ovvero, quanto
alle opere interne agli edifici già esistenti e a
quelle non destinate alla residenza, quando esse
siano state completate funzionalmente”.
Ciò posto, si osserva che, per costante
giurisprudenza, le opere interne abusive, per essere
complete, debbono risultare tali da permettere l’uso
in relazione alla funzione cui sono destinate e
quindi contenere tutti gli elementi essenziali alla
loro destinazione d’uso (cfr. Cons. di St., V,
21.06.2007, n. 3315; id., 08.05.2007, n. 2120; TAR
Campania–Napoli, IV, 06.04.2011, n. 1928).
Nel caso di specie, non è contestabile che il
manufatto in questione non presenti le
caratteristiche necessarie e sufficienti per
assolvere alla destinazione d’uso abitativa,
difettando dell’altezza minima interna e di una
superficie minima non inferiore a mq. 28, requisiti
stabiliti dall’art. 3 del D.M. 05.07.1975, emanato
in esecuzione dell’art. 218 del R. D. 27.07.1934, n.
1265 (testo unico delle leggi sanitarie).
Del resto, le disposizioni di cui al D.M. 05.07.1975
integrano una normativa di rango primario in virtù
del rinvio disposto dall’art. 218 del R.D.
27.07.1934, n. 1265, e pertanto, diversamente dalle
disposizioni integrative e supplementari portate dai
regolamenti comunali di igiene (espressione di
esigenze locali e comunque non attuative di norme di
legge gerarchicamente sovraordinate), sono
inderogabili –ex art. 35, comma 20, l. n. 47/1985–
anche in sede di rilascio del certificato di
abitabilità a seguito del condono (cfr. Cons. di St.,
IV, 03.05.2011, n. 2620).
Sicché, nel caso di specie, qualora il comune avesse
concesso la sanatoria straordinaria, avrebbe
comunque dovuto successivamente negare l’abitabilità
del manufatto”.
Ne deriva che giammai il Comune avrebbe potuto
rilasciare il provvedimento di condono.
---------------
L’argomento è irrilevante, essendo, come s’è visto,
sufficiente a denegare il condono anche soltanto la
mancanza del requisito dell’altezza minima interna
dei locali, conforme a quanto stabilito dal D.M. del
05.07.1975 ed inderogabile, perché discendente dalla
legge (il D.M. in questione è stato, infatti,
emanato “visti gli articoli 218, 344 e 345 del
testo unico delle leggi sanitarie approvato con
regio decreto 27.07.1934, n. 1265”).
Cfr., al riguardo, da ultimo, la massima seguente,
espressione di un orientamento pacifico della
giurisprudenza amministrativa: “Ai sensi
dell’art. 35, comma 20, l. 28.02.1985, n. 47 il
rilascio del certificato di abitabilità di un
fabbricato conseguente al condono edilizio può
legittimamente avvenire in deroga solo a norme
regolamentari e non anche quando siano carenti le
condizioni di salubrità richieste da fonti normative
di livello primario, in quanto la disciplina del
condono edilizio, per il suo carattere eccezionale e
derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni
estensive e, soprattutto, tali da incidere sul
fondamentale principio della tutela della salute con
evidenti riflessi sul piano della legittimità
costituzionale” (Consiglio di Stato – Sez. V,
03/06/2013, n. 3034)
(TAR
Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 29.07.2014 n. 1418 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio del certificato di agibilità, lungi dall'essere
subordinato all'accertamento dei soli requisiti
igienico-sanitari, presuppone altresì la conformità
urbanistica ed edilizia dell'opera.
E’ stato anche
chiarito che il requisito dell'agibilità riflette non solo
la regolarità igienico-sanitaria dell'edificio, ma anche
alla sua conformità urbanistico-edilizia e paesaggistica.
Ciò premesso, secondo il dato normativo vigente, il rilascio
del certificato di agibilità presuppone la conformità del
fabbricato ai parametri normativi e regolamentari
urbanistici ed edilizi.
Invero, l'art. 24, comma 3, DPR n. 380 del 2001 dispone che
"il soggetto titolare del permesso di costruire" è tenuto "a
chiedere il certificato di agibilità".
L'art. 35, comma 20, L. 28.02.1985, n. 47 (norme in
materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia,
sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizia) prevede
che "a seguito della concessione o autorizzazione in
sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di
abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati
da norme regolamentari, qualora le opere sanate non
contrastino con le disposizioni vigenti in materia di
sicurezza statica".
I dati normativi sopra richiamati ed il principio di
ragionevolezza dell’azione amministrativa, nella valutazione
e nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in
campo, escludono l’utilizzo, per qualsivoglia destinazione,
di un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico
edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela
del fascio di interessi collettivi alla cui protezione
quella disciplina è preordinata.
Non a caso le sopra descritte precise indicazioni normative
sono seguite da univoca giurisprudenza, secondo cui il
rilascio del certificato di agibilità, lungi dall'essere
subordinato all'accertamento dei soli requisiti
igienico-sanitari, presuppone altresì la conformità
urbanistica ed edilizia dell'opera (cfr. TAR Palermo,
sez. III, 20.12.2013, n. 2534). E’ stato anche
chiarito che il requisito dell'agibilità riflette non solo
la regolarità igienico-sanitaria dell'edificio, ma anche
alla sua conformità urbanistico-edilizia e paesaggistica (ex multis: Cons. Stato, sez. V, 16.05.2013, n. 2665; idem
30.04.2009, n. 2760; TAR Palermo, II, 24.05.2012, n.
1055).
Se quindi può censurarsi l’ordinanza impugnata per omessa
comunicazione dell’avvio del procedimento, in applicazione
dell’art. 7 L. n. 241/1990, e per il fatto che
l’amministrazione abbia intimato la sospensione
dell’attività prima di avere concluso il procedimento
relativo alla richiesta di rilascio del certificato di
agibilità, il provvedimento impugnato si sottrae tuttavia
alle molteplici censure formulate col primo motivo di
ricorso, posto che, nella fattispecie in esame, erano del
tutto assenti i presupposti per ottenere tale rilascio (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 17.07.2014 n. 3992 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Condono edilizio, certificato di abitabilità e
salubrità dell’immobile.
Il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato
conseguente al condono edilizio, può legittimamente avvenire
in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando
siano carenti le condizioni di salubrità richieste da fonti
normative di livello primario, in quanto la disciplina del
condono edilizio, per il suo carattere eccezionale e
derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive
e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio
della tutela della salute con evidenti riflessi sul piano
della legittimità costituzionale.
Permangono, infatti, in
capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla verifica
delle condizioni igienico-sanitarie per l’abitabilità degli
edifici, con l’unica possibile deroga ai requisiti fissati
da norme regolamentari.
D’altra parte il certificato di
abitabilità non serve ad abilitare l’immobile ad un certo
uso piuttosto che ad un altro, giacché dopo il D.P.R. 22.04.1994, n. 425, non è previsto un certificato di
abitabilità specializzato, così che l’abitabilità riguarda
solo la salubrità dell’immobile, e quindi il solo manufatto
edilizio e non l’attività che viene svolta; il rilascio del
certificato di abitabilità è pertanto condizionato non solo
alla salubrità degli ambienti, ma anche alla conformità
edilizia dell’opera, sicché, attesa la presunzione iuris
tantum di legittimità degli atti amministrativi, col
rilascio del permesso di abitabilità devono intendersi
verificate, salvo prova contraria, entrambe le suddette
condizioni, senza necessità di produrre ulteriori
certificati.
La Sezione non
intende discostarsi dal consolidato indirizzo
giurisprudenziale (C.d.S., sez. V, 13.04.1999, n. 414; 15.04.2004, n. 2140) a tenore del quale “…il rilascio del
certificato di abitabilità di un fabbricato conseguente al
condono edilizio (ai sensi dell’art. 35, comma 20, della
legge n. 47 del 1985), può legittimamente avvenire in deroga
solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti
le condizioni di salubrità richieste da fonti normative di
livello primario, in quanto la disciplina del condono
edilizio, per il suo carattere eccezionale e derogatorio,
non è suscettibile di interpretazioni estensive e,
soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio
della tutela della salute con evidenti riflessi sul piano
della legittimità costituzionale”; ciò del resto è stato
ritenuto coerente con quanto affermato dalla Corte
Costituzionale con la sentenza n. 256 del 1996, ad avviso
della quale la deroga introdotta dall’articolo 35 della
legge n. 47 del 1985 “…non riguarda i requisiti richiesti da
disposizioni legislative e deve, pertanto, escludersi una
automaticità assoluta nel rilascio del certificato di
abitabilità…a seguito di concessione in sanatoria, dovendo
invece il Comune verificare che al momento del rilascio del
certificato di abitabilità siano osservate non solo le
disposizioni di cui all’art. 221 T.U. delle leggi sanitarie
(rectius, di cui all’art. 4 del D.P.R. 425/1994), ma, altresì
quelle previste da altre disposizioni di legge in materia di
abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva
normativa tecnica…Permangono, infatti, in capo ai Comuni
tutti gli obblighi inerenti alla verifica delle condizioni
igienico–sanitarie per l’abitabilità degli edifici, con
l’unica possibile deroga ai requisiti fissati da norme
regolamentari” (C.d.S., sez. V, 15.04.2004, n. 2140).
D’altra parte il certificato di abitabilità non serve ad
abilitare l’immobile ad un certo uso piuttosto che ad un
altro, giacché dopo il D.P.R. 22.04.1994, n. 425, non è
previsto un certificato di abitabilità specializzato, così
che l’abitabilità riguarda solo la salubrità dell’immobile (C.G.A.,
13.10.1999, n. 469) e quindi il solo manufatto edilizio
e non l’attività che viene svolta (C.d.S., sez. V, 03.06.1996, n. 613); il rilascio del certificato di abitabilità è
pertanto condizionato non solo alla salubrità degli
ambienti, ma anche alla conformità edilizia dell’opera,
sicché, attesa la presunzione iuris tantum di legittimità
degli atti amministrativi, col rilascio del permesso di
abitabilità devono intendersi verificate, salvo prova
contraria, entrambe le suddette condizioni, senza necessità
di produrre ulteriori certificati (Cass. Civ., sez. II, 12.10.2012, n. 17498).
Ciò precisato, anche l’impugnato diniego di
autorizzazione all’agibilità dei locali oggetto del
(diniego) di condono edilizio non può essere considerato
illegittimo.
Invero non solo l’amministrazione comunale di Livigno aveva
correttamente rilevato nella richiesta di rilascio del
certificato di agibilità avanzata dalla società interessata
la mancata produzione della documentazione a tal fine
prescritta dall’art. 4 del D.P.R. n. 425 del 1994,
documentazione necessaria anche nel caso di condono
edilizio, per quanto presupposto di tale certificato è
proprio l’effettivo condono edilizio che nel caso di specie
è stato legittimamente negato, potendo rinviarsi sul punto
alle considerazioni scolte nel precedente paragrafo VI (massima tratta da
www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
03.06.2014 n. 3034 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
Comune di TORINO (TO) - Riscontro a nota comunale prot.
n. 2040 del 18.04.2014: "Attestazioni di agibillità ai
sensi dell’art. 25, comma 5-bis, del DPR n. 380/2001 -
attuazlone modalità di effettuazione dei controlli”
(Regione Piemonte,
parere
16.05.2014
n. 13265 di prot.). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
rilascio del certificato di abitabilità si deve fondare
esclusivamente su valutazioni di ordine igienico-sanitarie
dell’immobile, e non su quelle urbanistico-edilizie o su
profili che, in quanto attinenti al mancato pagamento di
oneri di urbanizzazione, sono del tutto estranei alla
conformità dell’opera al progetto.
- Considerato che con il ricorso in epigrafe la ricorrente
ha impugnato il provvedimento con il quale il Comune di
Telese Terme le ha negato il rilascio del certificato di
agibilità per le costruzioni edificate in virtù dei permessi
di costruire nn. 29 e 30 del 2008, non risultando
integralmente versato il costo di costruzione;
- Considerato che, a sostegno del ricorso, la ricorrente ha
dedotto la violazione degli artt. 24 e 25 D.P.R. 380/2001 e
l’eccesso di potere sotto vari profili, adducendo che ai
fini del rilascio del certificato di agibilità non
assumerebbe rilievo il pagamento del costo di costruzione e
che, comunque, nel caso di specie tale costo non era stato
correttamente quantificato;
- Ritenuto che il ricorso deve essere accolto in quanto
fondato;
- Ritenuto, infatti, che, come già affermato dalla
giurisprudenza di questo Tribunale, il rilascio del
certificato di abitabilità si deve fondare esclusivamente su
valutazioni di ordine igienico-sanitarie dell’immobile, e
non su quelle urbanistico-edilizie o su profili che, in
quanto attinenti al mancato pagamento di oneri di
urbanizzazione, sono del tutto estranei alla conformità
dell’opera al progetto (TAR Campania, Napoli, sez. II, n.
9822 del 06.05.2004; TAR Lazio, Latina, n. 706 del 12.06.2002; TAR Puglia, Lecce, I Sez., n. 208 del
01.04.1995);
- Ritenuto che, nel caso di specie, il Comune di Telese
Terme con il provvedimento del 25.07.2013 ha denegato il
rilascio del certificato d’agibilità ed abitabilità “in
quanto da una verifica contabile, sebbene più volte
sollecitato, non risulta trasmessa a questo Ufficio
l’attestazione dell’avvenuto pagamento relativo alle rate
del costo di costruzione”, in contrasto con i principi
enunciati e subordinando detto rilascio ad un’attività del
privato, costituente l’adempimento, da parte del medesimo,
di un obbligo che non concerne l’abitabilità dell’immobile;
- Che il ricorso deve quindi essere accolto, con
annullamento del provvedimento impugnato (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza
16.04.2014 n. 2157 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
finalità del certificato di agibilità è quella di attestare
la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene,
salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli
impianti negli stessi installati, consentendo la concreta
utilizzabilità del bene immobile in condizione di sicurezza
da parte dell’uomo.
---------------
Il trascorrere del termine di cui all'art. 25, T.U.
Edilizia, in presenza di una domanda completa della
documentazione prevista dalla medesima norma e in assenza,
di contro, di una richiesta istruttoria formulata
dall'Amministrazione nell'ambito della prescritta modalità
procedimentale, fa sì che si sia maturato il
silenzio-assenso.
Ne discende che in tali casi l'Amministrazione mantiene
certamente la facoltà di provvedere favorevolmente con un
provvedimento espresso che sia di maggior tutela per il
privato; laddove ove ritenga di dover procedere
negativamente, non può che provvedere secondo i principi
dell'esercizio dell'autotutela, posti a garanzia dei
principi di certezza dell'ordinamento e del buon andamento
della amministrazione.
In altri termini, l’Autorità comunale non può validamente
denegare il rilascio in epoca posteriore alla formazione del
silenzio-assenso, se non avviando un procedimento di secondo
grado volto a revocare il provvedimento formatosi per
silentium.
Il ricorso è fondato.
Osserva anzitutto il Collegio che la finalità del
certificato di agibilità è quella di attestare la
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli
stessi installati, consentendo la concreta utilizzabilità
del bene immobile in condizione di sicurezza da parte
dell’uomo.
Va poi detto che nel caso in esame non è in discussione il
rilascio della licenza per sala giuochi –avvenuto sin dal
marzo 2007– ma piuttosto la possibilità per il ricorrente
di svolgere l’attività in difetto –come ritenuto dal comune- del certificato di agibilità.
Sotto quest’ultimo profilo va peraltro rilevato che il
ricorrente, in data 02.01.2007, aveva presentato completa
domanda -acquisita al protocollo comunale in data 02.01.2007,
n. 74- per il rilascio del certificato di agibilità, senza
tuttavia ottenere alcun riscontro da parte dell’autorità
comunale.
Anzi, va rimarcato che a seguito del decorso del termine di
cui al comma 3 dell’art. 25 del TU Edilizia, il comune aveva
autorizzato l’affittuaria all’esercizio della sala giuochi,
ritenendo sia pur per implicito maturatosi il silenzio-assenso.
A tal proposito la giurisprudenza ha avuto modo di precisare
che “il trascorrere del termine di cui all'art. 25, T.U.
Edilizia, in presenza di una domanda completa della
documentazione prevista dalla medesima norma e in assenza,
di contro, di una richiesta istruttoria formulata
dall'Amministrazione nell'ambito della prescritta modalità
procedimentale, fa sì che si sia maturato il
silenzio-assenso” (TAR Lazio, sez. II, 03/07/2013, n.
6580).
Ne discende che in tali casi l'Amministrazione mantiene
certamente la facoltà di provvedere favorevolmente con un
provvedimento espresso che sia di maggior tutela per il
privato; laddove ove ritenga di dover procedere
negativamente, non può che provvedere secondo i principi
dell'esercizio dell'autotutela, posti a garanzia dei
principi di certezza dell'ordinamento e del buon andamento
della amministrazione.
In altri termini l’Autorità comunale non avrebbe potuto
validamente denegare il rilascio in epoca posteriore alla
formazione del silenzio-assenso, se non avviando –cosa che
non ha fatto- un procedimento di secondo grado volto a
revocare il provvedimento formatosi per silentium
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 01.04.2014 n. 274 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fine
lavori con certificati variabili. Conformità impianti sempre
necessaria - Per archiviare gli interventi pesanti occorre
l'agibilità.
Titoli abilitativi. La documentazione da presentare al
Comune dopo la chiusura del cantiere cambia in base
all'inquadramento delle opere.
Certificati, documenti, nulla osta. La "battaglia"
con la burocrazia per chi avvia interventi edilizi non
finisce con il via libera ai lavori. Una parte, spesso
trascurata, di adempimenti arriva alla fine, a opere
concluse.
Nel caso di una nuova costruzione o di una ristrutturazione
di un edificio esistente, ad esempio, una volta terminati i
lavori è necessario chiedere al Comune il rilascio del
certificato di agibilità che attesta «la sussistenza
delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati». L'agibilità rappresenta una sorta di "libretto
di circolazione" dell'edificio.
Entro 15 giorni dalla fine dei lavori, pena la sanzione di
256 euro, deve essere presentata la richiesta del
certificato corredata da:
- richiesta di accatastamento dell'edificio, o variazione
catastale nel caso di opere su edifici esistenti;
- dichiarazione dell'impresa installatrice degli impianti
elettrico, idrico, gas, condizionamento ed elevatori che ne
attesti la conformità;
- certificazione energetica;
- certificato di prevenzione incendi o documento analogo
previsto dalla normativa rispetto alla classe dell'edificio
o delle opere;
- collaudo statico (nel caso di nuovi edifici o di rilevanti
opere sulle strutture);
- dichiarazione di conformità alla normativa sulle barriere
architettoniche in caso di interventi sulle parti comuni;
- parere, sul progetto, della azienda sanitaria locale (Asl),
nel caso in cui la verifica in ordine alla conformità
igienico-sanitaria comporti valutazioni
tecnico-discrezionali. Per l'edilizia residenziale la
conformità viene attestata nell'ambito del progetto edilizio
e il parere non è quindi richiesto.
Buona parte di questi documenti sono quelli che separate
normative impongono di ottenere al fine di assicurare la
presenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli
stessi installati, tramite la dimostrazione che nelle
esecuzione delle opere sono state rispettate le specifiche
normative e i progetti presentati.
La mancata produzione dei singoli documenti è sanzionata:
- il mancato accatastamento causa l'incommerciabilità del
bene oltre che l'eventuale evasione fiscale;
- il mancato rilascio della conformità impianti è punito con
una sanzione da cento a mille euro per l'impresa
installatrice;
- la mancanza della certificazione energetica è punita con
una ammenda da 3mila a 18mila euro (si veda l'articolo a
fianco);
- la mancanza della dichiarazione di conformità alle norme
sulle barriere architettoniche non è sanzionata mentre lo è,
per i tecnici, la non rispondenza delle opere alla normativa
(da 5mila a 25mila euro);
- la mancanza del certificato di prevenzione incendi e del
collaudo statico comportano sanzioni penali.
- La mancanza della conformità igienico-sanitaria comporta
l'impossibilità di dare avvio alle attività lavorative,
sempre che essa comporti valutazioni discrezionali.
Pur in presenza di tali sanzioni, stranamente, il mancato
ottenimento dell'agibilità comporta solo una sanzione da 77
a 464 euro (di norma si applica la minima) mentre,
normativamente, nulla osta agli atti di trasferimento.
Il silenzio assenso
Trascorsi 60 giorni dal completamento della documentazione o
30 giorni nel caso di parere Asl, l'agibilità s'intende
attestata per silenzio-assenso.
In questo caso sarebbe preclusa la possibilità di rilasciare
un certificato e non esiste quindi un documento rilasciato
dal Comune, ma in molte amministrazioni comunali è prassi
rilasciare, su istanza che citi gli atti della domanda di
agibilità, una dichiarazione con le quale si attesta la
maturazione del silenzio-assenso.
I vecchi edifici
Un problema particolare è quello degli immobili privi di
agibilità rilasciata e costruiti prima dell'entrata in
vigore del silenzio-assenso (Dpr 425/1994).
In questo caso in alcuni Comuni (sicuramente Milano e
Firenze) è in atto una procedura di rilascio "ora per
allora" secondo le nuove modalità condizionata alla
presentazione della documentazione prescritta dal Dpr
380/2001.
--------------
Gli altri adempimenti. Quando la rendita
va aggiornata. Passaggio al Catasto per tutte le opere
minori.
La richiesta di agibilità può riguardare anche opere di
minor rilievo rispetto ad una nuova costruzione o una
ristrutturazione, ma che comportano modifiche delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico dell'edificio o della parte di edificio sulla
quale si è intervenuti. In questo caso la procedura e la
documentazione sono le stesse degli interventi maggiori, ma
se si rientra nell'agibilità parziale si dovrà anche
allegare una attestazione circa la presenza delle opere di
urbanizzazione primaria e i certificati degli impianti
relativi alle parti comuni nonché, se dovuto, il collaudo
delle parti strutturali.
Ma nel caso di opere più ridotte quali sono gli adempimenti
con i quali si può considerare correttamente conclusa
un'attività edilizia? Non esiste una casistica unitaria
perché gli obblighi cambiano a seconda del tipo di titolo
edilizio con il quale sono state intraprese le opere (si
veda la scheda sopra). L'adempimento che non può mai essere
omesso é quello legato all'imposizione fiscale e cioè la
variazione catastale. Ma la variazione catastale è
obbligatoria solo nel caso in cui le opere comportino una
modifica della rendita dell'unità: aumenti o diminuzioni
delle superfici (anche accessorie), fusioni e/o
frazionamenti, introduzione di migliorie sostanziali (ad es.
realizzazione di un nuovo bagno), non è invece necessaria se
si effettuano solo degli spostamenti di pareti interne per
ridefinire i locali.
Se si è ottenuto un permesso di costruire è necessario
comunicare la fine dei lavori e, entro 15 giorni, richiedere
l'agibilità. Nel caso si proceda attraverso una Dia oltre
all'obbligo di comunicare la fine dei lavori, ed
eventualmente richiedere l'agibilità, deve essere anche
presentato un certificato di collaudo finale da parte del
progettista o anche da un altro tecnico abilitato, che
attesti la conformità delle opere al progetto (comprese
eventuali varianti). Analoghi obblighi dovrebbero
sussistere, in linea di principio, anche per la Scia
(segnalazione certificata di inizio attività), per la quale
si applicano in buona parte le norme procedimentali della
Dia, ma non esiste una norma esplicita in proposito.
Caso diverso è invece quello dell'attività edilizia libera
(articolo 6 Dpr 380/2001) soggetta all'obbligo della
comunicazione d'inizio lavori asseverata da un tecnico, la
cosiddetta Cia (o Cila o Cial). In questo caso è doverosa
una premessa: l'attività edilizia libera è definita come
intervento eseguito senza alcun titolo abilitativo quindi ad
essa non si applicano le prescrizioni che riguardano i
titoli edilizi, salvo quanto previsto dall'articolo stesso
cioè comunicazione dell'inizio dei lavori, asseverazione
tecnica e aggiornamento catastale.
Non è quindi prescritto il collaudo e nemmeno la
comunicazione di fine lavori, resteranno invece obbligatori
gli adempimenti previsti, separatamente, dalle norme
tecniche: certificazione energetica (se del caso) e
conformità impianti.
---------------
La novità. L'ultima modifica per edifici
«incompleti». Strada più semplice con l'abitabilità
parziale.
Il certificato di abitabilità/agibilità, giungendo alla fine
anche di attività complesse come le ristrutturazioni,
rischia spesso di venire tralasciato. In più nei grandi
Comuni capita di non riuscire a reperire questa
certificazione, specialmente per gli edifici più vecchi.
L'obbligo di richiedere/certificare l'abitabilità
dell'edificio è stato introdotto dal Testo unico delle leggi
sanitarie del 1934; quindi gli immobili realizzati prima non
devono essere dotati della certificazione. Questa situazione
può creare problemi nel caso in cui, nell'ambito dei
trasferimenti degli immobili o della apertura di mutui,
venga comunque richiesto il certificato.
Negli ultimi decenni la normativa ha subito importanti
innovazioni:
- a partire dal 1994 (con il Dpr 425) il rilascio della
certificazione di abitabilità/agibilità è sottoposto al
silenzio-assenso;
- con il Dpr 380/2001 (Tu edilizia) l'obbligo di ottenere
questa certificazione è stato esteso anche agli interventi
sugli edifici esistenti che possano influire sulle
condizioni di condizioni di sicurezza, igiene, salubrità,
risparmio energetico;
- con il decreto del Fare (Dl 69/2013) è possibile
richiedere l'agibilità anche per «per singoli edifici o
singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente
autonomi» o «per singole unità immobiliari» a determinate
condizioni.
È ora possibile conseguire un'agibilità parziale in un
edificio nel quale non tutte le unità immobiliari siano
state completate, ma non si esclude il caso che una singola
unità con mutate condizioni di sicurezza, igiene, salubrità,
risparmio energetico, possa conseguire un'autonoma
agibilità.
---------------
Detrazioni fiscali. Niente sconti senza
bollino «verde».
Fra i documenti da produrre alla fine dei lavori in casa è
una novità degli ultimi anni. L'attestato di prestazione
energetica (Ape), la targa verde che fotografa la
performance di un edificio per coprire il fabbisogno
necessario al riscaldamento, raffrescamento e alla
produzione di acqua calda sanitaria, figura –in molte
situazioni differenti– come uno degli adempimenti necessari
per poter chiudere una pratica edilizia o per ottenere
l'accesso alle detrazioni previste dallo Stato, in caso di
interventi di risparmio energetico. A prescindere dalla
successiva vendita o locazione dell'immobile.
Per i privati, l'Ape è sempre obbligatorio non solo in caso
di nuova costruzione, ma anche di «ristrutturazione
importante». La casistica è ampia, specie dopo le
modifiche introdotte al Dlgs 192/2005 dal Dl 63/2013. Se in
passato, infatti, l'obbligo di dotazione dell'attestato
scattava esclusivamente per immobili di superficie utile
superiore ai mille mq, oggetto di restyling integrale o di
demolizione e ricostruzione, oggi è richiesto per tutti gli
interventi di recupero edilizio che riguardano più del 25%
della superficie dell'involucro dell'intero edificio.
Comprese le manutenzioni straordinarie e ordinarie o i
risanamenti conservativi, che nel Testo unico per l'edilizia
sono esclusi dalla definizione di ristrutturazione.
A mettere in luce le differenze dal “prima” al “dopo” è la
stessa guida al rilascio dell'Ape diffusa dal Consiglio
nazionale del notariato dopo l'entrata in vigore del Dl
63/2013. Che spiega come la ristrutturazione rilevante ai
fini energetici –così come individuata dalla nuova
formulazione del Dlgs 192/2005– non coincida con quella che
rileva ai fini edilizi e urbanistici. «Addirittura –scrivono
i notai– può verificarsi che interventi totalmente liberi
sotto il profilo edilizio, come le ordinarie manutenzioni,
una volta eseguiti facciano, invece, sorgere la necessità di
preparare un attestato di prestazione energetica».
Tirando le somme, l'Ape sarà dunque fra i documenti da
produrre per ogni intervento significativo, compresi il
rifacimento di pareti esterne di un immobile, di intonaci
interni, del tetto o della impermeabilizzazione delle
coperture. La targa dei consumi, rilasciata da tecnico
abilitato (secondo il Dpr 75/2013 o altro sistema
regionale), dovrà essere prodotta a cura di chi ristruttura,
sia esso un committente privato o una società edile.
L'Ape è indispensabile anche quando, eseguiti lavori per il
risparmio energetico, si desidera accedere alle detrazioni
che, in questo momento e fino a dicembre 2014 (giugno 2015
per i condomìni), permettono un recupero fino al 65% della
spesa sostenuta, con tetti diversi a seconda della tipologia
di opere.
Ciò vale sia nei casi in cui l'intervento coincide con le
ristrutturazioni importanti, sia ad esempio per
l'installazione di una caldaia a biomassa o la sostituzione
degli infissi per tutto il palazzo. Non vale, invece, per
opere ritenute minori, come il cambio di finestre in un
singolo appartamento, la posa di pannelli solari o la
sostituzione dell'impianto di climatizzazione invernale con
caldaia a condensazione.
L'Ape –che se esisteva per l'edificio già prima
dell'intervento dovrà essere redatto di nuovo a fine lavori-
deve essere semplicemente conservato. Insieme all'attestato
di qualificazione energetica e alla scheda informativa
dell'intervento, da inviare all'Enea, entro 90 giorni dalla
chiusura del cantiere. La spesa per la compilazione della
targa verde può essere inserita fra i costi da detrarre (articolo
Il Sole 24 Ore del 17.03.2014). |
EDILIZIA PRIVATA: Rapporto
tra rilascio certificato di agibilità e rispetto delle norme
edilizie ed urbanistiche.
Il certificato di agibilità ha la
funzione di accertare che l’immobile al quale si riferisce è
stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti
in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti (come
espressamente recita l’art. 24 del Testo unico
dell’edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed
urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo
edilizio.
Il che comporta che i diversi piani ben possano convivere
sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio
ad entrambe le tipologie normative, sia in quella patologica
di una loro divergenza, per cui, in episodi
giurisprudenziali si è affermata l’illegittimità del diniego
della agibilità motivato unicamente con la difformità
dell’immobile dal progetto approvato, oppure, in senso
opposto, l’irrilevanza del rilascio del certificato di
agibilità come fatto ostativo al potere del sindaco di
reprimere abusi edilizi, o alla revoca di un eventuale
precedente ordine di demolizione delle opere
(massima tratta da https://lexambiente.it).
---------------
... per la riforma della sentenza del Tribunale
amministrativo regionale per la Puglia, sezione terza, n. 33
del 14.01.2009, resa tra le parti e concernente il rilascio
del certificato di agibilità relativo a capannoni adibiti ad
uffici ed officina;
...
Con ricorso iscritto al n. 590 del 2009, I.C. s.r.l. propone
appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo
regionale per la Puglia, sezione terza, n. 33 del 14.01.2009
con la quale è stato deciso il ricorso proposto da C.M.
s.r.l. contro l’appellante e contro il Comune di Modugno per
l'annullamento
- del certificato di agibilità rilasciato in data 17.07.2008 dal
Dirigente del Settore Urbanistica e Gestione del Territorio
del Comune di Modugno e relativo a “capannoni piano terra
adibiti ad uffici, magazzino ricambi, officina e piano primo
adibito ad ufficio ed alloggio guardiano” di proprietà
della controinteressata;
- delle sfavorevoli determinazioni dell’ufficio comunale di
rilasciare l’impugnato, certificato di agibilità anziché
dichiarare decaduto il presupposto permesso di costruire n.
109/2004 per essersi verificata la condizione risolutiva
(mancata acquisizione di “atto di servitù perpetua”)
cui, per espressa previsione comunale, era stata subordinata
la sua efficacia;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o, comunque,
conseguenziale, se lesivo della sfera giuridica della
ricorrente, ivi compreso il parere legale reso dall’Ufficio
legale del Comune intimato in data 24.06.2008.
A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di
prime cure, l’originaria ricorrente C.M. s.r.l., ora
appellata, aveva riferito
- di essere proprietaria, nella zona produttiva di completamento
“D” del Comune di Modugno, di un capannone con annesso
terreno pertinenziale, confinante da una parte con la strada
provinciale n. 231 e dalla parte opposta con fondo già
intestato alla D’E. s.r.l. e poi alla I.C. s.r.l.;
- che su detto fondo la confinante D’E. s.r.l. ha realizzato un
capannone assentito a mezzo di concessione edilizia n. 76/01
e di permesso di costruire in variante n. 109/2004; che tra
le “specifiche condizioni” apposte al citato permesso
in variante vi è quella afferente la acquisizione, entro il
termine di ultimazione dei lavori e comunque prima del
rilascio del certificato di agibilità, di “atto di
servitù perpetua a favore del lotto di progetto, attraverso
la strada di proprietà ditta C.M. s.r.l. di Ma.Ca. e Mo.Mi.
per accesso al predetto dalla S.P. 231 (ex SS 98) al lotto
di che trattasi, pena la decadenza del presente permesso,
fatto salvo diversa viabilità analoga”; e
- che la servitù di accesso a favore del lotto di proprietà D’E.
s.r.l./I.C. s.r.l., in attraversamento del fondo di
proprietà della C.M. s.r.l., non è mai stata perfezionata,
anche perché sussisterebbe oggi una diversa ed autonoma via
di collegamento tra la strada provinciale 231 ed il fondo di
proprietà I.C. s.r.l.;
- che ciò nonostante il Comune ha ritenuto di poter rilasciare
ugualmente il certificato di agibilità, che perciò viene
impugnato.
Il ricorso era affidato ad un unico articolato motivo, con
il quale viene eccepita violazione e falsa applicazione
dell’art. 24 d.p.r. 380/2001, eccesso di potere per difetto
di istruttoria, erronea presupposizione e travisamento dei
fatti, illogicità e contraddittorietà manifesta, violazione
dell’autolimite, erroneità e inadeguatezza della
motivazione, violazione del principio di buon andamento
dell’attività amministrativa ex art. 97 Cost. e sviamento.
Costituitisi I.C. s.r.l. e il Comune di Modugno, il ricorso
veniva deciso con la sentenza appellata.
In essa, il TAR riteneva fondate le censure proposte,
sottolineando l’illegittimità dell’operato della pubblica
amministrazione nel ritenere esistenti i presupposti
necessari per il rilascio dell’attestazione di agibilità, e
quindi annullava la attestazione di agibilità 17/07/2008
rilasciata dal Dirigente del Settore Urbanistica e Gestione
del Territorio in relazione all’immobile di cui alla c.e.
76/2001 ed al permesso in variante n. 109/2004 e dichiarava
il mancato avveramento della condizione specifica contenuta
nel permesso in variante n. 109/2004, secondo la quale “entro
il termine di ultimazione dei lavori e comunque prima del
rilascio del certificato di agibilità, venga acquisito atto
di servitù perpetua a favore del lotto di progetto,
attraverso la strada di proprietà ditta C.M. s.r.l. di
Ma.Ca. e Mo.Mi., per accesso dalla S.P. 231 (ex SS 98) al
lotto di che trattasi”.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte
appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto ed in
diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo le
proprie difese.
...
1. - L’appello non è fondato e va quindi respinto, seppur
con un percorso argomentativo diverso da quello seguito dal
giudice di prime cure.
2. - In via preliminare, al fine di inquadrare correttamente
la vicenda, va posto in rilievo l’evoluzione della vicenda
in esame e, conseguentemente, gli aspetti provvedimentali su
cui si è sviluppata, al fine di vagliare la corretta
ricostruzione delle impugnazioni.
L’appellante I.C. s.r.l., resistente in primo grado, è
proprietaria di un appezzamento, con annesso capannone,
situato nella zona produttiva del Comune di Modugno,
confinante con il terreno di proprietà dell’appellata C.M.
s.r.l..
Dal punto di vista fattuale emergono due circostanza
rilevanti.
In primo luogo, il fondo della C.M. s.r.l. è
attraversato da una strada, che consente l’accesso carrabile
al fondo di proprietà della I.C. s.r.l. dalla provinciale n.
231, dove, sulla base di una denunzia di inizio attività
presentata il 09.03.2004, è stata completata con una
recinzione in cemento armato che la separa dalla restante
parte del fondo di proprietà C.M. s.r.l.
In secondo luogo, che la D’E. s.r.l. ha realizzato
sul proprio fondo, poi acquisito dalla I.C. s.r.l, un
capannone, assentito con concessione edilizia n. 76/2001 e
con permesso in variante n. 109/2004.
Di rilievo è la circostanza che quest’ultimo atto
abilitativo, dopo aver rilevato che “non risulta
pervenuto l’atto di servitù perpetua attraverso la strada di
proprietà della ditta C.M. s.r.l. di Ma.Ca. & Mo.Mi., per
accedere direttamente dalla SP 231 (ex SS 98) al lotto
interessato dal progetto, lo stesso di proprietà ditta D'E.”
e che “la viabilità di servizio tra S.P. 231 e lotto di
progetto è elemento imprescindibile per il rilascio del
permesso di costruire di che trattasi e che lo stesso si può
acquisire prima della ultimazione dei lavori e comunque
prima del rilascio del certificato di agibilità, pena la
decadenza del presente permesso di costruire, salvo
individuazione di alternativa autonoma viabilità di accesso
diretto dalla S.P. 231 e lotto di che trattasi”,
consente la variante, subordinandola al rispetto di una “specifica
condizione”, ossia che “entro il termine di
ultimazione dei lavori e comunque prima del rilascio del
certificato di agibilità venga acquisito atto di servitù
perpetua a favore del lotto di progetto, attraverso la
strada di proprietà ditta C.M. s.r.l. di Ma.Ca.
&
Mo.Mi., per accesso diretto dalla S.P. 231 (ex SS 98) al
lotto di che trattasi, pena la decadenza del presente
permesso, fatta salva diversa viabilità analoga”.
Così ricostruito il dato di partenza, va rilevato come si
innestino sulla detta situazione di fatto due diverse
azioni giudiziarie.
La prima, pendente in primo grado dinanzi al giudice
civile, come espressamente riferito dalle parti anche in
sede di discussione orale, riguarda la questione
dell’esistenza di una servitù di passaggio carrabile sul
proprio fondo ed a favore della proprietà I.C. s.r.l.,
circostanza contestata dall’appellante che quale ha promosso
apposita actio negatoria servitutis e invece
sostenuta dall’appellata che in tale giudizio ha eccepito la
stipula di un stipula di un contratto preliminare, datato
16.03.2004, a mezzo del quale la C.M. s.r.l. si é obbligata
a costituire proprio la detta servitù.
La seconda vicenda giudiziaria, quella di cui si
discute in questa sede, riguarda invece il certificato di
agibilità dell’immobile, ossia quello realizzato in base
alla concessione n. 76/2001 e al successivo permesso di
costruire in variante n. 109/2004, rilasciato dal Comune di
Modugno con la clausola che ne fissava l’efficacia “per
il tempo necessario e condizionatamente agli esiti
definitivi (passaggio in giudicato), dei procedimenti
avviati nelle sedi giurisdizionali competenti, connessi a
contenzioso legale in essere. Tale contenzioso, come noto
all’ufficio ed alla stessa I.C. s.r.l., ha ad oggetto
l’accertamento del diritto di servitù sul tratto di
viabilità, individuata nella pratica edilizia D.I.A. prot.
12780 del 09/03/2004, dalla S.P. 231 alla proprietà I.C.
s.r.l. Ove mai l’esito definitivo dei surrichiamati
contenziosi dovesse vedere soccombente la I.C. s.r.l., la
presente attestazione di agibilità sarà annullata, rimanendo
comunque valido il titolo abilitativo edilizio, essendo il
lotto I.C. s.r.l., come da atti abilitativi edilizi
rilasciati, servito dalla originaria viabilità di accesso”.
Tale ultimo atto è stato quindi gravato davanti al giudice
amministrativo, seguendo una formula piuttosto perplessa,
tanto che il primo giudice ha dovuto espressamente
soffermarsi sulla qualificazione della domanda, con un iter
argomentativo in gran parte condivisibile ma che, come si
vedrà, dovrà essere in parte rivisto, nei limiti del
giudicato formatosi.
Il TAR, partendo dalla constatazione che l’originaria
ricorrente ha chiesto di pronunciarsi l’annullamento non
solo del certificato di agibilità del 17.07.2008, rilasciato
dal Comune di Modugno alla I.C. s.r.l. in relazione al
capannone di cui alla narrativa di fatto, ma anche “delle
sfavorevoli determinazioni dell’ufficio comunale di
rilasciare l’impugnato certificato di agibilità anziché
dichiarare decaduto il presupposto permesso di costruire n.
109/2004 per essersi verificata la condizione risolutiva
(mancata acquisizione di “atto di servitù perpetua”) cui,
per espressa previsione comunale, era stata subordinata la
sua efficacia”, ha qualificato il ricorso come composto
di due diverse domande: in primo luogo, la domanda di
annullamento del citato certificato di agibilità del
17.07.2008 e, in secondo luogo, la domanda di mero
accertamento del mancato avveramento di una delle condizioni
speciali apposte al permesso in variante n. 109/2004, ossia
l’acquisizione dell’atto di servitù perpetua a favore del
lotto di progetto o della disponibilità di diversa viabilità
analoga, e quindi l’intervenuta decadenza del permesso
medesimo, precisando che si tratta di domanda in via
astratta ammissibile tenuto conto del fatto che in materia
edilizia il giudice amministrativo gode di giurisdizione
esclusiva ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. n. 80 del 1998.
La detta qualificazione delle azioni non è stata gravata
dalle parti, in principal modo dalla parte originariamente
ricorrente che se ne poteva dolere, per cui non sono più
aggredibili in questa sede e fissano la cornice entro la
quale va valutato il presente appello.
3. - In relazione alla prima domanda, ossia quella tendente
all’ annullamento del certificato di agibilità del
17.07.2008, occorre prendere posizione sull’eccezione di
carenza di interesse formulata dalla parte appellante e, in
via adesiva, da parte del Comune di Modugno, sulla scorta
della constatazione che il detto atto si fonda su
valutazioni concernenti la qualità tecnica dell’immobile e
non può avere rilevanza nella questione in esame, che
attiene al profilo dell’utilizzabilità della strada che
percorre il fondo di proprietà della C.M. s.r.l..
3.1. - L’impostazione ricostruttiva proposta va condivisa,
sebbene porti solo ad una limitazione della portata
demolitoria della sentenza di prime cure.
Come, infatti, il primo giudice aveva notato, seppur non
traendone le necessarie conseguenze, i diversi provvedimenti
qui rilevanti, ossia il permesso di costruire ed il
certificato di agibilità, sono collegati a presupposti
diversi e danno vita a conseguenze disciplinari non
sovrapponibili.
Infatti, il certificato di agibilità ha la funzione di
accertare che l’immobile al quale si riferisce è stato
realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in
materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti (come
espressamente recita l’art. 24 del Testo unico
dell’edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed
urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo
edilizio.
Il che comporta che i diversi piani ben possano convivere
sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio
ad entrambe le tipologie normative, sia in quella patologica
di una loro divergenza (per cui, correttamente il primo
giudice ha ricordato episodi giurisprudenziali in cui si è
affermata l’illegittimità del diniego della agibilità
motivato unicamente con la difformità dell’immobile dal
progetto approvato –Consiglio di Stato, sez. V, 06.07.1979
n. 479– oppure, in senso opposto, l’irrilevanza del rilascio
del certificato di agibilità come fatto ostativo al potere
del sindaco di reprimere abusi edilizi –id., 03.02.1992 n.
87– o alla revoca di un eventuale precedente ordine di
demolizione delle opere – id., 15.04.1977 n. 335).
Dato questo inquadramento, va condivisa, nel suo valore
generale, la fondatezza dell’eccezione preliminare proposta,
atteso che il provvedimento ex art. 24 del TUED,
strettamente vincolato nei sui presupposti, non potrebbe
comunque non essere rilasciato, poiché qui non è stata posta
in discussione la conformità dell’immobile realizzato con la
disciplina in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti.
Va però notato come, nel caso in esame, il detto certificato
di agibilità contenga una clausola del tutto estranea al
disposto del citato art. 24, atteso che il rilascio viene
giustificato “per il tempo necessario e condizionatamente
agli esiti definitivi (passaggio in giudicato), dei
procedimenti avviati nelle sedi giurisdizionali competenti,
connessi a contenzioso legale in essere. Tale contenzioso,
come noto all’ufficio ed alla stessa I.C. s.r.l., ha ad
oggetto l’accertamento del diritto di servitù sul tratto di
viabilità, individuata nella pratica edilizia D.I.A. prot.
12780 del 09/03/2004, dalla S.P. 231 alla proprietà I.C.
s.r.l. Ove mai l’esito definitivo dei surrichiamati
contenziosi dovesse vedere soccombente la I.C. s.r.l., la
presente attestazione di agibilità sarà annullata, rimanendo
comunque valido il titolo abilitativo edilizio, essendo il
lotto I.C. s.r.l., come da atti abilitativi edilizi
rilasciati, servito dalla originaria viabilità di accesso”.
Si tratta di una condizione del tutto abnorme, atteso che,
da un lato, costituisce una deviazione rispetto allo
schema tipico del provvedimento come disegnato dalla
normativa primaria, ossia dal citato art. 24, e quindi si
pone come accessorio lesivo del principio di tipicità degli
atti amministrativi e, dall’altro, da vita ad un
accertamento di fatto e ad una statuizione amministrativa
che è contemporaneamente e singolarmente lesiva di entrambe
le parti in questioni: è lesiva per la C.M. s.r.l. in quanto
di fatto trasferisce sul certificato di agibilità delle
valutazioni che il Comune avrebbe dovuto compiere (ed in
maniera più incisiva) in relazione alla decadenza del
permesso di costruire; ed è lesiva anche per la I.C. s.r.l.
perché introduce un fattore temporale su un’attestazione,
quella di agibilità, alla quale poteva avere accesso in
forma piana ed incondizionata.
Questa particolare valenza dell’atto impugnato, da un
lato, legittima la sua impugnazione da parte
dell’originaria ricorrente C.M. s.r.l., visto che la
statuizione di fatto, come tra poco si dirà, è del tutto
fallace e si presta a giustificare il mancato intervento del
Comune in relazione all’esercizio delle sue attribuzioni in
merito al diverso e parallelo permesso di costruire,
dall’altro, rende criticabile la posizione assunta dal
TAR che ha rilevato come “la attestazione di agibilità
risulta essere stata condizionata da falsi presupposti che
hanno svolto un ruolo determinante nella formazione
dell’elemento volontaristico dell’atto, e che perciò
inficiano di illegittimità l’intera attestazione”.
Questa affermazione va qui corretta.
Come si è appena notato, gli elementi del certificato di
agibilità sono dati dalla previsione di legge e, nel caso in
esame, non sono stati oggetto di contestazione. Pertanto,
l’efficacia del detto certificato non è smentita dalla
circostanza che ad esso sia stata apposta una clausola
illegittima, il cui vizio non si propaga all’intero
provvedimento, proprio perché l’aggiunta posticcia operata
dal Comune si pone fuori dalla struttura legale.
Non si tratta quindi di una applicazione del principio di
conservazione degli atti giuridici o addirittura di quello
valevole in ambito contrattuale ex art. 1419, comma 1, c.c.
(che comporta una valutazione della volontà delle parti qui
non rilevante), ma di una conseguenza della tipicità
dell’atto amministrativo, nel rapporto predeterminato ex
lege tra presupposti, contenuto ed effetti del
provvedimento.
La soluzione data dal primo giudice alla questione
sottoposta dalla parte ricorrente in prime cure è quindi da
riformare nella parte in cui ha esteso all’intero
certificato di agibilità una declaratoria di vizio che
riguardava invece la clausola illegittimamente introdotta.
Fondamentalmente, l’impossibilità di una valenza temporanea
del certificato di agibilità comporta che l’accoglimento
della domanda in prime cure, nei limiti dell’interesse fatto
valere, ossia quello all’accertamento negativo dei
presupposti che fondavano l’apposizione della clausola
ultronea, ben poteva essere valutata (e accolta) dal primo
giudice anche solo nel senso strutturale appena vagliato.
Ciò non esclude tuttavia la rilevanza della diversa
ricostruzione operata, la cui correttezza va vagliata in
relazione alla seconda azione proposta (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 13.03.2014 n. 1220 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
certificato di agibilità ha la funzione di accertare che
l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel
rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di
sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti (come espressamente recita l’art.
24 del Testo unico dell’edilizia), mentre il rispetto delle
norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica
funzione del titolo edilizio.
Come, infatti, il primo giudice
aveva notato, seppur non traendone le necessarie
conseguenze, i diversi provvedimenti qui rilevanti, ossia il
permesso di costruire ed il certificato di agibilità, sono
collegati a presupposti diversi e danno vita a conseguenze
disciplinari non sovrapponibili. Infatti, il certificato di
agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile al
quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle
norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità,
igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti
(come espressamente recita l’art. 24 del Testo unico
dell’edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed
urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo
edilizio.
Il che comporta che i diversi piani ben possano convivere
sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio
ad entrambe le tipologie normative, sia in quella patologica
di una loro divergenza (per cui, correttamente il primo
giudice ha ricordato episodi giurisprudenziali in cui si è
affermata l’illegittimità del diniego della agibilità
motivato unicamente con la difformità dell’immobile dal
progetto approvato –Consiglio di Stato, sez. V, 06.07.1979
n. 479– oppure, in senso opposto, l’irrilevanza del rilascio
del certificato di agibilità come fatto ostativo al potere
del sindaco di reprimere abusi edilizi –id., 03.02.1992 n.
87– o alla revoca di un eventuale precedente ordine di
demolizione delle opere – id., 15.04.1977 n. 335).
Dato questo inquadramento, va condivisa, nel suo valore
generale, la fondatezza dell’eccezione preliminare proposta,
atteso che il provvedimento ex art. 24 del TUED,
strettamente vincolato nei sui presupposti, non potrebbe
comunque non essere rilasciato, poiché qui non è stata posta
in discussione la conformità dell’immobile realizzato con la
disciplina in materia di sicurezza, salubrità, igiene,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti.
Va però notato come, nel caso in esame, il detto certificato
di agibilità contenga una clausola del tutto estranea al
disposto del citato art. 24, atteso che il rilascio viene
giustificato “per il tempo necessario e condizionatamente
agli esiti definitivi (passaggio in giudicato), dei
procedimenti avviati nelle sedi giurisdizionali competenti,
connessi a contenzioso legale in essere. Tale contenzioso,
come noto all’ufficio ed alla stessa ICAI s.r.l., ha ad
oggetto l’accertamento del diritto di servitù sul tratto di
viabilità, individuata nella pratica edilizia D.I.A. prot.
12780 del 09/03/2004, dalla S.P. 231 alla proprietà ICAI
s.r.l. Ove mai l’esito definitivo dei surrichiamati
contenziosi dovesse vedere soccombente la ICAI s.r.l., la
presente attestazione di agibilità sarà annullata, rimanendo
comunque valido il titolo abilitativo edilizio, essendo il
lotto ICAI s.r.l., come da atti abilitativi edilizi
rilasciati, servito dalla originaria viabilità di accesso”.
Si tratta di una condizione del tutto abnorme, atteso che,
da un lato, costituisce una deviazione rispetto allo schema
tipico del provvedimento come disegnato dalla normativa
primaria, ossia dal citato art. 24, e quindi si pone come
accessorio lesivo del principio di tipicità degli atti
amministrativi e, dall’altro, da vita ad un accertamento di
fatto e ad una statuizione amministrativa che è
contemporaneamente e singolarmente lesiva di entrambe le
parti in questioni: è lesiva per la C.M.C. s.r.l. in quanto
di fatto trasferisce sul certificato di agibilità delle
valutazioni che il Comune avrebbe dovuto compiere (ed in
maniera più incisiva) in relazione alla decadenza del
permesso di costruire; ed è lesiva anche per la I.C.A.I.
s.r.l. perché introduce un fattore temporale su
un’attestazione, quella di agibilità, alla quale poteva
avere accesso in forma piana ed incondizionata.
Questa particolare valenza dell’atto impugnato, da un lato,
legittima la sua impugnazione da parte dell’originaria
ricorrente C.M.C. s.r.l., visto che la statuizione di fatto,
come tra poco si dirà, è del tutto fallace e si presta a
giustificare il mancato intervento del Comune in relazione
all’esercizio delle sue attribuzioni in merito al diverso e
parallelo permesso di costruire, dall’altro, rende
criticabile la posizione assunta dal TAR che ha rilevato
come “la attestazione di agibilità risulta essere stata
condizionata da falsi presupposti che hanno svolto un ruolo
determinante nella formazione dell’elemento volontaristico
dell’atto, e che perciò inficiano di illegittimità l’intera
attestazione”.
Questa affermazione va qui corretta.
Come si è appena notato, gli elementi del certificato di
agibilità sono dati dalla previsione di legge e, nel caso in
esame, non sono stati oggetto di contestazione. Pertanto,
l’efficacia del detto certificato non è smentita dalla
circostanza che ad esso sia stata apposta una clausola
illegittima, il cui vizio non si propaga all’intero
provvedimento, proprio perché l’aggiunta posticcia operata
dal Comune si pone fuori dalla struttura legale. Non si
tratta quindi di una applicazione del principio di
conservazione degli atti giuridici o addirittura di quello
valevole in ambito contrattuale ex art. 1419 comma 1 c.c.
(che comporta una valutazione della volontà delle parti qui
non rilevante), ma di una conseguenza della tipicità
dell’atto amministrativo, nel rapporto predeterminato ex
lege tra presupposti, contenuto ed effetti del
provvedimento.
La soluzione data dal primo giudice alla questione
sottoposta dalla parte ricorrente in prime cure è quindi da
riformare nella parte in cui ha esteso all’intero
certificato di agibilità una declaratoria di vizio che
riguardava invece la clausola illegittimamente introdotta.
Fondamentalmente, l’impossibilità di una valenza temporanea
del certificato di agibilità comporta che l’accoglimento
della domanda in prime cure, nei limiti dell’interesse fatto
valere, ossia quello all’accertamento negativo dei
presupposti che fondavano l’apposizione della clausola
ultronea, ben poteva essere valutata (e accolta) dal primo
giudice anche solo nel senso strutturale appena vagliato.
Ciò non esclude tuttavia la rilevanza della diversa
ricostruzione operata, la cui correttezza va vagliata in
relazione alla seconda azione proposta
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 13.03.2014 n. 1220 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 24, comma secondo,
del D.P.R. n. 380/2001 dispone che la mancata presentazione
della domanda di agibilità, entro 15 giorni dall’ultimazione
dei lavori, da parte di un soggetto titolare di permesso di
costruire o d.i.a., comporta l’applicazione di una sanzione
pecuniaria (non già il divieto di utilizzo dell’immobile).
Invero, la citata normativa di cui all’art. 24, comma
secondo, non include tutti gli interventi edilizi tra quelli
assoggettati alla certificazione di agibilità. L’obbligo,
semmai, vige per le nuove costruzioni, le ricostruzioni, le
sopraelevazioni totali o parziali e gli interventi che
possano influire sulle condizioni di sicurezza, salubrità o
igienicità degli edifici.
Nel caso di specie, si è trattato di una semplice
ristrutturazione (sistemazione del tetto e dei solai,
tinteggiatura, infissi, ordinaria manutenzione), senza
modifica della sagoma, né aumento di superfici o di
cubature, talché esso non sembrerebbe rientrare nel novero
di quelli soggetti a certificazione di agibilità o
abitabilità, a meno che non si affermi –ma il provvedimento
impugnato non lo fa– che detto intervento di risanamento
abbia, in qualche modo, peggiorato o diminuito le condizioni
di sicurezza, salubrità e igienicità dell’edificio.
E’ evidente che una simile affermazione non sarebbe
plausibile, in assenza di una perizia tecnica che
dimostrasse l’inadeguatezza dell’intervento risanativo,
ovvero il carattere peggiorativo di esso.
---------------
Ai sensi dell'art. 24, comma primo, del D.P.R. 06.06.2001,
n. 380, il certificato di agibilità attesta la sussistenza
delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità. Si tratta
di un provvedimento che reca in sé un accertamento e fa
propria l'integrale conformità delle opere realizzate al
progetto approvato. La mancanza di esso non pregiudica, né
condiziona il potere comunale di dichiarazione di
inagibilità di un edificio, ai sensi dell'art. 222 del R.D.
27.07.1934 n. 1265, quando siano stati tecnicamente
riscontrati problemi di sicurezza o di igienicità.
E’ del tutto inappropriato, tuttavia, ordinare un implicito
sgombero dell’edificio, come fa il provvedimento impugnato,
allorché diffida <<a non utilizzare l’immobile sopra
descritto privo del regolare certificato di agibilità>>,
senza che vi sia stato un concreto accertamento tecnico
sulla sicurezza o sulla igienicità dell’edificio.
... per l'annullamento dei seguenti atti: 1) la nota prot.
n. 24629 datata 02.10.2008, con la quale il dirigente della
Ripartizione Urbanistica del Comune di Campobasso, ha
diffidato la ricorrente <<a non utilizzare l’immobile sopra
descritto privo del regolare certificato di agibilità>>;
...
Il ricorso è fondato.
La ricorrente, proprietaria di una abitazione nel
centro storico di Campobasso, avendo realizzato alcuni
lavori di ristrutturazione dell’immobile (previa la
concessione edilizia n. 97/2002, nonché la d.i.a prot. n.
3058 del 12.06.2006), insorge per impugnare la nota datata
02.10.2008, con la quale il dirigente della Ripartizione
Urbanistica del Comune di Campobasso, l’ha diffidata <<a non
utilizzare l’immobile sopra descritto privo del regolare
certificato di agibilità>>.
La nota, invero, richiama l’art.
24, comma secondo, del D.P.R. n. 380/2001 (Testo unico
dell’edilizia), a tenore del quale la mancata presentazione
della domanda di agibilità, entro 15 giorni dall’ultimazione
dei lavori, da parte di un soggetto titolare di permesso di
costruire o d.i.a., comporterebbe l’applicazione di una
sanzione pecuniaria (non già il divieto di utilizzo
dell’immobile).
Invero, la citata normativa di cui all’art. 24, comma
secondo, non include tutti gli interventi edilizi tra quelli
assoggettati alla certificazione di agibilità. L’obbligo,
semmai, vige per le nuove costruzioni, le ricostruzioni, le
sopraelevazioni totali o parziali e gli interventi che
possano influire sulle condizioni di sicurezza, salubrità o
igienicità degli edifici.
Nel caso di specie, si è trattato
di una semplice ristrutturazione (sistemazione del tetto e
dei solai, tinteggiatura, infissi, ordinaria manutenzione),
senza modifica della sagoma, né aumento di superfici o di
cubature, talché esso non sembrerebbe rientrare nel novero
di quelli soggetti a certificazione di agibilità o
abitabilità, a meno che non si affermi –ma il provvedimento
impugnato non lo fa– che detto intervento di risanamento
abbia, in qualche modo, peggiorato o diminuito le condizioni
di sicurezza, salubrità e igienicità dell’edificio. E’
evidente che una simile affermazione non sarebbe plausibile,
in assenza di una perizia tecnica che dimostrasse
l’inadeguatezza dell’intervento risanativo, ovvero il
carattere peggiorativo di esso.
Ai sensi dell'art. 24, comma primo, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, il certificato di agibilità attesta la
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene,
salubrità. Si tratta di un provvedimento che reca in sé un
accertamento e fa propria l'integrale conformità delle opere
realizzate al progetto approvato. La mancanza di esso non
pregiudica, né condiziona il potere comunale di
dichiarazione di inagibilità di un edificio, ai sensi
dell'art. 222 del R.D. 27.07.1934 n. 1265, quando siano
stati tecnicamente riscontrati problemi di sicurezza o di
igienicità (cfr.: Tar Campania Salerno I, 07.01.2013 n.
21). E’ del tutto inappropriato, tuttavia, ordinare un
implicito sgombero dell’edificio, come fa il provvedimento
impugnato, allorché diffida <<a non utilizzare l’immobile
sopra descritto privo del regolare certificato di
agibilità>>, senza che vi sia stato un concreto accertamento
tecnico sulla sicurezza o sulla igienicità dell’edificio.
I motivi del ricorso sono, dunque, attendibili.
E’ rilevabile, nella specie, la violazione della normativa
di cui alla legge n. 241/1990, sotto il profilo del mancato
preavviso, della carenza di istruttoria e del difetto di
motivazione. E’ evidente, altresì, per le ragioni
illustrate, il travisamento nell’applicazione dell’art. 24,
comma secondo, del D.P.R. n. 380/2001, nonché l’eccesso di
potere per errore nei presupposti
(TAR Molise,
sentenza 28.02.2014 n. 134 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
punto centrale della controversia attiene alla
valenza che assume la conformità del fabbricato
realizzato al progetto, contenuta negli atti che
attestano l’agibilità dell’immobile, rispetto alla
conformità edilizia del fabbricato stesso; si tratta
cioè di valutare se tale attestazione contenuta
negli atti di agibilità valga come sanatoria
implicita, sul piano edilizio, delle difformità
riscontrate.
Nella normativa oggi vigente
il certificato di agibilità è il documento,
rilasciato dal dirigente o dal responsabile del
competente ufficio comunale, che attesta la
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene,
salubrità, risparmio energetico degli edifici e
degli impianti negli stessi installati, giusto il
disposto dell’art. 24, D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Nella disciplina previgente, e rilevante in
causa, la norma di riferimento era invece
rappresentata dall'art. 221, r.d. 27.7.1934, n. 1265
(testo unico delle leggi sanitarie), il quale
stabiliva che, in materia di costruzione,
ricostruzione, sopraelevazione e modificazione di
case urbane o rurali o parti di esse contemplate dal
precedente art. 220, tali edifici non potessero
“essere abitati senza autorizzazione del sindaco, il
quale la concede quando, previa ispezione
dell'ufficiale sanitario e di un ingegnere a ciò
delegato, risulti che la costruzione sia stata
eseguita in conformità del progetto approvato, che i
muri siano convenientemente prosciugati e che non
sussistano altre cause di insalubrità”.
La dottrina prevalente e la giurisprudenza
maggioritaria ritengono che il certificato di
agibilità, anche alla luce di tale normativa, fosse
finalizzato esclusivamente alla tutela
dell'igienicità, salubrità e sicurezza dell'edificio
e non fosse diretto anche a garantire la conformità
urbanistico-edilizia del manufatto:
- così Cons. Stato, sez. 5, 28.03.1980, n. 327
affermava che "il rilascio del certificato di
abitabilità…presuppone l'accertamento
dell'inesistenza di cause di insalubrità
dell'edificio senza alcun collegamento col
conseguimento di fini di carattere
edilizio-urbanistico; pertanto, il rilascio di tale
certificato non incide sul potere del Sindaco di
reprimere gli abusi edilizi eventualmente commessi
nella realizzazione del fabbricato dichiarato
abitabile";
- Cons. Stato, sez. 5, 19.02.1982, n. 118 affermava,
a sottolineare la specifica funzione dell’atto, che
"la licenza di abitabilità, rilasciata ai sensi
dell'art. 221 t.u. 27.07.1934, n. 1265 (leggi
sanitarie), è prescritta per la tutela della
pubblica igiene; pertanto, è illegittimo il
provvedimento negativo del sindaco fondato su motivi
di ordine urbanistico";
- e Cons. Stato, sez. 5, 28.01.1993, n. 178, in
Cons. Stato, 1993, I, 64, rilevava che "è
illegittima la revoca del certificato di abitabilità
-previsto dall'art. 221, comma 1, t.u. 27.07.1934,
n. 1265 e finalizzato esclusivamente a scopi di
carattere igienico-sanitario- se motivata
esclusivamente con la difformità dell'edificio
realizzato dal progetto approvato con la licenza di
costruzione, in quanto il controllo della
rispondenza della costruzione con quanto autorizzato
è esercitato dal sindaco mediante i poteri di cui
all'art. 32, L. 17.08.1942, n. 1150".
Dunque la giurisprudenza riferita all’art. 221 del
r.d. n. 1265 del 1934 è esplicita nell’evidenziare
che la funzione della licenza di agibilità, e
l’interesse pubblico cui essa ha riguardo, attiene a
profili della agibilità/abitabilità e non
specificamente al profilo urbanistico.
Ciò non esclude che la valutazione effettuata in
sede di agibilità (come anzi sia l’art. 221 cit. che
l’art. 20 del Regolamento comunale dell’epoca
richiamato dalla ricorrente) presupponesse anche una
verifica di conformità edilizia (il citato art. 221
parla di costruzione “eseguita in conformità del
progetto approvato”); ma si tratta di una verifica
edilizia funzionale al rilascio della agibilità e
svolta quindi nei limiti necessari a inferirne l’assentibilità
della agibilità; ben diverso e distinto è il profilo
della piena conformità edilizia in quanto tale, sul
piano dei titoli edilizi, che non appare ricavabile
da un incidentale accertamento compiuto in sede di
rilascio della licenza di agibilità.
In altre parole, quando il verbale del 23.01.1980
(doc. 5 di parte ricorrente) afferma la
corrispondenza ai progetti approvati del fabbricato
realizzato, effettua una valutazione funzionale alla
sola attestazione della agibilità, ma dalla quale
non è ricavabile un riconoscimento della avvenuta
sanatoria sul piano edilizio delle opere stesse.
Si aggiunga che all’epoca, prima cioè dell’art. 13
della legge n. 47 del 1985, l’istituto
dell’accertamento di conformità non era ancora stato
introdotto dal nostro legislatore, il che rende
ancor più illogico voler ritenere manifestata in via
implicita una volontà sanante, sul piano
strettamente edilizio; d’altra parte quando poi tale
istituto è stato introdotto non risulta che il
ricorrente abbia provveduto a valersene, per far
acclarare in modo pieno e diretto la sanabilità
edilizia della difformità realizzata.
Con il primo mezzo parte ricorrente evidenzia come
l’esubero volumetrico accertato dall’Amministrazione
non può tuttavia dirsi abusivo e non legittimamente
assentito, essendo esso già stato rilevato in sede
di sopralluogo per il rilascio del certificato di
agibilità, con il risultato che l’assentimento della
agibilità è da qualificarsi come sanatoria implicita
dell’incremento volumetrico stesso.
La censura non è fondata.
La società ricorrente richiama, per elaborare la
tesi della sanatoria implicita, il “verbale di
visita di abitabilità e agibilità” del
23.01.1980 (doc. 5 di parte ricorrente),
l’autorizzazione sindacale di agibilità in pari data
(doc. 6) e la annotazione del tecnico comunale del
27.10.1979 di correzione della tavola grafica (doc.
20); il documento da ultimo richiamato rappresenta,
secondo parte ricorrente, la constatazione che il
tecnico comunale ha effettuato, in sede di
sopralluogo, circa la discrepanza tra la larghezza
del manufatto risultante dalla tavola grafica e
quella da lui accertata (infatti nel doc. 20 si vede
una cancellatura della misura di m. 48,30 e la sua
sostituzione con m. 49,70); a ciò hanno fatto
seguito il verbale di visita e l’autorizzazione di
agibilità, in cui si dà espressamente atto della
corrispondenza del fabbricato alle licenze edilizie
nn. 4880 del 1970, 5151 del 1971, 6207 del 1975,
6896 del 1977 e 7889 del 1978 (cfr. doc. 5).
La tesi è dunque che la difformità realizzativa sia
stata accertata dal tecnico comunale e che ciò
nonostante si sia sancito il rispetto dei titoli
edilizi, in sede di rilascio dell’agibilità, in tal
modo sanando la difformità medesima anche sul piano
edilizio.
L’Amministrazione resistente contesta la lettura
operata dalla ricorrente del doc. 20 richiamato,
evidenziando che esso “rappresenterebbe una mera
correzione numerica su un elaborato grafico che,
però, non trova riscontro in alcuna delle
certificazioni e attestazioni rilasciate dal Comune
e/o eventuali altri atti e provvedimenti”.
Ritiene il Collegio che il punto centrale della
controversia attenga alla valenza che assume la
conformità del fabbricato realizzato al progetto,
contenuta negli atti che attestano l’agibilità
dell’immobile, rispetto alla conformità edilizia del
fabbricato stesso; si tratta cioè di valutare se
tale attestazione contenuta negli atti di agibilità
valga come sanatoria implicita, sul piano edilizio,
delle difformità riscontrate. Tale questione deve
essere affrontata alla luce della normativa
applicabile ratione temporis.
Nella normativa oggi vigente il certificato
di agibilità è il documento, rilasciato dal
dirigente o dal responsabile del competente ufficio
comunale, che attesta la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità,
risparmio energetico degli edifici e degli impianti
negli stessi installati, giusto il disposto
dell’art. 24, D.P.R. 06.06.2001, n. 380. Nella
disciplina previgente, e rilevante in causa, la
norma di riferimento era invece rappresentata
dall'art. 221, r.d. 27.7.1934, n. 1265 (testo unico
delle leggi sanitarie), il quale stabiliva che, in
materia di costruzione, ricostruzione,
sopraelevazione e modificazione di case urbane o
rurali o parti di esse contemplate dal precedente
art. 220, tali edifici non potessero “essere
abitati senza autorizzazione del sindaco, il quale
la concede quando, previa ispezione dell'ufficiale
sanitario e di un ingegnere a ciò delegato, risulti
che la costruzione sia stata eseguita in conformità
del progetto approvato, che i muri siano
convenientemente prosciugati e che non sussistano
altre cause di insalubrità”.
La dottrina prevalente e la giurisprudenza
maggioritaria ritengono che il certificato di
agibilità, anche alla luce di tale normativa, fosse
finalizzato esclusivamente alla tutela
dell'igienicità, salubrità e sicurezza dell'edificio
e non fosse diretto anche a garantire la conformità
urbanistico-edilizia del manufatto:
- così Cons. Stato, sez. 5, 28.03.1980, n. 327
affermava che "il rilascio del certificato di
abitabilità…presuppone l'accertamento
dell'inesistenza di cause di insalubrità
dell'edificio senza alcun collegamento col
conseguimento di fini di carattere
edilizio-urbanistico; pertanto, il rilascio di tale
certificato non incide sul potere del Sindaco di
reprimere gli abusi edilizi eventualmente commessi
nella realizzazione del fabbricato dichiarato
abitabile";
- Cons. Stato, sez. 5, 19.02.1982, n. 118 affermava,
a sottolineare la specifica funzione dell’atto, che
"la licenza di abitabilità, rilasciata ai sensi
dell'art. 221 t.u. 27.07.1934, n. 1265 (leggi
sanitarie), è prescritta per la tutela della
pubblica igiene; pertanto, è illegittimo il
provvedimento negativo del sindaco fondato su motivi
di ordine urbanistico";
- e Cons. Stato, sez. 5, 28.01.1993, n. 178, in
Cons. Stato, 1993, I, 64, rilevava che "è
illegittima la revoca del certificato di abitabilità
-previsto dall'art. 221, comma 1, t.u. 27.07.1934,
n. 1265 e finalizzato esclusivamente a scopi di
carattere igienico-sanitario- se motivata
esclusivamente con la difformità dell'edificio
realizzato dal progetto approvato con la licenza di
costruzione, in quanto il controllo della
rispondenza della costruzione con quanto autorizzato
è esercitato dal sindaco mediante i poteri di cui
all'art. 32, L. 17.08.1942, n. 1150".
Dunque la giurisprudenza riferita all’art. 221 del
r.d. n. 1265 del 1934 è esplicita nell’evidenziare
che la funzione della licenza di agibilità, e
l’interesse pubblico cui essa ha riguardo, attiene a
profili della agibilità/abitabilità e non
specificamente al profilo urbanistico.
Ciò non esclude che la valutazione effettuata in
sede di agibilità (come anzi sia l’art. 221 cit. che
l’art. 20 del Regolamento comunale dell’epoca
richiamato dalla ricorrente) presupponesse anche una
verifica di conformità edilizia (il citato art. 221
parla di costruzione “eseguita in conformità del
progetto approvato”); ma si tratta di una
verifica edilizia funzionale al rilascio della
agibilità e svolta quindi nei limiti necessari a
inferirne l’assentibilità della agibilità; ben
diverso e distinto è il profilo della piena
conformità edilizia in quanto tale, sul piano dei
titoli edilizi, che non appare ricavabile da un
incidentale accertamento compiuto in sede di
rilascio della licenza di agibilità.
In altre parole, quando il verbale del 23.01.1980
(doc. 5 di parte ricorrente) afferma la
corrispondenza ai progetti approvati del fabbricato
realizzato, effettua una valutazione funzionale alla
sola attestazione della agibilità, ma dalla quale
non è ricavabile un riconoscimento della avvenuta
sanatoria sul piano edilizio delle opere stesse.
Si aggiunga che all’epoca, prima cioè dell’art. 13
della legge n. 47 del 1985, l’istituto
dell’accertamento di conformità non era ancora stato
introdotto dal nostro legislatore, il che rende
ancor più illogico voler ritenere manifestata in via
implicita una volontà sanante, sul piano
strettamente edilizio; d’altra parte quando poi tale
istituto è stato introdotto non risulta che il
ricorrente abbia provveduto a valersene, per far
acclarare in modo pieno e diretto la sanabilità
edilizia della difformità realizzata (TAR Toscana,
Sez. III,
sentenza 28.01.2014 n. 177 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO: L’amministratore
chiede l’agibilità. Quando non è stata ottenuta dal
costruttore chi vende può avere problemi.
Edilizia. Secondo la legge l’edificio deve avere anche
impianti a norma e attestazione energetica.
Non esiste una legge che impone al
venditore di allegare all'atto di compravendita il
certificato di agibilità, così come non esiste una legge che
obbliga il notaio rogante di farne menzione nell'atto. Ma
per i giudici le cose stanno diversamente: la mancanza del
certificato di agibilità costituisce grave inadempimento e,
come tale, causa di risoluzione del contratto, oltre al
risarcimento del danno.
In particolare, il venditore si può vedere costretto a
riprendersi l'immobile ed a restituire all'acquirente il
prezzo, oltre a risarcire i danni, se sussistenti. Il
problema è che sono moltissimi gli edifici in cui manca il
certificato di agibilità perché il costruttore non si è
preoccupato di richiederlo. Nel frattempo le leggi sono
cambiate e per ottenerlo servono una serie di adempimenti
che passano necessariamente dall'amministratore
condominiale. Il suo ruolo, quindi, è centrale per evitare
che i condòmini, quando desiderino cedere il proprio
appartamento (vendendolo o affittandolo) si trovino in serie
difficoltà.
Ma andiamo per gradi. Il Dl 145/2013, articolo 1, comma 7,
stabilisce che i contratti di compravendita immobiliare
devono contenere una clausola nella quale l'acquirente
dichiara di aver ricevuto le informazioni e la
documentazione, comprensiva dell'attestato in merito
all'attestazione della prestazione energetica. Copia di
questo attestato deve essere allegato al contratto. In caso
di omessa dichiarazione o allegazione le parti sono soggette
a una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 3.000 ad
euro 18.000,00.
Altro adempimento richiesto dalla normativa in vigore dal
2010 (Dl 78/2010) è il cosiddetto “allineamento catastale”
la cui violazione comporta la nullità degli atti di
trasferimento delle proprietà immobiliari. Gli atti di
trasferimento devono contenere, oltre all'identificazione
catastale, anche il riferimento alle planimetrie depositate
in Catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli
intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati
catastali e delle planimetrie.
La dichiarazione può essere sostituita da una attestazione
di conformità rilasciata da un tecnico abilitato. Infine,
non certo per importanza, il notaio è obbligato, ad inserire
nel contratto, sempre pena la sua nullità, a seconda
dell'epoca di costruzione dell'immobile, l'indicazione della
licenza o della concessione edilizia, del permesso di
costruire o della denuncia di inizio attività oppure del
titolo abilitativo in sanatoria.
Nulla, invece, viene detto dalla normativa in vigore sul
certificato di agibilità. Si tratta di un vero e proprio “vuoto
normativo” che comporta gravi ripercussioni su chi, e
sono tanti, ogni giorno si appresta ad acquistare casa. Il
certificato di agibilità (articolo 24 del Tu 380/2001)
attesta, infatti, la sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico
dell'edificio e degli impianti in esso installati. Se
l'edificio non gode di tali condizioni esso non potrà essere
abitato.
Il certificato di agibilità viene rilasciato dal Comune; la
domanda dovrà essere corredata dalla documentazione
richiesta per legge, tra cui il certificato di conformità
degli impianti e, ove previsto, il certificato di conformità
alle norme antisismiche. Può essere ottenuto mediante
espresso provvedimento, entro 30 giorni dalla domanda oppure
mediante “silenzio-assenso” decorsi 30 dal parere
positivo dell'Asl o 60 giorni in caso contrario. Quindi,
anche se la consegna di questo certificato non è imposta
dalla legge, l'acquirente può (o meglio deve) chiedere al
venditore-costruttore fin dalla stipula del preliminare e,
in ogni caso, al momento del contratto definitivo di
compravendita, che gli venga esibito e consegnato il
certificato di agibilità.
Ma quando, come spesso accade, non ci si è preoccupati di
questo adempimento, occorre mobilitare l’amministratore e
farne espressa richiesta. Se l'amministratore non è in
possesso del certificato dovrà richiederlo con le modalità
indicate prima. Anche il singolo condomino può farlo, sempre
che l’immobile risulti agibile. In caso contrario dovranno
essere apprestate dal condominio tutte quelle opere idonee a
renderlo tale.
La mancanza del certificato, infatti, anche in assenza di
una previsione legislativa, è stata valutata dai giudici
come causa di risoluzione del contratto, principalmente in
quanto costituisce una vendita di un bene diverso, inidoneo
ad assolvere allo scopo che le parti si sono proposte.
In particolare, per i giudici il certificato di agibilità
costituisce un requisito essenziale del bene compravenduto
poiché incide sulla sua attitudine ad assolvere la sua
funzione economico-sociale, assicurandone il legittimo
godimento e la commerciabilità (Corte di Cassazione, Sez. II
civile,
sentenza 29.08.2011 n. 17707; Corte di
Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 14.01.2014 n. 629) (articolo
Il Sole 24 Ore del 05.05.2015). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Certificato di abitabilità manca? Sì al recesso dal
preliminare
Nella vendita di immobile destinato ad
abitazione, il certificato di abitabilità costituisce
requisito giuridico essenziale del bene compravenduto poiché
vale a incidere sull'attitudine del bene stesso ad assolvere
la sua funzione economico-sociale, assicurandone il
legittimo godimento e la commerciabilità.
Pertanto, il mancato rilascio della licenza di abitabilità
integra inadempimento del venditore per consegna di aliud
pro alio, adducibile da parte del compratore in via di
eccezione, ai sensi dell'art. 1460 cod. civ., o come fonte
di pretesa risarcito ria per la ridotta commerciabilità del
bene, a meno che egli non abbia espressamente rinunciato al
requisito dell'abitabilità o esonerato comunque il venditore
dall'obbligo di ottenere la relativa licenza.
Questo principio di diritto, già formulato in precedenza,
viene confermato dalla II Sez. sezione civile della Corte di
Cassazione con la
sentenza 14.01.2014 n. 629 e vale a testimoniare la
costanza dell’orientamento giurisprudenziale in materia di
compravendita qualora vi sia carenza del certificato di
abitabilità. Nel caso di specie, due venditori ricorrono in
cassazione per contestare la sentenza adottata dai giudici
di merito che li vedono gravemente inadempienti nei
confronti dell’acquirente di un immobile non avendogli
rilasciato il certificato di abitabilità dello stesso.
Quest’ultimo si configura come requisito essenziale del bene
oggetto di compravendita in quanto idoneo ad incidere
sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione
economico-sociale. La mancata consegna dello stesso
costituisce inadempimento da parte dei promittenti
alienanti, giustificando il recesso dal contratto. Da
chiarire che, al contrario, il giudice di prime cure aveva
dichiarato legittimo il recesso degli attori dal contratto
preliminare per il grave inadempimento del convenuto, con
diritto a trattenere a titolo di risarcimento danni la somma
ricevuta a titolo di caparra confirmatoria.
Infatti, il Tribunale territoriale riteneva che dalla
documentazione allegata, emergeva con tutta evidenza
l’adempimento da parte dei promittenti venditori alle
obbligazioni assunte con il contratto preliminare. Come si è
visto, in sede di Cassazione, gli Ermellini ritengono
essenziale il certificato di abitabilità precisando che la
mancata consegna non può essere superata neppure dalla
circostanza –pur opposta dai ricorrenti– che oggetto della
compravendita fossero un complesso di beni, posto che
l’assenza del certificato riguardava la parte del complesso
di beni più significativa sul piano economico e sul piano
funzionale rispetto al contratto.
Secondo il Palazzaccio a nulla rileva la circostanza di una
precedente vendita e dell’affermata commerciabilità del
bene, anche con riguardo alla Convenzione urbanistica
stipulata dal Comune con il costruttore dell'immobile. Ciò
in quanto –come si legge nella sentenza- la precedente
vendita non impedisce di valutare la situazione esistente al
momento della stipula del secondo atto, sia in quanto la
convenzione col Comune non poteva derogare alla normativa
generale, anche tenuto conto del notevole lasso di tempo
intercorso durante il quale non risulta comunque intervenuta
tale certificazione.
Da qui il rigetto del ricorso con la condanna alle spese di
giudizio (link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
La disciplina nazionale dell’attività edilizia -
Guida operativa 2013.
Sommario: 1. Premessa; 2. Lo sportello unico per l’edilizia
(SUE); 3. l’attività edilizia libera; 3.1. L’attività
edilizia totalmente libera; 3.2. L’attività edilizia libera
previa comunicazione inizio lavori; 4. L’attività edilizia
soggetta a permesso di costruire; 4.1. Caratteristiche del
permesso di costruire; 4.2. Efficacia temporale del permesso
di costruire; 4.3. Onerosità del permesso di costruire; 4.4.
Procedimento per il rilascio del permesso di costruire; 5.
L’attività edilizia soggetta a S.C.I.A. o a super-D.I.A.;
5.1. L’ambito applicativo della S.C.I.A.; 5.2 L’ambito
applicativo della super-D.I.A.; 5.3. La disciplina
applicabile alla S.C.I.A. ed alla super-D.I.A.; 5.4. La
S.C.I.A. e la super-D.I.A. e l’incidenza sulla
commerciabilità dei fabbricati; 6. La demolizione e
successiva ricostruzione; 7. La sanatoria ex lege delle
difformità marginali; 8. L’agibilità; 8.1. La funzione del
certificato di agibilità; 8.2. Il procedimento di rilascio
del certificato di agibilità; 8.3. La dichiarazione di
agibilità “parziale”; 8.4. La dichiarazione “alternativa” di
conformità ed agibilità; 8.5. Il certificato di agibilità e
riflessi sulla circolazione immobiliare; 9. Il piano
nazionale per le città; 10. Il piano casa (Consiglio
Nazionale del Notariato,
studio
10.01.2014 n. 893-2013/C). |
anno 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Presupposti per il rilascio del certificato di
agibilità.
Ai sensi dell'art. 24, comma 1,
T.U. dell’Edilizia 06.06.2001 n. 380, il certificato
di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni
di sicurezza, igiene, salubrità, ma tale
accertamento fa proprio anche l'integrale conformità
delle opere realizzate al progetto approvato come
attestato dalla licenza di abitabilità.
Al tempo stesso l'accertamento della piena
conformità dei manufatti alle norme
urbanistico-edilizie ed alle prescrizioni del
permesso di costruire, nonché alle disposizioni di
convenzione urbanistica, costituisce il presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del
certificato di agibilità.
Il motivo di appello è infondato.
La tesi di parte appellante era di poter rioccupare
l’immobile pur senza il prescritto certificato di
agibilità, in virtù di autocertificazione
semplificata redatta dal progettista; ciò sarebbe
stato consentito dalla natura limitata degli
interventi effettuati.
Il Collegio osserva che già con la prima ingiunzione
del 2009, non impugnata, il Comune aveva vietato
l’utilizzo dell’immobile fino al positivo rilascio
del certificato di agibilità.
Con la successiva comunicazione del 12.02.2010,
rispondendo ad e-mail della parte appellante,
l’amministrazione si era limitata a confermare
quanto già espresso con la precedente
determinazione.
Pertanto, è immune da vizi di censura la sentenza
appellata nella parte in cui ha concluso per la
inammissibilità del ricorso originario, per mancata
tempestiva impugnazione dell’atto presupposto
realmente lesivo.
Soltanto quando l'antecedente determinazione della
stessa amministrazione, non impugnata, viene
successivamente sottoposta a riesame nell'ambito di
una nuova attività istruttoria, seppure con esito
sostanzialmente confermativo, non incorre nel
termine decadenziale l'interessato che promuove
ricorso nei riguardi della sol determinazione finale
successiva e degli atti riesaminati, che ne hanno
rappresentato il presupposto per l'adozione (in tal
senso, tra tante, Consiglio di Stato sez. IV,
07.02.2011, n. 813).
Nella specie, come detto, non si dava luogo ad
alcuna attività istruttoria nuova.
La successiva comunicazione, poi impugnata, si
limitava a richiamare la precedente ingiunzione del
24.09.2009, ma non riesaminava la possibilità di
rioccupare l’edificio senza certificato di
agibilità, e semplicemente si limitava a ribadire il
divieto già impartito.
Senza acquisizione di nuovi elementi di fatto e
senza alcuna valutazione –in sostanza senza alcuna
nuova istruttoria- sono state tenute ferme le
statuizioni in precedenza già adottate, in modo da
non toccare la portata precettiva del provvedimento
originario non impugnato.
Non vale il ragionamento di parte appellante, che
sostiene che la comunicazione del febbraio 2010
avrebbe portata differente da quella del settembre
2009, in quanto riguarderebbe la situazione abusiva
in essere in quel momento.
Infatti, l’ordinanza precedente ordina il ripristino
dello stato legittimo, vietando la rioccupazione
senza rilascio di un nuovo certificato di agibilità;
la esigenza di munirsi del certificato di agibilità
non può intendersi limitato alla sola fase anteriore
al ripristino dell’abuso, in quanto la normativa
generale pretende –senza distinzioni- la conformità
dell’immobile alla normativa edilizia.
Ai sensi dell'art. 24, comma 1, t.u. 06.06.2001 n.
380 il certificato di agibilità attesta la
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene,
salubrità, ma tale accertamento fa proprio anche
l'integrale conformità delle opere realizzate al
progetto approvato come attestato dalla licenza di
abitabilità.
Al tempo stesso l'accertamento della piena
conformità dei manufatti alle norme
urbanistico-edilizie ed alle prescrizioni del
permesso di costruire, nonché alle disposizioni di
convenzione urbanistica, costituisce il presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del
certificato di agibilità (tra tante, Consiglio di
Stato sez. IV, 24.10.2012, n. 5450) (massima tratta
da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.11.2013 n. 5523 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La consegna del certificato di abitabilità dell’immobile
oggetto del contratto, ove questo sia un appartamento da
adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sé
condizione di validità della compravendita, integra
un’obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell’art.
1477 c.c., attenendo ad un requisito essenziale della cosa
venduta, in quanto incidente sulla possibilità di adibire
legittimamente la stessa all’uso contrattualmente previsto.
1. La consegna del certificato di abitabilità
dell’immobile oggetto del contratto, ove questo sia un
appartamento da adibire ad abitazione, pur non costituendo
di per sé condizione di validità della compravendita,
integra un’obbligazione incombente sul venditore ai sensi
dell’art. 1477 c.c., attenendo ad un requisito essenziale
della cosa venduta, in quanto incidente sulla possibilità di
adibire legittimamente la stessa all’uso contrattualmente
previsto
2. Nella vendita di immobili destinati ad abitazione, la
licenza di abitabilità è un elemento che caratterizza il
bene in relazione alla sua capacità di assolvere la
determinata funzione economico-sociale negoziata, e, quindi,
di soddisfare i concreti bisogni che hanno indotto il
compratore ad effettuare l’acquisto.
Pertanto, la mancata consegna del certificato di abitabilità
implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare
necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può
comunque essere fonte di un danno risarcibile, configurabile
anche nel solo fatto di aver ricevuto un bene che presenta
problemi di commerciabilità, essendo al riguardo irrilevante
la concreta utilizzazione ad uso abitativo da parte dei
precedenti proprietari
2.1. – Il motivo è fondato.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che
la consegna del certificato di abitabilità
dell’immobile oggetto del contratto, ove
questo sia un appartamento da adibire ad
abitazione, pur non costituendo di per sé
condizione di validità della compravendita,
integra un’obbligazione incombente sul
venditore ai sensi dell’art. 1477 c.c.,
attenendo ad un requisito essenziale della
cosa venduta, in quanto incidente sulla
possibilità di adibire legittimamente la
stessa all’uso contrattualmente previsto
(così, Cass. n. 16216/2008, la quale,
applicando detto principio, ha confermato la
sentenza dei giudici di merito che, tenuto
conto che non era stato stipulato l’atto
definitivo di compravendita, non essendo
stato ancora ottenuto dal costruttore il
certificato di abitabilità, avevano ritenuto
giustificata la sospensione da parte del
promittente acquirente del pagamento dei
ratei di mutuo, quale legittimo esercizio
della facoltà di autotutela di cui all’art.
1460 c.c.).
Ne deriva che nella vendita di immobili
destinati ad abitazione, la licenza di
abitabilità è un elemento che caratterizza
il bene in relazione alla sua capacità di
assolvere la determinata funzione
economico-sociale negoziata, e, quindi, di
soddisfare i concreti bisogni che hanno
indotto il compratore ad effettuare
l’acquisto. Pertanto, la mancata consegna
del certificato di abitabilità implica un
inadempimento che, sebbene non sia tale da
dare necessariamente luogo a risoluzione del
contratto, può comunque essere fonte di un
danno risarcibile, configurabile anche nel
solo fatto di aver ricevuto un bene che
presenta problemi di commerciabilità,
essendo al riguardo irrilevante la concreta
utilizzazione ad uso abitativo da parte dei
precedenti proprietari (cfr. Cass. n.
9253/2006).
2.1.1. – La Corte territoriale ha disatteso
tale indirizzo, e nell’escludere il danno
emergente per la conformità del costruito al
consentito, non ha tenuto conto che sul
venditore-costruttore incombe l’obbligo non
solo di trasferire all’acquirente un
fabbricato conforme all’atto amministrativo
d’assenso della costruzione e, dunque,
idoneo ad ottenere l’agibilità prevista, ma
anche di consegnargli il relativo
certificato. I giudici d’appello, in altri
termini, non hanno considerato che il
venditore-costruttore deve curare la
richiesta e sostenere le spese necessarie a
conseguire il certificato di agibilità, e
che il non averlo fatto costituisce un
inadempimento ex se foriero di danno
emergente, perché costringe l’acquirente a
provvedere in proprio ovvero a ritenere
l’immobile tal quale, cioè con un valore di
scambio inferiore a quello che esso
diversamente avrebbe, a prescindere dalla
circostanza che il bene sia alienato o
comunque destinato all’alienazione a terzi.
3. – Per quanto sopra, la sentenza impugnata
va cassata in relazione al motivo accolto
con rinvio ad altra sezione della Corte
d’appello di Catania, che nel decidere il
merito si atterrà al seguente principio di
diritto: “il venditore-costruttore di un
bene immobile ha l’obbligo non solo di
trasferire all’acquirente un fabbricato
conforme all’atto amministrativo d’assenso
della costruzione e, dunque, idoneo ad
ottenere l’agibilità prevista, ma anche di
consegnargli il relativo certificato,
curandone la richiesta e sostenendo le spese
necessarie al rilascio. L’inadempimento di
quest’ultima obbligazione è ex se foriero di
danno emergente, perché costringe
l’acquirente a provvedere in proprio ovvero
a ritenere l’immobile tal quale, cioè con un
valore di scambio inferiore a quello che
esso diversamente avrebbe, a prescindere
dalla circostanza che il bene sia alienato o
comunque destinato all’alienazione a terzi” (Corte
di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 11.10.2013 n. 23157 -
link a http://renatodisa.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Venditore-costruttore di un immobile - Assenza
del certificato di agibilità - Inadempimento - Risarcimento
del danno emergente.
Il venditore-costruttore di un bene immobile ha l'obbligo
non solo di trasferire all'acquirente un fabbricato conforme
all'atto amministrativo d'assenso della costruzione e,
dunque, idoneo ad ottenere l'agibilità prevista, ma anche di
consegnargli il relativo certificato, curandone la richiesta
e sostenendo le spese necessarie al rilascio.
L'inadempimento di quest'ultima obbligazione è ex se
foriero di danno emergente, perché costringe l'acquirente a
provvedere in proprio ovvero a ritenere l'immobile tal
quale, cioè con un valore di scambio inferiore a quello che
esso diversamente avrebbe, a prescindere dalla circostanza
che il bene sia alienato o comunque destinato
all'alienazione a terzi".
Vendita di immobile destinato ad
abitazione - Mancanza del certificato di agibilità -
Risarcimento del danno.
Nel caso di vendita di immobile destinato ad abitazione, la
mancanza del certificato di agibilità configura un'ipotesi
di vendita aliud pro alio, che incide sull'attitudine
del bene ad assolvere la sua funzione economico-sociale e
sulla relativa commerciabilità, di guisa che anche nel caso
in cui il mancato rilascio dipenda da inerzia del Comune, il
venditore è tenuto al risarcimento del danno.
Certificato di abitabilità - Assenza -
Inadempimento - Sospensione da parte del promittente
acquirente del pagamento - Artt. 1460 e 1477 c.c..
La consegna del certificato di abitabilità dell'immobile
oggetto del contratto, ove questo sia un appartamento da
adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sé
condizione di validità della compravendita, integra
un'obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell'art.
1477 c.c., attenendo ad un requisito essenziale della cosa
venduta, in quanto incidente sulla possibilità di adibire
legittimamente la stessa all'uso contrattualmente previsto
(Cass. n. 16216/2008, la quale, applicando detto principio,
ha confermato la sentenza dei giudici di merito che, tenuto
conto che non era stato stipulato l'atto definitivo di
compravendita, non essendo stato ancora ottenuto dal
costruttore il certificato di abitabilità, avevano ritenuto
giustificata la sospensione da parte del promittente
acquirente del pagamento dei ratei di mutuo, quale legittimo
esercizio della facoltà di autotutela di cui all'art. 1460
c.c.).
Ne deriva che nella vendita di immobili destinati ad
abitazione, la licenza di abitabilità è un elemento che
caratterizza il bene in relazione alla sua capacità di
assolvere la determinata funzione economico-sociale
negoziata, e, quindi, di soddisfare i concreti bisogni che
hanno indotto il compratore ad effettuare l'acquisto.
Pertanto, la mancata consegna del certificato di abitabilità
implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare
necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può
comunque essere fonte di un danno risarcibile, configurabile
anche nel solo fatto di aver ricevuto un bene che presenta
problemi di commerciabilità, essendo al riguardo irrilevante
la concreta utilizzazione ad uso abitativo da parte dei
precedenti proprietari (Cass. n. 9253/2006) (Corte
di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 11.10.2013 n. 23157 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - VARI: Transazioni.
Quando manca il documento di agibilità possibile sospendere
i pagamenti.
Indennizzo se non c'è il certificato.
Venditori e acquirenti si fronteggiano quando manca il
certificato di agibilità, ma prevalgono questi ultimi.
È la conclusione cui giunge la Corte di Cassazione, Sez. II
civile, con la
sentenza
11.10.2013 n.
23157, che ha esaminato il caso di un'abitazione
carente del certificato di agibilità. La consegna del
certificato, pur non costituendo una condizione di validità
della compravendita, è un obbligo del venditore, perché
dimostra un requisito essenziale della cosa venduta. Per
questo motivo, se il contratto non è stato ancora concluso,
chi ha promesso di comprare può sospendere il pagamento.
Se
invece la vendita è avvenuta, il certificato di agibilità è
un elemento che dimostra la capacità del bene di soddisfare
l'esigenza abitativa. Da ciò deriva che la mancata consegna
del certificato genera un inadempimento che può essere fonte
di un danno risarcibile. Se infatti l'unità immobiliare può
ottenere l'agibilità ma, per vari motivi (inerzia del
Comune, lieve difformità) il certificato manca, non
necessariamente vi è risoluzione del contratto perché il
venditore può dimostrare l'agevole ottenimento del
certificato stesso.
Tuttavia, anche se il contratto di
compravendita non si risolve, c'è comunque un danno
risarcibile perché sussistono problemi di commerciabilità e
si costringe l'acquirente a provvedere in proprio a tutte le
spese necessarie a conseguire il certificato predetto. In
ogni caso, l'unità priva di certificato di agibilità ha un
valore di scambio inferiore a quello che avrebbe se fosse
corredato dal documento specifico. Sul venditore grava
quindi l'onere non solo di trasferire un fabbricato conforme
all'atto amministrativo e quindi idoneo a ottenere
l'agibilità, ma anche di consegnare il relativo documento.
Questo principio mantiene validità anche all'indomani delle
norme del decreto del fare, che snelliscono il rilascio del
certificato: l'articolo 30 del decreto legge 69/2013 prevede
che l'agibilità possa essere ottenuta per singoli edifici
purché vi sia l'urbanizzazione primaria e i collaudi degli
impianti relativi alle parti comuni; anche singole unità
possono ottenere l'agibilità se hanno opere strutturali
completate e collaudate, impianti certificati e
urbanizzazione primaria funzionale all'edificio già
completata.
Il principio espresso dalla Cassazione resta comunque valido
in quanto riguarda l'agibilità finale, cioè quella
successiva e globale rispetto all'agibilità parziale, che è
agevolata dal decreto legge 69/2013 ma non sostituisce
l'agibilità complessiva finale
(articolo Il Sole 24 Ore del 12.10.2013).
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MASSIMA
1. La consegna del
certificato di abitabilità dell'immobile
oggetto del contratto, ove questo sia un
appartamento da adibire ad abitazione, pur
non costituendo di per sé condizione di
validità della compravendita, integra
un'obbligazione incombente sul venditore ai
sensi dell'art. 1477 c.c., attenendo ad un
requisito essenziale della cosa venduta, in
quanto incidente sulla possibilità di
adibire legittimamente la stessa all'uso
contrattualmente previsto
2. Nella vendita di immobili destinati ad
abitazione, la licenza di abitabilità è un
elemento che caratterizza il bene in
relazione alla sua capacità di assolvere la
determinata funzione economico-sociale
negoziata, e, quindi, di soddisfare i
concreti bisogni che hanno indotto il
compratore ad effettuare l'acquisto.
Pertanto, la mancata consegna del
certificato di abitabilità implica un
inadempimento che, sebbene non sia tale da
dare necessariamente luogo a risoluzione del
contratto, può comunque essere fonte di un
danno risarcibile, configurabile anche nel
solo fatto di aver ricevuto un bene che
presenta problemi di commerciabilità,
essendo al riguardo irrilevante la concreta
utilizzazione ad uso abitativo da parte dei
precedenti proprietari. |
EDILIZIA PRIVATA:
La conformità dei
manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce un
presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del
certificato di agibilità, atteso che "ancor prima della
logica giuridica è d'altronde la ragionevolezza ad escludere
che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un
fabbricato non conforme alla normativa urbanistico-edilizia
e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del
fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella
disciplina è preordinata".
Ai sensi dell’art. 24 del d.P.R. n. 380/2001: “1. Il
certificato di agibilità attesta la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, valutate secondo quanto dispone la normativa
vigente”.
Il successivo art. 25 disciplina il procedimento di rilascio
del certificato di agibilità, ponendo precise scansioni
temporali e individuando con altrettanta precisione gli
adempimenti posti a carico del richiedente e quelli gravanti
sul responsabile del procedimento.
Infine, per qual che qui rileva, l’art. 36 dello stesso
decreto, occupandosi dei presupposti per il rilascio del cd.
permesso in sanatoria o “accertamento di conformità”,
prevede al comma secondo che: “Il rilascio del permesso
in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di
oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia,
ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari
a quella prevista dall'articolo 16.”.
Da quanto suesposto si ricava agevolmente come, la
conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie
costituisca un presupposto indispensabile per il legittimo
rilascio del certificato di agibilità, atteso che "ancor
prima della logica giuridica è d'altronde la ragionevolezza
ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi
destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa
urbanistico-edilizia e, come tale, in potenziale contrasto
con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui
protezione quella disciplina è preordinata" (cfr.
C.d.S., sez. V, 30.04.2009, n. 2760; TAR Campania, Napoli,
Sez. II, Sent. 21.02.2013, n. 969).
Nel caso in esame, tale conformità urbanistico–edilizia del
manufatto rispetto al quale il Comune ha denegato il
rilascio del certificato di agibilità risulta per tabulas,
avendo lo stesso Comune adottato il provvedimento prot. n.
4420 del 18.06.2012 avente ad oggetto “accoglimento
dell’accertamento di conformità edilizia pratica n. 5/2011”.
La circostanza che tale provvedimento subordini il rilascio
del titolo al pagamento delle sanzioni pecuniarie ivi
determinate e che la ricorrente abbia impugnato tale
condizione sul presupposto, poi rivelatosi infondato (cfr.
la decisione assunta all’odierna camera di consiglio in
relazione al ricorso n. 2496/2012) dell’illegittimità delle
sanzioni applicate, non fa venire meno l’esistenza
dell’accertamento di conformità urbanistico-edilizia ivi
contenuto.
Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche tenendo conto
della sospensiva accordata alla ricorrente in sede
cautelare, sempre in relazione al ricorso n. 1789/2012,
dapprima da questo Tribunale, limitatamente al 50%
dell’importo delle sanzioni irrogate col provvedimento di
accertamento di conformità, indi dal Consiglio di Stato, in
relazione all’intero importo delle sanzioni irrogate.
La sospensione in parola non può che concernere soltanto le
sanzioni (effettivo thema decidendum del ricorso n.
1789/2012) lasciando inalterato l’accertamento di conformità
urbanistico–edilizio contenuto nel provvedimento ex art. 36
d.P.R. n. 380/2001 cit., che di per sé è sufficiente ad
integrare il presupposto poc’anzi tratteggiato del
certificato di agibilità, ai sensi della su riportata
normativa.
Dalle suesposte considerazioni consegue, al di là
dell’infondatezza del primo motivo di ricorso, la fondatezza
del secondo motivo, poiché il Comune ha illegittimamente
negato il rilascio del certificato sull’erroneo presupposto
della sospensione dell’accertamento di conformità, atteso
che la sospensione in parola ha riguardato soltanto
l’importo delle sanzioni –sub iudice nella causa n.
1789/2012 r.g., chiamata anch’essa all’odierna udienza– e
non anche l’accertamento di conformità (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 11.10.2013 n. 2279 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La Scia non dribbla la verifica d'agibilità.
La verifica dell'agibilità di un locale destinato al
trattenimento, anche se capace di accogliere meno di 200
persone, non può essere sostituita da una Scia e
l'intervenuta abrogazione dell'art. 124 del regolamento al
Tulps, disposta dal dl 5/2012, non fa venir meno gli
obblighi in materia di sicurezza per bar e ristoranti che
organizzano spettacoli.
Lo dice il ministero dell'interno nella circolare prot. 557/Pas/u/
003524/13500.A (8) del 2013 diffusa dalla prefettura di
Ravenna con nota n. 2013/2013.
Presupposto della Scia è la natura vincolata dell'atto
autorizzativo sostituito, subordinatamente all'accertamento
positivo dei requisiti di legge; e poiché il parere della
commissione di vigilanza presuppone l'esercizio di una
discrezionalità tecnica con un contenuto più ampio di una
mera verifica del rispetto delle norme vigenti in materia di
sicurezza, l'agibilità deve essere formalmente accertata.
Non sempre, peraltro, ha aggiunto il ministero, ogni
spettacolo o trattenimento musicale o danzante svolto in un
pubblico esercizio è soggetto agli art., 68, 69 e 80 Tulps.
Sono esenti, infatti, gli spettacoli e i trattenimenti
organizzati occasionalmente o per specifiche ricorrenze,
sempreché rappresentino un'attività. Poco è cambiato quindi
dopo l'abrogazione dell'art. 124 del rd 635/1940. Perché il
legislatore non ha fatto altro che sancire a livello
normativo il principio già ricavato dal dicastero a livello
interpretativo.
In sostanza nessun obbligo per l'esercente quando il
trattenimento è funzionale all'attività commerciale ed è
lecito che l'esercente attui una maggiore attrattiva sul
pubblico, ma senza quella specifica imprenditorialità nel
campo dell'intrattenimento e dello spettacolo che farebbe,
invece, scattare l'obbligo del rispetto delle specifiche
norme
(tratto da ItaliaOggi del
17.08.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: Sopraelevazione, cambio d'uso e sfruttamento
delle volumetrie residue tra gli effetti della norma per le
città.
La ricostruzione perde i vincoli.
Con il decreto «del fare» sostituzione edilizia anche senza
rispetto della sagoma.
Con l'eliminazione del vincolo di rispettare la sagoma negli
interventi di demolizione e ricostruzione del patrimonio
edilizio esistente per effetto del Dl 69/2013 (decreto "del
fare") si potrà rimodellare profondamente la conformazione
delle città, superando gli indici di edificabilità assegnati
dai piani regolatori alla sola condizione di non aumentare
la volumetria preesistente.
Secondo il Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001) gli
interventi di ristrutturazione edilizia consistono nelle
opere rivolte a trasformare gli organismi edilizi «mediante
un insieme sistematico di opere che possono portare ad un
edificio in tutto o in parte diverso dal precedente». Questi
interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di
alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione,
la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Nella ristrutturazione edilizia è compresa anche la
demolizione e ricostruzione. Mentre la possibilità di
modificare la sagoma era già riconosciuta dal Testo unico
per le opere che non comportano la demolizione integrale, il
decreto "del fare" consentirà di modificare la sagoma anche
nelle operazioni di demolizione e ricostruzione.
Le possibilità di intervento
La norma entra in vigore con la legge di conversione del
decreto, quindi al più tardi il 21 agosto. A breve sarà
possibile, ad esempio, trasformare un'autorimessa composta
da più piani interrati (a cui il titolo edilizio originario
riconosceva la permanenza di persone per lo svolgimento di
attività lavorative), in una palazzina che trasferisce la
volumetria nel soprassuolo (aumentando l'altezza
dell'edificio preesistente o erigendo ex novo sull'area
sovrastante), collocando nel sottosuolo i parcheggi senza
permanenza di persone.
Il caso può apparire irragionevole, ma corrisponde alla
realtà di diversi interventi realizzati in Lombardia durante
la vigenza dell'articolo 27, comma 1, lettera d), della
legge regionale 12/2005, che per primo aveva eliminato
l'obbligo del rispetto della sagoma negli interventi di
demolizione e ricostruzione. La norma era stata annullata
dalla sentenza della Corte Costituzionale 309/2011 per il
contrasto con il principio fondamentale contenuto nella
definizione di ristrutturazione del Testo unico
sull'edilizia. Ma la definizione ora è stata riscritta nei
termini citati eliminando così il vizio di
incostituzionalità.
Senza giungere al caso limite appena illustrato, si deve
rimarcare che il solo vincolo del rispetto della volumetria
consentirà agli interventi di demolizione e ricostruzione
infedele di superare l'indice edilizio (generalmente
espresso dal rapporto tra la volumetria o superficie
edificabile e la superficie dell'area di intervento)
assegnato dallo strumento urbanistico comunale, tutte le
volte in cui esso sia inferiore alla volumetria esistente.
Questo è un caso molto frequente nei tessuti consolidati
delle nostre città, dove gli edifici sono stati costruiti
ben prima dell'approvazione del primo piano regolatore (che
ha poi imposto indici inferiori all'esistente), se non prima
della stessa legge urbanistica nazionale del 1942.
Appaiono evidenti le positive implicazioni per la
rigenerazione dello stock edilizio italiano il cui valore,
in ragione del riconosciuto degrado, è da attribuirsi quasi
esclusivamente alla localizzazione e alla volumetria
espressa.
Ma vi è una seconda novità non meno importante introdotta
dal decreto: potranno mantenere la volumetria esistente
senza vincolo di sagoma anche «gli interventi rivolti al
ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione purché
sia possibile accertarne la preesistente consistenza». Per
questa via, di cui non risultano precedenti nella
legislazione regionale, si potrà porre rimedio alle ferite
inferte alle nostre città da sinistri, calamità naturali ed
eventi bellici.
Gli edifici vincolati
Un'ultima notazione, critica, merita la previsione che
continua ad imporre il rispetto della sagoma agli immobili
sottoposti a vincoli. Il decreto non considera che la difesa
dei valori culturali riconosciuti dal vincolo è assicurata
dalla necessaria e preventiva autorizzazione che deve essere
rilasciata dagli organi tutori (su tutti le soprintendenze).
Per salvaguardare i beni vincolati resta ferma anche la
possibilità che il Prg inibisca gli interventi di
demolizione e ricostruzione infedele in determinate aree o
zone urbanistiche.
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Semplificazioni. Raccolta pareri centralizzata.
Allo sportello unico le autorizzazioni per la Scia e la Cia.
Prosegue il percorso legislativo finalizzato a perfezionare
la Segnalazione certificata di inizio attività (Scia) in
materia edilizia. Il decreto "del fare" (Dl 69/2013)
interviene direttamente sul Testo unico in materia edilizia,
inserendo un nuovo articolo (articolo 23-bis), che ha ad
oggetto le autorizzazioni preliminari alla Scia e alla
comunicazione di inizio lavori (Cia) in materia edilizia.
La norma prevede che l'interessato a realizzare opere
edilizie soggette a Scia o Cia, prima della presentazione
della segnalazione stessa, possa richiedere allo sportello
unico comunale per l'edilizia di acquisire tutti gli atti di
assenso necessari per realizzare l'intervento. A fronte
della richiesta, lo sportello dovrà ottenere gli atti dagli
uffici competenti e comunicarne l'avvenuta acquisizione. Se
non sono acquisiti entro 60 giorni dalla domanda, lo
sportello unico deve, invece, convocare una conferenza di
servizi tra le amministrazioni competenti.
La Scia è stata introdotta dalla legge 122/2010 che ha
sostituito l'articolo 19 della legge 07.08.1990, n. 241,
norma che originariamente regolava la denuncia di inizio
attività (Dia). La disposizione ha poi subito ulteriori
modifiche e correzioni, in buona parte dirette a regolare
l'applicazione al settore dell'edilizia.
Con l'ultima precisazione introdotta dal decreto legge
69/2013, a partire dal 22 giugno scorso vengono meno i dubbi
sorti sull'individuazione del soggetto tenuto ad acquisire
le autorizzazioni inerenti ai vincoli ambientali,
paesaggistici, culturali o previsti dalla normativa per le
costruzioni in zone sismiche, la conformità ai quali non è
autocertificabile mediante Scia: su richiesta
dell'interessato, l'onere ricade in capo allo sportello
unico.
Il tenore letterale della disposizione, peraltro, non pare
escludere che l'interessato possa richiedere la formale
acquisizione di atti di assenso che sarebbero comunque
sostituibili mediante Scia. La norma così interpretata
potrebbe rivelarsi utile nei casi in cui sussistano margini
di incertezza rispetto alla conformità del progetto a
specifiche normative.
Il Dl 69 introduce, infine, un'importante previsione a
tutela delle zone omogenee A del Dm 1444/1968, ossia delle
parti del territorio interessate da agglomerati a carattere
storico, artistico e di particolare pregio ambientale: in
tali zone (di fatto i centri storici) gli interventi e le
varianti a permessi di costruire attuabili mediante Scia e
che comportano modifiche alla sagoma dell'edificio
preesistente o già assentito non potranno avere inizio prima
di 20 giorni dalla data di presentazione della segnalazione.
La disposizione se, da un lato, consente una maggior tutela
dei centri storici, dall'altro incide parzialmente sulla
natura della Scia che, in effetti, si distingue dalla Dia e
dal permesso di costruire in particolare per la possibilità
di avviare i lavori immediatamente. Una breve attesa è, in
ogni caso, un sacrificio accettabile se rivolto, come pare,
a tutelare i beni di pregio del patrimonio edilizio
esistente.
---------------
Procedure. Il titolo di livello «parziale».
Sull'agibilità spazio ai professionisti.
L'AUTOCERTIFICAZIONE/
I tecnici abilitati potranno dichiarare l'esistenza dei
requisiti per il rilascio del certificato al posto del
Comune.
Nessun dubbio sulla possibilità di rilasciare certificati di
agibilità parziali. Inoltre i professionisti abilitati
potranno autocertificare i requisiti di agibilità. Il
decreto "del fare" ha introdotto rilevanti novità anche in
materia di agibilità.
Il legislatore ha sancito la possibilità di rilascio
dell'agibilità parziale delle costruzioni. L'istituto, in
realtà, era già in uso nella prassi anche a seguito di
alcuni interventi interpretativi resi da parte della
giurisprudenza amministrativa (Tar Lombardia-Milano,
Sezione II, sentenza n. 332/2010).
Ma in assenza di un dato normativo esplicito, alcune
amministrazioni comunali hanno, tuttavia, continuato a
negare la possibilità di certificazione parziale. Il decreto
"del fare" fuga ora ogni dubbio in merito, subordinando però
l'agibilità parziale a puntuali condizioni.
In forza delle nuove disposizioni (articolo 30 del Dl
69/2013), il certificato di agibilità potrà essere richiesto
anche per singoli edifici o singole porzioni della
costruzione, purché funzionalmente autonomi.
La richiesta risulterà accoglibile se sono state realizzate
e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative
all'intero intervento edilizio e sono state completate le
parti comuni relative al singolo edificio o alla singola
porzione della costruzione.
L'istanza può anche avere ad oggetto singole unità
immobiliari, purché siano state completate le opere
strutturali, gli impianti e le parti comuni e a condizione
che le opere di urbanizzazione primaria siano state ultimate
o dichiarate funzionali rispetto all'edificio oggetto di
agibilità parziale.
Il decreto, nondimeno, prevede che il rilascio delle
agibilità parziali incida direttamente sulla durata dei
titoli edilizi: nei casi di rilascio di agibilità parziale,
prima della scadenza del termine di fine lavori dettato dal
titolo, il termine stesso è infatti prorogato per una sola
volta per tre anni.
Non solo. La precedente formulazione del Testo unico in
materia edilizia (Dpr 380/2001) prevedeva che l'agibilità
degli edifici potesse essere acquisita esclusivamente
attraverso il rilascio espresso del certificato da parte
dell'amministrazione ovvero mediante silenzio-assenso.
L'autocertificazione circa l'agibilità dell'edificio da
parte di un professionista abilitato era, infatti,
contemplata esclusivamente riguardo alle attività produttive
(Dpr 07.09.2010, n. 160) e da parte di alcune
specifiche normative regionali (ad esempio articolo 86,
legge regionale Toscana n. 1/2005).
Ebbene, il decreto, modificando l'articolo 25 del Testo
unico, estende ora questa facoltà a tutte le costruzioni.
L'interessato, in luogo dell'ordinaria domanda di rilascio
del certificato di agibilità, potrà presentare una
dichiarazione del direttore dei lavori o, qualora questi non
sia stato nominato, di un professionista abilitato, con la
quale si attesti l'agibilità dell'opera e la sua conformità
al progetto.
L'autodichiarazione, salvo diversa indicazione da parte
delle Regioni –che dovranno anche prevedere norme attuative
e per l'effettuazione dei controlli– non potrà però essere
utilizzata riguardo alle agibilità parziali (articolo Il Sole 24 Ore
dell'01.07.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
DECRETO DEL FARE/ Eliminati i vincoli burocratici per le
ristrutturazioni e per richiedere l'agibilità al comune.
Edilizia, meno lacci e lacciuoli.
Meno vincoli burocratici per le ristrutturazioni e per
richiedere l'agibilità al comune. Questo significa avere più
margine di azione per interventi edilizi sull'esistente e
vendite più veloci degli appartamenti finiti.
Il decreto del
Fare ritocca il Testo unico per l'edilizia (dpr 380/2001)
con novità favorevoli per le imprese. Tra cui anche
l'attribuzione alla p.a. del compito di recuperare i pareri
necessari per le segnalazioni certificate di inizio attività
(Scia) e di comunicazione per l'attività edilizia libera.
Vediamo dunque le disposizioni in materia di costruzioni.
Pareri a cura dello sportello unico. Viene attribuito allo
Sportello unico per l'edilizia il compito di acquisire i
pareri anche prima della presentazione della Scia. La norma
cambia nel senso che viene esteso a tutti i titoli edilizi
la possibilità di delegare all'amministrazione le incombenze
burocratiche di reperimento dei nulla osta.
Il Testo unico per l'edilizia non disciplina l'acquisizione,
da parte dello Sportello unico per l'edilizia (Sue), degli
atti di assenso presupposti all'inizio dei lavori nel caso
in cui l'intervento edilizio sia soggetto alla presentazione
della comunicazione di inizio lavori di attività edilizia
libera o della Scia edilizia. Il decreto estende la
disciplina prevista oggi solo per il permesso di costruire.
Il provvedimento, infatti, dispone che l'interessato possa,
prima di presentare la comunicazione o la Scia, richiedere
allo Sportello unico l'acquisizione di tutti gli atti di
assenso necessari per l'intervento edilizio. Lo Sportello si
deve attivare, come nel caso di richiesta di permesso di
costruire: se non sono rilasciati gli atti di assenso delle
altre amministrazioni pubbliche, o è intervenuto il dissenso
di una o più amministrazioni interpellate, il responsabile
dello Sportello unico indice la conferenza di servizi per
acquisirli.
Se, poi, l'istanza di acquisizione di tutti gli atti di
assenso è contestuale alla segnalazione certificata di
inizio attività, l'interessato potrà dare inizio ai lavori
solo dopo la comunicazione da parte dello Sportello unico
dell'avvenuta acquisizione degli atti di assenso o
dell'esito positivo della conferenza di servizi. Le novità
si applicano anche alla comunicazione dell'inizio dei lavori
per l'attività edilizia libera, qualora siano necessari atti
di assenso per la realizzazione dell'intervento edilizio.
Peraltro nei centri storici per gli interventi o le varianti
a permessi di costruire ai quali è applicabile la
segnalazione certificata d'inizio attività con modifiche
della sagoma rispetto all'edificio preesistente o già
assentito, i lavori non possono in ogni caso avere inizio
prima che siano decorsi venti giorni dalla data di
presentazione della segnalazione.
La delega alla p.a. di acquisire i pareri alleggerirà gli
oneri amministrativi per le imprese.
Termine lavori. Il decreto allunga di due anni i termini di
inizio e ultimazione dei lavori autorizzati con permesso di
costruire, Dia o Scia alla data di entrata in vigore della
norma. Il termine iniziale per l'avvio dei lavori
autorizzati con permesso di costruire è di un anno dal
rilascio del permesso, mentre, per ultimare l'opera, il
termine è fissato a tre anni dall'inizio dei lavori. I
lavori avviati dopo la presentazione di Dia o Scia edilizia
devono essere anch'essi ultimati entro tre anni. Questi
termini si allungano di un biennio, previa comunicazione del
soggetto interessato. Poiché la proroga è automatica, il
decreto consente di proseguire nei lavori senza necessità di
passare dall'ufficio tecnico comunale. Le imprese, quindi,
risparmiano il tempo e i costo di una pratica edilizia.
Senza contare che la proroga di legge impedisce di accertare
abusi edilizi per gli interventi realizzati dopo la scadenza
del termine iniziale.
Ricostruzione e ristrutturazione edilizia. Per il Testo
unico dell'edilizia costituiscono «interventi di
ristrutturazione edilizia» anche gli interventi che
consistono «nella demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente». Il decreto
elimina il requisito della medesima sagoma e, quindi, sono
ristrutturazioni edilizie anche gli interventi di
ricostruzione di un edificio con il medesimo volume
dell'edificio demolito, ma anche con sagoma diversa dal
precedente.
Costituiscono, quindi, ristrutturazione gli
interventi edilizi volti al ripristino di edifici, o parti
di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la
loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la
preesistente consistenza. Conseguenza della modifica è che
la modifica della sagoma non è rilevante ai fini della
individuazione del permesso di costruire come titolo
abilitativo necessario (eliminazione del riferimento
contenuto nell'articolo 10, comma 1, lettera c) del Testo
unico per l'edilizia).
Con una eccezione. Con riferimento agli immobili sottoposti
a vincoli, gli interventi di demolizione e ricostruzione e
gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti
costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia
soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio
preesistente.
---------------
Certificato anche per le singole unità.
Il decreto modifica la disciplina del certificato di
agibilità, consentendone la richiesta anche per singoli
edifici o singole porzioni di uno stesso stabile. Questo a
condizione che le unità siano funzionalmente autonome, e
sempre che siano state realizzate e collaudate le opere di
urbanizzazione primaria relative all'intero intervento
edilizio e siano state completate le parti comuni relative
al singolo edificio o singola porzione della costruzione.
L'agibilità parziale potrà essere richiesta anche per
singole unità immobiliari.
Nei casi di rilascio del
certificato di agibilità parziale prima della scadenza del
termine entro il quale l'opera deve essere completata, lo
stesso è prorogato per una sola volta di tre anni. Viene,
inoltre, individuato un procedimento alternativo alla
richiesta di agibilità. Se l'interessato non propone domanda
deve presentare la dichiarazione del direttore dei lavori o,
qualora non nominato, di un professionista abilitato, con la
quale si attesta la conformità dell'opera al progetto
presentato e la sua agibilità e allegare la richiesta di
accatastamento dell'edificio e la dichiarazione dell'impresa
installatrice di conformità degli impianti.
Attività edilizia libera. Una dichiarazione in meno per la
comunicazione di inizio lavori. Il Testo unico per
l'edilizia prevede per l'attività edilizia libera l'invio di
una comunicazione dell'inizio dei lavori, a cui deve essere
allegata una relazione asseverata firmata da un tecnico
abilitato, che dichiari di non avere rapporti di dipendenza
con l'impresa né con il committente. Il decreto dispone di
eliminare tale dichiarazione da parte del tecnico abilitato.
Vincoli ambientali. Si passa dal silenzio-rifiuto al
silenzio-rigetto, immediatamente impugnabile. Secondo il
Testo unico per l'edilizia (dpr 380/2001), nel caso in cui
manchi un atto di assenso per vincolo ambientale,
paesaggistico e culturale, si viene a formare il silenzio
rifiuto. Il dl modifica il procedimento in caso di immobili
vincolati. Se l'assenso dell'autorità preposta al vincolo è
favorevole, il comune sarà tenuto a concludere il
procedimento di rilascio del permesso di costruire con un
provvedimento espresso e motivato. Se l'atto di assenso
viene negato, decorso il termine per il rilascio del
permesso di costruire, questo si intenderà respinto (articolo ItaliaOggi Sette del
24.06.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: Da
tempo sono stati messi in rilievo principi -da pacifica e
datata giurisprudenza- che evidenziano il carattere
permanente dell’illecito edilizio e come l’interesse
pubblico alla repressione dell’abuso risieda nella stessa
natura del provvedimento repressivo, essendo, come suol
dirsi, “in re ipsa”.
L’applicazione dei due principi preclude che possano aver
rilievo, rispettivamente, il lungo lasso di tempo trascorso
tra l’epoca dell’abuso e la data del provvedimento
repressivo e, sul fronte della posizione incisa, che detto
arco temporale obblighi l’Amministrazione a valutare un
eventuale affidamento nel frattempo ingeneratosi nel
responsabile dell’abuso.
A quest’ultimo riguardo deve peraltro osservarsi che
l’affidamento può assumere rilevanza, originando la
necessità di un più intenso onere di motivazione, solo in
presenza di atti o comportamenti dell’amministrazione dai
quali esso possa effettivamente ed attendibilmente trarre
fonte. Ma tali elementi non è dato nella fattispecie
riconoscere, nemmeno nel certificato di agibilità che, lungi
dal legittimare l’abuso, altro non è che l’attestazione che
quanto realizzato non è pericoloso sotto il profilo
dell’accesso delle persone.
Né, al fine di dimostrare la legittimità dell’intervento (e
quindi l’illegittimità della sua demolizione), può
utilizzarsi la disposizione di legge che individua nella
necessaria conformità dei manufatti alle norme
urbanistico-edilizie, il presupposto indispensabile per il
legittimo rilascio del suddetto certificato (art. 24, comma
3, del D.P.R. n. 380/2001 per cui il soggetto titolare del
permesso di costruire è tenuto a chiedere il certificato di
agibilità).
Si tratta di una interpretazione del tutto rovesciata della
cennata prescrizione giuridica, la cui corretta lettura
conferma che il certificato è illegittimo se rilasciato in
assenza della accertata conformità dell’intervento
realizzato rispetto a quello assentito e non può quindi in
alcun modo legittimarlo.
L’appello del Comune di Lanciano, che avversa dette
motivazioni, è fondato.
Il gravame evidenzia in materia principi che da tempo sono
stati messi in rilievo da pacifica e datata giurisprudenza e
che pongono in rilievo anzitutto il carattere permanente
dell’illecito edilizio (cfr. ex multis, Cons. di
Stato, sez. V, n. 2544/2000) ed evidenziano come l’interesse
pubblico alla repressione dell’abuso risieda nella stessa
natura del provvedimento repressivo, essendo, come suol
dirsi, “in re ipsa” (v., fra le numerose, Cons. di
Stato, sez. V, n. 104/1985).
L’applicazione dei due principi preclude che possano aver
rilievo, rispettivamente, il lungo lasso di tempo trascorso
tra l’epoca dell’abuso e la data del provvedimento
repressivo e, sul fronte della posizione incisa, che detto
arco temporale obblighi l’Amministrazione a valutare un
eventuale affidamento nel frattempo ingeneratosi nel
responsabile dell’abuso.
A quest’ultimo riguardo deve peraltro osservarsi che
l’affidamento può assumere rilevanza, originando la
necessità di un più intenso onere di motivazione, solo in
presenza di atti o comportamenti dell’amministrazione dai
quali esso possa effettivamente ed attendibilmente trarre
fonte. Ma tali elementi non è dato nella fattispecie
riconoscere, nemmeno nel certificato di agibilità che, lungi
dal legittimare l’abuso, altro non è che l’attestazione che
quanto realizzato non è pericoloso sotto il profilo
dell’accesso delle persone.
Né, al fine di dimostrare la legittimità dell’intervento (e
quindi l’illegittimità della sua demolizione), può
utilizzarsi la disposizione di legge che individua nella
necessaria conformità dei manufatti alle norme
urbanistico-edilizie, il presupposto indispensabile per il
legittimo rilascio del suddetto certificato (art. 24, comma
3, del D.P.R. n. 380/2001 per cui il soggetto titolare del
permesso di costruire è tenuto a chiedere il certificato di
agibilità).
Si tratta di una interpretazione del tutto rovesciata della
cennata prescrizione giuridica, la cui corretta lettura
conferma che il certificato è illegittimo se rilasciato in
assenza della accertata conformità dell’intervento
realizzato rispetto a quello assentito e non può quindi in
alcun modo legittimarlo (Cons. Stato, sez. V, 30.04.2009 n.
2760, citato dal TAR, si limita infatti a confermare che il
certificato può essere rilasciato solo in caso di conformità
dell’intervento) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.06.2013 n. 3182 - link a
www.giustizia-amminitrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il novero dei soggetti legittimati al rilascio
del titolo in sanatoria risulta più ampio rispetto a quanto
concerne il rilascio dell'ordinario titolo abilitativo
edilizio, laddove secondo il prevalente orientamento della
giurisprudenza, occorre la titolarità del diritto di
proprietà, ovvero di altro diritto reale o anche
obbligatorio a condizione del riconoscimento della
disponibilità giuridica e materiale del bene nonché della
relativa potestà edificatoria.
Il regime, infatti, della concessione edilizia è del tutto
diversificato, quanto a presupposti ed elementi propri, da
quello della sanatoria. L'affermazione è consapevolmente
recepita da parte della giurisprudenza in riferimento alla
sanatoria impropria di cui all'art. art. 13 della legge n.
47/1985 secondo cui la dichiarazione di conformità
disciplinata dalla norma prevede che la sanatoria ivi
disciplinata sia accordata al "responsabile dell'abuso"; la
norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall'art. 4
della legge n. 10 del 1977 non trova applicazione solo in
presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro
titolare di diritto reale in quanto l'abuso sia al medesimo
ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da
colui che, dell'abuso, è comunque responsabile in quanto,
sanato l'abuso, non potrebbe essere più chiamato a
rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o
amministrativo.
Se quindi il collegamento con la proprietà o altro diritto
reale si attenua già in sede di legittimazione alla
sanatoria impropria oggi disciplinata dall'art. 36 t.u.
edilizia approvato con d.p.r. 06.06.2001 n. 380, ciò non può
non valere anche in riferimento alla sanatoria propria di
cui alla l. 724/1994 (II condono edilizio) la quale,
presupponendo un abuso di tipo sostanziale e non già
formale, ben può riferirsi -come è paradigmatico
dell'illecito- anche ad un collegamento non soggettivamente
qualificato. Anche la più recente giurisprudenza del
Consiglio di Stato ritiene che ai sensi dell'art. 31, l.
28.02.1985 n. 47 -secondo cui possono richiedere il condono
"i soggetti che abbiano interesse"- legittimato a richiedere
la concessione edilizia in sanatoria sia anche il
promissario acquirente di un terreno, avuto riguardo all'esperibilità
della tutela in forma specifica ex art. 2932, cod. civ.
Tale disciplina non risulta mutata nel regime introdotto con
l'art. 39 della l. 724/1994, non emergendo restrizioni
rispetto al criterio legittimante di cui al citato art. 31
l. 47/1985.
Va pertanto affermato che "legittimati all'istanza di
condono edilizio ex l. 724/1994 sono oltre coloro che hanno
titolo a richiedere la concessione edilizia/permesso di
costruire, anche il promissario acquirente o il conduttore e
più in generale tutti coloro che vi abbiano interesse, senza
il necessario consenso ed anche, al limite, contro la
volontà del proprietario del bene”.
---------------
Poiché “il rilascio del certificato di abitabilità di un
fabbricato, conseguente al condono edilizio può
legittimamente avvenire in deroga solo a norme
regolamentari, e non anche quando siano carenti condizioni
di salubrità richieste invece da fonti normative di livello
primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per
il suo carattere di eccezionalità e derogatorio, non è
suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto,
tali da incidere sul fondamentale principio della tutela
della salute, con evidenti riflessi sul piano della
legittimità costituzionale, considerato anche che le
deficienze igienico sanitarie riscontrate dai competenti
uffici della U.s.l. integrano la violazione di prescrizioni
poste a tutela della salubrità degli ambienti adibiti ad
abitazione da fonti normative di carattere primario, quali
gli artt. 218 e 221, t.u. leggi sanitarie 27.07.1934 n.
1265" spetterà quindi all’Autorità sanitaria competente in
sede di istruttoria per il rilascio dell’abitabilità
valutare se effettivamente nella specie le altezze dei
fabbricati siano tali da impedire l’utilizzazione del bene
come abitazione.
Invero la
giurisprudenza ha chiarito che: “Il novero dei soggetti
legittimati al rilascio del titolo in sanatoria risulta […]
più ampio rispetto a quanto concerne il rilascio
dell'ordinario titolo abilitativo edilizio, laddove secondo
il prevalente orientamento della giurisprudenza, occorre la
titolarità del diritto di proprietà, ovvero di altro diritto
reale o anche obbligatorio a condizione del riconoscimento
della disponibilità giuridica e materiale del bene nonché
della relativa potestà edificatoria" (Consiglio di Stato V 28.05.2001 n. 2881, TAR Emilia Romagna Bologna 21.02.2007 n. 53, TAR Lombardia Milano sez II 31.03.2010 n.
842) […].
Il regime, infatti, della concessione edilizia è del tutto
diversificato, quanto a presupposti ed elementi propri, da
quello della sanatoria. L'affermazione è consapevolmente
recepita da parte della giurisprudenza (TAR Campania
Napoli sez VIII 14.01.2011, n. 196) in riferimento alla
sanatoria impropria di cui all'art. art. 13 della legge n.
47/1985 secondo cui la dichiarazione di conformità
disciplinata dalla norma prevede che la sanatoria ivi
disciplinata sia accordata al "responsabile dell'abuso"; la
norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall'art. 4
della legge n. 10 del 1977 non trova applicazione solo in
presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro
titolare di diritto reale in quanto l'abuso sia al medesimo
ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da
colui che, dell'abuso, è comunque responsabile in quanto,
sanato l'abuso, non potrebbe essere più chiamato a
rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o
amministrativo.
Se quindi il collegamento con la proprietà o altro diritto
reale si attenua già in sede di legittimazione alla
sanatoria impropria oggi disciplinata dall'art. 36 t.u.
edilizia approvato con d.p.r. 06.06.2001 n. 380, ciò non
può non valere anche in riferimento alla sanatoria propria
di cui alla l. 724/1994 (II condono edilizio) la quale,
presupponendo un abuso di tipo sostanziale e non già
formale, ben può riferirsi -come è paradigmatico
dell'illecito- anche ad un collegamento non soggettivamente
qualificato. Anche la più recente giurisprudenza del
Consiglio di Stato (sez. IV, 27.10.2009, n. 6545)
ritiene che ai sensi dell'art. 31, l. 28.02.1985 n. 47 -secondo cui possono richiedere il condono "i soggetti che
abbiano interesse"- legittimato a richiedere la concessione
edilizia in sanatoria sia anche il promissario acquirente di
un terreno, avuto riguardo all'esperibilità della tutela in
forma specifica ex art. 2932, cod. civ.
Tale disciplina non risulta mutata nel regime introdotto con
l'art. 39 della l. 724/1994, non emergendo restrizioni
rispetto al criterio legittimante di cui al citato art. 31
l. 47/1985.
Va pertanto affermato che "legittimati all'istanza di condono
edilizio ex l. 724/1994 sono oltre coloro che hanno titolo a
richiedere la concessione edilizia/permesso di costruire,
anche il promissario acquirente o il conduttore (Corte di
Appello Firenze sez II 04.05.2010 n. 594) e più in
generale tutti coloro che vi abbiano interesse, senza il
necessario consenso ed anche, al limite, contro la volontà
del proprietario del bene” (cfr. TAR Bari Puglia 09.07.2011 n. 1057).
---------------
In proposito
il Collegio deve rilevare che il condono edilizio è
finalizzato alla definizione degli illeciti edilizi che
nella specie sono relativi alle opere funzionali al cambio
di destinazione d’uso di due stenditoi in civili abitazioni.
Con il rilascio del permesso di costruire in sanatoria,
dunque, si sono sanate esclusivamente le opere edilizie,
mentre l’utilizzazione degli immobili come civili abitazioni
(come del resto risulta nelle condizioni generali in calce
al provvedimento impugnato) è soggetto al rilascio del
certificato di agibilità.
Poiché “il rilascio del certificato di abitabilità di un
fabbricato, conseguente al condono edilizio può
legittimamente avvenire in deroga solo a norme
regolamentari, e non anche quando siano carenti condizioni
di salubrità richieste invece da fonti normative di livello
primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per
il suo carattere di eccezionalità e derogatorio, non è
suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto,
tali da incidere sul fondamentale principio della tutela
della salute, con evidenti riflessi sul piano della
legittimità costituzionale, considerato anche che le
deficienze igienico sanitarie riscontrate dai competenti
uffici della U.s.l. integrano la violazione di prescrizioni
poste a tutela della salubrità degli ambienti adibiti ad
abitazione da fonti normative di carattere primario, quali
gli artt. 218 e 221, t.u. leggi sanitarie 27.07.1934 n. 1265"
(cfr. Consiglio di Stato 03.05.2011 n. 2620) spetterà quindi
all’Autorità sanitaria competente in sede di istruttoria per
il rilascio dell’abitabilità valutare se effettivamente
nella specie le altezze dei fabbricati siano tali da
impedire l’utilizzazione del bene come abitazione (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 20.05.2013 n. 1162 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli aspetti riguardanti la
sostenibilità statica dell’intervento e le cautele
da adottare all’atto di manomissioni di manufatti in
amianto, non costituiscono profili valutabili in
sede di rilascio del titolo edilizio, il quale
presuppone esclusivamente, ai sensi dell’art. 12,
comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, la conformità
dell’intervento alle previsioni degli strumenti
urbanistici, dei regolamenti edilizi e, più in
generale, della disciplina urbanistico–edilizia
vigente.
Invero:
- le disposizioni contenute nel d.m. 14.01.2008, non
impongono l’allegazione di uno studio di
fattibilità, che certifichi la sostenibilità statica
dell’intervento, all’istanza di rilascio del
permesso di costruire.
I controlli di idoneità statica vanno invero
compiuti in una fase successiva a quella di rilascio
del permesso di costruire e, precisamente, in fase
di rilascio del certificato di agibilità che, ai
sensi dell’art. 25, comma primo, del d.P.R. n.
380/2001, deve attestare, fra l’altro, la
sussistenza delle condizioni di sicurezza
dell’edificio, valutate secondo quanto disposto
dalla vigente normativa. Per ciò che concerne poi in
particolare le opere composte da strutture in
cemento armato, come quelle di cui è causa, è
previsto, dall’art. 25, comma 3, lett. b), dello
stesso d.P.R. n. 380/2001, che il certificato di
agibilità venga rilasciato solo previo esperimento
di collaudo statico, effettuato ai sensi dell’art.
67 del d.P.R. n. 380/2001; e che, comunque (cfr.
art. 65 del d.P.R. n. 380/2001), prima dell’inizio
lavori, venga depositata presso lo sportello unico
comunale una denuncia cui va allegata una relazione,
firmata dal progettista incaricato, nella quale
vengano riportati i calcoli che attestino l’idoneità
statica dell’intervento;
- nessuna disposizione impone di allegare
all’istanza di rilascio del titolo edilizio un piano
di smaltimento dei materiali in fibrocemento; fermo
restando ovviamente il potere delle competenti
autorità di verificare il rispetto, in fase
esecutiva, delle vigenti disposizioni in materia.
46. Con il quarto motivo, che sarà esaminato
congiuntamente al quinto, viene dedotta la
violazione dell’art. 8 del d.m. 14.01.2008, in
quanto il progetto assentito non sarebbe corredato
da adeguato studio di fattibilità che certifichi la
sostenibilità statica dell’intervento.
47. Con il quinto motivo viene dedotto
eccesso di potere per violazione del Piano Regionale
Amianto Lombardia (PRAL), approvato con DGR
22.12.2005 n. VIII/1526, in quanto l’intervento
assentito comporterebbe la manomissione di canne
fumarie realizzate in fibrocemento (eternit), senza
che siano state previste le misure di bonifica
necessarie per scongiurare pericoli per la salute
umana.
48. In proposito va osservato che, come messo in
luce in sede cautelare, gli aspetti riguardanti la
sostenibilità statica dell’intervento e le cautele
da adottare all’atto di manomissioni di manufatti in
amianto, non costituiscono profili valutabili in
sede di rilascio del titolo edilizio, il quale
presuppone esclusivamente, ai sensi dell’art. 12,
comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, la conformità
dell’intervento alle previsioni degli strumenti
urbanistici, dei regolamenti edilizi e, più in
generale, della disciplina urbanistico–edilizia
vigente (cfr. TAR Sardegna, 30.12.1999 n. 1685)
49. In particolare, contrariamente a quanto
sostenuto dai ricorrenti, le disposizioni contenute
nel d.m. 14.01.2008, non impongono l’allegazione di
uno studio di fattibilità, che certifichi la
sostenibilità statica dell’intervento, all’istanza
di rilascio del permesso di costruire.
50. I controlli di idoneità statica vanno invero
compiuti in una fase successiva a quella di rilascio
del permesso di costruire e, precisamente, in fase
di rilascio del certificato di agibilità che, ai
sensi dell’art. 25, comma primo, del d.P.R. n.
380/2001, deve attestare, fra l’altro, la
sussistenza delle condizioni di sicurezza
dell’edificio, valutate secondo quanto disposto
dalla vigente normativa. Per ciò che concerne poi in
particolare le opere composte da strutture in
cemento armato, come quelle di cui è causa, è
previsto, dall’art. 25, comma 3, lett. b), dello
stesso d.P.R. n. 380/2001, che il certificato di
agibilità venga rilasciato solo previo esperimento
di collaudo statico, effettuato ai sensi dell’art.
67 del d.P.R. n. 380/2001; e che, comunque (cfr.
art. 65 del d.P.R. n. 380/2001), prima dell’inizio
lavori, venga depositata presso lo sportello unico
comunale una denuncia cui va allegata una relazione,
firmata dal progettista incaricato, nella quale
vengano riportati i calcoli che attestino l’idoneità
statica dell’intervento (Nel caso concreto queste
prescrizioni sono state peraltro rispettate, avendo
la controinteressata depositato presso gli uffici
comunali, in data 4 ottobre 2010, e quindi prima
dell’inizio lavori, la suddetta denuncia, nella
quale viene attestata, dal progettista incaricato,
l’idoneità statica del realizzando intervento, anche
con riferimento ai riflessi sulla struttura
sottostante).
51. Allo stesso modo, nessuna disposizione impone di
allegare all’istanza di rilascio del titolo edilizio
un piano di smaltimento dei materiali in
fibrocemento; fermo restando ovviamente il potere
delle competenti autorità di verificare il rispetto,
in fase esecutiva, delle vigenti disposizioni in
materia.
52. Anche il quarto ed il quinto motivo sono quindi
infondati
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.04.2013 n. 847 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Non
esiste alcuna automaticità nel rilascio del certificato di
agibilità a seguito di concessione in sanatoria, dovendo,
pur sempre, il Comune verificare che al momento del rilascio
del certificato di agibilità siano osservate le disposizioni
normative sulle condizioni igienico–sanitarie.
Dunque, il rilascio di una sanatoria edilizia non comporta
necessariamente l’obbligo per l’autorità amministrativa di
emettere un provvedimento ugualmente positivo in ordine
all’agibilità con riguardo all’attività che vi deve essere
svolta, in quanto il rilascio di tale ulteriore licenza
implica, in capo all’autorità emanante, il preventivo
accertamento e la conseguente valutazione di elementi non
rilevanti in sede di rilascio della sanatoria che presuppone
la presenza di requisiti diversi e autonomi.
---------------
L’attività di allevamento di animali (qual è quella che oggi
viene svolta all’interno del manufatto, essendo irrilevante
il numero di animali che attualmente vi sono custoditi)
rientra nell’elenco delle industrie insalubri di prima
classe di cui al D.M. 05.09.1994 e all’art. 216 del R.D.
1265/1934, che devono essere isolate nelle campagne e tenute
lontane dalle abitazioni..
In ogni caso, anche se nella concessione in
sanatoria si fa riferimento ad una destinazione a “pollaio”
non significa, come invece sostiene il ricorrente, che sia
stata implicitamente concessa l’agibilità per uso ricovero
animali del manufatto condonato. Licenza questa che, invece,
non è mai stata rilasciata.
Peraltro, non esiste alcuna
automaticità nel rilascio del certificato di agibilità a
seguito di concessione in sanatoria, dovendo, pur sempre, il
Comune verificare che al momento del rilascio del
certificato di agibilità siano osservate le disposizioni
normative sulle condizioni igienico–sanitarie (cfr. Corte
Cost. n. 256/1996; Cons. Stato n. 2140/2004).
Dunque, il rilascio di una sanatoria edilizia non comporta
necessariamente l’obbligo per l’autorità amministrativa di
emettere un provvedimento ugualmente positivo in ordine
all’agibilità con riguardo all’attività che vi deve essere
svolta, in quanto il rilascio di tale ulteriore licenza
implica, in capo all’autorità emanante, il preventivo
accertamento e la conseguente valutazione di elementi non
rilevanti in sede di rilascio della sanatoria che presuppone
la presenza di requisiti diversi e autonomi.
Nel caso di specie, l’amministrazione ha da ultimo rilevato,
nel corso di un apposito sopralluogo, che il manufatto
condonato era stato in concreto destinato ad un’attività,
quella di allevamento di maiali, che poteva influire sulle
condizioni di salubrità dell’ambiente circostante, essendo
situato in prossimità dell’abitazione dell’odierno
controinteressato.
Pertanto, la destinazione dell’annesso rustico a porcile,
costituendo una circostanza nuova e rilevante sul piano
igienico–sanitario, comporta la necessità del rilascio di
una specifica licenza di agibilità che, d’altra parte, non
sembra possa essere attualmente conseguita, stante
l’esistenza dell’abitazione di P.C. a distanza
inferiore a quella di trenta metri prevista dalle n.t.a. e
dal regolamento edilizio.
Va infatti evidenziato che l’attività di allevamento di
animali (qual è quella che oggi viene svolta all’interno del
manufatto, essendo irrilevante il numero di animali che
attualmente vi sono custoditi) rientra nell’elenco delle
industrie insalubri di prima classe di cui al D.M.
05.09.1994 e all’art. 216 del R.D. 1265/1934, che devono
essere isolate nelle campagne e tenute lontane dalle
abitazioni.
Ne consegue che sussistevano tutti i presupposti per
l’emissione del divieto di destinare a porcilaia l’annesso
rustico in questione e che la circostanza della preesistenza
o meno dell’annesso rustico all’abitazione di Pio Carretta
non è decisiva, in quanto ciò che conta è che l’attività ivi
esercitata non è mai stata regolarizzata e dunque oggi è
destinata a scontare la vicinanza della detta abitazione
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 28.02.2013 n. 289 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il certificato di
abitabilità delle costruzioni costituisce un'attestazione da
parte dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente.
Ne deriva la legittimità, in via generale, dello svolgimento
da parte degli organi comunali competenti di ogni indagine
utile al fine di effettuare una consapevole valutazione
sulla sussistenza delle surriferite condizioni, soprattutto
quando in un edificio siano state realizzate modifiche
strutturali.
---------------
La conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie
costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo
rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli
art. 24, comma 3, D.P.R. n. 380/2001, e art. 35, comma 2, l.
n. 47/1985; del resto, risponde ad un evidente principio di
ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per
qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale
contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi
alla cui protezione è preordinata la disciplina
urbanistico-edilizia.
In base a quanto previsto dagli artt. 24 e 25 del D.P.R. n.
380 del 2001, il certificato di abitabilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente. Ne deriva la legittimità, in via generale, dello
svolgimento da parte degli organi comunali competenti di
ogni indagine utile al fine di effettuare una consapevole
valutazione sulla sussistenza delle surriferite condizioni,
soprattutto quando in un edificio siano state realizzate
modifiche strutturali (cfr., in argomento, TAR Lombardia,
Milano, Sez. II, 16.03.2011 n. 740), che implichino un nuovo
o diverso uso degli spazi.
Tanto deriva dalla espressa previsione dell’art. 25, commi 1
e 3, del d.P.R. n. 380 del 2001: “1. Entro quindici
giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura
dell'intervento, il soggetto di cui all'articolo 24, comma
3, è tenuto a presentare allo sportello unico la domanda di
rilascio del certificato di agibilità, corredata della
seguente documentazione:
b) dichiarazione sottoscritta dallo stesso richiedente il
certificato di agibilità di conformità dell'opera rispetto
al progetto approvato, nonché in ordine alla avvenuta
prosciugatura dei muri e della salubrità degli ambienti;
..
3. Entro trenta giorni dalla ricezione della domanda di cui
al comma 1, il dirigente o il responsabile del competente
ufficio comunale, previa eventuale ispezione dell'edificio,
rilascia il certificato di agibilità verificata la seguente
documentazione:
c) la documentazione indicata al comma 1.”
L'art. 25, commi 3-5, del D.P.R. n. 380 del 2001, inoltre,
prevede un procedimento di rilascio del certificato di
agibilità, articolato sui seguenti principi fondamentali:
1) il procedimento deve essere concluso nel termine di 30
giorni dalla ricezione della domanda di rilascio del
certificato di agibilità o di 60 giorni, nel caso in cui il
ricorrente si sia avvalso della possibilità di sostituire
con autocertificazione il parere dell'A.S.L. previsto
dall'art. 5, 3° comma, lett. a), del D.P.R. n. 380 del 2001;
2) il decorso del termine per la definizione del
procedimento, importa la formazione del silenzio assenso
sull'istanza di rilascio del certificato di agibilità;
3) il termine del procedimento può essere interrotto una
sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici
giorni dalla domanda, esclusivamente per la richiesta di
documentazione integrativa, che non sia già nella
disponibilità dell'amministrazione o che non possa essere
acquisita autonomamente; in tal caso, il termine per la
conclusione del procedimento ricomincia a decorrere dalla
data di ricezione della documentazione integrativa;
4) il rilascio del certificato di agibilità non impedisce
l'esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un
edificio o di parte di esso ai sensi dell'articolo 222 del
regio decreto 27.07.1934, n. 1265 (art. 26 D.P.R. n. 380 del
2001).
Sul rapporto tra certificato di agibilità e conformità
urbanistica-edilizia, recente giurisprudenza del Consiglio
di Stato ha avuto modo di osservare che "La conformità
dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il
presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del
certificato di agibilità, come si evince dagli art. 24,
comma 3, D.P.R. n. 380/2001, e art. 35, comma 2, l. n.
47/1985; del resto, risponde ad un evidente principio di
ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per
qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale
contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi
alla cui protezione è preordinata la disciplina
urbanistico-edilizia" (cfr. Consiglio Stato, sez. V,
30.04.2009, n. 2760).
L’inequivoco tenore letterale e la finalità delle norme
comportano quindi l’infondatezza del ricorso nella parte in
cui si deduce che la funzione del certificato di agibilità
investirebbe esclusivamente la rispondenza del fabbricato ai
requisiti igienico-sanitari e non assumerebbe rilievo sotto
il profilo urbanistico-edilizio.
Non sussiste neppur il dedotto vizio motivazionale in cui si
assume sia incorsa la P.A. nell’annullare gli effetti della
richiesta di agibilità atteso che la rilevata difformità
urbanistica ed edilizia giustifica ex se l’adozione
del provvedimento impugnato.
Infine non assumono rilievo neppure i dedotti vizi formali
atteso che il rigetto del principale motivo che sorregge
l'impugnazione priva di rilevanza i residui argomenti con
essa spiegati, stante l’applicabilità dell’art. 21-octies
della L. 241/1990 il quale rende non annullabile il
provvedimento amministrativo per vizi formali quali la
violazione di regole procedimentali (mancata comunicazione
avvio procedimento) quanto il suo contenuto non potrebbe
essere diverso (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza
07.02.2013 n. 294 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Rilascio certificato di agibilità.
Clausola convenzionale che
subordina il rilascio del certificato di agibilità
dell'immobile alla presentazione dell'atto di vincolo a
prima casa - Legittimità.
Prima di esaminare
nel dettaglio i singoli motivi d’appello è pertanto
necessario prendere posizione su tale dirimente aspetto
preliminare: la convenzione ed il permesso di costruire
recano, o no, disposizioni contrattuali o amministrative
aggiuntive rispetto a quanto previsto dalle norme tecniche
attuative?
La risposta è affermativa.
In effetti non v’è un’espressa o implicita formulazione
normativa, nel corpo dell’art. 42 delle NTA, che lasci
specificatamente intendere che l’agibilità dei progettati
edifici debba essere condizionata alla trascrizione del
vincolo o, ancor prima, alla verifica dei requisiti in capo
al fruitore (acquirente o locatario) dell’unità immobiliare.
La previsione è per la prima volta introdotta dalla
Convenzione di lottizzazione attraverso l’atto d’obbligo
allegato alla stessa, nonché ulteriormente specificata, sul
versante procedimentale, dal permesso di costruire.
Trattasi di una forma di cautela contrattuale che il Comune
ha inteso adottare, con il consenso del lottizzante, per
prevenire violazioni contrattuali foriere di conseguenze
risolutive e di inevitabile contenzioso. Subordinando
l’agibilità alla verifica dei requisiti ed alla trascrizione
del vincolo non ha dato una nuova conformazione all’istituto
(che com’è noto poggia su ben altre basi) ma ha disciplinato
la sequenza procedimentale in modo che l’agibilità sia
sostanzialmente richiesta proprio dai proprietari o dai
fruitori per i quali l’area è stata urbanisticamente
inquadrata, la lottizzazione inizialmente approvata e
l’immobile concretamente costruito.
Ciò ha potuto fare, anche attraverso l’imposizione di
prescrizioni in sede di rilascio del titolo, in quanto il
permesso di costruire ed il rilascio del certificato di
agibilità si collocano in un ambito di edilizia
convenzionata (basata per l’appunto sulla negoziabilità di
alcuni aspetti e sulla rilevanza della particolare “causa”
della prevista edificazione) costituendone l’appendice
esecutiva. Essi risentono della disciplina negoziale
concordata a monte, in modo da porsi come passaggi
procedimentali finalizzati non solo a garantire le esigenze
di carattere urbanizzativo, ma anche quelle più propriamente
connesse alla particolare funzione sociale della progettata
edificazione. Del resto che gli accordi sostitutivi di
provvedimento, nell’ambito dei quali può ormai pacificamente
sussumersi anche la convenzione di lottizzazione, possano
prevedere anche la disciplina del procedimento e delle sue
fasi non pare revocabile in dubbio.
In questo quadro, il rinvio da parte della NTA alla fonte
convenzionale per la disciplina del vincolo di destinazione
costituisce base sufficiente per un accordo (quale quello
per cui si controverte) in cui si stabiliscono, per il
rilascio dell’agibilità, modalità procedimentali causalmente
e cautelativamente collegate al vincolo di destinazione. Il
valido accordo costituisce, altresì, base consensuale
sufficiente a legittimare l’inserimento di concrete
previsioni procedimentali in tema di rilascio del
certificato di agibilità.
Ciò chiarito può ora passarsi alla disamina dei singoli
motivi d’appello.
Con il primo motivo d'appello la società sostiene che il TAR
non avrebbe considerato che l'amministrazione comunale
-inserendo dapprima nell'atto d'obbligo allegato alla
convenzione di lottizzazione, la clausola che "la
sottoscrizione del vincolo costituisce condizione necessaria
per il rilascio dell'abitabilità delle singole unità
immobiliari”, e poi nel permesso di costruire la
clausola che "il certificato di agibilità sarà rilasciato
per ogni singola unità immobiliare solo dopo che si è
conosciuto l'acquirente un locatario che si è dimostrato il
possesso dei requisiti dello stesso, e sia sottoscritto,
prima del rilascio dell'agibilità, nell'atto di vincolo"-
si sarebbe posta al di fuori delle norme urbanistiche di
riferimento ed in contrasto con esse (artt. 42, lett. c. e
26, comma 7, NTA).
L’affermazione non è corretta. Si è già detto che la
convenzione di lottizzazione reca un quid pluris
rispetto a quanto previsto dalle norme attuative, ma anche
che trattasi di una disposizione liberamente concordata
dalle parti che non è in contrasto con l’art. 42 lett. c.
delle NTA, ed anzi, ne costituisce lo svolgimento,
consentendo all’amministrazione il monitoraggio delle
successive fasi procedimentali sino al rilascio
dell’abitabilità, all’evidente fine di assicurare la
funzione per la quale l’edificazione è stata consentita
(destinazione a prima casa).
A ben vedere la clausola è poi assolutamente il linea con
quanto previsto dall’art. 26 comma 7 NTA, ove è stabilito
che “per la residenza permanente la validità del vincolo
di destinazione stabilita dalla convenzione non può essere
inferiore ad anni 20 dalla data di rilascio del certificato
di abitabilità”. Contrariamente a quanto sembra
sostenere l’appellante, l’aver fissato il dies a quo
del vincolo, alla data di rilascio del certificato di
abitabilità, non significa che l’abitabilità debba
necessariamente essere concessa appena l’immobile è ultimato
ed a prescindere dall’utilizzo conforme alla destinazione,
ma piuttosto che il vincolo per avere una funzione effettiva
deve sortire la sua efficacia solo da quanto l’immobile è
dichiarato abitabile e non quando esso è ancora in fase di
costruzione o è comunque inutilizzato.
Sotto altro profilo, ritiene la società appellante che
sarebbe illogico legare il rilascio del certificato di
agibilità alla presentazione di un atto di vincolo ad
utilizzare l’immobile quale prima casa, alterando
indebitamente lo schema di cui all’art. 24 del DPR 380/2001.
Viceversa, sempre a dire dell’appellante, sarebbe stato più
logico che fosse il costruttore dell’ immobile, una volta
ottenuto il certificato di agibilità, ad imporre, nell’atto
contrattuale, all’acquirente, la trascrizione del vincolo.
L’illogicità non sussiste. In disparte ogni considerazione
circa il chiaro disposto convenzionale, l’avere subordinato
il rilascio dell’abitabilità all’effettiva destinazione a
prima casa è espediente contrattuale che assicura, quanto
meno in prima battuta, il rispetto della funzione sociale
originariamente impressa alla proprietà, prevenendo
possibili inadempimenti.
Con il secondo motivo d'appello la società censura l’iter
argomentativo seguito dal TAR, il quale ricostruisce la
vincolatività ultra partes della clausola
convenzionale sulla base dell’espressa accettazione del
vincolo di destinazione formulata dall’appellante
nell’ambito della compravendita.
Così procedendo, il TAR avrebbe omesso di sciogliere il
dubbio, dirimente ai fini del decidere, sulla natura
dell’obbligazione, atteso che, ove trattasi –come sarebbe
secondo la tesi dell’appellante– di un obbligazione
personale, essa non può che impegnare l’acquirente nei
confronti dell’alienante, ma non nei confronti del Comune.
Il dubbio può essere sciolto in questa sede. La
giurisprudenza è ormai concorde nell’inquadrare la
convenzione di lottizzazione negli accordi sostitutivi di
provvedimento di cui all’art. 11 della legge 241/1990 (Cass.
civ. Sez. Unite, 01.07.2009, n. 15388; Cons. Stato Sez. IV
Sent., 29.02.2008, n. 781; Sez. IV, 02.08.2011, n. 4576).
Tali accordi, inserendosi nell'alveo dell'esercizio di un
potere, ne mutuano le caratteristiche e la natura, salva
l'applicazione dei principi civilistici in materia di
obbligazioni e contratti per aspetti non incompatibili con
la generale disciplina pubblicistica. La lottizzazione
costituisce quindi esercizio consensuale di un potere
pianificatorio che sfocia in un progetto ed in una serie di
disposizioni urbanistiche generanti obbligazioni od oneri,
rese pubbliche attraverso la trascrizione, che si impongono
anche agli aventi causa dal lottizzante in forza della loro
provenienza e funzione sostitutiva.
Nel caso di specie l’amministrazione si è comunque cautelata
imponendo l’obbligo di riferimento, nella stipula dei
contratti di compravendita, ai vincoli scaturenti dalla
lottizzazione, così creando un circuito obbligatorio che
giunge ai medesimi effetti, sebbene con tutti i limiti
derivanti dalla natura relativa delle obbligazioni
contratte. Ciò, ovviamente, non toglie validità all’assunto
di fondo che di per sé solo giustifica l’efficacia anche nei
confronti degli aventi causa delle previsioni pianificatorie
concordate.
Con il terzo motivo d'appello Immobilcommer afferma che la
clausola contenuta nello schema di atto d'obbligo che accede
alla convenzione di lottizzazione, e subordina il rilascio
della certificato di agibilità dell'immobile alla
presentazione dell'atto di vincolo a prima casa, sarebbe
nulla: per mancanza di una base di legge; per contrasto con
gli articoli 24 e seguenti del Testo unico edilizia; per
contrarietà all'ordine pubblico, ed in particolare, per
contrasto con gli articoli 41 e 42 della Costituzione; per
contrasto con l'articolo 1379 in quanto norma imperativa;
per illiceità del contenuto e della causa (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 21.01.2013 n. 324 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: E’ legittima la clausola convenzionale che
subordina il rilascio del certificato di agibilità
dell'immobile alla presentazione dell'atto di vincolo a
prima casa.
La clausola convenzionale che subordina
il rilascio della certificato di agibilità dell'immobile
alla presentazione dell'atto di vincolo a prima casa, ha
solo l’effetto di modulare consensualmente i successivi
segmenti procedimentali, postergando la valutazione
dell’abitabilità all’individuazione del fruitore
dell’immobile, in modo da monitorare l’effettiva
realizzazione del fine sociale per il quale la costruzione
degli immobili è stata assentita, e non già di inserire
nella valutazione ai fini dell’abitabilità elementi
eterogenei rispetto a quelli previsti dal legislatore.
Né può trarsi dalla clausola un divieto di vendita o di
commercializzazione delle unità immobiliari, atteso che esse
sono state edificate proprio al fine di essere adibite a
prima casa, ossia di realizzare una funzione sociale
particolarmente meritevole che proprio la clausola tende ad
assicurare attraverso la previsione di una preliminare fase
di monitoraggio, che certamente non preclude la stipula di
contratti preliminari di vendita né di quelli definitivi.
Con il terzo motivo d'appello Immobilcommer afferma che la
clausola contenuta nello schema di atto d'obbligo che accede
alla convenzione di lottizzazione, e subordina il rilascio
della certificato di agibilità dell'immobile alla
presentazione dell'atto di vincolo a prima casa, sarebbe
nulla: per mancanza di una base di legge; per contrasto con
gli articoli 24 e seguenti del Testo unico edilizia; per
contrarietà all'ordine pubblico, ed in particolare, per
contrasto con gli articoli 41 e 42 della Costituzione; per
contrasto con l'articolo 1379 in quanto norma imperativa;
per illiceità del contenuto e della causa.
Il motivo non ha pregio. Com’anzi detto, la clausola
convenzionale ha solo l’effetto di modulare consensualmente
i successivi segmenti procedimentali, postergando la
valutazione dell’abitabilità all’individuazione del fruitore
dell’immobile, in modo da monitorare l’effettiva
realizzazione del fine sociale per il quale la costruzione
degli immobili è stata assentita, e non già di inserire
nella valutazione ai fini dell’abitabilità elementi
eterogenei rispetto a quelli previsti dal legislatore. Né
può trarsi dalla clausola un divieto di vendita o di
commercializzazione delle unità immobiliari, atteso che esse
sono state edificate proprio al fine di essere adibite a
prima casa, ossia di realizzare una funzione sociale
particolarmente meritevole che proprio la clausola tende ad
assicurare attraverso la previsione di una preliminare fase
di monitoraggio, che certamente non preclude la stipula di
contratti preliminari di vendita né di quelli definitivi.
Privo di fondamento è anche il motivo avente ad oggetto il
mancato riconoscimento da parte del TAR di un difetto
assoluto di attribuzione nella imposizione della
prescrizione de qua, all’atto del rilascio del permesso di
costruire.
Si è già detto che il permesso di costruire costituisce
l’epilogo provvedimentale di una vicenda che ha una matrice
consensuale, nell’ambito della quale le parti hanno
disciplinato l’iter procedimentale post-ponendo, a fini
cautelativi, il rilascio della certificazione di abitabilità
alla verifica amministrativa dei requisiti in capo
all’acquirente. Se, come sopra chiarito, la convenzione di
lottizzazione e le obbligazioni da essa sorgenti hanno
effetti anche nei confronti degli aventi causa, non v’è
dubbio che l’amministrazione aveva il potere di inserire la
prescrizione nei confronti di chiunque chiedesse il permesso
di costruire edifici nell’ambito della lottizzazione.
Potrebbe in astratto porsi una problema di legittimità, ma
non certo di nullità ex art. 21-septies l. 241/1990 (tratto da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.01.2013 n. 324 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Nella specie,
a seguito della richiesta del
certificato di agibilità è stato rilasciato il parere
dell’A.S.L.; sicché nel termine di trenta giorni, senza il riscontro della
richiesta da parte del Comune, è divenuto operativo il meccanismo del
silenzio–assenso, prefigurato al 4° comma del dpr 380/2001
(“Trascorso inutilmente il termine di cui al comma 3, l’agibilità si intende
attestata”).
S’è quindi concretizzato il meccanismo di assenso-tacito,
configurato dalla suddetta disposizione legislativa, giusta quanto affermato
dalla giurisprudenza: “La disciplina del T.U. sull’edilizia prevede,
all’art. 25, l’istituto del silenzio–assenso sulla domanda proposta,
corredata dalla prescritta documentazione, ai fini dell’ottenimento della
certificazione dell’agibilità dell’edificio, stabilendo il termine di
formazione di trenta giorni, qualora sia stato acquisito il parere della A.S.L. previsto dall’art. 5, comma 3, lett. a)”.
---------------
Giusta l’orientamento giurisprudenziale assolutamente prevalente in materia
d’annullamento d’ufficio, “È
illegittimo l’annullamento d’ufficio del certificato provvisorio di
agibilità, in caso di mancata comunicazione dell’avvio del relativo
procedimento".
L’agibilità, conseguita “per silentium” dalla ricorrente, poteva essere
oggetto di annullamento, previa attivazione di un procedimento di secondo
grado, con la garanzia dei prescritti adempimenti partecipativi, soltanto
ove fosse stato ritenuto carente il profilo igienico–sanitario degli
immobili realizzati.
S’è infatti affermato: “Il procedimento di rilascio del certificato di
agibilità, disciplinato dall’art. 25 d.P.R. n. 380 del 2001, si articola
sulla base dei seguenti principi fondamentali:
1) il procedimento deve
essere concluso nel termine di 30 giorni dalla ricezione della domanda di
rilascio del certificato di agibilità o di 60 giorni (nel caso in cui il
ricorrente si sia avvalso della possibilità di sostituire con
autocertificazione il parere dell’Asl);
2) il decorso del termine per la
definizione del procedimento, importa la formazione del silenzio–assenso
sull’istanza di rilascio del certificato di agibilità;
3) il termine del
procedimento può essere interrotto una sola volta dal responsabile del
procedimento, entro quindici giorni dalla domanda, esclusivamente per la
richiesta di documentazione integrativa, che non sia già nella disponibilità
dell’amministrazione o che non possa essere acquisita autonomamente; in tal
caso, il termine per la conclusione del procedimento ricomincia a decorrere
dalla data di ricezione della documentazione integrativa;
4) il rilascio del
certificato di agibilità non impedisce l’esercizio del potere di dichiarata
inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell’art. 26 d.P.R.
n. 380 del 2001”.
La disposizione da ultimo citata recita, in particolare, quanto segue: “Il
rilascio del certificato di agibilità non impedisce l’esercizio del potere
di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi
dell’articolo 222 del regio decreto 27.07.1934, n. 1265”.
La norma testé richiamata stabilisce, a sua volta: “Il podestà, sentito
l’ufficiale sanitario o su richiesta del medico provinciale, può dichiarare
inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo
sgombero”.
Ne risulta confermato, quindi, che sono soltanto le “ragioni igieniche”, non
altre, a poter determinare la dichiarazione d’inagibilità, ovvero, per
tornare alla specie, a poter eventualmente giustificare l’annullamento
d’ufficio di un certificato d’agibilità, formatosi secondo il meccanismo autorizzativo tacito, configurato dall’art. 25 d.P.R. 380/2001.
Ragioni diverse, e segnatamente motivi impingenti nella disciplina
urbanistica dell’area ovvero nella legittimità del titolo “ad aedificandum”
rilasciato, non possono venire proprio in considerazione.
Tanto, del resto, è stato espressamente rilevato dalla giurisprudenza, che
ha osservato quanto segue: “Il procedimento volto ad accertare l’abitabilità
o l’agibilità di un immobile presuppone che il Comune abbia già riscontrato
l’utilizzabilità ai fini edificatori dell’area interessata dal progetto –attraverso il rilascio della concessione edilizia ad edificare sull’area
medesima– e la conformità del progetto medesimo con la normativa
urbanistica vigente; da ciò consegue che eventuali problematiche attinenti
alla disciplina urbanistica dell’area ed alla legittimità o meno della
concessione edilizia a suo tempo rilasciata non possono essere risolte in
sede di rilascio dell’autorizzazione all’agibilità dei locali realizzati,
potendosi in tale occasione solo eventualmente rilevare l’illegittimità
della concessione edilizia, in vista del suo annullamento d’ufficio, qualora
ne ricorrano i presupposti”.
---------------
... per l’annullamento:
-
dell’atto del Segretario–Direttore Generale del Comune di Pontecagnano
Faiano del 31.07.2012, prot. n. 22422, di rigetto dell’istanza per un
certificato di agibilità del complesso artigianale sito alla via ..., loc. ...;
-
della proposta del Responsabile del procedimento, del 25.07.2012, prot. n.
21817;
...
La società ricorrente impugnava il diniego in epigrafe, articolando censure,
oltre che d’eccesso di potere,
- di violazione degli artt. 25 e 16 del d.P.R.
380/2001, adducendo d’essere tenuta a realizzare solo parte –anziché tutta–
l’arteria stradale prevista dalla convenzione, posta a confine del lotto
D14, di collegamento tra la S.S. 18 e via ...;
- di violazione
dell’art. 25 del d.P.R. 380/2001, posto che sulla richiesta di rilascio di
certificato di agibilità si sarebbe già formato il silenzio–assenso;
- di
violazione degli artt. 8, 10-bis e 21-nonies della l. 241/1990, posto che
non era comunque possibile l’annullamento di un certificato, e comunque non
era stato dato avviso dell’avvio del relativo procedimento;
- d’incompetenza
del Segretario generale dell’ente a rilasciare il provvedimento gravato;
- di
nuova violazione dell’art. 25 del d.P.R. 380/2001, oltre che dell’art.
21-nonies l. 241/1990, atteso che non era consentito negare il certificato
di agibilità adducendo ragioni di carattere urbanistico;
- ancora di
violazione dell’art. 21-nonies della l. 241/1990, in comb. disp. con l’art.
24 del d.P.R. 380/2001, per essere mancata la valutazione in punto di
pubblico interesse del disposto annullamento del certificato di agibilità in
questione;
- di violazione dell’art. 3 della l. 241/1990, del principio di
proporzionalità e dell’art. 10 della Convenzione, posto che al più si poteva
sanzionare, nella specie, ma con un procedimento affatto diverso, un
inadempimento contrattuale.
...
Il ricorso è evidentemente fondato.
L’art. 25 del d.P.R. 380/2001, intitolato “Procedimento di rilascio del
certificato di agibilità”, prevede quanto segue:
"1. Entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura
dell’intervento, il soggetto di cui all’articolo 24, comma 3, è tenuto a
presentare allo sportello unico la domanda di rilascio del certificato di
agibilità, corredata della seguente documentazione:
a) richiesta di accatastamento dell’edificio, sottoscritta dallo
stesso richiedente il certificato di agibilità, che lo sportello unico
provvede a trasmettere al catasto;
b) dichiarazione sottoscritta dallo stesso richiedente il
certificato di agibilità di conformità dell’opera rispetto al progetto
approvato, nonché in ordine alla avvenuta prosciugatura dei muri e della
salubrità degli ambienti;
c) dichiarazione dell’impresa installatrice che attesta la
conformità degli impianti installati negli edifici adibiti ad uso civile
alle prescrizioni di cui agli articoli 113 e127, nonché all’articolo 1 della
legge 09.01.1991, n. 10, ovvero certificato di collaudo degli stessi, ove
previsto, ovvero ancora certificazione di conformità degli impianti prevista
dagli articoli 111 e 126 del presente testo unico.
2. Lo sportello unico comunica al richiedente, entro dieci giorni dalla
ricezione della domanda di cui al comma 1, il nominativo del responsabile
del procedimento ai sensi degli articoli 4 e 5 della legge 07.08.1990, n.
241.
3. Entro trenta giorni dalla ricezione della domanda di cui al comma 1, il
dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, previa
eventuale ispezione dell’edificio, rilascia il certificato di agibilità
verificata la seguente documentazione:
a) certificato di collaudo statico di cui all’articolo 67;
b) certificato del competente ufficio tecnico della regione, di cui
all’articolo 62, attestante la conformità delle opere eseguite nelle zone
sismiche alle disposizioni di cui al capo IV della parte II;
c) la documentazione indicata al comma 1;
d) dichiarazione di conformità delle opere realizzate alla
normativa vigente in materia di accessibilità e superamento delle barriere
architettoniche di cui all’articolo 77, nonché all’articolo 82.
4. Trascorso inutilmente il termine di cui al comma 3, l’agibilità si
intende attestata nel caso sia stato rilasciato il parere dell’A.S.L. di
cui all’articolo 5, comma 3, lettera a). In caso di autodichiarazione, il
termine per la formazione del silenzio–assenso è di sessanta giorni.
5. Il termine di cui al comma 3 può essere interrotto una sola volta dal
responsabile del procedimento, entro quindici giorni dalla domanda,
esclusivamente per la richiesta di documentazione integrativa, che non sia
già nella disponibilità dell’amministrazione o che non possa essere
acquisita autonomamente. In tal caso, il termine di trenta giorni ricomincia
a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa”.
Nella specie, è stato dedotto –nella censura sub 2)– che la richiesta del
certificato di agibilità è del 13.05.2012 e che è stato rilasciato il parere
dell’A.S.L.; sicché nel termine di trenta giorni, senza il riscontro della
richiesta da parte del Comune, è divenuto operativo il meccanismo del
silenzio–assenso, prefigurato al 4° comma della disposizione in commento
(“Trascorso inutilmente il termine di cui al comma 3, l’agibilità si intende
attestata”); quand’anche del resto non fosse stato rilasciato il suddetto
parere, sarebbe decorso inutilmente anche il termine di cui alla seconda
parte del citato 4° comma della prefata disposizione di legge, per l’ipotesi
di autodichiarazione (“In caso di autodichiarazione, il termine per la
formazione del silenzio–assenso è di sessanta giorni”).
Né è stato affermato in contrario, da parte della difesa dell’ente, che
quest’ultimo si sia avvalso della facoltà di richiedere documentazione
integrativa, con conseguente interruzione ex lege del termine per la
formazione del silenzio–assenso, giusta quanto stabilito dal 5° comma
dell’art. 25 d.P.R. 380/2001.
S’è quindi concretizzato, nella specie, il meccanismo di assenso-tacito,
configurato dalla suddetta disposizione legislativa, giusta quanto affermato
dalla giurisprudenza: “La disciplina del T.U. sull’edilizia prevede,
all’art. 25, l’istituto del silenzio–assenso sulla domanda proposta,
corredata dalla prescritta documentazione, ai fini dell’ottenimento della
certificazione dell’agibilità dell’edificio, stabilendo il termine di
formazione di trenta giorni, qualora sia stato acquisito il parere della A.S.L. previsto dall’art. 5, comma 3, lett. a)” (TAR Lazio-Roma, Sez. II,
23.11.2011, n. 9212).
La tesi espressa dal Comune, secondo cui l’incompletezza della
documentazione (collaudo e frazionamento) avrebbe impedito la formazione del
certificato d’agibilità per silenzio–assenso, interrompendo il decorso del
tempo, si pone completamente al di fuori dello schema normativo, pretendendo
di introdurre una causa interruttiva dello “spatium deliberandi” concesso
all’ente, diversa dall’unica espressamente prevista, nonché del tutto
arbitraria.
Di tanto, del resto, è consapevole lo stesso redattore del provvedimento
gravato, dal momento in cui lo stesso ha affermato quanto segue: “Ritenuto
che se pure l’agibilità venga intesa come attestata ai sensi di legge, la
stessa è da intendersi annullata in quanto mancante di un elemento
essenziale (…) costituito dalla mancata sistemazione e cessione al Comune
della detta strada, in assenza della quale non potevano completarsi i lavori
che hanno poi portato alla richiesta di agibilità”.
Quindi lo stesso Comune è perfettamente consapevole che nella specie s’è
formato il silenzio–assenso sulla richiesta di agibilità, ma ritiene di
poter superare il problema, considerando lo stesso provvedimento di diniego
come un annullamento d’ufficio del certificato d’agibilità, ormai scaturito
dall’atteggiamento inerte dell’ente, per il tempo prescritto dalla legge.
Ora, in disparte che l’annullamento, in tal modo disposto, in quanto
provvedimento di secondo grado, avrebbe evidentemente richiesto
l’adempimento delle garanzie partecipative prescritte dalla legge, come pure
correttamente obiettato dalla società ricorrente, giusta l’orientamento
giurisprudenziale assolutamente prevalente in materia d’annullamento
d’ufficio, ribadito anche con specifico riferimento al caso di specie (“È
illegittimo l’annullamento d’ufficio del certificato provvisorio di
agibilità, in caso di mancata comunicazione dell’avvio del relativo
procedimento" – TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, 24.05.2012, n. 1055),
rileva il Tribunale che è il presupposto di fondo del provvedimento
impugnato ad essere illegittimo.
L’agibilità, conseguita “per silentium” dalla ricorrente, poteva essere
oggetto di annullamento, previa attivazione di un procedimento di secondo
grado, con la garanzia dei prescritti adempimenti partecipativi, soltanto
ove fosse stato ritenuto carente il profilo igienico–sanitario degli
immobili realizzati.
S’è infatti affermato: “Il procedimento di rilascio del certificato di
agibilità, disciplinato dall’art. 25 d.P.R. n. 380 del 2001, si articola
sulla base dei seguenti principi fondamentali: 1) il procedimento deve
essere concluso nel termine di 30 giorni dalla ricezione della domanda di
rilascio del certificato di agibilità o di 60 giorni (nel caso in cui il
ricorrente si sia avvalso della possibilità di sostituire con
autocertificazione il parere dell’Asl); 2) il decorso del termine per la
definizione del procedimento, importa la formazione del silenzio–assenso
sull’istanza di rilascio del certificato di agibilità; 3) il termine del
procedimento può essere interrotto una sola volta dal responsabile del
procedimento, entro quindici giorni dalla domanda, esclusivamente per la
richiesta di documentazione integrativa, che non sia già nella disponibilità
dell’amministrazione o che non possa essere acquisita autonomamente; in tal
caso, il termine per la conclusione del procedimento ricomincia a decorrere
dalla data di ricezione della documentazione integrativa; 4) il rilascio del
certificato di agibilità non impedisce l’esercizio del potere di dichiarata
inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell’art. 26 d.P.R.
n. 380 del 2001” (TAR Lazio-Roma, Sez. II, 10.01.2012, n. 178).
La disposizione da ultimo citata recita, in particolare, quanto segue: “Il
rilascio del certificato di agibilità non impedisce l’esercizio del potere
di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi
dell’articolo 222 del regio decreto 27.07.1934, n. 1265”.
La norma testé richiamata stabilisce, a sua volta: “Il podestà, sentito
l’ufficiale sanitario o su richiesta del medico provinciale, può dichiarare
inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo
sgombero”.
Ne risulta quindi confermato che sono soltanto le “ragioni igieniche”, non
altre, a poter determinare la dichiarazione d’inagibilità, ovvero, per
tornare alla specie, a poter eventualmente giustificare l’annullamento
d’ufficio di un certificato d’agibilità, formatosi secondo il meccanismo autorizzativo tacito, configurato dall’art. 25 d.P.R. 380/2001.
Ragioni diverse, e segnatamente motivi impingenti nella disciplina
urbanistica dell’area ovvero nella legittimità del titolo “ad aedificandum”
rilasciato, non possono venire proprio in considerazione.
Tanto, del resto, è stato espressamente rilevato dalla giurisprudenza, che
ha osservato quanto segue: “Il procedimento volto ad accertare l’abitabilità
o l’agibilità di un immobile presuppone che il Comune abbia già riscontrato
l’utilizzabilità ai fini edificatori dell’area interessata dal progetto –attraverso il rilascio della concessione edilizia ad edificare sull’area
medesima– e la conformità del progetto medesimo con la normativa
urbanistica vigente; da ciò consegue che eventuali problematiche attinenti
alla disciplina urbanistica dell’area ed alla legittimità o meno della
concessione edilizia a suo tempo rilasciata non possono essere risolte in
sede di rilascio dell’autorizzazione all’agibilità dei locali realizzati,
potendosi in tale occasione solo eventualmente rilevare l’illegittimità
della concessione edilizia, in vista del suo annullamento d’ufficio, qualora
ne ricorrano i presupposti” (TAR Sardegna, 18.09.2002, n. 1275).
In conformità a tali considerazioni il ricorso deve trovare accoglimento,
con assorbimento delle altre doglianze ed annullamento del provvedimento
impugnato, fatte salve eventuali ulteriori determinazioni
dell’Amministrazione, nei sensi testé esposti.
Né può essere accolta la richiesta di sospensione del presente giudizio, per
attendere l’esito del procedimento penale per lottizzazione abusiva, sorto
con riferimento all’area oggetto dell’intervento edilizio “de quo”, posto
che tra la “res in iudicium deducta” e il suddetto procedimento penale non
si ravvisa, secondo il Collegio, un nesso di pregiudizialità necessaria
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 07.01.2013 n. 21 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
M. Grisanti,
SCIA, DIA alternativa e certificato di agibilità (link a
www.lexambiente.it). |
anno 2012 |
|
ATTI
AMMINISTRATIVI: La
conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie
costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo
rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli
artt. 24, comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001 e 35, comma 20, L.
n. 47 del 1985; del resto, risponde ad un evidente principio
di ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per
qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale
contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi
alla cui protezione è preordinata la disciplina
urbanistico-edilizia.
Ne consegue che il meccanismo del silenzio-ssenso non può
essere invocato allorché, come nel caso in questione, manchi
il presupposto stesso per il rilascio del certificato di
agibilità, costituito, come evidenziato, dal carattere non
abusivo del fabbricato in relazione al quale sia stata
presentata l''istanza tesa ad ottenere il certificato
menzionato.
Il collegio al riguardo
osserva che il procedimento di rilascio del certificato di
agibilità, disciplinato dall'art. 25 d.P.R. n. 380 del 2001,
si articola sulla base dei seguenti principi fondamentali:
1) il procedimento deve essere concluso nel termine di 30
giorni dalla ricezione della domanda di rilascio del
certificato di agibilità o di 60 giorni (nel caso in cui il
ricorrente si sia avvalso della possibilità di sostituire
con autocertificazione il parere dell'Asl);
2) il decorso
del termine per la definizione del procedimento, importa la
formazione del silenzio-assenso sull'istanza di rilascio
del certificato di agibilità;
3) il termine del procedimento
può essere interrotto una sola volta dal responsabile del
procedimento, entro quindici giorni dalla domanda,
esclusivamente per la richiesta di documentazione
integrativa, che non sia già nella disponibilità
dell'amministrazione o che non possa essere acquisita
autonomamente; in tal caso, il termine per la conclusione
del procedimento ricomincia a decorrere dalla data di
ricezione della documentazione integrativa;
4) il rilascio
del certificato di agibilità non impedisce l'esercizio del
potere di dichiarata inagibilità di un edificio o di parte
di esso ai sensi dell'art. 26 d.P.R. n. 380 del 2001.
Peraltro va evidenziato che nell’ipotesi di specie non
solo non sussistevano i presupposti per la formazione del
silenzio-assenso, ma come il provvedimento risulti
legittimamente e sufficiente motivato con il richiamo alla
illegittimità urbanistica dell’immobile per cui è causa, in
quanto interessato da opere abusive in relazione alle quali
era intervenuto provvedimento di diniego di condono o in
relazione alle quali il procedimento di condono era ancora
pendente (con la conseguenza che le stesse, fino
all’accoglimento delle relative istanze, devono considerarsi
ancora abusive).
La recente giurisprudenza del Consiglio di Stato ha
infatti avuto modo di osservare che "la conformità dei
manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il
presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del
certificato di agibilità, come si evince dagli artt. 24,
comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001 e 35, comma 20, L. n. 47 del
1985; del resto, risponde ad un evidente principio di
ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per
qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale
contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi
alla cui protezione è preordinata la disciplina urbanistico-edilizia" (cfr. Consiglio Stato, V, 30.04.2009, n.
2760; in senso analogo TAR Puglia Lecce Sez. III, Sent.,
01-08-2012, n. 1447).
Ne consegue che il meccanismo del silenzio-ssenso non
può essere invocato allorché, come nel caso in questione,
manchi il presupposto stesso per il rilascio del certificato
di agibilità, costituito, come evidenziato, dal carattere
non abusivo del fabbricato in relazione al quale sia stata
presentata l''istanza tesa ad ottenere il certificato
menzionato (TAR Catanzaro Calabria sez. II, 09.07.2011, n.
1009)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 21.12.2012 n. 5293 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il
certificato di agibilità non può essere rilasciato per
fabbricati abusivi e non condonati, essendo presupposto
indefettibile per detto rilascio la conformità dei manufatti
alle norme urbanistico edilizie vigenti; consegue che il
meccanismo del silenzio-assenso non può essere invocato
allorché manchi il presupposto stesso per il rilascio del
certificato di agibilità, costituito dal carattere non
abusivo del fabbricato in relazione al quale sia stata
presentata l'istanza tesa ad ottenere il certificato
menzionato.
Il Collegio
aderisce, infatti, all’orientamento giurisprudenziale
secondo il quale “ai sensi degli art. 24, comma 3, d.P.R.
06.06.2001 n. 380 e 35, comma 20, l. 28.02.1985 n. 47, il
certificato di agibilità non può essere rilasciato per
fabbricati abusivi e non condonati, essendo presupposto
indefettibile per detto rilascio la conformità dei manufatti
alle norme urbanistico edilizie vigenti; consegue che il
meccanismo del silenzio assenso non può essere invocato
allorché manchi il presupposto stesso per il rilascio del
certificato di agibilità, costituito dal carattere non
abusivo del fabbricato in relazione al quale sia stata
presentata l'istanza tesa ad ottenere il certificato
menzionato” (TAR Calabria, Catanzaro, sez. II,
09.07.2011, n. 1009, Consiglio Stato, sez. V, 30.04.2009, n.
2760, TAR Campania, Napoli, sez. VI, 24.09.2007 n. 8271 e
28.09.2007 n. 8582) (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza
11.12.2012 n. 5073 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 24, I co, del T.U. n. 380/2001 il certificato di agibilità
attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, ma
tale accertamento ha proprio l’integrale conformità delle opere realizzate
al progetto approvato come presupposto giuridico di ammissibilità
dell’istanza stessa alla successiva istruttoria di merito.
Sicché, appaiono assolutamente erronei i precedenti dei TAR (isolati e
comunque i risalenti nel tempo) per i quali il certificato di agibilità
sarebbe finalizzato solo al controllo di tipo igienico-sanitario, con
esclusione di qualsiasi riferimento alla conformità dell’edificio al
progetto approvato.
In tale scia, si deve poi annotare che la sentenza impugnata richiama in
modo assolutamente fuorviante la decisione della Sez. V di questo Consiglio
Stato 30.04.2009 n. 2760, che afferma esattamente il contrario di quanto il
TAR vorrebbe fargli dire. In tale sentenza, infatti, si specifica
testualmente che è:
- ”… la stessa legge ad individuare, nella necessaria conformità
dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie, il presupposto indispensabile
per il legittimo rilascio del suddetto certificato.
- … Ancor prima della logica giuridica è d'altronde la
ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualunque
destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico-edilizia
e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi
collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata (corretto uso
del suolo, difesa dell'ambiente, salubrità degli abitati, sicurezza e
stabilità delle costruzioni, ecc.)”.
---------------
L’istituto dell’abitabilità per le residenze e dell’agibilità per gli usi
non abitativi, originariamente introdotto con l’art. 221 del R.D.
27.07.1934, n. 1265 (T.U. Leggi Sanitarie), era diretta ad accertare che “…che
la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che
i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause
di insalubrità”.
Tale disposizione, fu confermata dalla norma di semplificazione
procedimentale di cui all’art. 4 del D.P.R. 22.04.1994, n. 425 (abrogato
dall'art. 136, comma 2, d.p.r. n. 380/2001) per cui “...il direttore dei
lavori che deve certificare, sotto la propria responsabilità, la conformità
rispetto al progetto approvato, l'avvenuta prosciugatura dei muri e la
salubrità degli ambienti”.
Il precetto è stato infine riprodotto nell’art. 25, lett. b), che pone, tra
i presupposti necessari dell’istanza di agibilità, la necessaria allegazione
di una … “dichiarazione sottoscritta dallo stesso richiedente il
certificato di agibilità, di conformità dell'opera rispetto al progetto
approvato”.
Pertanto, ai sensi dell’art. 24, I co, del T.U. n. 380/2001 il certificato
di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene,
salubrità, ma tale accertamento ha proprio l’integrale conformità delle
opere realizzate al progetto approvato come presupposto giuridico di
ammissibilità dell’istanza stessa alla successiva istruttoria di merito.
In ragione della lettera delle disposizioni sopra ricordate, appaiono
assolutamente erronei i precedenti dei TAR (isolati e comunque i risalenti
nel tempo) per i quali il certificato di agibilità sarebbe finalizzato solo
al controllo di tipo igienico-sanitario, con esclusione di qualsiasi
riferimento alla conformità dell’edificio al progetto approvato.
In tale scia, si deve poi annotare che la sentenza impugnata richiama in
modo assolutamente fuorviante la decisione della Sez. V di questo Consiglio
Stato 30.04.2009 n. 2760, che afferma esattamente il contrario di quanto il
TAR vorrebbe fargli dire. In tale sentenza, infatti, si specifica
testualmente che è:
- ”… la stessa legge ad individuare, nella necessaria conformità
dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie, il presupposto indispensabile
per il legittimo rilascio del suddetto certificato.
- … Ancor prima della logica giuridica è d'altronde la
ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualunque
destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico-edilizia
e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi
collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata (corretto uso
del suolo, difesa dell'ambiente, salubrità degli abitati, sicurezza e
stabilità delle costruzioni, ecc.)” (così la sentenza n. 2760 cit.).
Del tutto inconferente al presente contendere è al riguardo anche il
riferimento nella sentenza all’art. 26 del T.U.E.D., secondo cui il rilascio
del certificato di agibilità non impedisce l’esercizio del potere
dell’Amministrazione di dichiarazione di inagibilità.
Tale disposizione è infatti manifestamente diretta all’ipotesi che
successivamente si verifichi il venir meno dei requisiti igienico-sanitari
previsti dall’art. 222 r.d. 27.07.1934, n. 1265: si tratta dunque di una
norma di ordine pubblico che non ha rilievo procedimentale, ma carattere
sostanziale, essendo finalizzata alla successiva tutela degli interessi
generali alla sicurezza ed alla salubrità degli immobili.
Quanto al secondo profilo erroneamente il TAR afferma, a fondamento della
sua decisione, che si dovrebbe distinguere tra i “due aspetti, quello
pubblicistico e quello privatistico” e che comunque “… il mancato
completamento delle opere di urbanizzazione riguarda profili di natura
contrattuale non incidenti sugli aspetti di sicurezza e igienico-sanitari e
sulla formazione del silenzio assenso riguardo la domanda di agibilità.”
Esattamente l’appellante afferma, infatti, che l’accertamento della piena
conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie ed alle
prescrizioni del permesso di costruire (ma anche, come si vedrà, alle
disposizioni della convenzione urbanistica) costituisce il presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità.
In conseguenza ha ragione Ve. quando contesta il presupposto logico e
giuridico delle affermazioni che il TAR ha posto a fondamento della ritenuta
formazione del silenzio-assenso
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.10.2012 n. 5450 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
P. Carbone,
Il certificato di agibilità nella contrattazione immobiliare
(03.09.2012 - link a www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie
costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo
rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli
artt. 24, comma 3, d.p.r. n. 380/2001 e 35, comma 20, l. n.
47/1985; del resto, risponde ad un evidente principio di
ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per
qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale
contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi
alla cui protezione è preordinata la disciplina
urbanistico-edilizia”.
Se pure non si condividesse questo orientamento, ritenendosi
preferibile la giurisprudenza secondo cui deve prescindersi
dalla conformità dell’opera alla disciplina urbanistica e
deve tenersi conto, al fine del rilascio del certificato di
agibilità da parte del Comune, dei soli elementi del
progetto di intervento edilizio incidenti sui profili
igienico sanitari, deve ritenersi la necessità del
certificato di agibilità per ogni uso di un immobile che
comporti la frequentazione da parte delle persone, attese le
finalità di evitare danni alle persone che si intrattengono
nei locali privi di agibilità che, non essendo stati
sottoposti a specifico controllo, potrebbero non presentare
le dovute caratteristiche in termini di sicurezza,
igienicità, salubrità, aerazione.
Quanto, poi, all’ordinanza n. 7, con cui si
vietava al ricorrente lo svolgimento della propria attività
lavorativa nei locali in parola, in quanto privi del
certificato di agibilità, il Tribunale osserva come <<la
recente giurisprudenza del Consiglio di Stato [abbia] avuto
modo di osservare che “la conformità dei manufatti alle
norme urbanistico-edilizie costituisce il presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di
agibilità, come si evince dagli artt. 24, comma 3, d.p.r. n.
380/2001 e 35, comma 20, l. n. 47/1985; del resto, risponde
ad un evidente principio di ragionevolezza escludere che
possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un
fabbricato in potenziale contrasto con la tutela del fascio
di interessi collettivi alla cui protezione è preordinata la
disciplina urbanistico-edilizia” (cfr. Consiglio Stato, V,
30.04.2009, n. 2760).
Se pure non si condividesse questo orientamento, ritenendosi
preferibile la giurisprudenza secondo cui deve prescindersi
dalla conformità dell’opera alla disciplina urbanistica e
deve tenersi conto, al fine del rilascio del certificato di
agibilità da parte del Comune, dei soli elementi del
progetto di intervento edilizio incidenti sui profili
igienico sanitari (cfr. Consiglio Stato, V, 04.02.2004,
n. 365), deve ritenersi la necessità del certificato di
agibilità per ogni uso di un immobile che comporti la
frequentazione da parte delle persone, attese le finalità di
evitare danni alle persone che si intrattengono nei locali
privi di agibilità che, non essendo stati sottoposti a
specifico controllo, potrebbero non presentare le dovute
caratteristiche in termini di sicurezza, igienicità,
salubrità, aerazione>> (Tar Calabria Catanzaro, II, 22.11.2011, n. 1398).
L’ordinanza n. 7 in questione, dunque, relativa a locali
appunto ‘aperti’ alla pubblica frequentazione,
costituiva una diretta conseguenza del riscontro
dell’abusività delle opere in oggetto
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 01.08.2012 n. 1447 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
legittimo il diniego del certificato di
agibilità, ai sensi degli articoli 24 e 25
del DPR 380/2001, in caso di violazioni
della normativa urbanistica ed edilizia.
Parimenti infondate sono le doglianze
contro la nota comunale del 21.04.2011 di
diniego dell’agibilità, sia alla luce di
quanto sin d’ora esposto, sia tenendo conto
dell’indirizzo giurisprudenziale, al quale
si ritiene di aderire, per il quale è
legittimo il diniego del certificato di
agibilità, ai sensi degli articoli 24 e 25
del DPR 380/2001, in caso di violazioni
della normativa urbanistica ed edilizia
(cfr. TAR Friuli Venezia Giulia, 30.04.2012,
n. 146, che richiama in motivazione, TAR
Lombardia, Milano, sez. II, n. 332 del
10.02.2010)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
27.07.2012 n.
2146 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sicurezza degli impianti.
Agibilità, mancanza senza presunzione di
pericoli dell'attività produttiva.
La mancanza del certificato di agibilità
nell’immobile occupato dalla società non
autorizza affatto l’operatività di
meccanismi presuntivi deponenti nel senso
della esistenza di un’effettiva situazione
di pericolo.
A seguito di sopralluogo del Comando di
Polizia municipale il Dirigente del SUAP del
Comune disponeva la sospensione
dell’attività produttiva nell’immobile
occupato dalla società, in quanto privo del
certificato di agibilità ai sensi dell’art.
24 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, al fine
di salvaguardare la pubblica e privata
incolumità.
Avverso tale provvedimento ha proposto
ricorso al Tribunale Amministrativo
Regionale la s.r.l. chiedendone
l’annullamento, previa concessione di idonee
misure cautelari;
- innanzitutto, è stata dedotto il difetto
di motivazione in merito alla sussistenza
del presupposto dell’urgenza di provvedere;
da tanto conseguirebbe l’omessa attivazione
delle garanzie partecipative sancite dalla
legge 07.08.1990 n. 241;
- con il secondo motivo è stato evidenziato
che la ricorrente in data 10.03.2009
aveva presentato istanza per il rilascio del
certificato di agibilità, sulla quale,
anteriormente all’adozione del provvedimento
impugnato, si era formato il
silenzio-assenso di cui all’art. 25 del
d.p.r. 06.06.2001 n. 380.
In terzo luogo, è stata lamentata la mancata
rappresentazione di concrete ragioni di
pubblico interesse in merito alla
sospensione dell’attività, in considerazione
del lungo lasso di tempo trascorso rispetto
all’inizio dell’attività industriale della
società ricorrente.
- Con il quarto motivo è stato evidenziato
che, in caso di mancato rilascio del
certificato di agibilità, sarebbe
applicabile solamente una sanzione
pecuniaria e non anche misure di tipo
sospensivo;
- con la quinta censura è stato lamentato
l’illegittimo richiamo nel provvedimento
impugnato all’art. 26 del regolamento
edilizio del Comune, norma da ritenersi
abrogata dall’art. 136, secondo comma del
d.p.r. 06.06.2001 n. 380;
- infine, la norma de qua, al comma nono,
farebbe riferimento solo ad insediamenti
abitativi e non anche quelli a destinazione
industriale come quello in esame.
Il provvedimento impugnato presenta tutte le
caratteristiche proprie dell’esercizio del
potere di ordinanza di necessità ed urgenza,
avendo disposto la sospensione ad horas
di tutte le attività produttive che
interessano l’immobile in quanto privo del
certificato di agibilità.
E' stata contestata, da un lato la mancata
motivazione in ordine all’urgenza di
provvedere ed alla rappresentazione
dell’esistenza di un pericolo determinato,
dall’altro, di conseguenza, l’ingiustificata
omissione delle necessarie garanzie
partecipative.
Né da tali elementi si potrebbe in qualche
modo prescindere per il solo fatto della
mancanza del certificato di agibilità, dal
momento che tale condizione non autorizza
affatto l’operatività di meccanismi
presuntivi deponenti nel senso della
esistenza di un’effettiva situazione di
pericolo (commento tratto da www.ipsoa.it -
TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 11.07.2012 n.
3340 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il certificato di abitabilità certifica
l'idoneità dell’immobile o di sua porzione ad essere adibita
ad uso abitativo.
Tale idoneità viene riscontrata verificando la statica
dell'edificio e la sua salubrità ed accertando che siano
soddisfatti alcuni criteri principalmente riguardanti la
distribuzione dei vani e le rispettive volumetrie, nonché
consistenza, dislocamento e funzionalità degli impianti
essenziali quali, quello idrico e fognario (in tempi recenti
alle verifiche da effettuarsi in base al TU n. 1265 del
1934, si sono aggiunte quelle relative alle nuove normative
di sicurezza, antinfortunistica, accessibilità e risparmio
idrico ed energetico, anche in recepimento di normativa
comunitaria).
Trattasi di procedura essenzialmente declaratoria.
Il certificato va richiesto per le nuove costruzioni e per
gli interventi di ricostruzione o sopraelevazione totali o
parziali, nonché per interventi sugli edifici esistenti che
possano influire sulle condizioni originarie.
L'obbligo di tale certificato, introdotto con il Regio
decreto 27.07.1934, n. 1265, successivamente modificato e
sostituito dal d.p.r. 22.04.1994, n. 425, da ultimo è
disciplinato dal d.p.r. 06.06.2001, n. 380.
---------------
Nell’ambito della disciplina generale su richiamata si
inserisce con carattere di specialità, il terzultimo comma
dell’art. 35 della l. 28.02.1985, n. 47 che per gli immobili
oggetto di condono edilizio, stabilisce che “a seguito della
concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì
rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche
in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari,
qualora le opere non contrastino con le disposizioni vigenti
in materia di sicurezza statica e di prevenzione degli
incendi e degli infortuni”.
Ciò posto, poiché le altezze degli ambienti risultano
fissate da norme regolamentari, le eventuali difformità
dell’altezza dei vani dalle altezze standard, ove l’opera
sia stata condonata, non impediscono il rilascio del
certificato di abitabilità, dovendosi presumere che
contestualmente al rilascio della concessione in sanatoria
sia stata valutata la compatibilità delle altezze con l’uso
abitativo dell’opera oggetto di condono.
Il certificato di abitabilità, come è noto, certifica
l'idoneità dell’immobile o di sua porzione ad essere adibita
ad uso abitativo.
Tale idoneità viene riscontrata verificando la statica
dell'edificio e la sua salubrità ed accertando che siano
soddisfatti alcuni criteri principalmente riguardanti la
distribuzione dei vani e le rispettive volumetrie, nonché
consistenza, dislocamento e funzionalità degli impianti
essenziali quali, quello idrico e fognario (in tempi recenti
alle verifiche da effettuarsi in base al TU n. 1265 del
1934, si sono aggiunte quelle relative alle nuove normative
di sicurezza, antinfortunistica, accessibilità e risparmio
idrico ed energetico, anche in recepimento di normativa
comunitaria).
Trattasi di procedura essenzialmente declaratoria.
Il certificato va richiesto per le nuove costruzioni e per
gli interventi di ricostruzione o sopraelevazione totali o
parziali, nonché per interventi sugli edifici esistenti che
possano influire sulle condizioni originarie.
L'obbligo di tale certificato, introdotto con il Regio
decreto 27.07.1934, n. 1265, successivamente modificato e
sostituito dal d.p.r. 22.04.1994, n. 425, da ultimo è
disciplinato dal d.p.r. 06.06.2001, n. 380.
Nell’ambito della disciplina generale su richiamata si
inserisce con carattere di specialità, il terzultimo comma
dell’art. 35 della l. 28.02.1985, n. 47 che per gli immobili
oggetto di condono edilizio, stabilisce che “a seguito
della concessione o autorizzazione in sanatoria viene
altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità
anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari,
qualora le opere non contrastino con le disposizioni vigenti
in materia di sicurezza statica e di prevenzione degli
incendi e degli infortuni”.
Ciò posto, poiché le altezze degli ambienti risultano
fissate da norme regolamentari, le eventuali difformità
dell’altezza dei vani dalle altezze standard, ove l’opera
sia stata condonata, non impediscono il rilascio del
certificato di abitabilità, dovendosi presumere che
contestualmente al rilascio della concessione in sanatoria
sia stata valutata la compatibilità delle altezze con l’uso
abitativo dell’opera oggetto di condono (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 05.07.2012 n. 3942 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza è in parte orientata nel
ritenere che il rilascio dell’agibilità
debba aver riguardo non solo alla regolarità
igienico-sanitaria dell’edificio, ma anche
alla sua conformità urbanistico-edilizia.
Ancor prima della logica giuridica è
d'altronde la ragionevolezza ad escludere
che possa essere utilizzato, per qualunque
destinazione, un fabbricato non conforme
alla normativa urbanistico-edilizia e, come
tale, in potenziale contrasto con la tutela
degli interessi collettivi alla cui
protezione quella disciplina è preordinata
(corretto uso del suolo, difesa
dell'ambiente, salubrità degli abitati,
sicurezza e stabilità delle costruzioni,
ecc.).
In primo luogo deve rilevarsi che l’art. 221
del T.U. delle Leggi Sanitarie è stato
abrogato, a decorrere dal 30.06.2003,
dall’articolo 136, comma 2, lettera a), del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, come
modificato dall’articolo 3 del D.L. 20.06.2002, n. 122.
L’attuale disciplina del certificato di
agibilità è contenuta agli artt. 24, 25 e 26
del T.U. 380/2001, e la giurisprudenza, come
chiarito al capo precedente della presente
sentenza, è in parte orientata nel ritenere
che il rilascio dell’agibilità debba aver
riguardo non solo alla regolarità
igienico-sanitaria dell’edificio, ma anche
alla sua conformità urbanistico-edilizia
(Cons. St., sez. V, 30.04.2009, n. 2760;
id., 03.02.2000, n. 592; Tar Calabria,
sez. II, 22.11.2011 n. 1398 e 09.07.2011 n. 1009).
Pur dando atto dell’esistenza di
giurisprudenza, anche recente, di segno
opposto (cfr., tra le più recenti, Tar
Lazio, sez. II-bis, 23.11.2011 n.
9212), il collegio rileva come sia la stessa
legge ad individuare, nella necessaria
conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie, il presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del
suddetto certificato.
In tal senso depongono sia l'art. 24, comma
3, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (“... il
soggetto titolare del permesso di costruire
... (è) tenut(o) a chiedere il certificato
di agibilità”) sia, con specifico
riferimento alla normativa sul condono,
l'art. 35, comma 20, della L. 28.02.1985, n. 47 (“A seguito della concessione
... in sanatoria viene altresì rilasciato il
certificato di ... agibilità”).
Ancor prima della logica giuridica è
d'altronde la ragionevolezza ad escludere
che possa essere utilizzato, per qualunque
destinazione, un fabbricato non conforme
alla normativa urbanistico-edilizia e, come
tale, in potenziale contrasto con la tutela
degli interessi collettivi alla cui
protezione quella disciplina è preordinata
(corretto uso del suolo, difesa
dell'ambiente, salubrità degli abitati,
sicurezza e stabilità delle costruzioni,
ecc.).
Tali ragionamenti possono perfettamente
applicarsi anche al tempo in cui il ricorso
è stato presentato, e, quindi, vigente
l’art. 221 T.U. Leggi Sanitarie.
Pertanto non coglie nel segno il motivo
rivolto a censurare il provvedimento di
autotutela, sotto il profilo della mancanza
di collegamento tra il certificato di
agibilità e l’assenza dei presupposti di
legittimità urbanistico-edilziia del
fabbricato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 24.05.2012 n. 1055 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Le
richieste di integrazione documentale sono
idonee per arrestare l'iter del procedimento
e quindi assumono, per questi aspetti,
natura provvedimentale. Nel caso in esame la
fattispecie risulta espressamente
disciplinata dall’art. 25, comma 5, del DPR n.
380/2001 per cui, a fronte della legale
interruzione del termine di conclusione del
procedimento, non può certo parlarsi di
illegittima inerzia dell’amministrazione.
Di conseguenza, qualora l'interessato le
consideri illegittime e lesive dei propri
interessi, dovrà contestarle con autonoma
impugnazione, chiedendone l’annullamento
attraverso le forme del rito ordinario,
senza possibilità di attivare il rito
speciale di cui all’art. 21-bis della Legge
n. 1034/1971 applicabile solo di fronte al
silenzio ingiustificato
dell'amministrazione.
---------------
L’art. 24, comma 1, del DPR n. 380/2001,
stabilisce che il certificato di agibilità
attesta la sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti
negli stessi installati, valutate secondo
quanto dispone la normativa vigente. Di
conseguenza le verifiche demandate alla
pubblica amministrazione non si esauriscono
con la sola ispezione dell'edificio (tra
l'altro meramente eventuale) ai sensi
dell’art. 25, comma 3, del predetto DPR n.
380/2001, ma comprendono accertamenti e
valutazioni ben più ampie che non possono
essere svolte senza la necessaria
documentazione.
I ricorrenti denunciano un
preteso silenzio-inadempimento del Comune di Montelupone nel rilascio del certificato di
agibilità richiesto con istanza in data
02.07.2009 relativamente all'edificio di
proprietà degli stessi.
In punto di fatto il Collegio osserva che
l’Amministrazione comunale ha sempre
risposto alle istanze dei ricorrente,
seppure reiterando le richieste di
integrazione documentale considerate
indispensabili per la conclusione del
procedimento.
Non si può quindi sostenere che l’Ente sia
rimasto inerte. Pare invece emergere una
situazione di stallo, poiché entrambe le
parti si sono arroccate sulle loro posizioni
dando luogo a circostanze ben diverse da
quelle del silenzio (nell'arco di quattro
mesi si contano, infatti, ben otto missive
scambiate tra le stesse parti).
In punto di diritto va osservato che le
richieste di integrazione documentale sono
idonee per arrestare l'iter del procedimento
e quindi assumono, per questi aspetti,
natura provvedimentale. Nel caso in esame la
fattispecie risulta espressamente
disciplinata dall’art. 25, comma 5, del DPR n.
380/2001 per cui, a fronte della legale
interruzione del termine di conclusione del
procedimento, non può certo parlarsi di
illegittima inerzia dell’amministrazione.
Di conseguenza, qualora l'interessato le
consideri illegittime e lesive dei propri
interessi, dovrà contestarle con autonoma
impugnazione, chiedendone l’annullamento
attraverso le forme del rito ordinario,
senza possibilità di attivare il rito
speciale di cui all’art. 21-bis della Legge
n. 1034/1971 applicabile solo di fronte al
silenzio ingiustificato
dell'amministrazione.
Del resto va osservato che le richieste
istruttorie dell'Amministrazione si fondano
su specifiche disposizioni che disciplinano
la documentazione da allegare all’istanza
(cfr. art. 24, comma 4, e art. 25, commi 1 e 3,
del DPR n. 380/2001), comprese quelle del
Regolamento edilizio comunale; prescrizioni
che non risultano essere contestate, per cui
non possono rilevarsi eventuali intenti
elusivi dell'obbligo, in capo al Comune, di
pronunciarsi sull'istanza.
L’art. 24, comma 1, del DPR n. 380/2001,
stabilisce che il certificato di agibilità
attesta la sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti
negli stessi installati, valutate secondo
quanto dispone la normativa vigente. Di
conseguenza le verifiche demandate alla
pubblica amministrazione non si esauriscono
con la sola ispezione dell'edificio (tra
l'altro meramente eventuale) ai sensi
dell’art. 25, comma 3, del predetto DPR n.
380/2001, come pretendono i ricorrenti, ma
comprendo, come si è visto, accertamenti e
valutazioni ben più ampie che non possono
essere svolte senza la necessaria
documentazione.
L’onere di allegare la prescritta
documentazione grava, ovviamente, sui
soggetti legittimati alla richiesta del
certificato in questione, tra cui, a norma
dell'art. 24, comma 3, del DPR n. 380/2001,
gli “aventi causa” del titolare del permesso
di costruire (come i ricorrenti). Di
conseguenza, se i Sigg. Baldoni e Santone
sono certamente legittimati a chiedere il
rilascio del certificato di agibilità, in
qualità di soggetti “aventi causa”, sono
anche onerati dal produrre tutta la
necessaria documentazione che non è stata
prodotta dal loro “dante causa” a questo
fine
(TAR Marche,
sentenza 11.05.2012 n. 334 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Certificato di agibilità. Diniego
con riferimento a violazioni della normativa
urbanistica.
E’ da ritenere legittimo, ai sensi artt. 24
e 25 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380, il
diniego di rilascio del certificato
agibilità, motivato con riferimento a
violazioni della normativa urbanistica o
edilizia (1).
---------------
(1) Nella motivazione della sentenza in
rassegna si ammette lealmente che esistono
in giurisprudenza differenti orientamenti,
quanto alla legittimità del diniego di
certificato di agibilità per ragioni
esclusivamente o prevalentemente
urbanistico/edilizie ovvero per pendenza di
procedimenti sanzionatori.
Tali differenti orientamenti, secondo la
sentenza stessa, riflettono una ambiguità di
fondo degli artt. 24 e 25 del d.P.R.
380/2001; mentre infatti l’art. 24 cit.
stabilisce che "il certificato di agibilità
attesta la sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti
negli stessi installati, valutate secondo
quanto dispone la normativa vigente" (e
quindi pare renderlo del tutto indipendente
dal rapporto che il manufatto ha con la
disciplina urbanistica), tuttavia il
successivo art. 26 impone che tra la
documentazione presentata vi sia anche una
"dichiarazione, sottoscritta dallo stesso
richiedente il certificato di agibilità, di
conformità dell’opera rispetto al progetto
approvato, nonché in ordine alla avvenuta
prosciugatura dei muri e della salubrità
degli ambienti" (il che può far, invece,
ritenere che la mancata conformità di quanto
edificato al relativo progetto -e, quindi,
anche alle norme che disciplinano
l’edificabilità nella zona- sia, di per sé,
ostativa al rilascio dell’abitabilità.
La non perfetta coerenza delle due norme ha
portato quindi:
a) a decisioni che negano la rilevanza di
tali motivazioni (si veda, per tutti: TAR
Liguria, Sez. I, n. 1754/2011, secondo cui,
"essendo finalizzato –il certificato di
agibilità– al controllo di tipo
igienico-sanitario ed escludendo qualsiasi
riferimento alla conformità dell’edificio al
progetto approvato, non assume alcun rilievo
sotto il profilo urbanistico-edilizio, onde
la pendenza di un procedimento repressivo
edilizio di per sé non costituisce idonea
motivazione di diniego del certificato");
b) a decisioni che ritengono invece corretto
il diniego motivato (prevalentemente o
esclusivamente) con riferimento a violazioni
urbanistiche; v., ad esempio, TAR
Lombardia-Milano n. 332/2010, la quale ha
ritenuto che "l’agibilità possa essere
negata non solo in caso di mancanza di
condizioni igieniche ma anche in caso di
contrasto con gli strumenti urbanistici o
con il titolo edilizio (DIA o permesso di
costruire)", precisando che "a tale
conclusione perviene gran parte della
giurisprudenza (TAR Lazio, n. 4129/2005,
Consiglio di Stato, n. 6174/2008 e n.
1542/2005; TAR Lombardia–Milano, n.
4672/2009), senza contare che questa
interpretazione ha anche un supporto
normativo nell’art. 25, comma 1, del Testo
Unico dell’Edilizia"; dovendo, per
l’appunto, la domanda di agibilità deve
essere corredata anche da una dichiarazione
del richiedente di conformità dell’opera
rispetto al progetto approvato, il che
"significa che in caso di difformità
dell’opera dal progetto edilizio, ma anche
evidentemente in caso di assenza di idoneo
progetto, l’agibilità dovrà essere negata".
Le sentenza in rassegna ha ritenuto di
aderire al questo secondo orientamento.
Ha rilevato in ogni caso che la ricorrente,
nella specie, non aveva un apprezzabile
interesse a lamentare il mancato rilascio
del certificato di agibilità di un manufatto
di cui era stata ordinata la demolizione per
violazione delle norme urbanistiche.
Infatti, se otterrà il titolo a sanatoria,
l’istante potrà riproporre la domanda, alla
quale il Comune risponderà previa
valutazione dei soli requisiti
igienico-sanitari dell’edificio (massima
tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Friuli
Venezia Giulia,
sentenza 30.04.2012 n. 146 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Di per
sé, la mera pendenza di un procedimento
sanzionatorio non è ostativa al rilascio
dell’agibilità, a meno che, come prevede la
legge, non si ravvisino differenze tra
l’autorizzato (o il dichiarato) ed il
realizzato.
Per quanto concerne il diniego di agibilità,
si osserva che le norme di riferimento sono
gli artt. 24 e 25 del D.Lgs. 380/2001; il
primo stabilisce che “il certificato di
agibilità attesta la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità,
risparmio energetico degli edifici e degli
impianti negli stessi installati, valutate
secondo quanto dispone la normativa vigente”,
quindi pare renderlo del tutto indipendente
dal rapporto che il manufatto ha con la
disciplina urbanistica; tuttavia il
successivo art. 26 impone che tra la
documentazione presentata vi sia anche una “dichiarazione,
sottoscritta dallo stesso richiedente il
certificato di agibilità, di conformità
dell’opera rispetto al progetto approvato,
nonché in ordine alla avvenuta prosciugatura
dei muri e della salubrità degli ambienti”,
il che può far, invece, ritenere che la
mancata conformità di quanto edificato al
relativo progetto (e, quindi, anche alle
norme che disciplinano l’edificabilità nella
zona) sia, di per sé, ostativa al rilascio
dell’abitabilità.
La non perfetta coerenza delle due norme ha
portato la giurisprudenza a differenti
soluzioni, quanto alla legittimità del
diniego di certificato di agibilità per
ragioni esclusivamente o prevalentemente
urbanistico/edilizie ovvero per pendenza di
procedimenti sanzionatori; infatti, accanto
a decisioni che negano la rilevanza di tali
motivazioni (si veda, per tutti: TAR Liguria
n. 1754/2011, secondo cui, “essendo
finalizzato -il certificato di agibilità- al
controllo di tipo igienico-sanitario ed
escludendo qualsiasi riferimento alla
conformità dell’edificio al progetto
approvato, non assume alcun rilievo sotto il
profilo urbanistico-edilizio, onde la
pendenza di un procedimento repressivo
edilizio di per sé non costituisce idonea
motivazione di diniego del certificato”),
ve ne sono altre che ritengono corretto il
diniego motivato (prevalentemente o
esclusivamente) con riferimento a violazioni
urbanistiche.
Ad esempio, TAR Lombardia-Milano n.
332/2010, ritiene che “l’agibilità possa
essere negata non solo in caso di mancanza
di condizioni igieniche ma anche in caso di
contrasto con gli strumenti urbanistici o
con il titolo edilizio (DIA o permesso di
costruire)”, precisando che “a tale
conclusione perviene gran parte della
giurisprudenza (TAR Lazio, n. 4129/2005,
Consiglio di Stato, n. 6174/2008 e n.
1542/2005; TAR Lombardia-Milano, n.
4672/2009), senza contare che questa
interpretazione ha anche un supporto
normativo nell’art. 25, comma 1, del Testo
Unico dell'Edilizia”; dovendo, per
l’appunto, la domanda di agibilità deve
essere corredata anche da una dichiarazione
del richiedente di conformità dell'opera
rispetto al progetto approvato, il che “significa
che in caso di difformità dell’opera dal
progetto edilizio, ma anche evidentemente in
caso di assenza di idoneo progetto,
l’agibilità dovrà essere negata”.
Soggiunge poi la decisione che “appare
assurdo che il Comune rilasci l’agibilità a
fronte di un’opera magari palesemente
abusiva e destinata quindi con certezza alla
demolizione, apparendo tale comportamento
dell'Amministrazione contraddittorio
rispetto al perseguimento del pubblico
interesse”, con la conseguenza che “il
diniego di agibilità non può essere reputato
illegittimo per la sola circostanza che è
motivato con riferimento a presunte
violazioni della normativa urbanistica o
edilizia”.
Il Collegio (che condivide questo
orientamento) è dell’avviso che, di per sé,
la mera pendenza di un procedimento
sanzionatorio non sia ostativa al rilascio
dell’agibilità, a meno che, come prevede la
legge, non si ravvisino differenze tra
l’autorizzato (o il dichiarato) ed il
realizzato, come è nel presente caso, ove la
DIA rappresentava cose diverse rispetto a
quanto poi (in pretesa applicazione delle
norme sull’edilizia libera) di fatto è stato
posto in essere.
Il diniego di agibilità, a tenore del citato
art. 25, appare pertanto correttamente
emesso, anche trascurando di considerare che
la ricorrente non pare avere un apprezzabile
interesse a lamentare il mancato rilascio
del certificato di agibilità di un manufatto
di cui è stata ordinata la demolizione per
violazione delle norme urbanistiche.
Infatti, se otterrà il titolo a sanatoria,
l’istante potrà riproporre la domanda, alla
quale il Comune risponderà previa
valutazione dei soli requisiti
igienico-sanitari dell’edificio (TAR Friuli
Venezia Giulia,
sentenza 30.04.2012 n. 146 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio del certificato di abitabilità di
un fabbricato, conseguente al condono
edilizio, può legittimamente avvenire in
deroga solo a norme regolamentari e non
anche quando siano carenti condizioni di
salubrità richieste invece da fonti
normative di livello primario, in quanto la
disciplina del condono edilizio, per il suo
carattere di eccezionalità e derogatorio,
non è suscettibile di interpretazioni
estensive e, soprattutto, tali da incidere
sul fondamentale principio della tutela
della salute, con evidenti riflessi sul
piano della legittimità costituzionale.
La deroga introdotta dall’art. 35, comma 20,
L. 47/1985 "non riguarda i requisiti
richiesti da disposizioni legislative e
deve, pertanto, escludersi una automaticità
assoluta nel rilascio del certificato di
abitabilità ... a seguito di concessione in
sanatoria, dovendo invece il Comune
verificare che al momento del rilascio del
certificato di abitabilità siano osservate
non solo le disposizioni di cui all'art. 221
T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui
all'art. 4 del D.p.r. 425/1994), ma, altresì
quelle previste da altre disposizioni di
legge in materia di abitabilità e servizi
essenziali relativi e rispettiva normativa
tecnica .... Permangono, infatti, in capo ai
Comuni tutti gli obblighi inerenti alla
verifica delle condizioni igienico-sanitarie
per l'abitabilità degli edifici, con l'unica
possibile deroga ai requisiti fissati da
norme regolamentari".
Deve ritenersi che le disposizioni di cui al
D.M. 05.07.1975 integrino una normativa di
rango primario in virtù del rinvio disposto
dall’art. 218 del R.D. 27.07.1934, n. 1265,
e pertanto, diversamente dalle disposizioni
integrative e supplementari portate dai
regolamenti comunali di igiene (espressione
di esigenze locali e comunque non attuative
di norme di legge gerarchicamente
sovraordinate), anch’esse –al pari delle
disposizioni in materia di sicurezza statica
e di prevenzione degli incendi e degli
infortuni- siano inderogabili in sede di
rilascio del certificato di abitabilità a
seguito del condono.
Ai sensi della disposizione di cui all’art.
35, comma 20, L. n. 47/1985 (1° condono),
richiamata dall’art. 32, comma 25, del D.L.
30.9.2003, n. 269 (3° condono), “a seguito
della concessione o autorizzazione in
sanatoria viene altresì rilasciato il
certificato di abitabilità o agibilità anche
in deroga ai requisiti fissati da norme
regolamentari, qualora le opere sanate non
contrastino con le disposizioni vigenti in
materia di sicurezza statica, attestata dal
certificato di idoneità di cui alla lettera
b) del terzo comma e di prevenzione degli
incendi e degli infortuni”.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, in
merito all’interpretazione di detta norma,
ha già avuto modo di affermare che il
rilascio del certificato di abitabilità di
un fabbricato, conseguente al condono
edilizio, può legittimamente avvenire in
deroga solo a norme regolamentari e non
anche quando siano carenti condizioni di
salubrità richieste invece da fonti
normative di livello primario, in quanto la
disciplina del condono edilizio, per il suo
carattere di eccezionalità e derogatorio,
non è suscettibile di interpretazioni
estensive e, soprattutto, tali da incidere
sul fondamentale principio della tutela
della salute, con evidenti riflessi sul
piano della legittimità costituzionale
(Cons. Stato, IV, 30.05.2011, n. 2620, di cui
di seguito è riportato ampio stralcio; id.,
V, 15.04.2004 n. 2140).
Tale orientamento –è stato chiarito-
risulta peraltro coerente con quello
espresso dalla Corte Costituzionale, che,
con sentenza 18.07.1996 n. 256, ha
affermato che la deroga introdotta dall’art.
35, comma 20, "non riguarda i requisiti
richiesti da disposizioni legislative e
deve, pertanto, escludersi una automaticità
assoluta nel rilascio del certificato di
abitabilità ... a seguito di concessione in
sanatoria, dovendo invece il Comune
verificare che al momento del rilascio del
certificato di abitabilità siano osservate
non solo le disposizioni di cui all'art. 221
T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui
all'art. 4 del D.p.r. 425/1994), ma, altresì
quelle previste da altre disposizioni di
legge in materia di abitabilità e servizi
essenziali relativi e rispettiva normativa
tecnica .... Permangono, infatti, in capo ai
Comuni tutti gli obblighi inerenti alla
verifica delle condizioni igienico-sanitarie
per l'abitabilità degli edifici, con l'unica
possibile deroga ai requisiti fissati da
norme regolamentari".
Orbene, alla luce della giurisprudenza
riportata e della lettura costituzionalmente
orientata della norma, resa dalla Corte
Costituzionale, appare evidente che non è
possibile ritenere che l’art. 35, comma 20,
L. n. 47/1985 contenga una deroga generale
ed indiscriminata alle norme che presidiano
i requisiti di abitabilità degli edifici, e
ciò proprio perché –come chiarito sempre
dalla Corte Costituzionale con la sentenza
citata (e già prima con sentenza n.
427/1995)– detta legge intende contemperare
valori tutti costituzionalmente garantiti,
quali, tra gli altri, da un lato il diritto
alla salute e dall’altro il diritto
all’abitazione e al lavoro.
Una interpretazione che validi una deroga
“generale” alla normativa a tutela della
salute, con particolare riguardo al luogo di
abitazione, si porrebbe, dunque, in
contrasto non solo con l’art. 32 Cost., ma
anche con quelle stesse esigenze di
contemperamento tra diversi valori
costituzionali, proprie della legge n.
47/1995.
Pertanto, mentre possono essere derogate
norme regolamentari, non possono esserlo
norme di legge, in quanto rispetto ad esse
la deroga non è evocata nell’art. 35, comma
20.
Tanto precisato, appare evidente come –nel
definire l’ambito della deroga– non può
assumere esclusiva rilevanza il mero dato
formale dell’appartenenza della disposizione
(e della norma da essa espressa) ad una
fonte primaria (come tale non derogabile)
ovvero ad una fonte secondaria (quindi
derogabile), ma occorre verificare se le
specifiche condizioni igienico-sanitarie
violino norme regolamentari imposte, ad
esempio, dai regolamenti comunali, quale
ulteriore e specifica esigenza da essi
rappresentata con riferimento a specificità
di quel singolo territorio, ovvero si tratti
di norme regolamentari che attuano
precedenti disposizioni primarie.
L’art. 35, comma 20, l. n. 47/1985 ha inteso
evitare che singole, specifiche disposizioni
regolamentari –espressione di esigenze
locali e comunque non attuative di norme di
legge gerarchicamente sovraordinate–
possano costituire, ex post, mediante il
diniego del certificato di abitabilità,
ostacolo al condono, e quindi alla
regolarizzazione, delle costruzioni abusive,
frustrando l’esigenza di “rientro nella
legalità”, che, per il tramite della detta
legge, si è inteso attuare.
Ma, allo stesso tempo, la citata
disposizione non ha inteso porre nel nulla
la tutela igienico-sanitaria degli edifici
e, quindi, il diritto alla salute dei
cittadini.
In altre parole, deve ritenersi che le
disposizioni di cui al D.M. 05.07.1975
integrino una normativa di rango primario in
virtù del rinvio disposto dall’art. 218 del
R.D. 27.07.1934, n. 1265, e pertanto,
diversamente dalle disposizioni integrative
e supplementari portate dai regolamenti
comunali di igiene (espressione di esigenze
locali e comunque non attuative di norme di
legge gerarchicamente sovraordinate),
anch’esse –al pari delle disposizioni in
materia di sicurezza statica e di
prevenzione degli incendi e degli infortuni- siano inderogabili in sede di rilascio del
certificato di abitabilità a seguito del
condono.
In tal senso si è –ancora recentemente–
espressa la giurisprudenza della Sezione
(cfr. TAR Liguria, I, 23.03.2012, n. 422).
Nel caso di specie, è pacifico e non
contestato che l’alloggio in questione,
della superficie complessiva utile di mq.
13,00 (cfr. la perizia giurata 14.03.2012,
produzione 19.03.2012 di parte ricorrente),
non raggiunge la dimensione minima di 28 mq.
stabilita dall’art. 3 del D.M. 05.07.1975 per
l’abitabilità degli alloggi monostanza
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 27.04.2012 n. 593 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Diritto di accesso: il proprietario
dell'immobile sovrastante l'unita' autorizzata dal Comune al
cambio di destinazione d'uso ha diritto di richiedere
all'amministrazione il certificato di agibilità di tale
unità per la quale e' stata assentita la trasformazione e
ove inesistente l’Amministrazione comunale e' tenuta ad
attestare la circostanza relativa al mancato rilascio.
Ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 22 e ss. della
legge n. 241 del 1990 la richiesta di esercizio dell’accesso
può avere ad oggetto i documenti amministrativi formati e
detenuti da un soggetto della pubblica amministrazione e
presuppone nel richiedente un situazione giuridicamente
rilevante ad ottenere l’ostensione di detti documenti.
Secondo un più che consolidato indirizzo giurisprudenziale,
la situazione sottesa alla domanda di accesso si configura
come un vero e proprio diritto soggettivo meritevole di
tutela le quante volte la conoscenza degli atti oggetto
della formulata richiesta, fatta eccezione per gli atti
normativamente sottratti all’accesso, è strumentale
all’esercizio di difesa dei propri interessi in sede
giurisdizionale e/o in altra sede e comunque si rivela
rilevante ai fini del conseguimento da parte
dell’interessato di un bene della vita (ex plurimis,
Cons. Stato Sez. VI 27.10.2006 n. 6440 ).
Sotto l’aspetto testé illustrato il Consiglio d Stato ha
ritenuto la richiesta di accesso del ricorrente ammissibile,
insorgendo la legittimazione del medesimo dall’essere
proprietario dell’unità immobiliare sovrastante quella in
cui è stato autorizzato il cambio di destinazione d’uso da
garage ad ufficio, lì dove dai titoli di assentimento
potrebbe derivare una lesione alle posizioni giuridiche
soggettive vantate dall’originario ricorrente.
Quanto poi alla questione qui specificatamente sollevata,
quella relativa ad una pretesa inesistenza del certificato
di agibilità, la richiesta di accesso in via amministrativa
del ricorrente e la successiva actio ad exibendum da
lui attivata si appalesano ammissibili oltreché fondate nel
merito. Invero, relativamente all’oggetto della domanda di
accesso, occorre far presente che lo scopo della richiesta
presuppone in colui che la produce un situazione di
ignoranza nel senso che è normale che il richiedente non sa
se detto documento esista o meno. D’altra parte una
richiesta fatta in condizioni di ignoranza non può
qualificarsi come “impossibile” dal momento che essa
è ancorata comunque a dati normativi certi ed inequivocabili
che a monte contemplano la presenza di un siffatto documento
abilitativo.
In particolare, avuto riguardo alla fattispecie all’esame,
l’istanza del ricorrente muove dal presupposto che il
documento richiesto è espressamente previsto dalle vigenti
disposizioni legislative recate dal Testo Unico
sull’edilizia di cui al DPR. n. 380 del 06.06.2001 (ma anche
dalla normativa previgente al t.u.) che assoggetta a tale
certificazione ogni organismo edilizio destinato ad un
utilizzo che comporta la permanenza dell’uomo nelle
strutture edilizie autorizzate, al fine di attestare la
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico (art. 24, 1° comma, del citato DPR).
Trattasi, allora, di una certificazione assolutamente
necessaria ai fini dell’uso legittimo e conforme dei locali
per i quali viene assentito la realizzazione e la
trasformazione e della stessa è lecito e doveroso presumerne
la esistenza.
Se così è non può parte appellante al fine di inficiare la
fondatezza e prima ancora l’ammissibilità della richiesta
avanzata dalla parte controinteressata invocare la
inesistenza di tale documento, giacché una tale evenienza
(peraltro del tutto eventuale) è irrilevante, nel senso che
la legittimità dell’esercizio del diritto di accesso va
collegata ad un momento precedente alle vicende
amministrative con cui soggetto pubblico ha definito o non
definito il rapporto giuridico relativo all’agibilità
dell’immobile per il quale sono stati rilasciati pure gli
altri i titoli ad aedificandum (anche ai soli fini di
cambio di destinazione d’uso) e fermo restando che una tale
situazione può benissimo non essere conosciuta
dall’interessato richiedente l’accesso.
Ovviamente, nell’ipotesi che effettivamente il certificato
de quo non sia stato rilasciato, l’Amministrazione
comunale avrà cura di attestare in favore dell’appellato la
circostanza relativa al mancato rilascio (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 09.02.2012 n. 690 - massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
certificato di agibilità attesta la corrispondenza
dell’opera realizzata al progetto assentito, dal punto di
vista dimensionale, della destinazione d’uso e delle
eventuali prescrizioni contenute nel titolo, nonché
certifica la sussistenza delle condizioni di sicurezza,
igiene, salubrità degli edifici, di risparmio energetico e
di sicurezza degli impianti installati, alla stregua della
normativa vigente.
Siccome la conformità dei manufatti alle norme
urbanistico-edilizie costituisce presupposto indispensabile
per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come
si evince dall’art. 24 del D.P.R. n. 380/2001, ne discende
che in assenza del titolo edilizio per la realizzazione
delle opere necessarie al cambio di destinazione d’uso,
correttamente l’Amministrazione comunale ha constatato
l’assenza di agibilità per il fabbricato dell’Associazione
ricorrente.
Il certificato di agibilità
attesta la corrispondenza dell’opera realizzata al progetto
assentito, dal punto di vista dimensionale, della
destinazione d’uso e delle eventuali prescrizioni contenute
nel titolo, nonché certifica la sussistenza delle condizioni
di sicurezza, igiene, salubrità degli edifici, di risparmio
energetico e di sicurezza degli impianti installati, alla
stregua della normativa vigente (cfr. TAR Umbria,
18.11.2010, n. 512).
Orbene, siccome la conformità dei manufatti alle norme
urbanistico-edilizie costituisce presupposto indispensabile
per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come
si evince dall’art. 24 del D.P.R. n. 380/2001, ne discende
che in assenza del titolo edilizio per la realizzazione
delle opere necessarie al cambio di destinazione d’uso,
correttamente l’Amministrazione comunale ha constatato
l’assenza di agibilità per il fabbricato dell’Associazione
ricorrente.
Né d’altro canto spiega alcuna incidenza sulla predetta
constatazione l’esistenza del certificato di agibilità
rilasciato nel 1997 in relazione al medesimo immobile,
essendo lo stesso relativo allo stato dei luoghi e alla
destinazione d’uso antecedente alle modifiche apportate con
le opere oggetto della SCIA n. 482/2010
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 08.02.2012 n. 198 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il certificato di agibilità non assume
alcun rilievo sotto il profilo urbanistico edilizio,
assolvendo all'esclusiva funzione di controllo
sanitario-urbanistico rispetto alla concessione edilizia a
monte rilasciata e con opere concluse.
Sicché, il ricorso proposto avverso quest’ultimo non è
ammissibile in quanto il rilascio del certificato di
agibilità non può causare alcun effetto lesivo nei confronti
del ricorrente (avendo tale certificato l'esclusiva funzione
di accertare la rispondenza di quanto concretamente
realizzato rispetto alla normativa esistente in epoca ante
1967, nonché ad accertare il rispetto delle condizioni
igienico-sanitarie).
L’impugnazione avverso il certificato di agibilità contrasta
altresì con l'orientamento giurisprudenziale che ha rilevato
come il certificato di agibilità non assuma “alcun
rilievo sotto il profilo urbanistico edilizio, assolvendo
all'esclusiva funzione di controllo sanitario-urbanistico
rispetto alla concessione edilizia a monte rilasciata e con
opere concluse” (TAR Sardegna Cagliari, 26.11.2002, n.
1699)
Da ciò ne discende che il ricorso, proposto avverso
quest’ultimo non sia ammissibile, in quanto il rilascio del
certificato di agibilità non può causare alcun effetto
lesivo nei confronti del ricorrente (avendo tale certificato
l'esclusiva funzione di accertare la rispondenza di quanto
concretamente realizzato rispetto alla normativa esistente
in epoca ante 1967, nonché ad accertare il rispetto delle
condizioni igienico-sanitarie).
Peraltro, l'assenza di legittimazione, in capo al terzo, ad
impugnare il certificato di agibilità è stata affermata
dalla giurisprudenza addirittura in relazione alla mancata
osservanza, all'interno degli edifici, dei requisiti di
carattere igienico-sanitario necessari per il rilascio del
certificato, in quanto ritenuto provvedimento non lesivo di
alcun interesse di terzi (cfr. Tar Lombardia, sez. Brescia,
26-05-1992, n. 498) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 26.01.2012 n. 146 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Eliminato il duplice riferimento terminologico
(licenza di abitabilità e licenza di agibilità), il
legislatore del 2001 ha optato per l’onnicomprensivo termine
di “certificato di agibilità” attestante l’idoneità
abitativa di qualsiasi edificio.
Secondo la nuova formulazione, l’ambito di operatività del
certificato di agibilità risulta più esteso rispetto al
passato, essendo richiesto non solo per i nuovi organismi
edilizi, ma anche per gli interventi eseguiti sugli stessi
che possiedano l’attitudine a modificare le condizioni
igieniche e sanitarie preesistenti.
Ai fini dell’accertamento dell’agibilità di un edificio ciò
che rileva non è tanto la qualificazione giuridica
dell’intervento (ristrutturazione, restauro o risanamento
conservativo, oppure manutenzione straordinaria o
realizzazione di sole opere interne), quanto piuttosto la
qualità e l’entità dell’intervento, nonché i suoi riflessi
sulla condizione di salubrità della costruzione o di sue
parti.
Il certificato di agibilità è dunque necessario per tutti
gli organismi edilizi destinati a un utilizzo che comporti
la permanenza dell'uomo che può risolversi sia nel soggiorno
prolungato, com'è per le abitazioni, sia nella semplice
frequentazione, com’è per l'immobile destinato a un'attività
produttiva, che deve comunque essere di durata tale da
richiedere la presenza di condizioni minime di igiene e
salubrità.
In base a quanto previsto dagli artt. 24 e 25 del D.P.R. n.
380 del 2001, il certificato di abitabilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente.
Ne deriva la legittimità, in via generale, dello svolgimento
da parte degli organi comunali competenti di ogni indagine
utile al fine di effettuare una consapevole valutazione
sulla sussistenza delle surriferite condizioni, soprattutto
quando in un edificio siano state realizzate modifiche
strutturali, che implicano anche un cambiamento dell'uso
degli spazi.
---------------
Tenuto conto che la disciplina vigente dpr 380/2001 presenta
una ipotesi di silenzio-assenso nell’ipotesi di istanza di
agibilità presentata agli Uffici competenti e rispetto alla
quale gli stessi non hanno adottato alcun provvedimento
espresso, occorre pur tuttavia verificare se l’ordinamento
ha previsto casi in cui vi siano criticità riferibili alla
acquisibilità implicita –per effetto del silenzio– della
dichiarazione di agibilità.
Sul punto vale la pena rammentare che:
a) in caso di istanza di condono edilizio, il rilascio del c.d.
certificato di agibilità può avvenire in deroga soltanto
alle norme di tipo secondario e/o regolamentare, ma non
anche in deroga alle disposizioni normative di fonte
primaria e/o di legge, soprattutto se attinenti alla materia
dell'igiene pubblica e dell'inquinamento del suolo, in
quanto diversamente, in caso di adesione ad una possibile
interpretazione di tipo estensivo delle norme in materia di
condono edilizio, l'art. 35, comma 14, della legge
28.02.1985 n. 47 (come le altre norme analoghe ad essa
succedute nel tempo in materia di condoni edilizi) sarebbe
palesemente incostituzionale per contrasto con il
fondamentale principio della tutela della salute ex art. 32
Cost., inteso non solo come diritto alla salute del singolo
individuo, ma anche come diritto dell'intera collettività
alla salubrità dell'ambiente;
b) il suesposto orientamento si pone perfettamente in linea con
quello espresso dalla Corte Costituzionale la quale, con
sentenza n. 256 del 18.06.1996, ha avuto modo di precisare,
per un verso, che il certificato di abitabilità non deve
necessariamente autorizzare in maniera uniforme tutto
l'edificio o parte di esso, dovendo essere distinti gli usi
abitativi o di semplice agibilità, quando alcuni locali
siano utilizzabili solo come accessori o come locali non
destinabili a usi abitativi stabili o come depositi o con
altri usi non abitativi, quando non siano strutturalmente
idonei sotto il profilo igienico-sanitario per una
abitabilità piena, ancorché oggetto di concessione edilizia
in sanatoria nonché, per altro verso, la circostanza che le
norme sul condono edilizio prevedano, a seguito della
concessione in sanatoria, il rilascio del certificato di
abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati
da norme regolamentari, purché non sussista contrasto con le
disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica e di
prevenzione degli incendi e degli infortuni, "non riguarda i
requisiti richiesti da disposizioni legislative e deve,
pertanto, escludersi una automaticità assoluta nel rilascio
del certificato di abitabilità (...) a seguito di
concessione in sanatoria, dovendo invece il Comune
verificare che al momento del rilascio del certificato di
abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui
all'art. 221 T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui
all'art. 4 del D.P.R. n. 425 del 1994), ma, altresì quelle
previste da altre disposizioni di legge in materia di
abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva
normativa tecnica (...).
Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi
inerenti alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie
per l'abitabilità degli edifici, con l'unica possibile
deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari" (così,
testualmente, la sentenza della Corte costituzionale n. 256
del 1996 citata);
c) se è dunque vero che, in base a quanto previsto dagli art. 24 e
25, del n. 380 del 2001, il certificato di agibilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente, appare altrettanto legittimo che una valutazione
sulla sussistenza di dette condizioni, sia richiesta a
fronte di modifiche strutturali che implicano anche un
cambiamento dell'uso degli spazi e che dunque il Comune non
perda, neppure per l’ipotesi di rilascio implicito del
certificato ovvero per effetto di condono, il potere-dovere
di verificare la sussistenza effettiva di dette condizioni
di salubrità e di intervenire laddove siano riscontrate
carenze.
5. - Al di là dei profili in fatto che caratterizzano la
presente controversia, sotto il profilo giuridico va
evidenziato che:
A) l’art. 4 del D.P.R. 22.04.1994 n. 425 ebbe a prevedere
che per utilizzare un edificio fosse necessario ottenere il
certificato di agibilità il cui rilascio da parte del
sindaco era condizionato alla presentazione di una serie di
documenti idonei ad attestare la sussistenza di determinati
standards minimi di salubrità. Nel contempo l’art. 5 di
detto testo normativo abrogava l’art. 221, primo comma, del
regio decreto 27.07.1934 n. 1265 relativamente alla
disciplina del procedimento per il rilascio del certificato.
L’intervento normativo in esame ha modificato in termini
sostanziali l’istituto dell’agibilità, mutando la
denominazione dell’atto da “autorizzazione”
amministrativa a “certificato”, semplificando il
procedimento di rilascio, e, soprattutto, estendendo
l’ambito di valutazione ad interessi diversi e ulteriori
rispetto a quelli connaturati alla tutela di carattere
meramente sanitario; in altri termini, al concetto di
agibilità si è andato sostituendo quello di “vivibilità”
della costruzione, che inerisce ad una condizione
dell’abitare complessivamente rispettosa della dignità
dell’individuo;
B) successivamente gli articoli da 24 a 26 del D.P.R.
06.06.2001 n. 380 hanno fissato la disciplina attualmente
vigente. Anzitutto –per come è ricordato nella relazione
illustrativa che ha accompagnato il predetto decreto
presidenziale– il legislatore ha provveduto a ricondurre ad
unità i termini di agibilità e abitabilità spesso utilizzati
indifferentemente nella normativa precedente.
Inizialmente nel linguaggio normativo il termine “licenza
di abitabilità” era stato utilizzato in relazione agli
immobili ad uso abitativo, mentre il termine “licenza di
agibilità” relativamente a quelli non residenziali,
quali opifici, uffici, esercizi pubblici e commerciali. In
un secondo tempo, il legislatore aveva operato una diversa
classificazione, riconducendo all’agibilità la disciplina
generale della stabilità e della sicurezza dell’immobile e
all’abitabilità la disciplina speciale dei requisiti
dell’immobile rispetto a specifiche destinazioni d’uso.
In effetti, alcune disposizioni normative e, soprattutto,
una certa prassi giurisprudenziale, avevano indotto a
pensare che all’interno del nostro ordinamento esistessero
due diversi tipi di certificazioni. In realtà, le due
espressioni, se pur diversamente utilizzate, erano di fatto
omogenee e non richiedevano procedimenti amministrativi
diversi. Dimostrativo ne è il fatto che il corredo
documentale dell’istanza, come pure le indagini tecniche
preliminari al rilascio del certificato, non cambiavano a
seconda del tipo di unità immobiliare da certificare, fatta
salva, ovviamente, l’esigenza di valutare la presenza di
requisiti igienico-sanitari diversi in ragione dell’uso
previsto.
Eliminato il duplice riferimento terminologico, il
legislatore del 2001 ha optato per l’onnicomprensivo termine
di “certificato di agibilità” attestante l’idoneità
abitativa di qualsiasi edificio. Secondo la nuova
formulazione, l’ambito di operatività del certificato di
agibilità risulta più esteso rispetto al passato, essendo
richiesto non solo per i nuovi organismi edilizi, ma anche
per gli interventi eseguiti sugli stessi che possiedano
l’attitudine a modificare le condizioni igieniche e
sanitarie preesistenti.
Ai fini dell’accertamento dell’agibilità di un edificio ciò
che rileva non è tanto la qualificazione giuridica
dell’intervento (ristrutturazione, restauro o risanamento
conservativo, oppure manutenzione straordinaria o
realizzazione di sole opere interne), quanto piuttosto la
qualità e l’entità dell’intervento, nonché i suoi riflessi
sulla condizione di salubrità della costruzione o di sue
parti.
Il certificato di agibilità è dunque necessario per tutti
gli organismi edilizi destinati a un utilizzo che comporti
la permanenza dell'uomo che può risolversi sia nel soggiorno
prolungato, com'è per le abitazioni, sia nella semplice
frequentazione, com’è per l'immobile destinato a un'attività
produttiva, che deve comunque essere di durata tale da
richiedere la presenza di condizioni minime di igiene e
salubrità;
C) in base a quanto previsto dagli artt. 24 e 25 del D.P.R.
n. 380 del 2001, il certificato di abitabilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene,
salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli
impianti tecnologici in essi installati, alla stregua della
normativa vigente.
Ne deriva la legittimità, in via generale, dello svolgimento
da parte degli organi comunali competenti di ogni indagine
utile al fine di effettuare una consapevole valutazione
sulla sussistenza delle surriferite condizioni, soprattutto
quando in un edificio (per come è avvenuto nel caso in
esame) siano state realizzate modifiche strutturali (cfr.,
in argomento, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 16.03.2011 n.
740), che implicano anche un cambiamento dell'uso degli
spazi (si veda sul punto la relazione prodotta in data
26.10.2010 con allegazione di documenti dall’amministrazione
del Condominio dello stabile in questione);
D) l'art. 25, commi 3-5, del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede
un procedimento di rilascio del certificato di agibilità,
articolato sui seguenti principi fondamentali:
1) il procedimento deve essere concluso nel termine di 30 giorni
dalla ricezione della domanda di rilascio del certificato di
agibilità o di 60 giorni, nel caso in cui il ricorrente si
sia avvalso della possibilità di sostituire con
autocertificazione il parere dell'A.S.L. previsto dall'art.
5, 3° comma, lett. a), del D.P.R. n. 380 del 2001;
2) il decorso del termine per la definizione del procedimento,
importa la formazione del silenzio assenso sull'istanza di
rilascio del certificato di agibilità;
3) il termine del procedimento può essere interrotto una sola volta
dal responsabile del procedimento, entro quindici giorni
dalla domanda, esclusivamente per la richiesta di
documentazione integrativa, che non sia già nella
disponibilità dell'amministrazione o che non possa essere
acquisita autonomamente; in tal caso, il termine per la
conclusione del procedimento ricomincia a decorrere dalla
data di ricezione della documentazione integrativa;
4) il rilascio del certificato di agibilità non impedisce
l'esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un
edificio o di parte di esso ai sensi dell'articolo 222 del
regio decreto 27.07.1934, n. 1265 (art. 26 D.P.R. n. 380 del
2001).
6. – Fermo quanto sopra e tenuto conto che la disciplina
suesposta presenta una ipotesi di silenzio-assenso
nell’ipotesi di istanza di agibilità presentata agli Uffici
competenti e rispetto alla quale gli stessi non hanno
adottato alcun provvedimento espresso, occorre pur tuttavia
verificare se l’ordinamento ha previsto casi in cui vi siano
criticità riferibili alla acquisibilità implicita –per
effetto del silenzio– della dichiarazione di agibilità.
Sul punto vale la pena rammentare che:
a) in caso di istanza di condono edilizio, il rilascio del c.d.
certificato di agibilità può avvenire in deroga soltanto
alle norme di tipo secondario e/o regolamentare, ma non
anche in deroga alle disposizioni normative di fonte
primaria e/o di legge, soprattutto se attinenti alla materia
dell'igiene pubblica e dell'inquinamento del suolo, in
quanto diversamente, in caso di adesione ad una possibile
interpretazione di tipo estensivo delle norme in materia di
condono edilizio, l'art. 35, comma 14, della legge
28.02.1985 n. 47 (come le altre norme analoghe ad essa
succedute nel tempo in materia di condoni edilizi) sarebbe
palesemente incostituzionale per contrasto con il
fondamentale principio della tutela della salute ex art. 32
Cost., inteso non solo come diritto alla salute del singolo
individuo, ma anche come diritto dell'intera collettività
alla salubrità dell'ambiente (sul punto cfr. Cons. Stato,
Sez. V, 15.04.2004 n. 2140 e 13.04.1999 n. 414 nonché TAR
Sardegna 29.10.2002 n. 1422);
b) il suesposto orientamento si pone perfettamente in linea con
quello espresso dalla Corte Costituzionale la quale, con
sentenza n. 256 del 18.06.1996, ha avuto modo di precisare,
per un verso, che il certificato di abitabilità non deve
necessariamente autorizzare in maniera uniforme tutto
l'edificio o parte di esso, dovendo essere distinti gli usi
abitativi o di semplice agibilità, quando alcuni locali
siano utilizzabili solo come accessori o come locali non
destinabili a usi abitativi stabili o come depositi o con
altri usi non abitativi, quando non siano strutturalmente
idonei sotto il profilo igienico-sanitario per una
abitabilità piena, ancorché oggetto di concessione edilizia
in sanatoria nonché, per altro verso, la circostanza che le
norme sul condono edilizio prevedano, a seguito della
concessione in sanatoria, il rilascio del certificato di
abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati
da norme regolamentari, purché non sussista contrasto con le
disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica e di
prevenzione degli incendi e degli infortuni, "non
riguarda i requisiti richiesti da disposizioni legislative e
deve, pertanto, escludersi una automaticità assoluta nel
rilascio del certificato di abitabilità (...) a seguito di
concessione in sanatoria, dovendo invece il Comune
verificare che al momento del rilascio del certificato di
abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui
all'art. 221 T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui
all'art. 4 del D.P.R. n. 425 del 1994), ma, altresì quelle
previste da altre disposizioni di legge in materia di
abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva
normativa tecnica (...) Permangono, infatti, in capo ai
Comuni tutti gli obblighi inerenti alla verifica delle
condizioni igienico-sanitarie per l'abitabilità degli
edifici, con l'unica possibile deroga ai requisiti fissati
da norme regolamentari" (così, testualmente, la sentenza
della Corte costituzionale n. 256 del 1996 citata);
c) se è dunque vero che, in base a quanto previsto dagli art. 24 e
25, del n. 380 del 2001, il certificato di agibilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente, appare altrettanto legittimo che una valutazione
sulla sussistenza di dette condizioni, sia richiesta a
fronte di modifiche strutturali che implicano anche un
cambiamento dell'uso degli spazi e che dunque il Comune non
perda, neppure per l’ipotesi di rilascio implicito del
certificato ovvero per effetto di condono, il potere-dovere
di verificare la sussistenza effettiva di dette condizioni
di salubrità e di intervenire laddove siano riscontrate
carenze (cfr. sul punto TAR Veneto, Sez. III, 02.01.2009 n.
6 nonché TAR Basilicata, Sez. I, 29.11.2008 n. 916) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza
18.01.2012 n. 181). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
basta la mancanza del certificato di
agibilità per consentire al Comune di
disporre la chiusura di un locale
commerciale.
Sulla mancanza del certificato di cui
all’art. 24 del DPR n. 380/2001 -la cui
funzione è quella di comprovare la
sussistenza delle condizioni di sicurezza,
igiene, salubrità, risparmio energetico
degli edifici e degli impianti negli stessi
installati- il giudice amministrativo nella
sentenza in esame ha richiamato
l'orientamento secondo cui prima di disporre
la chiusura dei locali commerciali, il
Comune deve completare speditamente la
procedura intesa al rilascio del certificato
di agibilità e, solo ove l’esito favorevole
di questo si sia rivelato impossibile, può e
deve disporre la cessazione dell’attività.
Ciò, non già per la ragione formale della
mancanza del certificato, bensì per quella
sostanziale dell'impossibilità di
conseguirlo per la carenza dei presupposti
oggettivi (TAR Campania Napoli, sez. III,
18.01.2011, n. 275) (TAR Campania-Napoli,
Sez. III,
sentenza 16.01.2012 n. 189 - massima
tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Sull'istituto
del certificato di agibilità.
... sotto il profilo giuridico va evidenziato che:
A) l’art. 4 del D.P.R. 22.04.1994 n. 425 ebbe a prevedere
che per utilizzare un edificio fosse necessario ottenere il
certificato di agibilità il cui rilascio da parte del
sindaco era condizionato alla presentazione di una serie di
documenti idonei ad attestare la sussistenza di determinati
standards minimi di salubrità. Nel contempo l’art. 5 di
detto testo normativo abrogava l’art. 221, primo comma, del
regio decreto 27.07.1934 n. 1265 relativamente alla
disciplina del procedimento per il rilascio del certificato.
L’intervento normativo in esame ha modificato in termini
sostanziali l’istituto dell’agibilità, mutando la
denominazione dell’atto da “autorizzazione”
amministrativa a “certificato”, semplificando il
procedimento di rilascio, e, soprattutto, estendendo
l’ambito di valutazione ad interessi diversi e ulteriori
rispetto a quelli connaturati alla tutela di carattere
meramente sanitario; in altri termini, al concetto di
agibilità si è andato sostituendo quello di “vivibilità”
della costruzione, che inerisce ad una condizione
dell’abitare complessivamente rispettosa della dignità
dell’individuo;
B) successivamente gli articoli da 24 a 26 del D.P.R.
06.06.2001 n. 380 hanno fissato la disciplina attualmente
vigente. Anzitutto –per come è ricordato nella relazione
illustrativa che ha accompagnato il predetto decreto
presidenziale– il legislatore ha provveduto a ricondurre ad
unità i termini di agibilità e abitabilità spesso utilizzati
indifferentemente nella normativa precedente.
Inizialmente nel linguaggio normativo il termine “licenza
di abitabilità” era stato utilizzato in relazione agli
immobili ad uso abitativo, mentre il termine “licenza di
agibilità” relativamente a quelli non residenziali,
quali opifici, uffici, esercizi pubblici e commerciali. In
un secondo tempo, il legislatore aveva operato una diversa
classificazione, riconducendo all’agibilità la disciplina
generale della stabilità e della sicurezza dell’immobile e
all’abitabilità la disciplina speciale dei requisiti
dell’immobile rispetto a specifiche destinazioni d’uso.
In effetti, alcune disposizioni normative e, soprattutto,
una certa prassi giurisprudenziale, avevano indotto a
pensare che all’interno del nostro ordinamento esistessero
due diversi tipi di certificazioni. In realtà, le due
espressioni, se pur diversamente utilizzate, erano di fatto
omogenee e non richiedevano procedimenti amministrativi
diversi. Dimostrativo ne è il fatto che il corredo
documentale dell’istanza, come pure le indagini tecniche
preliminari al rilascio del certificato, non cambiavano a
seconda del tipo di unità immobiliare da certificare, fatta
salva, ovviamente, l’esigenza di valutare la presenza di
requisiti igienico-sanitari diversi in ragione dell’uso
previsto.
Eliminato il duplice riferimento terminologico, il
legislatore del 2001 ha optato per l’onnicomprensivo termine
di “certificato di agibilità” attestante l’idoneità
abitativa di qualsiasi edificio. Secondo la nuova
formulazione, l’ambito di operatività del certificato di
agibilità risulta più esteso rispetto al passato, essendo
richiesto non solo per i nuovi organismi edilizi, ma anche
per gli interventi eseguiti sugli stessi che possiedano
l’attitudine a modificare le condizioni igieniche e
sanitarie preesistenti. Ai fini dell’accertamento
dell’agibilità di un edificio ciò che rileva non è tanto la
qualificazione giuridica dell’intervento (ristrutturazione,
restauro o risanamento conservativo, oppure manutenzione
straordinaria o realizzazione di sole opere interne), quanto
piuttosto la qualità e l’entità dell’intervento, nonché i
suoi riflessi sulla condizione di salubrità della
costruzione o di sue parti.
Il certificato di agibilità è dunque necessario per tutti
gli organismi edilizi destinati a un utilizzo che comporti
la permanenza dell'uomo che può risolversi sia nel soggiorno
prolungato, com'è per le abitazioni, sia nella semplice
frequentazione, com’è per l'immobile destinato a un'attività
produttiva, che deve comunque essere di durata tale da
richiedere la presenza di condizioni minime di igiene e
salubrità;
C) in base a quanto previsto dagli artt. 24 e 25 del
D.P.R. n. 380 del 2001, il certificato di abitabilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente.
Ne deriva la legittimità, in via generale, dello svolgimento
da parte degli organi comunali competenti di ogni indagine
utile al fine di effettuare una consapevole valutazione
sulla sussistenza delle surriferite condizioni, soprattutto
quando in un edificio (per come è avvenuto nel caso in
esame) siano state realizzate modifiche strutturali (cfr.,
in argomento, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 16.03.2011 n.
740), che implicano anche un cambiamento dell'uso degli
spazi (si veda sul punto la relazione prodotta in data
26.10.2010 con allegazione di documenti dall’amministrazione
del Condominio dello stabile in questione);
D) l'art. 25, commi 3-5, del D.P.R. n. 380 del 2001
prevede un procedimento di rilascio del certificato di
agibilità, articolato sui seguenti principi fondamentali:
1) il procedimento deve essere concluso nel termine di 30
giorni dalla ricezione della domanda di rilascio del
certificato di agibilità o di 60 giorni, nel caso in cui il
ricorrente si sia avvalso della possibilità di sostituire
con autocertificazione il parere dell'A.S.L. previsto
dall'art. 5, 3° comma lett. a) del D.P.R. n. 380 del 2001;
2) il decorso del termine per la definizione del
procedimento, importa la formazione del silenzio assenso
sull'istanza di rilascio del certificato di agibilità;
3) il termine del procedimento può essere interrotto una
sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici
giorni dalla domanda, esclusivamente per la richiesta di
documentazione integrativa, che non sia già nella
disponibilità dell'amministrazione o che non possa essere
acquisita autonomamente; in tal caso, il termine per la
conclusione del procedimento ricomincia a decorrere dalla
data di ricezione della documentazione integrativa;
4) il rilascio del certificato di agibilità non impedisce
l'esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un
edificio o di parte di esso ai sensi dell'articolo 222 del
regio decreto 27.07.1934, n. 1265 (art. 26 D.P.R. n. 380 del
2001).
Fermo quanto sopra e tenuto conto che la disciplina
suesposta presenta una ipotesi di silenzio assenso
nell’ipotesi di istanza di agibilità presentata agli Uffici
competenti e rispetto alla quale gli stessi non hanno
adottato alcun provvedimento espresso, occorre pur tuttavia
verificare se l’ordinamento ha previsto casi in cui vi siano
criticità riferibili alla acquisibilità implicita –per
effetto del silenzio– della dichiarazione di agibilità.
Sul punto vale la pena rammentare che:
a) in caso di istanza di condono edilizio, il rilascio
del c.d. certificato di agibilità può avvenire in deroga
soltanto alle norme di tipo secondario e/o regolamentare, ma
non anche in deroga alle disposizioni normative di fonte
primaria e/o di legge, soprattutto se attinenti alla materia
dell'igiene pubblica e dell'inquinamento del suolo, in
quanto diversamente, in caso di adesione ad una possibile
interpretazione di tipo estensivo delle norme in materia di
condono edilizio, l'art. 35, comma 14, della legge
28.02.1985 n. 47 (come le altre norme analoghe ad essa
succedute nel tempo in materia di condoni edilizi) sarebbe
palesemente incostituzionale per contrasto con il
fondamentale principio della tutela della salute ex art. 32
Cost., inteso non solo come diritto alla salute del singolo
individuo, ma anche come diritto dell'intera collettività
alla salubrità dell'ambiente (sul punto cfr. Cons. Stato,
Sez. V, 15.04.2004 n. 2140 e 13.04.1999 n. 414 nonché TAR
Sardegna 29.10.2002 n. 1422);
b) il suesposto orientamento si pone perfettamente in
linea con quello espresso dalla Corte Costituzionale la
quale, con sentenza n. 256 del 18.06.1996, ha avuto modo di
precisare, per un verso, che il certificato di abitabilità
non deve necessariamente autorizzare in maniera uniforme
tutto l'edificio o parte di esso, dovendo essere distinti
gli usi abitativi o di semplice agibilità, quando alcuni
locali siano utilizzabili solo come accessori o come locali
non destinabili a usi abitativi stabili o come depositi o
con altri usi non abitativi, quando non siano
strutturalmente idonei sotto il profilo igienico-sanitario
per una abitabilità piena, ancorché oggetto di concessione
edilizia in sanatoria nonché, per altro verso, la
circostanza che le norme sul condono edilizio prevedano, a
seguito della concessione in sanatoria, il rilascio del
certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai
requisiti fissati da norme regolamentari, purché non
sussista contrasto con le disposizioni vigenti in materia di
sicurezza statica e di prevenzione degli incendi e degli
infortuni, "non riguarda i requisiti richiesti da
disposizioni legislative e deve, pertanto, escludersi una
automaticità assoluta nel rilascio del certificato di
abitabilità (...) a seguito di concessione in sanatoria,
dovendo invece il Comune verificare che al momento del
rilascio del certificato di abitabilità siano osservate non
solo le disposizioni di cui all'art. 221 T.U. delle leggi
sanitarie (rectius, di cui all'art. 4 del D.P.R. n. 425 del
1994), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni di
legge in materia di abitabilità e servizi essenziali
relativi e rispettiva normativa tecnica (...) Permangono,
infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla
verifica delle condizioni igienico-sanitarie per
l'abitabilità degli edifici, con l'unica possibile deroga ai
requisiti fissati da norme regolamentari" (così,
testualmente, la sentenza della Corte costituzionale n. 256
del 1996 citata);
c) se è dunque vero che, in base a quanto previsto dagli
art. 24 e 25, del n. 380 del 2001, il certificato di
agibilità delle costruzioni costituisce un'attestazione da
parte dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente, appare altrettanto legittimo che una valutazione
sulla sussistenza di dette condizioni, sia richiesta a
fronte di modifiche strutturali che implicano anche un
cambiamento dell'uso degli spazi e che dunque il Comune non
perda, neppure per l’ipotesi di rilascio implicito del
certificato ovvero per effetto di condono, il potere-dovere
di verificare la sussistenza effettiva di dette condizioni
di salubrità e di intervenire laddove siano riscontrate
carenze (cfr. sul punto TAR Veneto, Sez. III, 02.01.2009 n.
6 nonché TAR Basilicata, Sez. I, 29.11.2008 n. 916) (TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 10.01.2012 n. 186 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Eliminato
il duplice riferimento terminologico, il legislatore del
2001 ha optato per l’onnicomprensivo termine di “certificato
di agibilità” attestante l’idoneità abitativa di qualsiasi
edificio.
Secondo la nuova formulazione, l’ambito di operatività del
certificato di agibilità risulta più esteso rispetto al
passato, essendo richiesto non solo per i nuovi organismi
edilizi, ma anche per gli interventi eseguiti sugli stessi
che possiedano l’attitudine a modificare le condizioni
igieniche e sanitarie preesistenti.
Ai fini dell’accertamento dell’agibilità di un edificio ciò
che rileva non è tanto la qualificazione giuridica
dell’intervento (ristrutturazione, restauro o risanamento
conservativo, oppure manutenzione straordinaria o
realizzazione di sole opere interne), quanto piuttosto la
qualità e l’entità dell’intervento, nonché i suoi riflessi
sulla condizione di salubrità della costruzione o di sue
parti.
Il certificato di agibilità è dunque necessario per tutti
gli organismi edilizi destinati a un utilizzo che comporti
la permanenza dell'uomo che può risolversi sia nel soggiorno
prolungato, com'è per le abitazioni, sia nella semplice
frequentazione, com’è per l'immobile destinato a un'attività
produttiva, che deve comunque essere di durata tale da
richiedere la presenza di condizioni minime di igiene e
salubrità.
In base a quanto previsto dagli artt. 24 e 25 del D.P.R. n.
380 del 2001, il certificato di abitabilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente.
Ne deriva la legittimità, in via generale, dello svolgimento
da parte degli organi comunali competenti di ogni indagine
utile al fine di effettuare una consapevole valutazione
sulla sussistenza delle surriferite condizioni, soprattutto
quando in un edificio siano state realizzate modifiche
strutturali, che implicano anche un cambiamento dell'uso
degli spazi.
---------------
Tenuto conto che la disciplina suesposta (DPR 380/2001)
presenta una ipotesi di silenzio-assenso nell’ipotesi di
istanza di agibilità presentata agli Uffici competenti e
rispetto alla quale gli stessi non hanno adottato alcun
provvedimento espresso, occorre pur tuttavia verificare se
l’ordinamento ha previsto casi in cui vi siano criticità
riferibili alla acquisibilità implicita –per effetto del
silenzio– della dichiarazione di agibilità.
Sul punto vale la pena rammentare che:
a) in caso di istanza di condono edilizio, il rilascio del
c.d. certificato di agibilità può avvenire in deroga
soltanto alle norme di tipo secondario e/o regolamentare, ma
non anche in deroga alle disposizioni normative di fonte
primaria e/o di legge, soprattutto se attinenti alla materia
dell'igiene pubblica e dell'inquinamento del suolo, in
quanto diversamente, in caso di adesione ad una possibile
interpretazione di tipo estensivo delle norme in materia di
condono edilizio, l'art. 35, comma 14, della legge
28.02.1985 n. 47 (come le altre norme analoghe ad essa
succedute nel tempo in materia di condoni edilizi) sarebbe
palesemente incostituzionale per contrasto con il
fondamentale principio della tutela della salute ex art. 32
Cost., inteso non solo come diritto alla salute del singolo
individuo, ma anche come diritto dell'intera collettività
alla salubrità dell'ambiente;
b) il suesposto orientamento si pone perfettamente in linea
con quello espresso dalla Corte Costituzionale la quale ha
avuto modo di precisare, per un verso, che il certificato di
abitabilità non deve necessariamente autorizzare in maniera
uniforme tutto l'edificio o parte di esso, dovendo essere
distinti gli usi abitativi o di semplice agibilità, quando
alcuni locali siano utilizzabili solo come accessori o come
locali non destinabili a usi abitativi stabili o come
depositi o con altri usi non abitativi, quando non siano
strutturalmente idonei sotto il profilo igienico-sanitario
per una abitabilità piena, ancorché oggetto di concessione
edilizia in sanatoria nonché, per altro verso, la
circostanza che le norme sul condono edilizio prevedano, a
seguito della concessione in sanatoria, il rilascio del
certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai
requisiti fissati da norme regolamentari, purché non
sussista contrasto con le disposizioni vigenti in materia di
sicurezza statica e di prevenzione degli incendi e degli
infortuni, "non riguarda i requisiti richiesti da
disposizioni legislative e deve, pertanto, escludersi una
automaticità assoluta nel rilascio del certificato di
abitabilità (...) a seguito di concessione in sanatoria,
dovendo invece il Comune verificare che al momento del
rilascio del certificato di abitabilità siano osservate non
solo le disposizioni di cui all'art. 221 T.U. delle leggi
sanitarie (rectius, di cui all'art. 4 del D.P.R. n. 425 del
1994), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni di
legge in materia di abitabilità e servizi essenziali
relativi e rispettiva normativa tecnica (...) Permangono,
infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla
verifica delle condizioni igienico-sanitarie per
l'abitabilità degli edifici, con l'unica possibile deroga ai
requisiti fissati da norme regolamentari";
c) se è dunque vero che, in base a quanto previsto dagli
art. 24 e 25, del n. 380 del 2001, il certificato di
agibilità delle costruzioni costituisce un'attestazione da
parte dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente, appare altrettanto legittimo che una valutazione
sulla sussistenza di dette condizioni, sia richiesta a
fronte di modifiche strutturali che implicano anche un
cambiamento dell'uso degli spazi e che dunque il Comune non
perda, neppure per l’ipotesi di rilascio implicito del
certificato ovvero per effetto di condono, il potere-dovere
di verificare la sussistenza effettiva di dette condizioni
di salubrità e di intervenire laddove siano riscontrate
carenze.
Va sottolineato preliminarmente che il provvedimento qui
impugnato si sostanzia in un ordine di sgombero di taluni
appartamenti del fabbricato sito in Roma, Via Gradoli n. ...
e tutti collocati ai piani scantinati S1 e S2 del palazzo,
perché, all’esito di numerosi sopralluoghi, se ne è
manifestata la inabitabilità sia per carenza del requisito
relativo alle superfici minime che di quelli
igienico-sanitari, concretandosi quindi un pericolo per la
salute pubblica il permanente loro utilizzo a fini
abitativi.
Al di là dei profili in fatto che caratterizzano la
presente controversia, sotto il profilo giuridico va
evidenziato che:
A) l’art. 4 del D.P.R. 22.04.1994 n. 425 ebbe a
prevedere che per utilizzare un edificio fosse necessario
ottenere il certificato di agibilità il cui rilascio da
parte del sindaco era condizionato alla presentazione di una
serie di documenti idonei ad attestare la sussistenza di
determinati standards minimi di salubrità. Nel contempo
l’art. 5 di detto testo normativo abrogava l’art. 221, primo
comma, del regio decreto 27.07.1934 n. 1265
relativamente alla disciplina del procedimento per il
rilascio del certificato.
L’intervento normativo in esame ha
modificato in termini sostanziali l’istituto dell’agibilità,
mutando la denominazione dell’atto da “autorizzazione”
amministrativa a “certificato”, semplificando il
procedimento di rilascio, e, soprattutto, estendendo
l’ambito di valutazione ad interessi diversi e ulteriori
rispetto a quelli connaturati alla tutela di carattere
meramente sanitario; in altri termini, al concetto di
agibilità si è andato sostituendo quello di “vivibilità”
della costruzione, che inerisce ad una condizione
dell’abitare complessivamente rispettosa della dignità
dell’individuo;
B) successivamente gli articoli da 24 a 26 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 hanno fissato la disciplina attualmente
vigente. Anzitutto –per come è ricordato nella relazione
illustrativa che ha accompagnato il predetto decreto
presidenziale– il legislatore ha provveduto a ricondurre ad
unità i termini di agibilità e abitabilità spesso utilizzati
indifferentemente nella normativa precedente. Inizialmente
nel linguaggio normativo il termine “licenza di abitabilità”
era stato utilizzato in relazione agli immobili ad uso
abitativo, mentre il termine “licenza di agibilità”
relativamente a quelli non residenziali, quali opifici,
uffici, esercizi pubblici e commerciali. In un secondo
tempo, il legislatore aveva operato una diversa
classificazione, riconducendo all’agibilità la disciplina
generale della stabilità e della sicurezza dell’immobile e
all’abitabilità la disciplina speciale dei requisiti
dell’immobile rispetto a specifiche destinazioni d’uso.
In
effetti, alcune disposizioni normative e, soprattutto, una
certa prassi giurisprudenziale, avevano indotto a pensare
che all’interno del nostro ordinamento esistessero due
diversi tipi di certificazioni. In realtà, le due
espressioni, se pur diversamente utilizzate, erano di fatto
omogenee e non richiedevano procedimenti amministrativi
diversi. Dimostrativo ne è il fatto che il corredo
documentale dell’istanza, come pure le indagini tecniche
preliminari al rilascio del certificato, non cambiavano a
seconda del tipo di unità immobiliare da certificare, fatta
salva, ovviamente, l’esigenza di valutare la presenza di
requisiti igienico-sanitari diversi in ragione dell’uso
previsto.
Eliminato il duplice riferimento terminologico, il
legislatore del 2001 ha optato per l’onnicomprensivo termine
di “certificato di agibilità” attestante l’idoneità
abitativa di qualsiasi edificio. Secondo la nuova
formulazione, l’ambito di operatività del certificato di
agibilità risulta più esteso rispetto al passato, essendo
richiesto non solo per i nuovi organismi edilizi, ma anche
per gli interventi eseguiti sugli stessi che possiedano
l’attitudine a modificare le condizioni igieniche e
sanitarie preesistenti. Ai fini dell’accertamento
dell’agibilità di un edificio ciò che rileva non è tanto la
qualificazione giuridica dell’intervento (ristrutturazione,
restauro o risanamento conservativo, oppure manutenzione
straordinaria o realizzazione di sole opere interne), quanto
piuttosto la qualità e l’entità dell’intervento, nonché i
suoi riflessi sulla condizione di salubrità della
costruzione o di sue parti.
Il certificato di agibilità è
dunque necessario per tutti gli organismi edilizi destinati
a un utilizzo che comporti la permanenza dell'uomo che può
risolversi sia nel soggiorno prolungato, com'è per le
abitazioni, sia nella semplice frequentazione, com’è per
l'immobile destinato a un'attività produttiva, che deve
comunque essere di durata tale da richiedere la presenza di
condizioni minime di igiene e salubrità;
C) in base a quanto previsto dagli artt. 24 e 25 del D.P.R.
n. 380 del 2001, il certificato di abitabilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente.
Ne deriva la legittimità, in via generale, dello
svolgimento da parte degli organi comunali competenti di
ogni indagine utile al fine di effettuare una consapevole
valutazione sulla sussistenza delle surriferite condizioni,
soprattutto quando in un edificio (per come è avvenuto nel
caso in esame) siano state realizzate modifiche strutturali
(cfr., in argomento, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 16.03.2011 n. 740), che implicano anche un cambiamento
dell'uso degli spazi (si veda sul punto la relazione
prodotta in data 26.10.2010 con allegazione di
documenti dall’amministrazione del Condominio dello stabile
in questione);
D) l'art. 25, commi 3-5, del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede
un procedimento di rilascio del certificato di agibilità,
articolato sui seguenti principi fondamentali:
1) il
procedimento deve essere concluso nel termine di 30 giorni
dalla ricezione della domanda di rilascio del certificato di
agibilità o di 60 giorni, nel caso in cui il ricorrente si
sia avvalso della possibilità di sostituire con
autocertificazione il parere dell'A.S.L. previsto dall'art.
5, 3° comma, lett. a), del D.P.R. n. 380 del 2001;
2) il
decorso del termine per la definizione del procedimento,
importa la formazione del silenzio-assenso sull'istanza di
rilascio del certificato di agibilità;
3) il termine del
procedimento può essere interrotto una sola volta dal
responsabile del procedimento, entro quindici giorni dalla
domanda, esclusivamente per la richiesta di documentazione
integrativa, che non sia già nella disponibilità
dell'amministrazione o che non possa essere acquisita
autonomamente; in tal caso, il termine per la conclusione
del procedimento ricomincia a decorrere dalla data di
ricezione della documentazione integrativa;
4) il rilascio
del certificato di agibilità non impedisce l'esercizio del
potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di
parte di esso ai sensi dell'articolo 222 del regio decreto
27.07.1934, n. 1265 (art. 26 D.P.R. n. 380 del 2001).
Fermo quanto sopra e tenuto conto che la disciplina
suesposta presenta una ipotesi di silenzio-assenso
nell’ipotesi di istanza di agibilità presentata agli Uffici
competenti e rispetto alla quale gli stessi non hanno
adottato alcun provvedimento espresso, occorre pur tuttavia
verificare se l’ordinamento ha previsto casi in cui vi siano
criticità riferibili alla acquisibilità implicita –per
effetto del silenzio– della dichiarazione di agibilità.
Sul punto vale la pena rammentare che:
a) in caso di istanza di condono edilizio, il rilascio del
c.d. certificato di agibilità può avvenire in deroga
soltanto alle norme di tipo secondario e/o regolamentare, ma
non anche in deroga alle disposizioni normative di fonte
primaria e/o di legge, soprattutto se attinenti alla materia
dell'igiene pubblica e dell'inquinamento del suolo, in
quanto diversamente, in caso di adesione ad una possibile
interpretazione di tipo estensivo delle norme in materia di
condono edilizio, l'art. 35, comma 14, della legge 28.02.1985 n. 47 (come le altre norme analoghe ad essa
succedute nel tempo in materia di condoni edilizi) sarebbe
palesemente incostituzionale per contrasto con il
fondamentale principio della tutela della salute ex art. 32
Cost., inteso non solo come diritto alla salute del singolo
individuo, ma anche come diritto dell'intera collettività
alla salubrità dell'ambiente (sul punto cfr. Cons. Stato,
Sez. V, 15.04.2004 n. 2140 e 13.04.1999 n. 414
nonché TAR Sardegna 29.10.2002 n. 1422);
b) il suesposto orientamento si pone perfettamente in linea
con quello espresso dalla Corte Costituzionale la quale, con
sentenza n. 256 del 18.06.1996, ha avuto modo di
precisare, per un verso, che il certificato di abitabilità
non deve necessariamente autorizzare in maniera uniforme
tutto l'edificio o parte di esso, dovendo essere distinti
gli usi abitativi o di semplice agibilità, quando alcuni
locali siano utilizzabili solo come accessori o come locali
non destinabili a usi abitativi stabili o come depositi o
con altri usi non abitativi, quando non siano
strutturalmente idonei sotto il profilo igienico-sanitario
per una abitabilità piena, ancorché oggetto di concessione
edilizia in sanatoria nonché, per altro verso, la
circostanza che le norme sul condono edilizio prevedano, a
seguito della concessione in sanatoria, il rilascio del
certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai
requisiti fissati da norme regolamentari, purché non
sussista contrasto con le disposizioni vigenti in materia di
sicurezza statica e di prevenzione degli incendi e degli
infortuni, "non riguarda i requisiti richiesti da
disposizioni legislative e deve, pertanto, escludersi una
automaticità assoluta nel rilascio del certificato di
abitabilità (...) a seguito di concessione in sanatoria,
dovendo invece il Comune verificare che al momento del
rilascio del certificato di abitabilità siano osservate non
solo le disposizioni di cui all'art. 221 T.U. delle leggi
sanitarie (rectius, di cui all'art. 4 del D.P.R. n. 425 del
1994), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni di
legge in materia di abitabilità e servizi essenziali
relativi e rispettiva normativa tecnica (...) Permangono,
infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla
verifica delle condizioni igienico-sanitarie per
l'abitabilità degli edifici, con l'unica possibile deroga ai
requisiti fissati da norme regolamentari" (così,
testualmente, la sentenza della Corte costituzionale n. 256
del 1996 citata);
c) se è dunque vero che, in base a quanto previsto dagli
art. 24 e 25, del n. 380 del 2001, il certificato di
agibilità delle costruzioni costituisce un'attestazione da
parte dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente, appare altrettanto legittimo che una valutazione
sulla sussistenza di dette condizioni, sia richiesta a
fronte di modifiche strutturali che implicano anche un
cambiamento dell'uso degli spazi e che dunque il Comune non
perda, neppure per l’ipotesi di rilascio implicito del
certificato ovvero per effetto di condono, il potere-dovere
di verificare la sussistenza effettiva di dette condizioni
di salubrità e di intervenire laddove siano riscontrate
carenze (cfr. sul punto TAR Veneto, Sez. III, 02.01.2009 n. 6 nonché TAR Basilicata, Sez. I, 29.11.2008
n. 916).
Nel caso di specie il Comune, con l’ordinanza qui
principalmente impugnata, ha evidenziato, all’esito di
alcuni sopralluoghi, importanti deficienze igienico-sanitarie negli appartamenti per i quali è qui controversia,
confermate dalle verificazioni disposte da questo Tribunale
e gli esiti delle consulenza di parte affidate da alcuni
degli odierni ricorrenti a tecnici di fiducia non si
manifestano idonei a superare le conclusioni confermative
alle quali sono pervenute le indagini di verificazione
disposte con profili di evidente sintonia rispetto alle
valutazioni operate dagli uffici comunali nel corso
dell’istruttoria che ha condotto all’adozione della qui
avversata ordinanza sindacale di sgombero.
I verificatori hanno infatti significativamente affermato
che tutti i locali esaminati presentano superfici finestrate
inidonee ed aree calpestabili inferiori ai 28 metri
quadrati, valore minimo per un monolocale. Alcuni immobili
presentano evidenti inconvenienti igienico-sanitari che li
rendono inidonei all’uso abitativo.
In altri termini, seppure con alcune peculiarità e
caratteristiche diverse per taluni dei monolocali, l’esito
delle disposte verificazioni costituisce conferma della
inadeguatezza, sotto il profilo igienico-sanitario, dei
locali in questione ad essere abitati, rafforzando i
risultati dell’istruttoria svolta in vista della adozione
dell’ordinanza sindacale di sgombero.
L’indagine, va precisato, è stata svolta accuratamente
dall’Azienda USL RM/C, che in contraddittorio con le parti
coinvolte ha concluso i propri rilievi affermando con
nettezza e senza escludere alcun immobile da siffatto esito
che “si esprime parere igienico-sanitario contrario all’uso
di tali locali come abitazioni” (così, testualmente, nella
relazione depositata l’08.10.2009).
Ciò posto, in via di fatto, le censure dedotte dal
ricorrente con l’atto introduttivo e con quello recante
motivi aggiunti non si presentano idonee a scalfire la
dimostrazione, acquisita nel corso del processo, del
corretto percorso seguito dagli uffici comunali per giungere
all’adozione dell’ordinanza di sgombero, avvalorato dagli
esiti delle disposte verificazioni; ne deriva la reiezione
del ricorso, tenuto conto che per la natura di provvedimento
d’urgenza propria dell’atto impugnato non vi era ragione per
comunicare l’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7
della legge 07.08.1990 n. 241 e che la contestata nullità
della notifica appare superata dalla intervenuta
impugnazione tempestiva dell’atto pregiudizievole, che ha
consentito al proprietario di poter tutelare tempestivamente
ed adeguatamente le proprie ragioni dinanzi all’Autorità
giudiziaria
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 10.01.2012 n. 181 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Natura e funzione del certificato
di abitabilità. Procedimento di rilascio e
condizioni per la formazione del
silenzio-assenso. Potere dell’Autorità
amministrativa di verificare la persistenza
delle condizioni igienico-sanitarie nel caso
di modifiche strutturali che implicano anche
un cambiamento dell'uso.
In base a quanto previsto dagli artt. 24 e
25 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (T.U.
edilizia), il certificato di abitabilità
delle costruzioni costituisce
un'attestazione da parte dei competenti
uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza,
igiene, salubrità e risparmio energetico
degli edifici e degli impianti tecnologici
in essi installati, alla stregua della
normativa vigente. Ne deriva la legittimità,
in via generale, dello svolgimento da parte
degli organi comunali competenti di ogni
indagine utile al fine di effettuare una
consapevole valutazione sulla sussistenza
delle surriferite condizioni, soprattutto
quando in un edificio siano state realizzate
modifiche strutturali, che implicano anche
un cambiamento dell'uso degli spazi (1).
In base all'art. 25, commi 3-5, del D.P.R.
n. 380 del 2001, il procedimento di rilascio
del certificato di abitabilità, è articolato
sui seguenti principi fondamentali:
1) il
procedimento deve essere concluso nel
termine di 30 giorni dalla ricezione della
domanda di rilascio del certificato di
agibilità o di 60 giorni, nel caso in cui il
richiedente si sia avvalso della possibilità
di sostituire con autocertificazione il
parere dell'A.S.L. previsto dall'art. 5, 3°
comma, lett. a), del D.P.R. n. 380 del 2001;
2) il decorso del termine per la definizione
del procedimento, importa la formazione del
silenzio-assenso sull'istanza di rilascio
del certificato di agibilità;
3) il termine
del procedimento può essere interrotto una
sola volta dal responsabile del
procedimento, entro quindici giorni dalla
domanda, esclusivamente per la richiesta di
documentazione integrativa, che non sia già
nella disponibilità dell'Amministrazione o
che non possa essere acquisita
autonomamente; in tal caso, il termine per
la conclusione del procedimento ricomincia a
decorrere dalla data di ricezione della
documentazione integrativa;
4) il rilascio
del certificato di agibilità non impedisce
l'esercizio del potere di dichiarazione di
inagibilità di un edificio o di parte di
esso ai sensi dell'articolo 222 del regio
decreto 27.07.1934, n. 1265 (art. 26
D.P.R. n. 380 del 2001).
In caso di istanza di condono edilizio, il
rilascio del c.d. certificato di abitabilità
può avvenire in deroga soltanto alle norme
di tipo secondario e/o regolamentare, ma non
anche in deroga alle disposizioni normative
di fonte primaria e/o di legge, soprattutto
se attinenti alla materia dell'igiene
pubblica e dell'inquinamento del suolo, in
quanto diversamente, in caso di adesione ad
una possibile interpretazione di tipo
estensivo delle norme in materia di condono
edilizio, l'art. 35, comma 14, della legge
28.02.1985 n. 47 (come le altre norme
analoghe ad essa succedute nel tempo in
materia di condoni edilizi) sarebbe
palesemente incostituzionale per contrasto
con il fondamentale principio della tutela
della salute ex art. 32 Cost., inteso non
solo come diritto alla salute del singolo
individuo, ma anche come diritto dell'intera
collettività alla salubrità dell'ambiente
(2).
Se è vero che, in base a quanto previsto
dagli art. 24 e 25, del T.U. n. 380 del
2001, il certificato di agibilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da
parte dei competenti uffici tecnici comunali
in ordine alla sussistenza delle condizioni
di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio
energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua
della normativa vigente, appare legittimo
che una valutazione sulla sussistenza di
dette condizioni, sia richiesta a fronte di
modifiche strutturali che implicano anche un
cambiamento dell'uso degli spazi e che
dunque il Comune non perda, neppure per
l’ipotesi di rilascio implicito del
certificato, ovvero per effetto di condono,
il potere-dovere di verificare la
sussistenza effettiva di dette condizioni di
salubrità e di intervenire laddove siano
riscontrate carenze (3).
E’ legittimo l’ordine di sgombero di taluni
appartamenti di un fabbricato collocati ai
piani scantinati del palazzo, perché,
all’esito di numerosi sopralluoghi, se ne è
manifestata la inabitabilità sia per carenza
del requisito relativo alle superfici minime
che di quelli igienico-sanitari,
concretandosi quindi un pericolo per la
salute pubblica il permanente loro utilizzo
a fini abitativi. Tale ordinanza di
sgombero, per l’evidente urgenza nel
provvedere, non deve essere preceduta da
alcuna comunicazione di avvio del
procedimento.
---------------
(1) Cfr., in argomento, TAR Lombardia-Milano, Sez. II, 16.03.2011 n.
740.
(2) V. sul punto Cons. Stato, Sez. V, 15.04.2004 n. 2140 e 13.04.1999 n. 414
nonché TAR Sardegna 29.10.2002, n.
1422.
Ha precisato la sentenza in rassegna
(facendo riferimento alla sentenza della
Corte costituzionale n. 256 del 1996), che
la circostanza che le norme sul condono
edilizio prevedano, a seguito della
concessione in sanatoria, il rilascio del
certificato di abitabilità o agibilità anche
in deroga ai requisiti fissati da norme
regolamentari, purché non sussista contrasto
con le disposizioni vigenti in materia di
sicurezza statica e di prevenzione degli
incendi e degli infortuni, "non riguarda i
requisiti richiesti da disposizioni
legislative e deve, pertanto, escludersi una
automaticità assoluta nel rilascio del
certificato di abitabilità (...) a seguito
di concessione in sanatoria, dovendo invece
il Comune verificare che al momento del
rilascio del certificato di abitabilità
siano osservate non solo le disposizioni di
cui all'art. 221 T.U. delle leggi sanitarie
(rectius, di cui all'art. 4 del D.P.R. n.
425 del 1994), ma, altresì quelle previste
da altre disposizioni di legge in materia di
abitabilità e servizi essenziali relativi e
rispettiva normativa tecnica (...)
Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti
gli obblighi inerenti alla verifica delle
condizioni igienico-sanitarie per
l'abitabilità degli edifici, con l'unica
possibile deroga ai requisiti fissati da
norme regolamentari" (così, testualmente, la
sentenza della Corte costituzionale n. 256
del 1996 citata).
(3) Cfr. sul punto TAR Veneto, Sez. III,
02.01.2009 n. 6 nonché TAR Basilicata,
Sez. I, 29.11.2008 n. 916 (massima
tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 10.01.2012 n. 178
- link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai sensi dell’art. 24 d.P.R. n.
380/2001, il “certificato di agibilità attesta la
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene,
salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli
impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto
dispone la normativa vigente”, e che, conseguentemente,
eventuali difformità esecutive rispetto al progetto
assentito non sono ex se idonee a precludere il rilascio del
certificato medesimo, laddove inerenti ad aspetti marginali
del manufatto e/o, comunque, riconducibili all’ambito
dell’attività edilizia cd. libera, come affermato dal
magistrato penale.
Ai sensi dell’art. 24 d.P.R. n. 380/2001, il “certificato
di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli
edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate
secondo quanto dispone la normativa vigente”, e che,
conseguentemente, eventuali difformità esecutive rispetto al
progetto assentito non sono ex se idonee a precludere
il rilascio del certificato medesimo, laddove inerenti ad
aspetti marginali del manufatto (in particolare se, come nel
caso di specie, prive di incidenza sulla volumetria e sulla
superficie dell’immobile interessato) e/o, comunque,
riconducibili all’ambito dell’attività edilizia cd. libera,
come affermato dal magistrato penale (TAR Campania-Salerno,
Sez. I,
sentenza 30.12.2011 n. 2105 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
certificato di agibilità, essendo finalizzato al controllo
di tipo igienico-sanitario ed escludendo qualsiasi
riferimento alla conformità dell'edificio al progetto
approvato, non assume alcun rilievo sotto il profilo
urbanistico-edilizio.
Il Collegio ritiene, anche avuto riguardo, alla
particolarità della fattispecie, caratterizzata da un
mutamento di destinazione d’uso senza opere di conformarsi
alla giurisprudenza prevalente secondo cui il certificato di
agibilità, essendo finalizzato al controllo di tipo
igienico-sanitario ed escludendo qualsiasi riferimento alla
conformità dell'edificio al progetto approvato, non assume
alcun rilievo sotto il profilo urbanistico-edilizio (TAR
Puglia Lecce, sez. III, 22.11.2007, n. 3968) onde la
pendenza di un procedimento repressivo edilizio di per sé
non costituisce idonea motivazione di diniego del
certificato (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 12.12.2011 n. 1754 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
certificato di agibilità delle costruzioni costituisce
un'attestazione da parte dei competenti uffici tecnici
comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli
edifici e degli impianti tecnologici in essi installati,
alla stregua della normativa vigente”. Infatti, secondo
l’orientamento della giurisprudenza il certificato di
agibilità, essendo finalizzato al controllo di tipo
igienico-sanitario ed escludendo qualsiasi riferimento alla
conformità dell’edificio al progetto approvato, non assume
rilievo sotto il profilo urbanistico-edilizio, il cui
rispetto delle norme è invece attestato dal titolo edilizio.
Il Comune ha contestato la formazione del silenzio-assenso
(ndr: sulle domande di rilascio del certificato di
agibilità) per incompletezza della documentazione ossia per
la mancanza del Nulla-osta relativo al collaudo delle opere
di urbanizzazione, in quanto nella specie non si sarebbe
verificato il presupposto urbanistico e pattizio necessario
per poter rilasciare i certificati.
Orbene, occorre rilevare che la disciplina di cui al Testo
unico sull’edilizia prevede all’art. 25 l’istituto del “silenzio-assenso”
sulla domanda proposta, corredata dalla prescritta
documentazione, ai fini dell’ottenimento della
certificazione dell’agibilità dell’edificio.
La giurisprudenza è intervenuta riguardo la consistenza
degli interessi sottesi alle predette norme affermando la
illegittimità dei dinieghi motivati in ordine alla
difformità al progetto, talvolta anche rispetto alle norme
edilizie urbanistiche (cfr. Cons. St., sez.V, 30.04.2009, n.
2760), riconoscendo comunque prevalenza agli aspetti
igienico-sanitari, ai sensi dell’art. 24, comma 1, del
T.U.E.D. secondo cui “il certificato di agibilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente”. Infatti, secondo l’orientamento della
giurisprudenza il certificato di agibilità, essendo
finalizzato al controllo di tipo igienico-sanitario ed
escludendo qualsiasi riferimento alla conformità
dell’edificio al progetto approvato, non assume rilievo
sotto il profilo urbanistico-edilizio, il cui rispetto delle
norme è invece attestato dal titolo edilizio (cfr. Tar
Sardegna, 26.11.2002, n. 1699; Tar Puglia, Lecce, sez. III,
22.11.2007, n. 3968; idem, Bari, sez. III, 14.01.2009, n.
33).
Sulla base di ciò, i provvedimenti impugnati con l’atto
introduttivo, con cui l’Amministrazione ha richiesto, pur
dopo il decorso del termine, un’integrazione documentale per
entrambi i Comparti, non richiamano la carenza di documenti
prescritti dalla legge per il rilascio del certificato di
agibilità, ma al contrario appaiono come un sostanziale
diniego riferito alla mancata allegazione di documentazione
ulteriore derivante da una asserita inadempienza e a quanto
previsto dalla Convenzione (nulla–osta collaudo).
In definitiva, appare sufficientemente identificato
l’interesse sotteso al rilascio del certificato di agibilità
in questione, potendosi ritenere intervenuto il
silenzio-assenso, ai sensi del predetto art. 25 T.U.E.D.,
che stabilisce il termine di formazione di 30 giorni,
qualora sia stato acquisito il parere della ASL previsto
dall’art. 5, comma 3, lett. a).
Tra l’altro detta interpretazione è confermata da quanto
disposto dal successivo art. 26 del T.U.E.D., secondo cui il
rilascio del certificato di agibilità non impedisce
l’esercizio del potere dell’Amministrazione di dichiarazione
di inagibilità ove si verifichi il venir meno o la mancanza
in ogni momento dei requisiti igienico sanitari previsti
dall’art. 222 r.d. 27.07.1934, n. 1265 (TAR Lazio-Roma, Sez.
II-bis,
sentenza 23.11.2011 n. 9212 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il certificato di agibilità (un tempo:
licenza di abitabilità) è funzionale ad accertare che
l'immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel
rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di
sicurezza, salubrità ed igiene, attenendo viceversa al
titolo edilizio la verifica del rispetto delle norme
edilizie ed urbanistiche.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il
certificato di agibilità (un tempo: licenza di abitabilità)
è funzionale ad accertare che l'immobile al quale si
riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme
tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità ed
igiene, attenendo viceversa al titolo edilizio la verifica
del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche (TAR
Puglia Bari, Sez. III, 14.01.2009 n. 33) (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 10.11.2011 n. 5253 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Rilascio del certificato di
agibilità/abitabilità - Artt. 24 e 25, D.P.R. n. 380/2001 -
Sanzione pecuniaria ex art. 53, L.R. 12/2005 - Autonomia dei
procedimenti - Sussiste - Ritardo nel rilascio del
certificato - Illegittimità del provvedimento sanzionatorio
- Non sussiste.
Il procedimento di rilascio del certificato di
agibilità/abitabilità, di cui agli artt. 24 e 25, D.P.R. n.
380/2001, e il procedimento di irrogazione della sanzione
pecuniaria di cui all'art. 53, L.R. 12/2005, appaiono
autonomi e distinti fra loro, per cui l'eventuale ritardo
nel rilascio del certificato stesso può dare luogo alla
responsabilità risarcitoria dell'Amministrazione, ma non
incide sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 04.11.2011 n. 2648 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
certificato di agibilità delle costruzioni costituisce
un'attestazione da parte dei competenti uffici tecnici
comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni di
sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli
edifici e degli impianti tecnologici in essi installati,
alla stregua della normativa vigente.
Il certificato di agibilità non assume <<alcun rilievo sotto
il profilo urbanistico edilizio, assolvendo all'esclusiva
funzione di controllo sanitario-urbanistico rispetto alla
concessione edilizia a monte rilasciata e con opere
concluse>>.
La motivazione addotta dalla P.A. per negare il rilascio del
certificato idi agibilità (versamento in ritardo dei
contributi di costruzione rispetto a quanto previsto dal
D.P.R. 380/2001 e necessità del previo versamento della
sanzione ivi prevista ammontante in euro 14.127,19) non
risulta avere alcun fondamento normativo, tanto più che in
caso di mancato pagamento della sanzione per il ritardato
pagamento dei contributi di costruzione, la P.A. potrà
avviare ogni azione prevista all’uopo dall’ordinamento.
In base a quanto previsto dagli art. 24 e 25, D.P.R.
06.06.2001 n. 380, il certificato di agibilità delle
costruzioni costituisce un'attestazione da parte dei
competenti uffici tecnici comunali in ordine alla
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità
e risparmio energetico degli edifici e degli impianti
tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa
vigente.
In particolare, l'art. 25, commi 3-5 del d.p.r. 06.06.2001
n. 380 prevede un procedimento di rilascio del certificato
di agibilità, articolato sui seguenti principi fondamentali:
1) il procedimento deve essere concluso nel termine di 30
giorni dalla ricezione della domanda di rilascio del
certificato di agibilità o di 60 giorni, nel caso in cui il
ricorrente si sia avvalso della possibilità di sostituire
con autocertificazione il parere dell'A.S.L. previsto
dall'art. 5, 3° comma, lett. a), del d.p.r. 380 del 2001;
2) il decorso del termine per la definizione del
procedimento, importa la formazione del silenzio assenso
sull'istanza di rilascio del certificato di agibilità;
3) il termine del procedimento può essere interrotto una
sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici
giorni dalla domanda, esclusivamente per la richiesta di
documentazione integrativa, che non sia già nella
disponibilità dell'amministrazione o che non possa essere
acquisita autonomamente; in tal caso, il termine per la
conclusione del procedimento ricomincia a decorrere dalla
data di ricezione della documentazione integrativa
A ciò aggiungasi che secondo prevalente orientamento
giurisprudenziale, il certificato di agibilità non assume <<alcun
rilievo sotto il profilo urbanistico edilizio, assolvendo
all'esclusiva funzione di controllo sanitario-urbanistico
rispetto alla concessione edilizia a monte rilasciata e con
opere concluse>> (TAR Sardegna Cagliari, 26.11.2002, n.
1699).
Le considerazioni innanzi esplicitate consentono quindi al
Collegio di ritenere che la motivazione addotta dalla P.A.
per negare il rilascio del certificato in parola (versamento
in ritardo dei contributi di costruzione rispetto a quanto
previsto dal D.P.R. 380/2001 e necessità del previo
versamento della sanzione ivi prevista ammontante in euro
14.127,19) non risulta avere alcun fondamento normativo,
tanto più che in caso di mancato pagamento della sanzione
per il ritardato pagamento dei contributi di costruzione, la
P.A. potrà avviare ogni azione prevista all’uopo
dall’ordinamento (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 14.10.2011 n. 1762 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
conformità urbanistico-edilizia dell’immobile è una
condizione necessaria per richiedere e ottenere il
certificato di agibilità.
Appare preliminare l’esame dei profili di illegittimità,
sollevati con le prime tre censure del ricorso principale,
dell’art. 83 del RUEC di Serrara Fontana, laddove prevede
che: «… per gli edifici oggetto di istanze di condono
edilizio la sospensione dei procedimenti amministrativi e
giurisdizionali, anche penali, comporta che i titolari hanno
facoltà di continuare ad utilizzare gli immobili per le
destinazioni d’uso consolidate ed in atto alla data di
presentazione delle istanze, pur in assenza di un formale
certificato di abitabilità, qualora il titolare formuli
richiesta di certificato di abitabilità questa può essere
rilasciata a titolo provvisorio, nel rispetto delle
condizioni dettate dall’art. 4 D.P.R. 425/1994, con la
precisazione nella dichiarazione del direttore dei lavori, o
altro tecnico incaricato, deve essere certificato che le
opere sono conformi a quelle oggetto della istanza di
condono».
La norma riportata, in sostanza, consente di certificare
provvisoriamente l’abitabilità di immobili, pur non in
regola con le disposizioni urbanistico-edilizie, qualora sia
stata presentata un’istanza condonistica, non ancora
definita, e nel rispetto delle altre condizioni di legge.
In proposito, va osservato che la normativa primaria di
riferimento non consente il rilascio del certificato di
agibilità o di abitabilità con riferimento a immobili non
conformi alla normativa urbanistico edilizia.
La lettura dell’art. 24 del D.P.R. 380/2001, del resto,
chiaramente evidenzia come la conformità edilizia dell’opera
sia un presupposto per il rilascio del certificato di
abitabilità; questo, infatti, è regolato nel senso di
imporre l’obbligo di richiederlo esclusivamente al soggetto
(o ai suoi aventi causa) che abbia ottenuto il titolo
edilizio per realizzare: a) nuove costruzioni; b)
ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali; c)
interventi sugli edifici esistenti che possano influire
sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati. In mancanza di permesso di costruire o di altro
atto autorizzativo (e, quindi, del suo titolare), non appare
neppure possibile richiedere il certificato di abitabilità,
non essendovi, a norma di legge, soggetti legittimati a
farlo.
In tal senso, va letta anche la successiva disposizione
dell’art. 25 del D.P.R. 380/2001 (di natura regolamentare)
laddove, al co. 1, lett. b), prevede che il certificato
possa essere rilasciato solo dopo la presentazione, fra
l’altro, di una «dichiarazione, sottoscritta dallo stesso
richiedente il certificato di agibilità, di conformità
dell'opera rispetto al progetto approvato (…)».
Inoltre, l’art. 35, co. 20, L. 47/1985, espressamente
richiamato dall’art. 39 L. 724/1994 ai sensi del quale si è
chiesta la sanatoria dell’ampliamento di cui si discute,
prevede che solo «a seguito della concessione o
autorizzazione in sanatoria» possa essere «rilasciato
il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai
requisiti fissati da norme regolamentari» (sempre che le
«opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti
in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato
di idoneità di cui alla lettera b) del terzo comma e di
prevenzione degli incendi e degli infortuni»).
La giurisprudenza assolutamente maggioritaria, del resto,
sulla scorta delle argomentazioni appena esposte, ritiene
che la conformità urbanistico-edilizia dell’immobile sia una
condizione necessaria per richiedere e ottenere il
certificato di agibilità (cfr., ex multis, Consiglio
di stato, sez. V, 30.04.2009, n. 2760, TAR Lombardia Milano,
sez. II, 17.09.2009, n. 4672) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 11.10.2011 n. 4648 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
VARI: Abitabilità,
pass per la vendita. Senza il documento l'acquirente ha
diritto al risarcimento. Sentenza della Cassazione. La
prescrizione scatta dieci anni dopo la stipula del
contratto.
Compravendite, certificato di
abitabilità sempre necessario. Se il venditore di un
appartamento che nell'atto di vendita si è obbligato a
procurare il certificato non rispetta l'impegno,
l'acquirente ha diritto a richiedere il risarcimento dei
danni, diritto che però si prescrive decorso il termine di
10 anni dalla stipula del contratto o dalla fissazione da
parte del giudice di un diverso termine per adempiere.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la recente
sentenza 21.09.2011 n. 19204.
Nella vicenda presa in esame dalla Suprema corte due coniugi
acquistavano un appartamento da una società immobiliare che,
al momento dell'acquisto, non disponeva ancora del
certificato di abitabilità, ma che nel rogito, a sua cura e
spese e nel più breve tempo possibile, si era obbligato a
procurarlo, richiedendo il rilascio dello stesso alle
competenti autorità. Tale impegno però non era stato
rispettato. I due coniugi, pertanto, anche se dopo molti
anni dalla stipula dell'atto di acquisto dell'immobile,
avevano convenuto in giudizio la società venditrice per
sentirla condannare al risarcimento del danno da mancato
rilascio della licenza di abitabilità.
Tuttavia, secondo la società convenuta, il diritto al
risarcimento del danno derivante dall'inadempimento
dell'obbligazione di consegna del certificato di abitabilità
era di natura contrattuale e, quindi, soggetto all'ordinaria
prescrizione decennale. Pertanto, nel resistere in giudizio,
la stessa aveva eccepito la prescrizione del diritto al
risarcimento, essendo ormai decorsi più di 14 anni dalla
conclusione del contratto di vendita e, comunque, ben più di
dieci anni dal termine contrattualmente fissato per il
rilascio del predetto certificato. Ma il tribunale,
rigettata l'eccezione, accoglieva la domanda di risarcimento
e condannava la società convenuta al pagamento in favore
degli attori dei danni subiti, liquidati in via equitativa
tenendo conto del valore dell'immobile al momento della
causa.
La sentenza di primo grado veniva quindi confermata dal
giudice di appello, il quale rilevava che il diritto a
conseguire il certificato di abitabilità e,
conseguentemente, quello al risarcimento del danno, doveva
considerarsi indisponibile e, in quanto tale, non soggetto a
prescrizione. Pertanto anche il conseguente diritto al
risarcimento era da ritenersi imprescrittibile.
Tale conclusione non è stata condivisa dalla Suprema corte,
la quale ha invece sottolineato come il diritto al
risarcimento del danno, anche quando viene richiesto in
giudizio per effetto della mancata realizzazione di un
diritto indisponibile (come il diritto all'abitabilità, che
costituisce requisito giuridico essenziale del bene
compravenduto, assicurandone il legittimo godimento e la
commerciabilità), conservando la propria autonomia rispetto
al diritto originario, non ne assume il carattere della
indisponibilità ed è, pertanto, soggetto alla prescrizione
ordinaria decennale.
In altre parole, secondo i giudici supremi, quale che sia il
fondamento dell'imprescrittibilità dei diritti
indisponibili, è comunque certo che tra questi ultimi non
può includersi quello al risarcimento del danno, ancorché
prodotto da lesione di un diritto indisponibile, trattandosi
di un credito soggetto al termine ordinario di prescrizione.
Per quanto sopra è stato precisato dalla Cassazione che il
diritto dell'acquirente al risarcimento del danno da mancato
rilascio del certificato di abitabilità si prescrive una
volta decorso il termine di dieci anni dalla stipula del
contratto o dalla fissazione da parte del giudice di un
diverso termine per adempiere.
Del resto, si è osservato da parte della Suprema corte, il
mancato rilascio del certificato di abitabilità costituisce
non già un illecito, ma un inadempimento contrattuale, ove
il venditore abbia assunto, a sua cura e spese,
l'obbligazione di fare ottenere all'acquirente detta
condizione.
---------------
Risparmio energetico necessario
all'agibilità.
Il certificato di abitabilità è per legge condizione
necessaria per adibire un edificio a civile abitazione. Il
controllo comunale sui requisiti di salubrità degli edifici
a destinazione residenziale risale addirittura al secolo
scorso (legge n. 5849 del 1888) e ha avuto storicamente la
funzione di provvedimento di autorizzazione (nel caso di
edifici a uso non residenziale si parlava invece di
agibilità). E questo fino al più recente dpr n. 425/1994, il
quale ha introdotto la terminologia di certificato di
abitabilità e ha riformato il procedimento amministrativo
per il rilascio del medesimo.
Anche questa disciplina è infine venuta meno con l'entrata
in vigore del c.d. Testo unico dell'edilizia, di cui al dpr
n. 380/2001, con decorrenza dal 30.06.2003, il quale ha
anche riunito nell'unica nozione di agibilità le
certificazioni necessarie per l'utilizzo degli immobili a
destinazione residenziale e non, anche se nel gergo tecnico
continua a essere diffusa la vecchia distinzione
terminologica.
Il nuovo concetto di agibilità concerne l'igiene e la
salubrità, ma anche il risparmio energetico e la sicurezza
statica e dinamica di impianti ed edifici. L'obbligo
contrattuale che grava sul venditore di consegnare
all'acquirente il documento in questione al momento del
rogito trova fondamento nella previsione di cui all'art.
1477, comma 3, del codice civile, secondo cui il venditore
deve consegnare i titoli e i documenti relativi alla
proprietà e all'uso della cosa venduta.
È importante evidenziare come la falsa dichiarazione nel
rogito della presenza del certificato di abitabilità, come
chiarito dalla Cassazione, non configura il reato di falso
ideologico in atti pubblici e rileva solo ai fini
civilistici dell'eventuale risoluzione del contratto di
compravendita. Infatti, in caso di assenza del certificato,
non si verifica un'ipotesi di nullità della vendita per
impossibilità giuridica dell'oggetto del contratto, come
riteneva un'opinione rimasta minoritaria della
giurisprudenza di merito, ma semplicemente un inadempimento
del venditore, che autorizza il compratore a chiedere la
risoluzione del contratto e il risarcimento del danno.
La Suprema corte ritiene del resto che per l'esclusione
della responsabilità del venditore non sia sufficiente che
il compratore conoscesse la mancanza del certificato al
momento della stipula del rogito, ove non risulti anche che
il medesimo abbia rinunciato espressamente al requisito
dell'abitabilità. Viene poi considerato legittimo dalla
giurisprudenza il patto che fa ricadere l'obbligo di
richiedere il certificato sull'acquirente: in tal caso
l'immobile viene venduto senza certificato, sul presupposto
che il compratore abbia ugualmente interesse all'acquisto.
Il problema più rilevante che si pone in questi casi
riguarda comunque l'individuazione della natura della
responsabilità del venditore. L'orientamento
giurisprudenziale prevalente ritiene che il venditore che
abbia ceduto un immobile privo del requisito
dell'abitabilità sia responsabile per la vendita di un
oggetto radicalmente diverso da quello promesso. Di
conseguenza per l'acquirente che intenda denunciare la
mancanza del certificato non vi sono termini di decadenza e
la prescrizione è decennale (articolo
ItaliaOggi Sette del 31.10.2011). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Certificato di abitabilità, mancata consegna: risarcimento
si prescrive in 10 anni.
Il diritto al risarcimento del danno,
anche quando viene azionato per effetto della mancata
realizzazione di un diritto indisponibile, conservando la
propria autonomia rispetto al diritto originario, non ne
assume il carattere della indisponibilità ed è, pertanto,
soggetto alla prescrizione decennale di cui all'art. 2934
c.c.
Di conseguenza il diritto dell'acquirente all'indennizzo da
mancato rilascio del certificato di abitabilità si prescrive
decorso il termine di dieci anni dalla stipula del contratto
o dalla fissazione da parte del giudice di un diverso
termine per adempiere (1).
--------------
(*) Riferimenti normativi: artt. 1381, 1453, 1477 e 2934,
comma 2 c.c.
(1) In senso conforme alla massima si veda Cass. Civ.,
SS.UU., sentenza n. 1744/1975; Cass. Civ., sentenza n.
3921/1982; Cass. Civ., sentenza n. 4317/1981, Cass. Civ.,
sentenza n. 2197/1978 e Cass. Civ., sentenza n. 26509/2006.
---------------
Il diritto al risarcimento del danno,
anche quando viene azionato per effetto della mancata
realizzazione di un diritto indisponibile, conservando la
propria autonomia rispetto al diritto originario, non ne
assume il carattere della indisponibilità ed è, pertanto,
soggetto alla prescrizione decennale di cui all'art. 2934
c.c..
E’ questo il principio di diritto ribadito dalla
Corte di Cassazione, Sez. II civile, con la
sentenza 21.09.2011 n. 19204.
Nel caso di specie, dopo l’acquisto di un appartamento da
parte di due coniugi, la società venditrice si impegnava a
rendere nel più breve tempo possibile il certificato di
abitabilità dell’immobile. Il certificato, tuttavia, non
risultava mai consegnato, costringendo i due coniugi a
proporre ricorso, dopo quattordici anni dall’avvenuta
vendita,contro la società per la condanna al pagamento del
risarcimento dei danni. La società chiedeva il rigetto della
domanda per sopravvenuta prescrizione del diritto per
decorso del termine decennale.
I giudici di merito, in entrambi i gradi di giudizio,
condannavano al convenuta al risarcimento, rilevando che il
diritto ad ottenere il certificato di abitabilità è diritto
indisponibile e, pertanto, anche il diritto al risarcimento
che scaturisce dalla mancata consegna del certificato è
indisponibile e quindi non soggetto a prescrizione.
I giudici di Piazza Cavour confermano l’assunto di quelli di
merito articolando l’elaborazione della figura della
indisponibilità del diritto. In particolare, si legge nella
sentenza, essa costituisce una qualificazione secondaria di
determinati diritti soggettivi in funzione di rafforzamento
della tutela ad essi apprestata dall'ordinamento giuridico,
il quale ne vieta la negoziabilità preventiva per sottrarre
la parte più debole alle pressioni del contraente
economicamente più attrezzato.
La sua funzione – proseguono gli ermellini - di precipuo
stampo garantistico, non esclusa dal concorso con esigenze
di più ampia protezione, inerenti non alle posizioni
singole, ma alla collettività nel suo insieme, si esaurisce,
non potendo altrimenti esplicarsi, allorché il diritto abbia
subito una compromissione irretrattabile, sia per la lesione
diretta arrecatagli, sia per l'inadempimento di
un'obbligazione corrispondente, sia perché sia mancato il
fatto del terzo necessario a soddisfare il diritto stesso.
Ne deriva il sorgere di una diversa obbligazione
risarcitoria o indennitaria a carattere succedaneo, essa
stessa soggetta a un proprio termine di prescrizione,
decorrente, ai sensi dell'art. 2935 c.c., dal momento in cui
il diritto può essere fatto valere, e non assistita dal
carisma di indisponibilità che presidiava la tutela del
diritto leso o insoddisfatto.
Nel caso de quo il mancato rilascio del certificato di
abitabilità costituisce inadempimento contrattuale, sia
perché trattasi di obbligazione connaturata alla natura
abitativa dell’immobile sia perché la parte venditrice si è
contrattualmente obbligata a fornire, in favore della parte
acquirente, nel minore tempo possibile, il certificato di
abitabilità. Scaduto tale termine, come accertato dalla
Corte d'appello con statuizione implicita, deve escludersi
che l'inadempimento abbia carattere permanente, essendo la
permanenza categoria omogenea all'illecito, con conseguente
immediata decorrenza del termine di prescrizione del diritto
succedaneo al risarcimento o all'indennizzo per il mancato
rilascio della certificazione di abitabilità.
Ponendosi il problema del termine da cui far decorrere la
prescrizione, la Cassazione precisa che nel contratto le
parti non avevano individuato un termine determinato o
determinabile. Correttamente il giudice di merito ha
superato la questione individuando il termine iniziale nel
momento stesso della stipula del contratto di vendita.
Pertanto, essendo decorsi più di quattordici anni dalla
conclusione del contratto di vendita a quella di
introduzione della domanda e comunque ben più di dieci anni
al netto del termine ("il più breve possibile")
contrattualmente fissato per il rilascio del certificato di
abitabilità, il diritto azionato deve ritenersi prescritto,
con conseguente rigetto della domanda (link
a www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
certificato di agibilità non ha alcuna attinenza con fini di
tutela urbanistico-edilizia e si limita quindi ad attestare
una situazione oggettiva e, in particolare, la
corrispondenza dell'opera realizzata al progetto assentito,
nonché la mancanza di cause di insalubrità limitate alla
costruzione in sé considerata.
Osserva in proposito la Sezione che l’art. 221, comma 1, del
r.d. n. 1265/1934 stabiliva, che “Gli edifici o parti di
essi indicati nell'articolo precedente non possono essere
abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la
concede quando, previa ispezione dell'ufficiale sanitario o
di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione
sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che
i muri siano convenientemente prosciugati e che non
sussistano altre cause di insalubrità”.
L’art. 4, comma 1, del d.P.R. n. 425/1994, il cui art. 5 ha
abrogato detto art. 221, stabiliva, all’epoca della adozione
del provvedimento impugnato, che “Affinché gli edifici, o
parti di essi, indicati nell'art. 220 del regio decreto
27.07.1934, n. 1265, possano essere utilizzati, è necessario
che il proprietario richieda il certificato di abitabilità
al sindaco, allegando alla richiesta il certificato di
collaudo, la dichiarazione presentata per l'iscrizione al
catasto dell'immobile, restituita dagli uffici catastali con
l'attestazione dell'avvenuta presentazione, e una
dichiarazione del direttore dei lavori che deve certificare,
sotto la propria responsabilità, la conformità rispetto al
progetto approvato, l'avvenuta prosciugatura dei muri e la
salubrità degli ambienti”.
Il certificato di agibilità non ha, quindi, alcuna attinenza
con fini di tutela urbanistico-edilizia e si limita quindi
ad attestare una situazione oggettiva e, in particolare, la
corrispondenza dell'opera realizzata al progetto assentito,
nonché la mancanza di cause di insalubrità limitate alla
costruzione in sé considerata (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 05.09.2011 n. 4982 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Compravendita
senza certificato di abitabilità? Scatta il risarcimento!
Vendere un immobile non dotato di certificato di abitabilità
potrebbe comportare un risarcimento da parte del venditore
nei confronti dell’acquirente.
E’ quanto previsto dalla Corte di Cassazione, Sez. II
civile, nella
sentenza 29.08.2011 n. 17707.
Il proprietario di un immobile destinato ad abitazione lo
cedeva ad un acquirente che a sua volta aveva promesso
l’appartamento in vendita a terzi.
Questi ultimi, prima della stipula del contratto definitivo,
avevano evidenziato che l'appartamento era munito solo di
licenza di agibilità, ma non del certificato di abitabilità,
per cui le parti si erano accordate per la riduzione del
prezzo di vendita, rispetto a quanto già pattuito.
In virtù di ciò, il primo acquirente citava in giudizio
l’originario venditore, chiedendo il rimborso della
riduzione del prezzo concordato con i terzi acquirenti.
Il tribunale di primo grado accoglieva la richiesta di
risarcimento del primo acquirente, ma la Corte d’Appello di
Firenze rigettava tale domanda.
Infine la Corte di Cassazione ha condiviso l’orientamento
giurisprudenziale dei giudici di prime cure, secondo cui la
vendita di un appartamento senza certificato di abitabilità
si risolve nella mancanza di un requisito giuridico
essenziale per il legittimo godimento del bene e della sua
commerciabilità e quindi si configura il risarcimento del
danno (link a www.acca.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Abusi edilizi, immobili senza agibilità.
Impossibile esercitarvi qualsiasi attività.
Il TAR ha messo in evidenza che gli
abusi edilizi realizzati su un immobile sono condizione che
non permette il rilascio del certificato di agibilità. Lo
stesso TAR ha anche stabilito che in tale immobile non è
possibile l'esercizio di alcuna attività. Sulla strega di
tali considerazioni ha ritenuto legittima la sospensione di
un'autorizzazione amministrativa per ristorazione-pizzeria,
a suo tempo regolarmente rilasciata, in quanto l'attività si
svolgeva in locale ove erano stati realizzati degli abusi
edilizi non condonati.
E' interessante il TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, con
sentenza 09.07.2011 n. 1009 che ha stabilito un
principio fondamentale sulla valenza e sinergia degli atti
giuridici.
Nello specifico del governo dei fenomeni di abusivismo
edilizio, non sanati, escludendo la possibilità di rilascio
del certificato di agibilità per gli stessi immobili.
La vicenda dedotta in giudizio è quella di un titolare di
autorizzazione amministrativa per attività di
ristorazione-pizzeria che, con ordinanza del Comandante
della Polizia Municipale, si è visto sospendere
l'autorizzazione sine die, ovvero sino alla
presentazione del certificato di agibilità dei locali nei
quali l'esercente espletava la propria attività.
Elementi essenziale e decisionale della causa, per il
Collegio, è stato individuato nella circostanza, dedotta dal
Comune resistente e consistente nell'esistenza di
un'ordinanza di demolizione di due corpi di fabbricati, nei
quali era allocato l'esercizio di attività di
ristorazione-pizzeria.
Precisa l'Ente che detta ordinanza non è stata opposta, di
contro invece è stata oggetto di successiva richiesta di
rilascio di permesso di costruire in sanatoria, così
accettando pacificamente la realizzazione dell'abuso
edilizio.
Il Giudicante ha sottolineato che gli artt. 24, comma 3,
D.P.R. n. 380 del 06.06.2001 e 35, comma 20, L. n. 47 del
28.02.1965, il rilascio del certificato di agibilità non può
avvenire per i fabbricati abusivi o per quelli che
presentano abusi non condonati in quanto la regolarità
urbanistica ed edilizia è un presupposto essenziale per il
rilascio dello stesso certificato di agibilità.
A sostegno dell'assunto il Collegio ha richiamato la
giurisprudenza costantemente assunta dal Consiglio di Stato
e, da ultimo, con Quinta Sezione, Dec. n. 2760 del
30.04.2009.
Con tale configurazione, che celebra nel contesto fattuale
giuridico che è scenario della vicenda processuale,
l'essenzialità della conformità urbanistica dell'immobile
viene meno qualsiasi ipotesi di silenzio assenso, invocata
da parte ricorrente in ordine alla propria richiesta di
rilascio del certificato di agibilità, risultata non evasa
dal Comune.
Pari importanza ha l'accertamento dell'abuso edilizio per
confermare la legittimità dell'atto impugnato da parte
ricorrente e, non servono a porre in criticità la
legittimità dello stesso atto, neppure gli accertamenti
effettuati che possono anche attestare il rispetto e la
conformità del locale alla normativa di igiene e sicurezza,
ma che a nulla valgono per un locale abusivo.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria con la
sentenza di cui discutiamo ha precisato che allorquando,
come nel caso di specie, la Pubblica Amministrazione,
dovesse rilasciare autorizzazione amministrativa
all'esercizio di un'attività in un determinato locale non ha
assentito altro che delle condizioni soggettive che
legittimano all'esercizio dell'attività stessa.
Tuttavia, tale rilascio di autorizzazione amministrativa non
può far sorgere l'affidamento dl privato sulla regolarità di
fatti estranei ed esterni al rapporto autorizzativo come,
nel nostro caso la regolarità dell'immobile.
Di contro è proprio la non regolarità dell'immobile, che è
stato realizzato con la concretizzazioni di abusi edilizi,
ad inibire la possibilità di utilizzo dello stesso in quanto
privo di certificato di agibilità e ben ha operato la
Polizia Municipale che non ha annullato o revocato
l'autorizzazione amministrativa per attività di
ristorazione-pizzeria, ma si è semplicemente limitata al
sospendere e così operando ha dato la possibilità di sanare
gli abusi edilizi perpetrati e presenti sull'immobile de
qua (commento tratto da www.ipsoa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Manca il certificato di abitabilità? La locazione può
comunque salvarsi. Il contratto di locazione non è sempre
“legato” al certificato di abitabilità.
La mancanza delle autorizzazioni o
concessioni amministrative che condizionano la regolarità
dell'immobile sotto il profilo edilizio, ed in particolare
la sua abitabilità e la sua idoneità all'esercizio di
attività commerciale, costituisce inadempimento del locatore
che giustifica la risoluzione del contratto ai sensi
dell'art. 1578 cod. civ..
Così la
sentenza 07.06.2011 n. 12286 della Suprema Corte di
Cassazione, Sez. III civile, in materia.
Con questa sentenza i giudici della Corte hanno precisato
che il locatore ha senz’altro diritto all’ottenimento del
certificato di abitabilità; ma non è così “pacifico”
che la mancanza di tale documentazione possa essere di
ostacolo alla valida costituzione del rapporto di locazione,
nel caso in cui il conduttore ne fosse stato a conoscenza o,
comunque, se lo stesso abbia utilizzato il bene secondo la
destinazione d’uso convenuta.
Un cenno al documento di cui trattasi appare d’obbligo; il
certificato (o licenza) di abitabilità, che viene rilasciato
dal comune in base al D.P.R. 22.04.1994, n. 425, ha una
duplice funzione: da un lato attestare l’idoneità
dell'immobile ad essere adibito ad uso abitativo, previa
valutazione della sua conformità agli standards minimi di
stabilità, sicurezza ed igiene degli edifici (sul punto cfr.
Cass. pen., 13.12.1996, n. 4311, in Dir. pen. e processo,
1998, 215 e ss.); dall’altro quella di garantire l’idoneità
dell’immobile ad assolvere una determinata funzione
economico sociale e quindi a soddisfare in concreto i
bisogni che hanno indotto l’acquirente ad effettuare
l’acquisto (cfr. Cass., 10.06.1991, n. 6576, in Giust. civ.,
1992, I, 1333 e ss.).
In linea di principio, secondo il pensiero dei giudici di
legittimità nella decisione in oggetto, in tema di locazione
di immobili, la mancanza delle concessioni amministrative o
delle autorizzazioni (che condizionano la regolarità dello
stesso immobile sotto il profilo edilizio) costituisce
inadempimento del locatore; un simile comportamento
giustifica, quindi, la risoluzione del contratto ai sensi e
per gli effetti di cui all’articolo 1578 del codice civile,
a meno che il conduttore, come sopra evidenziato, non sia a
conoscenza della situazione e non l’abbia, pertanto,
conseguentemente accettata.
In base a quanto precisato dalla Corte nella sentenza che
qui si commenta, è irrilevante la circostanza secondo cui il
conduttore abbia proposto, poi, domanda di concessione in
sanatoria; la domanda di risoluzione del contratto può
essere proposta solo dopo che il provvedimento
autorizzatorio sia stato definitivamente negato solo quando
il conduttore sia a conoscenza della situazione
dell’immobile alla data della conclusione del contratto
oppure ne abbia accettato il rischio, non dichiarando l’uso
al quale intende destinare i locali o, ancora, manifestando
l’intenzione di voler accettare l’immobile nello stato di
fatto e di diritto nel quale si trova.
Le eccezioni da parte del conduttore possono concernere vizi
che portano alla diminuzione, in modo apprezzabile, della
idoneità del bene all’uso protetto, salvo che si tratti di
vizi a lui noti o, comunque, facilmente conoscibili.
In definitiva, la mancanza del rilascio delle concessioni
relative alla destinazione d’uso di un bene non può, quindi,
essere di ostacolo alla valida costituzione del rapporto
locatizio purché vi sia stata concreta utilizzazione del
bene, da parte del conduttore, secondo la destinazione d’uso
convenuta (link a www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato,
conseguente al condono edilizio, ai sensi del citato art.
35, comma 20, l. n. 47 del 1985, può legittimamente avvenire
in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando
siano carenti condizioni di salubrità richieste invece da
fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina
del condono edilizio, per il suo carattere di eccezionalità
e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni
estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale
principio della tutela della salute, con evidenti riflessi
sul piano della legittimità costituzionale.
La deroga introdotta dall’art. 35, comma 20, non riguarda i
requisiti richiesti da disposizioni legislative e deve,
pertanto, escludersi una automaticità assoluta nel rilascio
del certificato di abitabilità ... a seguito di concessione
in sanatoria, dovendo invece il Comune verificare che al
momento del rilascio del certificato di abitabilità siano
osservate non solo le disposizioni di cui all'art. 221 T.U.
delle leggi sanitarie (rectius, di cui all'art. 4 del D.p.r.
425/1994), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni
di legge in materia di abitabilità e servizi essenziali
relativi e rispettiva normativa tecnica .... Permangono,
infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla
verifica delle condizioni igienico-sanitarie per
l'abitabilità degli edifici, con l'unica possibile deroga ai
requisiti fissati da norme regolamentari.
Non è possibile ritenere che l’art. 35, comma 20, l. n.
47/1985 contenga una deroga generale ed indiscriminata alle
norme che presidiano i requisiti di abitabilità degli
edifici, e ciò proprio perché la detta legge intende
contemperare valori tutti costituzionalmente garantiti,
quali, tra gli altri, da un lato il diritto alla salute e
dall’altro il diritto all’abitazione e al lavoro.
Laddove le condizioni concrete di un immobile rendano il
medesimo tale da non essere ritenuto abitabile, poiché esse
si pongono in contrasto con il rispetto della dignità umana
(art. 2 Cost.) e del diritto alla salute (art. 32 Cost.), o,
più specificamente, con le condizioni richiamate dagli artt.
218 e 221 TULS, non rileva che la specifica condizione di
inabitabilità trovi letterale richiamo in una norma di
regolamento comunale (o che ad essere citata negli atti
amministrativi sia proprio e solo quella norma), poiché
quanto obiettivamente constatato contrasta direttamente con
le indicate norme primarie e con il contenuto precettivo di
disposizioni costituzionali. Ne consegue che, in tali
ipotesi, non può trovare applicazione la deroga prevista dal
più volte citato art. 35, comma 20, l. n. 47/1985.
L’art. 35, comma 20 (già comma 14) della legge 47/1985,
prevede che:
“A seguito della concessione o autorizzazione in
sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di
abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati
da norme regolamentari, qualora le opere sanate non
contrastino con le disposizioni vigenti in materia di
sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di
cui alla lettera b) del terzo comma e di prevenzione degli
incendi e degli infortuni”.
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, in merito
all’interpretazione di detta norma, ha già avuto modo di
affermare che il rilascio del certificato di abitabilità di
un fabbricato, conseguente al condono edilizio, ai sensi del
citato art. 35, comma 20, l. n. 47 del 1985, può
legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari
e non anche quando siano carenti condizioni di salubrità
richieste invece da fonti normative di livello primario, in
quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo
carattere di eccezionalità e derogatorio, non è suscettibile
di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da
incidere sul fondamentale principio della tutela della
salute, con evidenti riflessi sul piano della legittimità
costituzionale (Cons. Stato, sez. V, 15.04.2004 n. 2140;
13.04.1999 n. 414).
Tale orientamento risulta, peraltro, del tutto coerente con
quello espresso dalla Corte Costituzionale, che, con
sentenza 18.07.1996 n. 256, ha affermato che la deroga
introdotta dall’art. 35, comma 20, "non riguarda i
requisiti richiesti da disposizioni legislative e deve,
pertanto, escludersi una automaticità assoluta nel rilascio
del certificato di abitabilità ... a seguito di concessione
in sanatoria, dovendo invece il Comune verificare che al
momento del rilascio del certificato di abitabilità siano
osservate non solo le disposizioni di cui all'art. 221 T.U.
delle leggi sanitarie (rectius, di cui all'art. 4 del D.p.r.
425/1994), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni
di legge in materia di abitabilità e servizi essenziali
relativi e rispettiva normativa tecnica .... Permangono,
infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla
verifica delle condizioni igienico-sanitarie per
l'abitabilità degli edifici, con l'unica possibile deroga ai
requisiti fissati da norme regolamentari".
Orbene, alla luce della giurisprudenza riportata e della
lettura costituzionalmente orientata della norma, resa dalla
Corte Costituzionale, appare evidente che non è possibile
ritenere che l’art. 35, comma 20, l. n. 47/1985 contenga una
deroga generale ed indiscriminata alle norme che presidiano
i requisiti di abitabilità degli edifici, e ciò proprio
perché –come chiarito sempre dalla Corte Costituzionale con
la sentenza citata (e già prima con sentenza n. 427/1995)–
la detta legge intende contemperare valori tutti
costituzionalmente garantiti, quali, tra gli altri, da un
lato il diritto alla salute e dall’altro il diritto
all’abitazione e al lavoro.
Una interpretazione che validi una deroga “generale”
alla normativa a tutela della salute, con particolare
riguardo al luogo di abitazione, si porrebbe, dunque, in
contrasto non solo con l’art. 32 Cost., ma anche con quelle
stesse esigenze di contemperamento tra diversi valori
costituzionali, proprie della legge n. 47/1995.
Pertanto, mentre possono essere derogate norme
regolamentari, non possono esserlo norme di legge, in quanto
rispetto ad esse la deroga non è evocata nell’art. 35, comma
20.
Tanto precisato, appare evidente come –nel definire l’ambito
della deroga– non può assumere esclusiva rilevanza il mero
dato formale dell’appartenenza della disposizione (e della
norma da essa espressa) ad una fonte primaria (come tale non
derogabile) ovvero ad una fonte secondaria (quindi
derogabile), ma occorre verificare se le specifiche
condizioni igienico-sanitarie violino norme regolamentari
imposte, ad esempio, dai regolamenti comunali, quale
ulteriore e specifica esigenza da essi rappresentata con
riferimento a specificità di quel singolo territorio, ovvero
si tratti di norme regolamentari che attuano precedenti
disposizioni primarie.
In altre parole, l’art. 35, comma 20, l. n. 47/1985 ha
inteso evitare che singole, specifiche disposizioni
regolamentari –espressione di esigenze locali e comunque non
attuative di norme di legge gerarchicamente sovraordinate–
possano costituire, ex post, mediante il diniego del
certificato di abitabilità, ostacolo al condono, e quindi
alla regolarizzazione, delle costruzioni abusive, frustrando
l’esigenza di “rientro nella legalità”, che, per il
tramite della detta legge, si è inteso attuare.
Ma, allo stesso tempo, la citata disposizione non ha inteso
porre nel nulla la tutela igienico-sanitaria degli edifici
e, quindi, il diritto alla salute dei cittadini.
In tal senso, occorre ricordare che l’art. 218 R.D.
27.07.1934 n. 1265 (Testo unico delle leggi sanitarie)
prevede, tra l’altro:
“I regolamenti locali di igiene e sanità stabiliscono le
norme per la salubrità dell'aggregato urbano e rurale e
delle abitazioni, secondo le istruzioni di massima emanate
dal Ministro della sanità.
I detti regolamenti debbono contenere le norme dirette ad
assicurare che nelle abitazioni:
a) non vi sia difetto di aria e di luce;
b) lo smaltimento delle acque immonde, delle materie
escrementizie e di altri rifiuti avvenga in modo da non
inquinare il sottosuolo;
c) le latrine, gli acquai e gli scaricatoi siano costruiti e
collocati in modo da evitare esalazioni dannose o
infiltrazioni;
d) l'acqua potabile nei pozzi, in altri serbatoi e nelle
condutture sia garantita da inquinamento”.
Appare evidente come tale disposizione, per un verso, affida
ai regolamenti, in generale, di stabilire le norme per la
salubrità delle abitazioni; per altro verso, impone a tali
regolamenti (con ciò esprimendo un precetto normativo di
rango primario) di assicurare che nelle abitazioni, tra
l’altro, non vi sia “difetto di aria e di luce”, vi
siano congrui servizi igienici, etc.
Allo stesso modo, il successivo art. 221 prevede che possa
essere concessa l’abitabilità ad un edificio, allorché, tra
l’altro, “non sussistano altre cause di insalubrità”.
In definitiva, laddove le condizioni concrete di un immobile
rendano il medesimo tale da non essere ritenuto abitabile,
poiché esse si pongono in contrasto con il rispetto della
dignità umana (art. 2 Cost.) e del diritto alla salute (art.
32 Cost.), o, più specificamente, con le condizioni
richiamate dagli artt. 218 e 221 TULS, non rileva che la
specifica condizione di inabitabilità trovi letterale
richiamo in una norma di regolamento comunale (o che ad
essere citata negli atti amministrativi sia proprio e solo
quella norma), poiché quanto obiettivamente constatato
contrasta direttamente con le indicate norme primarie e con
il contenuto precettivo di disposizioni costituzionali.
Ne consegue che, in tali ipotesi, non può trovare
applicazione la deroga prevista dal più volte citato art.
35, comma 20, l. n. 47/1985.
In tal senso si è già pronunciato questo Consiglio di Stato
che, con la già citata sentenza n. 2140/2004, ha valutato
che “le deficienze igienico sanitarie (umidità diffusa,
scarsa aereazione ed illuminazione) riscontrate nei locali
di cui si tratta dai competenti uffici della U.s.l.
integrano la violazione di prescrizioni poste a tutela della
salubrità degli ambienti adibiti ad abitazione da fonti
normative di carattere primario, quali gli artt. 218 e 221
del T.U. delle leggi sanitarie 27.07.1934 n. 1265.”
Né deve sorprendere la circostanza che il provvedimento
abbia fatto salva una funzione accessoria dell’immobile
–quindi condonandolo sul piano edilizio-urbanistico ma
interdicendolo all’uso abitativo– posto che è del tutto
evidente come possano esservi ambienti accessori ad ambienti
ad uso abitativo (ad es., cantine), per i quali sono
ragionevolmente diversi i requisiti igienici
Come ha chiarito la Corte Costituzionale (sent. n. 256/1996
cit.), “d'altro canto, il certificato di abitabilità non
deve necessariamente autorizzare in maniera uniforme tutto
l'edificio o parte di esso, dovendo essere distinti gli usi
abitativi o di semplice agibilità, quando alcuni locali
siano utilizzabili solo come accessori o come locali non
destinabili a usi abitativi stabili o come depositi o con
altri usi non abitativi, quando non siano strutturalmente
idonei sotto il profilo igienico-sanitario per una
abitabilità piena, ancorché oggetto di concessione edilizia
in sanatoria.” (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.05.2011 n. 2620 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Cambio di destinazione d'uso - Richiesta
di nuovo certificato di agibilità - Modifiche strutturali -
Legittimità.
Considerato che il certificato di agibilità delle
costruzioni di cui agli artt. 24 e 25 D.P.R. n. 380/2001
costituisce un'attestazione da parte dei competenti uffici
tecnici comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni
di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli
edifici e degli impianti tecnologici in essi installati,
pare legittimo che una nuova valutazione sulla sussistenza
di dette condizioni sia richiesta a fronte di modifiche
strutturali, che implicano anche un cambiamento d'uso degli
spazi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 16.03.2011 n. 740 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'impugnazione
dell’ordinanza sindacale con la quale è stata
disposta la chiusura dell’esercizio commerciale di
ristorante in quanto esercitato in locale da
ritenersi abusivo e, pertanto, sprovvisto del certificato di
abitabilità di cui all’art. 221 del R.D. n. 1265 del 1934.
Tanto il certificato di
agibilità dei locali quanto l'autorizzazione
sanitaria sono requisiti necessari allo svolgimento
dell'attività di somministrazione di alimenti e
bevande; la circostanza che, pertanto, fosse
intervenuto, nel caso di specie, il rilascio
dell’autorizzazione sanitaria e dell’autorizzazione
commerciale –ma non del certificato di abitabilità-
non consente di ritenere che la relativa attività
potesse essere esercitata nei locali di cui
trattasi.
Quanto alla richiamata nota del dirigente sanitario
della U.S.L., essa costituisce soltanto un
certificato descrittivo dell’immobile di cui
trattasi con valenza eventualmente di mero parere
preventivo, essendo di competenza esclusiva del
Sindaco il rilascio del certificato di agibilità.
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Ciò che rileva è la circostanza che l’impugnata
ordinanza sia stata adottata da parte del Comune ai
sensi del combinato disposto degli artt. 221 e 222
del T.U.L.S.
Il richiamato articolo 221 dispone che: “Gli edifici
o parti di essi indicati nell'articolo precedente
non possono essere abitati senza autorizzazione del
podestà, il quale la concede quando, previa
ispezione dell'ufficiale sanitario o di un ingegnere
a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata
eseguita in conformità del progetto approvato, che i
muri siano convenientemente prosciugati e che non
sussistano altre cause di insalubrità. …”.
Il successivo art. 222, dispone a sua volta che: “Il
podestà, sentito l'ufficiale sanitario o su
richiesta del medico provinciale, può dichiarare
inabitabile una casa o parte di essa per ragioni
igieniche e ordinarne lo sgombero.“.
Va subito rilevato che l'autorizzazione (o licenza)
di agibilità -introdotta dal richiamato articolo 221
in un'epoca in cui le prescrizioni urbanistiche
erano pressoché inesistenti- riguarda solo la
salubrità "degli ambienti", e quindi l'edificio in
sé stesso considerato, ossia il solo manufatto
edilizio.
Va rilevato ancora che il rilascio del cosiddetto
certificato di agibilità sanitaria è prescritto da
tale disposizione con riguardo non soltanto agli
immobili ad uso strettamente abitativo, ma anche a
quelli adibiti (o da adibire) a scopi diversi,
purché l'attività che vi si dovrà svolgere preveda
comunque un uso che comporti la frequentazione da
parte delle persone: la frase "gli edifici o parti
di essi non possono essere abitati senza
autorizzazione” va infatti interpretata in senso
estensivo, attese le finalità che la legge
chiaramente si prefigge, che sono quelle di evitare
danni alle persone che si trovino ad intrattenersi
in locali che, qualora non sottoposti ad adeguato
controllo da parte dell'autorità sanitaria,
potrebbero non avere determinate caratteristiche di
igienicità, salubrità, sufficiente areazione ecc..
L'indagine che il sindaco è chiamato a svolgere per
il rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 221
è, pertanto, finalizzata al solo accertamento della
conformità della costruzione al progetto approvato e
della mancanza di cause di insalubrità limitate alla
costruzione edilizia in sé considerata.
Va poi aggiunto che, secondo l’orientamento della
giurisprudenza, l'atto propulsivo per il rilascio
della licenza di abitabilità di un immobile deve
muovere dal titolare della relativa concessione
edilizia e la data della conseguita abitabilità è
sempre quella di rilascio del relativo provvedimento
autorizzatorio ex art. 221 T.U.L.S..
Tale disposizione, pertanto, legittima il divieto di
prosecuzione dell'attività in locali privi di
abitabilità; e legittimamente l'amministrazione –ai
sensi dell’articolo medesimo- dispone l'ordine di
sgombero di un'immobile in caso di mancanza della
licenza di agibilità, che costituisce appunto
presupposto indispensabile perché un locale possa
essere frequentato, a prescindere dalla effettiva
salubrità, igienicità ed incolumità del locale
stesso.
Con il ricorso in trattazione la società ricorrente ha
impugnato l’ordinanza del Sindaco del Comune di Gaeta n.
243/1994, con la quale è stata disposta la chiusura
dell’esercizio commerciale di ristorante, ubicato al primo
piano del complesso alberghiero denominato “Hotel A.”,
sito nel Comune di Gaeta, in quanto esercitato in locale da
ritenersi abusivo e, pertanto, sprovvisto del certificato di
abitabilità di cui all’art. 221 del R.D. n. 1265 del 1934.
Il ricorso è infondato nel merito per le considerazioni che
seguono.
Dall’esame della documentazione versata in atti dalle parti
del giudizio emerge come il locale che interessa, ossia il
piano primo dell’immobile, fosse da ritenersi, al momento
dell’adozione del provvedimento impugnato, abusivo, in
quanto realizzato in difformità alla relativa licenza
edilizia e non ammesso a concessione edilizia in sanatoria;
tanto è vero che il certificato di agibilità è stato
rilasciato da parte del Comune, in data 19.06.1989,
limitatamente agli altri due piani dell’immobile, ossia il
piano seminterrato ed il piano terra, con riguardo ai quali
era stato rilasciato il condono.
E’ circostanza incontestata che il piano primo dell’immobile
sia privo del relativo certificato di agibilità: risulta
infatti che la società ricorrente ha provveduto a
richiederne il rilascio soltanto in data 26.07.1994.
Né si può ritenere rilevante, sul punto, il richiamo alla
nota del dirigente sanitario della U.S.L. LT/6 di cui al
prot. n. 230 dell’11.5.1988, avente ad oggetto il
certificato di cui al D.P.R. n. 1437 del 30.12.1970, con il
quale, osserva la società ricorrente, è stata attestata
l’agibilità dell’immobile nella sua interezza, con riguardo
allo svolgimento dell’attività alberghiera. Altrettanto
irrilevante deve ritenersi il riferimento sia alla
successiva nota, prot. n. 1030 del 03.07.1989, con cui il
medesimo dirigente ha espresso parere favorevole -in ordine
all’idoneità igienico-sanitaria dei locali e delle
attrezzature per la ristorazione- ai fini del rilascio
dell’autorizzazione sanitaria (a condizione dell’allaccio
del fabbricato alla fognatura dinamica comunale entro sei
mesi); sia al conseguente rilascio, da parte del Sindaco del
Comune di Gaeta, dell’autorizzazione sanitaria ai fini della
ristorazione (n. 223 del 06.07.1989).
Gli atti richiamati non hanno infatti efficacia dirimente
nei sensi prospettati da parte della difesa della società
ricorrente.
Al riguardo si premette che tanto il certificato di
agibilità dei locali, quanto l'autorizzazione sanitaria
sono requisiti necessari allo svolgimento dell'attività di
somministrazione di alimenti e bevande; la circostanza che,
pertanto, fosse intervenuto, nel caso di specie, il rilascio
dell’autorizzazione sanitaria e dell’autorizzazione
commerciale –ma non del certificato di abitabilità- non
consente di ritenere che la relativa attività potesse essere
esercitata nei locali di cui trattasi.
Quanto alla richiamata nota del dirigente sanitario della
U.S.L. in data 11.05.1988, essa costituisce soltanto un
certificato descrittivo dell’immobile di cui trattasi con
valenza eventualmente di mero parere preventivo, essendo di
competenza esclusiva del Sindaco il rilascio del certificato
di agibilità.
Ciò che invece rileva è la circostanza che l’impugnata
ordinanza sia stata adottata da parte del Comune ai sensi
del combinato disposto degli artt. 221 e 222 del T.U.L.S.
Il richiamato articolo 221 dispone che: “Gli edifici o
parti di essi indicati nell'articolo precedente non possono
essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la
concede quando, previa ispezione dell'ufficiale sanitario o
di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione
sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che
i muri siano convenientemente prosciugati e che non
sussistano altre cause di insalubrità. …”.
Il successivo art. 222, dispone a sua volta che: “Il
podestà, sentito l'ufficiale sanitario o su richiesta del
medico provinciale, può dichiarare inabitabile una casa o
parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero.“.
Va subito rilevato che l'autorizzazione (o licenza) di
agibilità -introdotta dal richiamato articolo 221 in
un'epoca in cui le prescrizioni urbanistiche erano pressoché
inesistenti- riguarda solo la salubrità "degli ambienti", e
quindi l'edificio in sé stesso considerato, ossia il solo
manufatto edilizio.
Va rilevato ancora che il rilascio del cosiddetto
certificato di agibilità sanitaria è prescritto da tale
disposizione con riguardo non soltanto agli immobili ad uso
strettamente abitativo, ma anche a quelli adibiti (o da
adibire) a scopi diversi, purché l'attività che vi si dovrà
svolgere preveda comunque un uso che comporti la
frequentazione da parte delle persone: la frase "gli edifici
o parti di essi non possono essere abitati senza
autorizzazione” va infatti interpretata in senso estensivo,
attese le finalità che la legge chiaramente si prefigge, che
sono quelle di evitare danni alle persone che si trovino ad
intrattenersi in locali che, qualora non sottoposti ad
adeguato controllo da parte dell'autorità sanitaria,
potrebbero non avere determinate caratteristiche di
igienicità, salubrità, sufficiente areazione ecc. (Cassazione
penale, sez. I, 05.04.1996, n. 5588).
L'indagine che il sindaco è chiamato a svolgere per il
rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 221 è,
pertanto, finalizzata al solo accertamento della conformità
della costruzione al progetto approvato e della mancanza di
cause di insalubrità limitate alla costruzione edilizia in
sé considerata.
Va poi aggiunto che, secondo l’orientamento della
giurisprudenza, l'atto propulsivo per il rilascio della
licenza di abitabilità di un immobile deve muovere dal
titolare della relativa concessione edilizia e la data della
conseguita abitabilità è sempre quella di rilascio del
relativo provvedimento autorizzatorio ex art. 221 T.U.L.S.
(Consiglio di Stato, sez. IV, 04.08.1986, n. 538).
Tale disposizione, pertanto, legittima il divieto di
prosecuzione dell'attività in locali privi di abitabilità
(cfr. TAR Sardegna, Cagliari, 06.02.2002, n. 115); e
legittimamente l'amministrazione –ai sensi dell’articolo
medesimo- dispone l'ordine di sgombero di un'immobile in
caso di mancanza della licenza di agibilità, che costituisce
appunto presupposto indispensabile perché un locale possa
essere frequentato, a prescindere dalla effettiva salubrità,
igienicità ed incolumità del locale stesso (TAR
Lombardia, Milano, sez. I, 16.11.2001, n. 7283).
Per quanto attiene, poi, alla lamentata commistione di
profili diversi, quello commerciale e quello
urbanistico-edilizio, è senza dubbio vero che solo l’art. 4
del decreto legge 05.10.1993, n. 398, ha testualmente
esteso i controlli da effettuare ai fini del rilascio della
licenza di abitabilità all'accertamento della conformità urbanistico-edilizia, mentre l’articolo 221, ai medesimi
fini, postulava la verifica dell'inesistenza di cause di
insalubrità dell'edificio, senza alcun collegamento con
finalità di carattere edilizio-urbanistico, riservando
comunque all'Amministrazione comunale il potere di reprimere
gli abusi edilizi, ancorché fosse stato rilasciato il
certificato di abitabilità.
E’ però da rilevare come, nel caso di specie, il
provvedimento impugnato sia stato adottato dopo l’entrata in
vigore della richiamata innovativa disciplina. In ogni caso,
oggetto d’impugnazione non è il diniego del rilascio del
certificato di agibilità ai sensi dell’art. 221 per motivi
inerenti interessi edilizi ed urbanistici, bensì l’ordine di
sgombero fondato sulla mancanza da parte della società
ricorrente del certificato di agibilità.
E la circostanza che la società ricorrente fosse priva del
detto certificato è dimostrato ancora di più
dall’intervenuta richiesta formulata da parte della stessa
al Comune ai predetti fini (e concernente, pertanto,
specificatamente il piano primo dell’immobile di cui
trattasi) soltanto alla data del 26.07.1994.
Né si ritiene che la semplice presentazione della detta
istanza fosse sufficiente non essendosi ancora concluso il
relativo procedimento alla data di adozione del
provvedimento impugnato.
In tal senso, infatti, non vale il richiamo all’art. 43, co.
2, del D.P.R. 30.05.1989, n. 223, rubricato “Obblighi
dei proprietari di fabbricati.”, il quale dispone
testualmente che: ”1. Gli obblighi di cui all'art. 42 devono
essere adempiuti non appena ultimata la costruzione del
fabbricato.
2. A costruzione ultimata e comunque prima che il fabbricato
possa essere occupato, il proprietario deve presentare al
comune apposita domanda per ottenere sia l'indicazione del
numero civico, sia il permesso di abitabilità se trattasi di
fabbricato ad uso di abitazione, ovvero di agibilità se
trattasi di fabbricato destinato ad altro uso. …”,
E’ infatti da rilevare che, in forza di quanto previsto dal
richiamato articolo, l’assegnazione della numerazione civica
presuppone, al pari della abitabilità, l’esistenza di un
titolo edilizio in base al quale la costruzione è stata
realizzata (TAR Lombardia Milano, sez. II, 20.03.2009, n. 1954).
Per le considerazioni che precedono, peraltro, si ritiene,
altresì, infondato il primo motivo di censura con il quale è
stata dedotta la violazione dell’art. 7 della L. n. 241 del
1990 per la mancata previa comunicazione dell’avvio
procedimentale, atteso che ai sensi dell'articolo 21-octies,
comma 2, seconda parte, della legge n. 241 del 1990, “Il
provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per
mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora
l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato".
Nel caso di specie –proprio in considerazione della
mancanza del certificato di agibilità, circostanza
dimostrata in giudizio- il Comune non poteva se non
procedere all’adozione del provvedimento di sgombero del
locale ai sensi del richiamato art. 222 del T.U.L.S..
Il ricorso va dunque respinto
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 04.02.2011 n. 1074 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: È
legittimo l'ordine di sgombero di un esercizio commerciale
disposto dal Sindaco per mancanza della licenza di
agibilità.
Con il ricorso in commento una società ha impugnato
l’ordinanza del Sindaco di un Comune laziale, con la quale è
stata disposta la chiusura dell’esercizio commerciale di
ristorante, ubicato al primo piano di un complesso
alberghiero, in quanto esercitato in locale da ritenersi
abusivo e, pertanto, sprovvisto del certificato di
abitabilità di cui all’art. 221 del R.D. n. 1265 del 1934.
Secondo i giudici del Tribunale amministrativo di Roma ciò
che rileva, ai fini dell’infondatezza del ricorso, è la
circostanza che l’ordinanza impugnata sia stata adottata da
parte del Comune ai sensi del combinato disposto degli artt.
221 e 222 del T.U.L.S..
Il richiamato articolo 221 dispone che: “Gli edifici o
parti di essi indicati nell'articolo precedente non possono
essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la
concede quando, previa ispezione dell'ufficiale sanitario o
di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione
sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che
i muri siano convenientemente prosciugati e che non
sussistano altre cause di insalubrità. …”.
Il successivo art. 222, dispone a sua volta che: “Il
podestà, sentito l'ufficiale sanitario o su richiesta del
medico provinciale, può dichiarare inabitabile una casa o
parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne lo sgombero.“.
Va subito rilevato, spiegano i giudici capitolini, che
l'autorizzazione (o licenza) di agibilità -introdotta dal
richiamato articolo 221 in un'epoca in cui le prescrizioni
urbanistiche erano pressoché inesistenti- riguarda solo la
salubrità "degli ambienti", e quindi l'edificio in se
stesso considerato, ossia il solo manufatto edilizio.
Va rilevato ancora che il rilascio del cosiddetto
certificato di agibilità sanitaria è prescritto da tale
disposizione con riguardo non soltanto agli immobili ad uso
strettamente abitativo, ma anche a quelli adibiti (o da
adibire) a scopi diversi, purché l'attività che vi si dovrà
svolgere preveda comunque un uso che comporti la
frequentazione da parte delle persone: la frase "gli
edifici o parti di essi non possono essere abitati senza
autorizzazione” va infatti interpretata in senso
estensivo, attese le finalità che la legge chiaramente si
prefigge, che sono quelle di evitare danni alle persone che
si trovino ad intrattenersi in locali che, qualora non
sottoposti ad adeguato controllo da parte dell'autorità
sanitaria, potrebbero non avere determinate caratteristiche
di igienicità, salubrità, sufficiente areazione ecc.
(Cassazione penale, sez. I, 05.04.1996, n. 5588).
L'indagine che il sindaco è chiamato a svolgere per il
rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 221 è,
pertanto, finalizzata al solo accertamento della conformità
della costruzione al progetto approvato e della mancanza di
cause di insalubrità limitate alla costruzione edilizia in
sé considerata.
Va poi aggiunto che, secondo l’orientamento della
giurisprudenza, l'atto propulsivo per il rilascio della
licenza di abitabilità di un immobile deve muovere dal
titolare della relativa concessione edilizia e la data della
conseguita abitabilità è sempre quella di rilascio del
relativo provvedimento autorizzatorio ex art. 221 T.U.L.S.
(Consiglio di Stato, sez. IV, 04.08.1986, n. 538).
Tale disposizione, pertanto, legittima il divieto di
prosecuzione dell'attività in locali privi di abitabilità
(cfr. TAR Sardegna, Cagliari, 06.02.2002, n. 115); e
legittimamente l'amministrazione –ai sensi dell’articolo
medesimo- dispone l'ordine di sgombero di un'immobile in
caso di mancanza della licenza di agibilità, che costituisce
appunto presupposto indispensabile perché un locale possa
essere frequentato, a prescindere dalla effettiva salubrità,
igienicità ed incolumità del locale stesso (commento tratto
da www.documentazione.ancitel.it - TAR Lazio-Roma, Sez.
II-ter,
sentenza 04.02.2011 n. 1074 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Immobile abusivo ultimato - Mancanza del
certificato di abitabilità - Sequestro - Art. 221 T.U. delle
leggi sanitarie - Art. 321 c.p.p..
In materia di reati edilizi o urbanistici, ai fini della
sequestrabilità preventiva di un immobile abusivo già
ultimato, può considerarsi come antigiuridica l'implicazione
proveniente dalla perpetrazione dell'illecito amministrativo
sanzionato dall'art. 221 del T.U. delle leggi sanitarie
(divieto di abitare gli edifici sforniti di certificato di
agibilità), che, pur non potendosi inquadrare nella nozione
di "agevolazione della commissione di altri reati",
certamente integra una situazione illecita ulteriore
prodotta dalla condotta (la libera utilizzazione della cosa)
che il provvedimento cautelare è finalizzato ad inibire
(Cass., Sez. III, 16.11.2004, n. 44433 e sez. IV,
19.04.2007, n. 15845).
Mutamento di destinazione d'uso
materiale - Configurabilità - Immobile abusivo - I lavori
eseguiti ripetono le caratteristiche di illegittimità.
Deve ritenersi realizzato un mutamento di destinazione d'uso
materiale (e non meramente ‘funzionale’), quando
l'innovazione avviene attraverso l'esecuzione di opere
edilizie ad essa finalizzate. Inoltre, i lavori eseguiti,
riguardano un immobile preesistente non edificato
legittimamente, per il quale pende procedura di condono non
ancora definita, sicché ripetono le caratteristiche di
illegittimità dall'opera alla quale sono intimamente
connessi e costituiscono abusiva prosecuzione della stessa.
Reati edilizi o urbanistici -
Disponibilità del manufatto - Profilo della offensività e
misura cautelare - Valutazione del giudice.
In tema di reati edilizi o urbanistici, spetta al giudice di
merito, con adeguata motivazione, compiere una attenta
valutazione del pericolo derivante da libero uso della cosa
pertinente all'illecito penale.
In particolare, vanno approfonditi la reale compromissione
degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato
utile a stabilire in che misura il godimento e la
disponibilità attuale della cosa, da parte dell'indagato o
di terzi, possa implicare una effettiva ulteriore lesione
del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale
disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro
sotto il profilo della offensività.
In altri termini, il giudice deve determinare in concreto,
il livello di pericolosità che la utilizzazione della cosa
appare in grado di raggiungere in ordine all'oggetto della
tutela penale, in correlazione al potere processuale di
intervenire con la misura preventiva cautelare (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.02.2011 n. 3885 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Abuso edilizio - Onere della prova -
A carico dell'autore - Sussiste - Ratio.
2. Abuso edilizio - Potere di repressione degli abusi
edilizi - In presenza di procedimento volto ad attestare
l'agibilità - E' esercitabile - Ratio.
1.
Spetta al privato l'onere della prova della data di
realizzazione dell'abuso -in quanto la P.A. non può, in
genere, materialmente accertare quale fosse la situazione
dell'intero suo territorio alla data prevista dalla legge,
mentre il privato è normalmente in grado di esibire idonea
documentazione comprovante l'ultimazione dell'abuso- anche
al di fuori delle ipotesi in cui tale elemento fattuale
rilevi ai fini del condono (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
8298/2010; TAR Milano, sent. n. 4986/2009, sent. n.
980/2005).
2.
Il procedimento volto ad attestare l'agibilità di un
immobile non interferisce con l'esercizio del potere di
repressione degli abusi edilizi; né il rilascio del
certificato di agibilità è sintomo di contraddittorietà
della sanzione irrogata: infatti, i due procedimenti hanno
un differente oggetto e, se, da un lato, il secondo è volto
a sanzionare l'attività urbanistico-edilizia laddove non sia
stata realizzata in rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici
ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi,
il primo è, invece, finalizzato unicamente ad attestare la
sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene,
salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli
impianti negli stessi installati (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.01.2011 n. 94 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Attestato di agibilità - Esercizio dei
poteri di repressione degli abusi edilizi - Preclusione -
Inconfigurabilità.
Il procedimento volto ad attestare l’agibilità di un
immobile non interferisce, difatti, con l’esercizio del
potere di repressione degli abusi edilizi; né il rilascio
del certificato di agibilità è sintomo di contraddittorietà
della sanzione irrogata.
I due procedimenti hanno, invero, un differente oggetto: se
il secondo è volto a sanzionare l’attività
urbanistico-edilizia, laddove non sia stata realizzata in
rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi, il primo è,
invece, finalizzato, unicamente, ad attestare la sussistenza
delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati (art. 24, d.P.R. n. 380/2001) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.01.2011 n. 94 - link a
www.ambientediritto.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Certificato di agibilità - Rilascio -
Soggetti diversi dall’intestatario del titolo edilizio -
Legittimazione - Sussistenza.
La disposizione di cui all’art. 29, comma 4, della l.r.
Umbria n. 1 del 2004, al pari dell’analoga disposizione
dell’art. 24, comma 3, del t.u. edilizia (d.P.R. 06.06.2001,
n. 380), non esclude che soggetti diversi dall’intestatario
del titolo abilitativo (o suoi successori a venti causa)
possano richiedere il certificato di agibilità.
Detto certificato, infatti, a differenza del titolo
edilizio, che amplia la sfera giuridica dell’intestatario,
che deve dunque essere ben determinato se non altro in
ragione del rapporto di esclusività che si crea con il bene
oggetto del provvedimento abilitativo, si limita ad
attestare una situazione oggettiva (ed in particolare la
corrispondenza dell’opera realizzata al progetto assentito,
dal punto di vista dimensionale, della destinazione d’uso e
delle eventuali prescrizioni contenute nel titolo, nonché
attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza,
igiene, salubrità degli edifici, di risparmio energetico e
di sicurezza degli impianti negli stessi installati, alla
stregua della normativa vigente).
Ne deriva che deve essere rilasciato a chiunque abbia un
interesse giuridicamente apprezzabile ad utilizzare
l’edificio al quale si riferisce (TAR Umbria, Sez. I,
sentenza 18.11.2010 n. 512 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
certificato di agibilità/abitabilità deve essere rilasciato
o negato per ragioni prevalentemente inerenti il profilo
igienico-sanitario dell’edificio ovvero la conformità
rispetto al progetto approvato.
Il certificato di agibilità/abitabilità, in base all'art. 4,
d.P.R. 22.04.1994 n. 425, deve essere rilasciato o negato
per ragioni prevalentemente inerenti il profilo
igienico-sanitario dell’edificio ovvero la conformità
rispetto al progetto approvato (così TAR Sicilia Catania,
sez. I, 31.10.2008, n. 1898)
(TAR Calabria-Catanzaro,
Sez. II,
sentenza 30.06.2010 n. 1371 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
La figura dell’«invalidità caducante» (o
«travolgimento» o «effetto travolgente») si delinea
allorquando il provvedimento annullato in sede
giurisdizionale, nel caso di specie il permesso di costruire
in sanatoria, costituisce il presupposto unico ed
imprescindibile dei successivi atti consequenziali (quali il
certificato di agibilità), sicché il suo venir meno travolge
automaticamente –e cioè senza che occorra una ulteriore
specifica impugnativa– tali atti successivi strettamente e
specificamente collegati al provvedimento presupposto.
---------------
Per quanto sopra, sotto tale profilo, il permesso di
costruire conseguente l’accertamento di conformità ex art.
36 d. P.R. n. 380 del 2001 va annullato: ciò che –va
rilevato incidentalmente– si riflette sul successivo
provvedimento attestante l’agibilità dei locali n. 856 del
14.10.2008 (depositato in atti dalla difesa del Comune di
Licata in prossimità dell’udienza pubblica).
La figura dell’«invalidità caducante» (o «travolgimento»
o «effetto travolgente»), infatti, si delinea
allorquando il provvedimento annullato in sede
giurisdizionale, nel caso di specie il permesso di costruire
in sanatoria, costituisce il presupposto unico ed
imprescindibile dei successivi atti consequenziali (quali il
certificato di agibilità), sicché il suo venir meno travolge
automaticamente –e cioè senza che occorra una ulteriore
specifica impugnativa– tali atti successivi strettamente e
specificamente collegati al provvedimento presupposto (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 05.08.2010 n. 9199 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: I
requisiti di abitabilità dei sottotetti sono stabiliti da
una fonte primaria (l.r. Lombardia 11.03.2005 n. 12 per il
governo del territorio), non derogabile neppure in sede di
condono (cioè di sanatoria eccezionale) degli abusi edilizi,
posto che l’art. 35 della legge n. 47 del 1985 prevede il
rilascio del certificato di abitabilità o agibilità anche in
deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, ma non
in deroga a norme legislative.
Come statuito di recente da
questo Tribunale (sent. 30.11.2009 n. 5213), i requisiti di
abitabilità dei sottotetti sono stabiliti da una fonte
primaria (legge regionale 11.03.2005 n. 12 per il governo
del territorio), non derogabile neppure in sede di condono
(cioè di sanatoria eccezionale) degli abusi edilizi, posto
che l’art. 35 della legge n. 47 del 1985 prevede il rilascio
del certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga
ai requisiti fissati da norme regolamentari, ma non in
deroga a norme legislative (cfr., sul tema, Corte Cost.
18.07.1996 n. 256)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 31.03.2010 n. 840 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Agibilità. Sanzioni previste art. 24
D.P.R. 380/2001.
Il Comune pone
una serie di quesiti in materia di agibilità, con
particolare riferimento alle sanzioni previste dall’art. 24
del D.P.R. 380/2001.
1. L’ente, in primo luogo, chiede quale sia l’ufficio
comunale competente all’irrogazione della sanzione
amministrativa di cui al comma 3 dell’art. 24 del citato
D.P.R. 380/2001, ai sensi del quale “la mancata
presentazione della domanda (di rilascio del certificato di
agibilità) comporta l’applicazione della sanzione
amministrativa pecuniaria da 77 a 464 euro”.
2. In secondo luogo si chiede di individuare l’ente
legittimato ad incassare i proventi della predetta sanzione.
3. Il Comune chiede, altresì, quale sia l’autorità
competente a ricevere il ricorso sull’irrogazione della
sanzione.
4. Infine, si chiede quali azioni amministrative possa
intraprendere il Comune in caso di continuazione della
condotta omissiva da parte dell’interessato (Regione
Piemonte,
parere n.
7/2010 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Agibilità - Istanza di agibilità -
Decorrenza del termine e attestazione dell'agibilità -
Natura - E' legittimazione ex lege - Silenzio-assenso -
Inconfigurabilità.
2. Agibilità - Diniego di agibilità - Presupposti.
3. Agibilità - Diniego di agibilità - Motivazioni -
Riferimento a violazioni della normativa urbanistica o
edilizia - E' sufficiente.
4. Agibilità - Agibilità parziale - Configurabilità -
Presupposti normativi.
1.
La previsione normativa secondo cui l'agibilità si intende
attestata decorso il termine indicato, non configura una
vera e propria ipotesi di silenzio assenso in senso tecnico
ex art. 20 Legge 241/1990, bensì dà luogo ad una sorta di
legittimazione ex lege, che prescinde dalla pronuncia
della P.A. e che trova il suo fondamento nella effettiva
sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per il
rilascio del titolo (cfr. TAR Lazio, sent. n. 4129/2005).
2.
L'agibilità può essere negata non solo in caso di mancanza
di condizioni igieniche ma anche in caso di contrasto con
gli strumenti urbanistici o con il titolo edilizio, come a
titolo esemplificativo, il caso di assenza di idoneo
progetto o di mancato pagamento degli oneri concessori (cfr.
Cons. di Stato, sent. nn. 6174/2008 e 1542/2005; TAR Milano,
sent. n. 4672/2009; TAR Lazio, sent. n. 4129/2005).
3.
Il diniego di agibilità non può essere reputato illegittimo
per la sola circostanza che sia motivato con riferimento a
presunte violazioni della normativa urbanistica o edilizia:
risulterebbe, infatti, assurdo il rilascio da parte del
Comune dell'agibilità a fronte di un'opera magari
palesemente abusiva e destinata quindi con certezza alla
demolizione, apparendo tale comportamento della P.A.
contraddittorio rispetto al perseguimento del pubblico
interesse.
4.
In materia di agibilità, non paiono sussistere ostacoli, sul
piano normativo, al rilascio di agibilità per parti autonome
di edifici, soprattutto in casi i cui gli interventi edilizi
di recupero interessino una vasta area, ove sorgono distinte
unità immobiliari: poiché infatti, ex art. 222 R.D.
1265/1934, può essere dichiarata inabitabile una casa o
parte di essa, si riconosce così implicitamente
l'ammissibilità di una agibilità parziale (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.02.2010 n. 332 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
previsione normativa secondo cui l’agibilità <<si intende
attestata>>, decorso il termine indicato, non configura una
vera e propria ipotesi di silenzio-assenso in senso tecnico,
di cui all’art. 20 della legge 241/1990, ma dà luogo invece
ad una sorta di legittimazione ex lege, che prescinde dalla
pronuncia della Pubblica Amministrazione e che trova il suo
fondamento nella effettiva sussistenza dei presupposti
richiesti dalla legge per il rilascio del titolo.
Tale interpretazione dell’art. 25, comma 4, del DPR 380/2001
trova fondamento nel successivo art. 26 del Testo Unico
dell’edilizia, secondo il quale: <<Il rilascio del
certificato di agibilità non impedisce l'esercizio del
potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di
parte di esso ai sensi dell'articolo 222 del r.d.
27.07.1934, n. 1265>>.
In forza di tale articolo del Testo Unico delle leggi
sanitarie: <<Il podestà, sentito l'ufficiale sanitario o su
richiesta del medico provinciale, può dichiarare inabitabile
una casa o parte di essa per ragioni igieniche e ordinarne
lo sgombero>>. La declaratoria di inabitabilità (o meglio
inagibilità, visto che il DPR 380/2001 non distingue più
espressamente l’inagibilità dalla inabitabilità), può essere
effettuata in ogni tempo e non costituisce manifestazione di
autotutela amministrativa, ma soltanto attestazione della
insussistenza –originaria o sopravvenuta non importa– dei
requisiti tecnici necessari per dichiarare agibile un
edificio.
---------------
L’agibilità può essere negata non solo
in caso di mancanza di condizioni igieniche ma anche in caso
di contrasto con gli strumenti urbanistici o con il titolo
edilizio (DIA o permesso di costruire).
A tale conclusione perviene gran parte della giurisprudenza
senza contare che questa interpretazione ha anche un
supporto normativo nell’art. 25, comma 1, del Testo Unico
dell’Edilizia. A norma della lettera b) del comma 1 citato,
infatti, la domanda di agibilità deve essere corredata, fra
l’altro, da una dichiarazione del richiedente <<(…) di
conformità dell’opera rispetto al progetto approvato>>, e
ciò significa che in caso di difformità dell’opera dal
progetto edilizio, ma anche evidentemente in caso di assenza
di idoneo progetto, l’agibilità dovrà essere negata.
Con il primo motivo aggiunto, si denuncia
l’illegittimità del diniego del 02.11.2009, per violazione
dell’art. 25, comma 4, del DPR 380/2001 (Testo Unico
dell’edilizia), in quanto, a detta dell’esponente, sulla
domanda di agibilità del 07.06.2007 si sarebbe formato
silenzio-assenso.
In effetti, secondo il comma 4 citato, l’agibilità si
intende attestata, nel caso in cui sia rilasciato il parere
dell’ASL, qualora sia decorso inutilmente il termine di cui
al comma 3 dello stesso articolo 25 (trenta giorni dalla
ricezione della domanda o della documentazione integrativa,
in caso di interruzione del termine da parte del
responsabile del procedimento).
Nel caso di specie, la domanda risulta depositata in Comune
il 07.06.2007 (circostanza non smentita
dall’Amministrazione), mentre l’ultima integrazione
documentale è stata effettuata dalla Fondazione il
05.02.2008, per cui il termine di legge di trenta giorni
risulterebbe ampiamente decorso al momento di adozione
dell’atto impugnato (02.11.2009).
Il motivo non merita però accoglimento, alla luce della
giurisprudenza formatasi in materia, anche relativa alla
normativa sul certificato di agibilità anteriore al DPR
380/2001, vale a dire il DPR 22.04.1994 n. 425, oggi
abrogato, il cui art. 4 conteneva una formulazione analoga a
quella dell’art. 25, comma 4, sopra citato.
Per i giudici amministrativi, infatti, la previsione
normativa secondo cui l’agibilità <<si intende attestata>>,
decorso il termine indicato, non configura una vera e
propria ipotesi di silenzio-assenso in senso tecnico, di cui
all’art. 20 della legge 241/1990, ma dà luogo invece ad una
sorta di legittimazione ex lege, che prescinde dalla
pronuncia della Pubblica Amministrazione e che trova il suo
fondamento nella effettiva sussistenza dei presupposti
richiesti dalla legge per il rilascio del titolo (cfr. TAR
Lazio, sez. II-bis, 25.05.2005, n. 4129, con la
giurisprudenza ivi richiamata).
Tale interpretazione dell’art. 25, comma 4, del DPR 380/2001
trova fondamento nel successivo art. 26 del Testo Unico
dell’edilizia, secondo il quale: <<Il rilascio del
certificato di agibilità non impedisce l'esercizio del
potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di
parte di esso ai sensi dell'articolo 222 del regio decreto
27.07.1934, n. 1265>>.
In forza di tale articolo del Testo Unico delle leggi
sanitarie: <<Il podestà, sentito l'ufficiale sanitario o
su richiesta del medico provinciale, può dichiarare
inabitabile una casa o parte di essa per ragioni igieniche e
ordinarne lo sgombero>>. La declaratoria di
inabitabilità (o meglio inagibilità, visto che il DPR
380/2001 non distingue più espressamente l’inagibilità dalla
inabitabilità), può essere effettuata in ogni tempo e non
costituisce manifestazione di autotutela amministrativa, ma
soltanto attestazione della insussistenza –originaria o
sopravvenuta non importa– dei requisiti tecnici necessari
per dichiarare agibile un edificio.
L’atto impugnato non può quindi essere considerato un
provvedimento negativo tardivo, visto che sulla domanda
della ricorrente non si è formato tacitamente alcun
provvedimento di assenso.
Si conferma, pertanto, il rigetto del primo motivo aggiunto.
---------------
Attraverso il terzo mezzo aggiunto, viene dapprima
lamentata la violazione dei principi dell’art. 25 del DPR
380/2001, in quanto, a detta della ricorrente, l’agibilità
non potrebbe negarsi facendo riferimento a ragioni di ordine
urbanistico o edilizio, ma soltanto a ragioni di igiene e
salubrità, come risultanti dal citato art. 25.
Sul punto, preme però al Collegio evidenziare come non possa
essere condiviso l’orientamento, anche se talora emergente
in giurisprudenza, che condiziona il rilascio del
certificato di agibilità alla sola salubrità degli ambienti
ma non anche alla loro conformità urbanistica, distinguendo
quindi nettamente il momento di valutazione dell’igiene
dell’immobile da quello della sua compatibilità edilizia.
Al contrario, reputa il Tribunale che l’agibilità possa
essere negata non solo in caso di mancanza di condizioni
igieniche ma anche in caso di contrasto con gli strumenti
urbanistici o con il titolo edilizio (DIA o permesso di
costruire).
A tale conclusione perviene gran parte della giurisprudenza
(oltre al già citato TAR Lazio, n. 4129/2005, si vedano
anche Consiglio di Stato, sez. V, 12.12.2008, n. 6174 e
05.04.2005, n. 1542; TAR Lombardia, Milano, sez. II,
17.09.2009, n. 4672, che ha ritenuto legittimo il diniego di
agibilità a fronte del mancato pagamento degli oneri
concessori), senza contare che questa interpretazione ha
anche un supporto normativo nell’art. 25, comma 1, del Testo
Unico dell’Edilizia. A norma della lettera b) del comma 1
citato, infatti, la domanda di agibilità deve essere
corredata, fra l’altro, da una dichiarazione del richiedente
<<(…) di conformità dell’opera rispetto al progetto
approvato>>, e ciò significa che in caso di difformità
dell’opera dal progetto edilizio, ma anche evidentemente in
caso di assenza di idoneo progetto, l’agibilità dovrà essere
negata.
Del resto, appare assurdo che il Comune rilasci l’agibilità
a fronte di un’opera magari palesemente abusiva e destinata
quindi con certezza alla demolizione, apparendo tale
comportamento dell’Amministrazione contraddittorio rispetto
al perseguimento del pubblico interesse.
Di conseguenza, non può il diniego di agibilità essere
reputato illegittimo per la sola circostanza che è motivato
con riferimento a presunte violazioni della normativa
urbanistica o edilizia
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.02.2010 n. 332 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Rilascio della concessione in sanatoria
- Certificato di agibilità o di abitabilità - Automatismo -
Fattispecie: illegittima sospensione di un’attività di
carrozzeria - Art. 35 L. n. 47/1985.
L’art. 35 della l. n. 47/1985 prevede che il rilascio della
concessione in sanatoria determini il rilascio del
certificato d’abitabilità o d’agibilità anche in deroga ai
requisiti fissati da norme regolamentari, così introducendo
una sorta di automatismo: ne deriva che la mancanza, in
concreto, del certificato di agibilità non legittima la
sospensione di un’attività di carrozzeria i cui locali siano
stati oggetto di apposita concessione in sanatoria, tanto
più se si considera che “l'eventuale mancanza di
certificato di agibilità e le questioni di carattere
edilizio possono avere rilievo in altri ambiti dell'attività
amministrativa ma non in quello strettamente commerciale”
(Cons. Stato, Sez. V, n. 477/2004) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 29.01.2010 n. 420 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: In
assenza di una documentata istanza da parte del titolare del
permesso di costruire il Comune non può rilasciare
l’agibilità delle nuove costruzioni, né il certificato in
questione può essere sostituito da attestazioni provenienti
dal privato o da tecnici di sua fiducia.
La tesi della ricorrente secondo cui l’immobile era, seppure
funzionalmente non corrispondente a quanto progettato (il
che, come detto, è ammesso anche nel ricorso), completo dal
punto di vista urbanistico e pienamente agibile, si scontra
con le disposizioni di cui agli artt. 24 e 25 del T.U. n.
380/2001, il che è stato confermato a seguito
dell’istruttoria disposta con l’ordinanza n. 65/2009.
In effetti, l’art. 24 del T.U. dispone che “1. Il
certificato di agibilità attesta la sussistenza delle
condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio
energetico degli edifici e degli impianti negli stessi
installati, valutate secondo quanto dispone la normativa
vigente.
2. Il certificato di agibilità viene rilasciato dal
dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale
con riferimento ai seguenti interventi:
a) nuove costruzioni;
b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali;
c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire
sulle condizioni di cui al comma 1.
3. Con riferimento agli interventi di cui al comma 2, il
soggetto titolare del permesso di costruire o il soggetto
che ha presentato la denuncia di inizio attività, o i loro
successori o aventi causa, sono tenuti a chiedere il
rilascio del certificato di agibilità. La mancata
presentazione della domanda comporta l'applicazione della
sanzione amministrativa pecuniaria da 77 a 464 euro.
4. Alla domanda per il rilascio del certificato di agibilità
deve essere allegata copia della dichiarazione presentata
per la iscrizione in catasto, redatta in conformità alle
disposizioni dell'articolo 6 del regio decreto-legge
13.04.1939, n. 652, e successive modificazioni e
integrazioni…”, mentre il successivo art. 25 disciplina
il relativo procedimento.
Come si può agevolmente comprendere, in assenza di una
documentata istanza da parte del titolare del permesso di
costruire (attraverso la quale viene verificato anche il
rispetto di normative aventi differente campo di
applicazione -quali ad esempio quelle relative
all’accatastamento degli immobili o all’efficienza
energetica degli edifici- ma ugualmente rilevanti in
subiecta materia), il Comune non può rilasciare
l’agibilità delle nuove costruzioni, né il certificato in
questione può essere sostituito da attestazioni provenienti
dal privato o da tecnici di sua fiducia (a ciò ostando tra
l’altro anche la clausola dell’art. 4 della convenzione, che
parla espressamente di “certificato di agibilità”,
ossia del documento, proveniente dal Comune, previsto dagli
artt. 24 e 25 del T.U. edilizia) (TAR Marche,
sentenza 25.01.2010 n. 4 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Locali soppalcati - Abitabilità e
agibilità - Regolamento di igiene - Rispetto dei requisiti -
Sussiste.
Come si evince dalla documentazione in atti (verbale di
sopralluogo 17.07.1998), la superficie occupata dal soppalco
(13 mq.) è inferiore ad un terzo della superficie
complessiva dei locali di vendita (mq. 131); risulta,
inoltre, che il soppalco presenta nella parte inferiore
un'altezza di m. 2,27 e nella parte superiore, adibita ad
uso ufficio, un'altezza di m. 2,10 e che il rapporto
aeroilluminante è "regolamentare".
Pertanto il soppalco realizzato dalla società ricorrente
rispetta i requisiti specificamente prescritti dall'art.
3.6.0 del regolamento di igiene per rendere i locali
soppalcati abitabili ed agibili, con la conseguente
illegittimità dell'ordinanza (che ingiunge alla società di
procedere all'effettuazione delle opere di adeguamento)
nella parte in cui contesta alla ricorrente insussistenti
difformità rispetto alle previsioni del regolamento di
igiene (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 18.01.2010 n. 65 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Regolamentazione volume edifici.
Ampliamento edifici. Proroga lavori. Agibilità.
Il Comune richiedente pone una serie di quesiti in materia
edilizia e precisamente:
1) In materia di volume degli edifici; 2) In materia di
ampliamento degli edifici; 3) In materia di “proroga dei
lavori”; 4) Agibilità (Regione Piemonte,
parere n.
142/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
VARI:
Risoluzione del preliminare per
l'assenza del certificato di agibilità.
Il preliminare di vendita può essere risolto per
inadempimento del venditore nella ipotesi in cui manchi il
certificato di agibilità, anche se ciò dipende dalla inerzia
del Comune.
Tale documento è,infatti, essenziale e, pertanto, deve
esistere all’atto della sottoscrizione del rogito notarile
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 27.11.2009 n. 25040 - link a
www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Concessione edilizia - Ipotesi di
gratuità - Non sussiste.
2. Concessione edilizia - Agibilità - Diniego - Legittimità.
3. Concessione edilizia - Oneri - Costo di costruzione -
Attività industriali - Esclusione.
1.
L'esenzione dal pagamento dei contributi di costruzione,
prevista dall'art. 9, comma 1, lett. f), l. 28.01.1977 n.
10, spetta solo con riferimento alle opere realizzate per il
raggiungimento delle finalità istituzionali di una pubblica
amministrazione e che pertanto, anche se eseguite da un
soggetto privato in regime di concessione o altro istituto
analogo, sono destinate a pervenire nel patrimonio
dell'amministrazione stessa; di conseguenza, se invece una
società, anche se costituita da un ente pubblico per il
conseguimento di sue finalità, realizza una struttura al
fine di utilizzarla nell'ambito della sua attività
d'impresa, viene a mancare la stessa ratio della
concessone dell'esenzione, che è quella di evitare una
contribuzione a carico di un'opera destinata a soddisfare
esclusivamente interessi generali (Consiglio Stato, sez. V,
02.10.2008, n. 4761).
2.
Dal momento che il procedimento di agibilità di un edificio
riguarda non solo il controllo delle condizioni di
sicurezza, ma presuppone anche che il procedimento edilizio
sia completo, è legittimo il diniego comunale opposto
nell'ipotesi in cui l'obbligazione patrimoniale degli oneri
non sia stata adempiuta.
3.
Le opere edilizie destinate ad attività industriali o
artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla
prestazione di servizi, tra le quali rientrano le attività
imprenditoriali dirette alla prestazione di servizi sanitari
sono escluse dal pagamento del costo di costruzione (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 4672 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
agibilità è certamente rivolta al controllo delle condizioni
di sicurezza, ma presuppone anche che il procedimento
edilizio sia completo e quindi che l’obbligazione
patrimoniale del pagamento degli oneri sia stata adempiuta.
Nel secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli
art. 24 e 25 DPR 380/2001 in quanto la determinazione
dell’Amministrazione di subordinare il rilascio della
agibilità al pagamento degli oneri sarebbe illegittima.
La agibilità è certamente rivolta al controllo delle
condizioni di sicurezza, ma presuppone anche che il
procedimento edilizio sia completo e quindi che
l’obbligazione patrimoniale del pagamento degli oneri sia
stata adempiuta.
L’assenza di questa condizione, come nel caso di specie,
giustifica il rigetto della domanda (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 4672 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Abusi - Sanatoria - Certificato di
agibilità - Presupposti - Conformità a norme
urbanistico-edilizie - Necessità - Ratio.
In tema di certificato di agibilità, la conformità dei
manufatti alle norme urbanistico-edilizie è presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del suddetto
certificato (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2760/2009); ancor
prima della logica giuridica è d'altronde la ragionevolezza
ad escludere che possa essere utilizzato, per qualunque
destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa
urbanistico-edilizia e, come tale, in potenziale contrasto
con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui
protezione quella disciplina è preordinata (corretto uso del
suolo, difesa dell'ambiente, salubrità degli abitati,
sicurezza e stabilità delle costruzioni, ecc.) (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 4670). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Giustizia amministrativa - Ricorso
proposto avverso il silenzio maturato sull'istanza di
accertamento di conformità - Provvedimento espresso
sull'istanza di accertamento di conformità - Improcedibilità
per sopravvenuta carenza di interesse - Sussistenza.
2. Difformità lievi tra quanto progettato e realizzato -
Irrilevanza urbanistica - Sussiste.
3. Accertamento rapporti aereoilluminanti - Verifica
agibilità dei locali - Sussiste.
1.
E' improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse
l'impugnativa del silenzio dell'Amministrazione maturato
sull'istanza di accertamento di conformità, seguita da un
provvedimento espresso sulla detta istanza di accertamento
di conformità, anch'esso impugnato.
2.
Devono considerarsi urbanisticamente irrilevanti, in quanto
non incidenti sui parametri urbanistici e sui prospetti
dell'edificio, le difformità edilizie tra quanto progettato
e quanto realizzato di lieve entità, non incidenti sullo
stato dei luoghi.
3.
L'accertamento relativo ai rapporti aereoilluminanti attiene
alla verifica dell'agibilità dei locali ai sensi dell'art.
24 D.P.R. n. 380/2001 (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.07.2009 n. 4469 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Commissione provinciale vigilanza locali
pubblici e spettacoli: il parere è viziato se alla fase
conclusiva non hanno partecipato tutti i componenti.
Ancorché nel primo sopralluogo del 16.04.1998 la Commissione
avesse operato nella completezza dei suoi componenti ed in
tale sede imposto specifiche prescrizioni tecniche per il
rilascio del definitivo parere di competenza, nella medesima
composizione doveva compiere anche la successiva fase
procedimentale di verifica del corretto adempimento alle
prescrizioni imposte, che costituivano condizione per
l’attestazione di agibilità e sicurezza dei locali.
Ciò non è avvenuto, per l’assenza del rappresentanza della
locale U.S.L., incorrendo nella violazione dell’art. 141,
ultimo comma, del r.d. n. 635/1940 ove è stabilito che “il
parere della Commissione è dato per iscritto con
l’intervento di tutti i componenti”, previsione in base
dalla quale il TAR ha correttamente tratto la conclusione
della natura di collegio perfetto del predetto organo
tecnico (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 21.05.2009 n. 3118 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Certificato
di agibilità, ex art. 24 D.P.R. 380/2001.
Si chiede parere in merito al rilascio del certificato di
agibilità, ex art. 24 del D.P.R. n. 380/2001 -a seguito di
rilascio di permesso di costruire in condono– relativamente
ad un immobile privo del requisito dell’altezza minima
interna di mt. 2,70, previsto dal D.M. 05.07.1975 (Regione
Piemonte,
parere n. 4/2009 -
tratto da www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: E'
illegittimo il provvedimento amministrativo che non limita
la dichiarazione di inagibilità ai soli fabbricati costruiti
in assenza dei permessi prescritti dalla legge e al blocco
dei servizi ubicato sotto la “piscina ad onde”, sprovvisto
di certificazione di agibilità, ma la estende all’intera
struttura (nella fattispecie, parco acquatico).
L'adozione di provvedimenti quali quello oggetto del
presente giudizio deve essere supportata da adeguati ed
idonei pareri di organi tecnici, in modo da conciliare i
primari e fondamentali interessi pubblici alla sicurezza,
alla igiene e alla salubrità con l’interesse del privato
all’esercizio della propria attività imprenditoriale nel
rispetto del principio della libertà di iniziativa
economica.
In particolare dalla relazione tecnica redatta in data
13.08.2007, a seguito della richiesta del certificato di
agibilità da parte della Stefania a r.l., emerge che “…gli
accessi sotto la piscina ad onde erano chiusi, ed a lato
degli stessi erano presenti alcuni telai per porte, pronti
per il montaggio; all’interno del blocco servizi nord c’è
una scala che scende ai servizi, completamente bagnata
dall’acqua che filtra abbondantemente dal soffitto e che
rende scivolosi i gradini; mancano alcune porte interne;
mancano le protezioni dei tubi di condotta dell’acqua calda;
mancano le scatole di protezione elettrica e ci sono fili
non protetti. Tale circostanza risulta particolarmente grave
in quanto le infiltrazioni d’acqua dal soffitto
interferiscono con il passaggio delle derivazioni
elettriche. La messa in funzione della corrente potrebbe
generare il rischio di folgorazione: sulla parete opposta
alle porte di ingresso ai servizi è stato ricavato uno
spazio aggiuntivo, rispetto a quello descritto dalle
planimetrie catastali allegate all’istanza di agibilità…”.
Orbene l’amministrazione comunale, preso atto della presenza
all’interno del parco di alcuni fabbricati costruiti senza i
prescritti permessi edilizi e soprattutto dell’assenza delle
certificazioni di agibilità relativamente al blocco servizi
ubicato al di sotto della “piscina ad onde” con conseguente
inefficacia della quantificazione della capacità ricettiva
di 2500 persone dell’impianto sportivo, come individuata
dalla Commissione Provinciale Pubblici Spettacoli il
04.07.2000, dichiarava inagibile il “Parco Acquatico –
Sporting Club Villabella”, disponendo altresì la
comunicazione del provvedimento agli enti fornitori di
servizi affinché provvedessero ad interrompere l’erogazione
degli stessi.
Il Collegio ritiene di dover confermare nel merito quanto
già statuito in sede cautelare e, quindi, di dover
dichiarare illegittimo il provvedimento gravato nella parte
in cui non limita la dichiarazione di inagibilità ai soli
fabbricati costruiti in assenza dei permessi prescritti
dalla legge e al blocco dei servizi ubicato sotto la
“piscina ad onde”, sprovvisto di certificazione di
agibilità, ma la estende all’intera struttura denominata
“Parco Acquatico – Sporting Club Villabella”.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza
amministrativa dal quale il Collegio non ravvisa valide
ragioni per discostarsi, l’autorità procedente, anche
qualora eserciti un potere di natura ampiamente
discrezionale, nell’emanare il provvedimento, per quanto
attiene al suo contenuto intrinseco, è sempre vincolata al
rispetto dei principi di utilità e di congruità del mezzo
prescelto con riferimento allo scopo dichiarato, nonché ai
principi di proporzionalità e coerenza tra le circostanze di
fatto e il contenuto dell'atto e a quello del minor
sacrificio possibile per i privati destinatari del
provvedimento idoneo ad incidere negativamente sulla loro
sfera giuridica (cfr. Cons. Stato, 23.08.2000, n. 4568).
Per questi motivi, in linea di massima, l'adozione di
provvedimenti quali quello oggetto del presente giudizio
deve essere supportata da adeguati ed idonei pareri di
organi tecnici, in modo da conciliare i primari e
fondamentali interessi pubblici alla sicurezza, alla igiene
e alla salubrità con l’interesse del privato all’esercizio
della propria attività imprenditoriale nel rispetto del
principio della libertà di iniziativa economica (TAR Veneto,
Sez. III,
sentenza 02.01.2009 n. 6 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2008 |
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CONDONO
EDILIZIO: Sul
rilascio di un condono edilizio in deroga alle norme
igienico-sanitarie.
Con riguardo ai rapporti tra il condono edilizio e i
requisiti igienico sanitari, va premesso che l’art. 32,
comma 25, del D.L. 269/2003 conv. in L. 326/2003 richiama le
disposizioni di cui ai capi IV e V della L. 47/1985,
rendendole applicabili alle opere abusive che risultino
ultimate entro il 31/03/2003. In particolare l’art. 35,
comma 20, della L. 47/1985 dispone che “A seguito della
concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì
rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche
in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari,
qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni
vigenti in materia di sicurezza statica, … e di prevenzione
degli incendi e degli infortuni”.
La Corte costituzionale, investita della questione di
legittimità della disposizione, con la pronuncia 18/07/1996
n. 256 ha statuito che “La deroga non riguarda, infatti,
i requisiti richiesti da disposizioni legislative, e deve,
pertanto escludersi una automaticità assoluta nel rilascio
del certificato di abitabilità pur nella più semplice forma
disciplinata dal D.P.R. n. 425 del 1994 a seguito di
concessione in sanatoria, dovendo invece il Comune
verificare che al momento del rilascio del certificato di
abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui
all'art. 221 del R.D. n. 1265 del 1934 (rectius, di cui
all'art. 4 del D.P.R. n. 425 del 1994), ma, altresì, quelle
previste da altre disposizioni di legge in materia di
abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva
normativa tecnica, quali quelle a tutela delle acque
dall'inquinamento, quelle sul consumo energetico, ecc.”.
Ha concluso la Corte evidenziando che “Permangono,
infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla
verifica delle condizioni igienico-sanitarie per
l'abitabilità di edifici, con l'unica possibile deroga ai
requisiti fissati da norme regolamentari (in maggior parte
regolamenti comunali)”.
La giurisprudenza ha di conseguenza condiviso l’indirizzo
per il quale il rilascio della concessione edilizia in
sanatoria può legittimamente avvenire in deroga a norme di
natura regolamentare e non anche quando siano carenti le
condizioni di salubrità prescritte da fonti normative di
livello primario, in quanto la disciplina del condono
edilizio –per il suo carattere di eccezionalità e
derogatorio– non è suscettibile di interpretazioni estensive
e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio
della tutela della salute (cfr. Consiglio di Stato, sez. V –
15/04/2004 n. 2140; sentenza Sezione 02/08/2002 n. 1105).
Si è così affermato che il condono edilizio risultante dalla
disciplina di cui al capo IV della L. 47/1985 riguarda in
modo specifico gli abusi di carattere urbanistico-edilizio,
avendo per oggetto le opere non legittimate da concessione
edilizia o da autorizzazione a costruire: ebbene, il
rilascio di un certificato di abitabilità o agibilità che
autorizzi l’uso abitativo di unità immobiliari in carenza di
condizioni di salubrità prescritte da fonti di livello
primario è contraddetto anche da considerazioni di ordine
logico, tanto più determinanti in quanto il carattere
eccezionale e derogatorio della disciplina del condono non
ne consente alcun ampliamento in sede interpretativa, e
soprattutto non consente ricostruzioni che avrebbero
riflessi sul piano della legittimità costituzionale, in
quanto incidenti sul fondamentale principio della protezione
della salute sancito dall’art. 32 della Costituzione (cfr.
Consiglio di Stato, sez. V – 13/04/1999 n. 414; TAR
Lombardia Milano, sez. II – 23/01/2008 n. 158; TAR Veneto,
sez. II – 11/02/2005 n. 650).
Nel caso che ci occupa, la deroga ha investito una
disposizione –racchiusa nel regolamento locale di igiene–
che fissa in via generale in 50 metri il limite minimo di
distanza degli allevamenti dalle case abitate da terzi.
Se in astratto le norme regolamentari di carattere
igienico-sanitario non costituiscono un ostacolo
invalicabile al rilascio del provvedimento di condono e del
successivo certificato di abitabilità/agibilità, è
desumibile dai principi giurisprudenziali sopra citati e
dalla pronuncia della Corte costituzionale l’obbligo di dare
specifico conto delle ragioni sottese alla deroga,
evidenziando in modo puntuale e circostanziato l’assenza di
rischi per il diritto inviolabile alla salute.
Ritiene il Collegio che la riduzione della distanza minima
che deve separare un allevamento bovino da una civile
abitazione destinata all’uso residenziale deve essere
accompagnata dalla verifica dell’adozione degli accorgimenti
indispensabili che consentono di abbattere o ridurre al
minimo le molestie, qualificabili queste ultime come
situazioni di disturbo della tranquillità e della quiete,
con impatto negativo sulle normali attività della persona e
sulla vivibilità in generale. E’ ad esempio noto che le
stalle non provocano soltanto la diffusione di odori
sgradevoli (anche per la presenza di liquami e deiezioni
organiche) ma costituiscono fonti di sviluppo di mosche,
zanzare, topi, insetti e parassiti infestanti (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 26.11.2008 n. 1687 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
certificato di abitabilità/agibilità attiene esclusivamente
a scopi igienico sanitari.
Il comune nella nota 27.10.2006, costituente la
comunicazione nei motivi ostativi all'accoglimento
dell'istanza ai sensi dell'articolo 10-bis della legge 241
del '90, rilevava il contrasto fra detta documentazione e la
dichiarazione contenuta nella domanda di condono, secondo
cui i lavori sarebbero stati ultimati il 30.03.2003, e,
attribuendo alle dichiarazioni contenute nella richiesta di
agibilità rilievo prevalente, negava la veridicità di quanto
assunto solo in un secondo tempo a giustificazione del
condono richiesto.
Orbene, il certificato di agibilità/abitabilità implica, in
capo all'autorità emanante, la preventiva verifica e la
conseguente valutazione di elementi non rilevanti in sede di
rilascio della concessione edilizia; in particolare, detto
certificato attiene esclusivamente a scopi igienico
sanitari, presupponendo l'accertamento dell'inesistenza di
cause d'insalubrità e il suo rilascio non è ricollegato,
quindi, alla verifica di esatta rispondenza delle volumetrie
realizzate con quelle assentite dal titolo concessorio,
ovvero, come nella specie, delle caratteristiche anche
cronologiche o temporali delle stesse.
Con ciò non si vuol dire, beninteso, che l’amministrazione
non possa derivare dalle dichiarazioni rilasciate o
acquisite in tale sede, come del resto in altri procedimenti
avviati, dichiarazioni utili ai fini della completezza
dell'istruttoria, onde consentire una compiuta valutazione
della domanda proposta, ma la medesima amministrazione non
può ritrarre da tali accertamenti incidentali delle
valutazioni ostative alla positiva definizione del
procedimento, per così dire principale, senza aver compiuto,
proprio all'interno del detto procedimento, tutti quegli
accertamenti, anche mediante apposito specifico sopralluogo,
che possono consentire proprio una migliore e più compiuta
valutazione delle circostanze che, a un primo esame, paiono
idonee a sostenere l'adozione di un provvedimento di diniego
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 16.06.2008 n. 1740
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anno 2005 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sebbene,
l'art. 4 del d.P.R. 425/1994 preveda che il silenzio
dell'amministrazione comunale protrattosi per oltre
quarantacinque giorni sulla richiesta di rilascio della
licenza di abitabilità comporti che "l'abitabilità si
intende attestata", nondimeno il silenzio non costituisce
una forma di silenzio-assenso in senso tecnico, ma solo una
legittimazione ex lege che prescinde dalla pronuncia della
p.a. e trova il suo fondamento nella effettiva sussistenza
di tutti i presupposti richiesti dalla legge per il rilascio
della licenza.
La situazione determinatasi a seguito del silenzio potrà
perciò ritenersi legittima solo nel caso in cui la
costruzione sia conforme alla concessione edilizia e agli
strumenti urbanistici vigenti e sussistano le condizioni
igienico sanitarie per la concreta abitabilità.
Infatti la norma -ora contenuta nell'art. 25 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380- condiziona il rilascio del certificato
di abitabilità non solo all'aspetto igienico-sanitario
(salubrità degli ambienti), ma anche alla conformità
edilizia dell'opera realizzata rispetto al progetto
approvato: e ciò per la innegabile stretta correlazione fra
i due momenti valutativi.
In base all'art. 4 d.P.R. 22.04.1994 n. 425, pertanto, il
certificato di agibilità deve essere rilasciato o negato per
ragioni prevalentemente inerenti il profilo
igienico-sanitario, tuttavia è anche previsto che
l'agibilità presupponga che si tratti di locali dei quali va
dichiarata la conformità rispetto al progetto approvato. È
evidente che se i locali sono abusivi l'agibilità non può
essere rilasciata, non avendo alcun significato dichiarare
agibile un locale non conforme alla disciplina
urbanistico-edilizia o del quale non è stata o è stata
falsamente attestata la conformità rispetto al progetto
approvato, perché il progetto non è stato approvato o
l'opera è stata realizzata in difformità da esso.
L’art. 4 del D.P.R. n. 425/1994, rubricato “Rilascio del
certificato di abitabilità.”, dispone testualmente che:
“1. Affinché gli edifici, o parti di essi, indicati
nell'art. 220 del regio decreto 27.07.1934, n. 1265, possano
essere utilizzati, è necessario che il proprietario richieda
il certificato di abitabilità al sindaco, allegando alla
richiesta il certificato di collaudo, la dichiarazione
presentata per l'iscrizione al catasto dell'immobile,
restituita dagli uffici catastali con l'attestazione
dell'avvenuta presentazione, e una dichiarazione del
direttore dei lavori che deve certificare, sotto la propria
responsabilità, la conformità rispetto al progetto
approvato, l'avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità
degli ambienti.
2. Entro trenta giorni dalla data di presentazione della
domanda, il sindaco rilascia il certificato di abitabilità;
entro questo termine, può disporre una ispezione da parte
degli uffici comunali, che verifichi l'esistenza dei
requisiti richiesti alla costruzione per essere dichiarata
abitabile.
3. In caso di silenzio dell'amministrazione comunale,
trascorsi quarantacinque giorni dalla data di presentazione
della domanda, l'abitabilità si intende attestata. In tal
caso, l'autorità competente, nei successivi centottanta
giorni, può disporre l'ispezione di cui al comma 2 del
presente articolo, e, eventualmente, dichiarare la non
abitabilità, nel caso in cui verifichi l'assenza dei
requisiti richiesti alla costruzione per essere dichiarata
abitabile.
4. Il termine fissato al comma 2 del presente articolo, può
essere interrotto una sola volta dall'amministrazione
comunale esclusivamente per la tempestiva richiesta
all'interessato di documenti che integrino o completino la
documentazione presentata, che non siano già nella
disponibilità dell'amministrazione, e che essa non possa
acquisire autonomamente.
5. Il termine di trenta giorni, interrotto dalla richiesta
di documenti integrativi, inizia a decorrere nuovamente
dalla data di presentazione degli stessi. “.
Osserva innanzitutto il Collegio che l'ambito di
applicazione dell'art. 4 d.P.R. 425/1994 è individuato dal
richiamo, contenuto nel comma 1 della norma citata, all'art.
220 del regio decreto 27.07.1934, n. 1265, il quale si
riferisce agli immobili ad uso abitativo (v. il riferimento
a "case, urbane o rurali").
D'altra parte, anche ad ammettere l'applicabilità dell'art.
4 d.P.R. 425/1994 non solo con riferimento al certificato di
abitabilità relativo agli immobili ad uso abitativo, ma
anche con riferimento al certificato di agibilità degli
immobili ad uso commerciale o industriale, comunque il
ricorso non può essere ritenuto fondato.
Sebbene, l'art. 4 del d.P.R. 425/1994 preveda che il
silenzio dell'amministrazione comunale protrattosi per oltre
quarantacinque giorni sulla richiesta di rilascio della
licenza di abitabilità comporti che "l'abitabilità si
intende attestata", nondimeno il silenzio non
costituisce una forma di silenzio-assenso in senso tecnico,
ma solo una legittimazione ex lege che prescinde
dalla pronuncia della p.a. e trova il suo fondamento nella
effettiva sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla
legge per il rilascio della licenza.
La situazione determinatasi a seguito del silenzio potrà
perciò ritenersi legittima solo nel caso in cui la
costruzione sia conforme alla concessione edilizia e agli
strumenti urbanistici vigenti e sussistano le condizioni
igienico sanitarie per la concreta abitabilità (cfr. TAR
Puglia, Bari, Sez. I, 05.04.2002, n. 1682).
Infatti la norma -ora contenuta nell'art. 25 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380- condiziona il rilascio del certificato
di abitabilità non solo all'aspetto igienico-sanitario
(salubrità degli ambienti), ma anche alla conformità
edilizia dell'opera realizzata rispetto al progetto
approvato: e ciò per la innegabile stretta correlazione fra
i due momenti valutativi (cfr.: Cons. di Stato, Sez. VI,
15.07.1993, n. 535; TAR Veneto, Sez. II, 11.12.2000, n.
2612; TAR Lombardia-Brescia 30.7.2002, n. 1092).
In base all'art. 4 d.P.R. 22.04.1994 n. 425, pertanto, il
certificato di agibilità deve essere rilasciato o negato per
ragioni prevalentemente inerenti il profilo
igienico-sanitario, tuttavia è anche previsto che
l'agibilità presupponga che si tratti di locali dei quali va
dichiarata la conformità rispetto al progetto approvato. È
evidente che se i locali sono abusivi l'agibilità non può
essere rilasciata, non avendo alcun significato dichiarare
agibile un locale non conforme alla disciplina
urbanistico-edilizia o del quale non è stata o è stata
falsamente attestata la conformità rispetto al progetto
approvato, perché il progetto non è stato approvato o
l'opera è stata realizzata in difformità da esso ( cfr. sul
punto TAR Veneto, sez. II, 17.11.1997, n. 1569).
Nel caso di specie, come e evidenziato nella parte in fatto
che precede, il Comune resistente ha provveduto al rilascio
della richiesta concessione edilizia in sanatoria, di cui al
n. 114 del 17.09.1998, la quale, tuttavia, è stata sospesa
nei suoi effetti fino al completamento della pratica
relativa, in conseguenza della mancanza del parere della
Sovrintendenza di cui all’art. 32 della L. n. 47/1985,
essendo sottoposto l’immobile in questione al vincolo di cui
alla L. n. 1497/1939.
Ne consegue che, comunque, la pratica inerente al rilascio
del certificato di abilitabilità, in conseguenza della
mancanza del suddetto parere, non può ritenersi completa,
con la ulteriore conseguenza che il termine per la
formazione del silenzio non può ritenersi allo stato decorso
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 25.05.2005 n. 4129 - link a
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