dossier SEGRETARI COMUNALI
(N.B.: nel presente dossier non sono
ricomprese le news pubblicate nel
dossier SINDACATI & ARAN) |
per approfondimenti vedi anche:
Ex-Agenzia
Autonoma per la gestione dei Segretari Comunali e
Provinciali |
luglio 2020 |
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COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Ccnl dirigenti locali e potere di avocazione dei segretari comunali: è
nullo, come nullo è l'atto di indirizzo del Comitato di settore, sul quale
si tenta di fondarne la legittimità
(31.07.2020 - link a https://luigioliveri.blogspot.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: È
illegittima la nomina di un RT diverso dal RPC?
Domanda
Nel nostro comune, il responsabile della trasparenza è figura diversa dal
responsabile della prevenzione della corruzione (segretario comunale). A un
corso di formazione ci hanno detto che tale situazione è illegittima.
È veramente così?
Risposta
L’articolo 43, comma 1, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33, nel testo
modificato dall’articolo 34, comma 1, lett. a), del decreto legislativo
25.05.2016, n. 97, prevede testualmente che: 1. All’interno di ogni
amministrazione il responsabile per la prevenzione della corruzione, di cui
all’articolo 1, comma 7, della legge 06.11.2012, n. 190, svolge, di norma,
le funzioni di Responsabile per la trasparenza, di seguito «Responsabile», e
il suo nominativo è indicato nel Piano triennale per la prevenzione della
corruzione. Il responsabile svolge stabilmente un’attività di controllo
sull’adempimento da parte dell’amministrazione degli obblighi di
pubblicazione previsti dalla normativa vigente, assicurando la completezza,
la chiarezza e l’aggiornamento delle informazioni pubblicate, nonché
segnalando all’organo di indirizzo politico, all’Organismo indipendente di
valutazione (OIV), all’Autorità nazionale anticorruzione e, nei casi più
gravi, all’ufficio di disciplina i casi di mancato o ritardato adempimento
degli obblighi di pubblicazione.
Come ben si comprende, l’indicazione del legislatore nazionale –dal 2016– è
quella di unificare sotto la stessa persona –negli enti locali “di norma”
il segretario comunale– i compiti di responsabile della prevenzione della
corruzione e della trasparenza, utilizzando, appunto, l’acronimo di RPCT.
Analoga posizione è stata poi assunta dall’Autorità Nazionale Anticorruzione
(ANAC), la quale –nella delibera n. 1310 del 28.12.2016, (di commento del
d.lgs. 97/2016)– sostiene che: “Ad avviso dell’Autorità, considerata la
nuova indicazione legislativa sulla concentrazione delle due responsabilità,
la possibilità di mantenere distinte le figure di RPCT e di RT va intesa in
senso restrittivo: è possibile, cioè, laddove esistano obiettive difficoltà
organizzative tali da giustificare la distinta attribuzione dei ruoli. Ciò
si può verificare, ad esempio, in organizzazioni particolarmente complesse
ed estese sul territorio e al solo fine di facilitare l’applicazione
effettiva e sostanziale della disciplina sull’anticorruzione e sulla
trasparenza. E’ necessario che le amministrazioni chiariscano espressamente
le motivazioni di questa eventuale scelta nei provvedimenti di nomina del
RPC e RT e garantiscano il coordinamento delle attività svolte dai due
responsabili, anche attraverso un adeguato supporto organizzativo”.
Il contenuto letterale della disposizione non prevede affatto, dunque,
l’obbligo di avere, in ogni ente e amministrazione, un unico responsabile
per la prevenzione della corruzione e trasparenza, quindi l’indicazione del
relatore circa la presunta illegittimità della nomina del RT appare non
ancorata a nessuna fonte normativa. Resta pertinente, invece, la
specificazione dell’ANAC, la quale raccomanda che l’atto di nomina emanato
dal sindaco sia debitamente motivato, circa le ragioni (legate a obiettive
difficoltà organizzative) del discostamento dal “di norma”.
Se l’ente intende confermare la propria posizione di avere due distinti
responsabili (RT e RPC), sarà poi necessario definire nel PTPCT gli ambiti
di collaborazione sinergica tra le due figure, tenendo comunque conto che la
redazione della proposta del PTPCT, compresa la sezione dello stesso
dedicata alla Trasparenza, compete esclusivamente al Responsabile della
prevenzione della corruzione, come previsto dall’articolo 1, comma 8, della
legge 190/2012. Stessa cosa vale per la relazione annuale recante i
risultati dell’attività svolta, prevista dal comma 14, del citato articolo
1, della Legge Severino.
Si ricorda, infine, che i dati relativi al Responsabile della trasparenza e
al Responsabile della prevenzione della Corruzione vanno pubblicati su
Amministrazione trasparente, all’interno della sotto-sezione: Altri
contenuti > Prevenzione della Corruzione (21.07.2020 - link a www.publika.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
L'illegittimità dell'avocazione degli atti dei dirigenti da parte del
segretario accertata dalla Cassazione (20.07.2020 - link a
https://luigioliveri.blogspot.com). |
ATTI AMMINISTRATIVI: RPCT
e attestazione obblighi trasparenza.
Domanda
Sono un RPCT e nel mio comune l’OIV non mi ha coinvolto affatto nella
procedura per l’attestazione del corretto adempimento degli obblighi,
richiesta dalla delibera ANAC n. 213/2020, mentre il mio collega di un altro
ente locale mi riferisce di aver condotto le verifiche e predisposto le
griglie in totale autonomia, in quanto l’OIV non si è affatto interessato
della questione.
Vorrei sapere quale è la procedura corretta e se devo prendere qualche
iniziativa.
Risposta
L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha adottato la delibera n. 213
del 04.03.2020, nell’esercizio delle funzioni di controllo di cui all’art.
45, comma 1, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33 (c.d. “decreto
trasparenza”).
Per espressa formulazione, l’ANAC si rivolge sia alle Amministrazioni e agli
altri soggetti di cui all’art. 2-bis, ai quali si applica il decreto
trasparenza, sia ai rispettivi Organismi Indipendenti di Valutazione (OIV) o
organismi con funzioni analoghe, chiamati ad attestare l’assolvimento degli
obblighi di pubblicazione, ai sensi dell’art. 14, comma 4, lett. g), del
decreto legislativo 27.10.2009, n. 150.
Come noto, l’OIV rappresenta una figura di riferimento per l’ANAC, in merito
all’attuazione degli obblighi di trasparenza, analogamente al Responsabile
della Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (RPCT), che è un soggetto
interno all’amministrazione.
Più precisamente, ai sensi dell’art. 45, comma 2, del d.lgs. 33/2013, “L’autorità
nazionale anticorruzione controlla l’operato dei responsabili per la
trasparenza a cui può chiedere il rendiconto sui risultati del controllo
svolto all’interno delle amministrazioni. L’autorità nazionale
anticorruzione può inoltre chiedere all’organismo indipendente di
valutazione (OIV) ulteriori informazioni sul controllo dell’esatto
adempimento degli obblighi di trasparenza previsti dalla normativa vigente”.
Dal canto suo, il RPCT è la figura chiave in materia di trasparenza
all’interno dell’Amministrazione, dovendo svolgere un ruolo stabile di
promozione e controllo del rispetto degli obblighi di pubblicazione, ai
sensi dell’art. 43, del d.lgs. n. 33/2013 e, prima ancora, della “legge
Severino” (legge 06.11.2012, n. 190).
Premesso che, tra l’OIV e il RPCT deve instaurarsi, in materia di
trasparenza e in generale di prevenzione della corruzione, un rapporto di
piena e stretta collaborazione, va precisato che, con riferimento al caso
specifico –attività di verifica del corretto assolvimento degli obblighi– la
scelta in merito alle modalità di coinvolgimento del RPCT è rimessa alla
discrezionalità dell’OIV.
Ai sensi dell’8-bis, della legge 190/2012, infatti “l’Organismo medesimo
può chiedere al Responsabile della prevenzione della corruzione e della
trasparenza le informazioni e i documenti necessari per lo svolgimento del
controllo”.
Coerentemente con tale quadro normativo, nella delibera ANAC n. 213/2020, si
dice che, ai fini della predisposizione dell’attestazione, “gli OIV, o
gli altri organismi con funzioni analoghe, si possono avvalere della
collaborazione del RPCT il quale, ai sensi dell’art. 43, co. 1, del d.lgs.
33/2013, «svolge stabilmente un’attività di controllo sull’adempimento da
parte dell’amministrazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla
normativa vigente, assicurando la completezza, la chiarezza e
l’aggiornamento delle informazioni pubblicate», segnalando anche agli OIV «i
casi di mancato o ritardato adempimento degli obblighi di pubblicazione».”.
Non si può, dunque, stabilire a priori quale delle prassi adottate nei due
comuni sia corretta. È chiaro che la responsabilità di quanto riportato
nella attestazione è essenzialmente dell’OIV, il quale non può certo
disinteressarsi dell’istruttoria, dovendola recepire nella sottoscrizione
del documento di cui all’Allegato 1, della delibera 213/2020.
Le procedure e le modalità, seguite dall’OIV per la rilevazione, devono
essere indicate nella scheda di sintesi di cui all’Allegato 3, della
medesima delibera, nella quale si forniscono i seguenti suggerimenti:
“A titolo esemplificativo e non esaustivo, si indicano alcune modalità,
non alternative fra loro, che potrebbero essere seguite:
• verifica dell’attività svolta dal Responsabile della prevenzione
della corruzione e della trasparenza per riscontrare l’adempimento degli
obblighi di pubblicazione;
• esame della documentazione e delle banche dati relative ai dati
oggetto di attestazione;
• colloqui con i responsabili della trasmissione dei dati;
• colloqui con i responsabili della pubblicazione dei dati;
• verifica diretta sul sito istituzionale, anche attraverso
l’utilizzo di supporti informatici.”
È corretto d’altro canto che, qualora il RPCT non venga per nulla coinvolto
nell’attività di controllo, si chieda se e in che termini proporre all’OIV
la propria collaborazione, essendo legittimato senz’altro a prendere
l’iniziativa, ai sensi degli articoli 43 e 44, del d.lgs. 33/2013 e articolo
1, comma 7, della legge 190/2012.
Al di là dell’obbligo di segnalare eventuali disfunzioni o situazioni di
mancato o ritardato adempimento, resta inteso che il RPCT può trasmettere
all’OIV, in sede di attestazione annuale come anche in corso d’anno, le
proprie valutazioni positive, relazionando sulle modalità di assolvimento
degli obblighi di trasparenza e sul grado di attuazione di quanto previsto
nel Piano Triennale di Trasparenza e Prevenzione della Corruzione (14.07.2020 - link a www.publika.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Le
dichiarazioni del d.lgs. 39/2013: obblighi e verifiche.
Domanda
Le dichiarazioni in materia di inconferibilità e incompatibilità, previste
dall’articolo 20, del d.lgs. 39/2013, vanno presentate ogni anno?
E che obblighi di pubblicazione sono previsti?
Risposta
La materia del quesito è disciplinata dal decreto legislativo 08.04.2013, n.
39, recante “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità
di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati
in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge
06.11.2012, n. 190”.
L’art. 20, comma 1, del d.lgs. 39/2013, prevede che all’atto di
conferimento dell’incarico i dirigenti, il segretario comunale e le
posizioni organizzative negli enti senza dirigenti (ex
art. 2, comma 2, d.lgs. 39/2013), compresi gli incarichi conferiti ai sensi dell’art. 110,
del TUEL 267/2000, abbiamo l’obbligo di presentare una dichiarazione sulla
insussistenza di una delle cause di inconferibilità del citato decreto
legislativo. Come aggiunge il comma 4, del medesimo articolo, la
dichiarazione è condizione per l’acquisizione dell’efficacia dell’incarico.
Il comma 2, dell’articolo in trattazione, invece, prevede che i titolari
degli incarichi di cui sopra, annualmente debbano presentare una
dichiarazione sulla insussistenza di una delle cause di incompatibilità,
trattate nel d.lgs. 39/2013.
Le due dichiarazioni (comma 3), vanno pubblicate nel sito web del comune,
nella sezione Amministrazione Trasparente > Personale.
Se, come spesso accade nei comuni piccoli e medi, gli incarichi di posizione
organizzativa hanno durata annuale, risulta evidente che le due
dichiarazioni vanno rese simultaneamente, anche utilizzando un unico
modello, come da fac-simile, che si allega alla presente risposta.
All’ente, ricevute le dichiarazioni e pubblicatele nel sito, resta l’obbligo
di procedere alla verifica, anche a campione, come previsto dalla delibera
ANAC n. 833 del 03.08.2016, recante “Linee guida in materia di
accertamento delle inconferibilità e delle incompatibilità degli incarichi
amministrativi da parte del responsabile della prevenzione della corruzione.
Attività di vigilanza e poteri di accertamento dell’A.N.AC. in caso di
incarichi inconferibili e incompatibili”.
Pertanto, è opportuno prevedere nel Piano Triennale Prevenzione della
Corruzione e Trasparenza (PTPCT) delle idonee misure di verifica sulle
dichiarazioni rese dai soggetti che ne sono obbligati. Tra le più semplici
ed efficaci è prevista quella di richiedere il certificato penale e carichi
pendenti dei soggetti interessati, onde verificare la non presenza di
sentenza, anche non passate in giudicato, per uno dei reati previsti dal
capo I, del titolo II, del libro secondo del codice penale, anche nel caso
di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del
codice di procedura penale (c.d. patteggiamento)
(07.07.2020 - link a www.publika.it). |
aprile 2020 |
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PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Compenso
vice-segretario.
Domanda
Nel caso in cui un titolare di posizione organizzativa venisse nominato vice
segretario, quali sono le possibilità di remunerazione di tale funzione ed i
limiti ai quali la stessa retribuzione è sottoposta?
Risposta
Si rileva preliminarmente che l’art. 97 del d.lgs. 267/2000, al comma 5,
stabilisce che il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi
può prevedere un vice segretario per coadiuvare il segretario o sostituirlo
nei casi di vacanza, assenza o impedimento.
L’ente, quindi, nell’ambito delle proprie scelte regolamentari, mediante le
quali esercita la propria potestà auto organizzatoria individua, qualora
voglia esercitare la facoltà di prevedere la figura del vice segretario, il
posto, i requisiti e le relative funzioni.
L’art. 45 del d.lgs. 165/2001 (Testo Unico Pubblico Impiego), come
modificato dal d.lgs. 150/2009 stabilisce l’importante principio che Il
trattamento economico fondamentale ed accessorio del personale del pubblico
impiego è definito dai contratti collettivi.
Tale principio è stato richiamato dall’ARAN in un parere fornito ad un ente
(SEG_047), riferito alla possibilità di estendere la maggiorazione relativa
alla segreteria convenzionata, di cui all’art. 45 del CCNL segretari
comunali e provinciali del 16/05/2001, anche al vice segretario.
L’Agenzia ha chiarito che al vice segretario, non essendo lo stesso
dirigente, non si può estendere, per analogia, la disciplina applicabile al
personale dirigenziale.
I contratti collettivi vigenti non prevedono compensi aggiuntivi per il
dipendente nominato vice segretario al di fuori delle previsioni contenute
nell’art. 11 del CCNL 09/05/2006.
Se lo stesso dipendente è titolare di posizione organizzativa allo stesso
sarà corrisposta la retribuzione di posizione e risultato con le modalità ed
i limiti di cui all’art. 15 del CCNL 21/05/2018 (30.04.2020
- link a www.publika.it). |
febbraio 2020 |
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SEGRETARI COMUNALI: Segretario
presidente del nucleo di valutazione, «inopportuno» il ruolo di responsabile
anticorruzione.
Anche in un periodo in cui le pubbliche amministrazioni e, in prima linea, i
Comuni devono affrontare le emergenze derivanti dalla epidemia da Covid-19,
proseguono i richiami dell'Anac, con la
delibera
26.02.2020 n. 180 (Concernente l’attività di vigilanza in
merito a incompatibilità del Segretario generale e Responsabile della
prevenzione della corruzione e trasparenza del comune di [omissis] e
Presidente del Nucleo di valutazione presso lo stesso Comune), a distinguere
le funzioni di segretario presidente del nucleo di valutazione da quelle di
responsabile anticorruzione e per la trasparenza (si veda anche Il
Quotidiano degli enti locali e della Pa del 19 marzo).
Evidentemente si
giudica che il rispetto di questa indicazione, che peraltro non nasce da una
esplicita disposizione di legge e per la quale al massimo si deve parlare di
inopportunità, debba costituire una priorità per gli enti e, al loro
interno, per i soggetti che svolgono i ruoli di direzione politica e
amministrativa, cioè il sindaco e il segretario, pur avendo essi stessi in
queste settimane ben altre priorità. In altri termini una storia esemplare.
Ricostruiamo la vicenda. Lo scorso anno un Comune della Sicilia ha nominato
come responsabile anticorruzione il comandante della polizia locale. L'Anac
non ha trovato nulla da eccepire, nonostante fosse del tutto evidente che il
comandante della polizia locale è responsabile di attività a elevato rischio
di corruzione, basti citare i controlli.
Il Comune all'inizio di quest'anno
ha modificato la scelta, rendendosi conto dell'errore commesso, e ha inteso
così rientrare nella normalità prevista dal legislatore: indicare quale
responsabile anticorruzione il segretario. Si deve sottolineare che dietro
questa scelta, anche sulla base delle considerazioni della stessa Anac, non
vi alcuna intenzione di sostituire una figura "scomoda" né intenti vessatori
e che comunque questa scelta non è stata effettuata contro la volontà del
precedente o dell'attuale responsabile anticorruzione.
Ricevuta la doverosa
comunicazione dell'ente, l'Anac in 27 febbraio, quindi già in una fase in
cui la condizione di emergenza sanitaria si è cominciata a manifestare, ha
richiesto spiegazioni all'ente assegnando il termine di 20 giorni. Le stesse
sono state puntualmente fornite e ciononostante in data 31 marzo l'Anac è
tornata a sollecitare l'ente a riesaminare la scelta.
Senza peraltro tenere conto di quanto la stessa Autorità ha chiarito, da
ultimo nella
delibera
26.02.2020 n. 180: l'individuazione del segretario
quale responsabile anticorruzione se lo stesso è componente del nucleo di
valutazione si giustifica in assenza di professionalità, se si tratta di un
piccolo Comune, se il nucleo è collegiale e se non è presidente
dell'organismo. Fermo restando, dice la deliberazione citata, che la
violazione di queste regole non determina una illegittimità ma una semplice
inopportunità.
Ecco, nel caso specifico ricorrono tre delle quattro
condizioni indicate dall'Anac per legittimare la deroga alla possibile
inopportunità, cioè essere un piccolo Comune, non avere professionalità
utilizzabili e la natura collegiale dell'organismo.
Eppure, tanto più in un
periodo di emergenza, si torna a chiedere all'ente per la seconda volta di
adeguarsi alle esigenze segnalate dall'Anac, peraltro con una lettura più
restrittiva dei principi enunciati dalla stessa, e se la inopportunità era
stata comunque già segnalata (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del
10.04.2020). |
CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: La
piattaforma ANAC per l’acquisizione dei piani triennali di
prevenzione della corruzione.
Domanda
Da una lettura delle disposizioni in merito alla stesura del
PTPCT 2020 e agli adempimenti da eseguire, successivamente
alla approvazione definitiva, è emersa la necessità di
compilare il questionario sul sito di ANAC secondo le
modalità indicate nella “Piattaforma di Acquisizione dei
Piani Triennali per la Prevenzione della Corruzione e per la
Trasparenza – Guida alla compilazione dei questionari per le
Pubbliche Amministrazioni”.
Si chiede se tale compilazione sia obbligatoria e se è da
effettuarsi entro il termine del 31 gennaio 2020, medesimo
termine indicato per la approvazione del PTPCT.
Risposta
L’articolo 1, comma 8, della legge 06.11.2012, n. 190,
prevede che, entro il 31 gennaio di ogni anno, l’organo di
indirizzo politico, su proposta del Responsabile della
Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (RPCT), adotti il
Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione e
Trasparenza (PTPCT) e lo trasmetta all’Autorità Nazionale
Anticorruzione (ANAC)
Al comma 14, del medesimo articolo, si prevede che, entro il
15 dicembre di ogni anno, il RPCT trasmetta all’organo di
indirizzo politico e all’Organismo Indipendente di
Valutazione (OIV) una relazione recante i risultati
dell’attività svolta e la pubblichi sul sito web
dell’amministrazione.
I due adempimenti (PTPCT e Relazione annuale) sono
evidentemente collegati in quanto il nuovo PTPCT dovrà tener
conto dei risultati dell’annualità precedente.
Generalmente l’ANAC, prima della scadenza del 15 dicembre,
proroga il termine e lo allinea con quello previsto per
l’adozione del PTPCT. Anche quest’anno l’ANAC, con il
Comunicato del 13.11.2019, ha posticipato il termine per la
pubblicazione della relazione annuale del RPCT al
31.01.2020.
Tra i compiti dell’ANAC, vi è quello di verificare e
monitorare l’adozione, da parte delle amministrazioni, del
PTPCT e l’attuazione della normativa e delle misure di
prevenzione della corruzione.
Tale attività si è esplicata non solo attraverso la
cosiddetta vigilanza, ma anche attraverso un’attività di
monitoraggio, finalizzata a valutare la qualità dei PTPCT e
delle misure di prevenzione, la congruità di tali documenti
rispetto alle indicazioni fornite dall’Autorità nei Piani
Nazionali Anticorruzione (PNA) e l’opportunità di eventuali
correttivi.
Dal 2019 è disponibile una Piattaforma, predisposta dall’ANAC,
per l’acquisizione e il monitoraggio dei Piani
Anticorruzione e per la redazione delle relazioni annuali
dei Responsabili. Essa può essere utilizzata anche per il
monitoraggio di competenza del RPCT.
Il Presidente ANAC ne ha dato notizia con il Comunicato del
12.06.2019, consentendo di accreditarsi e di inserire i dati
relativi al PTPCT 2019-2021.
La piattaforma permette:
a) all’Autorità, di condurre analisi qualitative dei dati
grazie alla sistematica e organizzata raccolta delle
informazioni e, dunque, di poter rilevare le criticità dei
PTPCT e migliorare, di conseguenza, la sua attività di
supporto alle amministrazioni;
b) ai RPCT:
– di avere una migliore conoscenza e consapevolezza dei requisiti
metodologici più rilevanti per la costruzione del PTPCT;
– monitorare nel tempo i progressi del proprio PTPCT;
– conoscere, in caso di successione nell’incarico di RPCT, gli
sviluppi passati del PTPCT;
– effettuare il monitoraggio sull’attuazione del PTPCT;
– produrre la relazione annuale.
Il PNA 2019 (delibera ANAC n. 1064 del 13.11.2019) e il
citato Comunicato ANAC non esplicitano in maniera chiara se
sia obbligatorio procedere alla registrazione e
all’inserimento dei dati relativi al PTPCT 2020-2022.
Tuttavia, considerato che viene richiamato, quale base
giuridica della piattaforma, il comma 8, dell’art. 1, della
legge 190/2012, che prevede la trasmissione del PTPCT ad
ANAC, si può ritenere che la Piattaforma sia la modalità per
adempiere a tale previsione normativa.
A sostegno di tale interpretazione si richiama l’allegato 1,
al PNA 2019 nel quale si dice che i RPCT “sono tenuti ora
a registrarsi ed accreditarsi” sulla Piattaforma. La
precisazione che, per il 2020, la Piattaforma opera in forma
sperimentale, sembra relativa esclusivamente all’ambito di
operatività, limitato, per ora, alle sole amministrazioni di
cui all’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30.03.2001,
n. 165.
L’utilizzo della Piattaforma per il monitoraggio di
competenza del RPCT è, invece, facoltativo, come facoltativo
è il livello di approfondimento, non obbligando il sistema
all’inserimento di tutte le misure specifiche.
Non è, invece, previsto un termine per l’inserimento, che
potrà essere effettuato a partire dall’adozione del PTPCT,
essendo un adempimento strumentale al monitoraggio, sia
dell’ANAC che del RPCT.
La Piattaforma si compone di tre sezioni:
• Anagrafica: finalizzata all’acquisizione delle informazioni in
merito all’amministrazione, al Responsabile della
prevenzione della Corruzione e Trasparenza, alla sua
formazione e alle sue competenze;
• questionario Piano Triennale: finalizzato all’acquisizione delle
informazioni relative al Piano Triennale per la Prevenzione
della Corruzione e Trasparenza (PTPCT) e alla programmazione
delle misure di prevenzione della corruzione;
• questionario Monitoraggio attuazione: finalizzato
all’acquisizione delle informazioni relative alle misure di
prevenzione ed allo stato di avanzamento del PTPCT.
Per ulteriori informazioni si rinvia al box 15,
dell’Allegato 1, al PNA 2019 e alle indicazioni disponibili
al
seguente link.
A completamento informativo, si segnala che con comunicato
del 27.11.2019, il Presidente dell’ANAC precisa che
l’utilizzo e la compilazione dei dati nella Piattaforma non
può essere delegato a soggetti esterni all’Amministrazione,
in attuazione del principio secondo cui soggetti terzi non
possono predisporre il PTPCT e neppure fornire contributi
per la redazione dello stesso. Nel Comunicato si specifica,
anche, che non possono far parte della struttura di supporto
al RPCT soggetti esterni all’amministrazione.
Per la relazione annuale 2019, l’ANAC prevede che si possa,
alternativamente, utilizzare la Scheda in formato Excel,
analoga a quella in uso negli anni scorsi (con due sole
sezioni aggiuntive concernenti rispettivamente “la
rotazione straordinaria” e “il pantouflage”), o
generare in modo automatico la relazione attraverso la
Piattaforma, dopo aver completato l’inserimento dei dati
relativi ai PTPCT e alle misure di attuazione (vedi
Comunicato del 13.11.2019).
È prevedibile che, per la relazione 2020, l’ANAC richiederà
esclusivamente la seconda modalità.
Tutto ciò premesso, la risposta allo specifico quesito è la
seguente:
a) la compilazione può ritenersi obbligatoria;
b) il termine per provvedervi non è stato definito, ma non è quello
del 31.01.2020.
Per quanto sopra, l’ente interpellante ha come obbligo di
pubblicare la relazione riferita all’anno 2019 e il PTPCT
2020/2022, approvato con deliberazione della Giunta
comunale, nel proprio sito web nella sezione Amministrazione
trasparente > Altri contenuti > Prevenzione della corruzione
(11.02.2020 - link a www.publika.it). |
dicembre 2019 |
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PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Responsabilità
e rischi connessi all’incarico di responsabile della prevezione della
corruzione e trasparenza.
Domanda
Sono stato nominato da poco Responsabile della Prevenzione della Corruzione
e Trasparenza dalla mia amministrazione, ma non possiedo una formazione
specifica in materia e non ho del personale assegnato allo staff, per cui
vorrei sapere quali sono le mie responsabilità ed i rischi connessi a tale
incarico.
Risposta
La responsabilità della scelta del dipendente a cui attribuire l’incarico di
Responsabile della Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (RPCT) è
dell’organo di indirizzo [1]
che è tenuto ad adottare le modifiche organizzative necessarie ad assicurare
allo stesso, funzioni e poteri idonei e, dunque, anche personale e mezzi
tecnici adeguati.
In ogni caso, prima di affrontare il tema della responsabilità e dei rischi,
è necessario comprendere il ruolo del RPCT. Il cardine dei poteri del RPCT,
specifica l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) nella delibera n. 840
del 02.10.2018, è centrato sul prevenire la corruzione. A tale figura non
spetta l’accertamento di responsabilità, ma l’acquisizione di informazioni
sulle modalità di attuazione delle misure e la segnalazione agli organi
competenti (Organismo Interno di Valutazione, vertice politico, ufficio di
disciplina) dei dipendenti che non le attuano.
In aggiunta alla citata delibera, si consiglia di consultare la parte IV del
Piano Nazionale Anticorruzione (PNA) 2019, approvato con deliberazione ANAC
n. 1064 del 13.11.2019 e l’Allegato 3 dello stesso PNA.
Sinteticamente il RPCT deve:
• proporre all’organo di indirizzo il Piano Triennale di
Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (PTPCT), che contiene l’analisi
dei processi a rischio e le misure di prevenzione, vigilare sull’osservanza
dello stesso e proporre i correttivi necessari in caso di significative
violazioni, modifiche organizzative o funzionali;
• relazionare sull’attività svolta, ai sensi dell’art. 1, comma 14,
secondo periodo, della legge 06.11.2012, n. 190. La norma prevede il termine
del 15 dicembre, ma l’ANAC, da alcuni anni, differisce il termine al 31
gennaio dell’anno successivo. Per quest’anno consultare il comunicato del
Presidente dell’Autorità del 13.11.2019;
• verificare che si attui la rotazione o, in mancanza, che ci siano
adeguate misure alternative;
• individuare i dipendenti coinvolti in procedimenti a rischio
corruzione ai fini dell’inserimento in appositi programmi di formazione.
Il RPCT è, dunque, chiamato a delineare la strategia di prevenzione della
corruzione adeguata all’amministrazione di riferimento e verificare il
rispetto delle misure di prevenzione da parte dei dipendenti.
Pertanto –seppure è importante che il RPCT acquisisca una formazione di
carattere tecnico-giuridico– è bene privilegiare, nella scelta del soggetto,
altre valutazioni. Si deve trattare di un soggetto dalla condotta
integerrima, un dirigente che conosca bene l’amministrazione,
l’organizzazione, i processi di lavoro, che abbia una capacità di analisi e
sia in grado di sensibilizzare il personale.
La negligenza del RPCT può comportare delle significative responsabilità nel
caso di commissione, all’interno dell’amministrazione, di un reato di
corruzione, accertato con sentenza passata in giudicato, nonché nel caso di
ripetute violazioni di misure di prevenzione previste dal piano.
I commi 12 e 14, dell’art. 1 della legge 190/2012, delineano una sorta di
responsabilità oggettiva in capo al RPCT, una responsabilità dirigenziale ex
art. 21, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, una responsabilità
disciplinare (con sanzione non inferiore alla sospensione del servizio con
privazione della retribuzione da un minimo di un mese ad un massimo di sei
mesi) e una responsabilità per danno erariale e all’immagine della pubblica
amministrazione.
Per andare esente da responsabilità il RPCT deve provare di aver predisposto
il PTPCT e vigilato sul funzionamento e l’osservanza dello stesso, nonché di
aver messo in atto tutte le misure, di cui ai commi 9 e 10 dell’art. 1,
della legge 190/2012 e di aver comunicato agli uffici le misure e le
modalità di attuazione. Le prove da fornire per andare esente da
responsabilità sono precisate in dettaglio nel paragrafo 9, della parte IV,
del PNA 2019.
Da ciò consegue che è importante tracciare tutta l’attività di informazione,
formazione e sensibilizzazione del personale. L’ANAC raccomanda anche di
prevedere adeguati meccanismi di monitoraggio e controllo. Pur considerando
la difficoltà di effettuare i controlli connessi al rispetto delle misure
concernenti l’imparzialità dei funzionari pubblici, è importante individuare
degli indicatori utili a verificare se le misure di prevenzione sono state
attuate. Nell’Allegato 1, al PNA 2019, l’ANAC ribadisce che l’individuazione
e la programmazione delle misure rappresentano la parte fondamentale, il “cuore”
del PTPCT e che un elenco generico di misure di prevenzione, non assolve al
compito di definire la strategia di prevenzione della corruzione.
La mancata adozione del PTPCT (come anche del Codice di comportamento)
comporta l’applicazione della sanzione amministrativa da 1.000 a 10.000
euro, ai sensi dell’art. 19, comma 5, lettera b), del decreto legge
24.06.2014, n. 90. Si tratta di una responsabilità in capo
all’Amministrazione ed è evidente che il RPCT non risponde in prima persona
qualora abbia proposto il PTPCT all’organo di indirizzo, ma quest’ultimo non
l’abbia adottato (si veda ad esempio la decisione dell’ANAC relativa al
procedimento sanzionatorio n. 649 del 18.07.2019).
Responsabilità dirette a carico del RPCT conseguono invece alla mancata
predisposizione di misure a tutela del whistleblowing. L’art. 54-bis, comma
6, d.lgs. 165/2001, prevede che “Qualora venga accertata l’assenza di
procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni ovvero l’adozione
di procedure non conformi a quelle di cui al comma 5, l’ANAC applica al
responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro.
Qualora venga accertato il mancato svolgimento da parte del responsabile di
attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute, si applica al
responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro.
L’ANAC determina l’entità della sanzione tenuto conto delle dimensioni
dell’amministrazione o dell’ente cui si riferisce la segnalazione.”
In tema di trasparenza spetta al RPCT delineare chiaramente i soggetti
responsabili della pubblicazione sulle diverse sottosezioni di
Amministrazione Trasparente, al fine di andare esente dalle responsabilità
di cui agli artt. 46 e 47, del decreto legislativo 14.03.2013, n. 33.
L’individuazione di specifiche responsabilità risponde all’obiettivo di
costruire un modello a rete, che coinvolge tutti i soggetti
dell’amministrazione.
In questo ci aiuta anche il Testo Unico sul Pubblico Impiego: l’art. 16,
comma 1, lettera l-bis), l-ter) e l-quater) del d.lgs. 165/2001, individua,
infatti, specifici compiti in materia di prevenzione della corruzione in
capo a ciascun dirigente.
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[1] Articolo 1, comma 7, delle 190/2012 (17.12.2019 - tratto da e link a
www.publika.it). |
novembre 2019 |
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CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Accesso alla dirigenza e responsabilità erariale
per mancanza del diploma di laurea.
In materia di conferimento di incarichi dirigenziali a
tempo determinato negli enti locali, la normativa di settore (d.lgs.
267/2000), nell’individuarne la disciplina (art. 110), ha rinviato, quanto a
requisiti e presupposti, alla generale disciplina del pubblico impiego (D.lgs.
29/1993 prima e, poi, D.lgs. 165/2001) e, quindi, all’art. 19 del D.lgs.
165/2001 (la cui applicazione agli enti locali è stata espressamente
prevista dal D.lgs. 150/2009, benché in giurisprudenza, anche di questa
Corte, non si fosse mancato di sottolinearne, anche in precedenza, l’estensibilità
oltre l’impiego statale in quanto rappresentativa di principio generale)
che, al comma 6, stabilisce i requisiti per il conferimento di incarichi
dirigenziali a tempo determinato, prevedendo la concorrenza del requisito
culturale della formazione universitaria con il requisito professionale
dell’esperienza quinquennale in posizioni funzionali previste per l’accesso
alla dirigenza.
Tale ultima disposizione, nel testo
in vigore all’epoca dei fatti (2013) e, cioè, successivamente alle modifiche
apportate dall’art. 40 del D.lgs n. 150/2009, aveva una formulazione
letterale che non poteva (e non può) lasciare adito a dubbio ermeneutico
alcuno in relazione al necessario possesso del titolo di studio della
laurea: la “particolare specializzazione professionale” che è
requisito per l’attribuzione dell’incarico, infatti, deve essere comprovata
“dalla formazione universitaria e postuniversitaria, post universitaria,
da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro…”.
Requisito culturale e di esperienza lavorativa dunque, non possono in alcun
modo essere ritenuti, anche solo sulla base della littera legis,
alternativi tra loro, ma debbono, coerentemente con la ratio legis,
sussistere congiuntamente.
Invero, “il criterio secondo il
quale il legislatore ha inteso disciplinare l’immissione nell’esercizio di
funzioni dirigenziali di soggetti, quali essi siano, in precedenza già non
investiti di tale qualifica, risulta evidentemente informato alla volontà di
acquisire professionalità estranee, tali da presentare qualità aggiuntive e
comunque non minori rispetto ai già elevati requisiti previsti per le nomine
di funzionari appartenenti ai ruoli dirigenziali. Tanto premesso, consegue
da ciò attraverso una lettura sistematica dell’art. 19, c. 6, che la facoltà
da tale norma prevista richiede, nei suoi destinatari, il concorrente
possesso di una particolare specializzazione, sia professionale, che
culturale e scientifica; quando si passi all’accertamento di tali requisiti,
in relazione alle funzioni da attribuire, l’interprete, dal canto suo, non
può sottrarsi alla verifica, sotto ogni profilo, della presenza di tutti gli
elementi che complessivamente rendono il soggetto idoneo all’incarico. Ne
discende che, ferma rimanendo l’esigenza dell’accertamento di un livello di
formazione culturale identificabile nel possesso della laurea, gli elementi
che configurano e completano in estranei il profilo della professionalità
debbano, insieme ad altri, ricavarsi dal già disimpegnato esercizio di
funzioni almeno di pari rilevanza di quelle previste nel nuovo compito.
Quindi, oltre all’accertato possesso di sufficiente formazione culturale, in
un contesto normativo in cui è però prevista l’attribuzione di incarichi
dirigenziali previa verifica della sussistenza di livelli di formazione
particolarmente elevati, occorre che la valutazione venga estesa ad un
puntuale esame dei curricula degli incaricandi”.
L’aver conferito, da parte del convenuto, un incarico dirigenziale a
soggetto non in possesso di diploma di laurea costituisce una violazione
delle predette disposizioni, integrando l’elemento oggettivo della
responsabilità amministrativa.
--------------
In relazione all’elemento soggettivo, ritiene il Collegio che la condotta
del convenuto sia connotata, come prospettato dalla Procura regionale, da
colpa grave.
Invero, il
decreto di conferimento dell’incarico è, formalmente e sostanzialmente, atto
proprio del Sindaco, adottato nell’ambito di funzioni ad esso attribuite in
via esclusiva dal TUEL e dal Regolamento comunale di organizzazione degli
uffici e dei servizi del Comune
La circostanza che, a monte del decreto in questione, la Giunta Comunale,
organo al quale compete la programmazione in materia di personale ex art.
48, comma 2, TUEL, avesse deciso -appunto all’interno di un atto programmatorio a valenza generale quale il Piano occupazionale-
la “copertura del
posto di qualifica dirigenziale dell’Area II “servizi economico-finanziari e tributari” mediante contratto a tempo determinato” con
incarico ai sensi dell’art. 110 TUEL, anziché ricorrere ad altre opzioni
(incarico a tempo determinato a personale esterno, concorso pubblico,
attribuzione di posizione organizzativa) non vale ad escludere, neppure
parzialmente, la responsabilità del convenuto.
Tale decisione, infatti, attiene unicamente alle modalità di copertura del
posto, non alla individuazione e alla scelta del soggetto al quale
l’incarico avrebbe dovuto essere conferito, queste ultime riferibili
unicamente alla volontà del titolare del potere di esercitare la relativa
funzione: il sindaco, appunto.
Né la circostanza che il personale apicale degli uffici o il segretario
comunale fossero tenuti alla predisposizione dell’atto vale ad escludere in
capo al sindaco la responsabilità dell’atto stesso, a ripartirla o ad
attenuarla: si tratta, infatti, di compito di mera redazione materiale del
documento, non di una (com)partecipazione alla formazione della volontà che
nel documento si trasfonde dando, appunto, origine all’atto; la scelta del
soggetto destinatario dell’incarico (e, quindi, la valutazione della
sussistenza della speciale professionalità richiesta dalla norma) è di
esclusiva pertinenza del Sindaco.
--------------
Nell’attuale assetto normativo regolante la figura ed il ruolo del
segretario comunale, dopo l’intervento della legge 127/1997 (che ha abrogato
il parere preventivo obbligatorio di legittimità del segretario sugli atti
degli organi collegiali), al segretario sono attribuite funzioni meramente
consultive e di assistenza agli organi del comune –la cui ampiezza, peraltro,
è delimitata dalla introduzione della figura del Direttore generale- e di
coordinamento dell’attività dei dirigenti, ma non certo funzioni di
amministrazione attiva.
La mera
sottoscrizione degli atti di Giunta e Consiglio comunale quale soggetto verbalizzatore (art. 97, comma 3, TUEL) assolve ad una specifica funzione
redazionale e certificativa, propria del Segretario, che non comporta alcuna
responsabilità diversa da quella di registrazione dei fatti e delle volontà
in conformità a quanto avvenuto nella seduta e, perciò, esterna ed estranea
al processo formativo delle volontà espresse dagli organi collegiali a
seguito di deliberazione (ed, in ipotesi, causative di danno).
--------------
Il conferimento di incarico dirigenziale ex art. 110 TUEL è atto proprio del
Sindaco dal quale è causalmente derivato il contestato danno al Comune con il pagamento di competenze retributive ad un
soggetto privo della professionalità necessaria per la copertura
dell’incarico illegittimamente conferito.
Invero, l’illegittimità dell’incarico conferito a soggetto privo dei requisiti di
studio richiesti dalla norma ha causato all’amministrazione un ingiusto
pregiudizio economico: il danno in caso di prestazioni rese in mancanza del
prescritto titolo di studio e professionale è insito nella lesione della
violazione del sinallagma contrattuale, dal momento che alla retribuzione
percepita non corrisponde una prestazione adeguatamente commisurata e
qualitativamente corrispondente alla professionalità richiesta.
---------------
Oggetto del presente giudizio è la responsabilità risarcitoria del
convenuto, all’epoca Sindaco pro tempore del Comune di Villafranca di
Verona, per l’illegittimo conferimento di incarico dirigenziale intra
dotazione organica, a tempo determinato, ad un dipendente dell’ente poiché
sprovvisto dell’imprescindibile requisito del diploma di laurea, così come
previsto dalla disciplina di rango primario vigente all’atto del
conferimento dell’incarico medesimo, nel giugno 2013.
Secondo la prospettazione della Procura Regionale, il possesso del titolo di
studio della laurea, non solo era un requisito obbligatoriamente richiesto,
ma emergeva in modo chiaro e puntuale dal complesso delle disposizioni
normative regolanti la materia, circostanza che di per sé impediva il venir
meno della gravità delle colpa.
A tale conclusione la Procura è pervenuta in considerazione dell'art. 110
del D.lgs. 267/2000, che prevede che la copertura dei posti di qualifica
dirigenziale possa avvenire mediante contratto a tempo determinato “fermi
restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire”, dell’art.
19 del D.Lgs. 165/2001 -divenuto applicabile a tutte le amministrazioni di
cui all’art. 1, comma 2, del D.lgs. 165/2001 in forza dell’art. 40, comma 1,
lett. f), del D.lgs. 150/2009-, che disciplina il conferimento di incarichi
dirigenziali a tempo determinato e fa riferimento alla “particolare
specificazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla
formazione universitaria e postuniversitaria”, e infine dell’art. 28 del
D.Lgs. 165/2001 che, benché riferito alle nomine in ruolo dei dirigenti per
le quali, appunto, è richiesto il diploma di laurea, è da considerarsi norma
di generale applicazione, anche per ragioni di logica e coerenza del
sistema.
Si tratterebbe di un quadro normativo chiaro, privo di insidie sul piano
ermeneutico, anche alla luce della concorde e costante giurisprudenza
amministrativa da un lato e, dall’altro, della stessa Corte dei Conti, più
volte intervenuta nella materia de qua anche in sede di controllo di
legittimità (Sez. Centr. Contr. Leg. n. 31/2001, n. 3/2003) che in sede
consultiva di controllo (a partire dalla Sez. Contr. Lombardia n. 31/2001) e
ribadita anche dal Dipartimento della Funzione Pubblica fin dal 2008 (parere
n. 35/2008).
La difesa del convenuto non ha formulato contestazioni circa le norme
applicabili, al momento dell’adozione del decreto sindacale n. 11 del
18.06.2013, al conferimento di incarichi dirigenziali ai sensi dell’art. 110
del TUEL -e, quindi, in relazione alla necessità del possesso del requisito
della laurea-, tuttavia ha rappresentato che tale quadro normativo, in ogni
caso farraginoso e di non semplice ricostruzione a causa della tecnica
normativa del rinvio mobile, solo a partire dalla riforma del 2009 non
poneva dubbi interpretativi circa i requisiti professionali e di studio
necessari per il conferimento di incarichi dirigenziali.
In precedenza, infatti, la formulazione letterale dell’art. 19, comma 6, del
D.lgs. 165/2001, elencando i requisiti possesso di laurea/esperienza in
maniera disgiuntiva, consentiva di ritenere legittimo il conferimento di
incarico anche a soggetti non in possesso del titolo di studio, ma in
possesso di concreta esperienza di lavoro maturata presso pubbliche
amministrazioni; solo dopo il d.lgs. 150/2009, il testo della disposizione è
stato mutato in modo tale da non lasciare spazio a soluzioni ermeneutiche
diverse circa la necessaria compresenza di entrambi i requisiti.
Osserva il Collegio che l’adozione da parte dell’odierno convenuto,
all’epoca dei fatti Sindaco pro tempore del Comune di Villafranca di
Verona, del decreto n. 11 del 18.06.2013 integra una condotta antigiuridica,
essendo condivisibile la ricostruzione del quadro normativo applicabile alla
fattispecie dedotta dalla Procura Regionale e, nella sostanza, condivisa
anche dalla difesa del convenuto.
Come già ricordato, in materia di conferimento di incarichi dirigenziali a
tempo determinato negli enti locali, la normativa di settore (d.lgs.
267/2000), nell’individuarne la disciplina (art. 110), ha rinviato, quanto a
requisiti e presupposti, alla generale disciplina del pubblico impiego (D.lgs.
29/1993 prima e, poi, D.lgs. 165/2001) e, quindi, all’art. 19 del D.lgs.
165/2001 (la cui applicazione agli enti locali è stata espressamente
prevista dal D.lgs. 150/2009, benché in giurisprudenza, anche di questa
Corte, non si fosse mancato di sottolinearne, anche in precedenza, l’estensibilità
oltre l’impiego statale in quanto rappresentativa di principio generale)
che, al comma 6, stabilisce i requisiti per il conferimento di incarichi
dirigenziali a tempo determinato, prevedendo la concorrenza del requisito
culturale della formazione universitaria con il requisito professionale
dell’esperienza quinquennale in posizioni funzionali previste per l’accesso
alla dirigenza.
Osserva a tal proposito il Collegio che tale ultima disposizione, nel testo
in vigore all’epoca dei fatti (2013) e, cioè, successivamente alle modifiche
apportate dall’art. 40 del D.lgs n. 150/2009, aveva una formulazione
letterale che non poteva (e non può) lasciare adito a dubbio ermeneutico
alcuno in relazione al necessario possesso del titolo di studio della
laurea: la “particolare specializzazione professionale” che è
requisito per l’attribuzione dell’incarico, infatti, deve essere comprovata
“dalla formazione universitaria e postuniversitaria, post universitaria,
da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro…”.
Requisito culturale e di esperienza lavorativa dunque, non possono in alcun
modo essere ritenuti, anche solo sulla base della littera legis,
alternativi tra loro, ma debbono, coerentemente con la ratio legis,
sussistere congiuntamente.
Come osservato, infatti, già prima dell’intervento del legislatore del 2009
dalla Sezione del controllo di legittimità su atti del Governo di questa
Corte con la delibera n. 3/2003 del 09.01.2003, “il criterio secondo il
quale il legislatore ha inteso disciplinare l’immissione nell’esercizio di
funzioni dirigenziali di soggetti, quali essi siano, in precedenza già non
investiti di tale qualifica, risulta evidentemente informato alla volontà di
acquisire professionalità estranee, tali da presentare qualità aggiuntive e
comunque non minori rispetto ai già elevati requisiti previsti per le nomine
di funzionari appartenenti ai ruoli dirigenziali. Tanto premesso, consegue
da ciò attraverso una lettura sistematica dell’art. 19, c. 6, che la facoltà
da tale norma prevista richiede, nei suoi destinatari, il concorrente
possesso di una particolare specializzazione, sia professionale, che
culturale e scientifica; quando si passi all’accertamento di tali requisiti,
in relazione alle funzioni da attribuire, l’interprete, dal canto suo, non
può sottrarsi alla verifica, sotto ogni profilo, della presenza di tutti gli
elementi che complessivamente rendono il soggetto idoneo all’incarico. Ne
discende che, ferma rimanendo l’esigenza dell’accertamento di un livello di
formazione culturale identificabile nel possesso della laurea, gli elementi
che configurano e completano in estranei il profilo della professionalità
debbano, insieme ad altri, ricavarsi dal già disimpegnato esercizio di
funzioni almeno di pari rilevanza di quelle previste nel nuovo compito.
Quindi, oltre all’accertato possesso di sufficiente formazione culturale, in
un contesto normativo in cui è però prevista l’attribuzione di incarichi
dirigenziali previa verifica della sussistenza di livelli di formazione
particolarmente elevati, occorre che la valutazione venga estesa ad un
puntuale esame dei curricula degli incaricandi”.
L’aver conferito, da parte del convenuto, un incarico dirigenziale a
soggetto non in possesso di diploma di laurea costituisce una violazione
delle predette disposizioni, integrando l’elemento oggettivo della
responsabilità amministrativa.
In relazione all’elemento soggettivo, ritiene il Collegio che la condotta
del convenuto sia connotata, come prospettato dalla Procura regionale, da
colpa grave.
Contrariamente, infatti, a quanto sostenuto dalla difesa del convenuto,
il
decreto di conferimento dell’incarico è, formalmente e sostanzialmente, atto
proprio del Sindaco, adottato nell’ambito di funzioni ad esso attribuite in
via esclusiva dal TUEL e dal Regolamento comunale di organizzazione degli
uffici e dei servizi del Comune di Villafranca di Verona (art. 50, comma 10,
TUEL: “Il sindaco e il presidente della provincia nominano i responsabili
degli uffici e dei servizi, attribuiscono e definiscono gli incarichi
dirigenziali e quelli di collaborazione esterna secondo le modalità ed i
criteri stabiliti dagli articoli 109 e 110, nonché dai rispettivi statuti e
regolamenti comunali e provincia”; Art. 109 TUEL: (Conferimento di
funzioni dirigenziali) “1. Gli incarichi dirigenziali sono conferiti a
tempo determinato, ai sensi dell'articolo 50, comma 10, con provvedimento
motivato e con le modalità fissate dal regolamento sull'ordinamento degli
uffici e dei servizi, secondo criteri di competenza professionale, in
relazione agli obiettivi indicati nel programma amministrativo del sindaco o
del presidente della provincia (…)”; art, 12, comma 1, lett. c), del
Regolamento secondo cui spetta al Sindaco “l’attribuzione e la
definizione degli incarichi dirigenziali ai responsabili di area” e art.
60, comma 1, dello Statuto comunale: “(Incarichi dirigenziali) 1. L’atto
del Sindaco di conferimento o revoca degli incarichi dirigenziali è adottato
sentita la Giunta e il Direttore Generale, se nominato o il Segretario
Generale.”).
La circostanza che, a monte del decreto in questione, la Giunta Comunale,
organo al quale compete la programmazione in materia di personale ex art.
48, comma 2, TUEL, avesse deciso -appunto all’interno di un atto programmatorio a valenza generale quale il Piano occupazionale: D.G.C. n. 90
del 2013, cfr. doc. 16 allegato all’atto di citazione- la “copertura del
posto di qualifica dirigenziale dell’Area II “servizi economico-finanziari e tributari” mediante contratto a tempo determinato” con
incarico ai sensi dell’art. 110 TUEL, anziché ricorrere ad altre opzioni
(incarico a tempo determinato a personale esterno, concorso pubblico,
attribuzione di posizione organizzativa) non vale ad escludere, neppure
parzialmente, la responsabilità del convenuto.
Tale decisione, infatti, attiene unicamente alle modalità di copertura del
posto, non alla individuazione e alla scelta del soggetto al quale
l’incarico avrebbe dovuto essere conferito, queste ultime riferibili
unicamente alla volontà del titolare del potere di esercitare la relativa
funzione: il sindaco, appunto.
Né la circostanza che il personale apicale degli uffici o il segretario
comunale fossero tenuti alla predisposizione dell’atto vale ad escludere in
capo al sindaco la responsabilità dell’atto stesso, a ripartirla o ad
attenuarla: si tratta, infatti, di compito di mera redazione materiale del
documento, non di una (com)partecipazione alla formazione della volontà che
nel documento si trasfonde dando, appunto, origine all’atto; la scelta del
soggetto destinatario dell’incarico (e, quindi, la valutazione della
sussistenza della speciale professionalità richiesta dalla norma) è di
esclusiva pertinenza del Sindaco.
La difesa del ricorrente, poi, attribuisce al Segretario comunale, che con
il suo comportamento reticente avrebbe omesso di rappresentare alla Giunta e
al Sindaco l’esistenza di profili di illegittimità, l’aver indotto in errore
gli organi politici, privando il Sindaco in particolare di “scegliere
diversamente da come ha fatto” (pag. 18 comparsa).
Anche a prescindere dalla contraddittorietà dell’argomentazione difensiva,
avendo lo stesso convenuto in precedenza sostenuto che la scelta del rag.
Da. per l’attribuzione dell’incarico dirigenziale “si presentava
sostanzialmente come obbligata” (pag. 10 comparsa) essendo quest’ultimo
l’unico dipendente di categoria D disponibile ad assumere l’incarico,
nell’attuale assetto normativo regolante la figura ed il ruolo del
segretario comunale, dopo l’intervento della legge 127/1997 (che ha abrogato
il parere preventivo obbligatorio di legittimità del segretario sugli atti
degli organi collegiali), al segretario sono attribuite funzioni meramente
consultive e di assistenza agli organi del comune –la cui ampiezza, peraltro,
è delimitata dalla introduzione della figura del Direttore generale- e di
coordinamento dell’attività dei dirigenti, ma non certo funzioni di
amministrazione attiva.
Risulta in atti che il segretario comunale di Villafranca di Verona abbia
assolto al proprio compito di consulenza/assistenza, avendo rappresentato al
Sindaco i profili di illegittimità del decreto di conferimento
dell’incarico, sia per le vie brevi prima sia formalmente con PEC nei giorni
immediatamente successivi all’adozione: la Procura ha prodotto, infatti,
copia della comunicazione scritta che la medesima ha dichiarato di aver
consegnato brevi manu al Sindaco e inviato tramite PEC.
La difesa del convenuto ha contestato la veridicità della circostanza,
peraltro confermata dalla medesima Segretario in sede di audizione (doc. 33
Procura), producendo sub doc. 9 una nota (erroneamente qualificata come
dichiarazione) a firma del Vice Segretario generale del Comune di
Villafranca di Verona, dr. Bo., con la quale lo stesso trasmette al
difensore un file di excel (non prodotto in atti) contenente l’elenco degli
atti protocollati in arrivo nel periodo 21.06.2013-30.06.2010, evidenziando
che con le chiavi di ricerca “sindaco” e “Fa.” non si producono
risultati.
E’ di tutta evidenza che, anche al di là della considerazione per cui il
file predetto, in assenza di iniziative processuali di parte convenuta
diverse dalla prova testimoniale richiesta –inammissibile sia per l’omessa
formulazione di specifici capitoli, ma anche irrilevante per le ragioni che
seguiranno-, non avrebbe certo potuto essere acquisito d’ufficio agli atti
del giudizio -con la conseguenza che la mera cognizione dell’ esistenza di
un file non consente di valutarne il contenuto- e anche a voler superare
ogni questione in merito alla natura e alla capacità probatoria di un file
in assenza di forme di certificazione circa la sua completezza, autenticità
ed effettiva corrispondenza con i dati del server (se il protocollo è
elettronico) ovvero dei registri (se il protocollo è cartaceo) del Comune,
l’estratto del protocollo generale dell’ente dal quale non risulta
l’avvenuta protocollazione di una comunicazione, potrebbe unicamente
attestare, appunto, che al protocollo generale non risulta acquisito un
documento, ma non può escludere, in assoluto, che tale documento esista o
sia stato consegnato al destinatario.
E ciò a maggior ragione se si considera che il documento allegato dal
Segretario al proprio esposto (doc. 1 Procura) porta un numero del
protocollo riservato (il n. 89 del 2013: il relativo registro –non prodotto
né offerto in produzione- è conservato nell’Ufficio del Segretario, come
risulta dalla dichiarazione resa dalla d.ssa Sa. in sede di
audizione), circostanza che di certo spiega l’assenza di numero di
protocollo generale e che non è stata oggetto di contestazione alcuna da
parte della difesa del convenuto.
Del resto, la stessa Sa. ha espressamente confermato in audizione di
aver, dapprima, rappresentato verbalmente l’illegittimità dell’atto e di
aver, poi, consegnato la nota scritta brevi manu ed infine di averla
trasmessa anche tramite PEC.
In tale sede, peraltro, la medesima Segretario ha dichiarato anche che nei
colloqui intercorsi con il convenuto, quest’ultimo è apparso a conoscenza
del fatto che il rag. Da. non avrebbe potuto rivestire l’incarico
dirigenziale per difetto del titolo di studio, tant’è che oggetto di
discussione era la possibilità di conferire detto incarico ad altro
dipendente comunale in possesso di laurea, il dr. Gr., che seguiva le
questioni relative alla programmazione di competenza del settore finanziario
e di aver appreso dell’incarico solo successivamente al conferimento,
essendole stata consegnata una copia del relativo decreto sindacale.
A fronte di tali evidenze probatorie, ampiamente circostanziate e non incise
dalle produzioni documentali della difesa, non sembra che possa fondatamente
ritenersi che via siano state condotte omissive imputabili al Segretario
utili a escludere o ridurre la responsabilità del Sindaco.
Quanto, poi,
al ruolo del Segretario comunale in relazione alla citata delibera
della Giunta comunale che ha
approvato il piano occupazionale 2013 (che, peraltro, come si è visto, non è
causativa di danno alcuno), la mera
sottoscrizione degli atti di Giunta e Consiglio comunale quale soggetto verbalizzatore (art. 97, comma 3, TUEL) assolve ad una specifica funzione
redazionale e certificativa, propria del Segretario, che non comporta alcuna
responsabilità diversa da quella di registrazione dei fatti e delle volontà
in conformità a quanto avvenuto nella seduta e, perciò, esterna ed estranea
al processo formativo delle volontà espresse dagli organi collegiali a
seguito di deliberazione (ed, in ipotesi, causative di danno).
Priva di giuridico pregio appare, infine, l’argomentazione difensiva secondo
cui il Sindaco, organo politico, non sarebbe per ciò tenuto, nell’esercizio
delle sue funzioni e nell’adozione degli atti propri –quelli, cioè, per i
quali è titolare di competenza esclusiva quale quello di cui si tratta-,
alla conoscenza delle norme, dovendo provvedervi in sua vece gli uffici
tecnici, invocando all’uopo la giurisprudenza di questa Corte in punto di
esimente politica.
“La disposizione normativa invocata dal ricorrente, infatti, (art. 1,
comma 1-ter, della L. n. 20/1994), prevedendo che la responsabilità dei
componenti di un organo politico viene meno quando essi abbiano in buona
fede autorizzato o approvato atti di competenza di organi tecnici o
amministrativi, non tutela sempre e comunque, come sembra pretendere
l’appellante, il soggetto politico in quanto tale, ma si limita a prevedere
la sua irresponsabilità nelle sole ipotesi in cui esso abbia fatto
affidamento sull’attività gestoria svolta dai dipendenti amministrativi
della quale non abbia potuto apprezzare, per la peculiarità dei relativi
contenuti, il carattere potenzialmente lesivo.
Come ha invero correttamente osservato la Corte territoriale, la richiamata
norma si limita ad attuare il principio di separazione tra politica e
gestione amministrativa, più volte affermato dal legislatore (art. 3 d.lgs.
n. 29/1993, art. 4 d.lgs. n. 165/2001, art. 107 del d.lgs. n. 267/2000) ed
in forza del quale i poteri di indirizzo e di controllo
politico-amministrativo spettano agli organi di governo delle
amministrazioni pubbliche, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e
tecnica è attribuita mediante poteri autonomi ai dirigenti, Ne segue che
tale norma non consente di ancorare sic et simpliciter l’irresponsabilità
del soggetto politico al particolare ruolo istituzionale che lo diversifica
dai dirigenti, dovendosi detta disposizione considerare inoperante quando il
soggetto stesso abbia direttamente compiuto, nell’ambito delle sue
competenze, atti causativi di danno erariale” (Sez. III App., 432/2016).
Ed è, appunto, questo il caso che ci aggrava: come già ricordato più sopra,
il conferimento di incarico dirigenziale ex art. 110 TUEL è atto proprio del
Sindaco dal quale è causalmente derivato il contestato danno al Comune di
Villafranca di Verona con il pagamento di competenze retributive ad un
soggetto privo della professionalità necessaria per la copertura
dell’incarico illegittimamente conferito.
Venendo ad esaminare il terzo elemento costitutivo della responsabilità
erariale, l’avvenuta causazione di un danno risarcibile, il Collegio osserva
che, come peraltro correttamente rappresentato dalla Procura attrice,
l’illegittimità dell’incarico conferito a soggetto privo dei requisiti di
studio richiesti dalla norma ha causato all’amministrazione un ingiusto
pregiudizio economico: il danno in caso di prestazioni rese in mancanza del
prescritto titolo di studio e professionale è insito nella lesione della
violazione del sinallagma contrattuale, dal momento che alla retribuzione
percepita non corrisponde una prestazione adeguatamente commisurata e
qualitativamente corrispondente alla professionalità richiesta, come
peraltro ormai acquisito dalla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr.
Sez. Veneto sent. n. 107/2015; Sez. Sicilia n. 55/2014; Sez. Lombardia n.
280/2013; Sez. Toscana n. 433/2011; Sez. Sardegna n. 1246/2009; Sez.
Piemonte n. 24/2009 per citare, ex multis, alcune tra le più recenti
e, da ultimo, Sez. Campania n. 129/2017).
Alla luce di tali consolidati orientamenti, corretto appare, quindi, il
criterio di quantificazione del danno utilizzato dalla Procura e, cioè, la
differenza fra le retribuzioni percepite dal Dalgal in dipendenza
dall’incarico dirigenziale e quelle che gli sarebbero spettate qualora
avesse ricevuto il riconoscimento di una posizione organizzativa quale
funzionario di cat. D5 (questa sì, legittima e conforme alla normativa e
alle disposizioni contrattuali applicabili ratione temporis: “ART.
8 - Area delle posizioni organizzative.
1. Gli enti istituiscono posizioni di lavoro che richiedono, con assunzione
diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato:
a) lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative
di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia
gestionale e organizzativa;
b) lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità
e specializzazione correlate a diplomi di laurea e/o di scuole universitarie
e/o alla iscrizione ad albi professionali;
c) lo svolgimento di attività di staff e/o di studio, ricerca,
ispettive, di vigilanza e controllo caratterizzate da elevate autonomia ed
esperienza.
2. Tali posizioni, che non coincidono necessariamente con quelle già
retribuite con l’indennità di cui all’art. 37, comma 4, del CCNL del
06.07.1995, possono essere assegnate esclusivamente a dipendenti
classificati nella categoria D, sulla base e per effetto d’un incarico a
termine conferito in conformità alle regole di cui all’art. 9.” CCNL del
31.03.1999).
La difesa del convenuto contesta in nuce l’esistenza di un danno
risarcibile rappresentando, al contrario, l’avvenuta realizzazione di una
economia di spesa in quanto il posto avrebbe comunque dovuto essere coperto,
con maggiori costi, con ricorso ad un dirigente esterno, argomentando in
ordine alla necessaria copertura del posto con una figura dirigenziale non
potendosi procedere ad accorpamenti di aree, ma nulla argomentando in merito
alla possibilità di affidare la responsabilità dell’area ad un funzionario
di cat. D mediante l’istituto della posizione organizzativa,
contrattualmente previsto (ed applicabile al caso de quo), appunto
oggetto di contestazione da parte della Procura Regionale.
In conclusione, sussistendone tutti i presupposti, deve essere dichiarata la
responsabilità erariale del convenuto per i fatti di cui è causa e lo stesso
deve essere condannato al risarcimento del danno in favore del Comune di
Villafranca di Verona.
Per le ragioni ampiamente più sopra esposte in merito alla solo presunta
compartecipazione di soggetti terzi (Giunta comunale/Segretario Comunale)
alla formazione della volontà sottostante al decreto di conferimento
dell’incarico, ritiene il Collegio non ricorrere nemmeno i presupposti per
l’applicazione del potere riduttivo, così come richiesto dalla difesa.
In conclusione, la domanda attorea deve essere accolta e il convenuto
condannato al risarcimento in favore del Comune di Villafranca di Verona del
danno complessivamente derivante dai fatti di cui è causa e quantificato in
euro 78.120,00, somma comprensiva della rivalutazione monetaria, oltre agli
interessi legali dalla data della sentenza al saldo effettivo.
Ai sensi dell’art. 31 del c.g.c. il convenuto va inoltre condannato al
pagamento delle spese di giustizia, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto della Corte dei Conti,
ogni diversa e/o contraria domanda od eccezione respinta, definitivamente
pronunciando nel giudizio iscritto al n. 30799 del registro di segreteria
promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di Fa.Ma.;
- respinge l’eccezione preliminare di prescrizione;
- in accoglimento della domanda avanzata dalla Procura Regionale
condanna Fa.Ma. al risarcimento del danno nei confronti del Comune di
Villafranca di Verona di euro 78.120,00 (settantottomilacentoventi/00),
somma comprensiva della rivalutazione monetaria, oltre interessi dalla data
della sentenza fino al saldo effettivo (Corte dei Conti Veneto,
sentenza 20.11.2019 n. 182). |
settembre 2019 |
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PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Posizioni
organizzative, è colpa grave il mancato controllo sugli atti dei propri
funzionari.
Con la
sentenza 19.09.2019 n. 350, la
Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Toscana, ha
precisato che il responsabile di posizione organizzativa che appone la
propria firma agli atti predisposti dai funzionari senza operare mai alcun
controllo, nemmeno a campione, è suscettibile di condanna per responsabilità
sussidiaria a titolo di colpa grave, per omessa vigilanza e/o controllo.
Il fatto
Nel caso in esame, la Procura erariale, presso la Sezione Giurisdizionale
della regione Toscana, ha instaurato un giudizio di responsabilità nei
confronti di due dipendenti del comune di Cascina, rispettivamente nella
qualità di funzionario e di Responsabile di Posizione Organizzativa del
Settore “Macrostruttura 6-Educativo e Socio Culturale”; detto giudizio è
scaturito dalla segnalazione, da parte del suddetto comune, di un possibile
danno erariale, conseguente alla condotta, penalmente rilevante, posta in
essere dal menzionato funzionario, fra l'altro destinatario di misura di
custodia cautelare in carcere su richiesta della Procura della Repubblica
presso il Tribunale di Pisa, nonché di provvedimento di sospensione
cautelare adottato dal Comune di Cascina.
Infatti, dall’attività investigativa espletata dalla Guardia di Finanza,
nell’ambito del procedimento penale, era emerso che il funzionario,
assegnato quale unico addetto all’unità operativa “Nidi, Progettazione
Educativa e Diritto allo Studio”, si era appropriato di circa 400.000 euro,
fra i 2012 ed il 2017, stanziati dall'Ente di appartenenza e dalla Regione
Toscana per il potenziamento degli asili nido e per finanziare progetti
sociali a favore di infanti disabili e/o in stato di disagio.
Con riferimento al citato danno, la Procura contabile ha individuato oltre
la responsabilità principale e dolosa del funzionario –la cui condotta
illecita, era stata ampiamente dimostrata dalle risultanze probatorie del
procedimento penale–, anche quella sussidiaria, a titolo di culpa in
vigilando, in capo al Responsabile del Settore in cui il reo operava, poiché
non aveva esercitato sullo stesso alcun controllo, neanche a campione o
saltuario.
Infatti, il Responsabile aveva consentito, o comunque agevolato,
la condotta illecita del funzionario, apponendo, in maniera acritica ed
automatica, la propria firma sui provvedimenti che quest'ultimo gli
sottoponeva, ponendo in essere una condotta gravemente colposa di omesso
controllo e vigilanza, reiterata per ben cinque anni.
Il Responsabile, costituitosi in giudizio, ha eccepito l’impossibilità di
avere, in qualche modo, contezza del disegno criminoso portato avanti dal
funzionario, tant'è che, all’esito dell’attività istruttoria espletata nel
parallelo procedimento penale, non era stata formulata alcuna ipotesi di
reato nei suoi confronti, essendo emersa, invece, la sua totale estraneità
rispetto ai fatti incriminati, escludendo, di conseguenza, qualsiasi
responsabilità per culpa in vigilando.
Altresì, dall’esame degli atti
istruttori, era emerso che la maggior parte degli episodi criminosi
contestati si erano verificati successivamente all’erogazione delle somme da
parte del Comune, ovvero in una fase in cui non avrebbe potuto esserci alcun
controllo da parte del Responsabile.
Peraltro, da un lato gli atti prodotti
dal funzionario erano stati predisposti al di fuori dei protocolli
istituzionali, mediante documentazione ideologicamente e/o materialmente
falsa, dall'altro, nel corso degli anni, non vi era mai stata alcuna
contestazione sull'operato del funzionario da parte di terzi.
Altresì,
l’assenza di culpa in vigilando derivava dal fatto che il Responsabile
gestiva una macrostruttura con un elevato numero di servizi ed unità
operative (almeno 11) e potendo contare su personale limitato: in tale
contesto, di fronte irregolarità perpetrate prevalentemente al di fuori
dell’orario di servizio ed all’esterno della sede di lavoro ed in assenza di
segnali, anche minimi, che potessero far pensare a comportamenti illeciti
del funzionario, tali da giustificare una vigilanza “straordinaria”
sull’operato dello stesso, il controllo non avrebbe potuto essere diverso da
quello di fatto esercitato.
Le considerazioni della Corte
La Corte, entrando nel merito, ha ritenuto che la pretesa erariale fosse
meritevole di accoglimento nei confronti di entrambi i convenuti, ricorrendo
tutti i presupposti della contestata responsabilità amministrativa.
Per
quanto concerne la posizione del funzionario, il Collegio ha riconosciuto
pacifica la ricorrenza del cd "rapporto di servizio" con l’Amministrazione
danneggiata, nonché acclarate la sussistenza ed antigiuridicità delle
condotte contestate, alla luce della valutazione complessiva degli atti di
causa e di quelli derivanti dal parallelo procedimento penale –che ha
portato alla condanna del funzionario alla pena di 6 anni di reclusione per
i delitti di truffa e peculato, continuato ed in concorso con altri, nonché
all'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici–, dai quali il giudice
contabile è legittimato a trarre elementi utili al proprio convincimento
(Corte Conti, Sez. giur. Lombardia n. 450/2012; Sez. giur. Friuli Venezia
Giulia n. 270/2011).
Alla responsabilità principale, di carattere doloso, per il Collegio si è
affiancata quella sussidiaria del Responsabile di Po: quest’ultimo, infatti,
pur essendo rimasto del tutto estraneo alle vicende penali, sulla base degli
atti e dei fatti esaminati, si è reso responsabile, a titolo di colpa grave,
di omessa vigilanza e/o controllo.
Infatti, per ben cinque anni, egli ha
firmato i provvedimenti di impegno/liquidazione predisposti dal funzionario,
senza avvertire mai la necessità di svolgere controlli, nemmeno a campione,
sull’attività preliminare ed istruttoria espletata. Considerato che la firma
del Responsabile sulle determine comporta, a suo carico, la piena
responsabilità dell’atto e dei relativi effetti, un controllo, anche
saltuario e a campione, sarebbe stato opportuno, se non necessario, a
prescindere ed indipendentemente da eventuali segnalazioni di anomalie e/o
irregolarità da parte di terzi.
In conclusione, alla luce del considerevole arco temporale di reiterazione,
le condotte omissive del Responsabile sono risultate, per la Corte,
connotate da colpa grave, alla luce dell’estrema noncuranza e superficialità
dimostrate per la salvaguardia delle risorse finanziarie del Comune di
Cascina, nonché, più in generale, per la corretta utilizzazione delle stesse
strumentale all’attuazione di valori di rilievo costituzionale, quali
l'imparzialità ed il buon andamento della Pa (articolo 97 della
Costituzione) (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del
03.10.2019).
---------------
SENTENZA
4. Alla responsabilità principale, di carattere doloso, del Sig. RO.
(per l’intero importo sopra visto) si affianca quella sussidiaria, a titolo
di colpa grave, della convenuta CA..
A tal riguardo, va in primo luogo rilevata la pacifica sussistenza del cd
rapporto di servizio tra l’Amministrazione danneggiata (Comune di Cascina) e
la Sig.ra CA., quale Responsabile di Posizione Organizzativa Autonoma
nell’ambito del Settore “Macrostruttura 6-Educativo e Socio Culturale”
della predetta Amministrazione.
Per quanto concerne il profilo dell’illiceità delle condotte serbate, il
Collegio, sulla base degli atti e fatti di causa, ritiene sicuramente di
escludere, in armonia con quanto fatto dall’Organo requirente, una
corresponsabilità dolosa della convenuta Ca..
Quest’ultima, infatti, è rimasta del tutto estranea alle vicende penali,
venendo, del resto, pienamente scagionata in quella sede dallo stesso Ro.
(vedasi interrogatorio reso al GIP in data 16.05.2017, ove il Ro. ha
espressamente dichiarato “…Le determine venivano firmate dal Dirigente
nel caso di specie la Dott.ssa Ca. che non era assolutamente consapevole di
quello che facevo”).
Nondimeno, sulla base degli stessi atti e fatti, risulta configurabile una
responsabilità della Sig.ra CA., a titolo di colpa grave per omessa
vigilanza e/o controllo.
Risulta, infatti, che la medesima CA., per un considerevole lasso temporale
(dal 2012 al 2017, epoca di svolgimento delle condotte illecite del Ro.,
secondo quanto emergente dai capi d’imputazione penale), si sia
completamente affidata al Ro. stesso, firmando, in maniera del tutto
acritica, i provvedimenti di impegno/liquidazione delle risorse dal medesimo
istruiti e predisposti, senza avvertire mai la necessità di svolgere
controlli, nemmeno a campione, sull’attività preliminare ed istruttoria
espletata (rectius, che avrebbe dovuto essere espletata) dal medesimo
(vedasi anche la relazione della Guardia di Finanza del 28.06.2017, prot. n.
0218909, con la documentazione contenuta nel dischetto informatico
allegato).
Sul punto, è appena il caso di rimarcare che colui il quale
firma, nell’esercizio precipuo delle competenze relative all’incarico di
responsabilità rivestito, determine comportanti l’attribuzione di risorse
finanziarie pubbliche in favore di soggetti terzi, si assume, con la
predetta sottoscrizione, la (piena) responsabilità dell’atto e dei relativi
effetti.
Di qui la necessità di un controllo, anche saltuario e a
campione, nel caso all’esame per
contro del tutto omesso, sull’attività preliminare e
propedeutica svolta dal responsabile del procedimento (o comunque
sull’operato dello stesso).
Tutto ciò a prescindere ed indipendentemente dalla
segnalazione di anomalie e/o irregolarità da parte di terzi.
Tale conclusione risulta invero confortata (anche) dalla particolare valenza
degli interessi coinvolti (nello specifico, quello alla corretta
utilizzazione delle risorse finanziarie pubbliche), strumentali
all’attuazione di valori di rilievo anche costituzionale (imparzialità e
buon andamento della P.A. ex art. 97 Cost.).
Né può ritenersi, in superamento delle argomentazioni difensive sul punto,
che tale controllo, nella fattispecie all’esame, non avrebbe potuto essere
concretamente esercitato dalla Sig.ra CA., per essersi l’attività illecita
del Sig. Ro. svolta prevalentemente al di fuori del rapporto di servizio
(investendo, in particolare, la richiesta di rimborso, supportata da false
motivazioni, delle somme erogate, a seguito di un’attività di erogazione che
sarebbe risultata di per sé lecita).
A tal riguardo, il Collegio ribadisce che, per quanto emerso in sede penale,
le condotte illecite del Sig. Ro. sono consistite essenzialmente nel:
a) richiedere, con false motivazioni, a vari asili nido la
restituzione di somme erogate in eccesso, al fine di creare una provvista di
cui poi appropriarsi, una volta ottenuta la restituzione di quanto
attribuito in eccesso rispetto al dovuto;
b) riconoscere ad associazioni (TE.TA.) e/o cooperative (TR.) “compiacenti”
contributi cui le stesse non avrebbero avuto diritto, per poi ottenere da
tali soggetti le somme in questione.
In entrambi i casi, l’appropriazione “illecita” è risultata possibile
per essere state le relative risorse previamente assegnate/liquidate con
determine firmate, in assenza di qualsivoglia controllo, da parte della
convenuta Ca..
La medesima assegnazione (e susseguente erogazione) risulta, invero,
anch’essa illecita, in quanto avvenuta in favore di cooperative/associazioni
“compiacenti”, non aventi titolo per beneficiarne, attesa la mancata
presentazione e/o svolgimento dei relativi progetti, ovvero intervenuta in
favore di soggetti (asili nido) astrattamente legittimati ad usufruirne, ma
in concreto destinatari di contributi superiori al dovuto.
Risulta allora evidente come i controlli omessi dalla Sig.ra CA. abbiano
consentito o quanto meno agevolato l’operazione illecita complessiva attuata
dal Ro., partita con l’assegnazione di somme a soggetti terzi (illecita per
le ragioni viste) e sfociata nella definitiva appropriazione (anch’essa
illecita) da parte del Ro. stesso (beneficiario “finale” della
medesima operazione).
Le condotte omissive serbate dalla Sig.ra CA. risultano,
invero, connotate da colpa grave, attesa l’estrema noncuranza e
superficialità mostrate per la salvaguardia delle risorse finanziarie del
Comune di Cascina.
Tutto ciò anche alla luce del considerevole arco temporale di reiterazione
delle condotte in questione e del mancato rinvenimento, nei fascicoli delle
determine acquisiti presso il Comune di Cascina, di traccia alcuna di
attività istruttoria (vedasi su tale ultimo punto pag. 6 della relazione
della Guardia di Finanza del 28.06.2017, prot. n. 218909).
Nondimeno, il Collegio, in considerazione delle peculiari circostanze del
caso concreto e del ruolo effettivamente rivestito nella vicenda de qua,
ritiene di limitare la responsabilità sussidiaria della Sig.ra Ca.
all’importo di euro 150.000,00.
5. In conclusione,
alla luce di tutto quanto sopra esposto, il Sig. RO.Al. va
condannato al pagamento, in favore del Comune di Cascina, dell’importo di
euro 372.863,25, a titolo di responsabilità principale di carattere
doloso.
Nel contempo, la Sig.ra CA.Ga. va condannata al pagamento,
in favore del Comune di Cascina, dell’importo di euro 150.000,00, a titolo
di responsabilità sussidiaria per colpa grave.
Sugli importi per cui è condanna, da ritenersi già comprensivi di
rivalutazione, vanno computati gli interessi, come da dispositivo. |
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Compatibilità tra RPCT e Ufficio Procedimenti Disciplinari.
Domanda
Nel nostro comune stiamo riscrivendo il Regolamento di Organizzazione Uffici
e Servizi e dobbiamo individuare i componenti dell’UPD.
E’ possibile designare, in composizione monocratica, l’ufficio del
Segretario comunale che è anche Responsabile Anticorruzione e Trasparenza?
Risposta
La questione se il Responsabile della Prevenzione della Corruzione e
Trasparenza (RPCT) possa anche essere componente dell’Ufficio per i
Procedimenti Disciplinari –ex art. 55-bis, commi 2 e 3, d.lgs. 165/2001– è
sempre stata motivo di riflessione e di vari orientamenti, non sempre
univoci, dall’emanazione della Legge Severino (legge 190/2012) in poi.
Per poter rispondere compiutamente al quesito, in via preventiva, va
ricostruito il perimetro normativo in cui si muove l’articolazione e
organizzazione dell’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (UPD).
Riassuntivamente è possibile affermare che:
a) la presenza di un UPD è obbligatoria in ogni pubblica
amministrazione e gli enti vi provvedono secondo le loro peculiarità;
b) nei comuni, la disciplina in materia di UPD deve trovare
collocazione all’interno del ROUS (ex art. 89 TUEL). In tale disciplina deve
trovare allocazione anche l’UPD dell’UPD: cioè vanno disciplinate le
fattispecie in cui sia oggetto di procedimento disciplinare, il/un
componente dell’UPD;
c) è possibile la gestione in forma associata tra più enti, previa
stipula di apposita convenzione;
d) la composizione dell’UPD può essere monocratica o collegiale;
e) è possibile prevedere –specie negli enti di maggiori dimensioni–
una struttura di supporto per la definizione degli atti istruttori
propedeutici;
f) se la composizione è collegiale vanno definite le modalità di
funzionamento, prevedendo quando è necessario che il collegio sia perfetto o
quando può agire in assenza di alcuni componenti;
g) l‘UPD deve anche curare l’aggiornamento del codice di
comportamento di ente; esaminare le segnalazioni di violazione dei codici di
comportamento; curare la raccolta delle condotte illecite accertate e
sanzionate.
Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra queste due, imprescindibili,
figure presenti nell’ordinamento comunale (UPD e RPCT), occorre rifarsi a:
• articolo 1, comma 7, della legge 06.11.2012, n. 190, nel testo
sostituito dall’art. 41, del d.lgs. 97/2016;
• articolo 43, commi 1 e 5, del d.lgs. 14.03.2013, n. 33;
• circolare n. 1/2013, a cura del Dipartimento della funzione
pubblica;
• intesa della Conferenza Unificata del 24 luglio 2013, per
l’attuazione dell’art. 1, commi 60 e 61, della legge 190/2012;
• FAQ n. 3.8 in materia di prevenzione della corruzione,
consultabile nel sito web dell’ANAC;
• orientamento ANAC n. 111 del 04.11.2014;
• PNA 2016, approvato con delibera ANAC n. 831 del 03.08.2016,
Paragrafo 5.2;
• Delibera ANAC n. 700 del 23.07.2019.
Dall’esame dell’ultimo pronunciamento dell’Autorità Anticorruzione (delibera
n. 700/2019) –che ha parzialmente rivisto e meglio precisato le sue
precedenti indicazioni– è possibile concludere che:
– in via generale, l’ANAC ritiene non sussistente, specie nel caso
in cui l’Ufficio Procedimenti Disciplinari sia costituito come Organo
Collegiale, una situazione di incompatibilità tra la funzione di RPCT e
l’incarico di componente UPD, salvo i casi in cui oggetto dell’azione
disciplinare sia un’infrazione commessa dallo stesso RPCT;
– si raccomanda, come altamente auspicabile, laddove possibile, di
distinguere le due figure, soprattutto nelle amministrazioni e negli enti di
maggiori dimensioni e nel caso in cui l’UPD sia organo monocratico.
Dal momento che il comune interpellante ha una popolazione inferiore a
15.000 abitanti –quindi non può definirsi “ente di maggiori dimensioni”–
si ritiene possibile prevedere che il Segretario comunale ricopra,
contemporaneamente, il ruolo di RPCT e UPD. Resta comunque valida, inoltre,
la possibilità di nominare l’UPD, in forma associata e, in tal senso, si
consiglia di prevedere anche tale opzione all’interno del regolamento di
organizzazione (17.09.2019 - tratto da e link a www.publika.it). |
luglio 2019 |
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INCARICHI PROFESSIONALI -
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Danno erariale al segretario comunale che autorizza l'incarico professionale
esterno a un dipendente dell'Ente.
I dipendenti della Pa a tempo parziale -che svolgono un orario lavorativo
non superiore alle 18 ore settimanali- possono essere autorizzati dall'ente
di appartenenza anche a svolgere altra attività lavorativa, inclusa quella
professionale a partita Iva. Tuttavia, l'amministrazione non può conferire
un incarico professionale esterno al medesimo dipendente.
Queste sono in
sintesi le conclusioni della Corte dei conti - Sez. giurisdiz. Puglia (sentenza
31.07.2019 n.
501) che ha condannato per danno erariale in solido il responsabile del
servizio finanziario e il segretario comunale che ha autorizzato l'incarico
esterno di resistenza nei giudizi tributari al medesimo responsabile del
servizio finanziario e dei tributi.
La vicenda
Il commissario straordinario di un Comune di modeste dimensioni aveva
attivato le procedure di recupero delle somme indebitamente corrisposte al
responsabile finanziario e dei tributi per l'incarico professionale di
resistenza in giudizio davanti alle commissioni tributarie.
In
considerazione del mancato versamento degli importi, la Procura della Corte
dei conti ha chiamato a rispondere di danno erariale sia il segretario
comunale, per aver espresso parere favorevole all'incarico professionale al
dipendente, sia il responsabile finanziario e dei tributi che, pur a
conoscenza della normativa, ha formalizzato e ricevuto le parcelle
professionali.
Nel caso di specie, la Procura ha contestato un reale
conflitto tra le due posizioni assunte dal medesimo soggetto, in quanto
l'attività di recupero tributario, non può che rientrare nelle funzioni
istituzionali dell'ente e del responsabile del settore preposto e, qualora esternalizzato, non può essere affidato allo stesso soggetto che svolge,
all'interno, le funzioni di responsabile del servizio.
La difesa dei convenuti
Nelle memorie di costituzione in giudizio è stato rilevato come il
responsabile finanziario fosse un dipendente in part-time, con orario non
superiore alla metà del tempo pieno, autorizzato dall'ente a svolgere
attività professionale esterna.
La disposizione legislativa -articolo 11,
comma 3, Dlgs 546/1992– prevede espressamente che «L'ente locale nei cui
confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il
dirigente dell'ufficio tributi …», mentre l'articolo 15, comma 2-bis,
dispone che «Nella liquidazione delle spese a favore dell'ente impositore,
dell'agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell'albo di cui
all'articolo 53 del decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, se
assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la
liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del
venti per cento dell'importo complessivo ivi previsto».
La decisione del collegio contabile
I giudici contabili pugliesi oltre a ritenere fondate le conclusioni cui è
giunto il Pm contabile, di un reale conflitto tra le due posizioni assunte
dal responsabile finanziario -da un lato resistente in giudizio in quanto
dirigente dell'ufficio tributi e dall'altro lato in qualità di libero
professionista- hanno anche accertato l'inconsistenza del pagamento
previsto dalla normativa.
L'Aran ha, infatti, da sempre chiarito che, per l'attività di difesa avanti
alle Commissioni tributarie, ai funzionari può essere riconosciuta
un'integrazione dell'indennità di risultato oppure una diversa forma di
incentivazione, a condizione che sussista al riguardo uno specifico
intervento di regolazione nell'ambito della contrattazione integrativa.
Nel caso di specie, ha precisato il collegio contabile, non c'è stato alcun
iter contrattuale per forme integrative di incentivi al personale, bensì
l'affidamento al dirigente responsabile del settore finanziario di due
incarichi esterni di rappresentanza del Comune davanti alle commissioni
tributarie, in palese violazione di legge.
Inoltre, stante la consapevolezza dei convenuti di tenere un comportamento
vietato dalla legge, si rientra nell'ipotesi di dolo con conseguente
responsabilità solidale dei convenuti al pagamento delle somme indebitamente
corrisposta al responsabile finanziario
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 26.08.2019).
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MASSIMA
Il thema decidendum del presente giudizio riguarda l’accertamento
della responsabilità dei convenuti –in qualità di dipendenti del Comune di
Roseto Valfortore- per il danno patrimoniale, asseritamente arrecato
all’ente, in conseguenza dell’indebito affidamento di incarico professionale
al responsabile del settore finanziario dott. MI., in difetto dei
presupposti di legge.
...
2. Nel merito, la domanda è fondata.
Occorre premettere che l’obbligo della pubblica
amministrazione di provvedere ai compiti istituzionali con la propria
organizzazione e con il proprio personale, costituisce regola fondamentale
dell’ordinamento, codificata da specifiche disposizioni di legge.
In particolare, l’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, recependo
quanto già previsto dal d.lgs. n. 29 del 1993, ha rafforzato il principio di
onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti delle pubbliche
amministrazioni, stabilendo che il trattamento economico contrattualmente
determinato remunera tutte le funzioni e i compiti loro attribuiti, nonché
qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o,
comunque, conferito dall’Amministrazione presso cui prestano servizio o su
designazione della stessa.
Pertanto, risulta in primo luogo violato il principio di onnicomprensività
della retribuzione, svolgendo il Mi. l’incarico di dirigente a tempo
determinato ex art. 110, comma 2, del d.lgs n. 267 de 2000.
Egli, seppure in regime di part-time, svolgeva le funzioni di
responsabile del settore finanziario e, come tale, era responsabile anche
della gestione dei tributi, ivi compresa, appunto, tutta l'attività relativa
al loro recupero.
Invero, in quanto titolare di posizione organizzativa, al Mi. era già
attribuita l'indennità di posizione, l'indennità di risultato e la specifica
indennità ad personam prevista dall'art. 110, comma 3, del d.lgs. n.
267 del 2000, oltre ad un rimborso spese di viaggio per raggiungere la sede
di servizio (deliberazione della Giunta comunale n. 116 del 13.11.2002).
In merito alle attività attribuite alla responsabilità dell’odierno
convenuto, inoltre, il decreto del Sindaco del Comune di Roseto Valfortore,
n. 5912 del 13.11.2002 dispone espressamente che il dott. Mi. dal 01.01.2003
veniva chiamato o svolgere le funzioni di responsabile del Settore
economico–finanziario, “comprendente tutti servizi economico e finanziari
esemplificativamente riferiti a: ….tributi ed entrate patrimoniali (gestione
di tutte le fasi compreso controllo riscossioni in concessione)”.
Di conseguenza, la rappresentanza dell’ente avanti alle Commissioni
tributarie rientrava appieno tra i compiti istituzionali affidati al Mi.,
con ciò smentendo tutte le eccezioni opposte dai convenuti circa la
legittimità dell’affidamento dell’incarico professionale. Né vi è prova che
l’Amministrazione non fosse in grado di provvedervi per l’eccessivo carico
di lavoro, meramente enunciato dal Mi..
Al riguardo, l'art. 11, comma 3, del D.Lgs 546/1992, come modificato
dall'art. 3-bis del D.L. 31.03.2005, n. 44 prevede espressamente che "L'ente
locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche
mediante il dirigente dell'ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali
privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione
organizzativa in cui è collocato detto ufficio".
Il Procuratore regionale, pertanto, ha correttamente contestato agli odierni
convenuti un reale conflitto tra le due posizioni assunte dal medesimo
soggetto (art. 6, comma 2, d.p.c.m. 117/1989). In particolare, l’attore
pubblico ha osservato che l’attività di recupero dell'ICI, non può che
rientrare nelle funzioni istituzionali dell'ente e del responsabile del
settore preposto e, qualora esternalizzato, non può essere affidato allo
stesso soggetto che svolge, all'interno, le funzioni di responsabile del
servizio.
Il Collegio non può che condividere tale assunto.
Per l’attività in questione, al dirigente non spettava alcun compenso.
Priva di pregio appare, al riguardo l’eccezione opposta da parte convenuta
secondo cui il compenso sarebbe comunque spettato al Mi. ex art. 15, comma
2-bis (ora comma 2-sexies) del d.lgs n. 546 del 1992 che dispone “Nella
liquidazione delle spese a favore dell'ente impositore, dell'agente della
riscossione e dei soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del
decreto legislativo 15.12.1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari,
si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli
avvocati, con la riduzione del venti per cento dell'importo complessivo ivi
previsto”.
Non vi è dubbio, infatti, che la liquidazione delle spese di difesa avviene
nei confronti dell’Amministrazione, risultata vittoriosa nel giudizio
tributario, e non già nei confronti del soggetto che la rappresenta. Sulla
questione, l'ARAN (RAL 1660) ha chiarito che, per l’attività di difesa
avanti alle Commissioni tributarie, ai funzionari può essere riconosciuta
un’integrazione dell'indennità di risultato oppure una diversa forma di
incentivazione, a condizione che sussista al riguardo uno specifico
intervento di regolazione nell’ambito della contrattazione integrativa.
Nel caso di specie, non vi è stata alcun iter contrattuale per forme
integrative di incentivi al personale, bensì vi è stato l’affidamento al
dirigente responsabile del settore finanziario di due incarichi esterni di
rappresentanza del Comune avanti alle Commissioni tributarie, in palese
violazione di legge.
Sicché il compenso che è stato erogato al Mi., nella veste
di professionista esterno, rappresenta certamente un’indebita spesa
sostenuta dal Comune.
Il danno risarcibile ammonta a complessivi euro 163.991,74.
Responsabili in solido di tale indebita spesa risultano entrambi i convenuti
a titolo di dolo. Al riguardo, occorre chiarire che, nel
processo contabile, per dolo deve intendersi la consapevolezza dell’agente
di tenere un comportamento vietato dalla legge.
Il Mi. è responsabile per aver scientemente lucrato il compenso per la
difesa del Comune, pur nella piena consapevolezza di aver assunto l’obbligo
di svolgere tale attività in veste di dirigente responsabile del settore
finanziario.
La dott.ssa Ce., in qualità di Segretario generale
dell’ente, per il ruolo rivestito di garante della legittimità dell’azione
amministrativa del Comune, che nulla ha obiettato a tutela della corretta e
proficua gestione del denaro pubblico, esprimendo per di più parere
favorevole per l’affidamento dell’incarico in questione e provvedendo ad
impegnare e liquidare il compenso de quo.
L’indebita spesa, pari a complessivi euro 163.991,74, erogata dal Comune di
Roseto Valfortore è la conseguenza unica e diretta delle
condotte tenute dai convenuti, nella piena consapevolezza del totale
dispregio degli interessi dell’Amministrazione.
Ai soli fini della ripartizione interna delle quote di danno, per cui
ciascuno potrà eventualmente rivalersi nei confronti dell’altro responsabile
in solido, per il ruolo preponderante rivestito nella vicenda dal dott. Mi.,
a lui compete la maggior quota di danno pari al 70 per cento del danno
risarcibile, mentre il restante 30 va attribuito alla responsabilità della
dott.ssa Ce..
Trattandosi di responsabilità per dolo deve essere escluso
il ricorso al potere riduttivo dell’addebito.
Sull’importo di euro 163.991,74 per cui è condanna va computata la
rivalutazione monetaria dalla data dei pagamenti e fino alla pubblicazione
della presente sentenza. Per tutte le ragioni espresse, la domanda è
accolta.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Puglia,
definitivamente pronunciando, accoglie la domanda attrice e, per l’effetto,
CONDANNA
I signori Ma.MI. e Ma.Ce.An.CE. al pagamento in solido della complessiva
somma di euro 163.991,74 (centossessantatremilanovecentonovantuno/74), oltre
rivalutazione monetaria, in favore del Comune di Roseto Valfortore.
Sulle somme rivalutate spettano all’Amministrazione gli interessi al tasso
legale decorrenti dalla data di deposito della sentenza e fino al totale
soddisfo. |
PUBBLICO IMPIEGO -
SEGRETARI COMUNALI: Segretari
comunali: quella dannosa voglia di "dirigente apicale"
(in memoria di Stefano Fedeli)
(14.08.2019 - link a https://luigioliveri.blogspot.com).
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Non è compito dei segretari comunali
svolgere funzioni di direzione di strutture amministrative
assumendo la qualità di dirigenti. Tali funzioni possono
essere gestite, specie nei comuni di grandi dimensioni, solo
per in via temporanea e suppletiva, avendo prima dimostrato
l’assoluta carenza di professionalità interne.
La
sentenza 23.07.2019 n. 489
della Corte dei conti, Sezione giurisdiz. per la Puglia, è
particolarmente rilevante perché smonta in modo ultimativo
il castello di sabbia del “dirigente apicale” ed
indica in modo chiaro e puntuale quali sono le peculiarità
della funzione dei segretari comunali.
E’ una sentenza importantissima, che evidenzia le gravissime
pecche purtroppo contenute nella superficiale
sentenza
22.02.2019 n. 23 della
Corte costituzionale (sul punto:
cliccare qui e
cliccare anche qui),
in particolare nella debolissima parte nella quale la
Consulta ha in modo vistosamente erroneo considerato
costituzionalmente legittimo lo spoil system, anche in
considerazione delle funzioni dirigenziali viste come
“tipiche” della figura del segretario comunale.
Una svista imperdonabile, che viene indirettamente, ma
ferocemente evidenziata dalle considerazioni della Corte dei
conti della Puglia, che, limitandosi a leggere ed applicare
in maniera niente più che piana e corretta le disposizioni
normative e contrattuali, ricorda come le funzioni
dirigenziali siano, per i segretari comunali, solo un
accessorio, eventuale e non tipizzante per nulla le proprie
funzioni. Con buona pace di chi pervicacemente cerca di
ammantare la figura con quel ruolo di “dirigente apicale”
che la mancata riforma Madia ha impedito venisse in essere.
E’ bene specificare che la Corte dei conti ha riconosciuto
la responsabilità per danno erariale a carico di un
segretario comunale di un comune di grandi dimensioni, che
per anni ha svolto funzioni di dirigente di una quantità
ingiustificabile anche solo logicamente, prima che
organizzativamente, di servizi, ottenendo maggiorazioni
retributive persino superiori a quelle ammesse dal
contratto. Non si può non fare proprie le considerazioni,
sul punto, della Corte dei conti: “Quello che sconcerta
ancor di più, e che rende irrimediabilmente grave sotto il
profilo omissivo la sua condotta, e che la ricollega causalmente al danno qui azionato è il fatto che il soggetto
che è rimasto passivo e inerte in ordine a emolumenti
ricevuti e spiccatamente esorbitanti rispetto al dovuto, sia
proprio colui che istituzionalmente aveva il dovere
giuridico di conformare alla legalità l’agere
amministrativo”.
Lo sconcerto è forte. E dura da anni, esattamente da quel
1997 che introducendo l’inutile figura del direttore
generale ha scatenato in molti (non tutti, ovviamente) i
segretari comunali gli appetiti da “dirigente apicale”.
Si sono visti incarichi di direttore generale in comuni con
pochissimi dipendenti e senza Peg, incarichi in comuni
convenzionati ma singoli per ciascun comune, cifre
elevatissime non giustificate da funzioni nuove e diverse.
Uno spreco di denaro pubblico, che nel 2009 portò alla
cancellazione (purtroppo limitata ai soli comuni con
popolazione fino a 100.000 abitanti) del direttore generale.
Sconcerta, comunque, ancora che la voglia di “apicalità” e,
soprattutto, di ottenere maggiorazioni retributive, invece
di passare dalla via maestra di una migliore contrattazione
collettiva capace di valorizzare le funzioni effettivamente
caratterizzanti dei segretari, in modo strisciante anche
sigle sindacali abbiano lavorato per creare una condizione
di “dirigente apicale” di fatto (preparatoria, senza
successo, alla riforma Madia), soffiando sul fuoco delle
ambizioni personali.
La gran parte dei segretari comunali sa qual è il proprio
ruolo, conosce la profonda differenza del coordinamento
rispetto alla gestione operativa, valorizza la prima in
funzione del miglior funzionamento della seconda.
Per non pochi, al contrario, la funzione del segretario
praticamente non può che ridursi a quella di un dirigente
che assommi su di sé (salvo, spesso, poi deleghe diffuse e
in bianco) funzioni gestionali, gestite fin troppo, poi, nel
rispetto della “fiducia” contrattata a suon di inevitabili
reciproche concessioni con sindaci disposti a remunerare
queste funzioni dirigenziali anche ben oltre i limiti
contrattuali. Con sprezzo dell’evidente rischio di danno
erariale.
Questa visione della “apicalità” dirigenziale necessitata
del segretario comunale viene letteralmente posta nel nulla
dalla sentenza della Corte dei conti. Essa evidenzia quali
siano le rilevanti e complesse competenze previste
dall’articolo 97 del d.lgs 267/2000, non negando,
ovviamente, che è operante il comma 4, lettera d), per
effetto del quale il sindaco può attribuire al segretario
ogni altra funzione.
Sagacemente, il giudice contabile
osserva, però: “Tale ultima previsione, pur integrando una
sorta di clausola in bianco, si dà consentire, in linea di
principio (per ragioni di flessibilità organizzativa),
l’affidamento al segretario di funzioni gestionali, va però
contemperata con altre disposizioni affermative di principi
di ordine generale, come quella secondo cui i compiti c.dd.
di amministrazione attiva spettano ai dirigenti e non
possono essere loro sottratti se non in virtù di una norma
primaria espressa (cfr. l’art. 4, comma 2 e 3, l’art. 15 e
ss. del citato t.u.p.i.; l’art. 107, comma 4, del t.u.o.e.l.)”.
L’attribuzione di funzioni dirigenziali ai segretari
comunali non è posta in posizione di equivalenza con la
scelta di assegnare incarichi di direzione ai dirigenti.
Questi ultimi sono titolari in via esclusiva della gestione.
Il che non può non portare alla conclusione secondo la quale
l’assegnazione di funzioni di direzione ai segretari (lo
stesso vale per l’attivazione dell’articolo 110 del Tuel) va
saldamente giustificato con l’evidenziazione di una
situazione non rimediabile se non con una temporanea
attività di “supplenza”, fermo restando che se
l’organizzazione prevede una struttura di vertice, essa non
può restare acefala o essere a tempo indefinito affidata
alla preposizione direzionale di un soggetto che non può e
non deve svolgere la funzione direzionale in via
continuativa, come il segretario comunale.
Sul punto, la Corte dei conti della Puglia è chiarissima:
“l’Accordo integrativo del 22.12.2003, sottoscritto in
attuazione dell’articolo 41, comma 4, del CCNL, e il
successivo Accordo integrativo del 13.01.2009. In
particolare, il primo dei citati accordi ha stabilito a
quali condizioni possa essere concessa la maggiorazione
dell’indennità in parola, condizioni che possono essere sia
di carattere oggettivo che di carattere soggettivo. Senza
entrare nello specifico di tali condizioni,
basti qui mettere in luce che il contratto precisa
che tale maggiorazione è consentita a condizione che al
segretario siano affidati incarichi gestionali comunque
afferenti alle sue funzioni istituzionali, ma “in via temporanea e dopo
aver accertato l’inesistenza delle necessarie
professionalità all’interno dell’Ente”. L’Accordo fissa poi
la misura minima e massima di tale maggiorazione, che non
può essere inferiore al 10% e superiore al 50% della
retribuzione di posizione in godimento, ad eccezione dei
comuni inferiori a 3.000 abitanti”.
Dunque, è l’ordinamento giuridico ad impedire di considerare
come fungibili gli incarichi dirigenziali. Essi sono
competenza esclusiva dei dirigenti. La scelta di affidarli
al segretario è transeunte e motivata da una verifica reale
di assenza di professionalità interne.
Spiega ancora la
Corte dei conti: “Tanto è vero che le sopra indicate
disposizioni contrattuali integrative si sono fatte carico
di precisare che l’attribuzione al segretario di funzioni
dirigenziali possa avvenire solo con atto formale del capo
dell’Amministrazione e in ogni caso previo accertamento
dell’assenza di adeguate figure professionali interne e
(solo) in via temporanea. Ciò evidenza chiaramente che la
strada dell’affidamento di compiti gestionali ai segretari
sia percorribile solo in via transitoria, e in caso di
eccezionale assenza delle necessarie professionalità
all’interno dell’Ente (ex multis, Cass., S.L. 12.06.2007, n.
13708; Cons. St., Sez. V, 25.09.2006, n. 5625; cfr.
anche Parere Min. Interno 17.12.2008): solo in tal modo è
possibile conciliare la facoltà concessa dal citato art. 97, co. 4, lett. d), del t.u.o.e.l.,
da un lato (come detto) con
l’intestazione ex lege di tali funzioni ai dirigenti,
dall’altro con l’esercizio in concreto dei compiti
gestionali negli enti di piccole dimensioni (notoriamente
privi di dirigenza e, sovente, anche di dipendenti inidonei
a svolgerle) o in particolari frangenti, tali da generare
situazioni di paralisi gestionale non risolvibili aliunde
(ex multis, Tar Piemonte, sez. II, 04.11.2008 n. 2739; Cons.
St., sez. IV, 21.08.2006 n. 4858). Dunque, nel rispetto di
tali presupposti al segretario possono essere attribuite
funzioni dirigenziali”.
L’ultimo passaggio enfatizzato in
grassetto smentisce le diverse ed erronee conclusioni cui,
invece, purtroppo è giunta la Consulta.
Può, comunque, un comune decidere per scelta organizzativa
di puntare su un segretario “dirigente apicale” di fatto e
quindi in ogni caso dotarlo di funzioni dirigenziali in via
continuativa, sì da giustificare anche una remunerazione
superiore alle maggiorazioni previste contrattualmente?
La risposta della Sezione Puglia è radicale e negativa: “Non
coglie nel segno sul punto l’assunto difensivo che fa leva
sulla asserita legittimità della retribuzione di posizione
in quanto finalizzata a remunerare funzioni gestionali
affidate non in via temporanea ma continuativa. In
proposito, per vero, è appena il caso di osservare che
la
stessa attribuzione di funzioni gestionali affidate non in
via temporanea, ma stabile e duratura al segretario generale
–sia pure attraverso diversi provvedimenti a tempo
riguardanti distinti servizi– si appalesa contra legem
perché effettuata in difetto dei presupposti normativi”.
C’è un vizio di legittimità genetico e non superabile nella
scelta di attribuire funzioni gestionali ai segretari
comunali. Che, per altro, sebbene spesso ottengano queste
funzioni a seguito delle “contrattazioni” spesso improprie
coi sindaci, poi pagano molto caramente, in termini di
serenità operativa e condizioni di lavoro, la disponibilità
data a riscontro delle maggiorazioni contrattuali.
Nel caso di specie, lo sconcerto mostrato dalla Corte dei
conti, sorge anche solo guardando l’incredibile elenco di
incarichi dirigenziali assegnati al segretario, con
molteplici decreti sindacali:
-
gestione dell’Ufficio Legale,
-
gestione della Segreteria Comunale,
-
gestione della Presidenza del Consiglio Comunale,
-
gestione del Servizio Sistemi Informativi e Statistica,
-
gestione del Contratto d’Area,
-
gestione del del 2° Settore “Attuazione Politiche per
l’Occupazione”,
-
gestione del del 5° Settore “Attuazione Politiche Sociali,
Educative, Culturali e Ricreative”,
-
gestione dell’Ufficio di Piano.
Una “non organizzazione”, uno schema organizzativo
semplicemente assurdo e non credibile, con una
concentrazione direzionale ingiustificabile, implausibile e
oggettivamente irrazionale.
Per altro, spiega la sentenza della Sezione Puglia “nessuno
dei competenti decreti sindacali di conferimento evidenzia
(se non nel limitato caso di cui al decreto n. 52 del
13.10.2010, in cui il segretario è stato incaricato ad
interim, per tre giorni, della gestione del Settore Bilancio
a causa del congedo del titolare dell’ufficio) alcun
elemento da cui arguire la mancanza in concreto di idonee
professionalità all’interno dell’Ente o la presenza di
situazioni contingenti di sorta, ulteriori rispetto alla
richiamata astratta esigenza di riorganizzare gli uffici, o
a quella generica di sgravare il dirigente fino ad allora
designato dal relativo carico”.
Indicazioni che sarebbero
state ancor più generali, in considerazione della dimensione
del comune, di quasi 60.000 abitanti, che, secondo la Corte
“induce ad ipotizzare –in difetto di contrarie allegazioni– un organico dirigenziale di assoluto rilievo e
consistenza, anche in termini di presenza di idonee figure
dirigenziali nei settori di competenza gestionale affidati,
invece, al segretario”.
La conclusione della Corte è caustica: “In definitiva,
il
sistema ordinamentale sopra tratteggiato [...] non consente
che ai segretari siano conferite funzioni gestionali in
pianta stabile, se non nei casi limite sopra indicati
(comuni privi di idonee figure dirigenziali, situazioni di
paralisi gestionale, ecc.) e previa adeguata motivazione”.
Laddove i segretari sono caricati di queste funzioni, la
verifica puntuale spesso porterebbe ad osservare situazioni
del tutto improprie, come quelle della sentenza, in cui la
caccia alla mostrina di “dirigente apicale” porta a
situazioni paradossali e dannose per l’erario; oppure, a
situazioni del tutto opposte, nelle quali, specie in piccoli
comuni, il segretario viene subissato di funzioni e
competenze, senza mezzi, senza strumenti, con strutture
spesso torpide, che agiscono a “tenaglia” con
l’amministrazione nello schiacciare l’ordinato svolgersi
delle competenze della figura.
La Corte costituzionale con la
sentenza
22.02.2019 n. 23 ha perso
l’occasione enorme di riallineare l’ordinamento a logica e
razionalità. La sentenza della Corte dei conti della Puglia
è lì, scolpita, a ricordarci di questa occasione
drammaticamente sfuggita. |
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Nomina
di un RPCT diverso dal vicesegretario.
Domanda
Nel nostro comune è vacante il posto di segretario comunale
da molti mesi. Per sopperire a tale vacanza è stato nominato
un vicesegretario che lo sostituisce. Nel frattempo il
Sindaco ha nominato Responsabile Anticorruzione e
Trasparenza un altro funzionario del comune e non il
vicesegretario.
La nomina è legittima ?
Risposta
L’articolo 1, comma 7, della legge 06.11.2012, n. 190,
prevede che negli enti locali, il Responsabile della
prevenzione della corruzione e della trasparenza sia
individuato (dal sindaco, nei comuni) –di norma– nel
segretario o nel dirigente apicale, salva diversa e motivata
determinazione.
Come si può notare, la nomina del segretario comunale, in
qualità di RPCT, rappresenta la situazione di “normalità”,
ma non è l’unica ed esclusiva prevista dalle disposizioni in
materia di prevenzione della corruzione nella pubblica
amministrazione.
Per ciò che concerne l’incarico di vicesegretario occorre
rifarsi, invece, all’articolo 97, comma 5, del decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267, il quale stabilisce che
il ROUS (Regolamento di organizzazione uffici e servizi),
può prevedere un vicesegretario, con il compito di
coadiuvare il segretario e sostituirlo nei casi di assenza o
impedimento.
Nel caso specifico segnalato nel quesito, non si ritiene che
le funzioni svolte dal vicesegretario comunale debbano, per
forza o in automatico, riguardare anche l’incarico di RPCT.
La diversa valutazione compiuta dal sindaco, che ha
individuato un altro responsabile, è certamente legittima e
dovrà essere debitamente sostenuta dalle motivazioni
inserite nell’atto di nomina (23.07.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
luglio 2019 |
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SEGRETARI COMUNALI: Ai
segretari la qualifica dirigenziale dopo due anni di servizio.
Prima del 2001, il segretario comunale conseguiva la qualifica dirigenziale
solo dopo diversi passaggi di carriera, anche in considerazione della classe
del Comune presso cui prestava servizio. Con il contratto nazionale del
16.05.2001 la disciplina è stata modificata in modo che il segretario
comunale può conseguire la qualifica dirigenziale appena compiuto il primo
biennio di servizio.
Sono queste le conclusioni cui è giunto il TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, con la
sentenza
04.06.2019 n. 7178.
Il caso
Un segretario comunale ha partecipato alla selezione per la copertura dei
posti vacanti di giudice presso le commissioni tributarie regionali e
provinciali e si è visto attribuire un punteggio inferiore a causa del
mancato riconoscimento della qualifica dirigenziale richiesta nel bando.
La
commissione, infatti, nel procedere alla valutazione dei titoli, ha
riconosciuto la qualifica dirigenziale al segretario partecipante solo a
partire dalla data del contratto 16.05.2016, mentre per il periodo di
servizio pregresso non gli è stato assegnato alcun punteggio. In seguito, su
istanza di autotutela, la commissione ha modificato la graduatoria
riconoscendo esclusivamente l'ulteriore periodo dal 20.03.1999 e non dal
20.03.1997 come da richiesta del segretario comunale. In
considerazione del presunto inadempimento da parte della commissione, il
segretario ha proposto ricorso al Tar .
La conferma dei giudici amministrativi
Il collegio amministrativo ha rigettato il ricorso del segretario e accolto
le motivazione della commissione. Il segretario ha dichiarato, nella domanda
di partecipazione al concorso, di aver ottenuto la fascia B (equiparata a
dirigente) solo a partire dal 20.03.1999. Non può, quindi, essere accolta
la motivazione del segretario secondo cui avrebbe dovuto essere computato
anche il periodo pregresso del servizio prestato dal 20.03.1997 e quindi
attribuito il punteggio previsto per la «qualifica di primo dirigente e
dirigente superiore».
Infatti, precisano i giudici, fino al 2001 la
qualifica di dirigente per il segretario comunale si conseguiva solo dopo
diversi passaggi di carriera, e in considerazione della classe del Comune
presso cui si prestava servizio. Solo con il contratto di categoria del 16
maggio 2001 la disciplina è stata modificata cosicché il segretario comunale
consegue ormai la qualifica dirigenziale appena compiuto il primo biennio di
servizio.
Il collegio rileva, tuttavia, come le eccezionali ragioni di difficoltà
interpretative rilevabili nella materia suggeriscono la compensazione delle
spese di giudizio
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 10.06.2019). |
maggio 2019 |
|
SEGRETARI COMUNALI: Nessun
taglio all'assegno che «compensa» le perdite del segretario trasferito in
mobilità ad altre funzioni.
Dato il divieto di reformatio in peius del trattamento economico acquisito
in caso di mobilità o trasferimento del segretario comunale presso altro
ente pubblico, l'eventuale differenza economica deve essere conservata
mediante corresponsione di un assegno ad personam da riassorbire mediante i
successivi rinnovi contrattuali, ovvero attraverso emolumenti disposti dalla
contrattazione collettiva per la generalità dei dipendenti.
Al di fuori di queste ipotesi, l'amministrazione di destinazione o
cessionario, non ha alcun titolo per riassorbire l'assegno ad personam in
caso di svolgimento delle funzioni vicarie di dirigente la cui disciplina ed
indennità sono rimesse alla contrattazione integrativa e, quindi, al di
fuori delle ipotesi di riassorbimento.
Queste sono le indicazioni confermate dalla Corte di Cassazione, Sez. lavoro, nell'ordinanza
29.05.2019 n. 14688.
La vicenda
Un segretario comunale era transitato per mobilità presso un ente pubblico
non economico (Inail) con diritto a conservare, all'atto del passaggio, le
indennità percepite al momento del trasferimento, di reggenza e di reggenza
a scavalco, di direttore generale, mediante integrazione con un assegno ad personam corrispondete alla differenza tra il più favorevole trattamento
economico maturato nel precedente ruolo e quello spettante presso
l'amministrazione di destinazione.
Dopo il conferimento dell'incarico di
dirigente vicario presso una sede provinciale, l'ente pubblico aveva negato
la maggiorazione stipendiale in quanto, a suo dire, assorbita dall'assegno
ad personam già percepito dall'ex segretario. Non essendo state accolte le
ragioni dell'ente pubblico, né dal Tribunale di primo grado né dalla Corte
di appello, il ricorso è giunto in Cassazione.
In particolare l'ente
pubblico si è lamentato del fatto che i giudici di appello non abbiano
correttamente considerato come la legge 88/1989 autorizzi la contrattazione
collettiva a individuare posizioni funzionali di particolari rilievo,
comprendenti anche l'esercizio di funzioni vicarie, da attribuire ai
funzionari della categoria direttiva, tanto da poter far rientrare gli
emolumenti attribuiti in via generale a tutti i dipendenti con le stesse
qualifiche.
Quindi non avrebbe fondamento l'affermazione della Corte
territoriale per cui quell'indennità non sarebbe annoverabile tra gli
emolumenti attribuiti in via generale dall'amministrazione ricevente a tutti
i dipendenti aventi la qualifica interessata e con la conseguenza della non
computabilità della stessa ai fini dell'assorbimento dell'assegno ad personam.
La conferma della Cassazione
Al contrario di quanto sostenuto dall'ente, la Corte di appello ha fatto
corretto riferimento a quanto stabilito dal giudice di legittimità, in
quanto non sarebbero computabili ai fini dell'assorbimento dell'assegno ad
personam spettante, in funzione del mantenimento del trattamento economico
maturato al dipendente transitato per mobilità ad altra amministrazione, gli
emolumenti che non siano attribuibili in via generale dall'amministrazione
ricevente a tutti i dipendenti aventi la medesima qualifica del dipendente.
L'ente è, invece, pervenuto a conclusioni opposte considerando che
l'indennità di funzioni vicarie sarebbe attribuibile in via generale a tutti
i dipendenti della ottava e della nona qualifica, mentre le disposizioni
legislative, richiamate dall'ente, fanno espresso rinvio alle disposizioni
della contrattazione decentrata per la concreta disciplina delle posizioni
funzionali e non alla contrattazione collettiva che non ha assolutamente
esteso a tutti i dipendenti queste indennità
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 03.06.2019). |
CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Sul
danno erariale derivante dal riconoscimento ex post,
da parte del comune, di debiti a titolo di corrispettivi per
lo svolgimento di lavori saltuari e occasionali svolti da
privati cittadini e sulla portata dell'ex "parere di
legittimità", del "parere di regolarità
tecnica" e del "parere di regolarità contabile".
Le delibere di Giunta oggetto del presente giudizio non
hanno valore come riconoscimento di debiti fuori bilancio
per l’incompetenza assoluta dell’organo esecutivo del
Comune.
Infatti, solo il riconoscimento formale da parte del
Consiglio Comunale consente l’imputazione del debito assunto
irregolarmente al bilancio dell’ente.
---------------
Sussiste la piena responsabilità del sindaco
e degli assessori (Giunta
Comunale)
per aver posto in essere una condotta antigiuridica –connotata da
colpa grave- tesa al riconoscimento di debiti da parte di un
organo incompetente a riconoscere i debiti dell’Ente,
soprattutto in assenza dei presupposti normativi per
l’applicabilità dell’art. 191, 3 comma, e/o per il
riconoscimento di cui all’art. 194 del TUEL.
---------------
Parimenti responsabile il geometra responsabile dell’area
tecnica e del personale, per aver apposto il parere di
regolarità tecnica in calce alle delibere di cui è causa
senza verificare la legittimità e regolarità delle procedure
relative alla fase dell’impegno contabile e della spesa,
alla fase contrattuale e di assegnazione dei lavori e alla
fase di verifica della regolare esecuzione degli stessi.
---------------
Altrettanto responsabile il
segretario comunale, per il quale valgono le seguenti
considerazioni.
E’ indubbio che il segretario comunale svolge una specifica
funzione di garante della legalità e di correttezza
amministrativa dell’azione dell’ente locale, di assistenza e
di collaborazione giuridica ed amministrativa proprio in
virtù dell’art. 17, comma 68, della l. 127 del 1997, ma
ancor prima in virtù della l. 142 del 1990.
L’intervenuta soppressione, ai sensi dell’art. 17,
comma 85, della legge citata, del parere di legittimità su
ogni proposta di deliberazione giuntale o consiliare, non
costituisce commodus discessus da ogni responsabilità.
Al contrario, l’evoluzione normativa in
materia, ben lungi dall'evidenziare una sottrazione del
segretario in questione alla responsabilità amministrativa
per il parere eventualmente espresso su atti della Giunta o
del Consiglio, ne ha invece sottolineato le maggiori
responsabilità in ragione della rilevata estensione di
funzioni, di tal che non assume alcun rilievo esimente
l'art. 17, commi 85 e 86, l. n. 127/1997 che ha
espressamente abrogato l'istituto del parere preventivo di
legittimità del segretario comunale.
Sul punto il Collegio ritiene di condividere quanto
affermato da questa Corte, secondo cui
la soppressione del parere di legittimità del segretario su
ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta o al
Consiglio “non esclude che permangano in capo al segretario
tutta una serie di compiti ed adempimenti che, lungi dal
determinare un'area di deresponsabilizzazione del medesimo,
lo impegnano, invece, ad un corretto svolgimento degli
stessi, pena la sua soggezione, in ragione del rapporto di
servizio instaurato con l'Ente locale, all'azione di
responsabilità amministrativa, ove di questa ricorrano gli
specifici presupposti”.
Nel caso di specie, il segretario,
partecipando alla seduta di Giunta, avrebbe dovuto svolgere
la sua funzione di garante del diritto ponendo in evidenza
le gravi violazioni di legge che, con l’approvazione delle
delibere di riconoscimento, si stavano effettuando, e,
nell’ipotesi in cui gli assessori avessero comunque deciso
di deliberare il riconoscimento, avrebbe dovuto esigere la
verbalizzazione della sua opposizione.
---------------
Non appare revocabile in dubbio che nell’ambito del
controllo sulla regolarità e correttezza dell’azione
amministrativa, rientri a pieno titolo il controllo sulla
legittimità della proposta di deliberazione, ovverosia la
verifica del rispetto delle norme che presidiano l’attività
amministrativa nello specifico campo, nonché la legittimità
del fine pubblico perseguito e la correttezza sostanziale
delle soluzioni adottate.
Ne deriva che la lettura combinata
dall’art. 49 e 147-bis, comma 1, del TUEL permette di
individuare, innanzitutto, il contenuto del parere di
regolarità tecnica, che non si limita a verificare
l’attendibilità tecnica della soluzione proposta, ma involge
l’insieme del procedimento amministrativo, coprendo e
inglobando le regole sia tecniche, di un determinato
settore, che quelle generali in ordine alla legittimità
dell’azione amministrativa, ivi compresa la legittimità
della spesa, in considerazione del fatto che ciascun centro
di responsabilità, proponente un qualsiasi atto deliberativo
recante spesa, gestisce autonomamente il piano esecutivo di
gestione assegnato al proprio settore.
Invece, con il “parere di
regolarità contabile” il fine perseguito dal
legislatore è stato quello di assegnare al responsabile del
servizio di ragioneria un ruolo centrale nella tutela degli
equilibri di bilancio dell'ente e, a tal fine,
nell’esprimere tale parere egli dovrà tener conto, in
particolare, delle conseguenze rilevanti in termini di
mantenimento nel tempo degli equilibri finanziari ed
economico-patrimoniali, valutando:
a) la verifica della sussistenza del parere di regolarità
tecnica rilasciato dal soggetto competente;
b) il corretto riferimento (si sottolinea effettuato
dall’organo proponente) della spesa alla previsione di
bilancio annuale, ai programmi e progetti del bilancio
pluriennale e, ove adottato, al piano esecutivo di gestione.
Orbene, secondo il sistema delle
competenze assegnate dal TUEL e ridisegnate dalla riforma
operata con il d.l. n. 174/2012, la verifica della
legittimità delle deliberazioni, sia esse di giunta che di
consiglio, non rientra tra il controlli che il responsabile
del servizio di ragioneria deve effettuare prima
dell’emissione del proprio parere di regolarità contabile.
Da tutto quanto sopra, anche con riferimento a quanto
affermato in ordine alle funzioni e responsabilità del
segretario comunale, si ritiene che il
parere di regolarità contabile non possa che coprire la legittimità
della spesa in senso stretto del termine, cioè la corretta
imputazione al capitolo del bilancio dell’ente, la regolare
copertura finanziaria e il rispetto degli equilibri di
bilancio, esulando dai compiti del responsabile del servizio
di ragioneria ogni valutazione sulla legittimità dell’atto
deliberativo, perché di competenza di altri organi
istituzionali dell’ente.
---------------
La questione all’esame del Collegio riguarda una ipotesi di
danno erariale derivante dal riconoscimento ex post,
da parte del Comune di Santa Domenica Talao, di debiti a
titolo di corrispettivi per lo svolgimento di lavori
saltuari e occasionali svolti da privati cittadini.
Il Procuratore regionale contesta agli odierni convenuti
che, con l’adozione delle diciannove delibere di giunta
sopra citate, siano state violate le disposizioni di cui
agli artt. 191 e seguenti del TUEL che concernono
l’assunzione degli impegni di spesa negli enti locali,
nonché dell’art. 36 del D.Lgs. n. 165/2001 e dell’art. 92
del TUEL relativi all’utilizzo delle forme di lavoro
flessibile.
L’art. 191 del TUEL stabilisce che “Gli enti locali
possono effettuare spese solo se sussiste l'impegno
contabile registrato sul competente programma del bilancio
di previsione e l'attestazione della copertura finanziaria
di cui all’art. 153, comma 5”.
Il successivo comma 3 afferma che “Per i lavori pubblici
di somma urgenza, cagionati dal verificarsi di un evento
eccezionale o imprevedibile, la Giunta, entro venti giorni
dall'ordinazione fatta a terzi, su proposta del responsabile
del procedimento, sottopone al Consiglio il provvedimento di
riconoscimento della spesa con le modalità previste
dall'articolo 194, comma 1, lettera e), prevedendo la
relativa copertura finanziaria nei limiti delle accertate
necessità per la rimozione dello stato di pregiudizio alla
pubblica incolumità. Il provvedimento di riconoscimento è
adottato entro 30 giorni dalla data di deliberazione della
proposta da parte della Giunta, e comunque entro il 31
dicembre dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto
il predetto termine. La comunicazione al terzo interessato è
data contestualmente all'adozione della deliberazione
consiliare”.
Orbene, dall’esame delle delibere di
riconoscimento indicate nell’atto di citazione non risulta
che le stesse siano state precedute dalla necessaria
delibera a contrarre con il relativo impegno di spesa sul
relativo capitolo di bilancio con l’attestazione di
copertura finanziaria da parte del responsabile del servizio
economico-finanziario.
Né dalle stesse è rinvenibile, al di là di un’apodittica
affermazione, la giustificazione di ragioni di urgenza o di
eccezionalità e imprevedibilità dell’evento che avrebbero
potuto giustificare il ricorso alla procedura disciplinata
dal terzo comma del medesimo articolo 191 suddetto.
Stante quanto sopra, si sarebbe, allora,
dovuto fare ricorso all’istituto del riconoscimento del
debito fuori bilancio di cui all’art. 194 del TUEL, la cui
competenza viene, però, ascritta al Consiglio comunale e non
all’organo esecutivo dell’ente locale.
Nel caso di specie, pertanto, il rapporto obbligatorio
intercorre tra il privato fornitore e il soggetto
amministratore o funzionario o dipendente dell’ente che ha
consentito la prestazione, ai sensi del già richiamato art.
191, comma 4.
Inoltre, gli artt. 36 del D.Lgs. n 165/2001 e 92 del TUEL,
richiamati dal Procuratore nel suo atto di citazione,
disciplinano la possibilità per le pubbliche amministrazioni
di ricorrere a forme contrattuali di lavoro flessibile con
rapporti di lavoro a tempo parziale e a tempo determinato,
pieno o parziale, sempre, però, nel rispetto della
disciplina vigente in materia e “per comprovate esigenze
di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale,
(sempre) nel rispetto delle condizioni e modalità di
reclutamento (del personale) assicurando la trasparenza ed
escludendo ogni forma di discriminazione".
Orbene, ai fini dell’accertamento della responsabilità dei
convenuti citati, ad avviso del Collegio, nessun rilievo
assume il diverso inquadramento giuridico dei fatti operato
dai difensori.
Infatti, sia che tali interventi vengano inquadrati tra le “borse
lavoro” o tra gli “appalti di servizi”, in
nessuno dei due casi vi è stato un atto propedeutico –quale
ad esempio un bando per l’assegnazione delle borse, o una
delibera di acquisizione dei servizi richiesti- che abbia
concorso a manifestare all’esterno una volontà in tal senso,
da parte dell’amministrazione del Comune di Santa Domenica
Talao.
In tutti i casi, sia l’eventuale assegnazione della borsa o
l’adozione di qualsivoglia forma di lavoro flessibile sia, a
maggior ragione, la stipulazione di un contratto d’appalto
di servizi, necessitano di una forma scritta “ad
substantiam”, nel pieno rispetto di uno dei principi
cardine dell’ordinamento giuridico, quando una delle parti
contrattuali è una Pubblica Amministrazione.
Tale principio è sancito dall’art. 17 della Legge di
contabilità generale dello Stato (R.D. n. 2440 del 1923)
che, ammettendo anche forme più semplificate di stipulazione
contrattuale, prevede per tutte la forma scritta (scrittura
privata; obbligazione stesa ai piedi del capitolato; atto
separato sottoscritto; lettera commerciale).
Tale principio trova la sua giustificazione non solo e non
tanto in ragioni di ordine generale attinenti l’interesse
pubblico perseguito dalla p.a., ma anche nella
considerazione che un’attività estremamente
procedimentalizzata, quale quella in esame, al di là del
nomen juris utilizzato ai fini del suo inquadramento,
non sarebbe concepibile che possa essere conclusa con una
stipulazione orale.
Ciò anche perché la forma scritta rappresenta uno strumento
indefettibile di garanzia del regolare svolgimento
dell'attività negoziale della p.a., nell'interesse sia del
cittadino sia della stessa amministrazione e,
conseguentemente, in assenza della forma scritta il
contratto è nullo (in terminis: Cass, sez. I civile,
sent. n. 5263/2015; n. 7297/2009; sez. III civile, ord. n.
16307/2018).
Per il principio su esposto, prive di pregio, ad avviso del
Collegio, sono le contestazioni che le difese muovono
all’atto di citazione secondo cui nel caso di specie si
verserebbe in una ipotesi di affidamento di un appalto di
servizi sotto soglia.
Infatti, il superamento o meno della “soglia” (art 29
del D.Lgs n. 163/2006 applicabile ratione temporis;
oggi art. 36 del D.Lgs. n. 50/2016) implica esclusivamente
un maggiore o minore rigore nella scelta del contraente, ma
nessuna incidenza può avere in ordine alla necessaria forma
scritta dei contratti della p.a.
Atteso quanto sopra, ritiene il Collegio che nessuna valida
obbligazione sia sorta in capo all’amministrazione del
Comune di Santa Domenica Talao e, pertanto, sussiste la
responsabilità amministrativo-contabile in capo ai
convenuti, in quanto con la loro condotta hanno causato un
indubbio danno erariale consistente nell’erogazione di
corrispettivi non dovuti in quanto conseguenti a
obbligazioni nulle.
A ciò si aggiunga che sono state violate
tutte le norme del TUEL
(prima citate) poste a presidio della
correttezza delle procedure di spesa degli enti locali e,
per quanto già detto,
le delibere di Giunta oggetto del presente giudizio non hanno
nemmeno valore come riconoscimento di debiti fuori bilancio
per l’incompetenza assoluta dell’organo esecutivo del
Comune.
Infatti, solo il riconoscimento formale da parte del
Consiglio Comunale consente l’imputazione del debito assunto
irregolarmente al bilancio dell’ente.
In ordine alle singole condotte il Collegio svolge le
seguenti considerazioni.
Sussiste la piena responsabilità del sindaco
Lu.Al.Gi.
e degli assessori
Es.Fu.Fr., La Gr.Ma.Gi., Fa.Gi., La.Ra.Ma., Le.Fr. e
Pa.An.Sa.
per aver posto in essere una condotta antigiuridica –connotata da
colpa grave- tesa al riconoscimento di debiti da parte di un
organo incompetente a riconoscere i debiti dell’Ente,
soprattutto in assenza dei presupposti normativi per
l’applicabilità dell’art. 191, 3 comma, e/o per il
riconoscimento di cui all’art. 194 del TUEL.
Inoltre, nessuna istruttoria è stata svolta dal sindaco o
dai componenti la giunta ma, soprattutto, nessuna prova
viene fornita in ordine all’eccezionalità e imprevedibilità
dei lavori e alla loro utilità per il Comune.
Parimenti responsabile il geom. Fa.Be., responsabile
dell’area tecnica e del personale, per aver apposto il
parere di regolarità tecnica in calce alle delibere di cui è
causa senza verificare la legittimità e regolarità delle
procedure relative alla fase dell’impegno contabile e della
spesa, alla fase contrattuale e di assegnazione dei lavori e
alla fase di verifica della regolare esecuzione degli
stessi.
In merito nessun valore esimente, ad avviso del Collegio,
può avere la perizia a firma del geom. To.Gr., datata
19.10.2016, in quanto riferentesi a delibere diverse
rispetto a quelle oggetto della citazione in questione.
Altrettanto responsabile il dott. Mo.Ca.An., segretario
comunale, per il quale valgono le seguenti considerazioni.
E’ indubbio che il segretario comunale svolge una specifica
funzione di garante della legalità e di correttezza
amministrativa dell’azione dell’ente locale, di assistenza e
di collaborazione giuridica ed amministrativa proprio in
virtù dell’art. 17, comma 68, della l. 127 del 1997, ma
ancor prima in virtù della l. 142 del 1990.
L’intervenuta soppressione, ai sensi dell’art. 17, comma
85, della legge citata, del parere di legittimità su ogni
proposta di deliberazione giuntale o consiliare, non
costituisce commodus discessus da ogni
responsabilità.
Al contrario, l’evoluzione normativa in
materia, ben lungi dall'evidenziare una sottrazione del
segretario in questione alla responsabilità amministrativa
per il parere eventualmente espresso su atti della Giunta o
del Consiglio, ne ha invece sottolineato le maggiori
responsabilità in ragione della rilevata estensione di
funzioni, di tal che non assume alcun rilievo esimente
l'art. 17, commi 85 e 86, l. n. 127/1997 che ha
espressamente abrogato l'istituto del parere preventivo di
legittimità del segretario comunale.
Sul punto il Collegio ritiene di condividere quanto
affermato da questa Corte, secondo cui la
soppressione del parere di legittimità del segretario su
ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta o al
Consiglio “non esclude che permangano in capo al
segretario tutta una serie di compiti ed adempimenti che,
lungi dal determinare un'area di deresponsabilizzazione del
medesimo, lo impegnano, invece, ad un corretto svolgimento
degli stessi, pena la sua soggezione, in ragione del
rapporto di servizio instaurato con l'Ente locale,
all'azione di responsabilità amministrativa, ove di questa
ricorrano gli specifici presupposti”
(Sez. giur. Toscana, sent. n. 217/2012).
Il segretario Mo., partecipando alla seduta di Giunta,
avrebbe dovuto svolgere la sua funzione di garante del
diritto ponendo in evidenza le gravi violazioni di legge
che, con l’approvazione delle delibere di riconoscimento, si
stavano effettuando, e, nell’ipotesi in cui gli assessori
avessero comunque deciso di deliberare il riconoscimento,
avrebbe dovuto esigere la verbalizzazione della sua
opposizione.
Niente di tutto questo è avvenuto, e pertanto deve
confermarsi la responsabilità del segretario comunale.
Considerazioni contrarie vanno svolte, invece, per la
convenuta De Lu.Ma.Ro., quale responsabile del servizio
economico-finanziario del Comune, che ha emesso i relativi
pareri di “regolarità contabile”.
Il responsabile del servizio economico-finanziario, ai sensi
dell’art. 49 del TUEL, come modificato dall’art. 3, comma 1,
lett. b), del d.l. n. 174/2012, convertito in l. n.
213/2012, su ogni proposta di deliberazione ha l’obbligo di
esprimere un parere di regolarità contabile, qualora la
stessa comporti riflessi diretti o indiretti sulla
situazione economico finanziaria o sul patrimonio dell’ente.
Tale parere, che rientra tra quelli preventivi, è previsto
dall’art. 147 del TUEL, a mente del quale “Gli enti
locali, nell'ambito della loro autonomia normativa e
organizzativa, individuano strumenti e metodologie per
garantire, attraverso il controllo di regolarità
amministrativa e contabile, la legittimità, la regolarità e
la correttezza dell'azione amministrativa”.
Il successivo art. 147-bis afferma che “Il controllo di
regolarità amministrativa e contabile è assicurato, nella
fase preventiva della formazione dell'atto, da ogni
responsabile di servizio ed è esercitato attraverso il
rilascio del parere di regolarità tecnica attestante la
regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa. Il
controllo contabile è effettuato dal responsabile del
servizio finanziario ed è esercitato attraverso il rilascio
del parere di regolarità contabile e del visto attestante la
copertura finanziaria”.
Pertanto, il legislatore della novella del 2012, con la
suddetta norma ha inteso differenziare il contenuto del “controllo
di regolarità amministrativa e contabile” (di competenza
del responsabile del servizio o della funzione), che si
esprime attraverso il parere di regolarità tecnica e
riguarda la “regolarità e la correttezza dell’azione
amministrativa”, dal “controllo contabile” che,
esprimendosi attraverso il parere di regolarità contabile
(di competenza del responsabile di ragioneria), ha riguardo
all’aspetto meramente contabile e finanziario del
provvedimento, attraverso, anche, l’apposizione del visto
attestante la copertura finanziaria.
Pertanto, non appare revocabile in dubbio
che nell’ambito del controllo sulla regolarità e correttezza
dell’azione amministrativa, rientri a pieno titolo il
controllo sulla legittimità della proposta di deliberazione,
ovverosia la verifica del rispetto delle norme che
presidiano l’attività amministrativa nello specifico campo,
nonché la legittimità del fine pubblico perseguito e la
correttezza sostanziale delle soluzioni adottate.
Ne deriva che la lettura combinata
dall’art. 49 e 147-bis, comma 1, del TUEL permette di
individuare, innanzitutto, il contenuto del parere di
regolarità tecnica, che non si limita a verificare
l’attendibilità tecnica della soluzione proposta, ma involge
l’insieme del procedimento amministrativo, coprendo e
inglobando le regole sia tecniche, di un determinato
settore, che quelle generali in ordine alla legittimità
dell’azione amministrativa, ivi compresa la legittimità
della spesa, in considerazione del fatto che ciascun centro
di responsabilità, proponente un qualsiasi atto deliberativo
recante spesa, gestisce autonomamente il piano esecutivo di
gestione assegnato al proprio settore.
Invece, con il “parere di regolarità
contabile” il fine perseguito dal legislatore è stato
quello di assegnare al responsabile del servizio di
ragioneria un ruolo centrale nella tutela degli equilibri di
bilancio dell'ente e, a tal fine, nell’esprimere tale parere
egli dovrà tener conto, in particolare, delle conseguenze
rilevanti in termini di mantenimento nel tempo degli
equilibri finanziari ed economico-patrimoniali, valutando:
a) la verifica della sussistenza del parere di regolarità
tecnica rilasciato dal soggetto competente;
b) il corretto riferimento (si sottolinea effettuato
dall’organo proponente) della spesa alla previsione di
bilancio annuale, ai programmi e progetti del bilancio
pluriennale e, ove adottato, al piano esecutivo di gestione.
Orbene, secondo il sistema delle
competenze assegnate dal TUEL e ridisegnate dalla riforma
operata con il d.l. n. 174/2012, la verifica della
legittimità delle deliberazioni, sia esse di giunta che di
consiglio, non rientra tra il controlli che il responsabile
del servizio di ragioneria deve effettuare prima
dell’emissione del proprio parere di regolarità contabile.
Da tutto quanto sopra, anche con riferimento a quanto
affermato in ordine alle funzioni e responsabilità del
segretario comunale, si ritiene che il
parere di regolarità contabile non possa che coprire la
legittimità della spesa in senso stretto del termine, cioè
la corretta imputazione al capitolo del bilancio dell’ente,
la regolare copertura finanziaria e il rispetto degli
equilibri di bilancio, esulando dai compiti del responsabile
del servizio di ragioneria ogni valutazione sulla
legittimità dell’atto deliberativo, perché di competenza di
altri organi istituzionali dell’ente.
Conseguentemente, ritiene il Collegio, di rigettare l’azione
del Procuratore regionale nei confronti di De Lu.Ma.Ro..
Al proscioglimento segue il rimborso delle spese di lite,
poste a carico dell’Amministrazione comunale, che si
liquidano equitativamente in euro 1.500,00.
Riguardo alla quantificazione del danno e alla sua
ripartizione fra i rimanenti convenuti, si condivide
parzialmente quanto indicato in citazione e quindi:
...
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione
Calabria, definitivamente pronunciando, in accoglimento
parziale dell’atto di citazione:
assolve Ma.Ro. De Lu. da ogni addebito e liquida alla
medesima a titolo di spese del giudizio la somma di €
1.500,00 oltre IVA, CPA e spese generali come per legge,
posta a carico dell’Amministrazione di appartenenza;
condanna i sotto elencati convenuti al pagamento in favore
del Comune di Santa Domenica Talao delle somme:
1) Lu.Al.Gi., € 2.294,00 oltre alla rivalutazione monetaria e
agli interessi legali dalla data della presente sentenza e
sino all’effettivo soddisfo.
2) La Gr.Ma.Gi., € 679,00, oltre alla rivalutazione monetaria e
agli interessi legali dalla data della presente sentenza e
sino all’effettivo soddisfo.
3) Es.Fu.Fr., € 369,00, oltre alla rivalutazione monetaria e
agli interessi legali dalla data della presente sentenza e
sino all’effettivo soddisfo.
4) Fa.Gi., € 690,00, oltre alla rivalutazione monetaria e agli
interessi legali dalla data della presente sentenza e sino
all’effettivo soddisfo.
5) La Bo.Ra.Ma., € 1.425,00, oltre alla rivalutazione monetaria
e agli interessi legali dalla data della presente sentenza e
sino all’effettivo soddisfo.
6) Pa.An.Sa., € 25,00, oltre alla rivalutazione monetaria e
agli interessi legali dalla data della presente sentenza e
sino all’effettivo soddisfo.
7) Le.Fr., € 340,00, oltre alla rivalutazione monetaria e agli
interessi legali dalla data della presente sentenza e sino
all’effettivo soddisfo.
8) Mo.Ca.An., € 2.444,00, oltre alla rivalutazione monetaria e
agli interessi legali dalla data della presente sentenza e
sino all’effettivo soddisfo.
9) Fa.Be., € 2.444,00, oltre alla rivalutazione monetaria e
agli interessi legali dalla data della presente sentenza e
sino all’effettivo soddisfo (Corte dei Conti, sez. giurisdiz,
Calabria,
sentenza 27.05.2019 n. 185). |
aprile 2019 |
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PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Dichiarazione
di inconferibilità e incompatibilità.
Domanda
In presenza di affidamento di un incarico, ai sensi
dell’art. 110 del TUEL 267/2000, quando è necessario
acquisire la dichiarazione prevista dal d.lgs. 39/2013?
Risposta
Nell’ambito delle strategie per prevenire la corruzione
nella pubblica amministrazione, uno dei provvedimenti
attuativi della legge Severino (legge 06.11.2012, n. 190) è
il decreto legislativo 08.04.2013, n. 39, recante “Disposizioni
in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi
presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti
privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo
1, commi 49 e 50, della legge 06.11.2012, n. 190”.
Per gli enti locali, le disposizioni normative contenute nel
d.lgs. 39/2013 si applicano, solamente, al segretario
comunale e ai dirigenti. Negli enti locali, privi di figure
dirigenziali, la norma si applica anche alle posizioni
organizzative [1]
a cui vengono attribuite le funzioni dirigenziali, a mente
degli articoli 50, comma 10; 107 e 109, comma 2, del TUEL
18.08.2000, n. 267.
Delimitato l’ambito applicativo della norma, va chiarito che
la questione della dichiarazione sull’insussistenza della
cause di inconferibilità e incompatibilità trova la sua
disciplina nell’articolo
20, del d.lgs. 39/2013, laddove si prevede che:
a) all’atto del conferimento dell’incarico
–quindi prima che esso abbia inizio– l’interessato presenta
una dichiarazione sulla insussistenza di una delle cause di
inconferibilità del decreto
(comma
1);
b) nel corso dell’incarico l’interessato presenta
annualmente una dichiarazione sulla insussistenza di una
delle cause di incompatibilità di cui al presente decreto
(comma
2);
c) le dichiarazioni di cui sopra sono pubblicate
nel sito web dell’ente che ha conferito l’incarico
(comma
3),
nella sezione Amministrazione trasparente > Personale;
d) la dichiarazione sulla insussistenza delle
cause di inconferibilità è condizione per l’acquisizione
dell’efficacia dell’incarico
(comma
4).
Per gli incarichi dirigenziali presenti in un ente locale le
situazioni in cui non è possibile conferire l’incarico (inconferibilità,
appunto) sono essenzialmente tre, disciplinate
rispettivamente:
– nell'articolo 3, comma 1;
– nell'articolo 4 comma 1;
– nell'articolo 7, comma 2, del decreto.
Nel primo caso (art.
3, comma 1) si tratta di soggetti condannati, anche
con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati
previsti dal
capo I del titolo II del libro secondo del codice penale,
anche nel caso di applicazione della pena su richiesta ai
sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale (c.d.
patteggiamento).
Nel secondo caso (art.
4, comma 1) riguarda soggetti che, nei due anni
precedenti, abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in
enti di diritto privato regolati o finanziati
dall’amministrazione che conferisce l’incarico, ovvero
abbiano svolto in proprio attività professionali, se queste
sono regolate, finanziate o comunque retribuite
dall’amministrazione o ente che conferisce l’incarico.
L’ultimo caso (art.
7, comma 2), riguarda:
a) i soggetti che nei due anni precedenti siano stati componenti
della Giunta o del Consiglio della provincia, del comune o
della forma associativa tra comuni che conferisce l’incarico
(le inconferibilità di cui al presente articolo non si
applicano ai dipendenti della stessa amministrazione che,
all’atto di assunzione della carica politica, erano titolari
di incarichi);
b) i soggetti che nell’anno precedente abbiano fatto parte della
Giunta o del Consiglio di una provincia, di un comune con
popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma
associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella
stessa regione dell’amministrazione locale che conferisce
l’incarico, nonché a coloro che siano stati presidente o
amministratore delegato di enti di diritto privato in
controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme
associative della stessa regione.
All’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), in virtù dell’art.
16 del decreto, spetta il compito di vigilare sul
rispetto, da parte delle amministrazioni pubbliche delle
disposizioni di cui al d.lgs. 39/2013, anche con l’esercizio
di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie
di conferimento degli incarichi. In questi anni l’ANAC, in
più circostanze, ha avuto modo di intervenire, con propri
atti, sulla delicata materia del conferimento di incarichi
in presenza di situazioni conclamate o a rischio di
inconferibilità o incompatibilità.
Le principali disposizioni dell’ANAC –per coloro che
intendessero approfondire la questione– sono:
– Orientamento n. 4/2014;
– Orientamento n. 99/2014;
– Delibera n. 1001 del 21.09.2016;
– Delibera n. 613 del 31.05.2016;
– PNA 2016, approvato con delibera n. 831 del 03.08.2016, paragrafo
3.7;
– Delibera n. 833 del 03.08.2016;
– Delibera n. 925 del 13.09.2017;
– Delibera n. 207 del 13.03.2019.
Premesso quanto sopra, la risposta al quesito è la seguente:
- la dichiarazione prevista dall’art.
20, comma 1, del d.lgs. 39/2013, relativa
all’insussistenza di cause di inconferibilità dell’incarico
di:
– segretario comunale;
– dirigente di ente locale;
– posizione organizzativa, in enti senza la dirigenza;
– incarico ex art. 110 TUEL 267/2000 (enti con o senza dirigenti);
deve essere acquisita prima del conferimento dell’incarico e
pubblicata, in modo tempestivo, nel sito web dell’ente che
conferisce l’incarico.
In assenza della dichiarazione di cui al
comma 1, dell’art. 20, d.lgs. 39/2013, l’atto
di nomina non acquisisce efficacia, con tutte le negative
conseguenza che ne consegue.
---------------
[1] Cfr.
art. 2, comma 2, d.lgs. 39/2013 (23.04.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
SEGRETARI COMUNALI: Spese
di viaggio, rimborso ai segretari anche in convenzione.
Pur rientrando il segretario comunale tra i dipendenti pubblici, non trovano
applicazione nei suoi confronti le restrizioni legislative sul rimborso
delle spese di viaggio (articolo 6, comma 12, del Dl 78/2010) e prevale la
normativa contrattuale dei segretari in convenzione (articolo 45, comma 2
del contratto del 16.05.2001) che prevede il ristoro delle spese
sostenute, in caso di utilizzo del mezzo proprio, per gli spostamenti fra le
varie sedi istituzionali. In modo non diverso la medesima disciplina potrà
trovare applicazione anche per il segretario reggente.
Queste sono le indicazioni contenute nella
parere 19.04.2019 n. 27 della Corte dei conti della Basilicata,
Sez. controllo.
La restrizione sulle spese di viaggio
L'attuale legislazione prevede che il dipendente pubblico può essere
autorizzato all'utilizzo del proprio mezzo al solo fine di ottenere la
copertura assicurativa. Infatti, l'articolo 6, comma 12, del Dl 78/2010 ha
stabilito anche per i dipendenti degli enti locali che non si applicano più
l'articolo 15 della legge 836/1973 e l'articolo 8 della legge 165/2001,
norme che rispettivamente consentono il rimborso e stabiliscono l'entità di
una indennità chilometrica per i dipendenti che usano, previa
autorizzazione, il proprio mezzo di trasporto.
Tuttavia, agli enti locali è
consentito il ricorso a regolamentazioni interne volte a disciplinare -per
i soli casi in cui l'utilizzo del mezzo proprio risulti economicamente più
conveniente per l'amministrazione– forme di ristoro dei costi sostenuti
che, però, dovranno necessariamente tenere conto delle finalità di
contenimento della spesa e degli oneri che in concreto avrebbe sostenuto
l'ente per le sole spese di trasporto in ipotesi di utilizzo di mezzi
pubblici.
Queste sono state le indicazioni elaborate dalla Corte dei conti a Sezioni
Riunite (deliberazione n. 21/2011) valide per tutti i dipendenti pubblici
con la sola eccezione dei segretari comunali titolari di sedi convenzionate.
Infatti, per i magistrati contabili resterebbe ancora valida l'indicazione
contenuta nei contratti dei segretari (articolo 45, comma 2, del contratto 16.05.2001), la cui finalità è stata quella di sollevarli dalle spese
sostenute per gli spostamenti fra le varie sedi istituzionali.
D'altra
parte, precisa la Corte dei conti, il contratto (articolo 45, comma 3),
ripartendo la spesa per i trasferimenti tra «i diversi enti interessati
secondo le modalità stabilite nella convenzione» dimostra come l'onere
assuma carattere negoziale e non possa ricondursi all'interno del
trattamento di missione valido per la generalità dei dipendenti pubblici.
La necessità di una regolamentazione
Il collegio contabile lucano conferma l'orientamento, condiviso anche dal
ministero dell'Economia (nota n. 54055/2011) secondo il quale «l'esigenza di
assicurare la necessaria flessibilità al Segretario comunale per suddividere
la sua prestazione professionale tra più enti appare legata alla possibilità
di continuare a utilizzare il mezzo proprio», ma evidenzia la necessità di
fissare sin dall'inizio un provvedimento che assuma le connotazioni di un
atto regolamentare per indicare i possibili riflessi complessivi sul
bilancio dell'ente, ovvero il tipo di autorizzazione da richiedere di volta
in volta o, anche, una tantum (mensile, trimestrale, semestrale), all'uso
del mezzo proprio.
L'estensione del principio anche al segretario reggente
Secondo la Corte lucana le stesse ragioni che hanno sollevato il segretario
in convenzione dalle spese sostenute, vanno estese anche in caso di
reggenza, restando ferma l'autorizzazione in caso di uso del mezzo proprio
da motivare da parte del sindaco.
In altri termini, la corresponsione del
rimborso delle spese affrontate dal segretario comunale risiede nel
principio indicato dallo stesso legislatore secondo cui il lavoratore
pubblico, nello svolgimento delle sue funzioni, deve essere posto nelle
condizioni ottimali dal proprio datore di lavoro, per svolgere al meglio le
sue prestazioni professionali (articolo 14, commi 1 e 2, della legge 07.08.2015
n. 124)
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 27.05.2019). |
marzo 2019 |
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PUBBLICO
IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: La
presenza del RPCT nel Nucleo di valutazione.
Domanda
Siamo un comune con meno di 15.000 abitanti e dobbiamo rinnovare la
composizione del Nucleo di Valutazione, attraverso una modifica al
Regolamento di Organizzazione degli Uffici e Servizi.
A un corso ci è stato detto che sarebbe bene non prevedere la presenza
Segretario comunale, che è anche RPCT, in tale organismo. Sapete dirci
qualcosa a riguardo?
Risposta
Con le modifiche apportate alla legge Severino (legge 06.11.2012, n. 190),
dall’art. 41, comma 1, lettera h), del d.lgs. 25.05.2016, n. 97, sono state
meglio precisate le funzioni e i compiti dell’Organismo di Valutazione (OIV)
o altra struttura analoga presente negli enti locali (il Nucleo di
valutazione), nell’ambito del più vasto quadro di interventi di prevenzione
della corruzione.
Con le nuove disposizioni compete all’OIV o NdV:
• validare la relazione sulle performance (art. 10, d.lgs.
150/2009), dove sono riportati i risultati raggiunti rispetto a quelli
programmati e alle risorse, anche per gli obiettivi sulla prevenzione della
corruzione e trasparenza;
• verificare la coerenza tra gli obiettivi di trasparenza e quelli
indicati nel Piano della performance;
• attestare l’assolvimento, da parte degli enti, degli obblighi di
trasparenza (griglie annuali);
• verificare che i PTPCT siano coerenti con gli obiettivi di
programmazione strategico-gestionale;
• esaminare la Relazione annuale del RPCT, recante i risultati
dell’attività svolta in materia di prevenzione della corruzione e
trasparenza. Per tale verifica l’OIV può chiedere al RPCT informazioni e
documenti aggiuntivi;
• l’ANAC, nell’ambito della propria attività di vigilanza può
coinvolgere l’OIV, per acquisire ulteriori informazioni sulla trasparenza.
Come si può notare, sono molte le occasioni, durante l’anno, in cui il
Nucleo di valutazione, deve valutare gli atti e i documenti prodotti dal
Responsabile della Prevenzione della Corruzione e Trasparenza (RPCT),
tenendo conto che, negli enti locali, di norma, il ruolo di RPCT coincide
con quello di segretario comunale [1].
Proprio per evitare possibili situazioni di conflitto d’interesse è
certamente buona cosa evitare, quanto più possibile, che il segretario
comunale, se è anche RPCT, faccia parte del Nucleo di Valutazione.
Tale precauzione è stata, da ultimo, ribadita dall’ANAC nell’Aggiornamento
2018, del Piano Nazionale Anticorruzione, approvato con delibera n. 1074 del
21.11.2018 (in vigore dal 05.01.2019).
Nella Parte IV della citata delibera, rubricata “Semplificazioni per i
piccoli comuni”, Paragrafo 4 – Le nuove proposte di semplificazione
[2], viene ribadito il
principio che l’ANAC “ritiene non compatibile prevedere nella
composizione del Nucleo di Valutazione, la figura del RPCT, in quanto
verrebbe meno l’indefettibile separazione di ruoli in ambito di prevenzione
del rischio corruzione che la norma riconosce a soggetti distinti ed
autonomi, ognuno con responsabilità e funzioni diverse Il Responsabile si
troverebbe nella veste di controllore e controllato, in quanto, in qualità
di componente del Nucleo di valutazione è tenuto ad attestare l’assolvimento
degli obblighi di pubblicazione, mentre in qualità di Responsabile anche per
la trasparenza è tenuto a svolgere stabilmente un’attività di controllo
proprio sull’adempimento dei suddetti obblighi da parte dell’amministrazione.”
Nello stesso documento l’ANAC, introduce una sorta di deroga per i piccoli
comuni (quelli sotto 5.000 abitanti), prevedendo testualmente: “Tenuto
conto delle difficoltà applicative che i piccoli comuni, in particolare,
possono incontrare nel tenere distinte le funzioni di RPCT e di componente
del nucleo di valutazione, l’Autorità auspica, comunque, che anche i piccoli
comuni, laddove possibile, trovino soluzioni compatibili con l’esigenza di
mantenere separati i due ruoli. Laddove non sia possibile mantenere distinti
i due ruoli, circostanza da evidenziare con apposita motivazione, il ricorso
all’astensione è possibile solo laddove il Nucleo di valutazione abbia
carattere collegiale e il RPCT non ricopra il ruolo di Presidente”.
Premesso quanto sopra e rispondendo allo specifico quesito, alla luce delle
normative sopra meglio richiamate e degli orientamenti dell’Autorità
Anticorruzione, si consiglia di non prevedere la figura del segretario
comunale all’interno del Nucleo di valutazione, considerando valida e
logica, tale indicazione, anche nei piccoli comuni con popolazione sotto i
5.000 abitanti.
---------------
[1] Articolo 1, comma 7, legge 190/2012, come modificato dall’art. 41,
comma 1, lett. f), d.lgs. 97/2016.
[2] Pagina 154 (26.03.2019
- tratto da e link a www.publika.it). |
gennaio 2019 |
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PUBBLICO
IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Responsabile Trasparenza e Responsabile Protezione Dati.
Domanda
Nel nostro comune (sopra 15.000 abitanti) è stato nominato Responsabile
della Prevenzione della Corruzione, il segretario comunale, che è anche
Responsabile della Trasparenza.
Dopo il nuovo Regolamento Europeo sulla privacy, abbiamo nominato anche il
Responsabile per la Protezione dei Dati che è un dipendente dell’ente.
Che rapporto ci deve essere tra le due figure? È possibile nominare RPD il
RPCT?
Risposta
Prima di entrare nel merito specifico del quesito è bene fornire qualche
indicazione di contesto.
Quello appena trascorso, si potrebbe definire come l’anno della privacy, dal
momento che hanno trovato attuazione le seguenti disposizioni legislative:
1. Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio
del 27.04.2016 “relativo alla protezione delle persone fisiche con
riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione
di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla
protezione dei dati)” pienamente operativo dal 25.05.2018;
2. Decreto legislativo 18.05.2018, n. 51, in vigore dal 08.06.2018,
recante Attuazione della direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 27.04.2016, relativa alla protezione delle persone
fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle
autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e
perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera
circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del
Consiglio, (trattamento dei dati giudiziari);
3. Decreto legislativo 10.08.2018, n. 101, in vigore dal
19.09.2018, recante “Disposizioni per l’adeguamento della normativa
nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 27.04.2016, relativo alla protezione delle
persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla
libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE
(regolamento generale sulla protezione dei dati)”.
Per ciò che riguarda il trattamento dei dati personali da parte di soggetti
pubblici, ai fini della trasparenza, così come disciplinata dal d.lgs.
33/2013, è necessario sottolineare che l’art. 2-ter, del d.lgs. 196/2003
–aggiunto dal d.lgs. 101/2018– dispone che la base giuridica per il
trattamento dei dati, effettuato per l’esecuzione di un compito di interesse
pubblico “è costituita esclusivamente da una norma di legge o, nei casi
previsti dalla legge, di regolamento”.
Il regime normativo del trattamento dei dati delle persone fisiche, da parte
dei soggetti pubblici, pertanto, è rimasto sostanzialmente inalterato,
venendo ribadito il principio che il trattamento dei dati risulta consentito
unicamente se ammesso da una norma di legge o di regolamento, dove previsto
da una legge.
Per i comuni, quindi, resta acclarato che, prima di pubblicare nel proprio
sito web (Albo pretorio on-line e/o Amministrazione trasparente) dati e
documenti contenenti dati personali (sia in forma integrale o in estratto,
compresi gli allegati), occorre verificare che la disciplina in materia di
trasparenza contenuta nel d.lgs. n. 33/2013 o in altre normative, anche di
settore, preveda un espresso obbligo di pubblicazione.
A completamento della presente premessa, è bene ricordare, tuttavia, che
l’attività di pubblicazione dei dati sui siti web per finalità di
trasparenza –anche se effettuata in presenza di idoneo presupposto
normativo– deve sempre avvenire nel rispetto di tutti i principi applicabili
al trattamento dei dati personali [1],
quali quelli di liceità, correttezza e trasparenza; minimizzazione dei dati;
esattezza; limitazione della conservazione; integrità e riservatezza tenendo
anche conto del principio di “responsabilizzazione” del titolare del
trattamento.
In particolare, assumono rilievo i principi di adeguatezza, pertinenza e
limitazione a quanto necessario, rispetto alle finalità per le quali i dati
personali sono trattati («minimizzazione dei dati») e quelli di
esattezza e aggiornamento dei dati, con il conseguente dovere di adottare
tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare tempestivamente i
dati inesatti rispetto alle finalità per le quali sono trattati.
Per ciò che attiene ai rapporti tra Responsabile della Trasparenza e
Responsabile della Protezione dei Dati, alcuni spunti di sicuro interesse
sono rinvenibili nella delibera ANAC n. 1074 del 21/11/2018 (pubblicata
sulla GU n. 296 del 21/12/2018), al Paragrafo 7, rubricato “Trasparenza e
nuova disciplina della tutela dei dati personali (Reg. UE 2016/679)”.
In sintesi, nel documento citato che contiene “Approvazione definitiva
dell’Aggiornamento 2018 al Piano Nazionale Anticorruzione”, l’ANAC
sostiene che:
a) se si tratta di due soggetti interni (si ricorda che il RPD
potrebbe anche essere soggetto esterno all’ente), è bene le due figure non
siano coincidenti nella stessa persona (il Segretario comunale, nei comuni),
dal momento che la sovrapposizione dei due ruoli potrebbe determinare una
limitazione allo svolgimento delle due attività, tenuto conto dei numerosi
compiti e responsabilità che le norme attribuiscono al RPCT e al RPD;
b) Eventuali eccezioni possono essere ammesse solo in enti di
piccoli dimensioni (comuni sotto 5.000 abitanti, per esempio) qualora la
carenza di personale renda, da un punto di vista organizzativo, non
possibile tenere distinte le due funzioni. In tali casi, le amministrazioni,
con motivato e specifico provvedimento (del Sindaco), potranno attribuire
allo stesso soggetto il ruolo di RPCT e RPD;
c) Il RPD, per le questioni di carattere generale riguardanti il
trattamento e la protezione dei dati personali, può certamente rappresentare
una figura di riferimento anche per il RPCT, anche se non potrà mai
sostituirsi ad esso nell’esercizio delle sue specifiche prerogate, stabilite
dalle legge 190/2012 e dalle successive disposizioni. Si pensi, al riguardo,
alla stesura della sezione Trasparenza del Piano Anticorruzione o alla
definizione delle istanze di riesame, nell’ambito dell’accesso civico
generalizzato (cd. FOIA), qualora la decisione del servizio detentore
dell’atto o del documento, riguardi profili attinenti alla protezione dei
dati. In tali casi, infatti, per obbligo di legge, il RPCT deve richiedere
un parere al Garante Privacy italiano ed è tenuto ad attenersi a quanto da
esso stabilito, a prescindere da una eventuale e preventiva consultazione
che l’ufficio, in prima istanza, possa aver intrattenuto con il RPD.
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[1] Vedi art. 5, Regolamento UE 2016/679 (15.01.2019 - tratto
da e link a www.publika.it). |
ottobre 2018 |
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COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Il
segretario comunale non può invadere la sfera di competenza del responsabile
di ragioneria.
Il Segretario comunale non può emettere e reiterare un ordine di servizio
per ottenere dal responsabile dei servizi finanziari l’emissione dei mandati
di pagamento dei rimborsi forfettari a favore della collaboratrice a titolo
gratuito.
È quanto afferma la Corte dei conti, Sez. giurisdiz. per la
Lombardia, con la
sentenza 31.10.2018 n. 213.
Il fatto
La sezione regionale di controllo per la Lombardia ha condannato per danno
erariale il Segretario generale di un comune lombardo, il quale ha ordinato
al Responsabile dei servizi finanziari di emettere mandati di pagamento a
titolo di rimborso spese forfettario nei confronti di una collaboratrice,
senza la dovuta giustificazione contabile.
La Giunta comunale conferiva un incarico a titolo gratuito a una ex
dipendente dell’Ente in quiescenza, a prosecuzione dello svolgimento delle
funzioni e delle mansioni svolte in precedenza per tutta la durata della sua
carriera lavorativa come dipendente dello stesso Comune.
L’incarico prevedeva un rimborso spese mensile, previa rendicontazione delle
spese da parte della stessa.
Il Segretario comunale, nella qualità di responsabile degli affari generali,
poneva in essere gli atti liquidazione che venivano contestati dall’ufficio
di ragioneria, in quanto carenti di documentazione giustificativa.
Per superare l’impasse, il Segretario generale emetteva e reiterava un
ordine di servizio per ottenere dal predetto responsabile l’emissione dei
mandati di pagamento dei rimborsi forfettari.
La decisione
La sentenza di condanna evidenzia che il Segretario generale ha posto in
essere un comportamento inequivocabilmente in contrasto con quei criteri di
efficienza, efficacia e rispetto delle norme di buona gestione, cui ogni
Pubblica amministrazione deve improntare la propria azione.
Per il collegio giudicante, il rimborso spese deliberato in favore della ex
dipendente dell’Ente era stato espressamente subordinato
dall’Amministrazione alla produzione di idonea documentazione giustificativa
che è imposta dai generali principi cui devono uniformarsi le procedure di
erogazione delle spese poste a carico dei bilanci pubblici.
Negli stessi termini dispone la specifica normativa che, nel sancire il
divieto per la Pa di attribuire incarichi di studio e di consulenza a
soggetti già dipendenti pubblici collocati in quiescenza, fa salvi gli
incarichi a titolo gratuito e subordina a rendiconto gli eventuali rimborsi.
Conclusioni
Il principio enunciato è chiaro, nel senso che è contrario al precetto
costituzionale del buon andamento il comportamento del Segretario comunale,
il quale, in quanto massima autorità burocratica dell’Amministrazione
locale, avrebbe dovuto, prima di ognuno, accertarsi la corrispondenza della
richiesta di rimborso rispetto al disciplinare dì incarico.
Un appunto vale anche per il responsabile di ragioneria, il quale non
avrebbe dovuto dissentire dall’ordine di servizio, in ragione del proprio
ufficio
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 05.12.2018).
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MOTIVI della DECISIONE
Non essendoci questioni preliminari di rito da valutare si passa ad
esaminare il merito della causa.
La fattispecie per cui è causa concerne una ipotesi di responsabilità
amministrativa, in relazione alla quale il convenuto è chiamato a
rispondere, a titolo di colpa grave, di un danno che la Procura attrice
assume essere stato subito dal Comune di Bienno.
Tanto considerato, il Collegio procede quindi a valutare la sussistenza
degli elementi richiesti dalla legge per il configurarsi della
responsabilità amministrativa contestata con l’atto introduttivo: l’elemento
oggettivo, cioè l’effettivo prodursi di un danno pubblico, la cui entità va
valutata alla luce delle risultanze probatorie prodotte in causa; l’elemento
soggettivo, vale a dire un comportamento gravemente colposo (o doloso), ed
il nesso di causalità tra il comportamento e l’evento.
Osserva il Collegio che nessun dubbio sussiste in ordine alla sussistenza,
nella specie, dell’elemento oggettivo dell’illecito erariale, della condotta
gravemente colposa imputabile al convenuto e del nesso di causalità.
L’indagine istruttoria esperita dal Pubblico Ministero contabile, con
l’acquisizione dei pertinenti atti, ha accertato che è stato posto in essere
un comportamento inequivocabilmente in contrasto con quei criteri di
efficienza, efficacia e rispetto delle norme di buona gestione, cui ogni
pubblica Amministrazione deve improntare la propria azione.
I fatti di causa, nella loro materiale sussistenza, sono quelli riportati
nell’atto di citazione ed in tutti gli altri documenti di causa
In piena adesione alla tesi argomentativa attrice, il Collegio osserva che
il “rimborso spese” deliberato in favore della ex dipendente dell’Ente era
stato espressamente subordinato dall’amministrazione alla produzione di
idonea documentazione giustificativa che, oltre ad essere prevista dalla lex
specialis applicabile al procedimento de quo, è imposta dai generali
principi cui devono uniformarsi le procedure di erogazione delle spese poste
a carico dei bilanci pubblici.
Negli stessi termini dispone la specifica normativa che, nel sancire il
divieto per la P.A. di attribuire incarichi di studio e di consulenza a
soggetti già dipendenti pubblici collocati in quiescenza, fa salvi gli
incarichi a titolo gratuito e subordina a rendiconto gli eventuali rimborsi
(art. 5, comma 9, D.L. 95/2012 convertito nella legge n. 135/2012).
In questa prospettiva, la condotta tenuta dal convenuto St. appare
tanto più grave, poiché ha disposto i pagamenti citati nonostante i ripetuti
rilievi di criticità sollevati dal responsabile del servizio finanziario, e
ciò pur rivestendo una funzione apicale e dunque essendo in possesso di un
bagaglio di conoscenze professionali tali da poter imprimere all’azione
amministrativa un crisma di legalità e correttezza.
Come rappresentato da parte attrice, il ricorso all’incarico a titolo
gratuito, con la corresponsione di un rimborso forfettario, ha dissimulato
l’esecuzione di un vero e proprio rapporto di lavoro a termine.
Depongono in tal senso, come chiaramente esposto in citazione dalla Procura,
<<la concreta articolazione del rapporto de quo, instaurato all’indomani
del pensionamento della collaboratrice con la presenza in servizio della
stessa in giorni ed orari definiti (rilevata con cartellino a tempo), la
corresponsione di un rimborso forfettario svincolata da ogni giustificazione
circa le spese sostenute dalla stessa ed infine le stesse ammissioni
formulate da Stanzione in sede di controdeduzioni con il riconoscimento
delle circostanze che il rapporto ha avuto ad oggetto, per un periodo
limitato, le stesse mansioni esercitate dalla collaboratrice prima del
collocamento a riposo e che è stato utilizzato come modalità per far fronte
all’ ordinaria funzionalità dell’ uffici anagrafe e stato civile>>.
Ne consegue la constatazione di una chiara violazione della disposizione
legislativa richiamata, la cui ratio è quella di evitare che il conferimento
di incarichi sia utilizzato dalla P.A. per continuare ad avvalersi di
dipendenti collocati in quiescenza, e per attribuire ai medesimi
responsabilità rilevanti, aggirando l’istituto del pensionamento e le
disposizioni sul reclutamento del personale, ispirate al contenimento della
spesa pubblica.
Conclusivamente quindi
il Collegio, alla stregua delle considerazioni
sopraesposte, ritiene ravvisarsi in capo al predetto soggetto tutti i
necessari elementi costitutivi della responsabilità per il danno erariale
arrecato al patrimonio del Comune:
1) il rapporto di servizio in ragione del quale si è verificato il
comportamento pregiudizievole;
2) il nesso di causalità tra il comportamento posto in essere dal
convenuto e l’evento contestato;
3) l’elemento soggettivo della colpa grave.
Quanto alla sussistenza e all’entità del danno (elemento oggettivo),
sussistente nella fattispecie, la Sezione reputa tuttavia che possa trovare
applicazione l’istituto della riduzione dell’addebito, attesa la peculiarità
del contesto, evidenziata dal difensore del convenuto, nel quale è maturata
la vicenda all’esame della Sezione, con particolare riferimento
all’impellenza delle esigenze lavorative conseguenti all’accorpamento di
Enti e alla scarsità di risorse umane disponibili nell’immediatezza.
Ritiene pertanto il Collegio che, anche in considerazione dell’attività
comunque svolta in favore dell’Ente e dei risultati realizzati, nonché
tenuto conto della responsabilità condivisa dei membri della Giunta
comunale, il convenuto vada condannato a risarcire al Comune di Bienno un
importo pari ad € 7.000,00, già rivalutato, oltre agli interessi legali dal
deposito della presente sentenza al saldo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia,
disattesa ogni contraria eccezione, deduzione e richiesta,
CONDANNA
il convenuto Gi.ST. al pagamento, in favore del Comune di Bienno,
della somma di € 7.000,00 (settemila/00), già rivalutata, oltre agli
interessi legali, a decorrere dal deposito della presente sentenza sino al
saldo (Corte dei conti, Sez. giurisdiz.
Lombardia,
sentenza 31.10.2018 n. 213). |
CONSIGLIERI COMUNALI - SEGRETARI COMUNALI:
Verbalizzazione delle sedute del consiglio comunale.
Il verbale ha l’onere di attestare il compimento dei
fatti svoltisi al fine di verificare il corretto iter di formazione della
volontà collegiale e di permettere il controllo delle attività svolte, non
avendo al riguardo alcuna rilevanza l’eventuale difetto di una minuziosa
descrizione delle singole attività compiute o delle singole opinioni
espresse.
Il Comune chiede un parere in materia di verbalizzazione delle sedute del
consiglio comunale. Più in particolare, desidera sapere se un consigliere
possa pretendere la verbalizzazione di alcune dichiarazioni rese dal sindaco
nel corso di una seduta assembleare.
In via generale, si ricorda che il verbale, quale atto giuridico
annoverabile nella più ampia categoria degli atti certificativi, è un
documento finalizzato alla descrizione di atti e/o fatti rilevanti per il
diritto, compiuti alla presenza di un soggetto verbalizzante, al fine di
garantire la certezza della descrizione degli accadimenti constatati,
documentandone l’esistenza [1].
Il decreto legislativo 18.08.2000, n. 267 recante “Testo unico
sull’ordinamento degli enti locali” non contiene norme specifiche sulle
modalità di redazione del verbale delle sedute degli organi collegiali
dell’ente locale o circa i suoi contenuti. Uniche norme di riferimento sono
l’articolo 97, comma 4, lett. a), che, nell’individuare le funzioni del
segretario comunale ne indica anche la partecipazione con funzioni
consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della
giunta e prevede che egli curi la verbalizzazione delle stesse, nonché
l’articolo 38, comma 2, TUEL che rimanda al regolamento sul funzionamento
dei consigli, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto, la disciplina
del funzionamento del consiglio nel cui alveo si ritiene debba
ricomprendersi anche la parte sulla verbalizzazione delle sedute consiliari.
Circa la funzione ed i contenuti del verbale assembleare certa dottrina
[2] ha affermato che il
verbale della seduta di un organo collegiale “rappresenta la «memoria» di
quanto è accaduto e documenta i fatti salienti della seduta”.
Anche la giurisprudenza, intervenuta sull’argomento, ha affermato che: “Il
verbale ha l’onere di attestare il compimento dei fatti svoltisi al fine di
verificare il corretto iter di formazione della volontà collegiale e di
permettere il controllo delle attività svolte, non avendo al riguardo alcuna
rilevanza l’eventuale difetto di una minuziosa descrizione delle singole
attività compiute o delle singole opinioni espresse”
[3].
Da quanto sopra, ed al fine di fornire una risposta al quesito posto, emerge
che per individuare i contenuti di un verbale è necessario, in primis,
analizzare le disposizioni, eventualmente esistenti sull’argomento, del
regolamento sul funzionamento del consiglio del Comune e, in subordine,
avvalersi dei principi elaborati in sede giurisprudenziale e dottrinale al
riguardo.
Il regolamento dell’Ente al Titolo VIII, “Verbali delle adunanze del
Consiglio Comunale”, articolo 41, rubricato “I verbali delle
deliberazioni: contenuto” prevede, al comma 1, che il verbale debba
contenere una serie di indicazioni. Tra queste, per quel che rileva in
questa sede, si riporta quella di cui alla lett. i) secondo cui il verbale
deve contenere “le principali argomentazioni emerse dal dibattito con una
verbalizzazione integrale dell’intervento, qualora richiesto esplicitamente
da un consigliere”.
La prima parte della disposizione citata pare essere esplicativa dei
principi espressi da dottrina e giurisprudenza sull’argomento ovverosia che,
tendenzialmente, non tutti gli atti o fatti devono essere necessariamente
documentati nel verbale, ma solo quelli che, secondo un criterio di
ragionevole individuazione, assumono rilevanza proprio in relazione alle
finalità cui l’attività di verbalizzazione è preposta.
Circa la seconda parte della disposizione citata, ove si prevede l’obbligo
della verbalizzazione integrale dell’intervento, qualora richiesto
esplicitamente da un consigliere, si evidenzia la necessità di procedere
all’interpretazione della disposizione suddetta, atteso che essa potrebbe
essere intesa nel senso che un consigliere può esplicitamente richiedere la
verbalizzazione integrale del proprio intervento oppure, in un senso più
ampio, richiedere, sempre esplicitamente, la verbalizzazione integrale anche
di interventi di altri consiglieri o del sindaco stesso.
Al riguardo, si ricorda che l’interpretazione delle norme sul funzionamento
del consiglio comunale compete unicamente all’organo che le ha elaborate,
quindi allo stesso organo consiliare.
Ciò premesso, a meri fini collaborativi, si rileva che, ad avviso di questo
Ufficio, tale disposizione sembrerebbe doversi intendere nel senso che un
consigliere possa esplicitamente richiedere la verbalizzazione integrale
soltanto del proprio intervento.
Ciò parrebbe porsi in linea con il principio che sembra desumersi da alcune
disposizioni normative, riguardanti l’ambito civilistico, e precisamente
afferenti il contenuto dei verbali, rispettivamente delle assemblee
condominiali [4]
e delle società per azioni [5],
le quali prevedono la possibilità di riproposizione nel verbale delle sole
dichiarazioni rese dal richiedente la stessa [6].
Fermo quanto sopra si ribadisce ad ogni modo che compete esclusivamente al
consiglio comunale interpretare la disposizione regolamentare in argomento,
eventualmente anche nel senso di ritenere possibile che la richiesta di
verbalizzazione integrale riguardi altresì interventi di altri consiglieri o
del sindaco stesso.
---------------
[1] In questi termini, si veda Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del
18.07.2018, n. 4373.
[2] R. Chieppa, R. Giovagnoli, “Manuale di diritto amministrativo”, 2011,
Giuffré editore, pag. 453.
[3] Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza del 25.07.2001, n. 4074. Nello
stesso senso, Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 02.03.2001, n. 1189
e TAR Lazio–Roma, sez. I, sentenza del 12.03.2001, n. 1835. Si veda, anche,
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza del 14.04.2008, n. 1575 ove si afferma
che: “Si deve ritenere che nell’ambito dell’attività amministrativa, il
verbale non necessariamente debba contenere la descrizione minuta di ogni
singola modalità di svolgimento dell’azione (finendo ciò per appesantire
notevolmente la funzione verbalizzatrice senza una seria giustificazione),
ma debba riportarne solo gli aspetti salienti e significativi, dovendosi
configurare come tali, in particolare, quelli necessari per consentire la
verifica della correttezza delle operazioni eseguite dall’organo
collegiale”.
[4] In particolare, l’articolo 1130 c.c. (come sostituito dall’articolo 10,
comma 1, della legge 11.12.2012, n. 220), al primo comma, num. 7) prevede
che: “L’amministratore, oltre a quanto previsto dall’articolo 1129 e dalle
vigenti disposizioni di legge, deve: curare la tenuta del registro dei
verbali delle assemblee, del registro di nomina e revoca dell’amministratore
e del registro di contabilità. Nel registro dei verbali delle assemblee sono
altresì annotate: le eventuali mancate costituzioni dell’assemblea, le
deliberazioni nonché le brevi dichiarazioni rese dai condomini che ne hanno
fatto richiesta; […]”.
[5] L’articolo 2375, primo comma, del codice civile recita: “Le
deliberazioni dell'assemblea devono constare da verbale sottoscritto dal
presidente e dal segretario o dal notaio. Il verbale deve indicare la data
dell'assemblea e, anche in allegato, l'identità dei partecipanti e il
capitale rappresentato da ciascuno; deve altresì indicare le modalità e il
risultato delle votazioni e deve consentire, anche per allegato,
l'identificazione dei soci favorevoli, astenuti o dissenzienti. Nel verbale
devono essere riassunte, su richiesta dei soci, le loro dichiarazioni
pertinenti all'ordine del giorno.”.
[6] Benché riguardanti l’ambito civilistico, e non amministrativo, si tratta
pur sempre di norme pertinenti il contenuto del verbale la cui natura
giuridica non muta nei due ambiti del diritto (10.10.2018 - link
a http://autonomielocali.regione.fvg.it). |
settembre 2018 |
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SEGRETARI COMUNALI:
Conflitto di interessi segretario comunale componente NDV.
Domanda
Nel nostro ente il segretario comunale riveste anche la carica di
responsabile della prevenzione della corruzione e trasparenza (RPCT), nonché
di presidente del nucleo di valutazione (NdV). Sussiste conflitto di
interessi tra le cariche?
Risposta
A tal proposito, occorre segnalare il recentissimo (14 giugno u.s.),
intervento del Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC),
Raffaele Cantone, il quale ha presentato al Senato della Repubblica la
relazione sull’attività svolta dalla predetta Autorità nel corso del 2017.
La relazione, che ripercorre i punti più importanti sulle attività di
vigilanza e sui contratti svolte dall’ANAC, si sofferma, nella parte
relativa alle segnalazioni in materia di prevenzione della corruzione e
trasparenza, all’ipotesi di conflitto di interesse nei confronti del
Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT)
nominato componente del Nucleo di Valutazione di enti locali.
L’Autorità ricorda che, con l’atto di segnalazione n. 1 del 24.01.2018,
aveva formulato alcune osservazioni in merito alla situazione di conflitto
di interesse conseguente all’ipotesi in cui il RPCT rivestisse il ruolo di
componente o di presidente del nucleo di valutazione di enti locali.
In particolare, nella relazione viene evidenziato che il segretario
comunale, cui spetta l’incarico di RPCT, è spesso anche componente del
nucleo di valutazione e tale cumulo dei due incarichi rappresenta una
situazione di conflitto di interesse , in analogia con il regime di
incompatibilità disciplinato dal decreto legislativo 27.10.2009, n. 150 (che
pone espressamente il divieto di nominare, quali componenti dell’organo
indipendenti di valutazione della performance (OIV), i dipendenti
dell’amministrazione stessa o coloro che rivestano incarichi politici e
sindacali).
Nella fattispecie sopra descritta, l’ANAC rileva che il segretario comunale
(nel ruolo di RPCT) si troverebbe nella veste di controllore e controllato,
in quanto, in qualità di componente del nucleo di valutazione, è tenuto ad
attestare l’assolvimento degli obblighi di pubblicazione, mentre in qualità
di responsabile per la trasparenza è tenuto a svolgere stabilmente
un’attività di controllo proprio sull’adempimento dei suddetti obblighi da
parte del’amministrazione, con conseguente responsabilità, ai sensi
dell’articolo 1, comma 12, della legge 190/2012, in caso di colpevole
omissione.
Alla luce delle considerazione sopra illustrate, l’ANAC auspica il più
presto possibile un intervento correttivo da parte del legislatore,
finalizzato ad integrare la disciplina normativa prevista dall’articolo 16
del decreto legislativo 27.10.2009, n. 150 con l’introduzione di specifiche
disposizioni in tema di incompatibilità dei componenti del nucleo di
valutazione, in analogia a quanto previsto dall’articolo 14 del predetto
decreto per la composizione degli OIV, con particolare riferimento
all’incarico di RPCT (27.09.2018 - tratto da e link a
www.publika.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI - SEGRETARI COMUNALI: Non
sussiste la responsabilità erariale circa l'affidamento all'esterno
dell'ente dell'incarico di frazionamento catastale di una strada allorché
detto incarico risulti effettivamente non affidabile all’interno
dell’amministrazione per ragioni puntualmente esposte.
E’ opinione condivisa che la ratio dell’art. 7 del
D.L.gs. n. 165/2001 -il quale, al comma 4, prevede che le Amministrazioni
pubbliche curino la formazione e l’aggiornamento del personale e, al
successivo comma 6, regolamenta i limiti entro i quali le Amministrazioni
possono conferire incarichi esterni– sia quella di favorire l’efficienza
degli Enti pubblici, realizzando la migliore utilizzazione delle risorse
umane disponibili negli apparati amministrativi.
Giova, altresì, ricordare come la richiamata disciplina statale sia stata
oggetto, nel tempo, di numerosi interventi di modifica che hanno reso sempre
più stringenti tali limiti, al fine di prevenire danni all’Erario per spese
improduttive o per ingiustificate erogazioni di denaro pubblico.
Pertanto, in virtù di tale normativa, le Amministrazioni
pubbliche devono avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, delle
risorse dell’apparato istituzionale, potendo derogare a tale regola
solamente nei casi di assoluta impossibilità di provvedere con il personale
dipendente ed a condizione che tale impossibilità risulti oggettivamente
accertata con procedure formali che ne diano motivatamente conto.
Tali prescrizioni, da rispettare obbligatoriamente
al fine di una corretta gestione del capitale umano all’interno della P.A.,
costituiscono altrettante regole di legittimità dell’azione amministrativa,
la cui inosservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale da parte
del Giudice contabile sotto il profilo della ragionevolezza della scelta,
non configurandosi, al riguardo, il lamentato travalicamento del
limite al sindacato delle scelte discrezionali previsto dall’art. 1, comma
1, della L. n. 20/1994.
---------------
Reputa il Collegio, sulla base di una lettura letterale, logica e
sistematica, nonché costituzionalmente orientata (art. 97 Cost.) della
disciplina contenuta nella L.P. n. 26/1993, che le Amministrazioni Trentine,
nell’espletamento delle funzioni che loro competono, debbano avvalersi, in
via prioritaria, del personale tecnico al proprio servizio.
Infatti, l’art. 20 della L.P. n. 23/1996,
concernente l’affidamento degli incarichi di progettazione e di “altre
attività tecniche” (tra le quali rientra il frazionamento), nella
formulazione applicabile vigente ratione temporis, dispone che tali attività
devono essere svolte, anche parzialmente, dal personale dipendente
“compatibilmente con la quantità e la qualità di risorse professionali e
tecnologiche effettivamente disponibili presso ciascuna struttura”.
Inoltre la citata norma prevede (art. 20, comma 3)
che solo nel caso di interventi tecnici comportanti la “soluzione di
complesse questioni tecniche” o di “carenze anche temporanee di organico o
di competenze specifiche”, che devono essere “attestate motivatamente dai
dirigenti dei servizi”, gli Enti possono avvalersi di professionisti
esterni.
Tanto premesso con riguardo al quadro normativo di riferimento,
appare evidente come la richiamata disciplina preveda precisi limiti
all’esternalizzazione delle attività tecniche ed obblighi l’Amministrazione
a motivare congruamente gli affidamenti esterni, supportando la scelta con
una previa istruttoria, compiuta dal settore competente, in ordine alle
oggettive carenze di organico, strumentali o alle altre specifiche ragioni
che, per legge, possono giustificare la scelta di gravare l’Amministrazione
di un costo aggiuntivo per svolgere un’attività rientrante nei compiti di
ufficio.
Deve, altresì, rilevarsi come la giurisprudenza contabile
abbia, in più occasioni, rimarcato che le lacune procedurali che inficiano
gli atti di conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A.,
rilevabili per il tramite della motivazione del provvedimento -allorché il
Legislatore ponga agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa,
ritenendo implicitamente non utili tutte quelle spese che non rispettino i
limiti da esso posti- non rappresentano meri vizi con incidenza circoscritta
alla sfera di legittimità del provvedimento, ma rendono ingiustificata e,
perciò, tendenzialmente dannosa la stessa erogazione di denaro pubblico.
Ciò posto, osserva il Collegio come la delibera di giunta
municipale n. 44/2016 abbia motivato l’affidamento dell’incarico esterno di
frazionamento, in ciò confortata dal parere favorevole di regolarità
tecnico-amministrativa del responsabile del Settore, con riguardo ad una
carenza tecnologica dell’Ufficio Tecnico Comunale (sprovvisto della stazione
GPS satellitare) in base, quindi, ad una delle ipotesi astrattamente
consentite dalla citata normativa provinciale per l’esternalizzazione del
servizio tecnico.
In relazione alle esposte circostanze non può, pertanto,
ravvedersi in capo ai convenuti una condotta posta in essere in violazione
degli obblighi di servizio o gravemente colpevole.
---------------
2.1 La fattispecie di responsabilità amministrativa sottoposta
all’attenzione del Collegio riguarda un incarico tecnico esterno affidato,
secondo la tesi attorea, in violazione dei principi di cui all’art. 7, c. 6,
del D.lgs. n. 165/2001.
In particolare il Requirente, nella domanda formulata in via principale, ha
contestato ai convenuti –nelle qualità di componenti della Giunta comunale
che ha adottato la delibera di conferimento dell’incarico (n. 44/2016) e di
Segretario che ne ha avallato la legittimità– di aver cagionato il danno
erariale di euro 2.325,71, pari alla spesa sostenuta dal Comune di Cavalese
in relazione all’affidamento in favore di un geometra esterno dell’attività
di frazionamento (inerente una strada) che avrebbe dovuto essere svolta dal
personale assegnato all’U.T.C..
Parte attrice, “solo in via meramente secondaria”, ha riferito il
contestato danno anche alla violazione delle regole sulla concorrenza,
essendo stato l’incarico affidato a trattativa privata senza un previo
confronto concorrenziale.
Avuto riguardo alla contestazione attorea principale, i difensori dei
convenuti hanno affermato la conformità della delibera di Giunta comunale
alla disciplina provinciale, in quanto al momento dell’adozione del
provvedimento sussisteva un oggettivo deficit strumentale nell’ambito
dell’Ufficio Tecnico Comunale, tale da giustificare la ragionevole scelta di
esternalizzare il servizio, a fronte anche di un ingente spesa, all’incirca
di 20.000,00 euro, necessaria per acquistare la particolare apparecchiatura
GPS satellitare.
In relazione alla domanda risarcitoria subordinata, le stesse difese hanno
poi osservato che la modalità di affidamento senza gara non contrasta con la
disciplina provinciale e che la Procura, in ogni caso, non ha provato la
sussistenza di un effettivo danno da concorrenza, in un contesto nel quale
il professionista incaricato risulta aver operato una riduzione dei compensi
rispetto alle previsioni della Tariffa professionale.
2.2 Così sintetizzate le posizioni delle parti, giova ricordare che la
normativa di cui al decreto legislativo n. 165/2001 (recante “Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche”), nel quale è inserita la disposizione di cui all’art. 7,
comma 6, richiamata dalla Procura Regionale, rappresenta per le Regioni a
Statuto speciale e per le Province Autonome di Trento e di Bolzano una
disciplina con “valenza di norme fondamentali di riforma economico
sociale” (art. 1, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001), con la quale il
Legislatore statale ha inteso regolamentare l’organizzazione degli uffici e
i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche “tenuto conto delle Autonomie locali e di quelle delle Regioni
e delle Province Autonome, nel rispetto dell’art. 97 comma primo della
Costituzione”.
E’ opinione condivisa che la ratio dell’art. 7 del
D.L.gs. n. 165/2001 -il quale, al comma 4, prevede che le Amministrazioni
pubbliche curino la formazione e l’aggiornamento del personale e, al
successivo comma 6, regolamenta i limiti entro i quali le Amministrazioni
possono conferire incarichi esterni– sia quella di favorire l’efficienza
degli Enti pubblici, realizzando la migliore utilizzazione delle risorse
umane disponibili negli apparati amministrativi.
Giova, altresì, ricordare come la richiamata disciplina statale sia stata
oggetto, nel tempo, di numerosi interventi di modifica che hanno reso sempre
più stringenti tali limiti, al fine di prevenire danni all’Erario per spese
improduttive o per ingiustificate erogazioni di denaro pubblico. Pertanto,
in virtù di tale normativa, le Amministrazioni pubbliche
devono avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, delle risorse
dell’apparato istituzionale, potendo derogare a tale regola solamente nei
casi di assoluta impossibilità di provvedere con il personale dipendente ed
a condizione che tale impossibilità risulti oggettivamente accertata con
procedure formali che ne diano motivatamente conto
(cfr. ex multis, Corte conti, Sezione Seconda Giurisdizionale
Centrale d’Appello n. 291/2012, id. n. 333/2014).
Tali prescrizioni, da rispettare obbligatoriamente al fine
di una corretta gestione del capitale umano all’interno della P.A.,
costituiscono altrettante regole di legittimità dell’azione amministrativa,
la cui inosservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale da parte
del Giudice contabile sotto il profilo della ragionevolezza della scelta
(cfr. Cass., Sez. un., n. 1378/2006; id. n. 7924/2006; id. n. 4283/2013; id.
n. 22228/2016; Corte conti, Sezione di Appello per la Sicilia n. 198/2015;
id. Sezione Terza Centrale d’Appello n. 430/2017), non
configurandosi, al riguardo, il lamentato travalicamento del limite al
sindacato delle scelte discrezionali previsto dall’art. 1, comma 1, della L.
n. 20/1994.
2.3 Per quanto riguarda la Provincia Autonoma di Trento va, innanzitutto,
rilevato che la generale materia degli incarichi di studio, ricerca,
consulenza e collaborazione è disciplinata dal Capo I-bis, della L.P. n.
23/1990 (recante “Disciplina dell’attività contrattuale e
dell’amministrazione dei beni della Provincia”).
In particolare, l’art. 39-quater della citata legge dopo aver disposto, al
primo comma, che le disposizioni del Capo I-bis disciplinano l’affidamento
di incarichi retribuiti a soggetti esterni, finalizzati all’acquisizione di
apporti professionali per il miglior perseguimento dei fini istituzionali
dell’Amministrazione, ne esclude espressamente l’applicazione per taluni
incarichi –quali, ad esempio, quelli della rappresentanza in giudizio e del
patrocinio dell’Amministrazione– con la previsione, al quinto comma, che “rimane
fermo quanto previsto dalle leggi provinciali per l’affidamento di incarichi
per l’esercizio di pubbliche funzioni o per incarichi di pubblico servizio,
per l’esecuzione dei lavori pubblici (…)”.
Con riferimento alla specifica materia dei lavori pubblici viene, pertanto,
in rilievo anche la disciplina di settore, richiamata dalle difese dei
convenuti, di cui alla legge provinciale n. 26/1993, recante “Norme in
materia di lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza
negli appalti”, come modificata dalla L.P. n. 10/2008.
Sotto il profilo ordinamentale, appare di interesse osservare come la citata
normativa provinciale sia stata oggetto di vaglio da parte della Corte
Costituzionale.
In particolare, la Consulta, nella sentenza n. 45/2010 (dal contenuto
parzialmente caducatorio), ha ricordato che l’art. 8, primo comma, n. 17 del
D.P.R. n. 670/1972 (Statuto speciale) attribuisce alla Provincia autonoma di
Trento una competenza legislativa primaria in alcune materie specificamente
enumerate, tra le quali rientra quella dei lavori pubblici di interesse
provinciale.
Nell’ambito di tale decisione, il Giudice delle leggi ha osservato che tale
potestà legislativa primaria si esplica nei limiti previsti dall’art. 4
dello Statuto e, quindi, in armonia con la Costituzione ed i principi
dell’Ordinamento giuridico della Repubblica, con il rispetto degli obblighi
internazionali, degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali
delle riforme economico-sociali della Repubblica (i ricordati limiti sono
stati richiamati anche nella sentenza n. 187/2013 riguardante la L.P. n.
26/1993 e nella recente decisione n. 191/2017 concernente la materia delle
misure di contenimento della spesa pubblica).
Ciò premesso, reputa il Collegio, sulla base di una lettura
letterale, logica e sistematica, nonché costituzionalmente orientata (art.
97 Cost.) della disciplina contenuta nella L.P. n. 26/1993, che le
Amministrazioni Trentine, nell’espletamento delle funzioni che loro
competono, debbano avvalersi, in via prioritaria, del personale tecnico al
proprio servizio.
Infatti, l’art. 20 della L.P. n. 23/1996, concernente
l’affidamento degli incarichi di progettazione e di “altre attività
tecniche” (tra le quali rientra il frazionamento), nella formulazione
applicabile vigente ratione temporis, dispone che tali attività
devono essere svolte, anche parzialmente, dal personale dipendente “compatibilmente
con la quantità e la qualità di risorse professionali e tecnologiche
effettivamente disponibili presso ciascuna struttura”.
Inoltre la citata norma prevede (art. 20, comma 3) che solo
nel caso di interventi tecnici comportanti la “soluzione di complesse
questioni tecniche” o di “carenze anche temporanee di organico o di
competenze specifiche”, che devono essere “attestate motivatamente
dai dirigenti dei servizi”, gli Enti possono avvalersi di professionisti
esterni.
2.4 Tanto premesso con riguardo al quadro normativo di riferimento,
appare evidente come la richiamata disciplina preveda precisi limiti
all’esternalizzazione delle attività tecniche ed obblighi l’Amministrazione
a motivare congruamente gli affidamenti esterni, supportando la scelta con
una previa istruttoria, compiuta dal settore competente, in ordine alle
oggettive carenze di organico, strumentali o alle altre specifiche ragioni
che, per legge, possono giustificare la scelta di gravare l’Amministrazione
di un costo aggiuntivo per svolgere un’attività rientrante nei compiti di
ufficio.
Deve, altresì, rilevarsi come la giurisprudenza contabile
abbia, in più occasioni, rimarcato che le lacune procedurali che inficiano
gli atti di conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A.,
rilevabili per il tramite della motivazione del provvedimento -allorché il
Legislatore ponga agli amministratori pubblici determinati vincoli di spesa,
ritenendo implicitamente non utili tutte quelle spese che non rispettino i
limiti da esso posti- non rappresentano meri vizi con incidenza circoscritta
alla sfera di legittimità del provvedimento, ma rendono ingiustificata e,
perciò, tendenzialmente dannosa la stessa erogazione di denaro pubblico
(Corte conti, Sezione Prima Centrale di Appello n. 224/2017; id. Sezione
Appello Sicilia n. 48/2017).
Ciò posto, osserva il Collegio come la delibera di giunta
municipale n. 44/2016 abbia motivato l’affidamento dell’incarico esterno di
frazionamento, in ciò confortata dal parere favorevole di regolarità
tecnico-amministrativa del responsabile del Settore, con riguardo ad una
carenza tecnologica dell’Ufficio Tecnico Comunale (sprovvisto della stazione
GPS satellitare) in base, quindi, ad una delle ipotesi astrattamente
consentite dalla citata normativa provinciale per l’esternalizzazione del
servizio tecnico.
In relazione alle esposte circostanze non può, pertanto,
ravvedersi in capo ai convenuti una condotta posta in essere in violazione
degli obblighi di servizio o gravemente colpevole.
Né ritiene il Collegio che le evidenze processuali dimostrino che i
componenti della Giunta comunale ed il Segretario abbiano mantenuto in un
voluto stato di inefficienza organizzativa l’Ufficio Tecnico comunale,
secondo quanto affermato dal Pubblico Ministero, non provvedendo
all’ordinaria strumentazione di un Ufficio Tecnico di rilevanti dimensioni “in
concorso con il responsabile dell’Ufficio Tecnico” al fine di “compiacere
la volontà di favorire professionisti esterni”.
Si osserva, in proposito, come la reiterazione degli incarichi nel biennio
2015/2016, enfatizzata dal Requirente, non sia di per sé sufficiente a
provare il prospettato “concorso” illecito per favorire soggetti
terzi.
Per quanto già evidenziato, deve ritenersi che all’atto dell’assunzione
della delibera n. 44/2016, l’Ufficio Tecnico del Comune di Cavalese non
fosse, oggettivamente, nelle condizioni di effettuare l’attività di
frazionamento della strada non possedendo la necessaria strumentazione.
Inoltre, le difese hanno provato –depositando il preventivo di una ditta
specializzata– che tale strumentazione aveva un costo particolarmente
elevato, di molto superiore a quanto corrisposto al professionista esterno
per effettuare il necessario singolo frazionamento e tanto consente di
escludere, in assenza di prova contraria da parte della Procura, che la
scelta di esternalizzare l’incarico possa configurarsi come irragionevole e,
in definitiva, dannosa per l’Ente.
Ciò posto, deve essere respinta la domanda risarcitoria formulata in via
principale da parte attrice, con riguardo alla violazione della normativa in
materia di incarichi esterni, non sussistendo i presupposti della
responsabilità amministrativa dei convenuti.
Né può trovare accoglimento la domanda risarcitoria formulata dal P.M. “in
via meramente secondaria”, in relazione al mancato rispetto delle regole
della concorrenza, non risultando in alcun modo provata, anche con riguardo
a tale prospettazione subordinata, la sussistenza dell’esistenza di un danno
erariale.
Conclusivamente, sulla base delle esposte considerazioni, assorbita ogni
altra questione e disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione,
i convenuti vanno mandati assolti dagli addebiti di responsabilità
contestati nell’atto di citazione.
Avuto riguardo al proscioglimento nel merito, il Collegio deve provvedere
alla liquidazione delle spese di difesa, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del
Codice di Giustizia Contabile (D.Lgs. n. 174/2016).
Ai sensi di tale disposizione, con la sentenza che esclude definitivamente
la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza del danno,
ovvero della violazione degli obblighi di servizio, del nesso di causalità,
del dolo o della colpa grave, il Giudice non può disporre la compensazione
delle spese del giudizio e deve liquidare, a carico dell’Amministrazione di
appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa.
Sulla base della citata norma, esaminati gli atti di causa e facendo
applicazione dei parametri contenuti nel D.M. n. 55/2014 (“Regolamento
recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per
la professione forense”) si quantificano le spese legali, da porre a
carico del Comune di Cavalese, in favore della difesa del convenuto Gi.Ma.
nell’importo di euro 270,00 per compensi oltre spese generali (15%),
c.n.p.a. e I.V.A nonché in favore della difesa, unitariamente considerata,
degli altri convenuti We.Si., Gi.Pa., Va.Gi., Va.Ma. e Va.Or., nell’importo
complessivo di euro 486,00 per compensi oltre spese generali (15%), c.n.p.a.
e I.V.A .
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei Conti,
Sezione Giurisdizionale per il Trentino Alto Adige/Südtirol - sede di
Trento, definitivamente pronunciando, assolve i convenuti
We.Si., Gi.Pa., Va.Gi., Va.Or., Va.Ma. e Gi.Ma.
(Corte dei Conti, Sez. giursidiz. Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 21.09.2018 n. 35). |
CONSIGLIERI COMUNALI - INCARICHI PROFESSIONALI - SEGRETARI COMUNALI: Sussiste
la responsabilità per danno erariale nel caso di affidamento, a
professionista esterno all’amministrazione, di un incarico di direzione
lavori e di coordinamento della
sicurezza in fase esecutiva n
assenza di adeguata e congrua motivazione che esponga in termini puntuali le
ragioni per le quali risulta l’impossibilità di utilizzo del personale
interno o dell’attrezzatura necessaria.
E’ opinione condivisa che la ratio dell’art. 7 del
D.L.gs. n. 165/2001 -il quale, al comma 4, prevede che le Amministrazioni
pubbliche curino la formazione e l’aggiornamento del personale e, al
successivo comma 6, regolamenta i limiti entro i quali le Amministrazioni
possono conferire incarichi esterni– sia quella di favorire l’efficienza
degli Enti pubblici, realizzando la migliore utilizzazione delle risorse
umane disponibili negli apparati amministrativi.
Giova, altresì, ricordare come la richiamata disciplina statale sia stata
oggetto, nel tempo, di numerosi interventi di modifica che hanno reso sempre
più stringenti tali limiti, al fine di prevenire danni all’Erario per spese
improduttive o per ingiustificate erogazioni di denaro pubblico.
Pertanto, in virtù di tale normativa, le Amministrazioni
pubbliche devono avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, delle
risorse dell’apparato istituzionale, potendo derogare a tale regola
solamente nei casi di assoluta impossibilità di provvedere con il personale
dipendente ed a condizione che tale circostanza risulti oggettivamente
accertata con procedure formali che ne diano motivatamente conto.
Tali prescrizioni, da rispettare obbligatoriamente
al fine di una corretta gestione del capitale umano all’interno della P.A.,
costituiscono altrettante regole di legittimità dell’azione amministrativa,
la cui inosservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale da parte
del Giudice contabile sotto il profilo della ragionevolezza della scelta,
non configurandosi, al riguardo, il lamentato travalicamento del
limite al sindacato delle scelte discrezionali previsto dall’art. 1, comma
1, della L. n. 20/1994.
---------------
Reputa il Collegio, sulla base di una lettura letterale, logica e
sistematica, nonché costituzionalmente orientata (art. 97 Cost.) della
disciplina contenuta nella L.P. n. 26/1993, che le Amministrazioni Trentine,
nell’espletamento delle funzioni che loro competono, debbano avvalersi, in
via prioritaria, del personale tecnico al proprio servizio.
Infatti, l’art. 22 della L.P. n. 26/1993 (recante
“incarichi di direzione lavori”), nella formulazione applicabile e vigente
ratione temporis, dispone(comma 2) che “la direzione lavori è di norma
affidata ai competenti servizi tecnici delle Amministrazioni aggiudicatrici
in possesso delle necessarie professionalità”, soggiungendo (comma 5) che
“la direzione dei lavori può essere costituita anche nella forma del gruppo
misto di direzione formato da dipendenti dell’Amministrazione e da
professionisti esterni”.
Deve aggiungersi che la normativa in riferimento
prevede, in forza del richiamo contenuto nel citato art. 22 (terzo comma)
alla disposizione di cui all’art. 20 (terzo comma) della medesima L.P. n.
23/1996, solo nel caso “di interventi comportanti la soluzione di complesse
questioni tecniche” ovvero “in caso di esigenze organizzative delle
Amministrazioni aggiudicatrici determinate da carenze anche temporanee di
organico o di competenze specifiche, attestate motivatamente dai dirigenti
dei servizi competenti d’intesa con il dirigente generale” la possibilità di
avvalersi, anche parzialmente, di soggetti di riconosciuta e specifica
competenza.
In definitiva, solamente in presenza di comprovate carenze
organizzative, da attestarsi, motivatamente, dai dirigenti dei servizi,
l’Amministrazione può avvalersi di professionisti esterni, eventualmente
costituendo una direzione lavori nella forma del gruppo misto di direzione,
di cui all’art. 22 cit., o, nell’ipotesi non sussistano i presupposti per
tale soluzione intermedia, esternalizzando totalmente l’incarico.
---------------
Tanto premesso con
riguardo al quadro normativo di riferimento, appare
evidente come la richiamata disciplina preveda precisi limiti all’esternalizzazione
delle attività tecniche ed obblighi l’Amministrazione a motivare
congruamente gli affidamenti esterni, supportando la scelta con una previa
istruttoria, compiuta dal settore competente, in ordine alle oggettive
carenze di organico, strumentali o alle altre specifiche ragioni che, per
legge, possono giustificare la scelta di gravare l’Amministrazione di un
costo aggiuntivo per svolgere un’attività rientrante nei compiti di ufficio.
Deve, altresì, rilevarsi come la giurisprudenza contabile
abbia, in più occasioni, rimarcato che le lacune procedurali che inficiano
gli atti di conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A.,
rilevabili per il tramite della carenza della motivazione del provvedimento
-allorché il Legislatore ponga agli amministratori pubblici determinati
vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utili tutte quelle spese che
non rispettino i limiti da esso posti- non rappresentano meri vizi, con
incidenza circoscritta alla sfera di legittimità del provvedimento, ma
rendono ingiustificata e, perciò, tendenzialmente dannosa la stessa
erogazione di denaro pubblico.
---------------
Sul punto giova
ricordare la diversità dei compiti assegnati alle figure del direttore
dei lavori e del coordinatore della sicurezza, considerato che
il primo è preposto alla direzione ed al controllo tecnico, contabile e
amministrativo dell’esecuzione dell’intervento mentre il secondo è
tenuto a verificare durante la realizzazione dell’opera, ex art. 92, comma
1, del D.lgs. n. 81/2008, l’idoneità del Piano di Sicurezza e la corretta
applicazione delle relative procedure di lavoro, a controllare che le
imprese esecutrici adeguino i rispettivi piani operativi, segnalando al
committente ed al responsabile dei lavori le eventuali
inosservanze nonché sospendendo i lavori in caso di pericolo grave ed
imminente.
---------------
La questione dedotta in giudizio integra la fattispecie esaminata dalla
citata giurisprudenza, ovvero il caso di una delibera assunta in assenza di
qualsiasi congrua motivazione rispetto ai vincoli espressamente previsti dal
Legislatore per il conferimento di incarichi esterni.
Oltre all’indiscutibile illegittimità della delibera, e
conseguente antigiuridicità della condotta dei convenuti, risulta altresì
provata in atti la concreta dannosità della scelta di gravare
l’Amministrazione di costi indebiti, rinunciando ad avvalersi, anche
parzialmente, come consentito dalla L.P. n. 26/1993, delle prestazioni
lavorative dei numerosi e qualificati dipendenti in servizio presso
l’Ufficio Tecnico.
Sicché, devono ritenersi integrati i presupposti della
responsabilità amministrativa dei convenuti.
In primo luogo, non appare revocabile in dubbio che la
condotta dei componenti della Giunta comunale e dal Segretario comunale sia
stata gravemente lesiva degli obblighi di servizio, contrastando non solo
con la chiara normativa in materia di conferimento di incarichi esterni
nell’ambito dei lavori pubblici, ma anche con il generale criterio
dell’autosufficienza dell’organizzazione amministrativa e, in definitiva,
con i principi di efficienza, efficacia ed economicità nonché di legalità e
buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.).
La violazione di tali basilari principi, sotto il profilo dell’elemento
soggettivo, costituisce indice sintomatico di grave trascuratezza,
negligenza ed imperizia nell’esercizio delle funzioni demandate agli
amministratori comunali oltre che al segretario comunale, cui spetta il
compito di vigilare sulla legittimità dell’azione amministrativa.
La totale mancanza di una motivazione che potesse
giustificare l’affidamento dell’incarico esterno consente,
invece, di ritenere provato l’elemento psicologico della
colpa grave in capo ai convenuti, reso evidente dalla superficialità con la
quale è stata disposta, in palese violazione degli obblighi di servizio e
della normativa di riferimento, una rilevante spesa gravante sul bilancio
comunale senza il preventivo accertamento dell’impossibilità oggettiva di
utilizzare le risorse umane interne.
---------------
2.1 La fattispecie di responsabilità amministrativa sottoposta
all’attenzione del Collegio riguarda un incarico tecnico esterno affidato,
secondo la tesi attorea, in violazione dell’art. 7, comma 6, del D.lgs. n.
165/2001.
In particolare il Requirente, nella domanda formulata in via principale, ha
contestato ai convenuti -nelle qualità di componenti della Giunta comunale
che ha adottato la delibera di conferimento dell’incarico (n. 19/2016) e di
Segretario che ne ha avallato la legittimità- di aver cagionato il danno
erariale di euro 17.472,02, pari alla spesa sostenuta dal Comune di Cavalese
in relazione all’affidamento in favore di un geometra esterno della
direzione lavori e del coordinamento della sicurezza in fase esecutiva delle
opere concernenti la realizzazione di un nuovo tratto di fognatura comunale
(in località Salanzada), che avrebbe dovuto essere svolto dal personale
assegnato all’U.T.C..
Parte attrice, solo in “via meramente secondaria”, ha riferito il
contestato danno alla violazione delle regole sulla concorrenza, essendo
stato l’incarico affidato a trattativa privata senza previo confronto
concorrenziale.
Avuto riguardo alla contestazione attorea principale, i difensori dei
convenuti hanno affermato la conformità della delibera di Giunta comunale
alla disciplina provinciale, in quanto al momento dell’adozione della stessa
sussisteva un deficit organizzativo e strumentale, nell’ambito
dell’Ufficio Tecnico Comunale, tale da giustificare la scelta di
esternalizzare il servizio.
In relazione alla domanda risarcitoria subordinata, le stesse difese hanno
poi osservato che la modalità di affidamento senza gara non contrasta con la
disciplina provinciale e che la Procura, in ogni caso, non ha provato la
sussistenza di un effettivo danno da concorrenza, in un contesto nel quale
il professionista incaricato risulta aver operato una riduzione dei compensi
rispetto alle previsioni della Tariffa professionale.
2.2 Così sintetizzate le posizioni delle parti, giova ricordare che la
normativa di cui al decreto legislativo n. 165/2001 (recante “Norme
generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche”), nel quale è inserita la disposizione di cui all’art. 7,
comma 6, richiamata dalla Procura Regionale, rappresenta per le Regioni a
Statuto speciale e per le Province Autonome di Trento e di Bolzano una
disciplina con “valenza di norme fondamentali di riforma economico
sociale” (art. 1, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001), con la quale il
Legislatore statale ha inteso regolamentare l’organizzazione degli uffici e
i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche “tenuto conto delle Autonomie locali e di quelle delle Regioni
e delle Province Autonome, nel rispetto dell’art. 97 comma primo della
Costituzione”.
E’ opinione condivisa che la ratio dell’art. 7 del
D.L.gs. n. 165/2001 -il quale, al comma 4, prevede che le Amministrazioni
pubbliche curino la formazione e l’aggiornamento del personale e, al
successivo comma 6, regolamenta i limiti entro i quali le Amministrazioni
possono conferire incarichi esterni– sia quella di favorire l’efficienza
degli Enti pubblici, realizzando la migliore utilizzazione delle risorse
umane disponibili negli apparati amministrativi.
Giova, altresì, ricordare come la richiamata disciplina statale sia stata
oggetto, nel tempo, di numerosi interventi di modifica che hanno reso sempre
più stringenti tali limiti, al fine di prevenire danni all’Erario per spese
improduttive o per ingiustificate erogazioni di denaro pubblico. Pertanto,
in virtù di tale normativa, le Amministrazioni pubbliche
devono avvalersi, per lo svolgimento delle proprie funzioni, delle risorse
dell’apparato istituzionale, potendo derogare a tale regola solamente nei
casi di assoluta impossibilità di provvedere con il personale dipendente ed
a condizione che tale circostanza risulti oggettivamente accertata con
procedure formali che ne diano motivatamente conto
(cfr. ex multis, Corte conti, Sezione Seconda Giurisdizionale
Centrale d’Appello n. 291/2012, id. n. 333/2014).
Tali prescrizioni, da rispettare obbligatoriamente al fine
di una corretta gestione del capitale umano all’interno della P.A.,
costituiscono altrettante regole di legittimità dell’azione amministrativa,
la cui inosservanza può essere oggetto di sindacato giurisdizionale da parte
del Giudice contabile sotto il profilo della ragionevolezza della scelta
(cfr. Cass., Sez. un., n. 1378/2006; id. n. 7924/2006; id. n. 4283/2013; id.
n. 22228/2016; Corte conti, Sezione di Appello per la Sicilia n. 198/2015;
id. Sezione Terza Centrale d’Appello n. 430/2017), non
configurandosi, al riguardo, il lamentato travalicamento del limite al
sindacato delle scelte discrezionali previsto dall’art. 1, comma 1, della L.
n. 20/1994.
2.3 Per quanto riguarda la Provincia Autonoma di Trento va, innanzi tutto,
rilevato che la generale materia degli incarichi di studio, ricerca,
consulenza e collaborazione è disciplinata dal Capo I-bis, della L.P. n.
23/1990 (recante “Disciplina dell’attività contrattuale e
dell’amministrazione dei beni della Provincia”).
In particolare, l’art. 39-quater della citata legge dopo aver disposto, al
primo comma, che le disposizioni del Capo I-bis disciplinano l’affidamento
di incarichi retribuiti a soggetti esterni, finalizzati all’acquisizione di
apporti professionali per il miglior perseguimento dei fini istituzionali
dell’Amministrazione, ne esclude espressamente l’applicazione per taluni
incarichi –quali, ad esempio, quelli della rappresentanza in giudizio e del
patrocinio dell’Amministrazione– con la previsione, al quinto comma, che “rimane
fermo quanto previsto dalle leggi provinciali per l’affidamento di incarichi
per l’esercizio di pubbliche funzioni o per incarichi di pubblico servizio,
per l’esecuzione dei lavori pubblici (…)”.
Con riferimento alla specifica materia dei lavori pubblici viene, pertanto,
in rilievo anche la disciplina di settore, richiamata dalle difese dei
convenuti, di cui alla legge provinciale n. 26/1993, recante “Norme in
materia di lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza
negli appalti”, come modificata dalla L.P. n. 10/2008.
Sotto il profilo ordinamentale, appare di interesse osservare come la citata
normativa provinciale sia stata oggetto di vaglio da parte della Corte
Costituzionale.
In particolare, la Consulta, nella sentenza n. 45/2010 (dal contenuto
parzialmente caducatorio), ha ricordato che l’art. 8, primo comma, n. 17 del
D.P.R. n. 670/1972 (Statuto speciale) attribuisce alla Provincia autonoma di
Trento una competenza legislativa primaria in alcune materie specificamente
enumerate, tra le quali rientra quella dei lavori pubblici di interesse
provinciale.
Nell’ambito di tale decisione, il Giudice delle leggi ha osservato che tale
potestà legislativa primaria si esplica nei limiti previsti dall’art. 4
dello Statuto e, quindi, in armonia con la Costituzione ed i principi
dell’Ordinamento giuridico della Repubblica, con il rispetto degli obblighi
internazionali, degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali
delle riforme economico-sociali della Repubblica (i ricordati limiti sono
stati richiamati anche nella sentenza n. 187/2013 riguardante la L.P. n.
26/1993 e nella recente decisione n. 191/2017 concernente la materia delle
misure di contenimento della spesa pubblica).
Ciò premesso, reputa il Collegio, sulla base di una lettura
letterale, logica e sistematica, nonché costituzionalmente orientata (art.
97 Cost.) della disciplina contenuta nella L.P. n. 26/1993, che le
Amministrazioni Trentine, nell’espletamento delle funzioni che loro
competono, debbano avvalersi, in via prioritaria, del personale tecnico al
proprio servizio.
Infatti, l’art. 22 della L.P. n. 26/1993 (recante “incarichi
di direzione lavori”), nella formulazione applicabile e vigente
ratione temporis, dispone(comma 2) che “la direzione lavori è di
norma affidata ai competenti servizi tecnici delle Amministrazioni
aggiudicatrici in possesso delle necessarie professionalità”,
soggiungendo (comma 5) che “la direzione dei lavori può essere costituita
anche nella forma del gruppo misto di direzione formato da dipendenti
dell’Amministrazione e da professionisti esterni”.
Deve aggiungersi che la normativa in riferimento prevede,
in forza del richiamo contenuto nel citato art. 22 (terzo comma) alla
disposizione di cui all’art. 20 (terzo comma) della medesima L.P. n.
23/1996, solo nel caso “di interventi comportanti la soluzione di
complesse questioni tecniche” ovvero “in caso di esigenze
organizzative delle Amministrazioni aggiudicatrici determinate da carenze
anche temporanee di organico o di competenze specifiche, attestate
motivatamente dai dirigenti dei servizi competenti d’intesa con il dirigente
generale” la possibilità di avvalersi, anche parzialmente, di soggetti
di riconosciuta e specifica competenza.
In definitiva, solamente in presenza di comprovate carenze
organizzative, da attestarsi, motivatamente, dai dirigenti dei servizi,
l’Amministrazione può avvalersi di professionisti esterni, eventualmente
costituendo una direzione lavori nella forma del gruppo misto di direzione,
di cui all’art. 22 cit., o, nell’ipotesi non sussistano i presupposti per
tale soluzione intermedia, esternalizzando totalmente l’incarico.
Va, poi, evidenziato come la normativa provinciale di cui alla L.P. n.
26/1993 all’art. 22, comma 6, preveda la possibilità sia di tenere unite che
di separare le funzioni di direzione lavori e di coordinamento della
sicurezza (mentre la successiva L.P. n. 2 del 09.03.2016, all’art. 10,
recante “disposizioni per la progettazione e gli incarichi relativi
all’architettura e all’ingegneria”, opta per una tendenziale separazione
prevedendo che “gli incarichi di coordinatore per la sicurezza sono
affidati ad un soggetto diverso dal progettista e dal direttore dei lavori,
a meno che il responsabile del procedimento non ritenga opportuna la
coincidenza tra queste due figure”).
Sul punto giova ricordare la diversità dei compiti
assegnati alle figure del direttore dei lavori e del coordinatore
della sicurezza, considerato che il primo è preposto alla
direzione ed al controllo tecnico, contabile e amministrativo
dell’esecuzione dell’intervento mentre il secondo è tenuto a
verificare durante la realizzazione dell’opera, ex art. 92, comma 1, del
D.lgs. n. 81/2008, l’idoneità del Piano di Sicurezza e la corretta
applicazione delle relative procedure di lavoro, a controllare che le
imprese esecutrici adeguino i rispettivi piani operativi, segnalando al
committente ed al responsabile dei lavori le eventuali
inosservanze nonché sospendendo i lavori in caso di pericolo grave ed
imminente.
2.4 Tanto premesso con riguardo al quadro normativo di riferimento,
appare evidente come la richiamata disciplina preveda precisi limiti
all’esternalizzazione delle attività tecniche ed obblighi l’Amministrazione
a motivare congruamente gli affidamenti esterni, supportando la scelta con
una previa istruttoria, compiuta dal settore competente, in ordine alle
oggettive carenze di organico, strumentali o alle altre specifiche ragioni
che, per legge, possono giustificare la scelta di gravare l’Amministrazione
di un costo aggiuntivo per svolgere un’attività rientrante nei compiti di
ufficio.
Deve, altresì, rilevarsi come la giurisprudenza contabile
abbia, in più occasioni, rimarcato che le lacune procedurali che inficiano
gli atti di conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni alla P.A.,
rilevabili per il tramite della carenza della motivazione del provvedimento
-allorché il Legislatore ponga agli amministratori pubblici determinati
vincoli di spesa, ritenendo implicitamente non utili tutte quelle spese che
non rispettino i limiti da esso posti- non rappresentano meri vizi, con
incidenza circoscritta alla sfera di legittimità del provvedimento, ma
rendono ingiustificata e, perciò, tendenzialmente dannosa la stessa
erogazione di denaro pubblico
(Corte conti, Sezione Prima Centrale di Appello n. 224/2017; id. Sezione
Appello Sicilia n. 48/2017).
Ciò posto, osserva il Collegio come la delibera di Giunta municipale n.
19/2016 -votata dai convenuti We.Si., Se.Si., Gi.Pa., Va.Gi., Va.Or., Va.Ma.
e la cui legittimità è stata avallata dal Segretario comunale dott. Gi.- non
rechi alcuna motivazione, così come invece previsto dalla stessa L.P. n.
26/1993, in ordine all’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse
interne dell’Ufficio Tecnico Comunale, risultando del tutto inconferente la
circostanza, evidenziata nella parte motiva del provvedimento, che il
geometra cui veniva affidato la direzione lavori ed il coordinamento della
sicurezza avesse già redatto la progettazione esecutiva dell’opera in base
ad un precedente incarico.
Pertanto, la questione dedotta in giudizio integra la
fattispecie esaminata dalla citata giurisprudenza, ovvero il caso di una
delibera assunta in assenza di qualsiasi congrua motivazione rispetto ai
vincoli espressamente previsti dal Legislatore per il conferimento di
incarichi esterni.
Oltre all’indiscutibile illegittimità della delibera, e
conseguente antigiuridicità della condotta dei convenuti, risulta altresì
provata in atti la concreta dannosità della scelta di gravare
l’Amministrazione di costi indebiti, rinunciando ad avvalersi, anche
parzialmente, come consentito dalla L.P. n. 26/1993, delle prestazioni
lavorative dei numerosi e qualificati dipendenti in servizio presso
l’Ufficio Tecnico.
Giova, in proposito, ricordare come nei compiti ordinari di tali dipendenti
rientrasse, in base alle stesse indicazioni contenute nel P.E.G. (cfr. punto
E.1/Adempimenti amministrativi e tecnici) l’attività relativa al “progettare/dirigere
e controllare sotto il profilo della sicurezza le opere di competenza
dell’Ufficio secondo le indicazioni dell’Amministrazione”.
Al fine di provare, in giudizio, la pretesa impossibilità del personale
interno di svolgere le ricordate funzioni ordinarie, i convenuti hanno
prodotto le dichiarazioni rese, in data 27/09/2017, dai dipendenti
dell’Ufficio Tecnico.
Questi ultimi hanno riferito, in particolare, di non disporre
dell’apparecchiatura necessaria per verificare l’inclinazione delle tubature
e di non aver avuto il “tempo necessario” per occuparsi della
prestazione esternalizzata, in quanto tale attività li avrebbe distolti “dalle
incombenze ordinarie”. Inoltre, hanno dichiarato di non aver mai
acquisito le certificazioni in materia di sicurezza.
Rileva il Collegio come in tali dichiarazioni non siano state indicate
dettagliatamente né le altre incombenze asseritamente preclusive
dell’espletamento delle mansioni rientranti negli ordinari compiti
dell’Ufficio Tecnico, né il costo dell’attrezzatura mancante, né tanto meno
l’incidenza dell’utilizzo di tale strumentazione nell’ambito dell’attività
esternalizzata.
Con riguardo, poi, alla dichiarazione dei dipendenti concernente la
mancanza, all’atto dell’assunzione della delibera n. 19/2016, dei requisiti
per svolgere il ruolo di Coordinatore della sicurezza, di cui all’art. 98
del Dlgs n. 81/2008 -non avendo i dipendenti dell’U.T.C. mai frequentato i
previsti corsi e, quindi, acquisito la necessaria certificazione- deve
rilevarsi come tale carenza non precludesse, vista la possibilità di
separare le funzioni di D.L. e di Coordinatore della sicurezza, di affidare
ad almeno uno dei numerosi professionisti interni (tre geometri ed un
architetto), l’attività di direzione lavori.
In ragione di quanto innanzi esposto, devono ritenersi
integrati i presupposti della responsabilità amministrativa dei convenuti.
In primo luogo, non appare revocabile in dubbio che la
condotta dei componenti della Giunta comunale e dal Segretario comunale sia
stata gravemente lesiva degli obblighi di servizio, contrastando non solo
con la chiara normativa in materia di conferimento di incarichi esterni
nell’ambito dei lavori pubblici, ma anche con il generale criterio
dell’autosufficienza dell’organizzazione amministrativa e, in definitiva,
con i principi di efficienza, efficacia ed economicità nonché di legalità e
buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.).
La violazione di tali basilari principi, sotto il profilo dell’elemento
soggettivo, costituisce indice sintomatico di grave trascuratezza,
negligenza ed imperizia nell’esercizio delle funzioni demandate agli
amministratori comunali oltre che al segretario comunale, cui spetta il
compito di vigilare sulla legittimità dell’azione amministrativa.
Non ritiene, invece, il Collegio che le evidenze processuali dimostrino che
i componenti della Giunta comunale ed il Segretario abbiano mantenuto in un
voluto stato di inefficienza organizzativa l’Ufficio Tecnico comunale e che,
in particolare, secondo quanto affermato dal Pubblico Ministero, “la
mancata acquisizione (…) dell’attestato inerente al coordinamento sicurezza
(benché normale bagaglio del geometra professionista) risponda alla precisa
volontà dell’Amministrazione di favorire professionisti esterni (con la
connivenza delle risorse interne dell’Ufficio Tecnico Comunale)”.
Si osserva, in proposito, come la reiterazione degli incarichi nel biennio
2015/2016, enfatizzata dal Requirente, non sia di per sé sufficiente a
provare il prospettato “concorso” illecito volto a favorire soggetti
terzi.
La totale mancanza di una motivazione che potesse
giustificare l’affidamento dell’incarico esterno consente,
invece, di ritenere provato l’elemento psicologico della
colpa grave in capo ai convenuti, reso evidente dalla superficialità con la
quale è stata disposta, in palese violazione degli obblighi di servizio e
della normativa di riferimento, una rilevante spesa gravante sul bilancio
comunale senza il preventivo accertamento dell’impossibilità oggettiva di
utilizzare le risorse umane interne.
Tale circostanza risulta evidenziata nella stessa relazione del dirigente
del Servizio Autonomie Locali della Provincia Autonoma di Trento ed è
accennata anche nelle dichiarazioni rese innanzi al P.M, in data 24/10/2017,
dal consigliere comunale che ha dato avvio, con il proprio esposto,
all’indagine della Procura contabile.
Reputa il Collegio che quest’ultima acquisizione istruttoria, contrariamente
a quanto sostenuto dalle parti convenute, sia stata ritualmente assunta
dalla Procura Regionale in piena osservanza dell’art. 67, settimo comma, del
Codice di Giustizia Contabile. Disposizione, quest’ultima, che consente
all’Inquirente di svolgere attività istruttoria anche successivamente
all’invito a dedurre nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, vi
sia stata la necessità di compiere accertamenti su ulteriori elementi di
fatto emersi a seguito delle controdeduzioni.
Vanno pertanto respinte le eccezioni delle difese in ordine
all’inutilizzabilità di tale atto istruttorio, dovendo altresì rilevarsi
come il contenuto di tali dichiarazioni non risulti, peraltro, determinante
al fine del decidere, emergendo per tabulas l’illegittimità della
delibera di Giunta.
2.5 Non è poi revocabile in dubbio il danno subito dal Comune di Cavalese
che, in esecuzione dell’illegittima delibera n. 19/2016, ha sostenuto, per
remunerare il professionista esterno, la complessiva spesa di euro
17.472,02, di cui euro 13.057,98 per la direzione lavori ed euro 4.414,04
per l’attività di coordinamento della sicurezza.
Ai fini della misura del risarcimento eziologicamente imputabile alla
condotta dei convenuti ritiene poi il Collegio, per le considerazioni che si
andranno di seguito ad esporre, di addivenire ad una minore quantificazione
rispetto al petitum richiesto da parte attrice.
Giova, al riguardo, premettere che nel giudizio di
responsabilità amministrativa, ove si tratti di responsabilità per colpa
grave, la natura personale e parziaria dell’obbligazione risarcitoria
consente al Giudice di tener conto di eventuali comportamenti concorrenti di
soggetti estranei al giudizio che costituendo, anche in parte, il motivo
dell’insorgenza del nocumento lamentato dall’Amministrazione riducano la
responsabilità del convenuto
(Corte conti, Sezione Prima Centrale d’Appello n. 435/2015; id. Sezione
Seconda Centrale d’Appello n. 156/2013; id. Sezione Terza Centrale d’Appello
n. 156/2010).
Sostanzialmente ricognitiva di tale orientamento giurisprudenziale risulta
la disposizione di cui all’art. 83 del Codice di Giustizia Contabile (D.L.gs.
n. 174/2016) che, pur vietando la chiamata in giudizio su ordine del
Giudice, gli consente di eseguire un accertamento incidentale su eventuali
condotte concausali, ai soli fini dell’esatta determinazione delle quote di
danno da porre a carico dei soggetti evocati in giudizio, con l’ulteriore
previsione, nei casi in cui emergano fatti nuovi rispetto a quelli posti a
base dell’atto introduttivo -circostanza, quest’ultima non concretatasi nel
caso di specie- della trasmissione degli atti al P.M.
Nello specifico, il danno azionato in via principale da parte attrice appare
il frutto del concorso di diverse responsabilità imputabili ai vari organi
dell’Ente, tra le quali vanno considerate anche quelle riferibili alle
evidenti disfunzioni organizzative presenti nell’Ufficio Tecnico Comunale.
A tal proposito è significativo rilevare come nessuno dei dipendenti in
servizio presso tale Ufficio, in possesso dei prescritti requisiti (diploma
di geometra o di laurea in architettura), abbia mai partecipato ai corsi
necessari a conseguire le certificazioni in materia di coordinamento della
sicurezza dei lavori pubblici, nonostante nei compiti ordinari degli stessi
rientrasse quello di “controllare sotto il profilo della sicurezza le
opere di competenza dell’Ufficio secondo le indicazioni dell’Amministrazione”
(cfr. PEG 2015 e 2016).
A tale carenza della formazione del personale, con riguardo
al delicato e rilevante settore della sicurezza delle opere comunali, così
come con riferimento alla generale efficienza del Settore, avrebbero dovuto
porre cura e rimedio, in primo luogo, i responsabili dell’Ufficio Tecnico.
Oltre che del cennato contributo causale da parte di soggetti estranei al
giudizio, ai fini della corretta imputazione del danno ai convenuti, reputa
il Collegio di considerare anche la parziale utilitas conseguita
dall’Amministrazione danneggiata in relazione allo svolgimento dell’attività
concernente il coordinamento della sicurezza dei lavori, remunerata al
geometra incaricato con l’importo di euro 4.414,04, che i dipendenti
dell’Ufficio Tecnico, oggettivamente, non potevano svolgere in relazione al
provato mancato conseguimento delle necessarie certificazioni previste
dall’art. 98 del D.Lgs. n. 81/2008.
Come evidenziato da recente giurisprudenza del Giudice di appello, con la
norma di cui all’art. 1, comma 1-bis. della legge n. 20/1994 –secondo la
quale “nel giudizio di responsabilità, fermo restando il
potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti
dall’amministrazione di appartenenza o da altra amministrazione, o dalla
comunità amministrata, in relazione al comportamento degli amministratori o
dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”-
il Legislatore ha inteso affermare la natura sostanziale, e non meramente
formale, della responsabilità amministrativa, sicché il
Giudice contabile non può “denegare l’ingresso alla valutazione dei
vantaggi conseguiti dall’Amministrazione sul presupposto dell’illegittimità
delle condotte, poiché trattasi di un ragionamento tautologico, che esclude
l’inequivoca applicazione dell’art. 1-1-bis della legge n. 20 del 1994”
(cfr. Sezione Prima Centrale d’Appello n. 508/2017).
Ciò posto, in accoglimento della domanda risarcitoria formulata in via
principale dal Pubblico Ministero -e ritenuta assorbita la domanda
subordinata prospettata dal Requirente “solo in via meramente secondaria”
con riferimento al danno alla concorrenza (da ritenersi, quest’ultimo, non
provato)- reputa il Collegio che il danno imputabile alle condotte
gravemente colpevoli dei convenuti, con riguardo al nocumento derivato al
bilancio del Comune di Cavalese per la violazione della normativa in materia
di incarichi esterni, debba limitarsi, per le ragioni innanzi esposte
(concorso causale nel danno da parte di soggetti estranei al giudizio e
parziale utilitas conseguita dal Comune) alla quota del 50% del
richiesto importo di condanna.
Non sussistono, invece, i presupposti per l’applicazione del generale potere
riduttivo, in relazione all’evidente gravità delle condotte, per la
macroscopica violazione delle procedure di legge concernenti l’esternalizzazione
degli incarichi.
Conclusivamente, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione,
deve disporsi la condanna dei convenuti al pagamento, in favore del Comune
di Cavalese, del complessivo importo di euro 8.736,00
(ottomilasettecentotrentasei/00), da suddividersi in parti uguali fra gli
stessi (per un settimo ciascuno, ovvero euro 1248,00 a carico di ogni
convenuto). Tale importo va maggiorato della rivalutazione monetaria dalla
data dell’indebito esborso (di cui al mandato di pagamento n. 1051 del
06/04/2017) sino alla pubblicazione della sentenza e degli interessi legali,
sulla sorte capitale rivalutata, da quest’ultima data all’effettivo
soddisfo.
In ragione della soccombenza in giudizio, i convenuti sono condannati al
pagamento, in solido, delle spese di giudizio in favore dello Stato nella
misura determinata in dispositivo.
In ordine alle statuizioni di condanna nei confronti dei convenuti si
ordina, a cura della Segreteria, la spedizione di copia della presente
sentenza in forma esecutiva all’ufficio del P.M., ai sensi dell’art. 212 del
Codice di Giustizia Contabile (D.Lgs. n. 174/2016), per gli ulteriori
incombenti di sua competenza di cui agli artt. 213 e seguenti C.G.C.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei Conti,
Sezione Giurisdizionale per il Trentino Alto Adige/Südtirol - sede di
Trento, definitivamente pronunciando, condanna i convenuti
We.Si., Se.Si., Gi.Pa., Va.Gi., Va.Or., Va.Ma. e Gi.Ma. al pagamento, da
suddividersi in parti uguali fra gli stessi, della complessiva somma di euro
8.736,00 (ottomilasettecentotrentasei/00) in favore del Comune di Cavalese,
oltre rivalutazione monetaria, per come in motivazione, ed interessi legali
dalla pubblicazione della sentenza all’effettivo soddisfo e, per l’effetto,
li condanna in solido al pagamento delle spese di giudizio in favore dello
Stato, che sono liquidate in euro 1.083,36
(euro milleottantatre/36)
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 21.09.2018 n. 34). |
SEGRETARI COMUNALI: Danno
erariale al segretario che si è liquidato indennità non dovute.
La retribuzione di direttore generale in Comuni con meno di 100mila
abitanti, le indennità di risultato senza che siano stati fissati
precedentemente gli obbiettivi e la retribuzione individuale di anzianità
non dovuta sono le poste di danno attribuite in via diretta al beneficiario
che in qualità di segretario comunale rivestiva una posizione che
costituisce la massima espressione amministrativa di un ente locale.
Queste sono le indicazioni della Corte dei conti della Toscana con la
sentenza
07.09.2018 n. 217.
I fatti contestati
La procura erariale ha contestato al sindaco e al segretario comunale
l'erogazione di compensi non dovuti e in particolare, un'indennità di
direttore generale fuori dai presupposti previsti dalle norme, l'erogazione
della retribuzione di risultato massima nonostante la mancata assegnazione
di obiettivi ex ante e, infine, l'erogazione di una retribuzione individuale
di anzianità interamente recuperabile in quanto avvenuta con occultamento
doloso e quindi non prescritta.
A seguito delle deduzioni del sindaco che aveva anche richiesto un parere a
un avvocato esterno in merito alle indennità corrisposte, la Procura ne ha
escluso la responsabilità concentrando la propria attenzione sul solo
segretario comunale anche in considerazione della sua peculiare posizione di
massima espressione amministrativa di un ente locale.
Il segretario ha
impostato la sua difesa sul maggior danno erariale della Ria evidenziando
l'archiviazione del fatto doloso da parte della procura penale. La Corte dei
conti, ha ribadito l'indipendenza del giudizio contabile su quello penale, e
ha condiviso le proposte di danno erariale così come formulate dalla
procura.
Sulla retribuzione di direttore generale
In merito alla retribuzione aggiuntiva di direttore generale, il collegio
contabile ha rilevato come la figura del direttore generale, che
precedentemente poteva anche essere attribuita al segretario comunale con
specifica indennità, è stata eliminata dalla legge 191/2009 per i comuni con
meno di 100mila abitanti. Pertanto le retribuzioni corrisposte e non dovute,
per gli anni non prescritti, sono state considerate danno erariale da
addebitare alla convenuta.
Sulla retribuzione di risultato
L'altra posta di danno è l'erogazione della retribuzione di risultato che le
disposizioni contrattuali (articolo 42 del Ccnl del 16.05.2001)
correlano al grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati con
valutazione dei risultati conseguiti e verifica e definizione di meccanismi
e strumenti di monitoraggio dei costi, dei rendimenti e dei risultati. La
norma richiede la preventiva assegnazione di obiettivi specifici, il
successivo accertamento dei risultati raggiunti e infine la fissazione di
parametri per la corretta misurazione degli stessi risultati.
Alla richiesta della procura di fornire documentazione in merito, il
segretario non ha chiarito in alcun modo i criteri e gli indicatori
utilizzati per la valutazione, in difformità da quanto stabilito sia in sede
amministrativa che giudiziaria (parere Aran n. Seg-026; parere del ministero
dell'Interno 30.11.2012; delibera Corte dei conti Lombardia n. 63/2008
e sentenza Corte dei conti Lazio n. 71/2018).
Sull'importo della Ria
L'ultima posta di danno erariale accertata si riferisce alla maggior quota
di Ria percepita, che sulla base di una certificazione della convenuta era
stata fissata in 167 euro mensili anziché annuali come sarebbe dovuta
essere. La presenza dell'autocertificazione rende dolosa l'attribuzione
della maggiore retribuzione e conseguentemente annulla l'effetto della
prescrizione permettendo quindi di effettuare i conteggi del danno
sull'intero periodo.
In particolare, gli addebiti mossi alla convenuta
partono dall'occultamento doloso e dalla dichiarazione resa all'ente. Il
dolo è configurato non solo nel fatto che il segretario comunale non ha
ottemperato all'obbligo giuridico di informare, ma anche perché ha adottato
comportamenti volti a perpetrare l'inganno comunicando fatti non
corrispondenti al vero e creando un illecito affidamento
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 24.09.2018). |
SEGRETARI
COMUNALI: Danno
erariale ridotto al segretario che sbaglia per «troppo lavoro».
L'ingiustificato aumento delle fatture di lavori di somma urgenza liquidati,
senza la necessaria procedura prevista per i debiti fuori bilancio,
rappresenta danno erariale da addebitare al responsabile del servizio.
La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regionale Abruzzo, con la
sentenza 06.09.2018 n. 109 ha, tuttavia, mostrato
clemenza nei confronti del segretario comunale in quanto oberato da troppi
incarichi.
La vicenda
Un segretario comunale a scavalco di un Comune, cui erano state affidate
anche le funzioni di responsabile dei lavori pubblici, è stato rinviato a
giudizio contabile per aver liquidato fatture, a seguito di lavori affidati
in somma urgenza per il rifacimento della rete idrica, senza procedere al
riconoscimento del debito fuori bilancio, in assenza di impegni nell'anno di
riferimento e per importi superiori a quelli affidati.
In particolare, ha
osservato la Procura contabile, la violazione dell'articolo 191, comma 4, del Tuel sul riconoscimento del debito fuori bilancio non ha consentito al
consiglio comunale di valutare l'utilità ricevuta, violando il principio
contabile dell'impegno di spesa. Inoltre, le maggiori spese liquidate e
richieste dalla società appaltatrice risultavano superiori agli importi dei
lavori affidati all'inizio, senza alcuna verifica sulla correttezza degli
importi maggiori successivamente richiesti.
La Procura, dall'importo complessivo ha, tuttavia, scomputato un valore pari
al 40% in compresenza del parere del responsabile finanziario che aveva
espresso il proprio parere positivo, per un importo di danno quantificato, a
seguito della riduzione, in circa 6.577 euro. Secondo il convenuto,
tuttavia, il suo comportamento è stato indirizzato al perseguimento
dell'interesse pubblico; i pagamenti effettuati hanno permesso, in ogni
caso, di evitare la richiesta dei danni che la rete idrica fatiscente e la
strada dissestata e franata avrebbero causato.
La conferma del danno
Secondo i giudici contabili è indubbio che le spese sopportate dall'ente
locale fossero maggiori di quelle inizialmente affidate alla ditta, ma la
colpa grave è consistita anche nella violazione delle cogenti norme di
carattere amministrativo-contabile e sulle somme pagate praticamente «sulla
fiducia», in difetto di una rituale constatazione della effettiva natura e
della regolare esecuzione delle prestazioni fatturate.
In altri termini, non
può non essere addebitato al segretario comunale la corretta procedura che
avrebbe dovuto essere effettuata per i mancati impegni di spesa e,
soprattutto, del riconoscimento del debito fuori bilancio e
dell'accertamento di effettiva utilità da parte del consiglio comunale dei
lavori effettuati.
La riduzione disposta dal collegio contabile
Accertato il danno erariale, per oggettiva responsabilità del segretario
comunale, tuttavia, il danno quantificato dalla Procura deve essere
sostanzialmente ridotto, con massima ampiezza del potere attribuito alla
Corte dei conti.
Nel caso di specie, precisa il Collegio contabile
abruzzese, oltre all'abbattimento già disposto dalla Procura in merito alla
compartecipazione del danno da parte del responsabile finanziario, militano
per altre riduzioni anche la condizione lavorativa del segretario comunale
impegnato «a scavalco» in più enti locali contemporaneamente e
onerato della responsabilità del servizio Lavori Pubblici presso il Comune
cui il danno è stato recato.
Queste condizioni impongono una riduzione pari a circa il 70% del danno lui
attribuito, mediante un importo addebitabile di 2.000 euro rispetto ai 6.577
del danno complessivo attribuito
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 13.09.2018).
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MASSIMA
L’azione di responsabilità è fondata, nei termini di seguito indicati.
Sostanzialmente incontestati i fatti di causa, per la parte che assume
rilievo ai fini del decidere, sussistono tutti gli elementi costitutivi
della responsabilità amministrativo-contabile.
Il convenuto era, all’epoca dei fatti, in rapporto di servizio con una
pubblica amministrazione, nella sua qualità di Segretario Comunale e
responsabile del servizio Lavori Pubblici del Comune di Bomba (CH).
Il danno è costituito dall’aggravio di spesa sopportato dall’ente locale in
relazione alla liquidazione e al pagamento di fatture in violazione delle
cogenti norme di carattere amministrativo-contabile richiamate in citazione
ed indicate in narrativa; si tratta, in buona sostanza, di somme pagate
praticamente “sulla fiducia”, in difetto di una rituale constatazione della
effettiva natura e della regolare esecuzione delle prestazioni fatturate,
divergenti in aumento rispetto ai preventivi originariamente assentiti,
nonché in mancanza non solo dei correlati impegni di spesa, ma anche del
riconoscimento del debito fuori bilancio e dell’accertamento di effettiva
utilità per l’ente dei lavori stessi.
Né vale per il convenuto eccepire la mancata prova della “disutilità” delle
opere realizzate o dell’assenza di causa dei pagamenti; a fronte delle
contestate violazioni e dell’assenza dei formali provvedimenti di
riconoscimento del debito e di accertamento dell’utilità, nonché in mancanza
dei verbali di regolare esecuzione dei lavori eseguiti, cioè in difetto
delle documentate procedure di legge, grava su di lui l’onere di dare
adeguata dimostrazione del fatto che le irregolarità in parola non hanno
prodotto alcun danno in concreto, cioè che i pagamenti possano essere
giustificati sul piano sostanziale.
A fronte di pagamenti non giustificati
secondo le procedure di legge, grava sulla Procura l’onere di provare
l’esecuzione del pagamento in assenza dei presupposti di legge, mentre il
convenuto dovrà dimostrare, in via d’eccezione, il sostanziale buon esito
della spesa, non potendosi pretendere dalla Procura la prova negativa della
assenza di utilità della spesa stessa.
L’elemento soggettivo della colpa grave, in capo al convenuto, è reso
evidente dalla violazione di elementari norme in materia di assunzione degli
impegni di spesa e di esecuzione dei lavori pubblici, come puntualmente
ricostruito nell’atto di citazione; al riguardo, la Sezione condivide ed
intende far integralmente proprie le considerazioni svolte dal Pubblico
Ministero.
Il nesso causale è insito nella diretta consequenzialità tra la negligente
condotta del convenuto (che, nella sua duplice veste di Segretario e di
responsabile del servizio Lavori Pubblici avrebbe dovuto sovrintendere ai
lavori in questione e non avrebbe dovuto liquidare le fatture in mancanza
dei presupposti di legge) e l’esborso sostenuto.
Sussistono, peraltro, nella fattispecie i presupposti per concedere una
cospicua riduzione dell’addebito, esercitando con la massima ampiezza il
potere in tal senso intestato alla Corte dei conti.
Invero, nel caso in questione, per quanto gravemente rimproverabile appaia
il comportamento del convenuto, deve tenersi conto anche del fatto che si è
trattato di una vicenda problematica, efficacemente descritta nella memoria
di costituzione, connotata dalla indifferibilità, urgenza e difficoltà dei
lavori, nonché dalla sussistenza di una previa ordinanza sindacale che ne
disponeva l’immediata esecuzione con oneri a carico del bilancio successivo;
v’era, in più, il parere favorevole della responsabile dei servizi
finanziari (per cui il Pubblico Ministero ha già riconosciuto lo scomputo di
una quota del 40% dell’addebito).
E’ altresì verosimile che, in mancanza di evidenze specifiche ed
incontrovertibili sul punto, le spese eseguite possano essere andate almeno
in parte a vantaggio della collettività amministrata.
Va considerata, ancora, la peculiare situazione del convenuto Segretario
comunale (della cui buona fede peraltro non si è mai dubitato) impegnato “a
scavalco” in più enti locali contemporaneamente e onerato della
responsabilità del servizio Lavori Pubblici presso il Comune di Bomba
all’epoca dei fatti.
Da ultimo, rilevano ragioni di equità.
La stessa Procura Regionale, in citazione, ha espresso parere favorevole
all’accesso al rito monitorio ed ha indicato, in via subordinata, un danno
di circa 2.300 euro, nell’eventualità che fosse accertata l’utilità per
l’ente dei lavori eseguiti.
Tutto ciò premesso e considerato, si ritiene di poter determinare in
complessivi euro 2.000,00 (da intendersi già comprensiva di accessori fino
alla data della sentenza) l’importo del danno da porre concretamente a
carico del convenuto. Spettano interessi legali dalla sentenza al saldo. |
luglio 2018 |
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SEGRETARI COMUNALI: Sui
diritti di rogito spunta il rischio debiti fuori bilancio.
Sui diritti di rogito spunta il rischio debiti fuori
bilancio.
È una delle possibili conseguenze della recente
deliberazione 30.07.2018 n. 18 con cui la sezione delle autonomie
della Corte dei conti (si veda ItaliaOggi del 27/07/2018) ha messo la parola
fine alla telenovela sulla spettanza di tali emolumenti, allineandosi
all'orientamento espresso dal giudice ordinario e modificando la propria
precedente interpretazione restrittiva.
Come noto (si veda ItaliaOggi del 22.04.2016), la questione nasce dall'art.
10, comma 2-bis, del dl 90/2014: esso dispone che i diritti di rogito
spettano «negli enti locali privi di dipendenti con qualifica
dirigenziale, e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno la
qualifica dirigenziale», in misura comunque non superiore a un quinto
dello stipendio in godimento.
Tale norma ha dato luogo a due interpretazioni diverse: da un lato, si è
affermato che l'emolumento competerebbe esclusivamente ai segretari di enti
di piccole dimensioni collocati in fascia C, dall'altro lato si è
argomentato che negli enti privi di personale con qualifica dirigenziale i
diritti spettano a prescindere dalla fascia professionale in cui è
inquadrato il segretario.
La magistratura contabile ha sposato la prima tesi, sebbene con non poche
oscillazioni che avevano reso necessario, come detto, un primo intervento
chiarificatore delle Autonomie con la
deliberazione 24.06.2015 n. 21.
Sul fronte opposto, si sono schierati compatti i tribunali del lavoro, che
aditi dai segretari esclusi hanno sempre accolto i ricorsi. Da qui, il
cambio di rotta, sollecitato dalla sezione regionale di controllo per il
Veneto e imposto dalla necessità di pervenire finalmente a una soluzione
definitiva «rispettosa di un principio di coerenza sistematica»
dell'ordinamento.
Insomma, la Corte si è adeguata, pur senza rinunciare a rimarcare le
differenze fra il proprio percorso valutativo e quello fatto proprio dal
giudice ordinario: mentre quest'ultimo privilegia, sulla base
dell'interpretazione letterale di una norma poco chiara, l'interesse
patrimoniale particolare della categoria dei segretari, la prima aveva
optato per un'interpretazione funzionale al conseguimento dell'interesse
pubblico a garantire maggiori entrate in favore degli enti locali.
A questo punto, quindi, i ragionieri possono procedere a liquidare i diritti
di rogito. Per il pregresso, è certamente legittimo l'utilizzo delle somme
che nel frattempo sono state prudenzialmente accantonate (anche se ciò ha un
impatto negativo sul pareggio di bilancio, almeno fino a che non saranno
recepite le pronunce della Consulta sulla piena disponibilità dell'avanzo).
Le amministrazioni che non avessero proceduto in tal senso, invece,
potrebbero trovarsi di fronte addirittura a dei debiti fuori bilancio,
avendo usufruito di un servizio (che si è scoperto poi essere) oneroso senza
le necessarie coperture. Si tratterebbe di un paradosso evidente, per
evitare il quale, però, è necessario forzare le attuali regole contabili.
Non è escluso, quindi, che la Corte debba tornare nuovamente sul tema (articolo
ItaliaOggi dell'08.08.2018). |
SEGRETARI COMUNALI:
In riforma del primo principio di diritto
espresso nella
deliberazione 24.06.2015 n. 21, alla luce della
previsione di cui all’art. 10, comma 2-bis, del d.l.
24.06.2014, n. 90, convertito, con modificazioni dalla legge
11.08.2014, n. 114, i diritti di rogito, nei limiti
stabiliti dalla legge, competono ai segretari comunali di
fascia C nonché ai Segretari comunali appartenenti alle
fasce professionali A e B, qualora esercitino le loro
funzioni presso enti nei quali siano assenti figure
dirigenziali.
---------------
5. La questione, all’esame della Sezione, ripropone il
quesito circa la riconoscibilità o meno -ancorché nei limiti
indicati dalla legge di riforma della materia de qua
(articolo 10, comma 2-bis, del d.l. n. 90/2014)- dei
proventi discendenti dall’attività rogatoria espletata dai
Segretari comunali, ove questi ultimi, ancorché appartenenti
alle fasce professionali A e B, esercitino le loro funzioni
presso enti nei quali siano assenti figure dirigenziali.
Occorre preliminarmente precisare che la necessità di un
ulteriore intervento da parte di questa Sezione si impone in
quanto le reiterate ed univoche, nel merito, pronunce del
giudice del lavoro, oltre a far prefigurare la, non remota,
possibilità di ulteriori repliche di tali pronunciamenti,
mettono in evidenza la progressiva disapplicazione di uno
dei due principi di diritto pronunciati da questa Sezione
nella ricordata delibera ed il diffondersi di aspetti di
disomogeneità e frammentarietà nei modi di risolvere la
medesima questione.
Si tratta di pronunce che, ovviamente, si fondano su un
percorso valutativo che si differenzia radicalmente da
quello della Sezione delle autonomie. Una differenza che
rileva sia in ordine alla situazione giuridica soggettiva
considerata nella tutela azionata dai segretari che
ricorrono al giudice del lavoro e cioè il diritto
patrimoniale soggettivo all’emolumento, sia per quel che
riguarda l’individuazione dei parametri normativi di
riferimento che portano all’accertamento costitutivo del
diritto alla percezione dei diritti di rogito, vale a dire
la verifica “tout court” del presupposto che dà
titolo all’attribuzione patrimoniale e cioè l’assenza di
figure dirigenziali nella sede di servizio. In sostanza si
evidenzia la funzione di reintegrazione del patrimonio del
ricorrente che si assume illegittimamente leso dal diniego
opposto dall’amministrazione di servizio al riconoscimento
di un diritto soggettivo perfetto.
Questa Sezione, nella
deliberazione 24.06.2015 n. 21 ha privilegiato,
invece, una interpretazione della norma funzionale al
conseguimento dell’interesse pubblico a garantire maggiori
entrate in favore degli enti locali che fa recedere
l’interesse (patrimoniale) particolare del segretario
comunale, “fatta salva l’ipotesi della fascia
professionale e della condizione economica che meno
garantisca il singolo segretario a livello retributivo”.
Ciò detto, il percorso argomentativo per una nuova
valutazione degli aspetti di diritto del tema posto deve
muovere dalla verifica di una compatibilità logica tra gli
aspetti sostanziali sottesi al consolidato indirizzo
giurisprudenziale che connota gli accertamenti costitutivi
del giudice del lavoro e quelli sottesi alla prospettazione
della questione che aveva indirizzato questa Corte
nell’analizzare l’articolo 10, comma 2-bis, del d.l. n.
90/2014 che è sfociato, poi, nella
deliberazione 24.06.2015 n. 21:
garantire, nell’ottica di un contemperamento tra due
interessi diversi, maggiori entrate agli enti locali, così
da salvaguardare un superiore interesse pubblico, qual è la
concreta tutela della finanza locale.
In sostanza, nel definire il perimetro dell’azione di
contemperamento disegnato dal legislatore con la previsione
legislativa in argomento, questa Sezione ha individuato due
aspetti meritevoli di tutela: garantire maggiori entrate
alle amministrazioni locali, salvaguardando, nel contempo,
gli specifici interessi patrimoniali della sola categoria
professionale dei Segretari comunali di fascia C, la cui
tutela rinviene la sua qualificazione in una finalità
perequativa necessaria a sopperire a situazioni stipendiali
meno favorevoli.
Opinando diversamente, il giudice del
lavoro, così come una parte della giurisprudenza delle
Sezioni regionali di controllo, nel privilegiare
l’interpretazione letterale della norma, hanno, al
contrario, ampliato l’area di legittimazione alla percezione
dei diritti di rogito, individuandone il presupposto
nell’assenza di figure dirigenziali nell’ente in cui è
prestato il servizio.
Logico corollario di tale assunto è,
pertanto, una dilatazione del suddetto contemperamento fino
al punto di prevenire il sacrificio di ulteriori posizioni
di vantaggio quali sono da considerare quelle dei segretari
comunali appartenenti alle fasce A e B che però prestano
servizio in enti privi di dirigenza.
In proposito vale considerare che,
verosimilmente, la ratio della disposizione non è da
individuarsi nella carenza in sé nell’ente di personale con
qualifica dirigenziale, circostanza che da sola non consente
di costruire concettualmente la logica dell’attribuzione, ma
nel fatto che tale carenza influisce sulla consistenza del
trattamento economico, tenuto conto della disciplina delle
sue specifiche componenti che risentono, nella loro
quantificazione, della correlazione alle dimensioni
dell’ente dove il segretario presta servizio.
Tale azione di conformazione della situazione di fatto alla
norma, prodotta dalle sentenze del G.O. in quanto declinata
in reiterate pronunce, assume la sostanziale consistenza di
parametro di valutazione alla luce del quale va ridefinito
il suddetto perimetro.
In questa operazione di rivisitazione del principio di
diritto espresso dalla Sezione delle autonomie nella
delibera più volte richiamata, si concretizza la verifica di
compatibilità tra indirizzo del giudice ordinario, del quale
non può non prendersene atto ed orientamento della Corte dei
conti. In altri termini il predetto
indirizzo assurge anch’esso, come appena ricordato, a
sostanziale parametro di riferimento oggettivo, in punto di
diritto, nella decisione della questione di massima.
Per le ragioni esposte ed in considerazione della
fondamentale regola di giudizio per cui è compito del
Giudice utilizzare ogni strumento ermeneutico che gli
consenta di pervenire ad una soluzione del caso sottoposto
al suo esame e rispettosa di un principio di coerenza
sistematica, si ritiene maggiormente
aderente ai motivati parametri di riferimento, in punto di
diritto, accedere ad una interpretazione letterale della
norma.
P.Q.M.
La Sezione delle autonomie della Corte dei conti,
pronunciandosi sulla questione di massima posta dalla
Sezione regionale di controllo per il Veneto con la
deliberazione 18.06.2018 n. 192, enuncia il
seguente principio di diritto:
“In riforma del primo principio di
diritto espresso nella
deliberazione 24.06.2015 n. 21, alla luce
della previsione di cui all’art. 10 comma 2-bis, del d.l.
24.06.2014, n. 90, convertito, con modificazioni dalla legge
11.08.2014, n. 114, i diritti di rogito, nei limiti
stabiliti dalla legge, competono ai segretari comunali di
fascia C nonché ai Segretari comunali appartenenti alle
fasce professionali A e B, qualora esercitino le loro
funzioni presso enti nei quali siano assenti figure
dirigenziali”
(Corte dei Conti, Sez. autonomie,
deliberazione 30.07.2018 n. 18). |
SEGRETARI COMUNALI: Diritti
di rogito a tutti i segretari. Se sono insediati in sedi comunali prive di
dirigenti. La sezione autonomie della Corte conti
fa dietrofront dopo anni di contenziosi e incertezze.
Diritti di rogito a tutti i segretari Diritti di rogito a tutti i segretari
comunali di qualsiasi qualifica, se insediati in sedi di comuni privi di
dirigenti. Si va verso un'interpretazione estensiva delle previsioni
contenute nell'articolo 10, comma 2-bis, del dl 90/2014, che ha inteso
abolire la compartecipazione ai diritti di rogito per i segretari comunali
operanti negli enti con qualifica dirigenziale.
La Corte dei conti, sezione delle autonomie (deliberazione 30.07.2018 n. 18), modificando di 180 gradi il
proprio avviso sul tema, espresso con la
deliberazione 24.06.2015 n. 21, da un lato
risolve un problema concreto che si trascina da anni, dall'altro torna a
porre in maniera molto forte il grave problema della funzione di controlli
cosiddetti collaborativi della Corte dei conti, regolati dall'articolo 7
della legge 131/2003.
Tale disposizione consente a regioni e comuni di richiedere alle sezioni
regionali di controllo pareri in materia di contabilità pubblica, che la
magistratura contabile esprime in assolvimento ai propri compiti di
collaborazione ai fini del coordinamento della finanza pubblica. Tuttavia,
con l'andare degli anni e, soprattutto, con il moltiplicarsi di una serie di
norme e regole dettate più da logiche di efficienza operativa e gestionale,
da una visione quasi esclusivamente finanziaria, si è tracciato un confine
molto forte tra le esigenze della cosiddetta amministrazione «attiva»,
consistente nel concreto agire, e l'amministrazione «consultiva», cui latamente poter ricondurre la funzione collaborativa della Corte dei conti,
che resta, comunque, giurisdizionale.
L'occhio attento in via esclusiva al coordinamento della finanza pubblica,
nel caso dei diritti di rogito ha creato un cortocircuito incredibile tra
funzione giurisdizionale della magistratura contabile, funzione
amministrativa e giurisdizione civile.
I comuni, infatti, sono stati investiti dalle richieste, legittime, dei
segretari di ottenere il pagamento della compartecipazione ai diritti di
rogito, ma hanno negato queste richieste, col problema, però, di accantonare
le somme in vista di possibili vertenze davanti al giudice civile. Le cause
non sono certo mancate e a partire dal 2016 le sentenze dei giudici del
lavoro favorevoli ai segretari e fortemente critiche nei confronti della
Corte dei conti si sono moltiplicate.
Un caos che ha prodotto tensioni, ma soprattutto costi amministrativi e
giudiziari che oggettivamente sono andati ben al di là degli effetti sulla
finanza pubblica che si volevano preservare: senza dimenticare che i
segretari comunali compartecipano ad un'entrata, dunque i diritti di rogito
sono integralmente e abbondantemente finanziati.
Si tratta di un cortocircuito già visto ormai troppe volte. Lo stesso è
accaduto per gli incentivi per le funzioni tecniche: anche qui la sezione
autonomie ha prima ritenuto che fossero al di fuori del tetto della spesa
per il salario accessorio, per poi cambiare opinione, dopo aver indotto il
legislatore ad una sorta di interpretazione autentica con la legge di
bilancio 2018. Ancora aperti sono i problemi sulla qualificazione della
spesa per gli incarichi dirigenziali a contratto: mentre la legge esclude la
spesa conseguente ai contratti a termine regolati dall'articolo 110 del dlgs
267/2000 dal tetto alla spesa per lavoro flessibile, la sezione autonomia è
rimasta ancora all'inclusione di tale spesa nel vincolo, ma molte sezioni
regionali contraddicono questa visione.
Di recente, la sezione Puglia ha aperto un nuovo fronte di confusione: ha
ritenuto priva di efficacia la dichiarazione congiunta n. 5 al Ccnl
21.05.2018, il cui scopo consiste nell'escludere che l'articolo 67, comma 7,
del contratto possa essere letto nel senso di scaricare sul fondo della
contrattazione decentrata i maggiori oneri per le posizioni di sviluppo
derivanti dalle progressioni orizzontali e per l'indennità annua di euro
83,20 che scatta dal 2019.
La funzione «collaborativa» della Corte dei conti finisce troppe volte per
scontrarsi con esigenze di carattere sostanziale o con la visione di altre
giurisdizioni. La legge 131/2003 sconta il vizio, per altro, dell'assenza di
contraddittorio: i pareri vengono resi dalla magistratura contabile senza
sentire alcuna controparte. Né sui pareri, essendo espressi nell'esercizio
di una funzione giurisdizionale, sono ammessi gravami o ricorsi.
Insomma, se non ci ripensa la stessa magistratura contabile, quanto espresso
con le delibere resta invariabile: le amministrazioni non ritengono di avere
la forza per superare con ragionate motivazioni i contenuti di quelli che,
comunque, restano pareri. E così, magari per anni, come avvenuto con i
diritti di rogito, si esacerba lo scontro tra giurisdizioni e si innescano
contenziosi e costi. Un ripensamento di questo sistema appare ormai non
rinviabile (articolo
ItaliaOggi del 27.07.2018). |
aprile 2018 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI - CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI
COMUNALI: Per
l’omissione di atti d’ufficio bastano 30 giorni di ritardo.
Perché possa dirsi consumato il delitto di omissione di atti d'ufficio
disciplinato dall’articolo 328, comma 2, del codice penale, è sufficiente
che siano trascorsi 30 giorni dalla diffida rivolta dal privato alla Pa
affinché adotti l'atto richiesto, senza che il pubblico ufficiale competente
gli abbia almeno esplicitato le ragioni del ritardo.
Non rileva, invece, che siano già scaduti i termini per la conclusione del
procedimento amministrativo dal momento che l'illecito penale prescinde
dalla consumazione di un illecito amministrativo.
È questo il principio di diritto enunciato dalla sesta sezione penale della
Corte di Cassazione, Sez. VI penale, con la
sentenza
18.04.2018 n. 17536.
La vicenda
Il caso riguardava un cittadino di un Comune della provincia di Roma che
aveva formalmente «messo in mora» la municipalità intimandola entro
30 giorni dalla propria richiesta a porre in essere quanto necessario per
realizzare le opere di urbanizzazione (una strada).
L'ente locale non forniva nel termine indicato alcun riscontro, e il
cittadino inviava al Comune un atto «di significazione e diffida».
Veniva pertanto aperto un procedimento penale a carico del sindaco e del
responsabile dell'ufficio tecnico.
Il Gup del Tribunale di Tivoli faceva però cadere l'accusa con la
motivazione che non vi fossero gli estremi per ritenere integrato il delitto
di omissione di atti d'ufficio in quanto all'attivazione del privato non
poteva riconoscersi la natura di «diffida ad adempiere» ma quella di
«originaria richiesta» inviata a un ente pubblico, sulla quale l'ente
avrebbe dovuto provvedere nel termine previsto dall'articolo 2 della legge
241/1990 per la definizione dei procedimenti amministrativi, pari a 30
giorni salvo diverse disposizioni. Sempre ad avviso del Tribunale, decorso
inutilmente il termine amministrativo, perché si perfezionasse il reato
occorrevano poi l'ulteriore messa in mora della Pa e il suo persistente
silenzio all'esito del decorso del termine supplementare di altri trenta
giorni stabilito dalla legge penale.
La decisione
Tesi tuttavia sconfessata dai Giudici di Piazza Cavour secondo i quali i due
termini (amministrativo e penale) sono pienamente sovrapponibili, sicché la
mancata adozione del provvedimento da parte del funzionario pubblico entro
il lasso temporale ordinario di 30 giorni sancito dalla legge 241/1990
implica sia il prodursi del silenzio-inadempimento della Pa, denunciabile al
Tar, sia la consumazione della condotta omissiva penalmente rilevante
secondo l’articolo 328, comma 2, del codice penale, laddove la Pa oltre a
non adottare l'atto richiesto, neppure formuli una risposta negativa per
spiegare le ragioni del ritardo.
Va detto che la ricostruzione della Cassazione può determinare effetti
paradossali ove si consideri che la Pa, nella stragrande maggioranza dei
casi, ha facoltà di concludere il procedimento in un termine superiore a
trenta giorni, che a norma dell'articolo 2 della legge 241/1990 trova
applicazione solo nei casi in cui l'Amministrazione interessata non abbia
provveduto con regolamento a determinarne uno diverso, che normalmente è più
lungo (di regola, in base alla stesso articolo 2, può raggiungere i 180
giorni).
Aderendo alla tesi della Corte di legittimità, potrebbe allora capitare che
il funzionario responsabile rimasto silente a fronte di una richiesta del
privato, trascorsi 30 giorni, possa essere chiamato a rispondere del reato
di omissione di atti d'ufficio pur versando in una situazione assolutamente
lecita sul piano amministrativo, disponendo di altro tempo per provvedere
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 24.04.2018).
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RITENUTO IN FATTO
1. Lu.Ch., persona offesa costituita parte civile, ricorre avverso la
sentenza di cui in epigrafe emessa dal G.u.p. di Tivoli con cui, all'esito
dell'udienza preliminare, ha dichiarato non doversi procedere perché il
fatto non sussiste nei confronti degli imputati Ri.Ma. e Ca.Lu.,
rispettivamente sindaco e responsabile dell'ufficio tecnico del comune di
Riano, per non aver dato seguito, nel termine di trenta giorni, all'atto di
«significazione e diffida» per la realizzazione di opere di
urbanizzazione primaria e secondaria, nonché per l'adozione di misure ex
art. 53 d.lgs. n. 267/2000, nella zona della via della Valle del Fiume di
Ponte Sodo, in Riano nel novembre del 2013.
2. Il ricorrente, per il tramite del difensore, deduce vizi di motivazione e
violazione dell'art. 328, secondo comma, cod. pen. a mente dell'art. 606,
comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in ordine alla ritenuta
insussistenza del reato di omissione di atti d'ufficio, in presenza di un
obbligo di provvedere in capo all'amministrazione su cui si sia formato il
silenzio-inadempimento, nonché in relazione alla portata del requisito
strutturale della diffida ad adempiere. Si cesura quanto rilevato dalla
motivazione della sentenza secondo cui, dopo la richiesta di adempiere,
formatosi il silenzio-inadempimento al decorso dei 30 giorni, sarebbe dovuta
seguire, ai fini dell'integrazione della fattispecie contestata, una
ulteriore diffida, consumandosi il reato al decorrere di ulteriori 30 giorni
senza che l'amministrazione avesse provveduto o fornito al privato i motivi
del ritardo.
La decisione connessa alla formazione del silenzio-inadempimento conseguente
all'omessa evasione della diffida, si osserva, è situazione affatto simile
all'integrazione del reato che prescinde dalla tutela amministrativa, che
nel caso di specie ha condotto alla declaratoria di annullamento del
silenzio-inadempimento.
Sussistendo l'obbligo da parte dell'amministrazione di provvedere in quanto
direttamente derivante dalla legge, obbligo anche enunciato in diffida con
pedissequa riproduzione dei profili normativi di riferimento, non era
neppure necessaria la previa apertura del procedimento, con conseguente
immediata consumazione del reato al decorso dei 30 giorni, senza che
l'amministrazione avesse provveduto sull'stanza o comunicato le ragioni del
ritardo.
Né poteva porsi un problema connesso alla qualificazione dell'atto inviato
che indicava la esplicita dizione di «atto di significazione e diffida
alla realizzazione di opere di urbanizzazione», atto a cui
l'amministrazione non ha fornito alcun riscontro.
La sentenza è anche illogica poiché tende a differenziare la richiesta di
adozione di un atto indirizzata alla P.A. dalla diffida necessaria ai fini
della integrazione, facendo espresso richiamo ad un precedente di questa
Corte (Sez. 6, n. 40008 del 27/10/2010) che in realtà aveva escluso che
l'atto potesse essere valutato come diffida, situazione non conforme a
quella decisa.
...
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e la sentenza deve essere
annullata.
2. Preliminarmente deve evidenziarsi, in ordine a quanto argomentato nella
memoria dai due imputati, che l'art. 428, comma 2, cod. proc. pen., nella
formulazione antecedente alla riforma intervenuta con la legge 23.06.2017,
n. 103, che ha espunto la possibilità di ricorrere per cassazione avverso la
sentenza di non luogo a procedere del giudice delle udienza preliminare,
prevede che la persona offesa possa ricorrere (a condizione che sia anche
costituita parte civile), sussistendo il suo interesse ad impugnare,
trattandosi di impugnazione riguardante gli effetti penali (Sez. 5, n. 41350
del 10/07/2013, P.O. in proc. Cappellato e altro, Rv. 257934).
2.1. Da tanto discende che, per il tenore dell'art. 428, comma 2, cod. proc.
pen., non pertinente è il riferimento all'art. 572 cod. proc. pen. che
riguarda la richiesta rivolta al P.M. affinché impugni la sentenza, mentre
l'art. 577 cod. proc. pen. concerne i capi della sentenza che riguardano i
soli aspetti civili.
2.2. Quanto alla dedotta carenza di interesse anche prospettata nella
memoria, si osserva come irrilevante sia in questa sede stabilire se,
all'esito dei vari giudizi amministrativi ed alle azioni legali intraprese
dal ricorrente, sia stato soddisfatto o meno quanto oggetto dell'atto
inviato all'amministrazione comunale di Riano, dovendosi unicamente valutare
il motivo di ricorso che contesta l'erronea applicazione e omessa
motivazione in ordine all'elemento oggettivo dell'art. 328, secondo comma,
cod. pen.
2.3. Così come non rileva se il ricorrente avesse o meno diritto a
conseguire «il bene della vita» che ha formato oggetto dell'istanza,
poiché, incontestata la riferibilità al medesimo di una posizione soggettiva
qualificata al cospetto della pubblica amministrazione, deve unicamente
provvedersi ad accertare se, all'esito dell'istanza, inviata agli uffici
competenti dell'amministrazione comunale, sussistesse quantomeno un suo
diritto a ricevere una risposta in merito alle ragioni del ritardo.
In tal senso è erroneo ritenere che l'"obbligo di
informazione" dovuto all'interessato sia ipotizzabile solo in caso di
accertata sussistenza dell'obbligo principale di compiere l'atto, poiché ciò
che viene in rilievo non è tanto l'omissione dell'atto, ma l'inerzia del
soggetto attivo sia nel compiere l'atto richiesto sia nello esporre le
ragioni del ritardo (Sez. 6, n.
7761 del 07/07/1997, Sabatino, Rv. 209749).
3. Deve rinviarsi al principio costantemente seguito da questa Corte, che il
Collegio condivide, secondo cui l'azione tipica del delitto
di cui all'art. 328, comma secondo, cod. pen., è integrata dal mancato
compimento di un atto dell'ufficio da parte del pubblico ufficiale o
dell'incaricato di pubblico servizio, ovvero dalla mancata esposizione delle
ragioni del ritardo, entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi ha
interesse; ne consegue che il reato, omissivo proprio e a consumazione
istantanea, deve intendersi perfezionato con la scadenza del predetto
termine (Sez. 6, n. 27044 del
19/02/2008, Mascia, Rv. 240979).
Ai fini dell'integrazione del delitto di omissione di atti
d'ufficio, è infatti irrilevante il formarsi del silenzio-inadempimento
entro la scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta del privato
che, in quanto inadempimento, integra la condotta omissiva richiesta per la
configurazione della fattispecie incriminatrice
(Sez. 6, n. 45629 del 17/10/2013, P.G. in proc. Giuffrida, Rv. 257706; Cass.
Sez. 6, n. 7348 del 24/11/2009, dep. 2010, Di Venere, Rv. 246025; Sez. 6, n.
5691 del 06/04/2000, Scorsone, Rv. 217339).
3.1. Il contrario precedente cui ha fatto riferimento il giudice di merito,
in realtà non esprime un difforme principio in quanto, come rilevato dal
ricorrente, avendo avuto ad oggetto un atto non qualificato quale diffida,
sulla base di tanto ha potuto ritenere non sufficiente lo stesso che, mera
richiesta di sollecito, avrebbe necessitato di una autonoma diffida o messa
in mora, in quel caso inesistente.
3.2. Per rinvenire un precedente di segno opposto al pacifico orientamento
cui sopra si è fatto cenno, occorre risalire alla decisione di questa
sezione del 06/10/1998 Rv. 212311, secondo cui, attraverso la disciplina
della legge sul procedimento amministrativo, sia pure per una presunzione
legale, l'atto è da considerare compiuto, in tal modo realizzandosi una
situazione "concettualmente incompatibile con la inerzia della pubblica
amministrazione".
3.3. In realtà è ormai costante l'orientamento opposto
secondo cui l'integrazione della fattispecie penale non interferisce con i
rimedi che l'ordinamento appresta avverso l'inerzia o l'inadempimento della
pubblica amministrazione che seguono canoni ed intenti di tutela distinti,
certamente non esaustivi degli strumenti a disposizione del privato che
potrebbe, in ipotesi, non conseguire un'adeguata tutela sol che si pensi ai
limiti posti all'impugnazione degli atti, alla deducibilità dei soli vizi di
legittimità (escludendosi il merito), osservandosi inoltre che, nonostante
gli sforzi in tal senso operati dalla giurisdizione amministrativa, la
declaratoria di annullamento non sempre soddisfa il raggiungimento degli
obbiettivi che il privato intende perseguire.
3.4. La ratio della norma che prevede l'integrazione
della fattispecie nell'ipotesi di inadempimento o omessa risposta decorsi i
trenta giorni dalla richiesta di chi vi ha interesse, non può fondatamente
essere ulteriormente compressa attraverso una duplicazione defaticante degli
adempimenti necessari per conseguire (quantomeno) una risposta formulata per
iscritto sulle ragioni del ritardo; circostanza che, qualora avallata,
subirebbe poi le ulteriori implicazioni direttamente connesse alla
disciplina amministrativa del procedimento, tanto da determinare
interferenze tra le vicende penali e quelle amministrative; situazione che,
attraverso la previsione del termine di trenta giorni contemporaneamente
previsto dall'art. 2 L. 241/1990 e dal secondo comma dell'art. 328 cod. pen.,
il legislatore ha inteso chiaramente evitare.
4. Si rileva, quindi, che la richiesta scritta di cui
all'art. 328, comma secondo, cod. pen., rilevante ai fini dell'integrazione
della fattispecie, deve assumere la natura e la funzione tipica della
diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il
compimento dell'atto o l'esposizione delle ragioni che lo impediscono
(Sez. 6, n. 40008 del 27/10/2010, brio, Rv. 248531; Sez. 6, n. 10002 del
08/06/2000, Spanò B, Rv. 218339; Sez. 6, n. 8263 del 17/05/2000, Visco, Rv.
216717).
4.1. Ciò implica che la richiesta rivolta nei confronti
della pubblica amministrazione deve atteggiarsi, seppure senza l'osservanza
di particolari formalità, come una diffida o intimazione tale da costituire
una messa in mora nei confronti della P.A. e del soggetto preposto al
relativo procedimento in quanto responsabile.
4.2. Ne deriva che il reato non è configurabile quando la
richiesta non è qualificabile quale diffida ad adempiere, diretta alla messa
in mora del destinatario e da quest'ultimo in tali termini valutabile, per
il suo tenore letterale e per il suo contenuto.
Seppure, quindi, non siano necessarie frasi che riproducano
pedissequamente la formulazione della legge in termini di «diffida» e
«messa in mora», il contenuto della richiesta deve essere tesa a
rappresentare quantomeno la cogenza delle richiesta e la sua necessità di un
adempimento direttamente ricondotto alla disciplina del procedimento
amministrativo, circa le conseguenze in ipotesi di non evasione o mancata
risposta nei termini.
4.3. Solo a tali condizioni può ritenersi immediatamente e
chiaramente percepibile, quale diffida; atto che già a livello lessicale
implica la necessità di rappresentare le conseguenze cui si incorre in caso
di inadempimento, secondo la conformazione del reato, introdotto dall'art.
16 L. 26.04.1990, n. 86, che ha inteso rafforzare la tutela del cittadino
nei confronti della pubblica amministrazione, con la previsione di un
paradigma legale che, attraverso la attivazione del diritto potestativo
della istanza, conseguisse una più significativa tutela delle posizioni
soggettive, la cui salvaguardia era in precedenza demandata ai soli
strumenti procedimentali o giurisdizionali dinanzi al giudice
amministrativo.
5. Nella sentenza impugnata si afferma che la richiesta del Ch. del
29.10.2013, non costituiva una diffida ad adempiere, ma fosse l'originaria
richiesta inviata da un privato ad un ente pubblico, sulla quale l'ente
avrebbe dovuto provvedere nel termine di cui all'art. 2 L. 241/1990 avverso
la cui inerzia, in caso di decorso infruttuoso del termine di 30 giorni, è
ammesso il ricorso al TAR, non integrando tale inadempimento gli estremi
dell'art. 328, secondo comma, cod. pen., per la cui esistenza il privato
avrebbe dovuto inviare una vera diffida ad adempiere con il decorso di 30
giorni senza che intervenisse l'atto richiesto o fosse stato esposto le
ragioni del ritardo.
In tal modo si contesta la qualifica di diffida dell'atto ricevuto non
perché non ne contenga i requisiti, quanto, piuttosto, poiché si reputa il
primo atto quale meramente amministrativo utile ai soli fini della
proposizione del ricorso in sede giurisdizionale per mezzo dell'impugnazione
del silenzio-inadempimento, demandando al secondo atto, in tal caso
qualificabile diffida, il successivo compito, al decorso degli infruttuosi
30 giorni, di integrare la fattispecie di cui all'art. 328, secondo comma,
cod. pen. in caso di omessa risposta.
Da quanto sopra accennato circa i principi di diritto a cui
questa Corte si riporta, in uno a
quanto emerge dal provvedimento impugnato, se ne deduce la
erronea applicazione della fattispecie dell'art. 328, secondo comma, cod.
pen..
5.1. Il ricorrente aveva presentato in data 29.10.2013 la
diffida ad adempire con cui aveva richiesto all'amministrazione comunale di
Riano di porre in essere quanto necessario al fine di realizzare le opere di
urbanizzazione utili all'immobile dell'istante.
5.2. Tale atto deve qualificarsi quale diffida in quanto
contenente tutti gli elementi per ritenere cogente la richiesta sia perché
si indicano le norme di legge che imponevano all'amministrazione di
provvedere, sia poiché si fa riferimento al termine di trenta giorni entro
il quale si sarebbe dovuta attivare la procedura, con specifica enunciazione
delle conseguenze cui l'amministrazione ed i funzionari preposti sarebbero
andati incontro in caso di inadempimento.
Allo scadere del termine di trenta giorni assegnato,
l'amministrazione avrebbe dovuto quantomeno rispondere specificando le
ragione del ritardo, risposta mai fornita neppure a seguito di impugnazione
del silenzio-inadempimento in tal modo formatosi, con conseguente astratta
integrazione della fattispecie prevista dall'art. 328, secondo comma, cod.
pen., sotto il profilo meramente oggettivo.
6. Da quanto sopra consegue l'annullamento della sentenza
con rinvio al Tribunale di Tivoli, ufficio G.u.p. che, attenendosi ai
principi di diritto sopra enunciati quanto a valenza di diffida dell'atto
del 29.10.2013 e non necessità di ulteriori atti ai fini dell'integrazione
del reato, valuterà se, nei limiti propri del giudizio in sede di udienza
preliminare, sussistano elementi che consentano di imputare l'omissione,
specie sotto il profilo del necessario elemento soggettivo, agli imputati. |
SEGRETARI COMUNALI: Il
blocco del fondo accessorio frena anche la maggiorazione dei segretari.
Dopo i dipendenti del comparto, i titolari di posizione
organizzativa e i dirigenti, arriva l'ora dei segretari comunali. Fino a
oggi nessuna amministrazione si era azzardata a chiedere lumi sul loro
trattamento economico e, nel silenzio, si propendeva per la non
applicabilità al tetto del salario accessorio imposto dalla riforma Madia
alla loro retribuzione. Ben coscienti dell'assoluta fragilità di questa
posizione.
A rompere il castello di carta è arrivata la Corte dei conti per la
Lombardia, con il
parere 12.04.2018 n. 116.
Il quesito
Un Comune ha interrogato i magistrati contabili sul campo di applicazione
dell'articolo 23, comma 2, del Dlgs 75/2017 e, in particolare, se la
disposizione impone il limite alla dinamica di crescita anche per la
maggiorazione di posizione che può essere riconosciuta ai segretari comunali
e provinciali.
I precedenti
La Corte parte da posizioni ormai consolidate nel tempo. Un primo filone, in
ordine sia alla predetta maggiorazione, secondo l'articolo 41, comma 4, del
contratto del 16.05.2001, che al cosiddetto «galleggiamento»,
previsto al successivo comma 5, evidenzia come questi istituti, per espressa
disposizione contrattuale, possano essere riconosciuti solo nell'ambito
delle risorse disponibili e nel rispetto della capacità di spesa. A questo,
i magistrati contabili hanno aggiunto che «gli incrementi in esame non
possono comportare da parte del Comune concedente la violazione dei vincoli
in materia di contenimento delle spese per il personale» (deliberazione
n. 30/2010 della Corte dei conti per la Sardegna).
Un secondo filone ha affrontato i problemi applicativi in ordine al tetto
del salario accessorio e ha chiarito come il limite debba essere applicato
alle risorse destinate al trattamento accessorio del personale nel suo
ammontare complessivo e non con riferimento ai fondi riferiti alle singole
categorie di personale (di comparto, titolare di posizione organizzativa,
dirigente ed, oggi, anche segretari comunali e provinciali).
La posizione della Sezione Autonomie
La posizione è stata definitivamente statuita dalla Sezione delle Autonomie,
con le deliberazioni n. 26/2014 e n. 34/2016. Con questi presupposti, la
conclusione non poteva che essere una: la maggiorazione della retribuzione
di posizione dei segretari rientra nel campo di applicazione dell'articolo
23, comma 2, del Dlgs 75/2017.
La deliberazione non lascia per nulla sorpresi. La memoria, infatti, corre
ai tempi nei quali si discuteva delle voci da assoggettare a trattenuta nei
primi 10 giorni di malattia. In quell'ambito, sia il Dipartimento della
Funzione Pubblica che l'Aran avevano affermato che tanto la retribuzione di
posizione quanto la maggiorazione e il galleggiamento sono soggette alla
trattenuta in quanto fanno parte del trattamento accessorio del segretario.
E se lo sono per la trattenuta Brunetta non possono che essere tali anche ai
fini del tetto previsto dalla riforma Madia. Sicuramente questo pone
problemi non indifferenti, soprattutto negli enti di minori dimensioni, dove
la rotazione del segretario è piuttosto frequente
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 24.04.2018).
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MASSIMA
PQM
La Corte dei conti
–Sezione regionale di controllo per la Regione Lombardia–
ritiene che il compenso per la maggiorazione di posizione da attribuirsi al
segretario comunale, nei termini espressi nel quesito in epigrafe, sia
ricompresa nell’ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento
accessorio del personale e che sia soggetta ai limiti di spesa parametrati
al 2016 di cui all’art. 23 D.Lgs. 75/2017 per le ragioni riportate in
motivazione. |
marzo 2018 |
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CONSIGLIERI COMUNALI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Nei
piccoli Comuni tre strade per la gestione delle funzioni fondamentali.
Se mancano le professionalità interne, i piccoli Comuni hanno ancora la
facoltà di scegliere tra la forma associata delle funzioni, il conferimento
delle competenze gestionali a uno dei membri della giunta ovvero
l'affidamento al segretario comunale. La scelta deve, comunque, avere a
riferimento due «stelle polari»: il criterio della competenza professionale
del nominato e il contenimento della spesa.
Lo asserisce la sezione
regionale di controllo per il Lazio della Corte dei conti con il
parere 16.03.2018 n. 5.
I quesiti
Un Comune di 551 abitanti formula alla sezione tre quesiti specifici:
1) se nei piccoli Comuni le funzioni relative al servizio finanziario
possano essere affidate a un assessore o al sindaco;
2) se alcuni adempimenti contabili rilevanti possano essere illegittimi se
effettuati dal capo dell'amministrazione in assoluta carenza di
professionalità interne;
3) se il segretario comunale, su specifico incarico del sindaco, possa
assumere le funzioni gestionali in modo permanente, supplendo alle carenze
di dotazione organica.
Amministratori vs gestione associata
In relazione al quesito 1), la sezione ricorda che nei Comuni con
popolazione inferiore a cinquemila abitanti, la responsabilità degli uffici
e dei servizi e il potere di adottare atti gestionali possono essere
affidati, in deroga al generale principio di separazione di competenze tra
organi politici e dirigenti, a un assessore o allo stesso sindaco, essendo
ancora in vigore l'articolo 53, comma 23, della legge 388/2000 che lo
consente, a condizione che l'ente abbia adottato apposite disposizioni
regolamentari organizzative. Strada che può essere, dunque, percorsa anche a
prescindere dalla carenza di professionalità interne, in quanto la norma non
subordina la possibilità a questa condizione, che invece è richiesta per il
conferimento di incarichi a soggetti esterni. Regola che, quindi, può essere
applicata anche nel caso di gestione delle funzioni relative al servizio
finanziario.
Ricorda però la sezione –quasi a voler proporre un consiglio– che prima di
arrivare a «sacrificare» il principio di distinzione delle funzioni di
indirizzo da quelle gestionali è possibile percorrere la via della gestione
associata, obbligatoria per quelle fondamentali ai sensi dell'articolo 14
del Dl 78/2010.
Siccome l’obbligo è ancora condizionato dalla
individuazione degli ambiti ottimali, i magistrati rimettono al singolo ente
la scelta tra le due alternative «del pari giuridicamente legittime», ossia
lo strumento associativo e il conferimento delle funzioni a uno dei membri
della giunta, cercando comunque la soluzione che consenta di contenere
maggiormente la spesa del personale e tenendo conto delle necessarie
competenze richieste dall'elevato grado di tecnicità del servizio.
Il ruolo del segretario
La sezione non fornisce risposta al quesito n. 2), viziato da genericità,
mentre si esprime sul n. 3), che coinvolge la figura del segretario comunale
il quale, ai sensi dell'articolo 97, comma 4, lettera d), del Tuel può
esercitare ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti
o conferitagli dal sindaco.
Tra queste rientra la possibilità di essere nominato responsabile degli
uffici e dei servizi, evidenza che i giudici traggono dall'articolo 109,
comma 2, che fa salva l'applicazione della lettera d) per l'attribuzione di
questi incarichi nei Comuni privi di personale di qualifica dirigenziale; e
dall'articolo 49 che, avendo abolito il parere di legittimità del
segretario, valorizza il parere preventivo di regolarità dei singoli
responsabili dei servizi, anch'esso affidato al segretario in via residuale
nel caso l'ente non ne abbia.
Certo, avvertono i giudici, questa funzione
del segretario deve essere esercitata «in relazione alle sue competenze»
che, tuttavia, ritengono ampie alla luce dell'articolo 97, comma 4, del Tuel,
richiamato espressamente dall'articolo 53, comma 23, della legge 388/2000,
che non distingue tra funzioni assegnate in via provvisoria o permanente.
Il
combinato disposto consente alla sezione di negare la sussistenza di ragioni
ostative all'attribuzione al segretario di funzioni gestionali protratte,
anche se ritiene «auspicabile una periodica revisione di tale incarico
aggiuntivo, sia sotto il profilo dell'efficiente organizzazione interna
degli uffici, anche in rapporto alla consistenza dimensionale dell'Ente, sia
soprattutto in modo teso a vagliarne ciclicamente in concreto la proficuità
sotto il profilo economico finanziario»
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 30.03.2018).
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MASSIMA
Nei Comuni con popolazione inferiore a 5mila
abitanti, in ragione delle ridotte dimensioni demografiche dell'Ente, resta
oggi ancora rimessa alla scelta discrezionale dei medesimi la scelta:
1) tra forma associata di esercizio delle funzioni fondamentali,
tra cui certo rientra il servizio finanziario e di contabilità seguendo lo
schema normativo della convenzione/unione di comuni (non essendo ancora
operativa la obbligatorietà dello strumento associativo, nelle more della
concreta attuazione dell’art. 14, comma 28, del D.L. n. 78/2010, convertito
dalla L. n. 122/2010 e s.m.i.)
2) o il conferimento ex art. 53, comma 23, della L. n. 388/2000, di
esse, ad uno dei membri della Giunta (Assessori o Sindaco), in deroga al
generale principio di separazione di competenze tra organi politici ed
organi amministrativi, con un regolamento motivato che ridisegni l’assetto
organizzativo interno dell’Ente e senza che sia neppure necessario
dimostrare l’assoluta carenza, all’interno dell’Ente, di professionalità
adeguate, nonché fatta salva la verifica annuale del contenimento della
spesa in sede di approvazione del bilancio
3) o l’affidamento delle medesime ex art. 97, comma 4, lett. d) del
Tuel al Segretario comunale che, nei comuni privi di personale di qualifica
dirigenziale, può essere nominato responsabile degli uffici e dei servizi
(art. 109, comma 2, T.U.E.L), mediante previsioni statutarie, regolamentari
o tramite un provvedimento del Sindaco.
Tra questa rosa di possibilità andrà prescelta, da un canto quella
che consente di contenere maggiormente la spesa del personale e,
dall’altro, tenendo conto delle necessarie competenze richieste
dall’elevato grado di tecnicità del servizio finanziario e di contabilità,
la cui carenza potrebbe comportare potenziali ricadute in termini di
responsabilità amministrativo-contabile.
Scelta da sottoporre a revisione periodica, sia sotto il profilo
dell’efficiente organizzazione interna degli uffici, anche in rapporto alla
consistenza dimensionale dell’Ente, sia onde vagliarne ciclicamente in
concreto la proficuità economico-finanziaria, anche alla luce del criterio
della competenza professionale del nominato per individuare il punto di
equilibrio più funzionale alla soddisfazione delle necessità correlate alla
peculiare struttura organizzativa interna dell’Ente.
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... il Sindaco pro tempore del Comune di Salisano-RI (551 abitanti,
secondo rilevazione Istat all’01/01/2017) formula richiesta di parere,
ai sensi dell’art. 7, comma 8, della L. n. 131 del 2003, con riferimento
all’art. 53, comma 23, del D.Lgs. 23.12.2000, n. 388, sui seguenti
quesiti:
1. se nei Comuni aventi popolazione inferiore a 5mila abitanti
le funzioni relative al servizio finanziario e contabile possano essere
affidate ad un Assessore membro della Giunta o al Sindaco pro-tempore, con
regolamento motivato, da cui si evincano le esigenze straordinarie di
contenimento della spesa pubblica e, in particolare della spesa del
personale, “anche in considerazione dell’attivazione della procedura
obbligatoria del trasferimento di funzioni fondamentali di cui all’art. 14
del D.L. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010 e successive
modifiche ed integrazioni” e se ciò sia “compatibile con le esigenze
connesse alle sopravvenute recenti disposizioni in materia di ordinamento
finanziario e contabile degli Enti locali, in attuazione dei principi di
armonizzazione contabile introdotti dal D.Lgs. 118/2009 se ed in quanto
presupponenti una «specifica» professionalità al riguardo”;
2. “se taluni rilevanti adempimenti contabili aventi
carattere ricorrente per l’Ente possano essere inficiati di non conformità
alle disposizioni vigenti in quanto effettuati dal capo dell’amministrazione
in assoluta carenza di professionalità all’interno dell’Ente”;
3. “Se il Segretario Comunale, su specifico incarico del
sindaco, possa assumere dette funzioni gestionali in modo permanente,
supplendo ad ordinarie carenze di dotazione organica, carenze sia pure per
motivate ragioni di contenimento della spesa pubblica”.
...
In relazione al primo quesito, si osserva che, nei
Comuni, quali Salisano,
aventi popolazione inferiore a cinquemila abitanti, la
responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti,
anche di natura tecnica gestionale, ben possono essere affidati, in deroga
al generale principio di separazione di competenze tra organi politici
(Giunta) ed organi amministrativi (Dirigenti), ad un Assessore o al Sindaco
pro-tempore, purché ciò avvenga con un regolamento motivato dell’Ente che
ridisegni l’assetto organizzativo interno dell’Ente, al fine di operare un
contenimento della spesa, contenimento che deve essere verificato e
documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione
del bilancio. In tal senso si è
pronunziata anche la giurisprudenza amministrativa, oltre a diverse sezioni
di questa Corte (TAR Toscana Firenze Sez. III, 07.01.2014, n. 3, Sez.
regionale controllo per il Molise, delib. n. 167/2016/PAR).
E ciò senza che sia neppure necessario dimostrare la
assoluta carenza, all’interno dell’Ente, di professionalità adeguate, in
quanto la norma non subordina tale possibilità a siffatta condizione, che
invece è richiesta per il conferimento di incarichi ad esterni.
A favore di ciò depone, con chiarezza il disposto dell’art. 53, comma 23,
della L. n. 388/2000, che recita: “Gli enti locali con popolazione
inferiore a cinquemila abitanti, fatta salva l'ipotesi di cui all'articolo
97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli
enti locali, approvato con decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, anche al
fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni
regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto
all'articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 03.02.1993, n. 29, e
successive modificazioni, e all'articolo 107 del predetto testo unico delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti
dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il
potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento
della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione,
in sede di approvazione del bilancio”.
E tra tali uffici e servizi sono ricomprese, certamente,
anche le funzioni relative al servizio finanziario e contabile, attribuibili
ai componenti dell'organo esecutivo (Assessore e Sindaco pro-tempore)
mediante disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in
deroga a quanto disposto all'art. 3, commi 2, 3 e 4, del D.Lgs. 03.02.1993,
n. 29 e successive modificazioni, e all'articolo 107 del testo unico delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL).
Orbene, è vero che dal combinato disposto degli artt. 50 e 107 del D.Lgs. n.
267 del 2000 e dell’art. 4 del D.Lgs. 30/03/2001, n. 165 (recante “Norme
generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche”) si evince in modo inequivoco che, nel vigente ordinamento, è
in auge, anche a livello locale, la netta distinzione fra atti di indirizzo
politico-amministrativo (spettanti agli organi politici) ed atti di gestione
(spettanti agli organi burocratici).
In altri termini, il TUEL ha devoluto, rispettivamente, agli organi politici
(Consiglio Comunale, Giunta Comunale e Sindaco) la competenza ad emanare gli
atti di indirizzo e, ai dirigenti amministrativi comunali, la competenza ad
adottare atti di gestione.
L’art. 107, comma 4, in particolare, pone una riserva di legge a garanzia
della indipendenza -sotto il profilo gestionale- dei dirigenti, dotati anche
di autonomo potere di spesa, rispetto agli organi politici, laddove prevede
che “4. Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di
cui all'articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente
e ad opera di specifiche disposizioni legislative”.
Tuttavia l’art. 53, comma 23, della L. n. 388/2000 (finanziaria 2001) è
proprio una specifica disposizione derogatoria, pacificamente compatibile
col sistema normativo vigente (in tal senso anche Consiglio di Stato sent.
n. 5296/2015, che ha ritenuto inammissibile la questione di costituzionalità
sulla disposizione). La deroga è ammessa in ragione delle
ridotte dimensioni demografiche dell'Ente locale, ma va interpretata
restrittivamente e non è estensibile oltre i casi e i modi espressamente
regolati (Corte dei conti, sez.
reg. controllo Lombardia, delib. n. 513/2012/PAR del 10.12.2012).
A latere della possibilità di attribuire a componenti della Giunta lo
svolgimento di funzioni gestionali amministrative, l’ordinamento disciplina,
al contempo, la possibilità -ed in taluni casi l’obbligo- di svolgere in
forma associata, le medesime funzioni fondamentali: articoli 30 e 32 del
Tuel e art. 14, comma 28, del D.L. n. 78/2010, convertito dalla L. n.
122/2010 e successive modifiche ed integrazioni.
Tramite il TUEL, sin dal 2000 sono state introdotte, come facoltative, forme
associative, quali la stipula di apposite convenzioni onerose tra Enti
locali, “al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi
determinati” (art. 30) o l'Unione di Comuni, con la creazione di un Ente
locale ex novo, costituito -di norma- da due o più Comuni contermini
e “finalizzato all'esercizio associato di funzioni e servizi” (art.
32).
L’art. 14 del D.L. n. 78/2010, convertito dalla L. n. 122/2010 e successive
modifiche ed integrazioni, ha prescritto che i Comuni con popolazione fino a
5000 abitanti “esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante
unione di Comuni o convenzione, le funzioni fondamentali di cui al comma 27”,
tra le quali rientra, certamente, la gestione finanziaria e contabile.
Senza entrare in questa sede sulla portata della regolamentazione in ordine
alle dimensioni territoriali ottimali, (come previsto dall’art. 14, comma
30, del D.L. n. 78/2010), permane un indiscusso favor
legislativo per la forma associata di esercizio delle funzioni, ancorché
intesa come rimessa alla mera facoltà di scelta discrezionale dell’Ente
locale (Sez. Aut. Audizione alla
Camera dei deputati del 01.12.2015).
Nell’attesa della concreta operatività della disposizione tesa a rendere ciò
obbligatorio in risposta al primo quesito, si osserva che
al Comune è demandata oggi la scelta tra due alternative del pari
giuridicamente legittime, ossia tra lo strumento associativo
(convenzione/unione di comuni) o il conferimento delle funzioni del servizio
finanziario e di contabilità ad uno dei membri della Giunta (Assessori o
Sindaco).
L’Ente sarà tenuto ad operarla discrezionalmente ma
seguendo, da un canto, la soluzione che consente di contenere
maggiormente la spesa del personale e, dall’altro, tenendo conto
delle necessarie competenze richieste dall’elevato grado di tecnicità del
servizio finanziario e di contabilità, la cui carenza potrebbe comportare
potenziali ricadute in termini di responsabilità amministrativo-contabile.
Il secondo quesito pare, invero, viziato da genericità, nella parte
in cui si riferisce a “taluni rilevanti adempimenti contabili aventi
carattere ricorrente”, senza specificarli ed è ritenuto dal Collegio
inammissibile, anche per carenza di indicazione del riferimento normativo da
interpretare in sede consultiva, ancor prima della specificazione del dubbio
ermeneutico che la Sezione di controllo è chiamata a dirimere in questa
sede.
Quanto al terzo quesito si richiama, in funzione di mero ausilio
dell’Ente, l’articolo 97, comma 4, lett. d) del Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli Enti locali, approvato con D.Lgs. 18.08.2000, n. 267
che stabilisce che il Segretario comunale “d) esercita ogni altra
funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal
sindaco”.
Tra le quali rientra, come esplicitamente contemplato all’art. 109, comma 2,
del T.U.E.L., la possibilità di essere nominato responsabile degli uffici e
dei servizi, in quanto tale comma recita: “2. Nei comuni privi di
personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui all'articolo 107,
commi 2 e 3, fatta salva l'applicazione dell'articolo 97, comma 4, lettera
d), possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del
sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla
loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione”.
Applicazione che potrà avvenire mediante previsioni statutarie,
regolamentari o tramite un provvedimento del Sindaco (Tar Piemonte, sent. n.
4094/2006).
Occorre anche considerare che, visto il disposto dell’art. 49 del Tuel, che
ha abolito il parere di legittimità del Segretario, risulta valorizzato
-ancor più nel testo complessivamente modificato a decorrere
dall’11.10.2012- il parere preventivo di regolarità, obbligatorio ma non
vincolante, dei singoli Responsabili dei servizi (tra cui anche quello di
contabilità, chiamato a rendere un parere di regolarità -non tecnica ma
contabile- su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al
Consiglio).
La disposizione, in via residuale, individua nel Segretario comunale il
soggetto titolato ad esprimere il parere “nel caso in cui l’ente non
abbia i responsabili dei servizi”, con la limitazione individuata “in
relazione alle sue competenze” (cit. art. 49, comma 2), che tuttavia
possono ritenersi in senso ampio ex art. 97, comma 4, TUEL.
La vigenza di tale disposizione è espressamente fatta salva dall’art. 53,
comma 23, della L. n. 388/2000, invero, senza distinguere tra funzioni
assegnate in via provvisoria o permanente, per cui, pur non sembrando in
astratto sussistere ragioni ostative all’attribuzione al medesimo di
funzioni gestionali contabili protratte (attribuzione tanto più giustificata
ove il nominato sia in possesso di specifica professionalità contabile),
pare comunque auspicabile una periodica revisione di tale incarico
aggiuntivo, sia sotto il profilo dell’efficiente organizzazione interna
degli uffici, anche in rapporto alla consistenza dimensionale dell’Ente, sia
soprattutto in modo teso a vagliarne ciclicamente in concreto la proficuità
sotto il profilo economico-finanziario.
In conclusione, quale che sia la soluzione, tra quelle
astrattamente possibili, scelta dell’Ente, essa dovrà avere come stelle
polari, da un canto, il criterio della competenza professionale del
nominato e, dall’altro, il criterio del contenimento della spesa, con
l’esigenza di individuare, nella applicazione congiunta dei due criteri, il
punto di equilibrio più funzionale alla soddisfazione delle necessità
correlate alla peculiare struttura organizzativa interna dell’Ente. |
SEGRETARI COMUNALI:
Segretari, dalla Cassazione stop definitivo alla retribuzione
«maggiorata» post galleggiamento.
Con la
sentenza
06.03.2018 n. 5284, la Corte di
Cassazione -Sez. lavoro- chiude definitivamente sulla
legittimità della maggiorazione della retribuzione di posizione dei
segretari generali applicata dopo il galleggiamento. La questione è
complessa, al punto che dopo diverse sentenze dei giudici del lavoro che
avevano dato ragione ai segretari, era dovuto intervenire il legislatore con
l’articolo 4, comma 26, della legge 183/2011 per chiarire che la
maggiorazione andava applicata prima del riallineamento con lo stipendio del
dirigente o funzionario con la retribuzione di posizione più elevata.
La questione controversa
I Segretari comunali e provinciali hanno dato inizio una controversia
civilistica sulla corretta applicazione delle disposizioni del contratto
nazionale (articolo 41, comma 5, del contratto del 16.05.2001) e di
quello integrativo n. 2 del 22.12.2003, secondo cui nel calcolo della
retribuzione di posizione l'allineamento all'indennità percepita dal
dirigente con funzione più elevata, previsto dall’articolo 41, comma 5,
rappresenta la base a cui aggiungere la maggiorazione prevista al comma 4
(fino al 50% in più in caso di funzioni gestionali aggiuntive).
A sostegno
della tesi, era stato evidenziato come, se le maggiorazioni stipendiali
fossero assorbite dal riallineamento, verrebbero penalizzati i segretari più
gravati di compiti; il tutto in violazione del principio di corrispettività,
in virtù del quale gli incarichi ulteriori rispetto a quelli istituzionali
devono avere una propria remunerazione. Per esempio, se la la retribuzione
di posizione del segretario è pari a 30, mentre quella del dirigente con la
retribuzione più elevata è di 40, allora:
a) nel caso di maggiorazione dopo il galleggiamento, spetterebbe al
segretario, cui siano stati affidati compiti gestionali aggiuntivi, una
retribuzione di posizione pari a 60 (40 x 1,5 = 60);
b) in caso di assorbimento della maggiorazione nel galleggiamento,
si avrebbe una retribuzione di posizione pari a 45 (30 x 1,5), mentre nel
solo caso in cui la maggiorazione sia inferiore alla retribuzione del
dirigente, allora troverebbe ragione il riallineamento a quest'ultima
(esempio dirigente con retribuzione pari a 50 maggiore della maggiorazione
di 45).
La posizione della Suprema Corte
Secondo la Suprema Corte, l’articolo 41, comma 4, nell'attribuire alle parti
la facoltà di maggiorare i compensi del segretario, si limita a richiamare
esplicitamente i compensi indicati al precedente comma 3, secondo i valori
economici riconosciuti da quella disposizione, senza nulla dire del comma 5
che contiene la clausola di riallineamento stipendiale.
La maggiorazione prevista dal comma 4 si aggiunge dunque ai valori economici
stabiliti dal comma 3 dell'articolo 41, fermo restando che entrambe le
disposizioni (commi 3 e 4) riguardano la sola voce della retribuzione di
posizione. Se, dunque, il riallineamento stipendiale (comma 5) ha una
funzione perequativa, distinta da quella corrispettiva delle maggiorazioni
(comma 4), è logico che alla perequazione si arrivi con riferimento alla
retribuzione di posizione complessiva, comprendente anche le maggiorazioni
previste dal comma 4.
In definitiva, per la Cassazione, se con le maggiorazioni (comma 4) la
retribuzione di posizione del segretario supera quella del dirigente
apicale, allora non si potrà procedere con il riallineamento al dirigente
con più elevata retribuzione di posizione (comma 5). E nemmeno l’impatto
negativo sul sul piano previdenziale può condizionare la corretta
interpretazione delle norme contrattuali
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 09.03.2018). |
febbraio 2018 |
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COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO -
SEGRETARI COMUNALI: Potere
di coordinamento e incarichi aggiuntivi per
il segretario comunale.
Non può configurarsi alcuna lesione delle
prerogative di piena indipendenza ed
autonomia dell’Avvocatura comunale per
effetto dell'attribuzione al Segretario
Generale del potere di individuazione e
nomina di legali esterni all'ente, dal
momento che l'autonomia riconosciuta agli
avvocati degli enti pubblici concerne la "trattazione esclusiva e stabile degli
affari legali dell'ente" (cfr. art. 23,
primo comma, della L. n. 247/2012 recante la
nuova disciplina dell'ordinamento della
professione forense), e non attiene invece a
aspetti di carattere organizzativo,
come quello di cui si controverte.
---------------
Nell'attuale assetto ordinamentale, al
Segretario comunale sono affidati compiti di
collaborazione e funzioni di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti degli
organi dell'ente locale, in ordine alla
conformità dell'azione amministrativa alle
leggi, allo statuto ed ai regolamenti.
In via generale è quindi pacifico che al
Segretario comunale non sono affidati
compiti di amministrazione c.d. attiva,
limitandosi egli (cfr. art. 97, comma 4, del
D.Lgs. n. 267/2000, c.d. Testo Unico delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali o
T.U.E.L.) a sovrintendere allo svolgimento
delle funzioni dei dirigenti e a coordinarne
l’attività qualora non sia stato nominato un
direttore generale. Tale attribuzione di
competenze nettamente separate risulta però
per ovvie ragioni temperata nei Comuni di
minori dimensioni demografiche, generalmente
privi di personale di qualifica
dirigenziale.
Prevede infatti l’art. 109, secondo comma,
del T.U.E.L. che nei Comuni privi di
dirigenti le funzioni dirigenziali possono
essere attribuite ai responsabili degli
uffici oppure demandate al Segretario
comunale, in applicazione dell’art. 97,
comma 4, lettera d), a mente del quale
appunto il Segretario comunale esercita ogni
altra funzione attribuitagli dallo statuto o
dai regolamenti, o conferitagli dal Sindaco
o dal Presidente della provincia.
Invero, dall’esame della delibera risulta
che l’attribuzione al Segretario Generale
dell’incarico di individuare e affidare il
patrocinio dell’ente si giustifica in
ragione della strutturazione del Servizio
autonomo di Avvocatura che non è diretto da
un dirigente e non risulta inquadrato
nell’area amministrativa, elementi che hanno
indotto la Giunta Comunale ad attribuire al
Segretario Generale, organo di vertice della
struttura burocratica, l’incarico di
individuare e conseguentemente affidare, in
caso eccezionali, la rappresentanza in
giudizio ai professionisti esterni, previa
istruttoria e proposta del Responsabile
dell’Ufficio Avvocatura.
---------------
L’avv. Ti. Di Gr. premette di
essere iscritta all’albo speciale di cui
all’art. 3 del R.D. n. 1578/1933 e di
esercitare attività professionale
nell’esclusivo interesse del Comune di
Marano di Napoli.
Con il ricorso in trattazione impugna,
chiedendone l’annullamento, la deliberazione
di Giunta n. 3 del 22.07.2013 con cui è
stato modificato l’art. 20, comma 1, del
Regolamento dell’Avvocatura Comunale
rubricato “Affidamento degli incarichi agli
iscritti nell’elenco” nei sensi di seguito
indicati:
- precedente formulazione: “Nell’ipotesi di
cui al precedente art. 14 il Sindaco
individua il professionista da incaricare
applicando la rotazione tra gli iscritti
nell’elenco con propria determinazione; su
proposta del Responsabile del Servizio
Avvocatura, con delibera di G.M. si provvede
al conferimento dell’incarico valutando la
conformità al presente regolamento…”;
- nuova formulazione: “Nell’ipotesi di cui
al precedente art. 14 il Segretario Generale
individua il professionista da incaricare
applicando la rotazione tra gli iscritti
nell’elenco con proprio provvedimento; su
proposta motivata del Responsabile del
Servizio Avvocatura, il Segretario Generale,
provvede con proprio provvedimento al
conferimento dell’incarico”.
Al riguardo, va rammentato che l’art. 14
richiamato dalla previsione regolamentare
disciplina l’affidamento di incarichi
professionali ad avvocati esterni, la cui
decisione compete al Sindaco, e contempla
due ipotesi: 1) “su motivata relazione
dell’Avvocatura comunale al Sindaco e,
soltanto, per le prestazioni e le attività
che non possono essere espletate dal
personale dipendente per: a) coincidenza ed
indifferibilità di altri impegni di lavoro;
b) trattazione materie per le quali
necessita idonea specializzazione; in casi
di incompatibilità; 2) in casi motivati di
particolare specificità e/o complessità
valutata dal Sindaco, sentita l’Avvocatura,
che giustifichino l’affidamento
all’esterno”.
In proposito, va anche rilevato che il punto
2 del predetto testo regolamentare
(approvato con delibera del Commissario
Straordinario n. 19/2013) è stato attinto
dalla pronuncia di questo TAR 1144/2014
che, in accoglimento di un pregresso ricorso
proposto dalla medesima ricorrente, ha
statuito quanto segue: “Al riguardo deve
osservarsi che –alla stregua dell’art. 7
del D.Lgs. n. 165 del 2001– l’utilizzo di
professionalità esterne da parte delle
pubbliche amministrazioni, nei casi
tassativi stabiliti al comma 6, assume
carattere eccezionale rispetto al principio
generale secondo cui le amministrazioni
devono provvedere allo svolgimento dei
compiti loro affidati attraverso il
personale e le strutture organizzative di
cui dispongono, anche in considerazione del
conseguente esborso di denaro pubblico (cfr.
Corte Conti reg., sez. giurisd., 05.11.2003,
n. 912). Ciò posto ed alla luce dei principi
generali più volte evocati, osserva il
Collegio che l’ampiezza delle fattispecie
già individuate dal punto 1 della norma
regolamentare in discussione non giustifica
la previsione di un’ulteriore ipotesi
derogatoria, che per la sua genericità e
vaghezza (“in casi di particolare
specificità e/o complessità”) e per essere
rimessa all’apprezzamento dell’organo
politico (“valutata dal Sindaco, sentita
l’avvocatura”), pone l’Avvocatura municipale
in posizione di soggezione rispetto al
Sindaco, consentendo sostanzialmente a
quest’ultimo di delimitarne ad libitum la
generale sfera di operatività e di svuotarne
così le funzioni”.
Nello specifico parte ricorrente lamenta
che, nel testo regolamentare novellato, è
stato assegnato al Segretario Generale –e
non al Responsabile dell’avvocatura comunale– l’individuazione e la nomina del
procuratore dell’ente locale, qualora il
Sindaco ritenga opportuno affidarsi a
professionisti esterni di talché, prosegue
la istante, la modifica persegue l’unico
obiettivo di sottrarre all’ufficio legale
rilevanti settori di competenza, ledendone
l’autonomia ed indipendenza.
...
Il ricorso non può trovare accoglimento per
i motivi di seguito illustrati.
Parte ricorrente lamenta la violazione
dell’art. 3 del R.D. n. 1578/1933,
violazione e falsa applicazione del D.Lgs.
n. 267/2000, violazione e falsa applicazione
dello Statuto del Comune di Marano di
Napoli, violazione e falsa applicazione
dell’art. 97 Costituzione, eccesso di potere
per illogicità e contraddittorietà, carenza
ed erroneità dell’istruttoria, difetto di
motivazione.
Con il primo motivo di gravame l’avvocato Di Gr., in sintesi, assume l’illegittimità
della modifica regolamentare –al pari di
quella previgente– che, a suo dire,
minerebbe l’autonomia funzionale
dell’Avvocato comunale poiché rimette al
Segretario Generale valutazioni (quelle, per
l’appunto, concernenti la scelta del
professionista esterno) che si
connoterebbero per il carattere
tecnico/discrezionale e che competerebbero,
nella prospettazione attorea, al capo
dell’ufficio legale, unica struttura dotata
delle conoscenze necessarie per valutare la
sussistenza degli elementi per
l’esternalizzazione del servizio.
La censura non ha pregio.
Invero, parte ricorrente contesta sia la
nuova formulazione dell’art. 20 (che rimette
al Segretario Generale l’individuazione del
professionista da incaricare) sia quella
previgente (che attribuiva tale potere al
Sindaco) ritenendole entrambe lesive delle
prerogative dell’Avvocatura comunale.
Tuttavia, è evidente che l’eventuale
accoglimento del motivo di gravame non
sarebbe di alcuna utilità per la ricorrente
poiché avrebbe, come unica conseguenza,
quella di ripristinare l’originario potere
di designazione da parte del Sindaco –tale
essendo la previsione antecedente alla
delibera impugnata– che, in ogni caso, non
sarebbe satisfattivo per la ricorrente e,
pertanto, la censura è inammissibile per
carenza di interesse.
Si aggiunga che, nel merito, il rilievo è
comunque infondato.
Difatti, non può configurarsi alcuna lesione
delle prerogative di piena indipendenza ed
autonomia dell’Avvocatura comunale per
effetto dell'attribuzione al Segretario
Generale del potere di individuazione e
nomina di legali esterni all'ente, dal
momento che l'autonomia riconosciuta agli
avvocati degli enti pubblici concerne la
"trattazione esclusiva e stabile degli
affari legali dell'ente" (cfr. art. 23,
primo comma, della L. n. 247/2012 recante la
nuova disciplina dell'ordinamento della
professione forense), e non attiene invece a
aspetti di carattere organizzativo (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2434/2016),
come quello di cui si controverte.
La novella è quindi riconducibile al potere
generale di coordinamento attribuito al
Segretario generale dall’art. 97, comma 4,
del T.U.E.L. che non incide sull'autonoma
organizzazione e gestione dell'attività
forense dei professionisti dell'avvocatura
comunale ma è unicamente volta ad attuare -per il tramite della figura di
interrelazione tra l'apparato amministrativo
dell'ente ed i rappresentanti politici
dell'ente stesso– il necessario
coordinamento del servizio legale rispetto
alla complessiva organizzazione
amministrativa comunale.
Inoltre, mette conto evidenziare che,
riguardo alla scelta di individuazione e
nomina del professionista esterno all’ente
locale, l’Avvocatura comunale non è stata
del tutto esautorata, visto che al
Responsabile del Servizio Avvocatura compete
comunque un potere di proposta motivata in
ordine alla scelta del professionista
esterno cui conferire l’incarico di
rappresentazione dell’ente (“…su proposta
motivata del Responsabile del Servizio
Avvocatura, il Segretario Generale, provvede
con proprio provvedimento al conferimento
dell’incarico”); in altri termini, la
novella regolamentare ha comunque tenuto
conto della necessità di rimettere al
titolare del settore avvocatura, tramite
l’attribuzione del potere di proposta,
l’avvio del procedimento di nomina e di
contestuale formulazione del giudizio
tecnico–discrezionale sul contenuto del
provvedimento di nomina del professionista
esterno, mostrando quindi di tenere in
debita considerazione le valutazioni della
struttura legale dell’ente.
Con la seconda censura l’istante lamenta la
violazione degli artt. 107 e 97 del D.Lgs.
n. 267/2000 evidenziando che le funzioni
gestionali dell’ente locale -cui l’istante
mostra di ricondurre l’individuazione del
professionista esterno- appartengono
esclusivamente ai dirigenti dell’ente
locale, mentre al Segretario comunale non
spettano compiti di amministrazione attiva,
limitandosi a sovrintendere e coordinare i
dirigenti medesimi.
Il motivo è infondato.
Nell'attuale assetto ordinamentale, al
Segretario comunale sono affidati compiti di
collaborazione e funzioni di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti
degli organi dell'ente locale, in ordine
alla conformità dell'azione amministrativa
alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti.
In via generale è quindi pacifico che al
Segretario comunale non sono affidati
compiti di amministrazione c.d. attiva,
limitandosi egli (cfr. art. 97, comma 4, del
D.Lgs. n. 267/2000, c.d. Testo Unico delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali o
T.U.E.L.) a sovrintendere allo svolgimento
delle funzioni dei dirigenti e a coordinarne
l’attività qualora non sia stato nominato un
direttore generale. Tale attribuzione di
competenze nettamente separate risulta però
per ovvie ragioni temperata nei Comuni di
minori dimensioni demografiche, generalmente
privi di personale di qualifica
dirigenziale.
Prevede infatti l’art. 109,
secondo comma, del T.U.E.L. che nei Comuni
privi di dirigenti le funzioni dirigenziali
possono essere attribuite ai responsabili
degli uffici oppure demandate al Segretario
comunale, in applicazione dell’art. 97, comma
4, lettera d), a mente del quale appunto il
Segretario comunale esercita ogni altra
funzione attribuitagli dallo statuto o dai
regolamenti, o conferitagli dal Sindaco o
dal Presidente della provincia (Consiglio di
Stato, Sez. IV, n. 4858/2006; TAR
Campania, Napoli, Sez. VII, n. 1886/2012).
Invero, dall’esame della delibera risulta
che l’attribuzione al Segretario Generale
dell’incarico di individuare e affidare il
patrocinio dell’ente si giustifica in
ragione della strutturazione del Servizio
autonomo di Avvocatura che non è diretto da
un dirigente e non risulta inquadrato
nell’area amministrativa, elementi che hanno
indotto la Giunta Comunale ad attribuire al
Segretario Generale, organo di vertice della
struttura burocratica, l’incarico di
individuare e conseguentemente affidare, in
caso eccezionali, la rappresentanza in
giudizio ai professionisti esterni, previa
istruttoria e proposta del Responsabile
dell’Ufficio Avvocatura.
...
In conclusione, il ricorso va respinto pur
stimandosi equo disporre la compensazione
delle spese processuali in considerazione
della novità delle questioni esaminate (TAR
Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 19.02.2018 n. 1068 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Dopo gli incentivi ai tecnici, i diritti di rogito. Prosegue
il conflitto della Corte dei conti (15.02.2018
- link a
http://luigioliveri.blogspot.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Individuazione RPCT.
Domanda
Negli enti locali,
il Responsabile della prevenzione della corruzione e della
trasparenza è individuato, di norma, nel segretario comunale
o provinciale. Quali sono i casi in cui si può nominare un
altro soggetto?
Risposta
L’indicazione contenuta nell’art. 1, comma 7, della legge
Severino (06.11.2012, n. 190), è piuttosto precisa
nell’individuare, per gli enti locali, il segretario come
figura a cui attribuire –con decreto del sindaco o del
presidente della provincia– le funzioni di responsabile
dell’anticorruzione e trasparenza.
L’indicazione risulta condivisibile se si pensa che:
a) il segretario è un dipendente del ministero dell’Interno e non
dell’ente locale;
b) non dovrebbe svolgere compiti gestionali diretti e, in
particolare, quelli con maggiore rischio corruttivo
potenziale;
c) non dovrebbe svolgere le funzioni di responsabile dell’Ufficio
Procedimenti Disciplinari (UPD) e/o di presidente/componente
del Nucleo di Valutazione o OIV.
Sulla base della nostra esperienza diretta, i casi in cui
l’ente non ha nominato il segretario, sono sostanzialmente
due:
a) assenza prolungata del segretario o vacanza del relativo posto;
b) segretario sottoposto ad indagine penale o con condanna, anche
non definitiva, per reati dei pubblici ufficiali contro la
pubblica amministrazione, nonché per i reati di falso e
truffa.
Al verificarsi di tali casistiche è bene che l’organo
deputato alla nomina, indirizzi la sua attenzione sul
vice-segretario, se presente, o su altra figura apicale
–dirigente o posizione organizzativa– tralasciando, quanto
più possibile, i dipendenti deputati alla gestione dei
settori tradizionalmente più esposti al rischio corruzione
(ad esempio: ufficio contratti, gestione del patrimonio,
governo del territorio) (13.02.2018 - link a www.publika.it). |
gennaio 2018 |
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ATTI AMMINISTRATIVI: A
seguito di diverse criticità, afferenti la redazione del Rendiconto 2016, si
chiede di sapere se talune "condotte" (riferite al Responsabile Area
Finanziaria, al Revisore del Conto ed al Segretario Comunale) possano essere
considerate legittime, anche in relazione ai rapporti con il Consiglio
Comunale.
Le condotte possono essere così sintetizzate ed illustrate:
a) a fronte di riscontrate criticità relative al rendiconto, il
(nuovo) Responsabile Area Finanziaria ed il Revisore non vogliono formulare
il loro parere (come dovuto) in relazione alla proposta di approvazione del
rendiconto. Siffatta condotta di omissione è legittima? Quali sono le
conseguenze in relazione al concreto e agire del "agire" del Consiglio
Comunale?
b) se il Consiglio (rectius: il gruppo consiliare di maggioranza)
ritiene (dopo diffida ed adeguata motivazione) di dover procedere comunque
all'approvazione del Rendiconto, il Segretario Comunale, ritenendo la
decisione illegittima, può mettere a verbale la propria valutazione?
1) Relativamente alle condotte di cui al punto a), siamo in
presenza di "atti dovuti", che trovano il loro fondamento in diverse fonti
normative. Per tale ragione, occorre distinguere.
Per quanto riguarda il Responsabile del Settore Finanziario, l'art. 49,
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, stabilisce, al comma 1°, che: "Su ogni
proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia
mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola
regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora
comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria
o sul patrimonio dell'ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla
regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione".
La "lettera" della prescrizione normativa non da adito ad alcun dubbio:
siamo in presenza di un obbligo, cioè di un "dovere di ufficio". Il
Responsabile deve (non può!) formulare il parere. L'obbligatorietà della
formulazione del parere è confermata dal fatto che il medesimo non vincola,
di certo, l'organo deliberante, il quale, come espressamente previsto dal
comma 4, laddove "non intendano conformarsi ai pareri di cui al presente
articolo, devono darne adeguata motivazione nel testo della deliberazione".
Tutto chiaro: il parere del Responsabile deve essere dato, ma questo non
vincola la Giunta o il Consiglio, che, se non condividono il parere,
possono, con adeguata motivazione, non conformarsi.
Tuttavia, residua il problema posto in quesito: cosa accade se il parere non
viene dato?
Fermo restando l'obbligatorietà del parere (che deve essere
sollecitato e richiesto anche attraverso un'espressa diffida!), in caso di
persistenza dell'omissione (che se continua può dar luogo ad un
inadempimento di prestazione lavorativa ed anche far configurare un fumus di
"omissione di atti d'ufficio", di cui all'art. 328 c.p.), si determina una
situazione che viene diversamente interpretata dalla giurisprudenza. Ed,
infatti, secondo l'orientamento assolutamente dominante, "la mancata
acquisizione dei pareri di regolarità tecnica e contabile non comporta
l'invalidità delle deliberazioni della giunta o del consiglio comunale, ma
la loro mera irregolarità, atteso che la disposizione posta dall'art. 49 del TUEL, ha l'unico scopo di individuare i responsabili in via amministrativa e
contabile delle deliberazioni, ma senza che l'omissione del parere incida
sulla validità delle deliberazioni stesse" (TAR Marche, Sez. I, n.
623/2015; poi: TAR Sardegna, Sez. II, n. 968/2015; Cons. di Stato, Sez.
V, n. 1663/2014).
Quindi, la deliberazione assunta in assenza del parere del responsabile è
pienamente valida, non costituendo il parere medesimo un requisito di
legittimità della deliberazione. Aderendo a questo indirizzo, il Consiglio
Comunale non avrebbe alcun problema a procedere.
Tuttavia, occorre tener
conto di un recente (ed invero minoritario) indirizzo espresso dalla Corte
dei Conti (parere n. 62/2017, espresso dalla sezione di controllo
dell'Emilia Romagna) in base al quale "la mancata acquisizione dei parere di
regolarità tecnica e contabile nelle deliberazioni di Giunta e di Consiglio
(che non siano meri atti di indirizzo) determina l'illegittimità degli atti".
E' evidente che, aderendo a tale indirizzo, cambia lo scenario complessivo,
nel senso che l'omessa formulazione del parere, dovuto da parte del
Responsabile, "blocca" l'organo deliberante, nel senso che gli impedisce di
assumere le proprie decisioni. Allora, a fronte di siffatti opposti
indirizzi, appare fortemente plausibile diffidare il Responsabile,
evidenziando che la normativa pone a suo carico un obbligo: il Responsabile
deve dare il parere, qualunque ne sia il contenuto. Poi, si potrebbe
valutare con attenzione e prudenza l'eventuale adesione al primo indirizzo e
deliberare comunque, evidenziando le ragioni di pubblico interesse sottese
all'approvazione del rendiconto, che deve essere posta in essere.
Per quanto riguarda il Revisore del Conto, occorre osservare che l'art. 239,
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 stabilisce che il medesimo deve redigere una
specifica "relazione" in merito alla proposta di deliberazione consiliare di
approvazione del rendiconto. Anche in questo caso si tratta di un atto
dovuto, per cui possono essere effettuate le medesime riflessioni in merito
alla "doverosità". Tuttavia, in caso di immotivata e colpevole inerzia del
Revisore, sembra che gli "spazi di azione" del Consiglio siano lievemente
più limitati rispetto a prima (omissione colpevole del Responsabile), in
quanto il comma 2, dell'art. 227, D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, stabilisce
che il rendiconto viene deliberato "tenuto motivatamente conto della
relazione dell'organo di revisione".
Quindi, potrebbe insorgere il sospetto che, non essendoci la relazione (che
non è un semplice parere), il Consiglio non possa decidere in modo motivato.
Ad ogni modo, al fine di evitare gli effetti perniciosi della mancata
approvazione del Rendiconto, il Consiglio, dopo una adeguata illustrazione
della situazione creatasi, potrebbe considerare l'ipotesi di addivenire
comunque all'approvazione, in quanto la colpevole omissione del Revisore non
può impedire il legittimo esercizio dei poteri da parte del Consiglio.
In ogni caso, si raccomanda vivamente di diffidare il Responsabile ed il
Revisore, evidenziando loro le responsabilità, anche presuntivamente penali,
connesse all'omissione.
2) Rispetto alla condotta di cui al punto b), il Segretario
Comunale, ai sensi dell'art. 97, comma 4, lettera "a", "partecipa con
funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e
della giunta e ne cura la verbalizzazione". Secondo il consolidato indirizzo
della Corte dei conti (ex multis: Corte conti, sez. giurisdizionale
Lombardia, n. 324/2009), il Segretario ha il dovere di segnalare eventuali
illegittimità presenti nella deliberazione.
Ciò, in base, appunto, alla sua
funzione di "assistenza". Quindi, a questo punto, potrebbe svilupparsi un
proficuo "dialogo" preventivo fra il Segretario Comunale ed il Consiglio,
finalizzato a verificare se la mancanza dei pareri e della relazione
determina inevitabilmente l'illegittimità della deliberazione, oppure se
sussistono spazi motivazionali, per giustificare, comunque, un intervento di
approvazione del Consiglio, diretto, fra l'altro, ad evitare lo scioglimento
del medesimo, con tutti i conseguenti e negativi effetti sull'ente.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 49 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art.
227 - D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, art. 239
Riferimenti di giurisprudenza
TAR Marche Ancona Sez. I, Sent., 20.08.2015, n. 623
Documenti allegati
Corte Conti, sez. controllo Emilia Romagna, 11.04.2017, n. 62/2017/PAR
(29.01.2018 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
SEGRETARI COMUNALI:
Relazione RPCT.
Domanda
È possibile avere qualche informazione aggiuntiva sulla
Relazione annuale del responsabile della prevenzione e
trasparenza? Va spedita all’ANAC? In termine è perentorio?
Risposta
La normativa di riferimento per la relazione annuale del
Responsabile dell’anticorruzione e trasparenza (RPCT) è
contenuta nell’articolo 1, comma 14, della legge 06.11.2012,
n. 190 (legge Severino). In data 11.12.2017, l’ANAC ha
pubblicato, nel suo sito web, il modello e le istruzioni per
la compilazione della relazione riferita all’anno 2017,
prevedendo che la pubblicazione vada effettuata entro il
31.01.2018.
Di seguito si riportano le seguenti ulteriori informazioni:
• la relazione va compilata sul modello in formato excel,
pubblicato nel sito dell’ANAC, seguendo le istruzioni ivi
contenute;
• non ci sono sostanziali modifiche rispetto a quella del 2016;
• va pubblicata nel sito web dell’ente, entro il 31.01.2018, su
Amministrazione trasparente>Altri contenuti>Prevenzione
della Corruzione. Il termine non è perentorio ma è sempre
bene rispettare la scadenza, peraltro prorogata di un mese e
mezzo rispetto alle norme di legge;
• non va spedita all’ANAC. Va trasmessa all’organo politico
(Sindaco) e OIV o NdV. Nei casi in cui l’organo di indirizzo
lo richieda o qualora il RPCT lo ritenga opportuno,
quest’ultimo riferisce sull’attività svolta;
• l’OIV o NdV (Nucleo di Valutazione) esamina la Relazione annuale
del RPCT recante i risultati in materia di prevenzione della
corruzione e trasparenza;
• per tale verifica l’OIV può chiedere al RPCT informazioni e
documenti aggiuntivi.
La scheda è composta da tre fogli excel:
•1. Anagrafica. In questo foglio vanno inserite le informazioni
relative al Responsabile della prevenzione della corruzione
e della trasparenza o, laddove questa figura sia assente
nell’amministrazione/società/ente, all’organo di indirizzo.
•2. Considerazioni generali. In questo foglio vanno inserite le
valutazioni del Responsabile della prevenzione della
corruzione e della trasparenza rispetto all’effettiva
attuazione delle misure di prevenzione della corruzione e al
proprio ruolo all’interno dell’amministrazione/società/ente.
•3. Misure anticorruzione. In questo foglio vanno inserite
informazioni sull’adozione e attuazione delle misure di
prevenzione della corruzione formulando un giudizio sulla
loro efficacia oppure, laddove le misure non siano state
attuate, sulle motivazioni della mancata attuazione (16.01.2018
- link a www.publika.it). |
novembre 2017 |
|
SEGRETARI COMUNALI:
Compatibilità nomina membro OIV segretario in pensione.
Domanda
Può essere nominato membro di OIV
un segretario comunale in pensione e, in caso affermativo, ha diritto al
relativo compenso?
Risposta
L’elenco OIV è stato previsto all’art. 6, comma 4, del d.p.r. 105/2016 e
disciplinato compiutamente nel successivo d.m. 02.12.2016. Le norme che
rilevano ai fini della risoluzione del quesito sono essenzialmente l’art.
1, comma 2, l’art. 2 e l’art. 3, commi 2 e 5.
Tale decreto, in sostanza, nulla aggiunge rispetto alla vigente disciplina
sugli incarichi vietati ai dipendenti in quiescenza contenuta nell’art. 5,
comma 9, del d.l. 95/2012, convertito dalla l. 135/2012, come
successivamente modificato dall’art. 6 del d.l. 90/2014, convertito dalla l.
114/2014.
Per fare maggiore chiarezza, il Ministero per la semplificazione e la
pubblica amministrazione ha diramato la circolare n. 6/2014 del 04.12.2014
con cui è andato ad interpretare proprio il predetto art. 5, comma 9.
Illuminante, per la soluzione del quesito, in senso affermativo, è il
paragrafo 5 ultimo periodo.
Dalle FAQ dell’ANAC, infine, non è emerso nulla che escluda una
tale nomina e relativo compenso.
Pertanto, si ritiene di poter fornire risposta positiva alla domanda, alla
luce dei sopra esposti motivi (23.11.2017 - link a www.publika.it). |
INCARICHI PROFESSIONALI - SEGRETARI COMUNALI: Danno erariale per il Comune che delibera consulenze legali
a tutto campo.
Non possono ritenersi ammissibili le cosiddette «consulenze
globali», e cioè quelle che hanno ad oggetto la generalità
delle problematiche giuridiche che possano interessare tutta
l’attività istituzionale di un Comune atteso che i compiti
di collaborazione e le funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell’Ente, fra cui è compreso il Sindaco, sono affidati per
legge al Segretario comunale e che quest’ultimo è
fiduciariamente scelto dal Sindaco stesso.
---------------
Come noto, “in materia di consulenze, ampia e consolidata
giurisprudenza di questa Sezione,
ha ricordato che l'acquisizione di professionalità
esterne da parte delle pubbliche amministrazioni in epoca
più risalente costituiva fenomeno del tutto occasionale e
legato ad esigenze eccezionali, di talché non era oggetto di
peculiare e sistematica regolazione, ma di singole norme di
settore".
Nel corso del
tempo, il tendenziale abuso di tale strumento, anche per
eludere il "blocco delle assunzioni" imposto al settore
pubblico, ha reso necessaria l'introduzione di una regola
generale, che è stata posta dapprima con l'art. 7 del d.lgs.
n. 29/1993, e quindi sussunta nell’art. 7, comma 6, del
d.lgs. n. 165/2001,
statuendosi la possibilità per tutte
le amministrazioni pubbliche di conferire incarichi
individuali ad esperti di "provata competenza", soltanto
"per esigenze cui non possono far fronte con il personale in
servizio", e sempre previa determinazione di "durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione".
In altre parole, le pubbliche amministrazioni hanno
l'obbligo di far fronte alle competenze istituzionali
mediante il più proficuo utilizzo di risorse umane e
professionali esistenti nell'ambito delle proprie strutture,
e il ricorso a incarichi professionali esterni, avendo
natura eccezionale, può avvenire solo nei casi di necessità
e urgenza, nell'impossibilità oggettiva di utilizzare le
risorse umane (ossia la carenza di figure interne aventi
professionalità e/o idoneità specifica).
---------------
La vicenda oggetto del presente giudizio si
inserisce a pieno titolo in un filone giurisprudenziale che
considera pacificamente illegittime, oltre che foriere di
danno erariale, tutte quelle consulenze a carattere globale
(per rendere i pareri di volta in volta richiesti in una o
più materie) a cagione del loro contenuto inevitabilmente
generico e del conseguente difetto del necessario requisito
dell’eccezionalità dell’incarico
(cfr.,
ex plurimis, Sezione
giur. Friuli Venezia Giulia, sent. n. 228 del 2009, secondo
cui “un ente pubblico [può] ritenere opportuno, per la
risoluzione di questioni di particolare complessità, il
ricorso ad una consulenza giuridica di carattere
specialistico. Occorre tuttavia rilevare come la consulenza
legale non faccia eccezione ai principi normativi e
giurisprudenziali che ammettono la possibilità di ricorrere
a tale ausilio solo ove sussistano problematiche ben
individuate che non risultino utilmente fronteggiabili
mediante l’impiego del personale in servizio. La
giurisprudenza di questa Corte, infatti, non ritiene
ammissibili le c.d. consulenze globali, e cioè quelle che
hanno ad oggetto la generalità delle problematiche
giuridiche che possano interessare tutta l’attività
istituzionale di un ente pubblico).
In questi casi il mancato rispetto dei presupposti legali
per il conferimento incarichi di consulenza non implica
soltanto un mero vizio di legittimità dell’azione
amministrativa, ma integra estremi del danno erariale, per
l’illiceità della relativa spesa.
Peraltro, al cospetto di siffatti incarichi esterni il
pregiudizio per l’Ente pubblico appare tanto maggiore alla
luce della “sovrapposizione delle funzioni (con conseguente
duplicazione dei costi) [e] della menomazione e
demotivazione della professionalità del personale interno”,
essendo infatti “opinione condivisa che la creazione di una
struttura di consulenza esterna che non risponda ad
effettive esigenze di carattere temporaneo ed eccezionale,
possa determinare l'effetto deleterio di demotivare e
svilire il personale entrato a far parte dell'organico
dell'ente a seguito di procedura concorsuale, producendo
conseguenze negative sull'intera funzionalità dell'ufficio”.
---------------
In particolare, sotto il profilo della inutile e dannosa
sovrapposizione di compiti e ruoli derivante dallo specifico
incarico oggetto del presente giudizio, va altresì
sottolineato come “il modulo organizzativo risultante da
tale generica forma di collaborazione risulta, nella
sostanza, sovrapponibile alla altrettanto generica
previsione secondo cui “Il segretario comunale e provinciale
svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell’ente in ordine alla conformità dell'azione
amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”
(articolo 17, comma 68, primo periodo, della legge 15.05.1997, n. 127; ora articolo 97, comma 2, del decreto
legislativo n. 267 del 2000)”; con la conseguenza “che -riguardo all’esigenza di avvalersi del supporto di un
esperto di fiducia “in materia giuridico-amministrativa”, la
cui soddisfazione è perseguita con il conferimento degli
incarichi controversi- il principio generale secondo cui
non possono istituzionalmente coesistere più posizioni per
la soddisfazione di una stessa esigenza non è stato
rispettato, atteso che i “compiti di collaborazione e
funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei
confronti degli organi dell’ente”, fra cui è compreso il
sindaco (articolo 36, comma 1 del decreto legislativo n. 267
del 2000), sono affidati per legge (e dalla regolamentazione
locale) al segretario comunale e che quest’ultimo è fiduciariamente scelto dal sindaco stesso”.
---------------
(A) Il presente giudizio ha ad oggetto l’azione di
responsabilità intentata dalla Procura contabile nei
confronti di sei amministratori e due segretari comunali del
Comune di Presenzano in relazione ad un presunto danno
erariale di € 22.470,80-, che sarebbe stato da questi
cagionato all’Ente di appartenenza a causa di un incarico
esterno conferito ad un legale -e prorogato più volte nel
tempo– per consulenze “in materia di diritto civile, penale
e amministrativo, esternat[e] in pareri scritti e orali, a
richiesta del sindaco, del segretario e dei funzionari
responsabili delle posizioni organizzative”.
(B) In via preliminare va respinta l’eccezione di
prescrizione sollevata da tutti i convenuti, ad eccezione
del NA., in quanto manifestamente infondata.
Invero, i pagamenti per cui è causa sono stati tutti
effettuati a partire dal 14/07/2010 (cfr. mandato n.
836/2010), per cui, “essendo il primo atto interruttivo
datato 23/12/2014”, non appare decorso infruttuosamente il
termine quinquennale previsto dall’art. 1, co. 2, della
Legge n. 20/1994, secondo cui “Il diritto al risarcimento
del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni,
decorrenti dalla data in cui si è verificato fatto dannoso”.
(C) Nel merito la domanda è fondata.
Come noto, “in materia di consulenze, ampia e consolidata
giurisprudenza di questa Sezione (ex multis
sent. n. 1899/2011 e n. 533/2012), ha
ricordato che l'acquisizione di professionalità esterne da
parte delle pubbliche amministrazioni in epoca più risalente
costituiva fenomeno del tutto occasionale e legato ad
esigenze eccezionali, di talché non era oggetto di peculiare
e sistematica regolazione, ma di singole norme di settore".
Nel corso del
tempo, il tendenziale abuso di tale strumento, anche per
eludere il "blocco delle assunzioni" imposto al settore
pubblico, ha reso necessaria l'introduzione di una regola
generale, che è stata posta dapprima con l'art. 7 del d.lgs.
n. 29/1993, e quindi sussunta nell’art. 7, comma 6, del
d.lgs. n. 165/2001 (recante il testo unico delle
disposizioni in materia di ordinamento del lavoro dei
pubblici dipendenti), statuendosi la possibilità per tutte
le amministrazioni pubbliche di conferire incarichi
individuali ad esperti di "provata competenza", soltanto
"per esigenze cui non possono far fronte con il personale in
servizio", e sempre previa determinazione di "durata, luogo,
oggetto e compenso della collaborazione" (cfr. Sezione giur.
Campania, sent. n. 291 del 2017, cui si rinvia per un più
ampio excursus normativo).
In altre parole, le pubbliche amministrazioni hanno
l'obbligo di far fronte alle competenze istituzionali
mediante il più proficuo utilizzo di risorse umane e
professionali esistenti nell'ambito delle proprie strutture,
e il ricorso a incarichi professionali esterni, avendo
natura eccezionale, può avvenire solo nei casi di necessità
e urgenza, nell'impossibilità oggettiva di utilizzare le
risorse umane (ossia la carenza di figure interne aventi
professionalità e/o idoneità specifica) (cfr. Terza Sezione giur. centrale di appello, sent. n. 339 del 2012).
Ciò premesso, la vicenda oggetto del
presente giudizio si inserisce a pieno titolo in un filone
giurisprudenziale che considera pacificamente illegittime,
oltre che foriere di danno erariale, tutte quelle consulenze
a carattere globale (per rendere i pareri di volta in volta
richiesti in una o più materie) a cagione del loro contenuto
inevitabilmente generico e del conseguente difetto del
necessario requisito dell’eccezionalità dell’incarico
(cfr.,
ex plurimis, Sezione
giur. Friuli Venezia Giulia, sent. n. 228 del 2009, secondo
cui “un ente pubblico [può] ritenere opportuno, per la
risoluzione di questioni di particolare complessità, il
ricorso ad una consulenza giuridica di carattere
specialistico. Occorre tuttavia rilevare come la consulenza
legale non faccia eccezione ai principi normativi e
giurisprudenziali che ammettono la possibilità di ricorrere
a tale ausilio solo ove sussistano problematiche ben
individuate che non risultino utilmente fronteggiabili
mediante l’impiego del personale in servizio. La
giurisprudenza di questa Corte, infatti, non ritiene
ammissibili le c.d. consulenze globali, e cioè quelle che
hanno ad oggetto la generalità delle problematiche
giuridiche che possano interessare tutta l’attività
istituzionale di un ente pubblico (C.d.C., Sez. III n.
75/2009; id. Sez. III n. 9/2003; id. Sez. Liguria n.
912/2003; id. Sez. Abruzzo n. 679/2004)”; cfr. altresì
Sezione giur. Friuli Venezia Giulia, sent. n. 204 del 2011;
Sezione giur. Bolzano, sent. n. 32 del 2011; Sezione giur.
Lazio, sent., n. 123 del 2015; Prima Sezione giur. centrale
di appello, sent. n. 127 del 2014).
In questi casi il mancato rispetto dei presupposti legali
per il conferimento incarichi di consulenza non implica
soltanto un mero vizio di legittimità dell’azione
amministrativa, ma integra estremi del danno erariale, per
l’illiceità della relativa spesa (Sezione giur. Campania,
sent. n. 982 del 2013; sent. n. 60 del 2012; Sezione giur.
Sicilia, sent. n. 4037 del 2011; Sezione giur. Veneto, sent.
n. 284 del 2011).
Peraltro, al cospetto di siffatti incarichi esterni il
pregiudizio per l’Ente pubblico appare tanto maggiore alla
luce della “sovrapposizione delle funzioni (con conseguente
duplicazione dei costi) [e] della menomazione e
demotivazione della professionalità del personale interno”
(cfr. Sezione giur. Campania, sent. n. 562 del 2013),
essendo infatti “opinione condivisa che la creazione di una
struttura di consulenza esterna che non risponda ad
effettive esigenze di carattere temporaneo ed eccezionale,
possa determinare l'effetto deleterio di demotivare e
svilire il personale entrato a far parte dell'organico
dell'ente a seguito di procedura concorsuale, producendo
conseguenze negative sull'intera funzionalità dell'ufficio
(cfr. Sez. Abruzzo n. 750/2004)” (cfr. Sezione giur. Friuli
Venezia Giulia, sent. n. 41 del 2008).
In particolare, sotto il profilo della inutile e dannosa
sovrapposizione di compiti e ruoli derivante dallo specifico
incarico oggetto del presente giudizio, va altresì
sottolineato come “il modulo organizzativo risultante da
tale generica forma di collaborazione risulta, nella
sostanza, sovrapponibile alla altrettanto generica
previsione secondo cui “Il segretario comunale e provinciale
svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell’ente in ordine alla conformità dell'azione
amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”
(articolo 17, comma 68, primo periodo, della legge 15.05.1997, n. 127; ora articolo 97, comma 2, del decreto
legislativo n. 267 del 2000)”; con la conseguenza “che -riguardo all’esigenza di avvalersi del supporto di un
esperto di fiducia “in materia giuridico-amministrativa”, la
cui soddisfazione è perseguita con il conferimento degli
incarichi controversi- il principio generale secondo cui
non possono istituzionalmente coesistere più posizioni per
la soddisfazione di una stessa esigenza non è stato
rispettato, atteso che i “compiti di collaborazione e
funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei
confronti degli organi dell’ente”, fra cui è compreso il
sindaco (articolo 36, comma 1 del decreto legislativo n. 267
del 2000), sono affidati per legge (e dalla regolamentazione
locale) al segretario comunale e che quest’ultimo è fiduciariamente scelto dal sindaco stesso”
(cfr. Sezione giur. Sicilia, sent. n. 47 del 2017).
In conclusione, per l’insieme di tali ragioni gli incarichi
conferiti dal Comune di Presenzano all’avv. MA. -e
segnatamente quelli prorogati con le delibere della Giunta
comunale n. 126 del 19/11/2009 e n. 3 del 13/01/2011-
debbono considerarsi non solo illegittimi, ma altresì
forieri di un danno erariale complessivamente quantificato
in € 22.470,80.
(D) Con riferimento alla quantificazione del danno, il
Collegio, pur considerando che l’incarico all’Avv.
MA. è stato disposto contra legem, non può esimersi
dal considerare che, come documentato dalle parti attraverso
la produzione di diversi pareri dallo stesso resi (e non
contestati da controparte), lo stesso, per anni, ha fornito
comunque prestazioni al Comune valutabili, equitativamente,
intorno al 20% del danno sopra determinato.
Invero, ai sensi dell’art. 1, co. 1-bis, della Legge n.
20/1994, “Nel giudizio di responsabilità, fermo restando il
potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi
comunque conseguiti dall'amministrazione di appartenenza, o
da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in
relazione al comportamento degli amministratori o dei
dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”.
Ne consegue, dunque, che il danno va rideterminato in €
8.986 per il danno conseguente alla delibera n. 126 del
19/11/2009 (primo rinnovo contestato) e in € 8.991 per il
danno conseguente alla delibera n. 3 del 13/01/2011 (secondo
rinnovo contestato).
Nessuna particolare compensazione può essere invece
riconosciuta in ordine ai vantaggi economici che sarebbero
derivati al Comune di Presenzano dagli indennizzi versati
dall’ENEL a causa della presenza sul territorio comunale di
una imponente centrale idroelettrica (e in riferimento ai
quali l’avv. MA. avrebbe prestato opera di
assistenza agli organi del Comune), trattandosi di vantaggi
che trovano la loro causa diretta in norme di legge (ad es.,
artt. 52 e 53 regio decreto 11.12.1933, n. 1775; art.
1 L. 27.12.1953, n. 959) e non certo negli incarichi
illegittimi oggetto del presente giudizio.
(E) In ordine alla suddivisione delle responsabilità tra i
singoli convenuti il Collegio ritiene di ascrivere una quota
del 50% del danno al segretario comunale pro tempore che con
grave negligenza è intervenuto senza nulla osservare –a
dispetto della macroscopica illegittimità dell’incarico–
nella seduta di Giunta in cui sono stati adottate le
delibere in contestazione (Ma.FE. in ordine alla
delibera n. 126 del 19/11/2009 e An.NA. in ordine alla
delibera n. 3 del 13/01/2011).
Invero, secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale il
segretario (comunale o provinciale), ai sensi dell'art. 17
della L. n. 127 del 1997 e, successivamente, dell'art. 97
del D.L.vo 18.08.2000 n. 267, mantiene la specifica
funzione ausiliaria di garante della legalità e correttezza
amministrativa dell'azione dell'ente locale; infatti, il TUEL ha assegnato al segretario dell'ente locale, in linea
generale, oltre agli altri compiti indicati all'art. 97 del
T.U. citato, le “funzioni di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell'ente in ordine alla conformità dell'azione
amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”.
Pertanto non può dubitarsi del fatto che il segretario
comunale abbia il preciso obbligo giuridico di segnalare
agli amministratori le illegittimità contenute negli
emanandi provvedimenti, al fine di impedire atti e
comportamenti illegittimi forieri di danno erariale e che,
in mancanza, il Segretario debba essere ritenuto
responsabile, a titolo di concorso omissivo, nella
causazione del fatto dannoso contestato (cfr. Sezione giur.
Puglia, sent. n. 168 del 2017; Sezione Friuli Venezia
Giulia, sent. n. 105 del 2010; Sezione giur. Lombardia,
sent. n. 473 del 2009; Prima Sezione centrale appello, sent.
n. 154 del 2008; cfr., altresì, nello stesso senso, Sezione
giur. Campania, sent. n. 280 del 2017; Sezione giur.
Campania, sent. 200 del 2017; Sezione giur. Campania, sent.
254 del 2016; Sezione giur. Campania, sent. 1064 del 2015;
Sezione giur. Campania, sent. 1061 del 2015; Sezione giur.
Campania, sent. 566 del 2011; Sezione giur. Campania, sent.
104 del 2011; contra, per una non condivisa lettura
riduttiva delle funzioni del Segretario comunale, cfr.
Sezione giur. Campania, sent. 320 del 2017).
Allo stesso modo, stante la macroscopica illegittimità degli
incarichi de quibus, il Collegio ritiene di suddividere la
restante quota del 50% del danno tra gli amministratori che,
con grave negligenza, hanno approvato le delibere n. 126 del
19/11/2009 (Vi.D'ER., Vi.ZI., Fu.FE., Ca.FO.) e n. 3 del 13/01/2011 (Vi.D'ER., An.Va.FE., Fu.FE., Ca.FO., Ni.PA.).
Ne consegue dunque gli odierni convenuti debbono essere
condannati al pagamento delle seguenti somme:
a) Ma.FE.al pagamento di € 4.493;
b) An.NA. al pagamento di € 4.495;
c) Vi.D'ER. al pagamento di € 2.022;
d) Vi.ZI. al pagamento di € 1.123;
e) Fu.FE. al pagamento di € 2.022;
f) Ca.FO. al pagamento di € 2.022;
g) An.Va.FE. al pagamento di € 899;
h) Ni.PA. al pagamento di € 899.
(F) Sulle predette somme dovrà essere corrisposta la
rivalutazione monetaria, da calcolarsi sulla base degli
indici ISTAT e con decorrenza dalla data di consumazione
dell’illecito, coincidente con quella dei singoli pagamenti
non dovuti, e sino alla data di deposito della presente
sentenza (Sezione giur. Puglia, sent. n. 324 del 2017;
Sezione giur. Veneto, sent. n. 71 del 2017).
Inoltre sulla somma in tal modo rivalutata sono dovuti gli
interessi legali dalla pubblicazione della presente
decisione fino all’effettivo soddisfo ai sensi dell’art.
1282 , 1° co, del codice civile (Sezione giur. Campania,
sentt. n. 637 del 2016; n. 635 del 2016; n. 544 del 2016; n.
417 del 2016; n. 362 del 2016)
(G) Le spese della sentenza, da liquidarsi con nota a
margine da parte della Segreteria (ex art. 31, comma 5,
c.g.c.), seguono la soccombenza e devono essere poste in
solido a carico dei convenuti condannati.
P.Q.M.
la Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per la regione Campania,
in accoglimento della domanda:
1. RESPINGE le eccezioni di prescrizione;
2. CONDANNA i convenuti al pagamento, in favore del Comune di Presenzano, della seguenti somme, oltre rivalutazione
monetaria, da calcolarsi secondo gli indici ISTAT,
dall'esborso e fino al giorno della pubblicazione della
presente sentenza, nonché interessi legali sulla somma così
rivalutata dalla predetta pubblicazione al soddisfo:
a) Ma.FE. a € 4.493;
b) An.NA. a € 4.495;
c) Vi.D'ER. a € 2.022;
d) Vi.ZI. a € 1.123;
e) Fu.FE. a € 2.022;
f) Ca.FO. a € 2.022;
g) An.Va.FE. a € 899;
h) Ni.PA. a € 899.
I predetti soggetti sono, poi, tenuti al pagamento, nei
confronti dell'erario, delle spese di giustizia che si
liquidano in € 936,68
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Campania,
sentenza 07.11.2017 n. 399). |
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Predisposizione Piano Triennale Prevenzione Corruzione.
Domanda
Chi può predisporre il Piano Triennale Prevenzione della
Corruzione e Trasparenza, se non vi provvede il Segretario
comunale, nominato come RPCT?
Risposta
Nessuno può sostituirsi al soggetto nominato come RPCT nella
stesura del Piano. Il Piano non è un documento di studio o di
indagine, ma uno strumento per l’individuazione di misure
concrete, da realizzare con certezza e da vigilare quanto ad
effettiva applicazione e quanto ad efficacia preventiva
della corruzione.
Tale documento deve, inoltre, realizzare un collegamento
effettivo e puntuale con il piano della performance,
adottato nell’ente. Il responsabile per la prevenzione della
corruzione e trasparenza deve provvedere alla
predisposizione e all’aggiornamento del PTPCT.
La mancata predisposizione del Piano è fonte di
responsabilità disciplinare e può comportare l’applicazione
di sanzioni da parte dell’ANAC che possono andare a 1.000 a
10.000 euro.
Inoltre, la mancata pubblicazione del piano –qualificata
come obbligatoria– è valutata ai fini della responsabilità
dirigenziale e della corresponsione della retribuzione di
risultato e del trattamento accessorio collegato alla
performance individuale dei responsabili e può dar luogo a
responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione.
Riferimenti normativi:
• art. 1, commi 8 e 44, della l. 190/2012;
• art. 54, comma 3, del d.lgs. 165/2001;
• art. 46 del d.lgs. 33/2013;
• Delibera ANAC n. 330 del 29.03.2017, recante
«Regolamento per l’esercizio dell’attività di vigilanza in
materia di prevenzione della corruzione» (07.11.2017 - link a
www.publika.it). |
settembre 2017 |
|
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Assenza Segretario e nomina RPCT.
Domanda
Nel nostro comune è attualmente scoperto l’incarico di
Segretario comunale e, di conseguenza, non è stato nominato
il responsabile per la prevenzione della corruzione e
trasparenza.
Per quanto tempo possiamo rimanere in questa situazione?
Risposta
L’articolo 1, comma 7, della legge 190/2012, prevede che in
ogni pubblica amministrazione venga nominato un responsabile
per la prevenzione della corruzione e trasparenza. Non è,
quindi, possibile che nel vostro ente, l’incarico non sia
affidato a nessun soggetto.
A tal riguardo l’ANAC ha previsto che, in determinate
circostanze, con l’adozione di un provvedimento
adeguatamente motivato, le funzioni di tali figure possano
essere svolte anche da un dirigente amministrativo di ruolo
in servizio presso l’Ente o, comunque, da un funzionario cui
siano affidati incarichi di natura dirigenziale (vedi art.
19, comma 6, del d.lgs. 165/2001).
In ogni caso, qualora la nomina del Sindaco fosse
indirizzata su una figura apicale (dirigente o posizione
organizzativa negli enti senza dirigenti):
• non può essere prevista un’indennità di risultato aggiuntiva
rispetto a quella prevista per legge;
• ai fini della scelta, è opportuno verificare l’assenza di
situazioni di conflitto di interesse, evitando che la nomina
riguardi dirigenti incaricati presso settori
tradizionalmente considerati più esposti a rischio
corruzione;
• non potrà mai essere nominato un soggetto esterno
all’amministrazione.
Il provvedimento di nomina dovrà contenere una motivazione
coerente con le specificità e dell’ente che, in questo caso
particolare, risiedono proprio nel fatto che l’incarico di
Segretario comunale non è stato –al momento– ricoperto.
Infine, i dati relativi al RPCT andranno pubblicati nel sito
web istituzionale: sezione amministrazione trasparente >
altri contenuti > prevenzione della corruzione.
Riferimenti normativi:
• legge 190/2012, art. 1, comma 7;
• d.lgs. 33/2013, art. 43;
•
anticorruzione.it/portal/public/classic/MenuServizio/FAQ/
(FAQ n. 3.1, 3.3, 3.4, 3.9, 3.10, 3.15) (26.09.2017 -
link a www.publika.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Potere disciplinare sui segretari comunali: chi
ha la competenza?
Quesito
Si chiede un parere in merito alla legittimità di delibere
con cui alcuni enti (unioni di comuni) approvano convenzioni
con uffici interdisciplinari, in composizione monocratica e
costituiti da dirigenti a tempo determinato –art. 110 Tuel–
al fine di esercitare le funzioni relative al procedimento
disciplinare oltre che sui dipendenti e dirigenti dei comuni
stessi anche sui segretari comunali dei comuni stessi i
quali, invece, in base al decreto del 15.02.2011 del
presidente dell’Unità di Missione sono soggetti
esclusivamente al potere disciplinare dei Prefetti a livello
territoriale.
Risposta
In materia di procedimenti disciplinari le pubbliche
amministrazione debbono fare riferimento esclusivamente alle
disposizioni legislative, attualmente incise (dal
22/06/2017) dal d.lgs. 75/2017.
L’Art. 55 al comma 1, TUPI precisa, infatti, come “Le
disposizioni del presente articolo e di quelli seguenti,
fino all’articolo 55-octies, costituiscono norme imperative,
ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419,
secondo comma, del codice civile, e si applicano ai rapporti
di lavoro di cui all’articolo 2, comma 2, alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma
2. La violazione dolosa o colposa delle suddette
disposizioni costituisce illecito disciplinare in capo ai
dipendenti preposti alla loro applicazione”.
L’art. 55-bis prevede, inoltre, che:
- comma 1 “Per le infrazioni di minore gravità, per le quali e’
prevista l’irrogazione della sanzione del rimprovero
verbale, il procedimento disciplinare e’ di competenza del
responsabile della struttura presso cui presta servizio il
dipendente. Alle infrazioni per le quali e’ previsto il
rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita dal
contratto collettivo”;
- comma 2 “Ciascuna amministrazione, secondo il proprio
ordinamento e nell’ambito della propria organizzazione,
individua l’ufficio per i procedimenti disciplinari
competente per le infrazioni punibili con sanzione superiore
al rimprovero verbale e ne attribuisce la titolarità e
responsabilità”;
- comma 3 “Le amministrazioni, previa convenzione, possono
prevedere la gestione unificata delle funzioni dell’ufficio
competente per i procedimenti disciplinari, senza maggiori
oneri per la finanza pubblica”.
Premesso quanto sopra l’amministrazione è libera di
determinare la competenza dell’ufficio dei Procedimenti
Disciplinari, ossia se in forma monocratica o collegiale. Se
a capo del citato ufficio vi sia un dirigente a tempo
determinato, non dovrebbero esserci problemi di
incompatibilità essendo lo stesso posto a capo del citato
ufficio, come appare fuori da ogni dubbio di legittimità il
fatto che vi sia una convenzione che affidi la titolarità
dell’Ufficio ad un comune.
In merito alla competenza dei procedimenti disciplinari sia
per i dipendenti che per i dirigenti la stessa spetta al
solo responsabile dell’ufficio dei procedimenti disciplinari
ad eccezione della conclusione del procedimento disciplinare
di competenza del Segretario Generale (o direttore generale)
per le sole infrazioni disciplinari ascrivibili al dirigente
ai sensi degli articoli 55-bis, comma 7 (mancata
collaborazione con l’UPD), e 55-sexies, comma 3 (mancato
esercizio o decadenza del procedimento disciplinare).
Infine, in merito alla sottoposizione dei segretari comunali
ai procedimenti disciplinari, l’Unità di Missione del
Ministero dell’Interno (ex Agenzia autonoma per la gestione
dell’Albo dei Segretari comunali e provinciali) con decreto
del 03/08/2011 ha stabilito che le competenze per gli atti
endoprocedimentali dei procedimenti disciplinari siano in
capo al dirigente del settore “albo Nazionale” a
livello nazionale, al Responsabile del servizio albo nella
sua qualità di referente per l’istruttoria a livello
regionale, mentre solo l’ufficio responsabile dei
procedimenti disciplinari è, a livello nazionale esercitato
dal Presidente dell’Unità di missione, mentre a livello
territoriale dai Prefetti delle province capoluogo di
regione (22.09.2017 - tratto da www.ilpersonale.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO -
SEGRETARI COMUNALI: Niente stipendi d’oro agli staff.
Strapagare il capo di gabinetto costituisce
danno erariale. Per
la Corte conti Toscana devono essere
rispettati i limiti stabiliti dai Ccnl.
Costituisce danno erariale
pagare il capo di
gabinetto al di là dei
limiti e dei parametri
stabiliti dai contratti collettivi
nazionali di lavoro.
La Corte dei
conti, sezione giurisdizionale
per la Toscana, con la
sentenza
19.09.2017 n. 209, torna
su una delle azioni a maggiore
rischio di danno per i sindaci:
l’assegnazione di incarichi di
staff, ai sensi dell’articolo 90
del dlgs 267/2000.
La vicenda riguarda la previsione
di un compenso annuo
di 50 mila euro per il capo di
gabinetto, assunto in staff e
privo della laurea.
Titolo di studio. La sezione
precisa che il danno non deriva,
di per sé, dal mancato possesso
del titolo di studio della laurea.
A ben vedere, infatti, l’articolo
90, così come il regolamento di
funzionamento dei servizi del
comune di Pistoia, non richiedono
alcun particolare titolo di
studio, allo scopo di valorizzare
l’elemento fiduciario nella scelta
del sindaco del proprio staff.
Per altro, la persona incaricata
come capo di gabinetto, pur non
laureata, secondo la sentenza
disponeva di un curriculum
idoneo ad attestare un’effettiva
competenza a svolgere
l’incarico.
Differenze con l’articolo
110. L’assenza della previsione
di un titolo di studio particolare,
spiegano i giudici, distingue
fortemente l’articolo 90 dall’articolo
110 del Tuel. Mentre per
lo staff non sono richiesti titoli
culturali, al contrario
nel caso dei dirigenti o
funzionari a contratto
la laurea si rivela necessaria.
Corrispondenza
fra titoli e inquadramento. Esclusa la necessità
della laurea, la
sentenza tuttavia evidenzia
un altro vincolo
implicito negli incarichi
regolati dall’articolo 90: il rispetto
del vincolo di corrispondenza
tra il trattamento economico
normativamente previsto
per una determinata categoria
e i requisiti, culturali e professionali,
posseduti, dall’incaricato.
Lo scopo di questa necessaria
corrispondenza è, secondo la
magistratura contabile evitare
«che le assunzioni dall’esterno
ai sensi dell’art. 90 Tuel siano
lasciate al mero arbitrio degli
amministratori».
Dunque, se è possibile incaricare
persone prive di laurea,
tuttavia la retribuzione dovrà
essere correlata al profilo professionale
corrispondente al titolo
posseduto. Nel caso di specie,
secondo la Corte dei conti,
quindi, all’incaricato doveva
essere assegnato il trattamento
economico corrispondente
alla Categoria C5, largamente
inferiore ai 50 mila euro annui
assegnati.
Inapplicabilità della sanatoria
del 2014. Nel caso
di specie, non è applicabile il
comma 3-bis dell’articolo 90
del dlgs 90/2014, introdotto
dal dl 90/2014 allo scopo di sanare
i molti incarichi di staff
sovrappagati a personale privo
di laurea. Tale comma dispone
che «resta fermo il divieto di
effettuazione di attività gestionale
anche nel caso in cui
nel contratto individuale di lavoro
il trattamento economico,
prescindendo dal possesso del
titolo di studio, è parametrato a
quello dirigenziale». Nel caso di
specie, l’incarico era stato conferito
nel 2007: il comma 3-bis
non ha, afferma la sentenza,
portata retroattiva e, quindi
non può esimere da responsabilità.
In ogni caso, «l’attribuzione
a personale sfornito di laurea
di un trattamento dirigenziale
dovrebbe essere
espressamente
consentita dal
Regolamento
sull’ordinamento
degli uffici e dei
servizi», il che nel
caso di specie non
era avvenuto.
No all’esimente
politica.
La sezione ha respinto
la cosiddetta «esimente
politica». Il sindaco, infatti, ha
affermato che il decreto di nomina
è stato il frutto di istruttorie
tecnico-amministrative di
competenza dei dirigenti, che
avrebbero indirettamente confermato
la legittimità dell’operato
del primo cittadino.
La sentenza rileva che il
sindaco, invece, ha ricoperto
«un ruolo che richiedeva la
padronanza di quei fondamentali
principi dell’agire
amministrativo e della contabilità
pubblica, peraltro di
semplicissima ed intuitiva
evidenza, che impongono di
legare il compenso di soggetti
assunti dall’esterno ex art. 90
Tuel a parametri oggettivi, suscettibili
di verifica e riscontro
immediati». Si conclude, quindi,
che l’incarico non richiedeva
quelle «specifiche competenze
tecnico-specialistiche, estranee
alle funzioni proprie degli organi
politici del comune» che
avrebbero mandato il sindaco
esente da responsabilità.
Assoluzione del segretario
comunale. Con una decisione
piuttosto innovativa,
la Sezione ha assolto il segretario,
chiamato in causa dalla
Procura, per non aver impedito
l’incarico dannoso.
Contrariamente a molta
altra giurisprudenza, la sentenza
evidenzia che i «compiti
di collaborazione e le funzioni
di assistenza giuridico-amministrativa
nei confronti degli
organi dell’ente in ordine alla
conformità dell’azione amministrativa
alle leggi, allo statuto
ed ai regolamenti, intestati in
capo al Segretario generale in
base all’art. 97 Tuel, non possono
evidentemente comportare
la responsabilità dello stesso
rispetto a vicende, per le quali
non risulti un diretto ed immediato
coinvolgimento dello
stesso»
(articolo ItaliaOggi del
29.09.2017).
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MASSIMA
Staff
Sindaco: niente Cat. D per il diplomato.
La retribuzione degli incarichi di staff
del sindaco previsti dall'art. 90 del D.Lgs. n. 267/2000
devono essere calcolati tenendo «conto delle funzioni
previste nella declaratoria contrattuale degli enti locali».
In particolare «un dipendente sprovvisto del titolo della
laurea non potrà essere assunto come funzionario
amministrativo (categoria D), ma esclusivamente come
istruttore amministrativo (categoria C, anche nella sua
massima estensione orizzontale, ossia C5)».
In relazione,
poi, all'erogazione del salario accessorio forfettario
«in
mancanza della deliberazione della Giunta comunale, il
sindaco non può "sapere" l'ammontare della parte
determinabile ex post (straordinario, produttività,
incentivi ecc.) del salario accessorio in via forfettaria».
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5. Con riferimento al merito della vicenda, il Collegio ritiene che la
pretesa erariale meriti accoglimento, sia pure nei termini e
limiti sottoindicati, unicamente nei confronti del Sig.
Be.Re., dovendo, per contro, essere disattesa nei
confronti del Sig. Fe.Ca..
5.a) Nello specifico, in relazione alla posizione del
Sindaco Be., data per pacifica la ricorrenza del cd
rapporto di servizio con l’Amministrazione danneggiata
(Comune di Pistoia), risulta evidente la condotta illecita,
consistita nell’adozione del decreto n. 130 del 27.06.2007, prevedente il conferimento al Sig. Fo.
dell’incarico di Responsabile dell’Ufficio del Sindaco, con
l’attribuzione al medesimo, a titolo di acconto e salvo
conguaglio, nelle more della fissazione del compenso
definitivo da parte della Giunta (invero mai intervenuta),
del compenso dal medesimo già percepito quale Capo di
Gabinetto (euro 50.000,00 annui lordi, giusta decreto
sindacale n. 330 del 30.09.2002, richiamato nelle premesse
del decreto n. 130/07).
A tal riguardo, va subito evidenziato che il profilo di
illiceità è rappresentato non già dall’assenza del diploma
di laurea in capo all’incaricato, quale circostanza per
contro ritenuta dall’Organo requirente di per sé ostativa
all’accesso all’incarico de quo, ma dall’intervenuto
riconoscimento di un compenso non corrispondente ai
requisiti culturali e professionali del Fondatori, alias al
livello di inquadramento consentito in base agli stessi.
A tale ultimo riguardo, l’Organo requirente ha censurato il
riconoscimento di un compenso (finanche) superiore a quello
normativamente previsto per la categoria D, richiedente il
possesso del diploma di laurea.
Il Collegio ritiene, infatti,
che il diploma di laurea non
fosse necessario ai fini dell’attribuzione dell’incarico di
Responsabile dell’Ufficio del Sindaco (quale Struttura di
Staff posta alle dirette dipendenze del Sindaco stesso per
l’esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo al
medesimo spettanti, come confermato dalla delibera giuntale
n. 28 del 22.2.2007), siccome incarico di carattere
eminentemente fiduciario conferito ai sensi dell’art. 90 d.lgs. 267/2000, cd. T.U.E.L.
Tale ultima disposizione (significativamente richiamata nel
contratto di lavoro subordinato a tempo determinato,
stipulato con il Fondatori in data 27.06.2007, in esecuzione
del decreto sindacale per cui è causa) non richiede, invero,
uno specifico e particolare requisito culturale, quale
quello della laurea, ferma restando la necessità
dell’inquadramento dell’incaricato, sulla base dei requisiti
di studio posseduti e in relazione alle pregresse esperienze
professionali (tali comunque da garantire l’adeguato
assolvimento dei compiti assegnati), in una determinata
qualifica funzionale, cui far discendere, in applicazione
delle disposizioni contrattuali di settore, la
determinazione del relativo trattamento economico (in
termini, tra le altre, Corte Conti, Sez. giur. Calabria, 10.07.2014, n. 191; id., Sez. giur. Emilia-Romagna, 18.11.2014, n. 155).
Nello specifico, il richiamato art. 90, per quanto
d’interesse in questa sede, si limita a statuire, al primo
comma, che il Regolamento sull’ordinamento degli uffici e
dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti
alle dirette dipendenze del Sindaco, “…..per l’esercizio
delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite
dalla legge, costituiti da dipendenti dell’ente, ovvero,
salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, da collaboratori assunti con contratto a tempo
determinato…..”.
La medesima disposizione statuisce, al secondo comma 2, che
“Al personale assunto con contratto di lavoro subordinato a
tempo determinato si applica il contratto collettivo
nazionale di lavoro del personale degli enti locali”,
aggiungendo, al comma 3, che “Con provvedimento motivato
della giunta, al personale di cui al comma 2, il trattamento
economico accessorio previsto dai contratti collettivi può
essere sostituito da un unico emolumento comprensivo dei
compensi per il lavoro straordinario, per la produttività
collettiva e per la qualità della prestazione individuale”.
Risulta allora acclarato come l’art. 90 TUEL non richieda
specifici requisiti o particolari titoli di studio per gli
incarichi afferenti agli Uffici di staff.
Tutto ciò al fine precipuo di valorizzare la componente
fiduciaria nella individuazione di soggetti destinati ad
operare in uffici che possono essere definiti come strutture
eventuali, la cui costituzione è rimessa all’autonoma
determinazione dell’Ente e che svolgono una funzione di
immediato supporto agli organi di direzione politica
nell’esercizio delle funzioni di indirizzo politico e
controllo loro spettanti, in posizione servente e subalterna
rispetto agli stessi organi (in termini, Corte Conti, Sez. giur. Calabria n. 191/2014).
Emerge allora palese la differenza rispetto al successivo
art. 110 TUEL (in tema di contratti a tempo determinato per
la copertura di posti responsabili dei servizi o degli
uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta
specializzazione), il quale fa esplicito riferimento alla
necessità del possesso di particolari requisiti che rendano
gli incaricati idonei alle mansioni specialistiche o
direttive che andranno a svolgere, con particolare
riferimento al titolo di studio da ricondurre
necessariamente al diploma di laurea o titolo equipollente
(così, Corte Conti, Sez. giur. Emilia-Romagna, 18.11.2014, n. 155).
La non necessità di uno specifico requisito culturale per
l’accesso agli incarichi di cui all’art. 90 risulta
confermata dalla circostanza per cui tale disposizione, nel
contesto di una disciplina, come visto, autonoma rispetto a
quella delineata dal successivo art. 110, richiama sì il
CCNL, ma per il “personale assunto” e, dunque, per una fase
successiva a quella dell’assunzione (in termini, Corte
Conti, Sez. giur. Toscana, 04.08.2011 n. 282; id., Sez. giur. Toscana, 20.02.2012, n. 85).
Allo stesso modo, il diploma di laurea non è richiesto
dall’art. 5 del Regolamento sull’ordinamento degli uffici e
dei servizi del Comune di Pistoia, nella versione,
applicabile alla fattispecie all’esame, approvata con
delibera giuntale n. 41 del 06.04.2006.
Tale disposizione, inserita nel Titolo II (“Uffici di
supporto agli organi di direzione politica”), non impone,
infatti, alcun particolare requisito culturale, limitandosi
a prevedere, al comma 2, che il responsabile dell’Ufficio
del Sindaco, da scegliersi tra il personale dipendente
dell’Ente oppure all’esterno, sia “comunque in possesso di
comprovati requisiti professionali adeguati alle mansioni da
svolgere”, aggiungendo, al comma 3, per l’ipotesi in cui
tale Ufficio sia diretto da personale non dipendente
dell’ente, che il relativo rapporto di lavoro sia
disciplinato da contratto a tempo determinato di durata non
superiore a quella del mandato amministrativo (e destinato a
risolversi di diritto con la cessazione dell’incarico del
Sindaco), con attribuzione di una retribuzione determinata
dalla Giunta.
Orbene, nel caso all’esame, il curriculum del Sig.
Fo., presente (anche) nel fascicolo di Procura, lascia
sicuramente emergere, a giudizio del Collegio, il possesso
di requisiti professionali (e culturali) adeguati in
relazione all’incarico in questione.
Risulta, infatti, che il Fo. (giornalista pubblicista
iscritto all’Ordine, in possesso di diploma di scuola
superiore, nonché partecipante a diversi masters e corsi di
formazione in materie riguardanti la P.A.) ha svolto, in
epoca antecedente all’assunzione dell’incarico per cui è
causa, tra l’altro, le funzioni di Addetto stampa e
relazioni con le istituzioni di un Onorevole presso la
Camera dei Deputati (periodo 1992-1996), di Segretario
particolare del Presidente della Commissione Lavoro della
Camera dei Deputati (periodo 1996-2001) nonché di Portavoce
del Sindaco (dal 2000 al 2002) e di Capo di Gabinetto del
Comune di Pistoia (dal 2002 al 2007).
Nondimeno, i predetti requisiti professionali e culturali
giammai avrebbero potuto giustificare l’attribuzione al
Fo. di un trattamento economico come quello
concretamente riconosciuto (euro 50.000,00 annui lordi).
A tal ultimo riguardo, giova osservare che, per consolidata
giurisprudenza di questa Corte, i principi, di valenza anche
costituzionale, di ragionevolezza e buon andamento della
P.A. (artt. 3 e 97 Cost.), impongono di riconoscere al
personale esterno incaricato ai sensi dell’art. 90 TUEL,
anche in assenza di laurea, un trattamento economico
corrispondente ai requisiti culturali e professionali
concretamente posseduti, vale a dire il trattamento
economico proprio della qualifica cui, in base al CCNL di
riferimento, lo stesso andrebbe inquadrato in base ai
predetti titoli (in termini, Corte Conti, Sez. giur.
Toscana, n.85/2012, confermata sul punto da Sez. I n.
806/2014; id., Sez. giur. Toscana, n. 282/2011; id.; Sez.
giur. Calabria, n. 191/2014; id., Sez. giur. Emilia Romagna,
n. 155/2014).
La necessità del rispetto del vincolo di corrispondenza tra
il trattamento economico normativamente previsto per una
determinata categoria e i requisiti, culturali e
professionali, posseduti, atti a giustificare l’appartenenza
a quella stessa categoria, con l’attribuzione del relativo
trattamento, evita, infatti, che le assunzioni dall’esterno
ai sensi dell’art. 90 TUEL siano lasciate al mero arbitrio
degli amministratori
(in termini, Corte Conti, Sez. giur.
Toscana, n. 282/2011 e n. 85/2012).
Sotto questo punto di vista, il rinvio operato dall’art. 90
al CCNL se da un lato costituisce una garanzia per il
lavoratore a fronte del rischio dell’erogazione di
retribuzioni inferiori e/o comunque sganciate dalle
previsioni contrattuali, dall’altro fornisce
all’Amministrazione un parametro obiettivo nella
determinazione del trattamento retributivo del personale
chiamato a far parte degli uffici di diretta collaborazione.
Né, in superamento delle argomentazioni difensive sul punto,
le conclusioni testé esposte sono inficiate dalla
circostanza per cui l’art. 90, comma 3-bis, TUEL, statuisce
che “resta fermo il divieto di effettuazione di attività
gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale
di lavoro il trattamento economico, prescindendo dal
possesso del titolo di studio, è parametrato a quello
dirigenziale”.
A tal riguardo, va in primo luogo osservato che la predetta
disposizione non può trovare spazio in questa sede in quanto
introdotta dall’11, comma 4, d.l. 24.06.2014, n.90,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11.08.2014,
n. 114 e, dunque, in epoca ben successiva ai fatti per cui è
causa (il decreto sindacale di nomina reca la data del 27.06.2007).
In particolare, il carattere sostanziale della stessa ne
preclude un’applicazione retroattiva (in termini, Corte
Conti, Sez. giur. Emilia Romagna, 28.04.2016, n. 73).
Aggiungasi che, in ogni caso, l’attribuzione a personale
sfornito di laurea di un trattamento dirigenziale dovrebbe
essere espressamente consentita dal Regolamento
sull’ordinamento degli uffici e dei servizi (ipotesi non
ricorrente nel caso all’esame), quale fonte normativa cui è
demandata la stessa istituzione degli Uffici di staff (Corte
Conti, Sez. cont. Toscana, delib. n. 11 del 05.03.2015).
Orbene, nella fattispecie per cui è causa, secondo quanto
riconosciuto dalla stessa difesa del convenuto Berti (vedasi
pagg. 53 e ss della memoria di costituzione in giudizio), la
categoria corrispondente ai requisiti culturali e
professionali dal medesimo posseduti è rappresentata dalla
categoria C, pos. economica 5, per l’accesso alla quale è
richiesto il solo diploma di scuola superiore.
Nello specifico, in base all’allegato A del CCNL Enti Locali
del 31.03.1999, appartengono a tale categoria “...i lavoratori
che svolgono attività caratterizzate da: -Approfondite
conoscenze mono specialistiche (la base teorica di
conoscenze è acquisibile con la scuola superiore) e un grado
di esperienza pluriennale, con necessità di
aggiornamento…….”.
Conseguentemente, il Fo., ove legittimamente
inquadrato, avrebbe potuto percepire un importo annuo lordo
pari ad euro 23.726,43, ottenuto sommando gli importi sottoindicati:
a) euro 21.901,32 (stipendio tabellare, vedasi Tab. B
allegata al CCNL 2008-2009);
b) euro 1.825,11 (1/12 di euro 21.901,32), quale 13^
mensilità.
A tal fine, il Collegio ritiene, nell’ottica di una
valutazione, in questa sede da effettuarsi necessariamente
in termini astratti e ipotetici e comunque da ancorare a
parametri oggettivi e certi, di non poter prendere in
considerazione né l’indennità per la titolarità di posizioni
organizzative, siccome assegnabili, se del caso,
esclusivamente a dipendenti classificati nella cat. D (ex
art. 8, comma 2, CCNL del 31.03.1999 ed artt. 19 e 20 del
Regolamento sull’ordinamento degli uffici e servizi) né le
competenze accessorie, in quanto eventuali e spesso legate a
situazioni soggettive particolari e/o accertabili solo ex
post (così, ad es., l’indennità ex art. 42, comma 5-ter, D.lgs 151/2001 in tema di riposi e permessi per figli con
handicap grave, l’indennità di vigilanza, l’indennità per
personale scolastico, l’indennità per incentivi alla
progettazione di cui alla cd Legge Merloni e lo stesso
compenso per il lavoro straordinario).
Sotto questo punto di vista, non risultano probanti le
tabelle “T13”, allegate alle memorie di costituzione dei
convenuti, riportanti, assieme a quelle “T12”, il
trattamento complessivo effettivamente erogato a tutto il
personale di cat. C5 del Comune di Pistoia, senza
distinzioni di sorta all’interno del medesimo personale.
Tutto ciò in disparte il fatto che i convenuti stessi
arrivano ad ipotizzare per il Fo., sulla base delle
richiamate tabelle, un trattamento, comprensivo di compensi
accessori e 13^ mensilità, ben inferiore a quello
concretamente percepito.
Ne deriva che la differenza tra le somme effettivamente
percepite dal Fo. nel periodo 2009-2012 qui in
contestazione (euro 50.000,00 annui lordi) e quelle che lo
stesso avrebbe potuto percepire, nel medesimo periodo (euro
23.726,43 annui lordi), costituisce sicuro danno erariale,
trattandosi di importo che eccede quello corrispondente ai
requisiti culturali e professionali dell’incaricato, tali da
giustificare l’inquadramento (unicamente) nella categoria C5
CCNL Enti locali.
Sul punto, non può dubitarsi, trattandosi di circostanza non
contestata dalle parti, che il Fo. abbia
effettivamente operato, nel periodo considerato in questa
sede, quale Responsabile dell’Ufficio del Sindaco, prestando
un’attività nell’interesse e a vantaggio del Comune di
Pistoia, per la quale sarebbe stato, dunque, necessario
erogare un compenso, sia pure in misura inferiore a quella
concretamente riconosciuta.
Sotto questo punto di vista, risulta irrilevante il mancato
possesso del diploma di laurea, siccome titolo culturale non
indefettibile, come detto, ai fini dell’accesso all’incarico
de quo.
Nondimeno, in superamento delle argomentazioni della difesa
del Be., non può ritenersi che il danno erariale (alias,
il trattamento eccedente quello discendente dal corretto
livello di inquadramento) sia stato compensato dalla utilità
conseguita dall’Ente per effetto dell’attività espletata dal
Fo. (art. 1, comma 1-bis, legge 20/1994).
Tutto ciò in quanto le stesse previsioni contrattuali
fissano il corrispettivo concretamente erogabile per
l’attività svolta da soggetti in possesso dei requisiti
culturali e professionali del tipo di quelli concretamente
posseduti dal Fo. stesso, sulla base di una
valutazione preventiva che investe anche il profilo
dell’utilità per l’Amministrazione di prestazioni rese da
soggetti in possesso dei predetti titoli.
Il richiamato danno va ricondotto, in termini eziologici,
alla condotta del convenuto Be., il quale ha assunto il
più volte richiamato decreto n. 130 del 27.06.2007,
prevedente il conferimento al Sig. Fo. dell’incarico
di Responsabile dell’Ufficio del Sindaco, con l’attribuzione
al medesimo, a titolo di acconto e salvo conguaglio, nelle
more della fissazione del compenso definitivo da parte della
Giunta (invero mai intervenuta), del compenso dal medesimo
già percepito quale Capo di Gabinetto (euro 50.000,00 annui
lordi, giusta decreto sindacale n. 330 del 30.9.2002,
richiamato nelle premesse di quello n. 130/07).
Trattandosi di atto assunto, in via diretta ed autonoma, dal
convenuto Be. nell’esercizio delle sue precipue competenze
sindacali, non può trovare spazio nel caso all’esame la
“esimente politica” di cui all’art. 1, comma 1-ter, legge
20/1994, per contro invocata dalla difesa.
Nella condotta del convenuto Be. è sicuramente ravvisabile
il profilo soggettivo della colpa grave, attesa l’estrema
trascuratezza e superficialità mostrate nella salvaguardia
delle risorse finanziarie del Comune di Pistoia, con il
riconoscimento al Fo., in violazione dei canoni di
ragionevolezza e buon andamento della P.A., di un compenso
sganciato da ogni oggettivo parametro di riferimento e ben
superiore a quello giustificato dai requisiti culturali e
professionali del medesimo.
Tutto ciò anche alla luce della chiarezza e specificità del
quadro normativo di riferimento.
Sotto questo punto di vista, non può trovare accoglimento
l’argomentazione difensiva, alla cui stregua la fissazione
dello specifico livello retributivo del dipendente, nel
confronto con le mansioni assegnate e con i relativi
requisiti curriculari, avrebbe richiesto specifiche
competenze tecnico-specialistiche, estranee alle funzioni
proprie degli organi politici del Comune.
A tal riguardo, giova osservare che il Sig. Be., quale
Sindaco del Comune di Pistoia, operava in un ambito
istituzionale di assoluta rilevanza, ricoprendo un ruolo che
richiedeva la padronanza di quei fondamentali principi
dell’agire amministrativo e della contabilità pubblica,
peraltro di semplicissima ed intuitiva evidenza, che
impongono di legare il compenso di soggetti assunti
dall’esterno ex art. 90 TUEL a parametri oggettivi,
suscettibili di verifica e riscontro immediati.
D’altro canto, concorre a far risaltare ulteriormente la
grave colpevolezza del Sindaco Be. la circostanza per cui
lo stesso ha omesso di convocare la Giunta per determinare
il compenso definitivo da attribuire al Fo.,
nonostante l’espressa previsione in tal senso contenuta nel
decreto n. 130/07, in conformità all’art. 5, comma 3, del
Regolamento sull’ordinamento degli uffici e servizi
(esplicitamente richiamato).
Sul punto, non risultano condivisibili le tesi difensive,
secondo le quali, non avendo i dirigenti competenti e
l’Assessore delegato per materia posto in essere una serie
di passaggi procedimentali, di asserita, esclusiva
competenza degli stessi (istruzione e redazione da parte
delle strutture burocratiche di una proposta di delibera, da
trasmettere, previa acquisizione del visto dell’Assessore
competente, al Dirigente del Servizio Affari Generali ed
Istituzionali, affinché la stessa fosse posta all’ordine del
giorno della Giunta), il Sindaco Be. si sarebbe trovato
nell’impossibilità di proporre ed imporre la discussione e
l’approvazione della delibera in questione.
La convocazione (e la presidenza) della Giunta rientrano,
infatti, nelle precipue competenze sindacali, stante
l’espressa previsione di cui all’art. 50 d.lgs. n. 267/2000.
In ogni caso, poi, il Sindaco Be. avrebbe potuto (quanto
meno) stimolare le competenti strutture burocratiche ad
attivare ed espletare un procedimento amministrativo
finalizzato a determinare in via definitiva il compenso del
Fo., secondo quanto espressamente previsto nel decreto
sindacale di nomina dello stesso.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, va affermata la
responsabilità amministrativa del Sindaco Be. in relazione
alla vicenda de qua, ferma restando la necessità, che sarà
successivamente soddisfatta, di procedere alla puntuale
determinazione della somma da porre a carico dello stesso, a
titolo di pregiudizio erariale.
5.b) Per contro, deve essere rigettata la pretesa erariale
nei confronti del convenuto Fe.Ca., attesa l’assenza
di nesso eziologico.
Dagli atti di causa non emerge, infatti, alcuna prova certa
del coinvolgimento dello stesso nella specifica vicenda per
cui è causa.
Non risulta, in particolare, che al Fe., quale
Segretario generale dell’Ente, sia stato preventivamente
chiesto un parere sulla legittimità del decreto sindacale
n. 130/07 (circostanza invero esclusa dalla stessa Procura
contabile a pag. 27 dell’atto di citazione) e che lo stesso
decreto, in epoca successiva alla sua adozione, sia stato a
lui trasmesso.
Né il predetto coinvolgimento può farsi discendere dalla
circostanza per cui il Fe. risulta tra i destinatari di
specifica interpellanza diretta a far luce sulle procedure
relative alla costituzione e al funzionamento dell’Ufficio
stampa, dello Staff del Sindaco e dell’Ufficio Portavoce del
Sindaco.
Tutto ciò in quanto la predetta interpellanza, acquisita al
protocollo dell’Ente in data 5/06.07.2005, risulta ben
antecedente al conferimento dello specifico incarico
contestato in questa sede, riferendosi, dunque, ad un
assetto organizzativo diverso da quello qui vagliato.
D’altro canto, in maniera alquanto significativa, lo stesso
Organo requirente, in citazione, sottolinea la diversità e
maggiore incisività dei compiti attribuiti al Fo. con
il decreto n. 130 del 2007 contestato in questa sede (pag.
26).
Allo stesso modo, i “compiti di collaborazione” e le
“funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei
confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità
dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai
regolamenti”, intestati in capo al Segretario generale in
base all’art. 97 T.U.E.L., non possono evidentemente
comportare la responsabilità dello stesso rispetto a
vicende, per le quali non risulti un diretto ed immediato
coinvolgimento dello stesso.
In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto, va
disposta l’assoluzione del Sig. Fe.Ca..
All’assoluzione consegue, ai sensi dell’art. 3, comma 2-bis
del decreto legge 543/96, convertito dalla legge n. 639/1996
e s.m.i. (oggi, art. 31 del nuovo codice della giustizia
contabile, approvato con il d.lgs. n. 174/2016), il rimborso,
da parte del Comune di Pistoia, delle spese legali,
quantificate in euro 800,00.
6. Si pone a questo punto la necessità di procedere alla
puntuale quantificazione dell’importo da porre a carico del
convenuto Be., a titolo di pregiudizio erariale.
A tal riguardo, va ribadito che, nel periodo contestato in
questa sede (2009-2012, rectius, gennaio 2009-08.05.2012,
data di cessazione dell’incarico, come da determina
dirigenziale n.1089 del 14.05.2012; all. n. 11-bis alla
memoria di costituzione del sig. Be.), al Fo. è
stato erogato l’importo complessivo lordo di euro 165.780,83
(vedasi schema riepilogativo riportato a pag. 1 dell’atto di
citazione; vedasi, altresì, pag. 8 della relazione della
Guardia di Finanza del 24.09.2013, prot. n. 303452/13, con la
documentazione ivi allegata).
Al medesimo importo va, però, sottratto, in virtù della
prescrizione già dichiarata in questa sede, quello lordo di
euro 3.612,18 (relativo al mese di gennaio 2009),
ottenendosi per questa via la somma complessiva lorda di
euro 162.168,65.
Da tale importo va, poi, detratto quanto avrebbe dovuto
essere erogato al Fo. in base al corretto livello di
inquadramento, ossia euro 75.300,47 lordi, derivante dalla
sommatoria degli importi sottoindicati:
a) euro 20.076,21 per l’anno 2009 (ottenuto moltiplicando
l’importo di euro 1.825,11, pari a 1/13 di quello annuale,
comprensivo di 13^mensilità, di euro 23.726,43, come sopra
calcolato, per 11, non considerando il mese di gennaio,
coperto da prescrizione);
b) euro 23.726,43 per l’anno 2010;
c) euro 23.726,43 per l’anno 2011;
d) euro 7.771,4 per l’anno 2012 (ottenuto, alla luce della
cessazione dell’incarico in data 08.05.2012,
moltiplicando l’importo di euro 1.825,11, come sopra
calcolato, per 4 –primi quattro mese dell’anno- ed
aggiungendo alla somma così ottenuta– euro 7.300,44-
l’importo di euro 470,96, relativo al mese di maggio, a sua
volta ottenuto dividendo l’importo mensile di euro 1.825,11
per 31 -giorni del mese- e moltiplicando quanto ottenuto per
8).
Per questa via, si ottiene l’importo lordo di euro 86.868,18
(pari alla differenza tra euro 162.168,65 ed euro
75.300,47).
Dal medesimo importo vanno, però, scomputate le ritenute
fiscali e previdenziali, in quanto comunque recuperate
all’Erario (in termini, tra le altre, Corte Conti, Sez. III,
nn. 167 e 273 del 2014).
Le somme da scomputare al predetto titolo, in assenza di più
sicuri parametri di riferimento, vanno equitativamente
fissate, ai sensi dell’art. 1226 c.c., in una percentuale
pari al 20% dell’importo lordo di euro 86.868,18, con la
conseguenza che la somma da addebitare al convenuto Berti si
riduce ad euro 69.494,54.
Tale importo va integralmente addebitato al convenuto Be.,
attese l’assoluzione dell’altro convenuto Fe. (per
assenza di nesso eziologico) e l’impossibilità di ravvisare
una compartecipazione nella causazione del danno di altri
soggetti, non evocati in giudizio (in particolare, i
componenti dell’apparato burocratico dell’Ente).
Questi ultimi, infatti, risultano intervenuti a dare mera
attuazione ad una decisione già autonomamente assunta,
nell’ambito delle sue precipue competenze sindacali, dal
Sindaco Be., con l’adozione del più volte citato decreto
n. 130 del 20.06.2007.
Allo stesso modo, il Collegio non ravvisa la sussistenza dei
presupposti per l’esercizio del potere riduttivo
dell’addebito di cui all’art. 52, comma 2, R.D. n.
1214/1934, alla luce della gravità della condotta
addebitata, consistita nell’attribuzione, in violazione dei
canoni di ragionevolezza e buon andamento della P.A., di un
compenso sganciato da parametri oggettivi di riferimento e
ben superiore a quello giustificato dai requisiti culturali
e professionali dell’incaricato.
7. In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto,
va disposta la condanna del Sig. BE.Re. al pagamento,
in favore del Comune di Pistoia, dell’importo, da intendersi
già comprensivo di rivalutazione, di euro 69.494,54.
Sul predetto importo sono dovuti gli interessi, come da
dispositivo.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate
come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione
Toscana, in composizione collegiale, definitivamente
pronunciando:
- RIGETTA le richieste ed eccezioni preliminari dei
convenuti, ad eccezione di quella di prescrizione parziale
dell’azione erariale;
- ACCOGLIE parzialmente l’eccezione di prescrizione
dell’azione erariale, con riferimento all’importo di euro
3.612,18;
- RIGETTA la pretesa erariale nei confronti del Sig. FE.Ca., con il riconoscimento del diritto dello stesso al
rimborso, da parte del Comune di Pistoia, delle spese
legali, quantificate in euro 800,00;
- CONDANNA il Sig. Sig. BE.Re. al pagamento, in favore
del Comune di Pistoia, dell’importo di euro 69.494,54, già
comprensivo di rivalutazione.
Sull’importo per cui è condanna sono dovuti gli interessi,
nella misura di legge, dalla data di pubblicazione della
presente sentenza e fino al soddisfo.
Le spese di giudizio, che si liquidano in €
694,98.= (Euro seicentonovantaquattro/98.=)
seguono la soccombenza (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Toscana,
sentenza 19.09.2017 n. 209). |
SEGRETARI COMUNALI:
Segretari comunali: Il sistema degli incarichi è
incostituzionale? 20 anni per capirlo (17.09.2017
- link a
http://luigioliveri.blogspot.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Rimesso alla Corte Costituzionale lo spoil system dei
segretari comunali (12.09.2017 - link a
www.segretaricomunalivighenzi.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Danno erariale al segretario che conferisce l'«alta
professionalità» in violazione delle regole contrattuali.
Risponde di danno erariale il segretario
che ha conferito l'alta professionalità a un dipendente
comunale, ancor prima che la giunta comunale, unico organo
competente al riguardo, approvasse il nuovo regolamento
degli uffici e dei servizi e, soprattutto, istituisse le
posizioni di alta professionalità all'interno
dell'organigramma del Comune. A questo si aggiunga che il
segretario, in assenza del responsabile finanziario, aveva
anche apposto il visto contabile all’atto di conferimento.
Così ha deciso la Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lazio, con la
sentenza 11.09.2017 n.
241 con una condanna che si basa sul fatto che il
conferimento sarebbe avvenuto in violazione delle
disposizioni contrattuali.
La vicenda
Un segretario comunale aveva conferito la posizione di alta
professionalità al capo segreteria tecnica del sindaco, con
retribuzione massima prevista e una retribuzione di
risultato pari a un massimo del 30% di quella di posizione.
Tutto al di fuori di qualsiasi previsione contrattuale o
regolamentare.
In assenza del dirigente finanziario che era
in ferie, il segretario aveva anche apposto il visto
contabile rendendo esecutiva la propria determinazione di
conferimento dell'incarico. Sarebbe stato proprio il
dirigente finanziario, successivamente, a inviare gli atti
alla procura contabile, cui faceva seguito anche un
riscontro degli ispettori del Mef. Si giungeva a una
deliberazione di giunta comunale sull’istituzioni delle
posizioni organizzative e di alta professionalità.
L'informativa veniva notificata alla procura contabile che,
a fronte delle giustificazioni ritenuti insufficienti da
parte del segretario, rinviava lo stesso in giudizio innanzi
il collegio contabile, quantificando il danno erariale pari
alle differenze tra la retribuzione massima di alta
professionalità e quella di titolare di posizione
organizzativa precedentemente rivestita dal capo di
segretaria tecnica del sindaco.
La difesa del convenuto
Il segretario ha difeso la propria scelta in buona fede,
tale da eliminare nel caso concreto la colpa grave,
precisando come vi fosse una ragionevole convinzione che
l'articolo 10 del contratto collettivo nazionale non
introducesse un istituto ulteriore rispetto alle posizioni
organizzative ma intervenisse nell'ambito della disciplina
di tale istituto aggiungendo due varianti specifiche.
La
responsabilità, inoltre, non poteva essere a lui attribuita
sia perché aveva proceduto su indicazione del sindaco, sia
perché la relativa retribuzione comunque era dovuta in
attuazione del principio di cui all'articolo 2041 del codice
civile.
Le motivazioni del collegio contabile
Il quadro normativo di riferimento è rappresentato in
materia di alte professionalità dall'articolo 2, comma 1,
del Dlgs 165/2001, dagli articoli 8 e seguenti del contratto
collettivo nazionale del 31.03.1999 Regione—Autonomie
Locali e dall'articolo 10 del contratto collettivo nazionale
del 22.01.2004 del personale del comparto delle Regioni
e delle autonomie locali.
Secondo questo insieme di
disposizioni, per l'istituzione delle alte professionalità
avrebbero dovuto essere effettuati i seguenti preliminari
atti organizzativi:
a) definizione dei criteri e delle
condizioni per l'individuazione delle competenze e delle
responsabilità connesse agli incarichi di alta
professionalità;
b) definizione dei criteri per
l'affidamento degli incarichi di alta professionalità;
c)
definizione dei criteri per la quantificazione dei valori
della retribuzione di posizione e di risultato;
d)
definizione dei criteri per la valutazione periodica delle
prestazioni e dei risultati dei titolari di posizione
organizzativa (nel rispetto del vincolo della concertazione,
ai sensi dell'articolo 16, comma 2, del contratto collettivo
nazionale del 31.03.1999).
In questa cornice di riferimento, il segretario non ha
rispettato nessuna delle regole contrattuali citate,
assegnando la posizione di alta professionalità con relativa
retribuzione, stabilita al massimo consentito dalla legge,
ancor prima che la giunta comunale, unico organo competente
al riguardo, approvasse il nuovo regolamento degli uffici e
dei servizi e, soprattutto, istituisse le posizioni di alta
professionalità all'interno dell'organigramma del Comune.
In considerazione della violazione della normativa
contrattuale, il segretario va condannato al risarcimento
del danno causato dal conferimento dell'incarico effettuato
in modo illegittimo, pari alle differenze retributive
quantificate dalla Procura cui vanno, tuttavia, sottratti il
valore dell'Irpef e dei contributi previdenziali in quanto
somme non effettivamente erogate al titolare dell'incarico
conferito e, comunque, recuperate all'erario (articolo
Quotidiano Enti Locali & Pa del 25.09.2017).
----------------
MASSIMA
1. La questione all'esame del Collegio concerne la
domanda giudiziale promossa dalla Procura regionale, nei
confronti del signor Po.Sa. (nella sua qualità Segretario
Generale), con riguardo ad una ipotesi di danno erariale
arrecato al comune di Anzio, dell'importo di euro 24.355,65
in favore del Comune di Anzio, oltre alla rivalutazione ed
agli interessi, nonché alle spese di giudizio in favore
dello Stato, determinato dall’assegnazione -ritenuta
illegittima- della posizione di "alta professionalità"
al Capo della Segreteria tecnica del Sindaco.
2. Preliminarmente, seguendo un ordine logico-giuridico
delle questioni poste, va scrutinata la censura di
insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali.
2.1 L’eccezione è infondata.
Si premette che
l’art. 1, comma 1, della legge 14.01.1994 n. 20 e successive
modifiche, esclude l’ingerenza del giudice contabile nelle
scelte discrezionali operate dall’Amministrazione tra
diverse soluzioni possibili, ugualmente legittime e lecite,
per il perseguimento nel caso concreto del fine pubblico
individuato dalla legge, ma consente il sindacato
sull’irragionevolezza, incongruità, illogicità ed
irrazionalità della scelta dei mezzi rispetto ai fini
(Cass. S.U. 08.03.2005, n. 4956; id. 29.01.2001, n. 33; id.
06.05.2003, n. 6851; id. n. 14488 del 29.09.2003; id. n.
7024 del 28.03.2006; id. n. 8097 del 02.04.2007; in termini,
ex multis, Sez. II App. n. 367 del 24.09.2010).
La giurisprudenza consolidata ritiene che il Magistrato
contabile possa sindacare la legittimità dell’operato
amministrativo non solo alla luce di regole giuridiche ben
individuate ma anche in ragione di parametri non giuridici
permeabili il divenire dell’azione
(cfr. ex plurimis Corte dei conti, Sez. 1° d’app.
sent. n. 292/2005/A, del 23.09.2005, Sezione Veneto, sent.
n. 166 del 18.02.2009).
Cosicché, l’esame della scelta effettuata deve essere
condotto alla stregua di taluni <<…parametri obiettivi
valutabili ex ante e rilevabili anche dalla comune
esperienza>>
(cfr. Corte dei Conti, Sez. III, 21.01.2004, n. 30/A),
quali l’incongruità, l’illogicità, l’irrazionalità,
l’inefficacia, l’antieconomicità, la non
ragionevolezza e la non proporzionalità, tutte
espressioni della non coerenza della scelta rispetto ai fini
di pubblico interesse che ne contrassegnavano la relativa
funzione.
E tale maggiore penetrazione del sindacato di questa Corte
ha trovato avallo giuridico interpretativo nella decisione
n. 7024, del 28.03.2006, delle Sezioni Unite della
Cassazione, il cui orientamento è stato ribadito dalle
sentenze n. 4283, del 21.02.2013, e n. 10416, del 14.05.2014
(in termini, Terza Sezione Centrale di Appello, sentenza n.
282/2017).
Ciò posto il Collegio osserva che l’istituto richiamato
dalla difesa del convenuto non viene in rilievo nella
vicenda in esame, in quanto la contestazione formulata
dall’organo requirente non afferisce ad una scelta
discrezionale dell’amministratore, bensì ad una violazione
delle norme procedimentali, quindi non il “merito”
dell’atto ma la sua “legittimità” (cioè la sua
conformità a legge) è oggetto di censura.
3. Nel merito, il Collegio deve esaminare la vicenda
descritta nella premessa in fatto e procedere alla verifica
della sussistenza degli elementi tipici della responsabilità
amministrativa che si sostanziano in un danno patrimoniale,
economicamente valutabile, arrecato alla pubblica
amministrazione, in una condotta connotata da colpa grave o
dolo, nel nesso di causalità tra il predetto comportamento e
l'evento dannoso, nonché, nella sussistenza di un rapporto
di servizio fra colui che lo ha determinato e l'ente
danneggiato.
4. Con riferimento all’elemento oggettivo va espressa
condivisione in ordine all’an del danno erariale
contestato dall’organo requirente e per le considerazioni
dallo stesso espresse.
Si premette che il quadro normativo di riferimento è
rappresentato in materia di alte professionalità
dall'art. 2, 1° co., del D.Lgs. n. 165/2001, dagli artt. 8 e
seguenti del C.C.N.L. del 31/03/1999 Regione — Autonomie
Locali e dall'art. 10 del C.C.N.L. del 22.01.2004 del
personale del Comparto delle Regioni e delle Autonomie
Locali.
Dalla normativa di riferimento si evince che
l'effettiva attuazione della disciplina contrattuale delle
alte professionalità presuppone la preventiva
definizione, con atti organizzativi di diritto comune, da
parte dell'ente, dei seguenti elementi:
· i criteri e le condizioni per l'individuazione delle competenze e
delle responsabilità connesse agli incarichi di alta
professionalità;
· i criteri per l'affidamento degli incarichi di alta
professionalità;
· i criteri per la quantificazione dei valori della retribuzione di
posizione e di risultato;
· i criteri per la valutazione periodica delle prestazioni e dei
risultati dei titolari di posizione organizzativa (nel
rispetto del vincolo della concertazione, ai sensi dell'art.
16, comma 2°, del C.C.N.L. del 31.03.1999).
In senso conforme l'ARAN che ha ribadito come "L'effettiva
attuazione della disciplina contrattuale delle alte
professionalità presuppone la preventiva definizione,
con atti organizzativi di diritto comune, da parte
dell'ente, dei seguenti elementi:
- i criteri e le condizioni per l'individuazione delle competenze e
delle responsabilità connesse agli incarichi di alta
professionalità;
- i criteri per l'affidamento degli incarichi di alta
professionalità;
- i criteri per la quantificazione dei valori della retribuzione di
posizione e di risultato;
- i criteri per la valutazione periodica delle prestazioni e dei
risultati dei titolari di posizione organizzativa (nel
rispetto del vincolo della concertazione, ai sensi dell'art.
16, comma 2°, del C.C.N.L. del 31.03.1999)".
Tali precetti normativi non risultano osservati dal
convenuto Sa., che, con propria Determinazione nr. 202 del
13/08/2013, assegnava al dott. Pa. la posizione di alta
professionalità con relativa retribuzione, stabilita al
massimo consentito dalla legge, ancor prima che la Giunta
Comunale, unico organo competente al riguardo, approvasse il
nuovo Regolamento degli Uffici e dei Servizi e, soprattutto,
istituisse le posizioni di alta professionalità
all'interno dell'organigramma del Comune di Anzio.
Solo quest'ultimo atto Giuntale, il nr. 95 del 10/12/2013,
come anche rilevato dal M.E.F., andava a sanare la
situazione sopra descritta, sebbene gli atti adottati erano
comunque carenti rispetto sia alla individuazione dei
criteri per la quantificazione dei valori della retribuzione
di posizione e di risultato, sia per la valutazione
periodica delle prestazioni e dei risultati dei titolari di
posizione organizzativa.
Sono da ritenere, quindi, illegittimamente erogati al dott.
Pa. i compensi
(già decurtati dall’organo requirente degli emolumenti
precedentemente percepiti)
legati all'assegnazione dell'alta professionalità:
· per il periodo che va dal 13/08/2013 sino al 10/12/2013 di €.
3.058,56,
in considerazione dell’attribuzione dell’incarico in totale
assenza di base normativa;
· per il periodo successivo 01.01.2014-31.12.2015 di €. 21.297,09,
in ragione dell’assenza di precisi parametri preventivamente
stabiliti dalla Giunta Comunale, parametri, non delineati da
nessuno degli atti giuntali adottati.
5. Diverso apprezzamento si ritiene debba esprimersi in
ordine alla quantificazione del danno erariale -operata
dall’organo requirente in euro 24.355,65- che deve, invece,
tener conto -e ciò in accoglimento delle argomentazioni
difensive- di IRPEF e CPDEL e altre ritenute pari ad euro
7.549,52.
Si reputa che il danno non possa comprendere somme non
effettivamente erogate al dott. Pa. e, comunque, recuperate
all’erario. Ne consegue che il danno risarcibile va
rideterminato in euro 16.806,13.
6.
Con riguardo all’elemento soggettivo della responsabilità
amministrativa si reputa che la condotta del convenuto sia
stata connotata da colpa grave evincibile dalla violazione
di disposizioni normative chiare, non connotate da
complessità esegetiche in ordine all’attribuzione
dell’incarico di alta professionalità.
6.1
La fattispecie, peraltro, non si reputa integri
-contrariamente all’assunto difensivo-
un errore scusabile, nella considerazione che la eventuale
presenza di un precedente di contenuto identico (determina
n. 111 del 16/12/2011), non si pone quale esimente per:
· l’assenza di una situazione oggettiva di incertezza o di
difficoltà interpretativa delle norme violate;
· il livello apicale del convenuto che presuppone una elevata
professionalità.
7. Si reputano, inoltre, sussistenti, nella fattispecie in
esame, anche gli altri elementi della responsabilità
amministrativa, del rapporto di servizio –peraltro non
contestato- e del nesso di causalità.
8.
Non meritevole di accoglimento si reputa, infine, la
richiesta formulata dal patrono del convenuto di
applicazione del disposto dell’articolo 1, comma 1-bis,
della legge n. 20/1994
(come modificata dal D.L. 543/1996 conv. in L. 639/1996),
norma che, codificando con riguardo al settore della
responsabilità amministrativa l’istituto
civilistico-pretorio della compensatio lucri cum damno,
prevede che il giudice contabile debba tener conto dei “vantaggi
comunque conseguiti” sia dall'amministrazione di
appartenenza e dalla comunità amministrata che “da altre
amministrazioni”,
come da integrazione al testo della suddetta norma
introdotta all’articolo 17, comma 30-quater, del d.l. n.
78/2009, come modificato dalla legge di conversione n.
102/2009.
Peraltro, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza
contabile,
il riconoscimento giudiziale della compensatio
risulta subordinato al riscontro della sussistenza di
rigorosi presupposti, sostanzialmente in linea con quelli
richiesti dall’istituto civilistico e conformati al contesto
pubblicistico di riferimento, ovvero: l’effettività del
vantaggio, la identità causale tra il fatto produttivo del
danno e quello produttivo dell’utilitas e la
corrispondenza di quest’ultima ai fini istituzionali
dell’amministrazione che se ne appropria
(ex multis: Sez. I Centr. App., sent. n. 261 del
12.09.2001; Sez. II Centr. App.; SS.RR., sent. n. 5 del
24.01.1997; Cass. SS. UU., sent. n. 5 del 1997).
Sul terreno processuale, la giurisprudenza contabile ha
altresì chiarito che i “Vantaggi” conseguiti
costituiscono fatti, da accertare con criterio ex post,
il cui onere probatorio, nell’an e nel quantum
(pur potendo il giudice, per quest’ultimo aspetto, far uso
del potere equitativo ex art. 1226 c.c.),
incombe sul convenuto in base al tradizionale riparto
previsto dall’art. 2697, co. 1, c.c., traducendosi in
un’eccezione in senso proprio relativa a fatto di natura
modificativa del diritto risarcitorio azionato in giudizio.
Con riguardo peraltro al caso di specie, il
Collegio ritiene, coerentemente con i principi di diritto
richiamati, che i vantaggi conseguiti dall’amministrazione
siano stati solo affermati e non concretamente provati.
9. In conclusione,
accertata l’esistenza di tutti i requisiti costitutivi della
responsabilità amministrativa, la domanda della Procura va
accolta per le ragioni da questa prospettate ma nella
diversa misura dal Collegio determinata in euro 16.806,13,
comprensive di rivalutazione monetaria, e interessi legali
dalla data della sentenza al soddisfo.
10. Alla soccombenza segue anche l’obbligo del pagamento
delle spese di giudizio.
P. Q. M.
La Corte dei Conti
– Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio,
definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed
eccezione reiette,
CONDANNA, per l’addebito di responsabilità amministrativa di
cui all’atto di citazione in epigrafe, il signor Po.Sa. al
pagamento, in favore del comune di Anzio, per complessivi
euro 16.806,13, comprensive di rivalutazione monetaria.
Tale somma sarà gravate di interessi legali a far data dalla
pubblicazione della presente decisione all’effettivo
soddisfo. |
novembre 2016 |
|
SEGRETARI COMUNALI:
Segretari comunali. Rimborso spesa quota parte per
segretario dell'UTI.
L'art. 32, comma 5-ter, del d.lgs.
267/2000, stabilisce che il presidente dell'Unione di comuni
si avvale del segretario di un comune facente parte
dell'Unione, senza che ciò comporti l'erogazione di
ulteriori indennità e, comunque, senza nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica.
Si ritiene opportuno che i rapporti tra gli enti coinvolti
all'utilizzo della figura del Segretario siano regolati da
apposita convenzione, che definisca in dettaglio anche i
profili economici e le quota di partecipazione alle spese
inerenti al trattamento economico del medesimo, ferma
restando l'osservanza delle norme statali sull'ordinamento
dei segretari e di quelle sul contenimento della spesa per
il personale.
Il Comune rappresenta di voler procedere alla nomina del
Segretario dell'UTI individuando a tal fine il segretario
comunale attualmente titolare di una convenzione tra Comuni
limitrofi.
Il Sindaco del Comune capofila, per concedere detta
autorizzazione, richiede un rimborso spese pari alle ore
effettivamente prestate dal segretario a favore dell'Unione.
Si precisa che in ogni caso non si verrebbe a corrispondere
alcun emolumento aggiuntivo al segretario medesimo.
Premesso un tanto, l'Amministrazione istante chiede:
- quale atto sia necessario per disciplinare i relativi
rapporti economici tra UTI e amministrazione comunale che
autorizza la funzione di segretario a favore dell'UTI,
ovvero se sia sufficiente l'atto di nomina a Segretario da
parte del Presidente, ove si specifica che le ore prestate a
favore dell'UTI verranno rimborsate:
- se la quota parte di rimborso da parte dell'UTI possa
costituire valorizzazione ai fini del rispetto della spesa
di personale da parte del Comune titolare della convenzione
di segreteria.
Sentito il Servizio finanza locale, si espone quanto segue.
Preliminarmente si osserva che l'art. 5, comma 2, della l.r.
26/2014 stabilisce che l'Unione territoriale intercomunale
ha autonomia statutaria e regolamentare secondo le modalità
previste dalla legge medesima e precisa che, al predetto
ente, si applicano i principi fissati per l'ordinamento
degli enti locali e, in quanto compatibili, le norme di cui
all'articolo 32 del d.lgs. 267/2000.
Il citato art. 32, al comma 5-ter, stabilisce che il
presidente dell'Unione di comuni si avvale del segretario di
un comune facente parte dell'Unione, senza che ciò comporti
l'erogazione di ulteriori indennità e, comunque, senza nuovi
o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Si fa notare che il segretario dell'Unione è tuttora un
istituto (al pari del segretario dei comuni) disciplinato
dalla normativa statale e l'attività espletata dallo stesso,
per conto dell'Unione, rientra nelle funzioni istituzionali
svolte da detta figura, come avviene per l'ente Comune.
Premesso un tanto, venendo al merito della questione
prospettata e fermo restando che specifiche norme, anche di
carattere finanziario, potrebbero disciplinare in concreto
la fattispecie sottoposta, sentito il Servizio finanza
locale, si ritiene utile fornire le seguenti considerazioni.
Si evidenzia che la ratio sottesa all'art. 32, comma
5-ter del d.lgs. 267/2000, è in sostanza quella di imporre
tassativamente il divieto di retribuire, in forma aggiuntiva
rispetto a quanto consentito dall'ordinamento vigente, le
funzioni di Segretario dell'Unione, venendo a gravare
ulteriormente sulle finanze dei Comuni costituenti l'Unione
stessa.
Ciò non toglie che si ipotizzi ragionevolmente un
coinvolgimento di tutti gli Enti interessati all'utilizzo
del Segretario, nel concorrere proporzionalmente all'accollamento
della spesa relativa ai compensi spettanti a detta figura,
in relazione all'impegno richiesto nelle varie sedi
amministrative.
Si ritiene opportuno comunque che i rapporti tra gli Enti
coinvolti all'utilizzo della figura del Segretario siano
regolati da apposita convenzione, che definisca in dettaglio
anche i profili economici e le quote di partecipazione alle
spese inerenti al trattamento economico del medesimo L'atto
di nomina da parte del Presidente non sembra infatti
sufficiente a determinare detti aspetti, anche considerando
che successivamente dovranno essere adottati i prescritti
provvedimenti di impegno di spesa da parte del Responsabile
competente.
Si osserva a tal proposito che, per quanto riguarda la
compatibilità del cennato atto convenzionale con la
normativa vigente sull'ordinamento dei segretari comunali ed
in particolare con la vigente convenzione fra due Comuni
limitrofi, è opportuno contattare la Prefettura di Trieste,
competente in materia.
Per quanto concerne poi la questione se la quota di rimborso
da parte dell'UTI possa costituire valorizzazione ai fini
del rispetto delle norme sul contenimento della spesa di
personale, da parte del Comune titolare della convenzione di
segreteria, al fine di ottenere indicazioni riferite alla
applicazione, alla situazione concreta ed al contesto
locale, delle norme sul contenimento della spesa, si
suggerisce di valutare la possibilità di interpellare la
sezione regionale della Corte dei conti.
In via collaborativa, si riportano di seguito in sintesi gli
orientamenti finora espressi dalla magistratura contabile.
La Sezione Autonomie della Corte dei conti
[1] ha
sottolineato che il caso dell'Unione merita ulteriori
momenti di approfondimento, anche alla luce delle
problematiche che una più ampia utilizzazione della figura
del Segretario potrà far emergere. Con riferimento alle
convenzioni di segreteria, non si è comunque ritenuto
possibile suddividere la spesa pro quota, ai fini del limite
della voce complessiva 'spese di personale'.
In linea generale, si rileva che la magistratura contabile
[2] ha
richiamato alcuni orientamenti espressi dalle varie Sezioni
regionali di controllo, che hanno confermato l'orientamento
secondo cui il contenimento dei costi del personale dei
comuni deve essere valutato sotto il profilo sostanziale,
sommando alla spesa di personale propria la quota parte di
quella sostenuta dall'Unione dei comuni [3].
In particolare, si è evidenziato che 'il dato relativo
alla spesa di personale da prendere in considerazione non
può essere solo quello di ciascun Comune o dell'Unione
poiché si tratterebbe di un dato incompleto e fuorviante
(...) ma quello complessivo degli enti e dell'Unione'.
L'intento del legislatore, infatti, sembra essere quello di
non limitarsi ad una considerazione puramente formale delle
spese di personale di ciascun ente, ma di valutare, da un
punto di vista sostanziale, l'entità delle stesse al fine di
evitare incrementi incontrollati.
Nel caso dell'Unione -ha rilevato la Corte dei conti- è
ragionevole che l'esame del rispetto della normativa in
materia di spese di personale avvenga considerando sia la
spesa dei singoli enti che quella dell'Unione in modo che
alla costituzione del nuovo soggetto consegua un effettivo
risparmio e non un incremento elusivo dei limiti posti ai
singoli soggetti costitutori.
Si è inoltre rilevato che la spesa sostenuta per il
personale dell'Unione non può comportare, in sede di prima
applicazione, il superamento della somma delle spese di
personale sostenute precedentemente dai singoli comuni
partecipanti.
---------------
[1] Cfr. n. 17/SEZAUT/2013/QMIG.
[2] Cfr. Corte dei conti, sez. reg. di controllo per la
Lombardia, n. 313/2015/PAR.
[3] Cfr. Sez. Autonomie, deliberazione n. 8/AUT/2011/QMIG
(15.11.2016 -
link a
www.regione.fvg.it). |
ottobre 2016 |
|
SEGRETARI COMUNALI:
Segretari comunali, una riforma nel caos (15.10.2016
- link a
http://luigioliveri.blogspot.it). |
settembre 2016 |
|
SEGRETARI COMUNALI:
Diritti di rogito, cortocircuito. Spettano o no
ai segretari di fascia A e B? Giudici divisi. La Corte conti
interviene a gamba tesa nei confronti della sentenza del
tribunale di Milano.
Cortocircuito tra Corte dei conti e giudice del lavoro sulla
questione relativa alla compartecipazione dei segretari
comunali ai diritti di rogito.
La magistratura contabile, attraverso il
parere 15.09.2016 n. 74 della
sezione regionale di controllo per l'Emilia Romagna, interviene a gamba tesa nei confronti
della
sentenza 18.05.2016
n. 1539 del
Tribunale di Milano in veste di giudice
del lavoro.
La decisione del giudice del lavoro, come noto, critica
apertamente le indicazioni fornite dalla sezione autonomie
con la deliberazione 24.06.2015, n. 21/Sezaut/2015/Qmig,
secondo la quale non spettano i diritti di rogito ai
segretari di fascia A e B, pur se incaricati in sedi di
segreteria di comuni privi di dirigenti.
Secondo il tribunale di Milano una simile interpretazione,
che comporta ovviamente la conseguenza di considerare non
legittimo il riconoscimento dei diritti di rogito ai
segretari di fascia A e B, qualunque sia la sede presso la
quale svolgano la loro attività, «finisce per restringere il
campo di applicazione della norma compiendo un'operazione di
chirurgia giuridica non consentito nemmeno in nome della res
pubblica». Il tribunale di Milano conclude che «la letterale
applicazione della norma che, nella sua chiarezza non
necessita di alcuna interpretazione», tanto da portarlo a
decidere per la spettanza dei diritti di rogito al
segretario di fascia A o B che operi in sedi privi di
dirigenti.
La sezione Emilia Romagna replica, ripercorrendo i «lavori
preparatori» dell'articolo 10 del dl 90/2014, 114/2014, dai
quali la magistratura contabile evince, invece, la
distinzione tra la posizione dei segretari di fascia A e B,
assimilati alla dirigenza, che anche grazie al
galleggiamento dispongono di un trattamento economico non
previsto per i segretari di fascia C, per i quali solo
sarebbe prevista la percezione dei diritti di rogito,
comunque nell'ottica del contenimento della spesa pubblica.
La delibera della sezione conclude, pertanto, seccamente:
«Per le ragioni esposte nella parte di merito,
l'interpretazione della norma data dal tribunale di Milano
nella sentenza di primo grado non appare convincente e la
sezione ritiene di confermare l'orientamento esplicitato
secondo i principi stabiliti in sede nomofilattica dalla
sezione delle autonomie».
Che l'interpretazione delle norme sia opera difficoltosa e
delicata è fatto noto. Ed è anche espressamente previsto che
orientamenti giurisprudenziali possano modificarsi, così
come anche decisioni e sentenze sono esposte a radicali
revisioni tra primo grado e appello.
Nel caso di specie, tuttavia, il contrasto assume elementi
particolarmente stucchevoli e delicati. Infatti, non si
tratta di un contrasto interpretativo normale.
Il tribunale di Milano si è espresso mediante la vera e
propria «iuris dictio», con una sentenza vertente in tema di
diritto soggettivo connesso al rapporto di lavoro. La
magistratura contabile, invece, affronta il tema sicuramente
esercitando i poteri giurisdizionali ad essa attribuiti
dalla Costituzione, ma attraverso atti che hanno veste,
ruolo e funzione di pareri, non sentenze.
Sembra piuttosto strano che una medesima questione possa
suscitare un botta e risposta tra giurisdizioni differenti e
poteri giurisdizionali molti diversi, dei quali quello
connesso all'espressione di pareri appare ovviamente
recessivo.
Soprattutto, l'ordinamento deve al più presto essere
razionalizzato: una medesima questione risolta in un certo
modo con sentenza facente stato da parte del giudice del
lavoro non può prestarsi ad essere eventualmente letta dalla
giurisdizione contabile (in sede giurisdizionale per
responsabilità erariale) in senso diametralmente opposto,
eventualmente basandosi sulle indicazioni delle sezioni di
controllo.
Né l'operato delle amministrazioni locali può ammettersi che
resti paralizzato, stretto a tenaglia dalle opposte opinioni
delle due giurisdizioni, il cui unico effetto sarebbe, per
altro, solo quello di scatenare ulteriormente il contenzioso
già in atto, con buona pace dei risparmi per le finanze
pubbliche che la riforma sui diritti di rogito del 2014
avrebbe inteso ottenere
(articolo ItaliaOggi del 23.09.2016). |
SEGRETARI COMUNALI: I diritti di rogito
competono ai soli segretari di fascia C.
In difetto di specifica regolamentazione nell’ambito del
CCNL di categoria successivo alla novella normativa (art.
10 dl 24.06.2014, n. 90, convertito in legge
11.08.2014, n. 114) i
predetti proventi sono attribuiti integralmente ai segretari
comunali, laddove gli importi riscossi dal comune, nel corso
dell’esercizio, non eccedano i limiti della quota del quinto
della retribuzione in godimento del segretario.
Le somme destinate al pagamento dell’emolumento in parola
devono intendersi al lordo di tutti gli oneri accessori
connessi all’erogazione, ivi compresi quelli a carico degli
enti”.
---------------
L’interpretazione della norma data dal Tribunale di Milano
nella sentenza di primo grado non appare convincente e la
Sezione ritiene di confermare l’orientamento esplicitato
secondo i principi stabiliti in sede nomofilattica dalla
Sezione delle autonomie.
---------------
Il Sindaco di Torrile (PR) ha inoltrato a questa Sezione una
richiesta di parere avente a oggetto l’interpretazione
dell’art. 10, comma 2-bis, del d.l. 24.06.2014, n. 90,
convertito con modificazioni dalla legge 11.08.2014, n.
114, in materia di corresponsione del diritto di rogito ai
segretari comunali.
In premessa il citato Sindaco richiama la deliberazione
n. 105/2015/PAR resa da questa Sezione il 27.05.2015, la
deliberazione n. 21/SEZAUT/2015/QMIG del 04.06.2015, il
parere reso in data 25.03.2016 dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze-Dipartimento della Ragioneria
Generale dello Stato e da ultimo la sentenza n. 75/2016 della
Corte costituzionale.
In particolare, il citato Sindaco, alla luce della sentenza
della Corte costituzionale appena citata pone il seguente
quesito:
- se spetti la liquidazione dei diritti di rogito ai
segretari collocati nelle fasce professionali A e B che
prestano servizio e rogano contratti nell’interesse di enti
locali sprovvisti di personale di qualifica dirigenziale.
...
Preliminarmente, occorre operare una breve ricognizione del
quadro normativo, secondo quanto già fatto nella precedente
deliberazione n. 105/2015/PAR.
L’art. 10 del dl 24.06.2014, n. 90, convertito in legge
11.08.2014, n. 114 è intervenuto riformando la
legislazione allora vigente in materia di diritto di rogito
dei segretari comunali.
E’ stata innanzitutto disposta l’integrale destinazione ai
Comuni dei diritti di rogito, sostituendo la precedente
previsione contenuta nell’art. 30 della l. 15.11.1973,
n. 734 (come successivamente modificato dall’art. 25, comma
7, del dl 22.12.1981, n. 786, convertito con
modificazioni dalla legge 26.02.1982, n. 51) che
assegnava ai Comuni il 90 per cento del gettito dei diritto
di rogito, riservando il restante 10 per cento al Ministero
dell’Interno per la costituzione di un fondo da utilizzare
per corsi di formazione e sussidi per i segretari comunali.
Con lo stesso articolo del provvedimento il legislatore ha
abrogato l’art. 41, comma 4, della legge n. 312/1980 che
riservava ai segretari comunali una quota pari al 75 per
cento delle entrate da diritto di rogito di spettanza dei
Comuni, fino a concorrenza di un terzo dello stipendio loro
attribuito.
La ratio evidente della riforma, quella di attribuire al
Comune l’intero ammontare del gettito da diritto di rogito,
abrogando al tempo stesso la consuetudine, poi sancita
dall’ordinamento previgente, di riservare una quota delle
prestazioni da rogito ai segretari comunali,
ha trovato un
temperamento nel comma 2-bis dell’art. 10, introdotto in sede
di conversione, a norma del quale “negli enti locali privi
di dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti
i segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale,
una quota del provento annuale spettante al comune ai sensi
dell'articolo 30, secondo comma, della legge 15.11.1973, n. 734, come sostituito dal comma 2 del presente
articolo, per gli atti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della
tabella D allegata alla legge 08.06.1962, n. 604, e
successive modificazioni, è attribuita al segretario
comunale rogante, in misura non superiore a un quinto dello
stipendio in godimento”.
Le ragioni di tale intervento parlamentare a temperare
l’originaria previsione del decreto legge in sede di
conversione sono agevolmente reperibili nei lavori
preparatori, allorché, nella seduta del 25.07.2014 della
I Commissione permanente (Affari costituzionali, della
Presidenza del Consiglio e interni) della Camera dei
Deputati, l’emendamento che sarebbe poi stato approvato e
inserito nel testo poi confermato in Assemblea, fu motivato
dalla necessità di “tutelare i segretari comunali operanti
nei comuni medio-piccoli, nei quali non sono presenti
dipendenti con qualifica dirigenziale, riconoscendo loro i
diritti di rogito, seppure in misura minore rispetto ad
oggi”. Al contempo tale riconoscimento veniva escluso per i
Segretari aventi qualifica dirigenziale in quanto per essi
vale “il principio della onnicomprensività della
retribuzione che vale per i dirigenti”
(cfr.
parere 12.05.2016 n. 49 della Sezione regionale di controllo per la
Liguria).
Occorre tenere presente che, ai sensi dell’art. 31 del CCNL
di categoria, i Segretari comunali e provinciali sono
classificati in tre diverse fasce professionali (C, B e A)
cui corrisponde l’idoneità degli stessi alla titolarità di
sedi di comuni (e province) differenziate a seconda della
consistenza della popolazione amministrata (rispettivamente
comuni fino a 3mila abitanti; comuni fino a 65mila abitanti,
purché non capoluoghi di provincia; comuni di oltre 65mila
abitanti, o capoluoghi di provincia, e province).
Anche il trattamento retributivo è differenziato secondo le
fasce, ma i Segretari di fascia B sono equiparati a quelli
di fascia A (e quindi ai dirigenti) quanto a stipendio
tabellare e indennità di posizione, mentre i Segretari
comunali di fascia C percepiscono stipendio e indennità di
importo ridotto (artt. 3 e 37 CCNL).
Il quadro retributivo deve essere integrato con la
previsione del principio del cosiddetto galleggiamento
(art. 41, comma 5, CCNL), in base al quale l’indennità di
posizione del segretario comunale non deve essere “inferiore
a quella stabilita per la posizione dirigenziale più elevata
nell’ente in base al contratto collettivo dell’area della
dirigenza o, in assenza di dirigenti, a quello del personale
incaricato della più elevata posizione organizzativa”.
Così prospettato, il quadro normativo vigente, integrato
dalle previsioni del CCNL, sembra offrire, a tutta evidenza,
una particolare tutela per i Segretari comunali di fascia C,
in quanto destinatari di un trattamento retributivo
inferiore.
Infatti, mentre ai segretari di fascia A e B spetta in ogni
caso il trattamento economico equiparato a quello dei
dirigenti (art. 3, CCNL), per i segretari di fascia C
l’equiparazione si realizza soltanto se nella struttura
organizzativa del Comune sono presenti dirigenti. In tale
ultimo caso la disposizione contrattuale, che assicura al
Segretario tale garanzia economica deve intendersi come un
corollario dell’art. 97, comma 4, TUEL che chiama il
Segretario a sovrintendere “allo svolgimento delle funzioni
dei dirigenti” e a coordinarne l’attività.
Ne consegue che i Segretari di fascia C, che operano in
comuni con presenza di dirigenti, finiscono per godere di
retribuzione più elevata rispetto ai pari fascia titolari di
sedi di comuni nei quali non vi siano dirigenti.
Pronunciandosi in sede nomofilattica sulla questione
relativa alla corretta determinazione dei diritti di rogito
da corrispondersi a seguito dell’entrata in vigore della
legge n. 114/2014, di conversione del decreto-legge
n. 90/2014, la Sezione delle Autonomie della Corte dei conti,
con la deliberazione 24.06.2015, n. 21/SEZAUT/2015/QMIG,
condividendo la lettura propugnata dalla Sezione regionale
di controllo per il Lazio (deliberazione n. 21/2015/PAR) e
successivamente da questa Sezione (deliberazione
n. 105/2015/PAR, citata), ha enunciato i seguenti principi di
diritto:
“Alla luce della previsione di cui all’art. 10, comma 2-bis,
del d.l. 24.06.2014, n. 90, convertito con modificazioni
dalla legge 11.08.2014, n. 114, i diritti di rogito
competono ai soli segretari di fascia C.
In difetto di specifica regolamentazione nell’ambito del
CCNL di categoria successivo alla novella normativa i
predetti proventi sono attribuiti integralmente ai segretari
comunali, laddove gli importi riscossi dal comune, nel corso
dell’esercizio, non eccedano i limiti della quota del quinto
della retribuzione in godimento del segretario.
Le somme destinate al pagamento dell’emolumento in parola
devono intendersi al lordo di tutti gli oneri accessori
connessi all’erogazione, ivi compresi quelli a carico degli
enti”.
La Corte costituzionale, in sede di giudizio di legittimità
costituzionale in via principale, si è pronunciata con
sentenza in data 23.02.2014, in merito al ricorso
presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
avverso due articoli della legge regionale Trentino Alto
Adige 09.12.2014, n. 11.
In particolare, per quanto ci occupa in questa sede, ha
stabilito che l’art. 11 della legge regionale citata, che
estende il diritto di rogito a tutti i segretari comunali,
siano essi dirigenti o non dirigenti, in misura pari al
settantacinque per cento del provento e fino al massimo di
un quinto dello stipendio in godimento, non è in contrasto
con l’art. 10, comma 2-bis, del decreto legge n. 90/2014, come
convertito dalla legge n. 114/2014, che il Presidente del
Consiglio dei ministri intende quale principio fondamentale
di finanza pubblica, e pertanto non viola l’art. 117, terzo
comma della Costituzione.
La censura relativa alla violazione di tale norma
costituzionale non è fondata, in quanto “lo Stato, non
concorrendo al finanziamento dei Comuni che insistono sul
territorio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Sudtirol,
non può neppure adottare norme per il loro coordinamento
finanziario, che infatti compete alla Provincia, ai sensi
del …art. 79, comma 3, dello statuto”.
“Del pari non fondata –aggiunge la Corte- è la censura
relativa alla violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., perché la norma regionale si limita a
richiamare, ai fini del riconoscimento dei diritti di
segreteria, i medesimi atti previsti dalla legislazione
statale, senza interferire minimamente con la loro
disciplina positiva”.
La Corte costituzionale dunque interviene a ribadire
l’autonomia normativa della regione a statuto speciale, non
potendosi invocare il principio del coordinamento della
finanza pubblica, atteso che lo Stato non concorre al
finanziamento dei Comuni che insistono sul territorio della
Regione. Se tale è la ratio della pronuncia della Corte,
appare dubbio che essa possa essere utilizzata come
parametro di riferimento per la questione in esame relativa
ad un comune soggetto al coordinamento statale della finanza
pubblica.
Tuttavia, successivamente, il Tribunale di Milano, in
funzione di Giudice del Lavoro, è intervenuto nella
questione dell’attribuzione dei diritti di rogito ai
segretari comunali con la propria
sentenza 18.05.2016
n. 1539.
In essa viene contestata l’interpretazione della
Sezione Autonomie della Corte dei conti e si addiviene ad
una diversa lettura della norma che estenderebbe “i diritti
di segreteria a due categorie di segretari: sicuramente a
quelli che non hanno qualifica dirigenziale (dovendosi
intendere in essi quelli di fascia C che più che qualifica
non hanno equiparazione retributiva con i dirigenti), ma
anche a quelli che operano in enti che non hanno dipendenti
con qualifica dirigenziale. In tale secondo gruppo, il
legislatore non ha inteso fare distinzioni di fascia, ma
solo subordinare la titolarità dei diritti ai segretari
operanti in enti privi di dipendenti dirigenziali”.
Per le ragioni esposte nella parte di merito,
l’interpretazione della norma data dal Tribunale di Milano
nella sentenza di primo grado non appare convincente e la
Sezione ritiene di confermare l’orientamento esplicitato
secondo i principi stabiliti in sede nomofilattica dalla
Sezione delle autonomie
(Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna,
parere 15.09.2016 n. 74). |
maggio 2016 |
|
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Abuso d’ufficio il direttore generale di un Comune che
esprime una valutazione negativa della professionalità di un
proprio sottoposto al fine di bloccargli la progressione
economica.
La prova del dolo intenzionale del
delitto di abuso d'ufficio deve essere ricavata da elementi
ulteriori rispetto al comportamento non iure osservato
dall'agente, che evidenzino la effettiva ratio ispiratrice
del comportamento dell'agente, senza che al riguardo possa
rilevare la compresenza di una finalità pubblicistica, salvo
che il perseguimento del pubblico interesse costituisca
l'obiettivo principale dell'agente.
Si è anche condivisibilmente affermato che
il dolo intenzionale non è escluso per il solo fatto del
perseguimento da parte del pubblico agente di una finalità
pubblica, laddove la stessa rappresenti una mera occasione
della condotta illecita, posta in essere invece al preciso
scopo di perseguire, in via immediata, un danno ingiusto ad
altri o un vantaggio patrimoniale ingiusto per sé o per
altri.
Va richiamato l'insegnamento, secondo cui
la prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie
criminosa dell'abuso di ufficio, può essere desunta anche da
elementi sintomatici come la macroscopica illegittimità
dell'atto compiuto.
---------------
2. Il primo motivo
è palesemente infondato.
In sede di appello, l'imputato aveva soltanto contestato la
sussistenza della condotta lesiva del principio di
imparzialità della P.A., sostenendo che il suo comportamento
era stato ispirato alla finalità di «premiare i
dipendenti produttivi e spronare quelli improduttivi a fare
meglio per poter ottenere dei riconoscimenti di natura
economica al contempo evitando di incorrere in eventuali
danni erariali ove non rispettasse la ratto della PEO».
Pertanto, oltre a non aver sollevato la questione, è lo
stesso imputato a riconoscere alla valutazione PEO un
diretto impatto economico sui dipendenti. In ogni caso, la
sentenza impugnata dimostra per tabulas l'ingiustizia
del danno patito dall'An., richiamando le iniziative legali
vittoriose da questo intraprese in sede civile per
ristabilire i propri diritti.
Invero, il sistema di progressione economica orizzontale
prevede la selezione -sulla base della valutazione del
personale che ne abbia fatto domanda e quindi una
graduatoria di merito- di dipendenti meritevoli ad accedere
a diverse posizioni economiche all'interno di una stessa
categoria.
Il vulnus arrecato
all'An. con l'attribuzione di un punteggio
insufficiente per il passaggio alla categoria D4 realizzava
quindi l'evento del danno ingiusto richiesto dall'art. 323
cod. pen., che -come più volte chiarito dalla Suprema Corte-
non deve intendersi limitato solo a situazioni soggettive di
carattere patrimoniale e nemmeno a diritti soggettivi
perfetti, riguardando l'aggressione ingiusta alla sfera
della personalità per come tutelata dai principi
costituzionali
(tra le tante, Sez. 5, n. 32023 del 19/02/2014, Omodeo
Zorini, Rv. 261899).
Nel caso in esame, oltre all'impossibilità
di accedere alla selezione per l'incremento economico (come
tale tutelabile davanti al giudice ordinario,
cfr. Sez. U civ., n. 26295 del 31/10/2008, Rv. 605275),
il danno subito dall'An. era da rinvenirsi
anche alla perdita di prestigio e di decoro nei confronti
dei propri colleghi di lavoro, strettamente connesso alla
valutazione decisamente negativa e pregiudizievole emessa a
suo carico dall'imputato.
...
4. Non può essere accolto neppure l'ultimo motivo.
Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata non abbia
motivato sul perché l'agire dell'imputato non fosse stato
sorretto dalla finalità di perseguire il buon andamento
dell'ente.
Va ribadito al riguardo che la prova del
dolo intenzionale del delitto di abuso d'ufficio deve essere
ricavata da elementi ulteriori rispetto al comportamento
non iure osservato dall'agente, che evidenzino la
effettiva ratio ispiratrice del comportamento
dell'agente, senza che al riguardo possa rilevare la
compresenza di una finalità pubblicistica, salvo che il
perseguimento del pubblico interesse costituisca l'obiettivo
principale dell'agente
(Sez. 2, n. 23019 del 05/05/2015, Adamo, Rv. 264280).
Si è anche condivisibilmente affermato che
il dolo intenzionale non è escluso per il solo fatto del
perseguimento da parte del pubblico agente di una finalità
pubblica, laddove la stessa rappresenti una mera occasione
della condotta illecita, posta in essere invece al preciso
scopo di perseguire, in via immediata, un danno ingiusto ad
altri o un vantaggio patrimoniale ingiusto per sé o per
altri (Sez. 3, n.
10810 del 17/01/2014, Altieri, Rv. 258893).
Fatte queste premesse, appaiono quindi non dirimenti le
osservazioni difensive.
Per il resto, le critiche sulle carenze motivazionali in
ordine all'elemento soggettivo si rivelano parimenti
infondate.
La sentenza impugnata ha sufficientemente dimostrato come
l'imputato avesse perseguito come obiettivo primario del suo
operato (evento tipico) quello di danneggiare la persona
offesa per ritorsione e vendetta personale, traendo elementi
dimostrativi dalla modalità della condotta, che si era
estrinsecata in punteggi così ingiustificatamente negativi
(come il punteggio per i rapporti con il dirigente pari a
uno) da rivelare le reali intenzioni dell'imputato.
A tal riguardo va richiamato l'insegnamento, secondo cui
la prova del dolo intenzionale, che qualifica la
fattispecie criminosa dell'abuso di ufficio, può essere
desunta anche da elementi sintomatici come la macroscopica
illegittimità dell'atto compiuto
(Sez. 6, n. 36179 del 15/04/2014, Dragotta, Rv. 260233; Sez.
3, n. 48475 del 07/11/2013, Scaramazza, Rv. 258290; Sez. 6,
n. 49554 del 22/10/2003, Cianflone, Rv. 227205) (Corte
di Cassazione, Sez. VI penale,
sentenza 19.05.2016 n. 20974). |
SEGRETARI COMUNALI:
Diritti di rogito a segretari assimilati a
dirigenti. Se preposti a sedi di
comuni privi di dirigenza. Lo dice il Tribunale di Milano.
Ai segretari comunali assimilati ai dirigenti spettano i
diritti di rogito se siano preposti a sedi di segreteria di
comuni privi di dirigenti.
La
sentenza 18.05.2016 n. 1539
del TRIBUNALE di Milano, in sede di giudice del lavoro,
interpreta in maniera assolutamente tranciante la questione
connessa alla percezione dei diritti di rogito, ponendosi in
contrasto apertissimo con le indicazioni della Corte dei
conti.
La sentenza del tribunale non dà spazio a dubbi.
L'articolo 10, comma 2-bis, del dl 90/2014, convertito in
legge 114/2014 dispone che: «Negli enti locali privi di
dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i
segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale, una
quota del provento annuale spettante al comune ai sensi
dell'art. 30, secondo comma, della legge 15.11.1973,
n. 734, come sostituito dal comma 2 del presente articolo,
per gli atti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della tabella D
allegata alla legge 08.06.1962, n. 604, e successive
modificazioni, è attribuita al segretario comunale rogante,
un quinto dello stipendio in godimento».
La disposizione, a parere del tribunale «sembra chiara
nell'individuare, quali destinatari del beneficio di cui
all'art. 30 legge n. 734/1973, due categorie di segretari
comunali, ovvero: quelli che operano presso enti locali
privi di dirigenti con qualifica dirigenziale e quelli che
non hanno qualifica dirigenziale».
Secondo la sentenza vi è
una razionale scelta alla base della chiave di lettura
proposta, fondata su due elementi. Il primo discende dal
fine della norma, la quale riconosce i diritti di rogito ai
segretari di fascia C (non assimilabili ai dirigenti) per
sopperire «una situazione stipendiale che, rispetto ai
colleghi appartenenti alle altre due categorie, è meno
favorevole e garantista»; ma riconosce la percezione dei
diritti di rogito anche ai segretari delle fasce B e A
quando «i medesimi operano all'interno di un ente in cui non
vi sono dipendenti con funzioni dirigenziali».
In secondo
luogo, il tribunale, sulla base della propria connotazione
di giudice del lavoro, non può fare a meno di constatare
che, inoltre, l'articolo 10, comma 2-bis, del dl 90/2014
«risulta perfettamente aderente al disposto dell'art. 37 Ccnl dei segretari comunali che, nel novero inserisce anche
i diritti di segreteria». Osservazione, questa, che da sola
potrebbe considerarsi dirimente, anche alla luce
dell'articolo 36 della Costituzione.
Il contenuto più rilevante e, al contempo, delicato della
pronuncia del tribunale, però, sta nella critica molto forte
alle opposte interpretazioni fornite, in particolare dalla
Corte dei conti, Sezione Autonomie, col parere 24.06.2015, n. 21.
Secondo tale delibera, il diritto di rogito
competa esclusivamente ai segretari di comuni di piccole
dimensioni collocati in fascia C, ma non spetta ai segretari
che godono di equiparazione alla dirigenza, sia essa
assicurata dalla appartenenza alle fasce A e B o un effetto
del galleggiamento in ipotesi di titolarità di enti locali
privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, anche perché
l'articolo 10-bis è da considerare come norma posta alla
salvaguardia della finanza pubblica e volta a ridurre i casi
di deroga al principio di onnicomprensività della
retribuzione dei dipendenti pubblici.
Il tribunale di Milano rigetta totalmente la visione
proposta dalla magistratura contabile, perché se da un lato
è vero che la norma ha lo scopo di meglio amministrare la
spesa pubblica, tuttavia l'interpretazione data dalla
Sezione Autonomie «nell'intento di salvaguardare beni pur
meritevoli di tutela, finisce per restringere il campo di
applicazione della norma compiendo un'operazione di
chirurgia giuridica non consentito nemmeno in nome della res
pubblica».
Sicché, il tribunale conclude: «La letterale
applicazione della norma che, nella sua chiarezza non
necessita di alcuna interpretazione», tanto da portarlo a
decidere per la spettanza dei diritti di rogito al
segretario di fascia A o B che operi in sedi privi di
dirigenti. La sentenza mette infine in ulteriore luce un
problema di sistema: l'influenza dei pareri della Corte dei
conti (ma anche di soggetti come Aran, Ispettorato del Mef e
Dipartimenti dei ministeri in sede di pareri interpretativi)
nell'ambito della gestione del personale
(articolo ItaliaOggi del
24.05.2016). |
SEGRETARI COMUNALI:
Giudici in ordine sparso sui diritti di rogito.
Quella dei diritti di rogito dei segretari comunali sembra
ormai una stucchevole partita di tennis.
L'ultimo colpo è stato quello della Corte dei conti Liguria,
che nel
parere 12.05.2016 n. 49 ha ribadito la tesi della
magistratura contabile, in base alla quale l'emolumento
spetta solo agli appartenenti alla categoria C (con
esclusione quindi di quelli equiparati ai dirigenti), mentre
va riconosciuto in ogni caso ai vicesegretari, anche quando
il titolare appartiene alle fasce A e B.
La stessa lettura
era stata fornita qualche settimana fa dalla sezione Marche
(parere n. 90/2016), in aderenza con i principi di diritto
espressi dalla sezione autonomie (deliberazione n. 21/2015).
Ma dall'altra parte del campo si sono schierati la Corte
costituzionale e, da ultimo, il Tribunale lavoro di Milano,
secondo i quali i diritti di rogito competono a tutti i
segretari che operano negli enti privi di personale con
qualifica dirigenziale, a prescindere dalla fascia
professionale in cui è inquadrato il segretario. Mentre la
Consulta si è espressa in una sentenza di rigetto (la n.
75/2016), che tipicamente ha effetto solo inter partes, i
giudici meneghini hanno assunto una posizione tranchant.
Ancor più rigida la Ragioneria generale dello Stato, che nel
parere n. 26297/2016 non solo ha confermato il niet
per i segretari di fascia A e B, ma ha sostenuto che, in
tali casi, i soldi non spettano neppure ai vice
(articolo ItaliaOggi dell'01.06.2016). |
aprile 2016 |
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SEGRETARI COMUNALI:
Diritti di rogito senza paletti. Spettano ai
segretari dei comuni privi di dirigenza.
La Consulta si discosta dalla tesi sostenuta
dalla sezione autonomie della Corte conti.
Sui diritti di rogito dei segretari comunali e provinciali
la Consulta smentisce la Corte dei conti. Secondo i giudici
delle leggi, infatti, l'emolumento spetta a tutti coloro che
operano in comuni privi di dirigenza, indipendentemente
dalla fascia professionale. Bocciata, quindi, la tesi della
sezione delle autonomie, secondo cui i diritti di rogito
competono ai soli segretari di fascia C.
La questione nasce dall'art. 10, comma 2-bis, del dl
90/2014: esso dispone che i diritti di rogito spettano «negli
enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale,
e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno la
qualifica dirigenziale», in misura comunque non
superiore a un quinto dello stipendio in godimento.
Tale norma (dalla formulazione infelice) ha dato luogo a due
interpretazioni diverse: da un lato, si è affermato che
l'emolumento competerebbe esclusivamente ai segretari di
comuni di piccole dimensioni collocati in fascia C e non a
quelli che godono di equiparazione alla dirigenza, sia essa
assicurata dalla appartenenza alle fasce A e B, sia essa un
effetto del galleggiamento in ipotesi di titolarità di enti
locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale; in
senso contrario, si è argomentato che nei comuni privi di
personale con qualifica dirigenziale i diritti spettano a
prescindere dalla fascia professionale in cui è inquadrato
il segretario.
La sezione delle autonomie, con la deliberazione n. 21/2015,
ha condiviso la prima lettura, evidenziando che essa, oltre
a essere maggiormente coerente con il quadro normativo e
contrattuale della materia è l'unica in grado di garantire
gli effetti, soprattutto finanziari, avuti in considerazione
dal legislatore.
Di diverso avviso la Corte Costituzionale, che nella recente
sentenza 07.04.2016 n. 75 sposa, sia pure in via
incidentale, la seconda tesi. Nel dichiarare non fondate le
questioni di legittimità costituzionale sollevate
dall'avvocatura statale rispetto all'art. 11 della legge
della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol n.
11/2014, essa ha affermato che l'art. 10, comma 2-bis, si
applica a tutti i segretari dei comuni senza dirigenti.
Ora si tratterà di vedere se, sulla scorta di tale monito,
la magistratura contabile tornerà sui suoi passi
(articolo ItaliaOggi del 22.04.2016). |
marzo 2016 |
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CONSIGLIERI COMUNALI - SEGRETARI COMUNALI:
Danno erariale al sindaco per lo stipendio
«eccessivo» del segretario.
La produttività del segretario non può essere parametrata
anche alla retribuzione aggiuntiva percepita in virtù
dell'incarico di direttore generale.
Lo ha stabilito la Sez. giurisdizionale dell'Umbria della
Corte dei Conti con la
sentenza
09.03.2016 n. 21.
La vicenda
Il giudizio riguardava sulla legittimità dell'erogazione
dell'indennità di risultato al segretario nella parte in cui
è correlata alla retribuzione percepita in qualità di
direttore generale.
La difesa ha sostenuto che l'articolo 42 del contratto
nazionale dei segretari stabilisca il principio di
onnicomprensività della retribuzione di risultato con
riferimento a tutti gli incarichi attribuiti al segretario,
fatta eccezione per quello di direttore generale. Questo
comporta che l'indennità di risultato di quest'ultimo
costituisce espressa deroga al principio di
onnicomprensività, con specifico riguardo al cumulo di
funzioni.
Analogamente, l'articolo 44 stabilisce un'altra deroga al
principio di onnicomprensività, in quanto prevede
l'attribuzione di una specifica indennità, in aggiunta alla
retribuzione di posizione goduta quale segretario, in caso
di svolgimento delle funzioni di direttore.
Niente parametrazione
I magistrati contabili umbri non hanno condiviso le
argomentazioni e hanno ritenuto fondata la responsabilità
del presidente della Provincia in cui operava il segretario,
sulla base di un'interpretazione letterale degli articoli 42
e 44 del contratto nazionale dei segretari combinata con i
precedenti della Corte, gli orientamenti applicativi
dell'Aran e quelli dell'Agenzia autonoma per la gestione
dell'albo dei segretari.
Mentre l'indennità ex articolo 44 è corrisposta in aggiunta
alla posizione di retribuzione del segretario, affermano
nella sentenza, quella di risultato è calcolata tenendo
conto del complesso degli incarichi aggiuntivi conferitigli,
ma fatta eccezione per quello di direttore generale.
L'esclusione dell'incarico di direttore dai parametri di
determinazione del risultato è peraltro confermata dalla
deliberazione del Cda dell'Agenzia 389/2002, in cui vengono
elencate le voci retributive su cui calcolare l'indennità di
risultato e in cui non figurano sia i diritti di segreteria
che l'indennità di direttore generale.
Negli stessi termini si è espressa l'Aran negli orientamenti
applicativi, in cui ha sostenuto che la determinazione
dell'indennità di risultato richiede la preventiva
fissazione e il formale conferimento al segretario di
precisi obiettivi, tenendo conto del complesso degli
incarichi aggiuntivi conferiti, ad eccezione di quello di
direttore generale.
La colpa
Queste valutazioni portano la sezione Umbria a rilevare la
colpa grave del convenuto e, in quanto erano ben conosciuti
e chiari gli orientamenti espressi in materia, ad avallare
l'accusa di «colpa gravissima» formulata dalla
Procura, a motivo dell'elevato grado di responsabilità.
Elemento che peraltro non consente di esercitare il potere
riduttivo.
Di qui la condanna al pagamento della somma derivante
dall'illegittima erogazione dell'indennità di risultato al
segretario, quale titolare anche delle funzioni di direttore
generale, oltre agli interessi dalla data delle spese a
quella della sentenza, cui seguono spese di giustizia e agli
interessi legali (22.03.2016 - tratto da
www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com). |
febbraio 2016 |
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SEGRETARI COMUNALI:
Quali conseguenze ci sono per l'Ente che adotta il PTPC
senza mappatura dei processi?
IL CASO: Un Comune ha approvato il piano
anticorruzione senza aver potuto procedere, per mancanza di
tempo e di personale, alla mappatura dei procedimenti. È
possibile considerare il Piano approvato adeguato o l'Ente
incorre in sanzioni?
(Risponde l'Avv. Nadia Corà)
Il problema della mancanza di mappatura dei processi non
attiene al profilo delle sanzioni ma al diverso profilo del
funzionamento e della adeguatezza del piano anticorruzione.
In altre parole, attiene alla qualità della strategia di
prevenzione che, in assenza di mappatura dei processi, non
può definirsi efficace perché le misure di prevenzione non
possono dirsi costruite "su misura" del contesto
organizzativo interno del singolo Comune.
Anche l'Anac ha evidenziato questo aspetto, rilevando che
l'analisi del contesto interno, da attuare attraverso
l'analisi dei processi organizzativi (mappatura dei
processi), pur essendo meno critica della analisi del
contesto esterno, risulta tendenzialmente non adeguata (Det.
n. 12/2015). L'Anac insegna, al riguardo, che la mappatura è
da intendersi come un modo "razionale" di individuare
e rappresentare tutte le attività dell'ente per fini diversi
e assume carattere strumentale a fini dell'identificazione,
della valutazione e del trattamento dei rischi corruttivi.
L'accuratezza e l'esaustività della mappatura dei processi è
un requisito indispensabile per la formulazione di adeguate
misure di prevenzione e incide sulla qualità dell'analisi
complessiva. L'obiettivo è che le amministrazioni e gli enti
realizzino la mappatura di tutti i processi. Essa può essere
effettuata con diversi livelli di approfondimento. Dal
livello di approfondimento scelto dipende la precisione e,
soprattutto, la completezza con la quale è possibile
identificare i punti più vulnerabili del processo e, dunque,
i rischi di corruzione che insistono sull'amministrazione o
sull'ente: una mappatura superficiale può condurre a
escludere dall'analisi e trattamento del rischio ambiti di
attività che invece sarebbe opportuno includere.
In definitiva, si deve concludere nel senso che la "sanzione"
conseguente alla mancata mappatura è da individuarsi nella
inadeguatezza delle misure di prevenzione laddove scollegate
dal contesto organizzativo.
Sennonché, la normativa sta ora concentrando l'attenzione
sull'effettiva attuazione di misure in grado di incidere su
un piano sostanziale (e non solo meramente formale) sui
fenomeni corruttivi. Se è vero che le sanzioni, previste
dall'art. 19, co. 5, lett. b), del d.l. 90/2014, attengono
alla mancata «adozione dei Piani di prevenzione della
corruzione, dei programmi triennali di trasparenza o dei
codici di comportamento», non bisogna dimenticare che
alla mancata adozione il «Regolamento in materia di
esercizio del potere sanzionatorio dell'Autorità Nazionale
Anticorruzione per l'omessa adozione dei Piani triennali di
prevenzione della corruzione, dei Programmi triennali di
trasparenza, dei Codici di comportamento» equipara:
a) l'approvazione di un provvedimento puramente ricognitivo
di misure, in materia di anticorruzione, in materia di
adempimento degli obblighi di pubblicità ovvero in materia
di Codice di comportamento di amministrazione;
b) l'approvazione di un provvedimento, il cui contenuto
riproduca in modo integrale analoghi provvedimenti adottati
da altre amministrazioni, privo di misure specifiche
introdotte in relazione alle esigenze dell'amministrazione
interessata;
c) l'approvazione di un provvedimento privo di misure per la
prevenzione del rischio nei settori più esposti, privo di
misure concrete di attuazione degli obblighi di
pubblicazione di cui alla disciplina vigente, meramente
riproduttivo del Codice di comportamento emanato con il
decreto del Presidente della Repubblica 16.04.2013, n. 62
(tratto dalla newsletter 01.02.2016 n. 135 di http://asmecomm.it). |
settembre 2015 |
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SEGRETARI COMUNALI: La
Sezione delle autonomie ha affermato il principio,
vincolante per tutte le Sezioni regionali, secondo cui
la corresponsione dei diritti di rogito
compete esclusivamente ai segretari di comuni di piccole
dimensioni collocati in fascia C, e non spetta invece ai
segretari che godono di equiparazione alla dirigenza, sia
tale equiparazione assicurata dalla appartenenza alle fasce
A e B, sia essa effetto del “galleggiamento” ai sensi
dell’art. 41, comma 5, del CCNL di categoria, nei comuni di
maggiori dimensioni.
Tanto premesso, benché l’odierna fattispecie -segretario
comunale in convenzione tra due enti, di cui uno dotato e
l’altro sprovvisto di posizione dirigenziale- non trovi
esplicita soluzione nella disposizione in parola,
la Sezione ritiene che la ratio perequativa
della norma, enunciata dalla Sezione delle autonomie,
consenta di tenere distinte le posizioni del segretario nei
confronti dei singoli enti locali di appartenenza: pertanto,
laddove il segretario sia collocato in fascia C, il comune
sprovvisto di posizione dirigenziale dovrà corrispondergli i
diritti di rogito, nei limiti previsti dalla legge.
E’ di tutta evidenza che, ove invece il segretario comunale
sia un dirigente, non potrà essergli corrisposto il diritto
in questione, neppure nel comune di più piccole dimensioni.
---------------
Il Consiglio delle autonomie locali ha inoltrato alla
Sezione, con nota prot. n. 32772/1.13.9, una richiesta di
parere formulata dal comune di Massa e Cozzile, avente ad
oggetto l’attribuibilità dei diritti di rogito al segretario
comunale titolare dell’ufficio in convenzione tra due
comuni, di cui uno soltanto dotato di posizione dirigenziale,
alla luce delle modifiche introdotte dall’art. 10, comma
2-bis, del d.l. 24.06.2014, n. 90, convertito con
modificazioni dalla l. 11.08.2014, n. 114.
...
Nel merito, l’art. 10 della normativa citata in premessa,
dopo aver disposto che il provento annuale dei diritti di
segreteria è attribuito integralmente al comune o alla
provincia, stabilisce, al comma 2-bis, che “negli enti
locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e
comunque a tutti i segretari comunali che non hanno la
qualifica dirigenziale, una quota del provento annuale
spettante al comune ai sensi dell’art. 30, secondo comma,
della legge 15.11.1973, n. 734 […] è attribuita al
segretario comunale rogante, in misura non superiore a un
quinto dello stipendio in godimento”.
Nel caso di specie, il segretario comunale è titolare
dell’ufficio di segreteria in convenzione tra i comuni di
Massa e Cozzile e Pescia (comune capofila); tuttavia, come
dichiarato nella richiesta, solo in quest’ultimo ente “sono
presenti dipendenti con qualifica dirigenziale”.
Il comune di Massa e Cozzile sollecita dunque la Corte ad
esprimersi sul punto se il comma 2-bis debba essere
applicato considerando l’insieme dei comuni gestiti in
convenzione, ovvero se debba essere presa a base la
situazione del singolo ente, ciò che comporterebbe, per
l’ente richiedente, la conseguenza di dover corrispondere i
diritti di rogito al segretario comunale che presentasse
anche i requisiti soggettivi per l’attribuzione.
Come recentemente chiarito dalla Sezione delle Autonomie su
questione di massima, l’art. 10 del d.l. n. 90/2014,
abrogando il previgente art. 41, comma 4, l. n. 312/1980, ha
stabilito il principio della integrale
spettanza dei diritti di rogito a comuni e province (comma
2), concependo l’erogazione di una parte di tali diritti in
favore dei segretari comunali come un’eccezione alla
disciplina generale (comma 2-bis); eccezione basata sul
duplice presupposto della non esistenza di una posizione
dirigenziale presso l’ente in cui il segretario presta
servizio e del non possesso, da parte del segretario stesso,
della qualifica dirigenziale
(Sezione delle autonomie,
deliberazione 24.06.2015 n. 21).
Secondo la Sezione delle Autonomie, l’anzidetta deroga
rispetto al principio generale della non debenza dei diritti
di rogito ai segretari comunali trova giustificazione nella
volontà di contemperare l’esigenza di maggiori entrate degli
enti locali con una finalità perequativa (resa palese anche
dai lavori parlamentari di conversione del decreto legge), a
tutela delle sole situazioni retributive meno vantaggiose.
In base a tali considerazioni, la Sezione delle autonomie ha
affermato il principio, vincolante per tutte le Sezioni
regionali, secondo cui la corresponsione
dei diritti di rogito compete esclusivamente ai segretari di
comuni di piccole dimensioni collocati in fascia C, e non
spetta invece ai segretari che godono di equiparazione alla
dirigenza, sia tale equiparazione assicurata dalla
appartenenza alle fasce A e B, sia essa effetto del “galleggiamento”
ai sensi dell’art. 41, comma 5, del CCNL di categoria, nei
comuni di maggiori dimensioni.
Tanto premesso, benché l’odierna fattispecie -segretario
comunale in convenzione tra due enti, di cui uno dotato e
l’altro sprovvisto di posizione dirigenziale- non trovi
esplicita soluzione nella disposizione in parola,
la Sezione ritiene che la ratio perequativa
della norma, enunciata dalla Sezione delle autonomie,
consenta di tenere distinte le posizioni del segretario nei
confronti dei singoli enti locali di appartenenza: pertanto,
laddove il segretario sia collocato in fascia C, il comune
sprovvisto di posizione dirigenziale dovrà corrispondergli i
diritti di rogito, nei limiti previsti dalla legge.
E’ di tutta evidenza che, ove invece il segretario comunale
sia un dirigente, non potrà essergli corrisposto il diritto
in questione, neppure nel comune di più piccole dimensioni
(Corte dei Conti, Sez. controllo Toscana,
parere 24.09.2015 n. 393). |
SEGRETARI COMUNALI:
Segretari comunali. Diritti di rogito liquidati.
La Corte dei conti sezione Autonomie
(cfr. deliberazione n. 21 del 24.06.2015) ha affermato, in
relazione al disposto dell'art. 10, comma 2-bis, del d.l.
90/2014, convertito in l. 114/2014, che i diritti di rogito
competono ai soli segretari di fascia C.
Il Comune ha chiesto un parere in ordine al comportamento da
tenere, nei confronti del Segretario comunale appartenente
alla fascia B, al quale sono stati liquidati e pagati
diritti di rogito, non dovuti in base all'orientamento
espresso da ultimo dalla Sezione Autonomie della Corte dei
conti con deliberazione n. 21 del 24.06.2015.
Preliminarmente è doveroso osservare che esula dalle
competenze dello scrivente Servizio ingerirsi nella concreta
attività gestionale degli enti locali e nell'amministrazione
attiva, atteso che rientra nelle funzioni istituzionali
attribuitegli fornire esclusivamente contributi
giurisprudenziali e dottrinali utili alle scelte delle
singole amministrazioni.
Premesso un tanto, in via collaborativa, si espongono le
seguenti riflessioni.
L'art. 10, comma 2-bis, del d.l. 90/2014, convertito in l.
144/2014, prevede che negli enti locali privi di dipendenti
con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i segretari
comunali che non hanno qualifica dirigenziale, una quota del
provento annuale spettante al comune ai sensi dell'art. 30,
secondo comma, della l. 734/1973, come sostituito dal comma
2 del medesimo articolo, per gli atti di cui ai numeri 1, 2,
3, 4 e 5 della tabella D allegata alla l. 604/1962, e
successive modificazioni, è attribuita al segretario
comunale rogante, in misura non superiore a un quinto dello
stipendio in godimento.
Com'è noto, la Sezione Autonomie della Corte dei conti, con
la sopra citata deliberazione, pronunciandosi relativamente
a contrastanti orientamenti interpretativi espressi da varie
Sezioni regionali di controllo, ha enunciato i seguenti
principi di diritto: 'Alla luce della previsione di cui
all'art. 10 [1]
comma 2-bis del d.l. 24.06.2014, n. 90, convertito con
modificazioni dalla legge 11.08.2014, n. 114, i diritti di
rogito competono ai soli segretari di fascia C. In difetto
di specifica regolamentazione nell'ambito del CCNL di
categoria successivo alla novella normativa i predetti
proventi sono attribuiti integralmente ai segretari
comunali, laddove gli importi riscossi dal comune, nel corso
dell'esercizio, non eccedano i limiti della quota del quinto
della retribuzione in godimento del segretario'.
Pertanto, i diritti di rogito non possono essere
riconosciuti ai segretari che godono di equiparazione alla
dirigenza, sia essa assicurata dall'appartenenza alle fasce
A e B, sia nel caso in cui essa sia un effetto del
galleggiamento in ipotesi di titolarità in enti privi di
dipendenti con qualifica dirigenziale.
La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il
Veneto [2]
ha inoltre richiamato l'attenzione, in ordine alle questioni
di diritto intertemporale, sul contenuto del comma 2-ter
dell'articolo 10 del d.l. 90/2014, che dispone testualmente
che 'le norme di cui al presente articolo non si
applicano per le quote già maturate alla data di entrata in
vigore del presente decreto'.
In conseguenza, i comuni, in relazione all'anno 2014,
dovranno provvedere a calcolare separatamente la quota dei
diritti di rogito spettante per le due fasi dell'anno (ante
e post entrata in vigore della novella), sulla base
delle rispettive regole di quantificazione.
Si è inoltre precisato -in detta sede- che 'l'ente non
dispone sulla materia di libertà di determinazione,
dovendosi perseguire scelte gestionali sempre rivolte a
tutelare l'incremento delle entrate in questione e a non
depauperarle'.
Pertanto, 'in sede applicativa, la quota dei diritti da
riconoscersi al singolo segretario rogante deve essere
calcolata, sia pure nei limiti quantitativi anzi detti, in
relazione all'attività effettivamente svolta nell'anno
poiché, ai fini della loro corresponsione, deve sussistere
un sinallagma tra la prestazione resa dal segretario ed i
proventi dalla stessa generati. Ai fini, comunque, della
applicazione della normativa di riferimento si ricorda che
il diritto di rogito matura, e cioè si perfeziona, al
momento del ricevimento dell'atto e/o contratto stipulato in
forma pubblica innanzi al segretario. Conseguentemente, a
tal momento, deve farsi riferimento per l'applicazione della
normativa, a nulla rilevando il fatto che il diritto non sia
stato ancora liquidato o pagato'.
Il citato parere fornito dalla Sezione Autonomie, nel
dirimere la questione, fa sorgere anche la questione
relativa alla ripetizione di somme che sono poi risultate
indebitamente erogate.
Preme riportare l'orientamento giurisprudenziale formatosi
in materia, che ha enunciato il principio della doverosità
del recupero delle somme indebitamente erogate dalla
pubblica amministrazione, non ostacolato dalla buona fede
del percipiente, essendo solo necessario che l'atto
chiarisca le ragioni per le quali quest'ultimo non aveva
diritto a quella determinata somma corrispostagli per errore
[3].
L'ANCI ha osservato al riguardo che l'orientamento della
Sezione Autonomie della Corte dei conti è stato adottato ai
sensi dell'art. 6, comma 4, del d.l. 174/2012, al fine di
prevenire o risolvere contrasti interpretativi avendo, come
ogni attività interpretativa, effetto retroattivo dalla data
di entrata in vigore della disposizione legislativa in
argomento.
Pertanto, appare difficile poter giustificare condotte non
conformi, anche se sostenute in precedenza da pareri della
stessa magistratura contabile.
La predetta associazione ribadisce che pagamenti effettuati
in difformità dall'ultimo orientamento espresso devono
formare oggetto di recupero di quanto erroneamente
corrisposto.
---------------
[1] Tale norma ha modificato significativamente i criteri
e le modalità di attribuzione ai segretari comunali degli
emolumenti riferiti ai diritti di rogito, al fine di
assicurare all'ente locale maggiori entrate.
[2] Cfr. deliberazione n. 359/PAR/2015.
[3] Cfr. Cons. di Stato, sez. IV, sentenza n. 2651 del 2007
e sez. VI, sentenza n. 5315 del 2014 (18.09.2015
-
link a
www.regione.fvg.it). |
luglio 2015 |
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SEGRETARI COMUNALI: Danno
erariale in capo al segretario comunale ed al responsabile
del servizio finanziario.
Segretari comunali convenzionati: la
scure sui rimborsi delle spese di viaggio.
Euro 31.565,10, è questo
l'importo che il segretario convenzionato si era fatto
rimborsare per le spese di viaggio sostenute per i
trasferimenti dal luogo di propria residenza a quello della
sede di lavoro dal gennaio 2010 ad aprile 2012.
Un danno erariale contestato dalla Procura ed accertato
dalla Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale per l'Emilia
Romagna che, con
sentenza 12.08.2015 n. 103, ha condannato il
segretario comunale.
Ad avviso del Collegio, l’articolo 45,
secondo comma, C.C.N.L. 16/05/2001, che testualmente recita
“al segretario titolare di segreteria convenzionate per
l’accesso alle diverse sedi, spetta il rimborso delle spese
di viaggio effettivamente sostenute e documentabili” va
inserito nella complessiva disciplina relativa al rimborso
delle spese di viaggio per i pubblici dipendenti.
Il rimborso delle spese di viaggio che può considerarsi
legittimamente rimborsabile riguarda solo gli spostamenti da
uno ad un altro dei comuni riuniti in convenzione, per
l’esercizio delle relative funzioni da parte del segretario
convenzionato.
Il Collegio chiarisce, sul punto, che non
depongono in senso diverso nessuno dei pareri resi
dall’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei
segretari comunali e provinciali quale, ad esempio, il
parere del 21.04.2006 che prevede il rimborso delle spese di
viaggio sempre con riferimento a quelle relative agli
spostamenti tra i comuni convenzionati e chiarisce in modo
inequivocabile l’impossibilità di legittimi rimborsi per gli
spostamenti dalla residenza del segretario al comune
capofila e viceversa.
L’inciso che ammette il rimborso delle
spese di viaggio nel citato parere -precisa la Corte dei
Conti- fa riferimento alla possibilità del segretario
comunale di recarsi partendo dalla propria residenza prima
in un Comune non capofila della convenzione; in tale ipotesi
saranno rimborsabili le spese di viaggio non dalla residenza
al Comune non capofila, bensì solamente quelle relative alla
tragitto dal comune capofila al Comune non capofila
(commento tratto da www.ilquotidianodellapa.it).
---------------
MASSIMA
Il Collegio reputa che sia rinvenibile in
capo al segretario comunale, un’ipotesi di
responsabilità amministrativa, sussistendone tutti gli
elementi costitutivi.
E’ di tutta evidenza, la sussistenza del rapporto di
servizio del medesimo con l’amministrazione.
Ad avviso della Sezione, sussistono,
inoltre, il comportamento causativo di danno erariale nonché
il nesso causale tra comportamento e danno.
In particolare, risulta accertato agli atti che i rimborsi a
favore del segretario furono effettuati sulla base di
espresse richieste in tal senso da parte del convenuto per
tutto il periodo dal gennaio 2010 ad aprile 2012 e che la
liquidazione fu effettuata sulla base di un prospetto
riassuntivo sottoscritto congiuntamente dal segretario
C. e dalla responsabile del servizio finanziario M..
Sussiste, pertanto, ad avviso del Collegio,
il nesso di causalità tra l’esborso di denaro avvenuto da
parte del comune e la condotta del convenuto di proposizione
d’istanza di rimborso delle spese di viaggio per il tragitto
abitazione-luogo di lavoro.
In relazione all’elemento soggettivo, poi,
questa Sezione lo rinviene nella colpa grave in capo al
dott. C..
Secondo
l’orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte
dei Conti, il concetto di colpa
grave va inquadrato nella nozione di colpa professionale di
cui all’art. 1176, 2° comma, c.c. e va inteso come
osservanza non già della normale diligenza del “bonus pater
familias”, bensì di quella particolare diligenza occorrente
con riguardo alla natura e alle caratteristiche di una
specifica attività esercitata.
Perché si abbia colpa grave non è
richiesto, perciò, che si sia tenuto un comportamento
assolutamente abnorme, ma è sufficiente che l’agente abbia
omesso di attivarsi come si attiverebbe, nelle stesse
situazioni, anche il meno provveduto degli esercenti quella
determinata attività. In altri termini, è ritenuto
sufficiente, per la sussistenza del suindicato grado di
colpa, che nella fattispecie l’agente abbia serbato comunque
un comportamento contrario a regole deontologiche
elementari.
---------------
Con riferimento al parere
dell’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei
segretari comunali e provinciali
in data 21.04.2006, come correttamente riportato in
citazione, si statuisce che “ferma restando
l’esclusione del rimborso nelle ipotesi dello spostamento
dalla propria residenza al comune capofila e viceversa, al
pari del rimborso del percorso effettuato per raggiungere
dall’ultimo comune il proprio domicilio, si fa rilevare
quanto segue. È necessario considerare l’ipotesi in cui il
segretario organizzi la propria attività lavorativa in
maniera tale da raggiungere, in via primaria, un Comune
diverso da quello capofila della convenzione per motivi di
convenienza e per esigenze personali, con la conseguenza
che, in siffatto caso, si può giustificare la risoluzione
che prevede il rimborso delle spese di viaggio”.
In buona sostanza, quindi, tale parere
prevede il rimborso delle spese di viaggio sempre con
riferimento a quelle relative agli spostamenti tra i comuni
convenzionati e chiarisce in modo inequivocabile
l’impossibilità di legittimi rimborsi per gli spostamenti
dalla residenza del segretario al comune capofila e
viceversa. L’inciso che ammette il rimborso delle spese di
viaggio nel citato parere fa riferimento alla possibilità
del segretario comunale di recarsi partendo dalla propria
residenza prima in un Comune non capofila della convenzione;
in tale ipotesi saranno rimborsabili le spese di viaggio non
dalla residenza al Comune non capofila, bensì solamente
quelle relative alla tragitto dal comune capofila al Comune
non capofila.
Proprio l’espresso riferimento al parere dell’Agenzia
autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e
provinciali del 21.04.2006 nei provvedimenti di rimborso
delle spese di viaggio spettanti alla segretario comunale,
anche se limitatamente all’affermazione relativa al rimborso
delle spese di viaggio per raggiungere un Comune diverso da
quello capofila della convenzione per motivi di convenienza
e per esigenze personali, permette di concludere nel senso
che l’odierno convenuto Dott. C.,
non poteva non avere conoscenza, tenuto altresì conto della
propria qualifica professionale, della parte immediatamente
antecedente a quella riportata nella citata delibera la
quale, come già riportato, testualmente sancisce che resta
ferma “l’esclusione del rimborso dell’ipotesi dello
spostamento dalla propria residenza al comune capofila e
viceversa, al pari del rimborso del percorso effettuato per
raggiungere dall’ultimo comune il proprio domicilio……”.
Se ne conclude che tutti gli elementi richiamati permettono
di giudicare commessa con colpa grave la richiesta e
l’ottenimento del rimborso da parte del segretario comunale
delle spese di viaggio sostenute per il tragitto
abitazione-luogo di lavoro nel periodo intercorrente dal
gennaio 2010 al aprile 2012.
L’elemento soggettivo in relazione alla condotta del
convenuto integra, dunque, un’ipotesi di colpa grave.
---------------
Quanto sopra esposto
non può non valere anche nei confronti della
responsabile del servizio finanziario del
comune.
---------------
Con riguardo alla liquidazione del danno la Procura lo ha
individuato nella somma di euro 31.565,10, somma
corrispondente ai rimborsi asseritamente illeciti disposti a
favore della segretario comunale C..
Relativamente all’imputazione dell’obbligazione di
risarcimento del danno, il Pubblico Ministero ha ritenuto di
individuare nella percentuale dell’80% l’importo
addebitabile al dottor C., ravvisando nei suoi confronti la
violazione, quantomeno gravemente colposa, dei doveri di
comportamento nascenti dal rapporto di servizio con la
pubblica amministrazione e posti a tutela della legalità,
dell’economicità e del buon andamento dell’azione
amministrativa.
Ai fini dell’imputazione della restante parte
dell’obbligazione risarcitoria, pari al 20%, l’organo
requirente ha indicato nella signora P.M. l’ulteriore
responsabile del danno, poiché, nella sua qualità di
responsabile del servizio finanziario del comune di
Camugnano, avrebbe adottato i provvedimenti di liquidazione
sopra richiamati con somma imperizia e comportamento
gravemente negligente con riguardo all’esame dei loro
presupposti.
La procura ha individuato una ulteriore fattispecie di
responsabilità amministrativa, contestata alle convenute C.
e M., per la somma di euro 3000, quale compenso corrisposto
dal Comune di Castel di Casio a favore dell’avvocato OMISSIS
per il parere sulla legittimità dei rimborsi delle spese di
viaggio del segretario.
Tale incarico, secondo la ricostruzione di parte attrice, fu
affidato con determinazione n. 87 del 14.12.2011, dalla
dottoressa S.C., nella qualità di responsabile del I
servizio del comune di Castel di Casio; ad avviso del
Pubblico Ministero tale spesa risulterebbe inutile e
superflua, nonché assunta senza il rispetto dei parametri di
legittimità di cui all’articolo 7 del decreto legislativo
165 del 2001, in tema di incarichi esterni alla pubblica
amministrazione.
Inoltre, si rappresenta che il provvedimento di affidamento
intervenne successivamente al decreto del 17.05.2011 del
Presidente della Unità di Missione ed al parere del
21.04.2011 del Ragioniere Generale dello Stato, atti con i
quali, come sostiene parte attrice, sarebbe stato ribadito
che “nessun rimborso spetti per i tragitti
abitazione-luogo di lavoro e viceversa”.
Ancora, la Procura ha evidenziato che il provvedimento di
affidamento all’avvocato OMISSIS non riporterebbe alcunché
circa la preventiva verifica dell’impossibilità di poter far
fronte alle medesime esigenze con risorse interne.
Relativamente a tale ulteriore voce di danno patrimoniale,
il P.M. ha ritenuto che dovrebbe essere imputata alla
dottoressa S.C., che ha affidato direttamente l’incarico
all’avvocato OMISSIS, con la citata determinazione n.
87/2011 ed ha, poi, disposto la liquidazione del compenso,
violazione che si afferma essere gravemente colposa dei
limiti di legge sopra esposti.
...
I.- L’ ipotesi di danno erariale sottoposta al giudizio di
questa Corte è collegata alle condotte del dott. C., il
quale, in qualità di segretario convenzionato,
avrebbe chiesto e ottenuto dal comune capofila rimborsi
delle spese di viaggio sostenute per i trasferimenti dal
luogo di propria residenza a quello della sede di lavoro, e
della signora M., nella sua qualità di responsabile del
servizio finanziario del comune di Camugnano, la quale,
nell’esercizio della proprie funzioni, avrebbe adottato i
provvedimenti di liquidazione dei predetti rimborsi, nonché
della dottoressa C., la quale, nella qualità di
responsabile del I servizio del comune di Castel di
Casio, avrebbe affidato con determinazione n. 87 del
14/12/2011, un incarico a favore dell’avvocato OMISSIS, per
redigere il parere sulla legittimità dei rimborsi delle
spese di viaggio al segretario.
Il danno conseguente è stato quantificato, secondo la
prospettazione della Procura Regionale presso questa
Sezione, per i convenuti C. e M., nella somma complessiva di
euro 31.565,10, oltre rivalutazione monetaria interessi
legali dalla data di ciascun singolo esborso fino al
soddisfo e spese del presente procedimento, ripartito
nell’80% a carico del dottor C. e nel 20% a carico della
signora M., pari alla somma dei rimborsi disposti a favore
del C. dai provvedimenti elencati in citazione da gennaio
2010 ad aprile 2012; per la convenuta C. nella somma di euro
3000, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalla
data del 13.06.2012 fino al soddisfo e spese del presente
procedimento, pari alla somma corrisposta dal comune di
Castel di Casio a favore dell’avv. OMISSIS, per il parere
formulato sulla legittimità dei rimborsi delle spese di
viaggio al segretario.
II- Passando al merito della causa, il Collegio intende
esaminare separatamente le posizioni dei convenuti.
Con riguardo al segretario comunale dottor C., la Sezione
deve soffermarsi sulla valutazione della sussistenza di
tutti gli elementi costitutivi della responsabilità in
relazione al giudizio instaurato nei confronti del
convenuto.
Il Collegio reputa che sia rinvenibile in
capo al segretario comunale, un’ipotesi di
responsabilità amministrativa, sussistendone tutti gli
elementi costitutivi.
E’ di tutta evidenza, la sussistenza del rapporto di
servizio del medesimo con l’amministrazione.
Ad avviso della Sezione, sussistono,
inoltre, per quanto esposto, il comportamento causativo di
danno erariale nonché il nesso causale tra comportamento e
danno.
In particolare, risulta accertato agli atti che i rimborsi a
favore del segretario furono effettuati sulla base di
espresse richieste in tal senso da parte del convenuto per
tutto il periodo dal gennaio 2010 ad aprile 2012 e che la
liquidazione fu effettuata sulla base di un prospetto
riassuntivo sottoscritto congiuntamente dal segretario
C. e dalla responsabile del servizio finanziario M..
Sussiste, pertanto, ad avviso del Collegio,
il nesso di causalità tra l’esborso di denaro avvenuto da
parte del comune di Camugnano e la condotta del convenuto di
proposizione d’istanza di rimborso delle spese di viaggio
per il tragitto abitazione-luogo di lavoro.
In relazione all’elemento soggettivo, poi,
questa Sezione lo rinviene nella colpa grave in capo al
dott. C..
Secondo
l’orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte
dei Conti, il concetto di colpa grave va
inquadrato nella nozione di colpa professionale di cui
all’art. 1176, 2° comma, c.c. e va inteso come osservanza
non già della normale diligenza del “bonus pater familias”,
bensì di quella particolare diligenza occorrente con
riguardo alla natura e alle caratteristiche di una specifica
attività esercitata.
Perché si abbia colpa grave non è
richiesto, perciò, che si sia tenuto un comportamento
assolutamente abnorme, ma è sufficiente che l’agente abbia
omesso di attivarsi come si attiverebbe, nelle stesse
situazioni, anche il meno provveduto degli esercenti quella
determinata attività. In altri termini, è ritenuto
sufficiente, per la sussistenza del suindicato grado di
colpa, che nella fattispecie l’agente abbia serbato comunque
un comportamento contrario a regole deontologiche
elementari.
A tale proposito pare opportuno esaminare la posizione del
convenuto.
Svolgendo una ricostruzione della disciplina applicabile al
caso di specie, il Collegio intende chiarire, in primo
luogo, l’interpretazione del significato da attribuire
all’articolo 45 secondo comma C.C.N.L. 16/05/2001, che
testualmente recita “al segretario titolare di segreteria
convenzionate per l’accesso alle diverse sedi, spetta il
rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute e
documentabili”.
Reputa la Sezione, che tale previsione debba essere
necessariamente inserita nella complessiva disciplina
relativa al rimborso delle spese di viaggio per i pubblici
dipendenti. A prescindere, infatti, dalla applicabilità o
meno, come sostenuto dal convenuto C., dell’articolo 10,
terzo comma, del D.P.R. 04.12.1997, n. 465, norma, comunque,
espressamente richiamata nelle premesse della convenzione
del 05/11/2009 tra il comune di Camugnano e il comune di
Castel di Casio, il rimborso delle spese di viaggio che può
considerarsi legittimamente rimborsabile riguarda solo gli
spostamenti da uno ad un altro dei comuni riuniti in
convenzione, per l’esercizio delle relative funzione da
parte del segretario convenzionato.
Il Collegio chiarisce, che non depongono in senso diverso
nessuno dei pareri citati da parte convenuta dell’Agenzia
autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e
provinciali.
Con riferimento, in primo luogo, al parere in data
21.04.2006, come correttamente riportato in citazione, si
statuisce che “ferma restando
l’esclusione del rimborso nelle ipotesi dello spostamento
dalla propria residenza al comune capofila e viceversa, al
pari del rimborso del percorso effettuato per raggiungere
dall’ultimo comune il proprio domicilio, si fa rilevare
quanto segue. È necessario considerare l’ipotesi in cui il
segretario organizzi la propria attività lavorativa in
maniera tale da raggiungere, in via primaria, un Comune
diverso da quello capofila della convenzione per motivi di
convenienza e per esigenze personali, con la conseguenza
che, in siffatto caso, si può giustificare la risoluzione
che prevede il rimborso delle spese di viaggio”.
In buona sostanza, quindi, tale parere
prevede il rimborso delle spese di viaggio sempre con
riferimento a quelle relative agli spostamenti tra i comuni
convenzionati e chiarisce in modo inequivocabile
l’impossibilità di legittimi rimborsi per gli spostamenti
dalla residenza del segretario al comune capofila e
viceversa. L’inciso che ammette il rimborso delle spese di
viaggio nel citato parere fa riferimento alla possibilità
del segretario comunale di recarsi partendo dalla propria
residenza prima in un Comune non capofila della convenzione;
in tale ipotesi saranno rimborsabili le spese di viaggio non
dalla residenza al Comune non capofila, bensì solamente
quelle relative alla tragitto dal comune capofila al Comune
non capofila.
Ancora, il parere in data 03.06.2008 dell’Agenzia dei
segretari comunali, citato nella comparsa di costituzione
del convenuto C., si riferisce al differente caso di un
segretario in disponibilità incaricato di reggenza o
supplenza, così come il successivo parere numero 284/2008.
Proprio l’espresso riferimento al parere dell’Agenzia
autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e
provinciali del 21.04.2006 nei provvedimenti di rimborso
delle spese di viaggio spettanti alla segretario comunale,
anche se limitatamente all’affermazione relativa al rimborso
delle spese di viaggio per raggiungere un Comune diverso da
quello capofila della convenzione per motivi di convenienza
e per esigenze personali, permette di concludere nel senso
che l’odierno convenuto Dott. C., non
poteva non avere conoscenza, tenuto altresì conto della
propria qualifica professionale, della parte immediatamente
antecedente a quella riportata nella citata delibera la
quale, come già riportato, testualmente sancisce che resta
ferma “l’esclusione del rimborso dell’ipotesi dello
spostamento dalla propria residenza al comune capofila e
viceversa, al pari del rimborso del percorso effettuato per
raggiungere dall’ultimo comune il proprio domicilio……”.
Se ne conclude che tutti gli elementi richiamati permettono
di giudicare commessa con colpa grave la richiesta e
l’ottenimento del rimborso da parte del segretario comunale
delle spese di viaggio sostenute per il tragitto
abitazione-luogo di lavoro nel periodo intercorrente dal
gennaio 2010 al aprile 2012.
L’elemento soggettivo in relazione alla condotta del
convenuto integra, dunque, un’ipotesi di colpa grave.
In relazione all’elemento del danno, la
Sezione reputa che nei confronti della convenuto vada,
infine, determinato, come correttamente ritenuto in atto di
citazione nell’80% dell’intero importo liquidato dal comune
di Camugnano in favore del segretario comunale, pari
complessivamente ad euro 31.565,10, senza esercizio del
potere riduttivo, tenuto conto del fatto che la condotta del
convenuto complessivamente pare finalizzato all’ottenimento
di un rimborso che non poteva non risultare quantomeno
incerto agli occhi di un operatore del diritto, senza tenere
nel adeguato conto l’interesse dell’amministrazione
comunale.
A nulla rileva il riferito deposito di una somma da parte
del convenuto, in quanto l’effettivo incasso da parte del
comune risulta sottoposto a condizione dell’ eventuale
condanna del segretario e, quindi, allo stato degli atti,
non concreto ed attuale.
Tale somma dovrà essere rivalutata dalla data dell’invito a
dedurre, se in possesso dei requisiti per la messa in mora,
fino al deposito della sentenza e andranno corrisposti
interessi legali sulla somma rivalutata da tale data fino
all’effettivo soddisfo.
L’ istanza della Procura va, pertanto, accolta nei confronti
del convenuto Dott. G.C., nei termini sopra esposti.
Le spese di giustizia seguono la soccombenza.
III.- Passando all’analisi della posizione della signora
P.M., la Sezione deve soffermarsi sulla valutazione della
sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della
responsabilità in relazione al giudizio instaurato nei
confronti del convenuta.
Il Collegio reputa che sia rinvenibile in
capo alla responsabile del servizio finanziario del
comune di Camugnano, un’ipotesi di responsabilità
amministrativa, sussistendone tutti gli elementi
costitutivi.
E’ di tutta evidenza, la sussistenza del rapporto di
servizio della medesima con l’amministrazione.
Ad avviso della Sezione, sussistono,
inoltre, per quanto esposto, il comportamento causativo di
danno erariale nonché il nesso causale tra comportamento e
danno.
In particolare, risulta accertato agli atti che i rimborsi a
favore del segretario furono effettuati sulla base di
provvedimenti di liquidazione del responsabile del servizio
finanziario del Comune di Camugnano, contenenti prospetti
riassuntivi sottoscritti congiuntamente dal segretario
comunale e dalla medesima signora M., e che i mandati di
pagamento sono tutti sottoscritti dalla convenuta M..
Sussiste, pertanto, ad avviso del Collegio, il nesso di
causalità tra l’esborso di denaro avvenuto da parte del
comune di Camugnano e la condotta della convenuta.
In relazione all’elemento soggettivo, poi,
questa Sezione lo rinviene nella colpa grave in capo alla
sig.ra M..
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza
della Corte dei Conti, il concetto di colpa
grave va inquadrato nella nozione di colpa professionale di
cui all’art. 1176, 2° comma, c.c. e va inteso come
osservanza non già della normale diligenza del “bonus
pater familias”, bensì di quella particolare diligenza
occorrente con riguardo alla natura e alle caratteristiche
di una specifica attività esercitata.
Perché si abbia colpa grave non é richiesto, perciò, che si
sia tenuto un comportamento assolutamente abnorme, ma é
sufficiente che l’agente abbia omesso di attivarsi come si
attiverebbe, nelle stesse situazioni, anche il meno
provveduto degli esercenti quella determinata attività. In
altri termini, è ritenuto sufficiente, per la sussistenza
del suindicato grado di colpa, che nella fattispecie
l’agente abbia serbato comunque un comportamento contrario a
regole deontologiche elementari.
A tale proposito pare opportuno esaminare la posizione della
convenuta.
Si richiama la ricostruzione della disciplina applicabile al
caso di specie effettuata dal Collegio nella trattazione
relativa alla posizione del convenuto Dott. C..
Come per il segretario comunale, proprio l’espresso
riferimento al parere dell’Agenzia autonoma per la gestione
dell’albo dei segretari comunali e provinciali del
21.04.2006 nei provvedimenti di rimborso delle spese di
viaggio sottoscritti dalla convenuta, anche se in tali atti
viene riportata solo la parte relativa al rimborso delle
spese di viaggio per raggiungere un Comune diverso da quello
capofila della convenzione per motivi di convenienza e per
esigenze personali, permette di concludere nel senso che
l’odierna convenuta sig.ra M. non poteva non avere
conoscenza della parte immediatamente antecedente della
citata delibera la quale, come già riportato, testualmente
sancisce che resta ferma “l’esclusione del rimborso
dell’ipotesi dello spostamento dalla propria residenza al
comune capofila e viceversa, al pari del rimborso del
percorso effettuato per raggiungere dall’ultimo comune il
proprio domicilio……”.
Se ne conclude che tutti gli elementi
richiamati permettono di giudicare commessa con colpa grave
la sottoscrizione dei provvedimenti di rimborso delle spese
di viaggio effettuate dalla segretario comunale da gennaio
2010 ad aprile 2012, la sottoscrizione dei prospetti
riassuntivi delle spese sostenute e la sottoscrizione dei
mandati di pagamento.
L’elemento soggettivo in relazione alla condotta della
convenuta integra, dunque, un’ipotesi di colpa grave.
In relazione all’elemento del danno, la
Sezione reputa che nei confronti della convenuta vada,
infine, determinato, come correttamente ritenuto in atto di
citazione nell’20% dell’intero importo liquidato dal comune
di Camugnano in favore del segretario comunale, pari
complessivamente ad euro 31.565,10, senza esercizio del
potere riduttivo, tenuto conto della già ridotta percentuale
di danno addebitata alla signora M..
Tale somma dovrà essere rivalutata dalla data dell’invito a
dedurre, se in possesso dei requisiti per la messa in mora,
fino al deposito della sentenza e andranno corrisposti
interessi legali sulla somma rivalutata da tale data fino
all’effettivo soddisfo.
L’istanza della Procura va, pertanto, accolta nei confronti
della convenuta signora P.M., nei termini sopra esposti.
Le spese di giustizia seguono la soccombenza.
IV- Passando all’esame della posizione della dott.ssa S.C.,
il Collegio rileva come l’accertamento della sussistenza o
meno della colpa grave nel comportamento contestato alla
convenuta sia assorbente di tutte le altre questioni.
Si richiama il concetto di responsabilità
per colpa, già
riferito nei punti II e III che precedono.
Essa, come già esposto, sussiste solo nei limiti in cui sia
individuabile un comportamento non conforme al buon
andamento, cioè non adeguato ai fini dell’attività ed ai
criteri cui va uniformata. In sostanza, la colpa va valutata
in riferimento all’attività di cooperazione richiesta, cioè
come comportamento all’evidenza non adeguato a tali fini o a
tali criteri.
Solo allorché l’attività del pubblico
operatore si discosti ampiamente da tali indici di
adeguatezza sussiste perciò la responsabilità
amministrativa, che la legge 639/1996 ha collegato con
carattere di generalità all’elemento della colpa grave, la
quale secondo un’interpretazione giurisprudenziale ormai
consolidata si concreta in una negligenza inescusabile,
ovvero in una disattenzione macroscopica, in una marchiana
imperizia o irrazionale imprudenza.
Nella valutazione del comportamento concreto tenuto dalla
convenuta dott.ssa C. nella vicenda in esame, non ritiene il
Collegio di individuare le caratteristiche della negligenza
inescusabile ovvero della disattenzione macroscopica o della
marchiana imperizia.
Esaminando la posizione della convenuta, il Collegio reputa,
in proposito, che acquistino significato alcuni aspetti
emersi dall’esame dei fatti e che portano a considerare non
accoglibile la prospettazione di responsabilità fornita
dalla Procura regionale.
Innanzitutto, questa Sezione ritiene rilevante il fatto, che
la convenuta avrebbe disposto la contestata determinazione
n. 87 del 14/12/2011 di affidamento di un parere
all’avvocato OMISSIS con la plausibile intenzione di
accertare quale fosse la corretta interpretazione da fornire
alla materia del rimborso delle spese di viaggio al
segretario comunale. Altresì non pare, ad avviso del
Collegio che fossero mancanti i parametri legislativamente
previsti per il conferimento dell’incarico.
Di conseguenza emerge che il comportamento della convenuta
non è consistito in una negligenza inescusabile, ovvero in
una disattenzione o imperizia macroscopica, che, come
ricordato, integrano il concetto di colpa grave necessario,
secondo la legislazione vigente, per ritenere la sussistenza
di responsabilità.
L’istanza della Procura va pertanto rigettata rispetto alla
convenuta Dottoressa S.C.
Attesa la particolare complessità della questione,
sussistono i motivi per ritenere compensate le spese di
giustizia e le spese legali rispetto alla convenuta C..
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale regionale per
l’Emilia-Romagna, definitivamente pronunciando assolve la
convenuta dott.ssa S.C. dagli addebiti contestatile e
condanna i convenuti dott. G.C. e sig.ra P.M. come
da richiesta in atto di citazione, con rivalutazione dalla
data dell’invito a dedurre, se in possesso dei requisiti per
la messa in mora, fino al deposito della sentenza e
interessi legali sulle somme rivalutate da tale data
l’effettivo soddisfo
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Emilia Romagna,
sentenza 12.08.2015 n. 103). |
luglio 2015 |
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SEGRETARI COMUNALI -
SICUREZZA LAVORO: Sulla
possibilità, o meno, di individuare il Segretario Comunale
quale "datore di lavoro".
Il
datore di lavoro nelle pubbliche amministrazioni può essere
un dirigente o un preposto ma, d’altro lato, non tutti i
dirigenti e non tutti i preposti sono, per ciò stesso,
datori di lavoro. Quest’ultima qualificazione, in
definitiva, non accede necessariamente alla qualifica di
“dirigente” e a quella di “preposto”.
Occorre che il “datore
di lavoro” sia specificamente individuato dall’organo di
vertice delle singole amministrazioni tra quei dirigenti o
quei preposti dotati di autonomi poteri decisionali e di
spesa, tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito
funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività.
Ciascuna di queste figure è, del resto, destinataria di
specifiche funzioni e obblighi, con conseguenti
responsabilità.
Peraltro, a fronte della possibilità di
delegare e sub-delegare alcune delle funzioni proprie del
datore di lavoro (art. 16), nel rispetto di rigorosi
presupposti e formalità, non è attività delegabile la
valutazione di tutti i rischi con la conseguente
elaborazione del documento previsto dall’articolo 28, nonché
la designazione del responsabile del servizio di prevenzione
e protezione dai rischi.
---------------
Se può essere designato “datore di lavoro”
solo chi è dirigente o funzionario fornito di tutti i poteri
gestionali e di spesa autonomi, in tanto si può porre il
problema se è designabile il segretario comunale in quanto
si dia per verificato e accertato, nel concreto, che al
segretario comunale siano stati conferiti, se sono
conferibili, quei poteri autonomi di gestione e di spesa che
sono propri del dirigente.
In altre parole, la questione di
fondo non è se il segretario comunale possa essere designato
“datore di lavoro” ma, prima ancora, se e in che misura il
segretario comunale possa assumere le funzioni proprie e
piene del dirigente così da poter attrarre in questo ambito
funzionale anche le attribuzioni del datore di lavoro.
---------------
L’attribuzione della
qualifica di “datore di lavoro” in capo al segretario
comunale presuppone la mancanza di figure dirigenziali in
seno all’Ente o di funzionari che, pur non avendo la
qualifica dirigenziale, siano preposti ad un ufficio avente
autonomia gestionale e di spesa.
In tali fattispecie, nei limiti e con le cautele che si
impongono per la peculiarità della situazione, secondo le
considerazioni che precedono, il segretario comunale al
quale sia conferita con atto formale la titolarità effettiva
del potere gestionale adeguato alle sue competenze, con
attribuzione di poteri di spesa, può essere anche espressamente designato “datore
di lavoro”, ai fini e con le responsabilità di cui alla D.Lgs. n. 81/2008.
---------------
Con la nota in epigrafe il Sindaco del Comune di Pomarico
(MT) ha chiesto a questa Sezione di esprimere un
parere circa la possibilità di individuare nel Segretario
Comunale il “datore di lavoro”, ai sensi dell’art. 2
del D.Lgs.vo n. 81/2008, nell’ambito della normativa
sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro, soprattutto laddove, in luogo delle figure
dirigenziali mancanti, le posizioni apicali siano state
assegnate a responsabili di area e di posizione
organizzativa.
Chiede di sapere, inoltre, se tale attribuzione di
funzioni determini una maggiorazione della retribuzione di
posizione.
...
6. L’art. 3 della Direttiva 12/6/1989, n. 89/391/CEE (prima di una
serie di direttive riguardanti il miglioramento della
sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro)
definiva "datore di lavoro" qualsiasi persona, fisica o
giuridica, che fosse titolare del rapporto di lavoro con il
lavoratore e avesse la responsabilità dell’impresa e/o dello
stabilimento.
A sua volta, l’art. 2, lett. b), del D.Lgs.
626/1994, come sostituito dal D.Lgs. n. 242/1996, in
attuazione delle direttive comunitarie, specificava le
caratteristiche del datore di lavoro: tale è il soggetto
titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o,
comunque, il soggetto che, secondo il tipo e
l’organizzazione dell'impresa, ha la responsabilità
dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva, in quanto
titolare dei poteri decisionali e di spesa.
Dovendo, le
norme di tutela, applicarsi anche alle amministrazioni
pubbliche, con le eccezioni giustificate da specifiche
funzioni, il legislatore nazionale aggiungeva il seguente
periodo: “Nelle pubbliche amministrazioni di cui all' art.
1, comma 2, del decreto legislativo 03.02.1993, n. 29,
per datore di lavoro si intende il dirigente al quale
spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non
avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui
quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia
gestionale”.
L’art. 30 (Disposizioni transitorie e finali)
stabiliva, ancora, che entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore del decreto legislativo, gli organi di
direzione politica o, comunque, di vertice delle
amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del
d.lgs. n. 29/1993 (allora vigente, oggi n. 165/2001),
avrebbero proceduto all’individuazione dei datori di lavoro,
di cui all’art. 2, comma 1, lettera b), secondo periodo,
tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli
uffici nei quali viene svolta l’attività.
L’art. 2, lett. b), del d.lgs. n. 81/2008, fondendo le
disposizioni precettive sopra riportate, ha individuato il
«datore di lavoro» nel contesto delle pubbliche
amministrazioni, nel “dirigente al quale spettano i poteri
di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica
dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto
ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato
dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo
conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici
nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi
poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa
individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri
sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di
vertice medesimo”.
È questa la fonte oggi vigente cui
occorre prestare attenzione.
Le successive lettere d) ed e) del medesimo art. 2,
aggiungono ulteriori definizioni. È «dirigente» la persona
che, in ragione delle competenze professionali e di poteri
gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico
conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro
organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa. È
«preposto» la persona che, in ragione delle competenze
professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali
adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende
alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle
direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da
parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di
iniziativa.
Particolarmente significative sono, poi, le sanzioni, anche
penali, che colpiscono le figure del datore di lavoro, del
dirigente e del preposto (artt. 55 e 56).
A chiusura del sistema, vale la pena aggiungere che l’art.
299 del d.lgs. n. 81/2008, ha stabilito che le posizioni di
garanzia relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma
1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale,
pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto
i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi
definiti.
7. Mentre il D.Lgs. n. 626/1994 nulla diceva circa
l’individuazione del datore di lavoro, il D.Lgs. n.
242/1996, con riferimento alle amministrazioni pubbliche, ha
onerato sia gli organi di direzione politica che gli organi
comunque di vertice, di procedere a tale adempimento (art.
30). Con l’art. 2, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008, che
rappresenta la vigente norma, è venuta meno la competenza
dell’organo di direzione politica mentre è rimasta quella
dell’organo di vertice, onerato di individuare,
conformemente ai criteri previsti, il “datore di lavoro”.
Non è compito di questa Sezione, per i limiti dell’attività
consultiva intestata sopra richiamati, entrare nel
dibattito, dottrinario e giurisprudenziale, se il datore di
lavoro, indipendentemente da un atto espresso dell’organo di
vertice politico dell’ente, si identifichi ex se nel
dirigente “al quale spettano i poteri di gestione”,
lasciando all’organo di vertice l’onere di identificare il
datore di lavoro nei soli casi in cui tale figura
dirigenziale non sia presente, come nel caso degli EE.LL. di
minori dimensioni; ovvero, se tale designazione occorra che
sia fatta in ogni caso, sicché, “in caso di omessa
individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri
sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di
vertice medesimo”.
Quel che sembra indiscutibile, sia che si acceda all’una o
all’altra soluzione, è che il “datore di lavoro” deve essere
fornito di tutti quei poteri gestionali autonomi che lo
contraddistinguono come tale e sui quali si radica la sua
responsabilità. In questo senso la norma è chiara nel
vincolare la idoneità e la “genuinità” della nomina alla
effettiva autonomia gestionale e di spesa in capo al
prescelto.
In altre parole, quale che sia la modalità e la fonte che lo
individua, deve escludersi che il datore di lavoro possa
essere solo il soggetto, dirigente o preposto, da
responsabilizzare senza, nel contempo, dotarlo di tutti quei
poteri gestionali e di spesa sui quali si fondano, nella
evidente intenzione del legislatore, le responsabilità che è
chiamato ad assumersi.
Ancor più chiaramente, proprio il
richiamato art. 299 del d.lgs. n. 81/2008, spiega che
l’organo di vertice dell’amministrazione pubblica non si
libera delle responsabilità conseguenti dall’essere, sia
pure in via residuale, il “datore di lavoro” se si limita ad
attribuire tale qualifica ad altro soggetto, rimanendo ad un
tempo egli il dominus effettivo dell’organizzazione
gestionale e di spesa. È, in altre parole, il criterio
dell’effettività sostanziale che prevale rispetto
all’individuazione per indici formali del datore di lavoro (vds.,
Cass. pen. n. 34804/2010).
8. Così strutturato il sistema della responsabilità è
coerente con l’attribuzione di effettivi poteri gestori. Da
un lato, responsabilizza solo coloro che hanno la concreta
possibilità di valutare i rischi e di assumere le decisioni
idonee a ridurlo. Dall’altro, rispetta l’ordinamento degli EE.LL. che, pur rinvenendo negli Statuti e nei Regolamenti
la disciplina delle funzioni dei dirigenti, subordina tali
atti normativi secondari al principio per cui la gestione
amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai
dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di
organizzazione delle risorse umane, strumentali e di
controllo. Sono questi, dunque, i medesimi poteri richiamati
dalla disposizione del D.Lgs. n. 81/2008 che rendono
effettiva, e non formale, la individuazione del datore di
lavoro.
Se poi, nella realtà del singolo Ente, i dirigenti, o quanti
svolgono in loro mancanza le funzioni dirigenziali, sono
privi del potere gestionale autonomo o di spesa, perché, ad
esempio, non sono stati loro assegnati gli obiettivi e gli
strumenti e le dotazioni per raggiungerli, è un problema
che, prima di tutto, potrebbe mettere in discussione
l’adeguatezza della individuazione del datore di lavoro
rispetto al paradigma normativo e al criterio
sostanzialistico sopra richiamato e, d’altro canto, potrebbe
incidere, in concreto, sul riparto delle responsabilità
connesse alla qualifica.
È da osservare, peraltro, che la presenza del datore di
lavoro non manleva di ogni responsabilità i soggetti
obbligati, da altre fonti normative, a intervenire. Ai sensi
dell’art. 18, commi 3 e 3-bis, gli “interventi strutturali e
di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del
presente decreto legislativo, la sicurezza dei locali e
degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o
a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche
ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta,
per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e
manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal
presente decreto legislativo, relativamente ai predetti
interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o
funzionari preposti agli uffici interessati, con la
richiesta del loro adempimento all'amministrazione
competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico.
3-bis. Il datore di lavoro e i dirigenti sono tenuti altresì
a vigilare in ordine all'adempimento degli obblighi di cui
agli articoli 19, 20, 22, 23, 24 e 25, ferma restando
l'esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati ai sensi
dei medesimi articoli qualora la mancata attuazione dei
predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e
non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di
lavoro e dei dirigenti.”
9. Da quanto precede può trarsi una prima conclusione:
il
datore di lavoro nelle pubbliche amministrazioni può essere
un dirigente o un preposto ma, d’altro lato, non tutti i
dirigenti e non tutti i preposti sono, per ciò stesso,
datori di lavoro. Quest’ultima qualificazione, in
definitiva, non accede necessariamente alla qualifica di
“dirigente” e a quella di “preposto”. Occorre che il “datore
di lavoro” sia specificamente individuato dall’organo di
vertice delle singole amministrazioni tra quei dirigenti o
quei preposti dotati di autonomi poteri decisionali e di
spesa, tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito
funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività.
Ciascuna di queste figure è, del resto, destinataria di
specifiche funzioni e obblighi, con conseguenti
responsabilità. Peraltro, a fronte della possibilità di
delegare e sub-delegare alcune delle funzioni proprie del
datore di lavoro (art. 16), nel rispetto di rigorosi
presupposti e formalità, non è attività delegabile la
valutazione di tutti i rischi con la conseguente
elaborazione del documento previsto dall’articolo 28, nonché
la designazione del responsabile del servizio di prevenzione
e protezione dai rischi (cfr. Cass. Penale, Sez. 4, 27.05.2015, n. 22415).
10. Dalla considerazione che precede può ulteriormente
argomentarsi che, se può essere designato “datore di lavoro”
solo chi è dirigente o funzionario fornito di tutti i poteri
gestionali e di spesa autonomi, in tanto si può porre il
problema se è designabile il segretario comunale in quanto
si dia per verificato e accertato, nel concreto, che al
segretario comunale siano stati conferiti, se sono
conferibili, quei poteri autonomi di gestione e di spesa che
sono propri del dirigente.
In altre parole, la questione di
fondo non è se il segretario comunale possa essere designato
“datore di lavoro” ma, prima ancora, se e in che misura il
segretario comunale possa assumere le funzioni proprie e
piene del dirigente così da poter attrarre in questo ambito
funzionale anche le attribuzioni del datore di lavoro.
11. Non rientra nel tema posto dal quesito in esame la
questione se il segretario comunale possa assumere anche, e
contemporaneamente, una funzione gestoria di livello
dirigenziale e se questa funzione sia compatibile con le
attribuzioni istituzionali che il segretario deve adempiere.
In questa sede ci si può solo limitare a offrire alcuni
spunti di riflessione sul tema.
11.1. In coerenza col principio già affermato dall’art. 3
del D.Lgs. n. 29/1993, poi trasfuso nell’art. 4 del D.Lgs.
n. 165/2001, è indiscusso che anche gli EE.LL. si
uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di
controllo politico-amministrativo spettano agli organi di
governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e
tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri
di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali
e di controllo. In questo senso dispone l’art. 107 del TUEL
che assegna ai dirigenti la direzione degli uffici e dei
servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e
dai regolamenti. Nei comuni privi di personale di qualifica
dirigenziale le funzioni di cui all'articolo 107, commi 2 e
3, possono essere attribuite, a seguito di provvedimento
motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei
servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale,
anche in deroga a ogni diversa disposizione.
Secondo l’art. 97, comma 2, del TUEL, il segretario comunale
svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell'ente in ordine alla conformità dell’azione
amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti.
Salvo il caso in cui sia stato nominato il Direttore
Generale (per i comuni con popolazione superiore a 100.000
abitanti), è al segretario che spetta, negli altri casi,
sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti
e coordinarne l’attività. Il segretario inoltre (…) “d)
esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o
dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente
della provincia”.
11.2 Ora proprio la previsione dell’art. 97, comma 4,
lettera d), ha costituito argomento per sostenere la
possibilità di attribuire funzioni dirigenziali al
segretario comunale.
Ad esempio, nel parere del 09.10.2009,
reso dal Ministero dell’Interno, si legge che “tale norma,
come evidenziato anche nella circolare di questo Ministero
del 15.07.1997 n. 1/1997, citata dall’esponente, ha valenza
di clausola di salvaguardia ai fini del buon andamento della
macchina organizzativa, amministrativa e gestionale
dell’ente. Infatti, occorre rilevare che le assegnazioni di
ulteriori funzioni al segretario può avvenire solo nel
momento in cui l’ente locale risulti privo sia di personale
di qualifica dirigenziale sia di responsabili dei servizi,
ovvero qualora l’ente intenda fare una specifica scelta
gestionale in tal senso. Bisogna, difatti, rammentare che i
dirigenti -ovvero i dipendenti nominati responsabili degli
uffici e dei servizi- sono titolari delle funzioni loro
attribuite, risultando, quindi, residuale l’applicazione
della citata disposizione di cui al comma 4 lett. d)
dell’art. 97.
Ciò posto, poiché ai sensi dell’art. 89 del
D.lgs. 267/2000 l’ordinamento generale degli uffici e dei
servizi è coperto da riserva di tipo regolamentare, si deve
ritenere che l’eventuale attribuzione di specifiche funzioni
gestionali o di titolarità degli uffici o dei servizi al
segretario sia necessariamente da prevedere attraverso una
specifica disposizione regolamentare, previa un’attenta
verifica dell’assenza all’interno dell’ente di adeguate
figure professionali; mentre il conferimento delle funzioni,
riservato al Sindaco o al presidente della Provincia, non
può che essere temporaneo e limitato all’espletamento di una
prestazione nell’ambito di una funzione (ad esempio la
presidenza di una gara per temporanea assenza del
dirigente)”.
Rammenta, infine, il citato parere che le stesse
disposizioni contrattuali, contenute nell’art. 1 del CCNL
dei segretari comunali e provinciali del 22.12.2003,
stabiliscono che, relativamente agli incarichi per attività
di carattere gestionale, occorre che gli stessi siano
conferiti in via temporanea e dopo aver accertato
l’inesistenza delle necessarie professionalità all’interno
dell’Ente, anche in relazione al fatto che per l’esercizio
delle funzioni aggiuntive affidate al segretario è prevista
una maggiorazione della retribuzione di posizione in
godimento.
Fermo che, nel parere in questione, le funzioni aggiuntive
alle quali si collega la maggiorazione della retribuzione si
riferiscono all’attività gestoria attribuita e non alla
qualificazione di “datore di lavoro”, che neppure potrebbe
attribuirsi scissa dalla funzione gestoria piena,
a venire
in rilievo è la fonte normativa, che l’art. 97, comma 4,
lettera d), individua nello Statuto o nel Regolamento
dell’Ente, alla quale occorre fare esclusivo riferimento per
verificare la possibilità di attribuire al Segretario
comunale specifiche funzioni gestionali o la titolarità di
uffici o servizi. Occorre cioè che sia lo Statuto o il
Regolamento (sull’ordinamento degli uffici e dei servizi) a
prevedere la conferibilità al Segretario di dette funzioni
(sulla esclusione di una “incompatibilità” ex lege
all’assunzione di funzioni dirigenziali, vsd. Sezione
controllo per la Sardegna, delibera n. 28/2013).
Tale previsione, tuttavia, a parere di questa Sezione, non
potrebbe che essere residuale, per il caso in cui l’Ente non
rinvenga al proprio interno figure professionali adeguate
all’affidamento degli incarichi e delle funzioni. Si tratta,
in effetti, di una soluzione di estremo compromesso, volta a
mantenere ferma la funzionalità dell’Ente, soprattutto di
minori dimensioni, senza sacrificare, oltre la misura minima
consentita dalle circostanze, la distinzione che deve essere
mantenuta tra gli ambiti propri dell’attività gestoria e
quelli propri del sistema dei controlli interni all’ente
medesimo, controlli che hanno visto il segretario comunale
assumere, di recente, un ruolo sempre più centrale. In altre
parole, la evoluzione della normativa in tema di controlli
interni e di contrasto alla corruzione sembra esercitare una
forza di attrazione delle funzioni del segretario comunale,
già in origine prevalentemente di coordinamento e di
assistenza, verso un’area caratterizzata da funzioni più
spiccatamente di garanzia e di controllo interno, che
finiscono per relegare al margine la possibilità di un
coinvolgimento di tale figura professionale nell’attività
gestoria piena.
In questo senso, se è vero che il citato art. 97 del TUEL
non esclude che il segretario comunale possa esercitare ogni
altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai
regolamenti, o conferitagli dal sindaco, è anche vero che è
lo stesso articolo ad affermare, poco prima, l’esigenza di
disciplinare i rapporti tra il segretario e il direttore
generale, ove nominato, secondo l'ordinamento dell'ente e
“nel rispetto dei loro distinti ed autonomi ruoli”.
Del resto, rispetto a una sorta di generica idoneità del
segretario ad assumere funzioni dirigenziali giova osservare
che il nuovo articolo 49, comma 2, del TUEL, così come
riscritto dal D.L. 174/2012, introduce il principio per cui
la funzione eventualmente conferita al segretario deve
essere adeguata alle sue competenze. Ed infatti, su ogni
proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al
Consiglio che non sia mero atto di indirizzo, è richiesto il
parere di regolarità tecnica al responsabile del servizio
interessato, che se ne assume la responsabilità
amministrativa e contabile.
In sostanza, il segretario
comunale è chiamato, in assenza del responsabile del
servizio, a rendere il parere di regolarità tecnica solo se
ha le competenze adeguate a quel servizio. Se ciò è vero per
il rilascio del parere, vera è anche la conclusione che non
ogni servizio potrebbe essere affidato alla direzione del
segretario comunale, ma solo quel servizio adeguato alle sue
competenze. Sembra infatti contraddittorio ammettere che
possa affidarsi al segretario la responsabilità di un
servizio per il quale lo stesso segretario, mancando di
adeguata competenza, non potrebbe neppure rendere il parere
di regolarità tecnica previsto dal citato art. 49 TUEL.
Ed ancora, secondo l’art. 147-bis, commi 2 e seg., anche
esso introdotto dal citato D.L. n. 174/2012, il controllo di
regolarità amministrativa è assicurato, nella fase
successiva all’adozione dell’atto, per le determinazioni di
impegno di spesa, i contratti e gli altri atti
amministrativi, scelti secondo una selezione casuale
effettuata con motivate tecniche di campionamento, “sotto la
direzione del segretario”.
Le risultanze del controllo di
cui al comma 2 sono, poi, trasmesse periodicamente, a cura
del segretario, ai responsabili dei servizi, unitamente alle
direttive cui conformarsi in caso di riscontrate
irregolarità, nonché ai revisori dei conti e agli organi di
valutazione dei risultati dei dipendenti, come documenti
utili per la valutazione, e al consiglio comunale. Ora,
se
anche non si può ritenere l’attività di controllo qui
descritta senz’altro incompatibile con quella di
responsabile delle medesime attività gestionali svolte, non
di meno, sempre per i comuni di minori dimensioni e con
minori risorse da destinare alle funzioni di controllo
interno, è da ritenere una anomalia il fatto che
l’ordinamento consenta di unificare in capo al medesimo
soggetto le funzioni di controllo e di gestione.
12. Ora, tornando al tema del parere, si ritiene di poter
affermare, in via conclusiva, che l’attribuzione della
qualifica di “datore di lavoro” in capo al segretario
comunale presuppone la mancanza di figure dirigenziali in
seno all’Ente o di funzionari che, pur non avendo la
qualifica dirigenziale, siano preposti ad un ufficio avente
autonomia gestionale e di spesa.
In tali fattispecie, nei limiti e con le cautele che si
impongono per la peculiarità della situazione, secondo le
considerazioni che precedono, il segretario comunale al
quale sia conferita con atto formale la titolarità effettiva
del potere gestionale adeguato alle sue competenze, con
attribuzione di poteri di spesa (Cass. Pen. Sez. VI,
07.10.2004), può essere anche espressamente designato “datore
di lavoro”, ai fini e con le responsabilità di cui alla D.Lgs. n. 81/2008 (Corte dei Conti, Sez. controllo
Basilicata,
parere 29.07.2015 n. 50). |
CONSIGLIERI COMUNALI - SEGRETARI COMUNALI: Danno erariale per attribuzione illegittima di compensi al
Segretario comunale tipo: retribuzione in qualità di
Presidente del Nucleo di Valutazione ed erogazione delle
retribuzioni di risultato in assenza di obiettivi
predeterminati. .
La I Sez. Centrale di Appello della Corte dei conti,
conferma la condanna in via prevalente in capo al Segretario
comunale per aver ricevuto compensi non dovuti riguardanti la retribuzione in qualità di Presidente del
Nucleo di Valutazione e l'erogazione delle retribuzioni di
risultato in assenza di obiettivi predeterminati.
La responsabilità del Segretario è
rilevante in quanto lo stesso, nell'ambito della sua
funzione di garante della legalità dell'azione
amministrativa dell'Ente, non ha rilevato le illegittimità
delle operazioni poste in essere, beneficiando dei relativi
effetti economici.
Resta, in ogni caso, una responsabilità
minore del Sindaco il quale ha in ogni caso disposto
l'erogazione delle citate indennità.
Erronea sarebbe ancora la sentenza per insussistenza del
danno erariale in ordine alla corresponsione dell’emolumento
aggiuntivo di € 7.500,00 per l’intervenuta nomina della
sig.ra F. quale Presidente del Nucleo di valutazione, con
conseguente erronea interpretazione dell’art. 97 del
d.leg.vo n. 267/2000.
L’appellante sostiene che l’emolumento era dovuto essendo
l’incarico de quo da collocare tra quelli aggiuntivi
extraistituzionali, atteso che è stato conferito con
apposito decreto sindacale e la cui attività è stata
espletata al di fuori del normale orario di servizio.
La motivazione difensiva non può essere condivisa.
Al di là della natura della funzione in sé di Presidente del
Nucleo di valutazione, va ricordato che lo svolgimento di
tale mansione era previsto nel contratto collettivo
integrativo di livello nazionale dei segretari comunali e
provinciali (accordo del 22.12.2003) tra le condizioni che
avrebbero potuto determinare l’incremento (dal 10% al 50%)
della retribuzione di posizione del Segretario Comunale.
La circostanza tuttavia che la F., nel periodo di
riferimento, già percepiva la retribuzione di posizione nel
suo massimo avrebbe dovuto comportare che, in disparte ogni
altra considerazione, l’attività di Presidente del Nucleo di
valutazione non comportasse il percepimento da parte
dell’interessata di alcun altro emolumento.
Pertanto non appare conferente quanto sostenuto
dall’appellante in ordine al fatto che il compenso le
sarebbe comunque spettato perché rientrante non già nelle
funzioni di Segretario comunale ma di Direttore generale,
carica contestualmente ricoperta dalla medesima.
Ultimo motivo di censura è poi quello relativo al punto in
cui la sentenza afferma che l’indennità di risultato è stata
riconosciuta in violazione del quadro normativo di
riferimento, atteso che tale indennità è stata riconosciuta
e liquidata in assenza di un’assegnazione di obiettivi e
senza la necessaria verifica della loro assegnazione.
In proposito, oltre a quanto già evidenziato dal primo
giudice, va rammentato che la fase di previsione ed
erogazione dell’indennità in parola è puntualmente
procedimentalizzata dall’art. 42 del CCNL 16.05.2001, a
mente del quale vengono richiesti due elementi essenziali:
l’attribuzione degli obiettivi espliciti e chiari (da non
rapportare a generici riferimento al programma politico
tout court del sindaco) ed il controllo del
raggiungimento dei risultati conseguiti. Elementi che, allo
stato degli atti, appaiono carenti e la cui sussistenza
resta indimostrata da parte degli appellanti.
Pertanto, conclusivamente, il pregiudizio erariale
contestato resta confermato sia in capo al Sindaco G., che
ha disposto l’attribuzione delle varie somme indicate, sia
in capo alla sig.ra F., che, come precisato in prime cure,
nell’ambito della sua funzione di garante della legalità
dell’azione amministrativa dell’Ente, non ha rilevato le
illegittimità delle operazioni poste in essere, beneficiando
dei relativi effetti.
Gli appelli vanno dunque respinti e la sentenza impugnata
confermata integralmente (Corte dei Conti, Sez. I Centrale di
Appello,
sentenza
22.07.2015 n. 451). |
SEGRETARI COMUNALI:
La
Sezione centrale ha avuto modo di ribadire l’orientamento
propugnato dal dicastero siciliano affermando che "In
difetto di specifica regolamentazione nell’ambito del CCNL
di categoria successivo alla novella normativa i diritti di
rogito sono attribuiti integralmente ai segretari comunali,
laddove gli importi riscossi dal comune, nel corso
dell’esercizio, non eccedano i limiti della quota del quinto
della retribuzione in godimento del segretario”,
negando quindi un autonomo potere regolamentare dell’ente
interessato avulso dal c.c.n.l. di categoria.
---------------
Le somme destinate al pagamento
dell’emolumento in parola devono intendersi al lordo di
tutti gli oneri accessori connessi all’erogazione, ivi
compresi quelli a carico degli enti.
---------------
Il comune di Nave (BS) aveva richiesto l’avviso della
Sezione su una duplice problematica afferente alla nuova
disciplina in tema di diritti spettanti ai segretari
comunali, e in particolare:
i) se l’ente possa deliberare in autonomia la percentuale
dei diritti da corrispondere al segretario comunale;
ii) se, considerando che la corresponsione di un compenso
al segretario comporta ulteriori costi per l'ente (oneri
previdenziali e IRAP), l’ente stesso possa scorporare tali
oneri dalla somma complessiva, in modo tale che quest’ultima
non sia superiore ai diritti ricevuti da parte di terzi.
...
L'art. 10, comma 2-bis, del d.l. 24.06.2014, n. 90,
convertito dal d.l. 11.08.2014, n. 114, ha stabilito che “Negli
enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale,
e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno
qualifica dirigenziale, una quota del provento annuale
spettante al comune ai sensi dell'articolo 30, secondo
comma, della legge 15.11.1973, n. 734, come sostituito dal
comma 2 del presente articolo, per gli atti di cui ai numeri
1, 2, 3, 4 e 5 della tabella D allegata alla legge
08.06.1962, n. 604, e successive modificazioni, è attribuita
al segretario comunale rogante, in misura non superiore a un
quinto dello stipendio in godimento".
In disparte i profili afferenti all’individuazione dei
soggetti beneficiari di tale voce stipendiale, oggetto di
diverse opzioni ermeneutiche non rilevanti nella presente
sede, in relazione al versante oggettivo della
quantificazione di detti proventi, con la deliberazione
della Sezione citata in premessa, sono stati sollevati dubbi
in ordine alla condivisione della pronunzia della Sezione
regionale per la Regione Sicilia, che con deliberazione del
14.11.2014, n. 194, aveva affermato che “laddove
spettanti, i proventi annuali dei diritti di segreteria e i
diritti di rogito vadano attribuiti al segretario comunale
secondo una quota che non può superare un quinto dello
stipendio in godimento (trattamento teorico della figura
professionale compresa la retribuzione di risultato) da
calcolarsi in relazione al periodo di servizio prestato
nell’anno dal segretario comunale o provinciale”;
e che “L’espressione adottata dal
legislatore, riferita al ‘provento annuale’, induce a
ritenere che gli importi dei diritti di segreteria e di
rogito vadano introitati integralmente al bilancio dell’ente
locale per essere erogati, al termine dell’esercizio, in una
quota calcolata in misura non superiore al quinto dello
stipendio in godimento del segretario comunale, ove
spettante. Pertanto, nel silenzio della legge ed in assenza
di regolamentazione nell’ambito del CCNL di categoria
successivo alla novella normativa, i proventi in esame sono
attribuiti integralmente al segretario comunale, laddove gli
importi riscossi dal comune, nel corso dell’esercizio, non
eccedano i limiti della quota del quinto della retribuzione
in godimento del predetto segretario comunale o provinciale”.
Sul punto, tuttavia, occorre rilevare che la Sezione
centrale investita della risoluzione del quesito (deliberazione
24.06.2015 n. 21) ha avuto modo di ribadire
l’orientamento propugnato dal dicastero siciliano,
affermando che “In difetto di specifica
regolamentazione nell’ambito del CCNL di categoria
successivo alla novella normativa i predetti proventi sono
attribuiti integralmente ai segretari comunali, laddove gli
importi riscossi dal comune, nel corso dell’esercizio, non
eccedano i limiti della quota del quinto della retribuzione
in godimento del segretario”,
negando quindi un autonomo potere regolamentare dell’ente
interessato avulso dal c.c.n.l. di categoria.
In relazione al secondo problema oggetto della richiesta di
parere, la Sezione delle Autonomie ha invece precisato che “le
somme destinate al pagamento dell’emolumento in parola
devono intendersi al lordo di tutti gli oneri accessori
connessi all’erogazione, ivi compresi quelli a carico degli
enti” (Corte
dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 20.07.2015 n. 235). |
giugno 2015 |
|
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI:
I diritti di rogito spettano solo ai segretari comunali di
fascia C.
I diritti di rogito competono ai soli segretari comunali di
fascia C.
Lo ha chiarito la sezione delle Autonomie della Corte dei
conti con la
deliberazione 24.06.2015 n. 21, risolvendo in
senso restrittivo il contrasto interpretativo insorto fra
alcune sezioni regionali di controllo in merito alla
corretta applicazione dell'art. 10, comma 2-bis, del dl
90/2014.
Tale norma dispone che i diritti di rogito spettano «negli
enti locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale,
e comunque a tutti i segretari comunali che non hanno la
qualifica dirigenziale», in misura comunque non
superiore a un quinto dello stipendio in godimento
Muovendo da un'interpretazione strettamente letterale, la
sezione regionale di controllo per la Lombardia (seguita poi
da quella per la Sicilia) hanno individuato due distinte
ipotesi legittimanti l'erogazione dei proventi: la prima,
quella dei segretari preposti a comuni privi di personale
con qualifica dirigenziale, fattispecie in cui non sarebbe
rilevante la fascia professionale in cui è inquadrato il
segretario preposto; la seconda, quella dei segretari che
non possiedono qualifica dirigenziale, in cui l'attribuzione
di quota dei diritti di rogito sarebbe ancorata allo status
professionale del segretario preposto, prescindendo dalla
classe demografica del comune di assegnazione.
Pertanto, accedendo a questa tesi, nel caso di comuni del
tutto privi di personale con qualifica dirigenziale sarebbe
possibile attribuire i diritti di rogito a prescindere dalla
fascia professionale in cui è inquadrato il segretario.
A tale tesi, si è contrapposta quella della sezione
regionale di controllo per il Lazio (cui si è aggiunta di
recente quella per l'Emilia-Romagna), secondo cui
l'emolumento competerebbe esclusivamente ai segretari di
comuni di piccole dimensioni collocati in fascia C e non a
quelli che godono di equiparazione alla dirigenza, sia essa
assicurata dalla appartenenza alle fasce A e B, sia essa un
effetto del galleggiamento in ipotesi di titolarità di enti
locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale.
La sezione delle autonomie ha condiviso la seconda e più
rigorosa lettura, evidenziando che essa, oltre a essere
maggiormente coerente con il quadro normativo e contrattuale
della materia (che si caratterizza sempre di più per la
tendenza a contenere entro ristretti limiti le deroghe al
principio di onnicomprensività della retribuzione dei
dipendenti pubblici) è l'unica in grado di garantire gli
effetti, anche finanziari, avuti in considerazione dal
legislatore.
La stessa pronuncia, inoltre, ha chiarito che, in difetto di
specifica regolamentazione nell'ambito del Ccnl di categoria
successivo alla novella normativa, i diritti di rogito
devono essere attribuiti integralmente ai segretari comunali
aventi diritto, laddove gli importi riscossi dal comune, nel
corso dell'esercizio, non eccedano i limiti della quota del
quinto della retribuzione in godimento del segretario. Le
somme destinate al pagamento dell'emolumento in parola
devono intendersi al lordo di tutti gli oneri accessori
connessi all'erogazione, ivi compresi quelli a carico degli
enti. Ai comuni, in altri termini, non spetta al riguardo
alcun potere di autonoma regolamentazione
(articolo ItaliaOggi del 07.07.2015). |
ENTI
LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Diritti di rogito solo per i segretari di fascia «C».
Corte dei conti. Il chiarimento.
Solo un gruppo
ridottissimo di segretari, quelli di fascia C, in quanto non
equiparati ai dirigenti, possono percepire i compensi per il
diritto di rogito. A loro i tali compensi spettano nella
intera quota incassata dall’ente fino a che la
contrattazione collettiva nazionale non avrà deciso una
soglia diversa. La misura di tale beneficio è da intendere
come comprensiva degli oneri riflessi e dell’Irap a carico
dell’ente.
Sono queste le indicazioni contenute nella
deliberazione 24.06.2015 n. 21 della sezione autonomie della Corte dei Conti, che ha sciolto i dubbi interpretativi fin
qui esistenti.
I dubbi possono essere così sintetizzati: la sezione di
controllo della Lombardia ha sostenuto che questi compensi
spettavano a tutti i segretari negli enti privi di
dirigenti, anche nel caso di convenzioni tra Comuni con e
senza la dirigenza, individuando nel Comune il soggetto
chiamato a deliberare la quota spettante al segretario. La
sezione della Sicilia, confermando la spettanza di tale
beneficio ai segretari dei Comuni privi di dirigenti, aveva
ritenuto che la determinazione della misura dei compensi
spettasse al contratto nazionale e fino ad allora andasse
erogato erogato quanto incassato dall’ente, garantendo il
rispetto del tetto di un quinto del trattamento economico
annuo in godimento.
Su un fronte diverso la sezione di
controllo del Lazio ha ritenuto che questi compensi
spettassero solamente ai segretari inquadrati in fascia C,
cioè quelli che non sono assimilati ai dirigenti. E la
sezione di controllo dell’Emilia Romagna ha aggiunto che
essi potessero essere erogati a tale gruppo di segretari
solamente nei Comuni in cui non vi sono dirigenti.
Il risultato determinato dalla deliberazione della sezione
autonomie della Corte dei Conti è che i segretari di fascia
C potranno ricevere questi compensi e, non essendo
attualmente fissato un tetto se non quello di un quinto del
trattamento economico annuo, si determinerà molto spesso
l’aumento della misura tale beneficio, nonostante la
disposizione parli di una “quota”. Mentre i segretari di
fascia A e B dei Comuni privi di dirigenti, che sono la gran
parte della categoria, non riceveranno questo compenso a
fronte di un “galleggiamento”, cioè del diritto a percepire
il trattamento economico accessorio più elevato in godimento
nell’ente, in misura tutto sommato assai modesta.
La deliberazione della sezione autonomie fissa il seguente
principio di diritto: «Alla luce della previsione di cui
all’articolo 10, comma 2-bis, del Dl 24.06.2014, n. 90,
convertito con modificazioni dalla legge 11.08.2014, n.
114, i diritti di rogito competono ai soli segretari di
fascia C. In difetto di specifica regolamentazione
nell’ambito del Ccnl di categoria successivo alla novella
normativa i predetti proventi sono attribuiti integralmente
ai segretari comunali, laddove gli importi riscossi dal
comune, nel corso dell’esercizio, non eccedano i limiti
della quota del quinto della retribuzione in godimento del
segretario. Le somme destinate al pagamento dell’emolumento
in parola devono intendersi al lordo di tutti gli oneri
accessori connessi all’erogazione, ivi compresi quelli a
carico degli enti».
Alla base di tale conclusione viene posta la finalità
“perequativa” che la norma vuole raggiungere, sulla base
delle modifiche apportate dal Parlamento al testo iniziale
del Dl 90/2014 che prevedeva seccamente la abolizione della
possibilità di percepire tale compenso (articolo Il Sole 24 Ore del
07.07.2015). |
ENTI LOCALI -
SEGRETARI COMUNALI:
Alla luce della previsione di cui all’art. 10
comma 2-bis del d.l. 24.06.2014, n. 90, convertito con
modificazioni dalla legge 11.08.2014, n. 114, i diritti di
rogito competono ai soli segretari di fascia C.
In difetto di specifica regolamentazione nell’ambito del
CCNL di categoria successivo alla novella normativa i
predetti proventi sono attribuiti integralmente ai segretari
comunali, laddove gli importi riscossi dal comune, nel corso
dell’esercizio, non eccedano i limiti della quota del quinto
della retribuzione in godimento del segretario.
Le somme destinate al pagamento dell’emolumento in parola
devono intendersi al lordo di tutti gli oneri accessori
connessi all’erogazione, ivi compresi quelli a carico degli
enti.
---------------
Con nota in data
24.12.2014 il Comune di Nave (BS) ha formulato alla Sezione
regionale di controllo per la Lombardia una richiesta di
parere in ordine alla corretta determinazione dei diritti di
rogito da corrispondersi al segretario comunale, alla luce
della novella recata dall’art. 10, comma 2-bis, d.l. 90/2014
a mente del quale “negli enti locali privi di dipendenti
con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i segretari
comunali che non hanno la qualifica dirigenziale, una quota
del provento annuale spettante al comune ai sensi dell’art.
30, secondo comma, della legge 15.11.1973, n. 734 (….) è
attribuita al segretario comunale rogante, in misura non
superiore a un quinto dello stipendio in godimento”.
Richiamato l’orientamento espresso dalla Corte dei conti per
la Regione siciliana –che, in relazione allo specifico caso
in cui gli importi riscossi dal comune, nel corso
dell’esercizio, non eccedano i limiti della quota del quinto
della retribuzione in godimento del predetto segretario
comunale, con deliberazione n. 194/2014 ha ritenuto doversi
attribuire integralmente i proventi in esame all’avente
diritto– il Comune istante ha chiesto di conoscere il
motivato avviso della Sezione in ordine alla possibilità per
l’Ente di deliberare in autonomia la percentuale dei diritti
introitati da corrispondere al segretario comunale: ciò
anche al fine di scorporare dagli emolumenti in parola i
c.d. oneri riflessi (oneri previdenziali ed Irap da versare
in percentuale sul compenso corrisposto).
Lo stesso Comune, a sostegno della propria prospettazione,
ha rilevato come in tal modo non vi sarebbero effetti
pregiudizievoli a carico del bilancio dell’Ente atteso che
la somma introitata (pari al 100%) varrebbe a coprire, in
uno al compenso da corrispondersi al segretario rogante,
anche gli oneri accessori analogamente, peraltro, a quanto
avviene per altri compensi spettanti ai dipendenti (a titolo
esemplificativo è richiamato il regime previsto per gli
incentivi per la progettazione interna).
Scrutinati positivamente i profili di ricevibilità e di
ammissibilità della richiesta, nel merito, la Sezione
regionale di controllo per la Lombardia, condividendo i
dubbi sollevati, ha ritenuto di non aderire alla
ricostruzione operata dalla Sezione regionale di controllo
per la Regione Siciliana evidenziando, al riguardo, come la
stessa “oltre ad apparire più un obiter dictum che il
frutto di un’analisi ex professo, non pare essere l’unica
interpretazione consentita alla luce del dato normativo, che
non sembra riservare alla sola contrattazione di settore la
quantificazione delle risorse attribuibili ai segretari
comunali”.
A tal riguardo la Sezione remittente ha, invero, argomentato
come “in carenza di diversa previsione, la lettera della
normativa ben potrebbe determinare la riespansione del più
generale potere di autonomia regolamentare e organizzativa
dell’ente che si appalesa (anche) nella determinazione delle
risorse lato sensu rientranti nell’orbe dei compensi
incentivanti” e come “sotto un profilo teleologico
parrebbe contraddittorio che il legislatore, proprio in un
atto legislativo finalizzato al contenimento dei costi della
pubblica amministrazione, abbia sotto certi aspetti
incrementato la quota di proventi complessivamente
ripartibile ai destinatari del beneficio, precludendo
qualsiasi possibilità di determinazione in peius da parte
dell’ente interessato” (cfr. Sezione regionale di
controllo per la Lombardia, deliberazione n. 34/2015/PAR).
A completamento, ed a sostegno del proprio assunto, la
Sezione regionale ha, peraltro, evidenziato come il
riconoscimento in favore del Comune di un autonomo potere
regolamentare consentirebbe allo stesso, anche in assenza di
specifica disciplina contrattuale collettiva, di scorporare
dai proventi introitati la quota-parte da corrispondere al
beneficiario a titolo di oneri c.d. riflessi che,
diversamente opinando, graverebbero sull’Ente erogatore
quale datore di lavoro.
Il Presidente della Corte dei conti, ravvisando la
sussistenza dei presupposti di cui all’art. 6, comma 4, d.l.
174/2012, ha deferito la questione alla Sezione delle
autonomie.
...
P.Q.M.
La Sezione delle autonomie della Corte dei conti, sulla
questione di massima come richiamata in parte motiva
pronuncia i seguenti principi di diritto:
“Alla luce della previsione di cui
all’art. 10 comma 2-bis del d.l. 24.06.2014, n. 90,
convertito con modificazioni dalla legge 11.08.2014, n. 114,
i diritti di rogito competono ai soli segretari di fascia C.
In difetto di specifica regolamentazione nell’ambito del
CCNL di categoria successivo alla novella normativa i
predetti proventi sono attribuiti integralmente ai segretari
comunali, laddove gli importi riscossi dal comune, nel corso
dell’esercizio, non eccedano i limiti della quota del quinto
della retribuzione in godimento del segretario.
Le somme destinate al pagamento dell’emolumento in parola
devono intendersi al lordo di tutti gli oneri accessori
connessi all’erogazione, ivi compresi quelli a carico degli
enti” (Corte
dei Conti, Sez. delle Autonomie,
deliberazione 24.06.2015 n. 21). |
CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Contratti decentrati la sanatoria non ferma la Corte dei
conti.
Enti locali. Condanna per danno erariale ancora possibile.
La sanatoria
dei contratti decentrati fuori regola, anche quando è
applicabile, non cancella la responsabilità erariale a
carico di chi ha deciso l'attribuzione di “premi” e
indennità in eccesso.
Su questa base la Corte dei conti, Sez. giurisdizionale
del Veneto, nella
sentenza 17.06.2015 n. 98 depositata nei giorni
scorsi, ha respinto le eccezioni dei difensori di un gruppo
di dirigenti che in un Comune avevano erogato stipendi di
troppo per 385mila euro nel periodo 2008-2010.
Le condanne
hanno riguardato soltanto i dirigenti, perché a sindaco e
assessori è stata applicata l’«esimente politica» dal
momento che non è stato rilevato un «concorso sostanziale»
nella creazione del danno.
Al di là delle caratteristiche specifiche del caso, però, è
la mancata connessione fra la “sanatoria” scritta nel
decreto Salva-Roma ter (articolo 4 del Dl 16/2014) e
l’attivazione della responsabilità per danno erariale a
rappresentare il capitolo più importante della sentenza, la
prima a pronunciarsi sul tema. Gli stipendi “illegittimi”,
relativi solo ai dirigenti del Comune, sono stati
riconosciuti fra 2008 e 2010, dunque prima del 2013 che
secondo la Corte dei conti della Lombardia rappresenta la
data-limite dopo la quale la sanatoria non si applica (si
veda Il Sole 24 Ore del 30 giugno).
Questa sanatoria, scritta per evitare che l’indennizzo per
il trattamento accessorio riconosciuto come illegittimo (in
genere dopo ispezioni della Ragioneria generale) sia chiesto
direttamente al dipendente che ne ha beneficiato, secondo la
Corte del Veneto è «irrilevante» sulla possibilità di
attivare l’azione erariale. L’attività dei magistrati
contabili, sostiene infatti la sentenza poggiandosi anche su
pronunce della Corte costituzionale (in particolare la
sentenza 453/1998) si muove su un doppio piano, quello
«risarcitorio» ma anche quello «sanzionatorio».
L’articolo 4 del Salva-Roma, che prevede di indennizzare
l’amministrazione per le uscite in eccesso con tagli
equivalenti sui fondi decentrati degli anni successivi, non
basta quindi a fermare i giudici. Le condanne per danno
erariale, a carico ovviamente di chi ha infranto le regole
con dolo o colpa grave, rispondono infatti ad altri
obiettivi, che sono di sanzionare il comportamento illecito,
offrire alla Pa «elementi di valutazione» del soggetto
condannato che possono influire sul rapporto di lavoro e
produrre gli «ulteriori effetti» previsti dall’ordinamento
(come lo stop quinquennale per gli amministratori che con il
loro danno erariale hanno portato il loro ente al dissesto).
Meccanismi risarcitori come quelli previsti dalla sanatoria,
quindi, possono semmai alleggerire le condanne, ma non
bloccare i procedimenti (articolo Il Sole 24 Ore del
05.07.2015). |
maggio 2015 |
|
CONSIGLIERI COMUNALI - SEGRETARI COMUNALI:
OSSERVATORIO VIMINALE/ Il
segretario verbalizza. Compiti fissati dal Testo unico enti
locali. Il caso dell'assenza di
regolamento sul funzionamento del consiglio.
Qual è la corretta modalità di verbalizzazione delle sedute
di consiglio comunale, qualora l'ente non sia dotato di
regolamento per il funzionamento del consiglio comunale e lo
statuto non rechi indicazioni sulle modalità di
verbalizzazione? In tal caso, può ritenersi corretta la
proceduta adottata dal segretario comunale, volta a supplire
a tale carenza, consistente nella registrazione e
trascrizione integrale della discussione e nella
pubblicazione della stessa sull'albo pretorio online e sul
sito web istituzionale?
L'adozione del regolamento per il funzionamento del
consiglio comunale è riservata, ai sensi dell'art. 38, comma
2, del decreto legislativo n. 267/2000, all'autonomia
dell'ente. Tale strumento, da adottare nel quadro dei
principi stabiliti dallo statuto, è necessario per il
corretto funzionamento del consiglio, proprio per l'ampia
serie di istituti da regolamentare, e per il superamento
della disciplina transitoria di cui all'art. 273, comma 6,
del citato decreto legislativo.
Nelle more di una disciplina
autonoma, il Tar Lazio, I Sez. con sentenza 10.10.1991,
n. 1703, ha stabilito che «il verbale, non attiene al
procedimento deliberativo, che si esaurisce e si perfeziona
con la proclamazione del risultato della votazione, ma
assolve ad una funzione di mera certificazione dell'attività
dell'organo deliberante». Tale strumento «ha l'onere di
attestare il compimento dei fatti svoltisi al fine di
verificare il corretto «iter» di formazione della volontà
collegiale e di permettere il controllo delle attività
svolte, non avendo al riguardo alcuna rilevanza l'eventuale
difetto di una minuziosa descrizione delle singole attività
compiute o delle singole opinioni espresse. D'altra parte
deve aggiungersi che il verbale della seduta di un organo
collegiale, quale il consiglio comunale, costituisce atto
pubblico che fa fede fino a querela di falso dei fatti in
esso attestati» (Conforme Consiglio di stato, Sez. IV,
25/07/2001, n. 4074).
Atteso che il presidente del consiglio
comunale, in base all'articolo 39 del richiamato Tuoel, ha
poteri di convocazione nonché di direzione dei lavori e
delle attività del consiglio che potrebbero comportare la
possibilità di fornire istruzioni in merito opportunamente
condivise dal consiglio comunale, la «cura delle
verbalizzazioni» delle sedute del consiglio e della
giunta sono riservate, ai sensi dell'art. 97, comma 4, del
citato decreto legislativo n. 267/2000, direttamente al
segretario comunale
(articolo ItaliaOggi del 29.05.2015). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI:
Segretari di rigore. C'è l'obbligo di presa in servizio.
PROVINCE/ Il ministero dell'interno applica la legge.
Province obbligate a prendere in servizio, e remunerare, i
segretari provinciali, anche se sono impossibilitate ad
assumere qualsiasi dipendente, debbono tagliare della metà i
costi del personale e sono letteralmente strangolate dalla
legge 190/2014, come ha certificato la Corte dei conti,
Sez. Autonomie, con
deliberazione
11.05.2015 n. 17/2015.
Succede a Cuneo, dove il ministero dell'interno, applicando
rigorosamente la norma, ha inviato d'ufficio un segretario
alla provincia, per coprire la sede liberatasi lo scorso
novembre a seguito del pensionamento del precedente
titolare.
Il presidente della provincia di Cuneo aveva ritenuto di
poter fare a meno della nomina di un nuovo segretario,
lasciando che a svolgere la connessa attività fosse il vice
segretario, sul presupposto che il disegno di legge di
riforma della p.a. all'attenzione della camera prevede
l'abolizione dei segretari e la loro confluenza nel ruolo
unico della dirigenza locale.
Un malinteso modo di concepire le riforme, anticipate nella
loro attuazione prima ancora che entrino in vigore e che
rivela i rischi che stanno dietro un sistema che attribuisce
eccessivo peso alle scelte discrezionali e sostanzialmente
immotivate della politica, che il disegno di legge delega
rende praticamente libera di incaricare i dirigenti.
Più comprensibile e giustificata l'altra motivazione che
aveva spinto il presidente della provincia di Cuneo a non
attivare la procedura per sostituire il segretario: evitare
di accollarsi il costo di un dirigente (circa 115 mila euro
lordi), mentre la normativa obbliga a fare a meno di metà
del personale, vieta di effettuare assunzioni e impone
pesantissime limitazioni alle spese correnti, con influenze
estremamente negative sui servizi.
Appare oggettivamente
paradossale che enti come le province, in predicato di
andare tutti in dissesto a causa delle manovre finanziarie
insostenibili, alle quali è vietato da tre anni di
effettuare qualsiasi assunzione, debbano ciò nonostante
assumersi la spesa per il segretario. Il ministero
dell'interno ha certamente adempiuto alla legge che
considera il segretario obbligatorio.
Tuttavia, la tempestività dell'intervento lascia da pensare,
considerando che le sedi vacanti nei comuni sono migliaia.
Ma, soprattutto, se per un verso è ineccepibile comunque la
copertura delle sedi di segreteria delle province, è certo
incomprensibile gravare la spesa corrente di questi enti di
ulteriori pesi.
Sarebbe certamente molto più corretto e logico che lo stato,
che preleva forzosamente alle province 2,9 miliardi di euro
di spese correnti (diverranno 4,9 a regime nel 2017),
dovendo coprire le sedi di segreteria provinciali (mentre
restano scoperte migliaia di sedi di comuni che ne hanno
molto più bisogno) si accollasse la relativa spesa
(articolo ItaliaOggi del 05.06.2015). |
SEGRETARI COMUNALI: Nel
caso di convenzione di segreteria fra comuni tutti privi di
personale con qualifica dirigenziale, è possibile attribuire
al segretario comunale, ai sensi del citato art. 10, comma
2-bis, del d.l. n. 90/2014, quota dei diritti di rogito, a
prescindere dalla fascia professionale in cui è inquadrato,
in concreto, il segretario preposto.
La norma,
infatti, prevede e distingue due
ipotesi legittimanti l’erogazione di quota dei proventi.
La prima, quella dei segretari preposti a comuni
privi di personale con qualifica dirigenziale, fattispecie
in cui non ritiene rilevante la fascia professionale in cui
è inquadrato il segretario preposto. La seconda,
quella dei segretari che non hanno qualifica dirigenziale,
in cui àncora l’attribuzione di quota dei diritti di rogito
allo status professionale del segretario preposto,
prescindendo dalla classe demografica del comune di
assegnazione.
---------------
Il Sindaco del comune di Canneto Pavese, con nota del
03.03.2015, ha formulato una richiesta di parere avente ad
oggetto l’attribuzione dei diritti di rogito al segretario
comunale.
L’istanza precisa che presso il Comune presta servizio un
segretario comunale, di fascia C, in convezione con i comuni
di Castana e Montescano. Al medesimo è stato attribuito il
c.d. galleggiamento al fine di equiparare la retribuzione di
posizione a quella del personale incaricato della più
elevata posizione organizzativa, trattandosi di ente privo
di dirigenti.
Il Comune istante chiede se, alla luce delle recenti
normative, possano essere riconosciuti al segretario i
diritti di rogito, rispettando il limite del quinto dello
stipendio in godimento.
...
L’art. 10 del d.l. n. 90/2014, convertito con legge n.
114/2014, ha riformato la materia della corresponsione di
diritti di rogito ai segretari comunali.
Il primo comma della disposizione abroga l’art. 41, comma 4,
della legge n. 312/1908, che attribuiva ai segretari
comunali e provinciali, che rogavano predeterminati atti
(indicati ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della tabella D allegata
alla legge n. 604/1962), per conto dell’ente presso cui
prestavano servizio, una quota del provento, spettante al
comune o alla provincia, ai sensi dell'art. 30, comma 2,
della legge n. 734/1973 (in misura pari al 75 per cento e
fino ad un massimo di un terzo dello stipendio in
godimento).
Il secondo comma dell’art. 10 del ridetto d.l. n. 90/2014
riformula il citato art. 30, secondo comma, della legge n.
734/1973, statuendo che “il provento annuale dei diritti
di segreteria è attribuito integralmente al comune o alla
provincia”.
Il comma 2-bis, oggetto dei dubbi posti dal comune istante,
precisa, tuttavia, che “negli enti locali privi di
dipendenti con qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i
segretari comunali che non hanno qualifica dirigenziale, una
quota del provento annuale spettante al comune ai sensi
dell'articolo 30, secondo comma, della legge 15.11.1973, n.
734, come sostituito dal comma 2 del presente articolo, per
gli atti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della tabella D
allegata alla legge 08.06.1962, n. 604, e successive
modificazioni, è attribuita al segretario comunale rogante,
in misura non superiore a un quinto dello stipendio in
godimento”.
Il comma 2-ter, infine, risolve problemi di diritto
intertemporale, precisando che “le norme di cui al
presente articolo non si applicano per le quote già maturate
alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
La norma si inserisce in un contesto di razionalizzazione
dei compensi accessori attribuiti al personale che presta
servizio presso le pubbliche amministrazioni, sia in regime
di diritto privato che di diritto pubblico, che permea parte
del decreto legge n. 90/2014, convertito con legge n.
114/2014.
Circa la materia dei diritti di rogito ai
segretari comunali e provinciali, la legge,
dopo averne sancito la confluenza nel bilancio dell’ente di
riferimento (commi 1 e 2), permette
l’attribuzione di una quota del provento annuale previsto
dall’art. 30, comma 2, della legge n. 734/1973, come
modificato dallo stesso decreto legge n. 90/2014, in misura
non superiore al quinto dello stipendio in godimento e per i
soli segretari che prestano servizio in “enti locali
privi di dipendenti con qualifica dirigenziale”, e
comunque per quelli che “non hanno qualifica dirigenziale”.
Rinviando, per gli aspetti generali di analisi della nuova
disciplina, alla deliberazione della Sezione n.
297/2014/PAR, si evidenzia come, nel
parere 29.10.2014 n. 275,
la Sezione ha già messo in luce che, alla
luce della formulazione letterale della norma, nel caso di
convenzione di segreteria fra comuni tutti privi di
personale con qualifica dirigenziale, è possibile
attribuire, ai sensi del citato art. 10, comma 2-bis, del
d.l. n. 90/2014, quota dei diritti di rogito, a prescindere
dalla fascia professionale in cui è inquadrato, in concreto,
il segretario preposto.
La norma,
infatti, prevede e distingue due ipotesi
legittimanti l’erogazione di quota dei proventi. La prima,
quella dei segretari preposti a comuni privi di personale
con qualifica dirigenziale, fattispecie in cui non ritiene
rilevante la fascia professionale in cui è inquadrato il
segretario preposto. La seconda, quella dei segretari
che non hanno qualifica dirigenziale, in cui àncora
l’attribuzione di quota dei diritti di rogito allo status
professionale del segretario preposto, prescindendo dalla
classe demografica del comune di assegnazione.
Nella fattispecie sottoposta all’odierno esame della Sezione
(segretario di fascia professionale non equiparata a quella
dirigenziale, che presta servizio, a mezzo convenzione, in
comuni privi di dirigenti) non rileva l’istituto del “galleggiamento”
previsto dall’art. 41, comma 5, del CCNL di comparto,
stipulato il 16.05.2001, in base al quale l’indennità di
posizione del segretario non deve essere “inferiore a
quella stabilita per la posizione dirigenziale più elevata
nell’ente in base al contratto collettivo dell’area della
dirigenza o, in assenza di dirigenti, a quello del personale
incaricato della più elevata posizione organizzativa”.
Nel caso in esame, infatti, il segretario comunale
usufruisce di un’indennità parametrata a quella del
funzionario incaricato della più elevata posizione
organizzativa, non a quella dirigenziale, trattandosi di
enti privi di dirigenti.
Appare pertanto ammissibile l’attribuzione,
nei limiti previsti dalla legge, di quota parte dei diritti
di rogito.
Analogo orientamento, in fattispecie similare, è stato
assunto dalle Sezioni regionali per la Sicilia
(deliberazione n. 194/2014/PAR) e per il Lazio
(deliberazione n. 21/2015/PAR). Non rileva,
nel caso sottoposto all’odierno esame, la
differente situazione del segretario collocato in fascia non
equiparata a quella dirigenziale, che, prestando la sua
opera in comuni aventi dirigenti in servizio, fruisce di
un’indennità di posizione equiparata a quella del dirigente
avente il trattamento economico più elevato in base al
contratto collettivo
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 05.05.2015 n. 189). |
aprile 2015 |
|
SEGRETARI COMUNALI: Diritti di rogito ai segretari in convenzione.
Corte dei conti. Compenso legittimo anche se uno dei Comuni
ha dirigenti in organico.
I segretari in
convenzione tra Comuni con i dirigenti e a amministrazioni
che ne sono prive possono percepire i compensi per il rogito
negli enti privi di dirigente, e questi compensi vanno
commisurati sul trattamento economico complessivo del
segretario.
Sono queste le principali indicazioni offerte
dalla Corte dei conti Lombardia nel
parere
24.04.2015 n. 171.
I
giudici scrivono espressamente che «il segretario comunale
titolare del servizio di segreteria in convenzione ha
diritto alla quota prevista di diritti di segreteria per
l’attività svolta quale ufficiale rogante presso il Comune
convenzionato non provvisto di dipendenti con qualifica
dirigenziale; la misura del quinto dello stipendio, su cui parametrare il tetto massimo dei diritti di rogito
erogabili, deve essere calcolata sul trattamento economico
complessivamente fruito da parte del singolo segretario
comunale».
La lettura è coerente con il dettato e la logica del Dl
90/2014, una norma che vieta la percezione dei diritti di
rogito ai segretari che possono già usufruire di un salario
accessorio elevato, in quanto commisurato con il trattamento
economico più elevato percepito dai dirigenti dell’ente. Il
parere interviene con una lettura estensiva della
possibilità per i segretari di ricevere i compensi per le
attività di rogito, e con un’interpretazione nuova e ancora
più estensiva del tetto dei compensi che possono essere
percepiti annualmente, ovviamente entro la soglia massima
del 20% del trattamento economico annuo, soglia fissata
direttamente dal legislatore . Si deve ricordare che su
questa materia si attende il parere della sezione Autonomie
che deve sciogliere i due nodi di fondo: i compensi per il
rogito possono essere percepiti dai segretari assimilati ai
dirigenti e che operano in Comuni privi di dirigenti? Qual è
la misura di questi compensi, entro il tetto di 1/5 del
trattamento economico annuo, e chi deve fissarne la misura?
Il parere richiama in premessa le indicazioni già formulate
dalla stessa sezione Lombardia nella deliberazione n.
275/2014, con la quale è stato espresso un orientamento
positivo per la percezione di questo compenso da parte di
tutti i segretari nei Comuni privi di dirigente. In quella
delibera era stato chiarito che nelle convenzioni tra Comuni
privi di dirigente questo compenso spetta.
Su tale base si
deve trarre la prima conclusione che i diritti di rogito, in
caso di convenzione tra Comuni che hanno la dirigenza e
Comuni che ne sono sprovvisti, spettano per le attività
svolte negli enti privi di dirigenti. Il fatto che uno dei
Comuni aderenti abbia i dirigenti non influisce sulla
condizione dell’altro ente che ne è privo. Si devono
sviluppare considerazioni per molti versi analoghe a quelle
sostenute per consentire ai segretari assimilati ai
dirigenti di ricevere questi compensi nelle amministrazioni
prive di dirigenti: «Rimane irrilevante la circostanza che
tale qualifica dirigenziale sia aliunde rivestita
dall’interessato».
Il parere dà una lettura estensiva del tetto dei compensi
che possono essere percepiti dai segretari: il compenso non
va calcolato sulla sola quota a carico dell’ente privo di
dirigenti, ma sul totale complessivo. Il dettato legislativo
non contiene indicazioni né espresse né tacite in favore
dell’una o dell’altra soluzione, e il parere si limita a
giudicare come «maggiormente conforme al dato letterale
della norma, che si riferisce allo stipendio in godimento»
la lettura riferita al trattamento economico complessivo
(articolo Il Sole 24 Ore dell'11.05.2015). |
CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Sulla
condanna (per danno erariale) del
Sindaco, della Giunta Comunale e del Segretario Comunale per
aver affidato un incarico ex art. 110 TUEL in assenza di previa procedura comparativa e per
l'assenza del titolo di studio della Laurea per lo
svolgimento delle attività di Comandante della Polizia
Locale, considerato dai giudici contabili un servizio
amministrativo e non "tecnico".
---------------
Il segretario comunale deve eccepire (e verbalizzare)
l'eventuale illegittimità dell'adottanda deliberazione (di
Giunta ovvero di Consiglio) durante la seduta, se non vuole
incorrere nell'eventuale danno erariale, a nulla rilevando
l'eventuale contestazione per iscritto a posteriori.
La costante giurisprudenza della Corte
dei conti ha chiarito che, se da una parte il Giudice
contabile non può sostituire le proprie valutazioni alle
scelte di merito fatte dagli organi della pubblica
amministrazione, la legge non ha precluso la verifica delle
modalità con cui il potere discrezionale amministrativo
viene concretamente esercitato: pertanto il Giudice
contabile può e deve verificare in concreto se l’esercizio
del potere discrezionale è avvenuto o meno nel rispetto dei
limiti posti dall’ordinamento giuridico (quali, la
razionalità, la logicità delle scelte, il risultato di
economicità e di buona amministrazione, la congruità e
proporzionalità tra mezzo e fine).
Ciò trova l’avallo della Corte di Cassazione, la quale ha
reiteratamente affermato che il limite dell’insindacabilità
va posto in correlazione con l’art. 1, comma 1, della legge
n. 241 del 1990, il quale stabilisce che l’esercizio
dell’attività amministrativa deve ispirarsi ai criteri di
economicità e di efficacia che costituiscono specificazione
del principio sancito dall'art. 97, comma 1, della
Costituzione e che hanno acquistato dignità normativa,
assumendo rilevanza sul piano della legittimità dell'azione
amministrativa. Ne deriva che la Corte dei conti può
“verificare la ragionevolezza dei mezzi impiegati in
relazione agli obiettivi perseguiti, dal momento che anche
tale verifica è fondata su valutazioni di legittimità e non
di mera opportunità”.
Accertata tale ragionevolezza, il Giudice contabile non può
estendere il proprio sindacato alla concreta e specifica
articolazione della scelta dell’amministratore pubblico, in
quanto ciò, effettivamente, rientrerebbe nell’ambito di
discrezionalità dichiarato insindacabile dal Legislatore e
quindi nel merito delle scelte riservate
all’Amministrazione.
In conclusione ciò che è insindacabile è soltanto la scelta
tra più opzioni che siano tutte lecite, legittime, razionali
e congrue, con indifferenza per il Giudice di quella
adottata, essendo esse equivalenti sotto i profili citati.
---------------
Sussiste altresì la specifica responsabilità per il
segretario comunale nel cui mandato sono stati realizzati i
presupposti fattuali e giuridici fondanti la responsabilità
erariale che, a giudizio di questo Collegio, non risulta
esclusa ma, piuttosto, confermata, soprattutto con riguardo
alla sussistenza dell’elemento psicologico, dalla nota prot.
n. 5453 del 06.04.2011 -indirizzata alla Giunta comunale ma
di cui è rimasta indimostrata l’effettiva percezione,
contestata dai destinatari– con la quale il Segretario.,
unitamente al Responsabile dell’Area finanziaria ed al
responsabile dell’Area Affari generali, eccepiva
l’irregolarità della nominata deliberazione giuntale.
---------------
1.
Preliminarmente deve ritenersi infondata l’eccezione della
difesa secondo la quale la nomina de qua costituirebbe un
atto di natura discrezionale e come tale non sindacabile da
questo Collegio.
In ordine alla preclusione di cui all’art. 1 Legge n. 20 del
1994 (“insindacabilità nel merito delle scelte
discrezionali” degli organi operativi della pubblica
amministrazione), la costante giurisprudenza della Corte dei
conti ha chiarito che, se da una parte il Giudice contabile
non può sostituire le proprie valutazioni alle scelte di
merito fatte dagli organi della pubblica amministrazione, la
legge non ha precluso la verifica delle modalità con cui il
potere discrezionale amministrativo viene concretamente
esercitato: pertanto il Giudice contabile può e deve
verificare in concreto se l’esercizio del potere
discrezionale è avvenuto o meno nel rispetto dei limiti
posti dall’ordinamento giuridico (quali, la razionalità, la
logicità delle scelte, il risultato di economicità e di
buona amministrazione, la congruità e proporzionalità tra
mezzo e fine).
Ciò trova l’avallo della Corte di Cassazione, la quale ha
reiteratamente affermato che il limite dell’insindacabilità
va posto in correlazione con l’art. 1, comma 1, della legge
n. 241 del 1990, il quale stabilisce che l’esercizio
dell’attività amministrativa deve ispirarsi ai criteri di
economicità e di efficacia che costituiscono specificazione
del principio sancito dall'art. 97, comma 1, della
Costituzione e che hanno acquistato dignità normativa,
assumendo rilevanza sul piano della legittimità dell'azione
amministrativa. Ne deriva che la Corte dei conti può
“verificare la ragionevolezza dei mezzi impiegati in
relazione agli obiettivi perseguiti, dal momento che anche
tale verifica è fondata su valutazioni di legittimità e non
di mera opportunità” (cfr., tra l’altro, Cass. SS.UU. n.
14488 del 2003, n. 7024 del 2006 e n. 18757 del 2008).
Accertata tale ragionevolezza, il Giudice contabile non può
estendere il proprio sindacato alla concreta e specifica
articolazione della scelta dell’amministratore pubblico, in
quanto ciò, effettivamente, rientrerebbe nell’ambito di
discrezionalità dichiarato insindacabile dal Legislatore e
quindi nel merito delle scelte riservate all’Amministrazione
(Cass. civ., Sez. I, 19.06.2002, n. 203; Cass. Civ., SSUU.,
02.04.2007, n. 8097; Corte dei conti, Sez. Lazio, 04.05.2006, n. 1051; Corte dei conti, Sez. Lazio, 12.10.2006, n. 1971).
In conclusione ciò che è
insindacabile è soltanto la scelta tra più opzioni che siano
tutte lecite, legittime, razionali e congrue, con
indifferenza per il Giudice di quella adottata, essendo esse
equivalenti sotto i profili citati (ex multis, cfr. Corte
dei conti, Sez. III, 02.11.2010 n. 750; Corte dei
conti, Sez. Lombardia, 25.03.2009, n. 165).
Ciò osservato sul piano teorico, va rilevato in concreto che
la Procura regionale, nella fattispecie oggetto di giudizio,
ha contestato non tanto vizi inerenti all’esercizio di un
potere discrezionale, quanto l’illegittimità e la
conseguente illiceità dell’atto di conferimento di un
incarico di Comandante del Corpo di Polizia locale del
Comune di Gavardo nonché di Responsabile dell’Area Vigilanza
dello stesso ente locale a soggetto privo dei requisiti di
legge.
Per tali motivi, l'eccezione si appalesa infondata e va,
pertanto, respinta.
2.
Sotto un profilo più generale, la fattispecie all’esame
di questa Sezione consiste in un’ipotesi di danno erariale
perpetrato nei confronti del Comune di Gavardo da parte del
Sindaco E.V., del Vice Sindaco S.B.,
degli assessori B.A., B.B., G.G.,
G.N., A.S., V.Z., e
del Segretario comunale P.B., in relazione
all’affidamento, disposto con deliberazioni di Giunta
n. 237/2010 e n. 230/2011, al sig. R.C.,
dell’incarico di Responsabile dell’Area della vigilanza,
nonché di Comandante del Corpo di Polizia locale e la
conseguente corresponsione al predetto di emolumenti
costituiti dal trattamento economico equivalente a quello
previsto dall’allora vigente Contratto nazionale,
corrispondenti alla categoria D, posizione economica D3, in
aggiunta ad un’indennità ad personam, in assenza dei
requisiti minimi per accedere a detto inquadramento
economico.
Il danno è quantificato dalla Procura regionale in euro
81.992,57 oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali
e spese di giudizio pari agli oneri sostenuti dal Comune di
Gavardo per l’intero trattamento retributivo del C.
nei periodi compresi dal 01.01.2011 al 12.12.2011 e dal
22.12.2011 al 28.09.2012.
A fronte dell’istanza istruttoria presentata dalla difesa
del V. e del Procuratore regionale, la Sezione ritiene
la causa adeguatamente istruita grazie agli elementi
conoscitivi già acquisiti, per cui le istanze volte ad
ottenere ulteriori accertamenti istruttori devono essere
respinte.
Nel merito la domanda è fondata e merita accoglimento,
risultando provati tutti gli elementi richiesti per
affermare la sussistenza della responsabilità amministrativa
dei convenuti.
Ai fini del corretto inquadramento della vicenda, giova
innanzitutto richiamare il riferimento normativo della
fattispecie, rappresentato dall’art. 110, commi 1, 2 e 3 del TUEL, D.lgs. 267/2000 -nel testo precedente le modifiche
apportate dal D.L. 24.06.2014, n. 90- che così dispone: "1. Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di
responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche
dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire
mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico
o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto
privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla
qualifica da ricoprire”;
2. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei
servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza,
stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono
essere stipulati, al di fuori della dotazione organica,
contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte
specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per
la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in
misura complessivamente non superiore al 5 per cento del
totale della dotazione organica della dirigenza e dell'area
direttiva e comunque per almeno una unità. Negli altri enti,
il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi
stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono
essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, solo
in assenza di professionalità analoghe presenti all'interno
dell'ente, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte
specializzazioni o funzionari dell'area direttiva, fermi
restando i requisiti richiesti per la qualifica da
ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura
complessivamente non superiore al 5 per cento della
dotazione organica dell'ente arrotondando il prodotto
all'unità superiore, o ad una unità negli enti con una
dotazione organica inferiore alle 20 unità. (349)
3. I contratti di cui ai precedenti commi non possono avere
durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del
presidente della provincia in carica. Il trattamento
economico, equivalente a quello previsto dai vigenti
contratti collettivi nazionali e decentrati per il personale
degli enti locali, può essere integrato, con provvedimento
motivato della giunta, da una indennità ad personam,
commisurata alla specifica qualificazione professionale e
culturale, anche in considerazione della temporaneità del
rapporto e delle condizioni di mercato relative alle
specifiche competenze professionali. Il trattamento
economico e l'eventuale indennità ad personam sono definiti
in stretta correlazione con il bilancio”.
Alla luce del riportato testo normativo, appare ora
necessario esaminare le due distinte previsioni di cui al
primo ed al secondo comma del citato art. 110.
Il diverso ambito di applicazione delle due ipotesi, oltre a
risultare evidente dal dato letterale, riferendosi un caso
alla copertura di posti di responsabile di area
amministrativa “già in organico”, l’altro ai contratti a
tempo determinato stipulati “al di fuori della dotazione
organica”, è chiarito anche dalle SS.RR. di questa Corte che
in sede di controllo (Del. nn. 12 e 13 del 2011) si sono
pronunciate in ordine alla diretta applicabilità agli enti
territoriali, limitatamente al conferimento degli incarichi
dirigenziali a contratto previsti dall’art. 110, comma 1, TUEL, delle disposizioni contenute nell’art. 19, commi 6 e 6-bis, del d.lgs. 165/2011 ed hanno avuto modo di definire
quella al comma 2 come “una fattispecie del tutto diversa da
quella disciplinata dal comma precedente, in quanto volta a
sopperire, ad esigenze gestionali straordinarie che, sole,
determinano l’opportunità di affidare funzioni, anche
dirigenziali, extra ordinem e quindi al di là delle
previsioni della pianta organica dell’Ente locale”.
Chiarito ciò, il caso di specie -in cui la giunta comunale
ha affidato a soggetto esterno l’incarico di Responsabile
dell’Area Vigilanza nonché le funzioni di Comandante del
Corpo di P.L –cat. D3- facendo esplicito riferimento,
nella contestata delibera n. 237/2010, al comma 2 del citato
art. 110- appare, invece, più correttamente riconducibile
al comma 1 del medesimo articolo, riferendosi
all’affidamento di un posto di funzioni già previsto in
pianta organica, e dovendo, dunque, demandare allo statuto
dell’ente la possibilità di coprire con contratti a tempo
determinato i posti di responsabili dei servizi e degli
uffici sia di qualifica dirigenziale che di alta
specializzazione.
Né l’applicabilità al caso di specie della previsione di cui
al comma 2 -sostenuta dall’Amministrazione comunale per
fondare la legittimità del proprio operato sulle previsioni
regolamentari piuttosto che su quelle statutarie e
ripetutamente ribadita da tutte le difese dei convenuti-
trova conforto da quanto statuito dal Tribunale
Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione di
Brescia, con pronuncia n. 514/2011.
Il giudice
amministrativo, infatti, chiamato a pronunciarsi, su ricorso
del dipendente M., precedente Comandante della Polizia
locale, circa la legittimità delle deliberazioni consiliari
del 26/11/2010 n. 86, del 09/12/2010 n. 89, del 10/12/2010 n.
90, di modifica dello statuto comunale e della Deliberazione
giuntale n. 237 del 15/12/2010, nonché del Decreto sindacale
in data 03/01/2011 di attribuzione al sig. C. della
responsabilità dell’area Vigilanza, ha, con tale pronuncia,
dichiarato il proprio difetto di giurisdizione
sostanzialmente fondando tale statuizione sull’assenza, nel
caso posto al suo esame, dell’esercizio di poteri autoritativi e non avendo interesse -né rientrando tale
profilo nei suoi poteri di cognizione– ad approfondire
l’ulteriore questione se l’incarico al controinteressato
C. fosse stato legittimamente conferito ex art. 110,
comma 2, del D.Lgs. 267/2000, come indicato nella
deliberazione contestata, ovvero fosse più propriamente
riconducibile al comma 1 del richiamato articolo, afferendo
in ogni caso tale questione a materia devoluta alla
cognizione del giudice ordinario, competente a conoscere
vicende caratterizzate dalla diretta estrinsecazione dei
poteri gestionali nell'ambito del rapporto di lavoro.
La riconducibilità del caso di specie all’ipotesi
disciplinata al comma 1 dell’art. 110, TUEL, è peraltro
affermata -contraddittoriamente con le motivazioni della
deliberazione n. 237/2010 e con le prospettazioni difensive
opposte nell’odierno giudizio- nella stessa premessa del
decreto sindacale n. 1/2011 di attribuzione delle funzioni
di Responsabile dell’Area vigilanza al C..
In tale atto si afferma: “CONSIDERATO che per garantire la
piena funzionalità delle varie articolazioni organizzative,
qualificate come strutture dell’amministrazione comunale,
risulta necessario procedere alla nomina dei responsabili
delle strutture stesse; CONSIDERATO altresì che i
responsabili possono essere individuati tra i funzionari,
dipendenti in servizio presso il Comune o assunti con
incarico esterno ai sensi dell’art. 110 del Decreto
legislativo n. 267/2000; VISTO l’art. 110, comma 1, del d.lgs.
267/2000 che prevede la possibilità di copertura di posti di
responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche
dirigenziali o di alta specializzazione, mediante contratto
a tempo determinato di diritto pubblico o eccezionalmente e
con deliberazione motivata di diritto privato”; VERIFICATO
che costante giurisprudenza consente al Sindaco di nominare
i dirigenti con contratto a termine in applicazione
dell’art. 110 del d.lgs. 267/2000 attraverso nomina di
carattere eminentemente fiduciario…”.
Se, dunque, come risulta evidente per le esposte
considerazioni, la fattispecie in esame rientra all’ambito
di applicazione del comma 1 del’art. 110 TUEL, molteplici
appaiono i profili di illegittimità che hanno caratterizzato
la condotta dei convenuti, pur dovendosi, in linea di
principio, evidenziare l’insufficienza di tali aspetti a
fondare, essi soli, la responsabilità amministrativa dei
convenuti.
Sotto un primo, formale, aspetto, il Collegio rileva che la
Giunta comunale, con la Deliberazione n. 237 del 15.12.2010 -dopo aver preso atto della necessità di una
previsione statutaria, della temporaneità dell’incarico e
del possesso dei requisiti per l’accesso alla qualifica
corrispondente al posto da ricoprire– ha provveduto ad
affidare al sig. C.R. l’incarico di
Responsabile dell’area Polizia locale nonché il comando del
Corpo di P.L. – cat. D3, con contratto di diritto privato a
tempo pieno e determinato prevedendo la successiva adozione
di apposito atto sindacale, previa sottoscrizione di
specifico contratto individuale, nonostante il nuovo testo
statutario recante la modifica che attribuiva al Sindaco
tale potere di nomina, entrasse in vigore solo
successivamente, in data dal 21.02.2011.
Né, d’altro canto, la legittimità della predetta nomina
poteva, come pure ha opposto la difesa di uno dei convenuti,
trovare fondamento nell’art. 50, comma 10, del TUEL, a mente
del quale “Il sindaco e il presidente della provincia
nominano i responsabili degli uffici e dei servizi,
attribuiscono e definiscono gli incarichi dirigenziali e
quelli di collaborazione esterna secondo le modalità ed i
criteri stabiliti dagli articoli 109 e 110, nonché dai
rispettivi statuti e regolamenti comunali e provinciali”.
Tale previsione, infatti, si limita ad un mero rinvio alla
generale disciplina degli articoli 109 e 110 TUEL e non può
valere a costituire autonoma fonte di attribuzione di poteri
sindacali.
Ma, oltre tale profilo meramente formale -e prescindendo
dalle ulteriori censure di legittimità riscontrate
dall’attore pubblico e riferite alla mancata acquisizione
dei pareri di regolarità tecnica e contabile,
all’incompetenza della Giunta a procedere all’affidamento de
quo e del Sindaco ad adottare gli atti di nomina ed a
sottoscrivere i contratti di lavoro con il beneficiario,
sig. C.- un più sostanziale aspetto merita di essere
evidenziato.
E’ indubbio, infatti,
che nell'individuazione dei soggetti
cui conferire un incarico ai sensi dell’art. 110 TUEL, siano
insuperabili i fondamentali canoni di legittimità,
imparzialità e buon andamento, ai sensi dell'articolo 97
della Costituzione, in ragione dei quali, pur essendo insiti
in tali procedure il carattere della discrezionalità ed un
margine più o meno ampio di fiduciarietà, è indispensabile
che le amministrazioni assumano la relativa determinazione
con una trasparente ed oggettiva valutazione della
professionalità del soggetto affidatario che non può basarsi
su valutazioni meramente soggettive, ma deve essere ancorata
quanto più possibile a circostanze oggettive .
L'esigenza di operare scelte discrezionali ancorate a
parametri quanto più possibili oggettivi e riscontrabili
evidenzia l'opportunità che le amministrazioni si dotino
preventivamente di un sistema di criteri generali per
l'affidamento, il mutamento e la revoca degli incarichi. Ciò
al fine di consolidare anche in questo ambito la trasparenza
e ridurre le possibilità di contenzioso.
Tale convincimento si fonda anche su costante giurisprudenza
della Corte Costituzionale (sentenze n. 103 e 104 del 2007 e
sentenza n. 161 del 2008)
che ha espresso un chiaro
orientamento volto ad escludere l’esistenza di una
“dirigenza di fiducia” e dunque la possibilità di
un’interpretazione della normativa vigente nel senso di
ammettere la scelta discrezionale, senza limiti, dei
soggetti esterni all’ente cui conferire gli incarichi,
nonché la necessità di forme di pubblicità che assicurino la
trasparenza, procedure comparative anche non concorsuali,
richiedendo quindi una procedimentalizzazione dell’iter da
seguire.
Con riferimento al caso di specie gli odierni convenuti,
ciascuno secondo il ruolo ricoperto nell’adozione delle
deliberazioni in argomento, hanno, invece, determinato il
conferimento diretto dell’incarico ad personam al sig.
C., senza avere preventivamente fissato i criteri per
la selezione e valutazione dei curricula dei potenziali
aspiranti né adottato misure di pubblicità ma effettuando
tale scelta sulla base di una valutazione personale
ampiamente discrezionale.
Sul punto, peraltro, appaiono contraddette per tabulas le
argomentazioni difensive volte ad affermare che le
deliberazioni contestate si limiterebbero a definire gli
“indirizzi per l’assunzione a tempo determinato ex art. 110
del D.lgs. n. 267/2000 del Comandante del Corpo di Polizia
Locale” e che, pertanto, la procedura seguita dal Comune
sarebbe stata conforme a quanto previsto dagli artt. 18 e 89
del Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi
comunali e che, trattandosi di una deliberazione di
indirizzo, non sarebbero stati necessari pareri di
regolarità tecnica e contabile.
Tali affermazioni sono palesemente smentite dal testo della
deliberazione n. 237/2010 in cui espressamente si
attribuisce l’incarico di Responsabile dell’Area vigilanza e
le funzioni di Comandante del Corpo di polizia locale al
sig. C.R..
Peraltro, l’adozione di tale scelta risulta in qualche modo
già profilata in occasione del dibattito consiliare che ha
preceduto la Deliberazione n. 86/2010 di modifica
statutaria, durante il quale il consigliere T.S. “si sofferma sulla possibilità che il Comandante
della polizia locale possa essere privo del requisito della
laurea” e sul punto viene rassicurata dal Segretario
comunale B. circa la conformità all’ordinamento di
un eventuale deliberazione in tal senso.
Ma, anche a voler seguire l’impostazione difensiva, secondo
cui l’avvenuto conferimento troverebbe disciplina
nell’art. 110, comma 2, TUEL, altri profili di illegittimità
si evidenzierebbero, in particolare l’assenza di
professionalità analoghe all'interno dell'ente, requisito
richiesto in modo cogente dal richiamato comma 2.
Nella vicenda all’esame, infatti, tale assenza non solo non
è provata ma anzi, la generica motivazione in tal senso
addotta risulta di per sé contraddittoria oltre che smentita
dai fatti.
Il Collegio intende fare riferimento alla specifica
argomentazione, riportata in premessa alla delibera
n. 237/2010 e ribadita dalle difese dei convenuti, secondo
cui la nomina del C. a Responsabile dell’Area
vigilanza e Comandante del Corpo di P.l. avrebbe trovato
ragione dopo che, avendo stabilito di assumere tramite
mobilità il sig. L.C. –Istruttore direttivo
presso l’area Vigilanza di categoria D1 a far data dal
16.12.2010- questi, con nota assunta a prot. comunale del
11.10.2010, aveva espresso volontà di revocare la mobilità
già concessa. Ne sarebbero seguite altre procedure di
mobilità nessuna delle quali andata a buon fine e da ciò la
necessità di affidare l’incarico di Comandante al C..
In alcun caso, tuttavia dette procedure di mobilità, per
vari motivi fallite, sembrano aver riguardato le funzioni di
Responsabile dell’area vigilanza e di Comandante dello
Polizia municipale del Comune di Gavardo, posto ricoperto,
fino al 31.12.2010 dal dipendente comunale Funzionario, cat.
D3, M.E..
Non trova riscontro, inoltre, nella documentazione versata
in atti ed, in particolare, nelle relazioni sulle attività
svolte dal Comando di Polizia Locale, relativa agli anni
2009 e 2010, l’emergenziale situazione di ordine pubblico
riferita costantemente dalle difese dei convenuti a
giustificazione delle scelte adottate.
Ne consegue che tali premesse non sono idonee a motivare
congruamente né la necessità di affidamento esterno del
posto di Responsabile dell’Area vigilanza e di Comandante
della polizia locale né la scelta di assegnare le relative
funzioni al C..
Peraltro, la riferita inidoneità del M. a ricoprire le
funzioni di Comandante della Polizia locale, opposta come
ulteriore argomentazione dalle difese per legittimare le
scelte operate dai convenuti, non risulta affatto menzionata
o documentata negli atti contestati, nei quali appare solo
un laconico e tautologico riferimento all’assenza di
professionalità analoghe all’interno dell’ente.
Anzi, con il decreto sindacale n. 1 del 03.01.2011 il M.E. è stato designato quale supplente del C. in
qualsiasi caso di assenza o impedimento dello stesso,
avendone i requisiti richiesti.
Appare dunque, in assenza di idonea motivazione, del tutto
irragionevole, quasi al limite della contraddittorietà, la
scelta operata dal Sindaco e dalla Giunta, con l’assistenza
del Segretario comunale, di affidare ad un soggetto estraneo
all’Amministrazione le funzioni di Comandante quando
nell’organico dell’ente vi era un Funzionario cat. D3,
munito di laurea che quelle funzioni aveva già ricoperto per
diversi anni e che comunque, avendone i requisiti, è stato
contestualmente chiamato, perché dichiarato idoneo, a
ricoprire l’incarico di Vice Comandante e di supplente “in
ogni caso di assenza o di impedimento” del titolare.
Anche le negative valutazioni riferite dalle difese circa
l’operato del M. non risultano in alcun modo dimostrate,
salvo un unico provvedimento di demansionamento adottato
dallo stesso Comandante C. nei confronti del M. in
data 23.02.2011 ed in seguito annullato dal Tribunale
di Brescia, sez. lavoro (innanzi al quale il M. aveva
chiesto tutela) con ordinanza del 02.08.2011 con cui il
giudice del lavoro ha ordinato al Comune di Gavardo di
reintegrare immediatamente il ricorrente (M.) nelle
mansioni di Comandante della polizia locale o in mansioni
equivalenti riferibili alla categoria D del CCNL per gli
enti locali.
Né la delibera n. 237 si fa carico di motivare il mancato
affidamento delle funzioni di Responsabile dell’Area
vigilanza ad altro dipendente comunale - Istruttore
Direttivo presente in organico, il sig. C., nominato
anch’egli, con atto sindacale del 24.03.2011, Vice
comandante–supplente, al posto del M., in caso di
assenza o di impedimento del C..
Per quanto esposto, la scelta operata dai convenuti si
appalesa, in assenza di idonea motivazione, irragionevole e
non supportata da un percorso logico-comparativo che ponesse
in evidenza, a giustificare l’eccezionalità
dell’affidamento, le peculiari caratteristiche del
destinatario rispetto all’incarico da ricoprire.
Altrettanto irragionevole si dimostra la scelta di
affidamento sempre al sig. C. del nuovo incarico, per
il periodo decorrente dal 22.12.2011 e fino alla
scadenza del mandato del Sindaco (salvo revoca anticipata)
deliberata con atto n. 230/2011 del Comune di Gavardo.
Una scelta che avrebbe dovuto essere eccezionale per
l’Amministrazione trova invece le sue motivazioni, come
riportate nelle premesse dell’atto, nella circostanza che il
beneficiario avesse svolto il precedente incarico con
“notevole professionalità e senso del dovere”; nella
constatazione, generica ed indimostrata, che durante
l’assenza del C. (dal 13.12.2011 al 22.12.2011)
“l’attuale organico del Comando di polizia locale non
consente di realizzare una gestione ottimale del servizio in
rapporto ai carichi di lavoro ed ai programmi prefissati” e
sulla base della considerazione “che in relazione alla
positiva esperienza maturata nell’anno in corso con il sig.
C.R., si è deciso di interpellarlo per
verificare che siano risolte le motivazioni che l’hanno
portato alle dimissioni”.
Con riguardo, poi, alle esigenze di affiancamento del nuovo
Comandante assunto il 31.12.2011, riferite dalle
difese dei convenuti, tali finalità, comunque non coerenti
con la motivazione dell’atto di affidamento dell’incarico,
la cui durata era prevista, salvo revoca, fino alla scadenza
del mandato sindacale, non sembrano giustificare una
protrazione dell’incarico esterno per ben nove mesi dalla
nomina del nuovo Comandante con conseguente erogazione, da
parte del Comune, di trattamento retributivo ulteriore a
quello da erogare in favore del neo-assunto.
Infine, il Collegio rileva che, qualunque sia la fattispecie
normativa cui ascrivere il caso in esame, un ulteriore
profilo di illegittimità caratterizza la scelta effettuata
dai convenuti.
Entrambe le ipotesi disciplinate ai commi 1 e 2 dell’art. 110 TUEL, infatti, prevedono un vincolo indefettibile a carico
delle amministrazioni, le quali, nell’utilizzare il sistema
certamente più elastico (e per questo considerato
eccezionale) della stipulazione del contratto di diritto
privato, sia per ricoprire posti già previsti in pianta
organica, sia per incarichi ulteriori, non possono
selezionare il dirigente o il soggetto di alta
specializzazione o il funzionario dell'area direttiva se non
nel rispetto dei requisiti richiesti "dalla qualifica da
ricoprire".
L’incarico affidato al C., come dimostra il bando di
concorso adottato dal Comune di Gavardo con decreto del 28.10.2011, è per l’assunzione di un funzionario
(categoria di posizione giuridica D3) presso l’Area
vigilanza a tempo pieno ed indeterminato, per il quale, in
conformità al CCNL enti locali, il primo requisito richiesto
è il diploma di laurea, requisito non posseduto dal
C..
Sul punto appare del tutto incongruo il richiamo alla
Deliberazione di questa Corte –Sez. regionale controllo
Lombardia– n. 702 del 24.06.2010 nel punto in cui ammette,
per il conferimento di incarichi dirigenziali temporanei,
che “in relazione a specifiche attività proprie
dell’organizzazione degli enti pubblici, soprattutto di
dimensioni minori, l’attività di specifici settori in
particolare, tecnici, può essere svolta da soggetti che
seppur privi di titolo di studio universitario, siano in
possesso del titolo di studio specificamente richiesto per
l’esercizio di una particolare attività, nonché di idonea e
documentata esperienza di settore”.
Infatti,
l’ambito di attività del Responsabile dell’area
Vigilanza e del Comandante del Corpo di Polizia locale non
può essere definito un “settore tecnico” e per esso non può
essere idoneo alcun altro specifico titolo di studio se non
il diploma di laurea, come, peraltro, espressamente previsto
nel bando di concorso, con riferimento ai requisiti di
partecipazione, e come facilmente evincibile dalle materie
delle prove d’esame indicate nel medesimo bando.
D’altro canto,
l’attribuzione di quello specifico posto di
funzioni, per il quale era previsto un funzionario di
categoria giuridica D3, al C. ha comportato
l’ulteriore censurabile conseguenza dell’inquadramento in
una categoria professionale (categoria D) e della
corresponsione della relativa retribuzione ad un soggetto
privo del titolo di studio necessario ad accedere a tale
categoria.
E tale effetto pregiudizievole non può, come sembra
sostenere la difesa degli altri convenuti, essere imputato
alla sola condotta del Sindaco V. ed agli atti da
questi singolarmente adottati, in quanto entrambe le
deliberazioni n. 237/2010 e n. 230/2011 contenevano, oltre
all’affidamento dell’incarico, anche l’esplicito
inquadramento del C. nella categoria giuridica D3.
Alla luce delle risultanze emergenti come sopra ricostruite,
il Collegio conclusivamente ritiene che l’assunzione del
sig. R.C., a prescindere dalla illegittimità
della stessa sotto il profilo formale, della carenza di
titolo di studio universitario del beneficiario e
dell’indimostrata assenza di professionalità analoghe
all’interno dell’ente, sia comunque illecita e fonte di
danno erariale, in relazione all’ammontare dei compensi
erogati in favore del suddetto beneficiario.
3.
Passando, dunque, dal piano dell’illegittimità a quello
dell’illiceità, occorre ora valutare se le condotte finora
descritte siano frutto di comportamenti gravemente colposi
che hanno prodotto danno all’erario comunale.
In proposito,
si ritiene che il comportamento tenuto da
tutti i convenuti nell’odierno giudizio sia particolarmente
inescusabile e connotato da colpa grave, atteso che la
vicenda aveva preso avvio già con la modifica statutaria ed
ampia era stata, dunque, la possibilità di approfondimento e
di riflessione circa la legittimità dell’adottanda
deliberazione n. 237/2010, alla luce dell’inequivoca
normativa di riferimento e della costante giurisprudenza
della Corte costituzionale e di questa Corte formatasi in
materia di conferimento di incarichi a soggetti estranei
all’Amministrazione.
Risulta di immediata percezione, infatti, che
il carattere
indubbiamente fiduciario delle nomine non può debordare
nell’arbitrio ma deve comunque corrispondere a dei canoni
(sindacabili in questa sede) di ragionevolezza e buona
amministrazione.
Pertanto, anche ammettendo l’impossibilità, indimostrata
nell’odierno giudizio, di far fronte al fabbisogno con
professionalità interne, ipotizzate non idonee,
l’acquisizione dall’esterno di tali figure avrebbe dovuto
ricadere in ogni caso su persona oggettivamente in grado di
apportare un valore aggiunto all’ente locale per il possesso
innanzitutto dei requisiti di base oltre che di una
specifica preparazione, e comunque previa verifica delle
professionalità disponibili, condotta anche a seguito di
idonea pubblicità.
Nulla di tutto ciò, come si è visto, è avvenuto e,
considerato che gli elementi di valutazione presi in
considerazione dai convenuti sono consistiti unicamente
nella pregressa esperienza lavorativa svolta dal C.
nelle medesime funzioni, dalle quali era cessato nel 2001
per raggiunti limiti d’età,
il Collegio ritiene che i
soggetti che hanno partecipato alla formazione delle
delibere censurate siano incorsi in colpa grave per non
avere applicato e rispettato, pur nella loro immediata e
intrinseca evidenza, i criteri generali dell’azione
amministrativa di ragionevolezza e di buona amministrazione.
Neppure si può sostenere che i convenuti non fossero a
conoscenza dell’effettiva consistenza della pianta organica
dell’ente, ai fini di valutare la congruità di una scelta
che ricercasse altrove il soggetto cui attribuire le
funzioni di responsabile di Area e di Comandante della
Polizia locale, e del mancato possesso, da parte
dell’incaricato, persona ben nota nell’ambito comunale, del
titolo di studio adeguato sia a ricoprire dette funzioni,
sia, sotto il solo profilo strettamente economico,
all’inquadramento nella categoria giuridica D3 di cui, di
fatto, è stato beneficiario.
In relazione alla sussistenza del danno e alla sua
quantificazione, secondo la Procura il danno in fattispecie
consiste nella retribuzione lorda, pari ad euro 81.9992,57
che il Comune di Gavardo ha corrisposto al C. per
effetto del conferimento dei due incarichi di responsabile
dell’Area Vigilanza.
Tale importo è stato addebitato a tutti i soggetti comunque
coinvolti nelle procedure di assunzione e per la
ripartizione delle relative quote ne sono stati ipotizzati i
criteri, come sopra riportati.
Tutto ciò premesso, prima dell’individuazione della
percentuale di responsabilità dei convenuti, il Collegio
deve valutare la fondatezza dell’eccezione difensiva per cui
dal danno erariale, come prospettato dalla Procura, dovrebbe
essere detratta l’utilitas comunque conseguita
dall’Amministrazione comunale, ipotizzata in via subordinata
dai convenuti.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è divisa tra un
orientamento che esclude l’ammissibilità di una tale
valutazione (ex multis, Sez. II n. 430 del 26.10.2010
che testualmente indica: “Al riguardo, va ricordato che la
giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che
l’erogazione di compensi in favore di soggetti che abbiano
svolto un’attività senza il possesso del prescritto titolo
di studio costituisce danno a carico del bilancio dell’ente
interessato, a nulla rilevando la circostanza che gli
emolumenti percepiti abbiano corrisposto a prestazioni
effettivamente svolte. Infatti, nei casi come quello in
esame il possesso dei requisiti culturali e professionali si
pone come necessaria premessa per l’utile svolgimento della
relativa attività”) ed altro orientamento che, a determinate
condizioni, ammette la legittima retribuzione delle attività
lavorative comunque svolte (in particolare Sez. III,
sentenza n. 151/2004 e Sez. Toscana, sentenza n. 251/2011).
Nel caso specifico,
considerato che trattasi di attività per
il cui esercizio non è richiesto un titolo abilitante ovvero
l’iscrizione in appositi albi od elenchi -circostanza che,
ove ricorrente, renderebbe, per volontà legislativa, del
tutto inidonea ogni attività prestata in assenza dei
suddetti titoli- bensì il possesso del diploma di laurea e,
rilevato che le stesse attività, fino al 2001 erano state
svolte a vantaggio dell’Amministrazione dallo stesso
C. che, seppur non munito di laurea, era stato
chiamato a ricoprire tali funzioni a seguito di avanzamenti
interni, ne deriva la ricorrenza dei presupposti per
riconoscere l’utilità delle attività comunque svolte in
esecuzione degli incarichi in esame, non potendo dubitarsi,
trattandosi di circostanza non contestata dalle parti, che
il C. abbia effettivamente svolto, nei periodi in cui
ha rivestito la carica di Responsabile di Area Vigilanza del
Comune di Gavardo e Comandante della Polizia locale, le
funzioni derivanti dagli obblighi contrattuali, volti,
quindi, a vantaggio del Comune di Gavardo e che detta
utilità sia conseguenza immediata e diretta dello stesso
fatto causativo dell'addebito contestato, per cui è un
vantaggio economicamente valutabile
(cfr., in tal senso, Sez.
Emilia Romagna 19.03.2002 n. 874 e 19.01.1998 n. 12;
Sez. III appello 11.05.1998 n. 126; questa Sez.
Lombardia 24.06.1998 n. 1000).
Tale utilità, si precisa tuttavia, non è idonea, come invece
vorrebbero le difese dei convenuti, ad elidere integralmente
il pregiudizio patrimoniale causato al Comune di Gavardo e
consistito nell’affidamento di un incarico, la cui necessità
risulta indimostrata, a soggetto estraneo
all’Amministrazione, privo dei requisiti culturali richiesti
per l’inquadramento riconosciutogli (posizione giuridica D3)
ma retribuito con il corrispondente trattamento economico.
Ciò posto, operando una valutazione equitativa delle
prestazioni svolte dal C. per l’Amministrazione
danneggiata e tenuto conto dei vantaggi da questa conseguiti
in conseguenza dell’incarico illegittimo, si ritiene equo
determinare il danno nell’importo complessivo di euro
40.000,00 comprensivo di rivalutazione monetaria. Detto
importo tiene conto delle retribuzioni che in ogni caso il
Comune avrebbe dovuto erogare in favore del funzionario
destinato a svolgere quelle mansioni.
4.
Ferma restando la quantificazione generale del danno così
rideterminata, la ricostruzione sin qui svolta induce a
ritenere che,
per quanto attiene al Sindaco V.,
preminente sia stato il suo ruolo di promotore dell’intera
procedura, delegato dalla Giunta ad adottare gli atti
relativi alla costituzione del rapporto di lavoro e
concretamente attivatosi per la sottoscrizione, in nome
dell’Amministrazione comunale, del contratto a tempo
determinato con il C.; ad esso, pertanto, deve essere
imputato il 40% del danno.
Per il vice sindaco S.B. ed i componenti della
Giunta comunale di Gavardo B.A., B.B., G.G., A.S., V.Z., presenti
alla votazione di entrambe le deliberazioni n. 237/2010 e n.
230/2011 e votanti, in senso favorevole, il Collegio, per le
ampie motivazioni di cui sopra, ritiene che l’acritica
ratifica delle decisioni portate all’attenzione degli organi
collegiali abbia contribuito al verificarsi del pregiudizio
accertato e debba essere sanzionata con l’addebito
complessivo dell’ulteriore 42% del danno erariale
contestato, da ripartirsi in parti uguali per ciascuno dei
suddetti convenuti.
La condotta del N., caratterizzata, come dimostrato in
atti, dalla partecipazione solo alla prima e non alla
successiva deliberazione di affidamento dell’incarico,
atteso che proprio la delibera n. 237/2010 ha rappresentato
l’indefettibile e necessario presupposto della nomina del
C. e della successiva sottoscrizione del contratto
individuale con previsione della corrispettiva retribuzione
che ha costituito, nei limiti sopra indicati, causa di danno
erariale, merita comunque un addebito di responsabilità,
seppure nella minore misura del 3% del danno causato.
Sussiste altresì la specifica responsabilità per il
segretario comunale P.B. nel cui mandato sono
stati realizzati i presupposti fattuali e giuridici fondanti
la responsabilità erariale che, a giudizio di questo
Collegio, non risulta esclusa ma, piuttosto, confermata,
soprattutto con riguardo alla sussistenza dell’elemento
psicologico, dalla nota prot. n. 5453 del 06.04.2011 -indirizzata alla Giunta comunale ma di cui è rimasta
indimostrata l’effettiva percezione, contestata dai
destinatari– con la quale il Segretario B.,
unitamente al Responsabile dell’Area finanziaria ed al
responsabile dell’Area Affari generali, eccepiva
l’irregolarità della nominata delibera n. 237/2010.
Al segretario B. deve, quindi, essere imputata una
quota pari al 15% del danno riconosciuto.
Conclusivamente i convenuti E.V., P.B., B.A., B.B., G.G., G.N.0, A.S., V.Z., P.B. vanno condannati al pagamento della somma di euro
40.000,00, comprensiva di rivalutazione monetaria, secondo
le percentuali precedentemente rideterminate, oltre ad
interessi legali sull’importo così rivalutato dal deposito
della sentenza al saldo e al pagamento delle spese del
presente giudizio, come determinate in dispositivo, secondo
le percentuali di danno a ciascun convenuto imputate (Corte dei
Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia,
sentenza
01.04.2015 n. 48). |
gennaio 2015 |
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CONSIGLIERI COMUNALI - SEGRETARI COMUNALI:
Quesito in ordine alla verbalizzazione delle
sedute del consiglio comunale.
Si fa riferimento alla nota sopradistinta con la quale
codesta Prefettura a seguito di richiesta del Segretario
generale del Comune di… ha posto un quesito in ordine alle
corrette modalità di verbalizzazione delle sedute di
consiglio comunale.
In particolare, atteso che l’ente non è dotato di
regolamento per il funzionamento del consiglio comunale e
considerato che lo statuto non reca indicazioni sulle
modalità di verbalizzazione, il Segretario, supplendo a tale
carenza, ha chiesto se sia corretta la procedura adottata
dallo stesso che consiste nella registrazione e trascrizione
integrale della discussione e la conseguente pubblicazione
all’albo pretorio on-line e sul sito web istituzionale.
Al riguardo, occorre premettere che l’adozione del
regolamento per il funzionamento del consiglio comunale è
riservata, ai sensi dell’art. 38, comma 2, del decreto
legislativo n. 267/2000, all’autonomia dell’ente.
Tale strumento, da adottare nel quadro dei principi
stabiliti dallo statuto, è necessario per il corretto
funzionamento del consiglio, proprio per l’ampia serie di
istituti da regolamentare, e per il superamento della
disciplina transitoria di cui all’art. 273, comma 6, del
citato decreto legislativo.
Nelle more di una disciplina autonoma, si evidenzia, così
come stabilito dal TAR Lazio, I Sez. con sentenza 10.10.1991, n. 1703, che “il verbale, …, non attiene al
procedimento deliberativo, che si esaurisce e si perfeziona
con la proclamazione del risultato della votazione, ma
assolve ad una funzione di mera certificazione dell’attività
dell’organo deliberante”.
Tale strumento “… ha l'onere di attestare il compimento dei
fatti svoltisi al fine di verificare il corretto "iter" di
formazione della volontà collegiale e di permettere il
controllo delle attività svolte, non avendo al riguardo
alcuna rilevanza l'eventuale difetto di una minuziosa
descrizione delle singole attività compiute o delle singole
opinioni espresse. D'altra parte deve aggiungersi che il
verbale della seduta di un organo collegiale, quale il
Consiglio comunale, costituisce atto pubblico che fa fede
fino a querela di falso dei fatti in esso attestati”
(Conforme Consiglio di Stato, Sez. IV, 25/07/2001, n. 4074).
Atteso che il Presidente del Consiglio comunale in base
all’articolo 39 del richiamato T.U.O.E.L. ha poteri di
convocazione e di direzione dei lavori e delle attività del
consiglio che potrebbero comportare la possibilità di
fornire istruzioni in merito opportunamente condivise dal
consiglio comunale, occorre considerare, tuttavia, che la “cura
delle verbalizzazioni” delle sedute del consiglio e
della giunta sono riservate, ai sensi dell’art. 97, comma 4,
del citato decreto legislativo n. 267/00, direttamente al
Segretario comunale (Ministero dell'Interno,
parere 20.01.2015 - link a http://incomune.interno.it). |
dicembre 2014 |
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SEGRETARI
COMUNALI:
Segretari comunali. Percentuale quota diritti di rogito.
Il comma 2-bis dell'articolo 10 del d.l.
90/2014, convertito in l. 114/2014 dispone che, negli enti
locali privi di dipendenti con qualifica dirigenziale, e
comunque a tutti i segretari comunali che non hanno
qualifica dirigenziale, una quota del provento annuale
spettante al comune ai sensi dell'art. 30, secondo comma,
della l. 734/1973, come sostituito dal comma 2 del medesimo
articolo, per gli atti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della
tabella D allegata alla l. 604/1962, e successive
modificazioni, è attribuita al segretario comunale rogante,
in misura non superiore a un quinto dello stipendio in
godimento.
Il Comune ha chiesto delucidazioni in ordine alla quota del
provento annuale, spettante all'Ente ai sensi dell'art. 30,
secondo comma, della l. 734/1973 come sostituito dall'art.
10, comma 2, del d.l. 90/2014, convertito in l. 114/2014, da
attribuire al proprio segretario rogante, inquadrato in
classe A. In particolare, l'amministrazione istante si è
posta il dubbio concernente la percentuale di detta quota,
considerato che l'art. 41, comma 4, della l. 312/1980 (che
fissava la percentuale del riparto in favore del segretario
rogante) risulta abrogato.
Preliminarmente si osserva che la richiamata norma, a
livello interpretativo, ha formato oggetto di dubbi e
criticità.
Pertanto, è doveroso precisare che l'Autorità competente a
fornire i chiarimenti del caso è il Ministero dell'Interno
(da cui dipendono i segretari comunali), in quanto trattasi
di aspetti che incidono sul trattamento economico della
predetta categoria.
Tuttavia, in via collaborativa, si ritiene comunque utile
esporre le seguenti considerazioni, in base al materiale
reperito al riguardo.
L'art. 10, comma 1, del d.l. 90/2014, convertito in l.
114/2014, ha innanzitutto abrogato l'art. 41, quarto comma,
della l. 312/1980 [1].
Il comma 2 del citato articolo ha poi sostituito l'art. 30,
secondo comma, della l. 734/1973, prevedendo che il provento
annuale dei diritti di segreteria è attribuito integralmente
al comune e alla provincia.
Il successivo comma 2-bis dell'articolo 10 in esame dispone
che, negli enti locali privi di dipendenti con qualifica
dirigenziale, e comunque a tutti i segretari comunali che
non hanno qualifica dirigenziale, una quota del provento
annuale spettante al comune ai sensi dell'art. 30, secondo
comma, della l. 734/1973, come sostituito dal comma 2 del
medesimo articolo, per gli atti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4
e 5 della tabella D allegata alla l. 604/1962, e successive
modificazioni, è attribuita al segretario comunale rogante,
in misura non superiore a un quinto dello stipendio in
godimento.
In generale, sul contenuto del comma 2-bis, dell'art. 10 del
d.l. 90/2014, la Corte dei conti [2]
ha specificato che detta norma 'prevede e distingue le
due ipotesi legittimanti l'erogazione di quota dei proventi.
La prima, quella dei segretari preposti a comuni privi di
personale con qualifica dirigenziale, fattispecie in cui non
ritiene rilevante la fascia professionale in cui è
inquadrato il segretario preposto. La seconda, quella dei
segretari che non hanno qualifica dirigenziale, in cui
àncora l'attribuzione di quota dei diritti di rogito allo
status professionale del segretario preposto, prescindendo
dalla classe demografica del comune di assegnazione'.
Inoltre, con riferimento alla determinazione della quota
spettante, si osserva che, dall'attuale formulazione della
disposizione di cui si discute, come novellata, emerge tra
l'altro che non è stato riproposto alcun riferimento a
determinate percentuali, come in precedenza, ma è stato
fissato solo un limite massimo riferito allo stipendio in
godimento del segretario comunale.
La Corte dei conti [3]
ha ritenuto espressamente che'(....)laddove spettanti, i
proventi annuali dei diritti di segreteria e i diritti di
rogito vadano attribuiti al segretario comunale secondo una
quota che non può superare un quinto dello stipendio in
godimento (trattamento teorico della figura professionale
compresa la retribuzione di risultato) da calcolarsi in
relazione al periodo di servizio prestato nell'anno dal
segretario comunale o provinciale'.
Si è inoltre evidenziato che l'espressione adottata dal
legislatore, riferita al 'provento annuale' induce a
ritenere che gli importi dei diritti di segreteria e di
rogito vadano introitati integralmente al bilancio dell'ente
locale, per essere poi erogati, al termine dell'esercizio,
in una quota calcolata in misura non superiore al quinto
dello stipendio in godimento del segretario comunale, ove
spettante.
In conclusione, nella deliberazione da ultimo citata, si è
affermato che, nel silenzio della legge ed in assenza di
regolamentazione nell'ambito della contrattazione collettiva
di categoria, successiva alla novella normativa, i proventi
in esame sono attribuiti integralmente (e non in
percentuale) al segretario comunale, laddove gli importi
riscossi dal comune, nel corso dell'esercizio, non eccedano
i limiti della quota del quinto della retribuzione in
godimento del medesimo segretario.
---------------
[1] Tale disposizione recitava testualmente: 'Dal
01.01.1979, una quota del provento spettante al comune o
alla provincia ai sensi dell'articolo 30, secondo comma,
della legge 15.11.1973, n. 734, per gli atti di cui ai
numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della tabella D allegata alla legge
08.06.1962, n. 604, è attribuita al segretario comunale e
provinciale rogante, in misura pari al 75 per cento e fino
ad un massimo di un terzo dello stipendio in godimento'.
[2] Cfr. sez. reg. di controllo per la Lombardia, n.
275/2014. Nella fattispecie esaminata si trattava di
segretario di classe A titolare di segreteria convenzionata
tra comuni tutti privi di dirigenti.
[3] Cfr. sez. reg. di controllo per la Sicilia, n.
194/2014/PAR (05.12.2014 -
link a
www.regione.fvg.it). |
ottobre 2014 |
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SEGRETARI
COMUNALI:
La Corte dei conti riassegna i diritti ai segretari di
fascia A. Decreto Pa. Lettura estensiva dalla sezione Lombardia.
L’accesso ai diritti di segreteria da parte del
segretario comunale continua a operare se il servizio viene
prestato in Comuni privi di personale con qualifica
dirigenziale o se i segretari stessi non hanno la qualifica
dirigenziale.
Lo precisa la Corte dei Conti
Lombardia con il
parere 29.10.2014 n. 275.
La magistratura contabile ha precisato che, nel caso di
segretario di fascia A (e quindi equiparato al dirigente
dall’articolo 32 del contratto nazionale del 16.05.2001)
titolare di una convenzione di segreteria tra più enti con
popolazione complessiva compresa tra 10.001 e 65mila
abitanti, dove in nessun ente sono presenti dipendenti con
qualifica dirigenziale, è possibile attribuire i diritti di
segreteria, anche dopo il Dl 90/2014 che ne ha limitato
l’attribuzione al personale interessato.
L’articolo 10 del
Dl 90 prevede che «negli enti locali privi di dipendenti con
qualifica dirigenziale, e comunque a tutti i segretari
comunali che non hanno qualifica dirigenziale», i diritti di
segreteria sono erogati in misura non superiore al quinto
dello stipendio in godimento. La lettura dei giudici risulta
a favore della categoria ma con questa interpretazione solo
i segretari che prestano servizio presso enti locali con
dirigenti si vedrebbero preclusa la possibilità di accedere
dal provento. La norma salva anche i segretari non aventi
qualifica dirigenziale, che sono quelli iscritti alla fascia
C, prescindendo dalla classe demografica del Comune.
Una
lettura diversa della stessa norma porterebbe ad affermare
l’accesso ai diritti di segreteria da parte dei segretari
comunali che non hanno la qualifica dirigenziale e di
conseguenza il provento potrebbe essere attribuito solo ai
segretari di fascia C, cioè quelli che possono ricoprire
sedi fino a 3mila abitanti. Sarebbero esclusi dai compensi i
segretari in Comuni privi di dirigenti, se hanno una
qualifica dirigenziale (di fascia A e B), e i segretari -anche privi della qualifica dirigenziale perché di fascia C- che prestano la loro attività in enti con i dirigenti.
D’altronde il trattamento dei "dirigenti" è per legge da
considerare onnicomprensivo delle funzioni attribuite
dall’ordinamento. Secondo la relazione tecnica del Ddl di
conversione del Dl 90/2014, la nuova norma, meno severa
rispetto a quella prevista prima della conversione che
aboliva tout court il diritto, attenua alcuni effetti per i
segretari che non hanno la qualifica dirigenziale e per
quelli che lavorano in enti privi di dirigenti. La lettera
della norma non aiuta a comprendere quali fossero le reali
intenzioni e forti sono i dubbi di incostituzionalità, anche
perché si incide su un ambito attualmente disciplinato dal
contratto nazionale che secondo il Dlgs 165/2001 non può che
essere demandato alla contrattazione collettiva.
Inoltre con
la nuova formulazione i diritti vengono attribuiti per
intero al segretario rogante, a differenza di prima quando
era ammesso a riparto il 75 percento del 90 percento
spettante all’ente (articolo Il Sole 24 Ore del 10.11.2014
- tratto da http://rstampa.pubblica.istruzione.it). |
SEGRETARI
COMUNALI: Lo stipendio del segretario non può essere «alleggerito».
Corte dei conti. Inapplicabile il Dl Pa in caso di cambio di
ente.
Vi sono molti dubbi sulla
legittimità del divieto di reformatio in peius del
trattamento economico dei segretari comunali che passano a
un ente di fascia inferiore, in quanto questa materia si
deve considerare compresa nella contrattazione collettiva.
In ogni caso sono esenti i segretari in disponibilità.
Sono queste le indicazioni
contenute nel
parere
03.10.2014 n. 52 della sezione regionale di controllo
della Corte dei Conti della Liguria.
Se
questa "coraggiosa" tesi sarà confermata, si pongono seri
dubbi sulla legittimità della diminuzione del trattamento
economico dei segretari che sono passati in un Comune di
classe inferiore, soprattutto laddove tale passaggio sia
avvenuto prima dello scorso 1° gennaio, data di entrata in
vigore della nuova disposizione.
Ricostruiamo tutti i passaggi. La legge n. 147/2013, al
comma 458, ha abrogato le norme che impedivano la reformatio
in peius del trattamento economico dei dipendenti pubblici,
vale a dire l'articolo 202 del Dpr n. 3/1957, che obbligava
le Pubbliche amministrazioni all'erogazione di una indennità
ad personam nel caso di mobilità che determinava il
peggioramento del trattamento economico in godimento, e
l'articolo 3, comma 57, della legge n. 537/1993, per cui
questa indennità non era riassorbibile con i futuri
miglioramenti e non era rivalutabile.
Sulla base di queste disposizioni, la disciolta Agenzia dei
segretari comunali, con la deliberazione n.275/2001, aveva
stabilito che il segretario nominato presso un Comune della
fascia immediatamente inferiore rispetto a quella di
iscrizione manteneva la retribuzione di posizione prevista
per la propria fascia di iscrizione.
Sulla scorta della legge di stabilità l'unità di missione
del ministero dell'Interno, cioè la struttura che ha preso
il posto della disciolta Agenzia dei segretari, con la
circolare n. 3636 (P) del 09.06.2014, peraltro senza
revocare la deliberazione dell'Agenzia, ha chiarito che
l'abolizione del divieto di reformatio in peius si applica
ai segretari comunali e provinciali, «lasciando intendere
(ci dice il parere dei giudici contabili della Liguria) la
non operatività della norma nei confronti del segretari
comunali e provinciali che si trovano nella particolare
situazione della disponibilità».
Il parere, nel confermare l'esclusione per i segretari in
disponibilità, ricorda che la materia del trattamento
economico dei dipendenti è dal Dlgs n. 165/2001 riservata
alla contrattazione collettiva nazionale. Ed ancora, si
afferma che «per il futuro la regolamentazione non potrà che
essere individuata dalla contrattazione collettiva».
Su
questa base viene tratta la seguente conclusione: «Per i
segretari comunali e provinciali perdura la regolamentazione
prevista dalla normativa e dai contratti collettivi vigenti
quantomeno sino alla nuova tornata contrattuale. La mancanza
di una norma precettiva impone infatti l'applicazione ai
rapporti di lavoro delle regole espressamente previste dalla
normativa e dalla contrattazione collettiva esistente, che
rappresentano le uniche fonti di regolamentazione dei
rapporti di lavoro in esame» (articolo Il Sole 24 Ore del
20.10.2014). |
settembre 2014 |
|
SEGRETARI
COMUNALI: Oggetto:
Retribuzione di posizione del Segretario comunale in caso di
segreteria convenzionata
(Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ragioneria
Generale dello Stato,
nota 29.09.2014 n. 76063 di prot.). |
giugno 2014 |
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ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Mini-Comune, no al segretario «dg».
Corte conti Lombardia. Con 4.600 abitanti doppio incarico
bollato come sperpero.
Va risarcito
il Comune sotto i 15mila abitanti in cui il sindaco nomina a
direttore generale il segretario comunale in assenza di
specifiche esigenze locali e organizzative anche se il
provvedimento, all'epoca del fatto, era consentito dalla
legge e nel periodo considerato l'amministratore aveva
lavorato ad atti di programmazione propri di tale figura
gestionale ma facoltativi per i piccoli centri.
Lo ha stabilito la Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale
per la Regione Lombardia, nella
sentenza
27.06.2014 n. 122 in materia di responsabilità
amministrativa.
Il Collegio, sulla base dei riscontri della
Procura regionale su un caso denunciato al Comune di Carrobbio degli Angeli (Bergamo), ha condannato entrambi gli
amministratori a risarcire a vario titolo l'accertato
«sperpero di risorse pubbliche» (20.197,62 euro il totale
delle indennità percepite) poiché la nomina è avvenuta in
«dispregio delle più elementari regole di prudenza e di
buona amministrazione» e con un «un compenso assolutamente
spropositato in considerazione delle oggettive ridottissime
dimensioni demografiche ed organizzative dell'ente».
Per la Corte, per un ente locale con circa 4.600 abitanti,
un organico di 10 dipendenti e con un orario settimanale di
11 ore, la nomina del dg non era necessaria seppur prevista
dalla legge all'epoca in vigore (comma 4, articolo 108, dlgs
267/2001 poi abrogato dal decreto legge 2/2010 e convertito
in legge 42/2010), né era legittima se giustificata dal
fatto che a tale figura era stata affidato il compito di
preparare il Piano esecutivo di gestione, qui atto
facoltativo e, secondo la Procura, solo abbozzato e mai
adottato.
Secondo i giudici, le norme interne come lo statuto comunale
e il Testo unico degli enti locali (articolo 97, comma 4,
dlgs 267/2000) «non precludono al segretario comunale
l'esercizio di poteri gestionali» e, in questo caso, anche
la gestione delle aree «affari generali» e «servizi alla
persona» proprie del segretario «non avrebbe comportato di
per sé necessariamente alcun onere economico aggiuntivo per
il Comune e quindi non specificamente soggette a
remunerazione aggiuntiva sullo stipendio base» (articolo Il Sole 24 Ore del
17.07.2014 - articolo tratto da
www.centrostudicni.it). |
SEGRETARI
COMUNALI: Sul
danno erariale per aver conferito al Segretario Comunale la
funzione di Direttore Generale.
La richiesta risarcitoria avanzata dalla Procura regionale
si riferisce in concreto all’ingiustificato esercizio, da
parte del Sindaco e del Segretario comunale, della facoltà
prevista dall’art. 108, comma 4 del D.Lgs. n. 267 del 18.08.2000 nel testo all’epoca vigente, che consentiva, nei
Comuni con numero di abitanti inferiore a 15.000, di
attribuire al Segretario comunale la funzione di Direttore
Generale, con riconoscimento della relativa indennità.
...
Passando ora al merito il Collegio deve rilevare,
contrariamente a quanto affermato dalla difesa dei
convenuti, che le norme interne non precludono al Segretario
comunale l’esercizio di poteri gestionali e prova di ciò è
il fatto che gli stessi decreti di nomina non imputano al
Segretario alcuna specifica funzione, rispetto a quelle poi
in concreto esercitate.
Ne consegue che, pur considerando gli atti di nomina quale
espressione del potere di organizzazione dell’Ente, la
condotta dei convenuti appare non conforme a ragionevolezza
in applicazione dei principi di buona gestione a cui deve
ispirarsi l’azione amministrativa, che è attività non libera
ma vincolata nel fine. Infatti, le finalità dell’agire
amministrativo sono riconducibili ai concetti di buon
andamento e di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., come
appare evidente dall’art. 1, comma 1 della Legge n. 241 del
1990 (nel testo modificato dall’art. 1 della Legge n.
15 del 2005 e dall’art. 7, comma 1, lett. a) della Legge n.
69 del 2009), il quale stabilisce che: “l’attività
amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è
retta da criteri di economicità, di efficacia, di
imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le
modalità previste dalla presente legge e dalle altre
disposizioni che disciplinano i singoli procedimenti, nonché
dai principi dell’ordinamento comunitario”.
Inoltre, dal contesto lavorativo in cui il Rapisarda ha
ricevuto le funzioni e la conseguente indennità di Direttore
Generale (Comune di 4.600 abitanti, con un organico di 10
dipendenti e con orario settimanale di 11 ore) risulta
evidente che i convenuti hanno agito in dispregio delle più
elementari regole di prudenza e di buona amministrazione,
avendo concordato un compenso assolutamente spropositato in
considerazione delle oggettive ridottissime dimensioni
demografiche ed organizzative dell’Ente.
Tanto premesso nel caso di specie deve rilevarsi che il
conferimento al Rapisarda delle due aree gestionali “affari
generali” e “servizi alla persona” non avrebbe comportato di
per sé necessariamente alcun onere economico aggiuntivo per
il Comune perché rientranti nelle funzioni attribuibili per
legge e per previsione statutaria al Segretario comunale, e
quindi non specificamente soggette a remunerazione
aggiuntiva sullo stipendio base.
Va da sé che la rilevata irragionevolezza degli atti di
nomina è la diretta conseguenza del comportamento tenuto dai
convenuti, comportamento che ha cagionato un rilevante danno
all’Ente locale ed
è ascrivibile ad un atteggiamento gravemente colposo da
parte loro.
Di tale danno sono responsabili il Sindaco Parsani per aver
adottato i contestati provvedimenti di attribuzione al
Rapisarda delle funzioni di Direttore generale, e il
Rapisarda stesso, che, nella sua qualità, ha omesso di
rilevarne l’irragionevolezza, ed ha così beneficiato
dell’indennità connessa.
Sul punto il Collegio deve anche precisare che la gravità
della colpa non è attenuata dagli obiettivi raggiunti
dall’Ente sotto la direzione del Dott. Rapisarda in quanto
la prestazione lavorativa, in particolare quella relativa al
livello di vertice della struttura amministrativa deve
tendere ad ottenere i risultati programmati e i contratti
collettivi di lavoro della categoria prevedono a tal fine
specifici istituti per l’incentivazione della produttività.
Sussistono, quindi, tutti gli elementi essenziali
costitutivi della responsabilità amministrativa.
Passando ora alla quantificazione del danno deve rilevarsi
che effettivamente il Rapisarda nel periodo in esame
(settembre 2009 - dicembre 2010) ha percepito solo
l’indennità di direzione e non anche quella di risultato
(cfr. all. n. 8 del fascicolo della difesa).
Di conseguenza, questa Sezione, pur in assenza di evidenze
documentali che possano attestare l’effettivo risparmio in
tal senso ottenuto dal Comune di Carrobbio degli Angeli,
ritiene comunque di doverne tener conto, ai fini
dell’esercizio del potere riduttivo.
Il Collegio ritiene altresì di tener conto del fatto che la
Giunta comunale del Comune di Carrobbio degli Angeli con
delibera n. 79/2009 ha espresso il proprio parere favorevole
alla nomina del Rapisarda a Direttore Generale ed al
conferimento a quest’ultimo della conseguente indennità
(cfr. all. n. 4 del fascicolo della difesa).
Infatti, tale circostanza, anche se non incide direttamente
sull’apporto causale alla produzione del danno, in quanto la
Giunta comunale non è di certo l’Organo titolato ad emanare
l’atto di nomina in esame, tuttavia assume un non
trascurabile rilievo sul fronte dell’elemento soggettivo.
Infatti, pur se non è sufficiente per elidere l’elemento
della colpa grave, ne viene in concreto ad attenuare la
consistenza.
Ancora, il Collegio rileva che pur rappresentando il PEG,
come già detto, solo uno degli elementi da valutare per
poter qualificare come ragionevole o meno l’atto di nomina a
Direttore Generale, va comunque tenuto conto anche del fatto
che, nel caso di specie, quest’ultimo è stato quanto meno
abbozzato dal Rapisarda per il 2011.
Di conseguenza, a fronte dell’importo di danno azionato
dalla Procura regionale, ai convenuti può essere imputata la
minor somma di euro 10.000,00, ad oggi già rivalutata oltre
gli interessi legali, calcolati a decorrere dalla data di
deposito della sentenza e sino al saldo effettivo, somma che
deve essere ripartita addebitandone il 40% al Sindaco
Parsani (euro 4.000,00) ed il 60% al Dott. Rapisarda (euro
6.000,00), in ragione della professionalità specifica di
quest’ultimo che, nella veste di Segretario comunale, e
quindi organo di consulenza generale dell’Ente, disponeva di
maggiori elementi per prevedere le ricadute negative della
contestata condotta
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia,
sentenza 27.06.2014 n. 122). |
maggio 2014 |
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SEGRETARI
COMUNALI:
Segretari comunali. Limiti spese per missione e convenzioni.
Il Dipartimento della Ragioneria
Generale dello Stato ha chiarito che l'art. 45, comma 2, del
CCNL del 16.05.2001 per i segretari comunali e provinciali,
inerente il rimborso delle spese sostenute dal segretario
titolare di sede di segreteria convenzionata, per gli
spostamenti tra le varie sedi istituzionali, non è stato
reso inefficace dall'entrata in vigore dell'art. 6, comma
12, del d.l. 78/2010, convertito in l. 122/2010, che pone
limitazioni alle spese per missione.
Il Comune ha chiesto di conoscere se il limite di spesa per
missioni di cui all'art. 6, comma 12, del d.l. 78/2010,
convertito in l. 122/2010, debba intendersi applicabile
anche nei confronti dei rimborsi per accessi effettuati dal
segretario comunale in convenzione, per gli spostamenti
dalla sede principale all'ente in convenzione.
La richiamata norma prevede che, a decorrere dall'anno 2011,
le amministrazioni inserite nel conto economico consolidato
delle pubbliche amministrazioni non possono effettuare spese
per missioni, anche all'estero, con esclusione delle
missioni internazionali di pace e delle Forze armate, delle
missioni delle forze di polizia e dei vigili del fuoco, del
personale di magistratura, nonché di quelle strettamente
connesse ad accordi internazionali ovvero indispensabili per
assicurare la partecipazione a riunioni presso enti e
organismi internazionali o comunitari, nonché con
investitori istituzionali necessari alla gestione del debito
pubblico, per un ammontare superiore al 50 per cento della
spesa sostenuta nell'anno 2009.
La disposizione in esame precisa altresì che gli atti e i
contratti posti in essere in violazione di tale prescrizione
costituiscono illecito disciplinare e determinano
responsabilità erariale.
Si stabilisce inoltre che il limite di spesa fissato può
essere superato in casi eccezionali, previa adozione di un
motivato provvedimento adottato dall'organo di vertice
dell'amministrazione, da comunicare preventivamente agli
organi di controllo ed agli organi di revisione dell'ente.
Si specifica altresì che il limite introdotto non si applica
alla spesa effettuata per lo svolgimento di compiti
ispettivi e che, a decorrere dalla data di entrata in vigore
del medesimo d.l. 78/2010, gli articoli 15 della l. 836/1973
[1] e
417/1978 [2]
e relative disposizioni di attuazione non si applicano al
personale contrattualizzato di cui al d.lgs. 165/2001 e
cessano di avere effetto eventuali analoghe disposizioni
contenute nei contratti collettivi.
Si informa che della questione prospettata dall'Ente istante
era stato investito a suo tempo, da parte dello scrivente
Servizio, il Ministero dell'Interno, che aveva coinvolto a
sua volta il Dipartimento della Ragioneria Generale dello
Stato.
Il citato Dipartimento si è espresso nei seguenti termini
[3].
Si è innanzitutto rammentato che le Sezioni Riunite in sede
di controllo della Corte dei conti hanno ritenuto che l'art.
45, comma 2, del CCNL del 16.05.2001 per i segretari
comunali e provinciali [4]
'non sia stato reso inefficace dall'entrata in vigore
dell'art. 6, comma 12, della legge n. 122 del 2010 stante la
diversità della fattispecie. L'art. 6 della legge n. 122 del
2010 ha limitato le spese connesse al trattamento di
missione, ossia ai trasferimenti effettuati per conto
dell'amministrazione di appartenenza per l'espletamento di
funzioni ed attività da compiere fuori dalla sede. Il
rimborso previsto dall'art. 45, comma 2, del CCNL intende
sollevare il segretario comunale o provinciale dalle spese
sostenute per gli spostamenti fra le varie sedi
istituzionali ove il medesimo è chiamato ad espletare le
funzioni. L'art. 45, comma 3, ripartendo la spesa per
suddetti trasferimenti tra i diversi enti interessati
secondo le modalità stabilite nella convenzione'
dimostra come tale onere assuma carattere negoziale e non
possa ricondursi all'interno del trattamento di missione
tout court.
Deve pertanto ritenersi che le limitazioni al trattamento di
missione introdotte dall'art. 6 della legge n. 122 del 2010
non comportino l'inefficacia dell'art. 45, comma 2, del CCNL
del 16.05.2001 per i Segretari Comunali e Provinciali
inerente il rimborso delle spese sostenute dal segretario
titolare di sede di segreteria convenzionata.
La Ragioneria Generale dello Stato, nel concordare con il su
esposto orientamento, ha inoltre rappresentato ulteriori
riflessioni sull'argomento.
In particolare, si è precisato che l'uso del mezzo proprio,
da parte di un segretario titolare di una segreteria
convenzionata, non configura un'esigenza estemporanea ed
episodica, quanto piuttosto una modalità operativa e
organizzativa connaturata alle caratteristiche proprie
dell'istituto in esame. In sostanza, l'esigenza di garantire
la necessaria flessibilità al segretario comunale, per
suddividere la sua prestazione professionale tra più enti,
appare legata alla possibilità di continuare ad utilizzare
il mezzo proprio. Inoltre, le caratteristiche peculiari
dell'attività del segretario, legata ai tempi e alle
esigenze degli organi politici (si pensi, ad esempio, alla
partecipazione a giunte e consigli comunali) rendono la
medesima difficilmente conciliabile con l'uso di mezzi
pubblici o di auto di proprietà degli enti.
A ciò deve aggiungersi che la stipulazione di una
convenzione di segreteria ha tra i suoi obiettivi
fondamentali proprio il conseguimento di un risparmio di
spesa, poiché consente agli enti convenzionati (nella
maggioranza dei casi, piccoli comuni) di non accollarsi in
toto una retribuzione di significativa rilevanza.
In conclusione, la Ragioneria Generale dello Stato ha
considerato non disapplicata la disposizione contrattuale di
cui all'art. 45 del CCNL del 16.05.2001.
Tuttavia, nell'ottica di garantire la compatibilità di
quanto affermato con i principi di risparmio introdotti dal
d.l. 78/2010, ha ritenuto comunque necessario fornire
ulteriori precisazioni di dettaglio.
Si è evidenziato che deve ritenersi disapplicata qualsiasi
disposizione, a qualsiasi titolo posta in essere, che ancori
l'entità del rimborso chilometrico alle tariffe ACI.
Viceversa, deve ritenersi attribuibile solo un'indennità
chilometrica pari ad un quinto del costo della benzina verde
per ogni chilometro. Nelle convenzioni di segreteria devono
essere predeterminate puntuali misure volte a circoscrivere
gli spostamenti del segretario tra una sede e l'altra a
quanto strettamente necessario alle esigenze lavorative,
attraverso una programmazione delle presenze che riduca al
minimo indispensabile gli oneri di rimborso per gli enti.
Da ultimo, si è sottolineato che nessun rimborso debba
essere riconosciuto per i tragitti abitazione-luogo di
lavoro e viceversa.
---------------
[1] Trattamento economico di missione e di trasferimento
dei dipendenti statali.
[2] Adeguamento trattamento economico di missione e di
trasferimento dei dipendenti statali.
[3] Con nota prot. n. 54055 del 21.04.2011.
[4] Tale norma prevede che al segretario titolare di
segreterie convenzionate, per l'accesso alle diverse sedi,
spetta il rimborso delle spese di viaggio effettivamente
sostenute e documentabili (02.05.2014
-
link a
www.regione.fvg.it). |
SEGRETARI
COMUNALI:
Personale degli enti locali. Spese personale e assunzione
segretario.
La Corte dei conti ha chiarito che la
spesa inerente alla figura del segretario comunale, sotto il
profilo finanziario, è assimilata a quella del personale e
risulta assoggettata pertanto ai vincoli imposti dalla
disciplina finanziaria vigente.
Il Comune si è posto la questione relativa alla possibilità
di 'assumere' il segretario comunale, figura
obbligatoria per legge, qualora con detta 'assunzione' non
vengano poi rispettati i limiti di spesa complessivi per il
personale (conseguenza del fatto che in passato si è fatto
ricorso a prolungate reggenze o supplenze o a convenzioni
tra una molteplicità di comuni). L'Ente richiama, a tal
proposito, le osservazioni formulate dalla Corte dei conti
della Lombardia (parere n. 130/2014) e chiede di conoscere
se debba prioritariamente essere garantita la presenza di
una figura obbligatoria per legge procedendo,
successivamente, a sostenere spese per figure professionali
non obbligatorie.
Sentito il Servizio finanza locale, si osserva quanto segue.
La Corte dei conti, nel citato parere, ha evidenziato che il
segretario comunale è un pubblico funzionario dipendente del
Ministero dell'Interno, che svolge le proprie funzioni
presso un ente territoriale, in base ad incarico conferito
attraverso un provvedimento di nomina del Sindaco.
La particolarità di detta figura, obbligatoria per legge
[1], non
influisce comunque sull'allocazione, sotto il profilo
finanziario, delle poste contabili relative all'incardinamento
(solo in senso lato qualificabile come assunzione) in capo
all'ente locale presso cui il segretario operi
funzionalmente, in modo assimilabile a quelle per i
dipendenti [2].
La Corte dei conti ha rilevato che, conseguentemente,
l'aspetto problematico risulta quello di conciliare
l'evidente obbligatorietà dell'incardinamento del segretario
comunale con la disciplina finanziaria vigente, in
particolare con riferimento ai limiti posti alla spesa del
personale intesa complessivamente.
Ha evidenziato, a tal proposito, che la spesa per il
personale 'per la sua importanza strategica ai fini
dell'attuazione del patto di stabilità interno (data la sua
rilevante entità), costituisce non già una minuta voce di
dettaglio, ma un importante aggregato della spesa di parte
corrente [3],
con la conseguenza che le disposizioni relative al suo
contenimento assurgono a principio fondamentale della
legislazione statale'.
Premesso un tanto, si è anche sottolineato che, in linea di
massima, la disciplina finanziaria non interferisce con la
disciplina ordinamentale e tiene fermi facoltà, obblighi e
divieti sostanziali imputabili all'amministrazione;
introduce piuttosto indirette limitazioni alla
discrezionalità operativa degli enti che, a causa dei
predetti limiti, sotto la propria responsabilità, devono
effettuare scelte gestionali che li mettano in condizione di
esercitare facoltà e adempiere doveri compatibilmente con il
rispetto di tali obiettivi di spesa, e ciò è sostenibile
anche per l'esercizio di legittime prerogative come, nel
caso di specie, la nomina di un segretario comunale.
In sostanza, la Corte dei conti ha ribadito che il comune
non può sottrarsi al rispetto dei vincoli di finanza
pubblica relativi alle spese del personale. E' onere,
pertanto, di ogni singola amministrazione effettuare scelte
alternative, come la rinuncia al turn-over o la riduzione
delle voci di spesa di personale facoltative, per personale
non strutturato [4],
ricompreso nel calcolo dell'aggregato previsto dalla vigente
normativa finanziaria.
In ogni caso -ha concluso la Corte dei conti- resta ferma la
necessità, per le amministrazioni locali, di verificare la
compatibilità di qualsiasi scelta si intenda effettuare con
la disciplina finanziaria medesima.
In conclusione, appurato l'obbligo di legge di garantire la
figura del segretario comunale, spetta al Comune 'adottare
tutte le possibili forme organizzative che consentono il
rispetto del contenimento della spesa del personale, in
primo luogo, cercando una forma di collaborazione del
segretario comunale che contenga per quanto è possibile la
spesa ed eventualmente riducendo altre spese di personale'
[5]
facoltative.
La Corte dei conti, sez. Marche [6],
richiamando l'orientamento espresso dalla sez. Veneto, con
deliberazione n. 154/2011, ha precisato inoltre che 'ai
fini della verifica del rispetto del vincolo posto dalla
legge deve necessariamente prescindersi dalla valutazione
circa la precarietà o meno della copertura del posto del
Segretario: ciò che rileva è la figura in quanto tale, per
la sua indefettibilità evidenziata tra l'altro non solo
dalla previsione dell'art. 97 del TUEL (e in particolare il
compito di assistenza agli organi), ma anche dalla stessa
circostanza (...) secondo cui in caso di mancata nomina
viene comunque inviato un Segretario, seppur in
disponibilità (...). La circostanza secondo cui tale spesa,
sia pure in un'ottica complessiva di matrice vincolistica
che tende alla sua diminuzione, debba essere comunque
garantita, rafforza ancora di più la conclusione sopra
riportata, alla luce tra l'altro delle rinnovate funzioni
attribuite alla figura del Segretario comunale e a seguito
in particolare del D.lgs. 190/2012
[7] che
individuano, di norma, in tale figura l'organo responsabile
della prevenzione della corruzione e di fondamentali compiti
di programmazione e vigilanza'.
---------------
[1] Vedasi in proposito la lettera dell'Assessore alla
funzione pubblica, autonomie locali e coordinamento delle
riforme, prot. n. 703-SP/13-G, 'Copertura sedi vacanti di
segreteria nella Regione Friuli Venezia Giulia' del
12.12.2013.
[2] Cfr. anche Corte dei conti, Sezione Autonomie,
deliberazione 30.05.2012, n. 8. Tale sezione è giunta alla
conclusione che nel complessivo assetto normativo che regola
ruolo, funzioni e 'status' dei segretari comunali, pur a
fronte di incrementi della spesa di personale non coerenti
con gli obiettivi di finanza pubblica, tenuto conto delle
specifiche disposizioni di contenimento di tale tipo di
spesa, non sono intervenute innovazioni tali da poter
giustificare una posizione funzionale diversa nel contesto
ordinamentale degli enti locali e che pertanto non
sussistono elementi per una ridefinizione della natura
giuridico-economica della retribuzione agli stessi
spettante, che possa giustificare un'allocazione contabile
delle relative spese diversa da quella in cui sono appostate
le spese per il personale dipendente degli enti.
[3] Secondo il principio posto dalla Corte dei conti (cfr.
Sezioni Riunite, deliberazione n. 27 del 2011), per
individuare l'esatto aggregato della spesa di personale nel
confronto con la spesa corrente, la si deve ritenere come
onnicomprensiva di tutte le sue possibili componenti e
quindi inclusiva di ogni voce, comprese quelle sostenute con
finanziamenti esterni. L'art. 1, comma 557-bis, della l.
296/2006 (disciplina statale) precisa che costituiscono
spese di personale anche quelle sostenute per i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa, per la
somministrazione lavoro, per il personale di cui
all'articolo 110 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267,
nonché per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza
estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e
organismi variamente denominati partecipati o comunque
facenti capo all'ente. Per quanto concerne la normativa
finanziaria applicabile agli enti locali della Regione
Friuli Venezia Giulia, l'art. 12, comma 25, della l.r.
17/2008 stabilisce che costituiscono spese di personale,
oltre a quelle iscritte all'intervento 1 del titolo I della
spesa corrente, anche quelle sostenute per i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa, per la
somministrazione di lavoro, per il personale di cui
all'articolo 110 del decreto legislativo 267/2000.
[4] Da intendersi quale ricorso a forme contrattuali di
lavoro flessibile (ad es. co.co.co., lavoro somministrato,
rapporti a tempo determinato), non riferito quindi a
rapporti di lavoro a tempo indeterminato, che comportano un
costo di bilancio irreversibile.
[5] Cfr. Corte dei conti, sez. Lombardia, deliberazione n.
1047 del 2010, Corte dei conti, sez. Veneto, parere n.
97/2013.
[6] Cfr. deliberazione n. 64/2013.
[7] Rectius, legge 190/2012
(02.05.2014 -
link a
www.regione.fvg.it). |
febbraio 2014 |
|
ATTI AMMINISTRATIVI - SEGRETARI COMUNALI:
P. Russo,
Il conflitto d’interessi nella funzione di responsabile
della prevenzione della corruzione e della direzione dei
controlli interni negli enti locali (14.02.2014
- link a www.diritto.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
In applicazione dell'art. 97 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267 (T.U.
Enti locali) al segretario comunale sono affidati compiti di coordinamento
dell'attività dei dirigenti e degli uffici cui questi ultimi sono preposti,
nonché di sovrintendenza allo svolgimento delle relative funzioni, senza
che, però, detti dirigenti -cui è assegnata una sfera di attribuzioni
derogabile solo con norma primaria- assumano diretta responsabilità nei
confronti del segretario.
Pertanto, l'attribuzione al segretario comunale dei detti compiti di
sovrintendenza e di coordinamento non può essere intesa nel senso che allo
stesso sia concesso un potere di sostituzione dei dirigenti nell'emanazione
dei provvedimenti amministrativi di loro competenza.
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Nel nuovo
ordinamento degli enti locali, il segretario comunale non rientra più nel
novero dei dirigenti dell'amministrazione locale e tale costruzione è
ulteriormente confermata dall'art. 97 d.lgs. 18.08.2000 n. 267 (T.U. Enti
locali), laddove al comma 4, lett. d), ipotizza l'affidamento al segretario
comunale di competenze dirigenziali limitate e pur sempre legate ad esigenze
eccezionali e transeunti.
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FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale Amministrativo
Regionale dell’Emilia Romagna –Sede di Parma- ha respinto il ricorso di
primo grado, corredato da motivi aggiunti, proposto dalla parte odierna
appellante e volto ad avversare tutti gli atti adottati dal comune di
Guastalla in relazione ad una procedura espropriativa che coinvolgeva i
terreni dagli stessi posseduti e con il quale era stato altresì richiesto il
risarcimento dei danni arrecati a seguito dall’attività amministrativa
asseritamente illegittima posta in essere dal comune.
Gli odierni appellanti avevano premesso di essere comproprietari di un
complesso immobiliare sito nel Comune di Guastalla, composto da un
fabbricato in cui si svolgeva l’attività di ristorante da loro stessi
gestita ed un’area cortiliva (Foglio 4 mappale 37), che fungeva da
parcheggio e da zona di carico e scarico merci a servizio dell’attività di
ristorante.
Il Comune di Guastalla, già dal bilancio del 2001, aveva inserito
nell’elenco annuale delle opere pubbliche la realizzazione di una pista
pedonale ciclabile sul lato est di Viale Po tra Porta Po e il Ponte stabile
sul Po (SP35), il cui progetto preliminare era stato approvato con
deliberazione della Giunta Comunale n. 1 del 10.01.2001 e la previsione
dell’opera era stata successivamente confermata anche nel bilancio del 2002.
L’opera, sia pure a seguito di una modifica del progetto preliminare, era
stata nuovamente inserita nel bilancio del 2003 e il progetto esecutivo è
stato approvato con atto della Giunta Comunale n. 84 del 11.06.2003.
Gli appellanti avevano presentato il ricorso al Tar chiedendo
l’annullamento, previa sospensione, della delibera della Giunta comunale n.
84 del 11.06.03 ma il TAR aveva respinto l’istanza cautelare.
In conseguenza di ciò il Comune -avvedutosi, tra l’altro, di un errore
catastale, che riguardava proprio la proprietà dei signori Sc.- aveva
approvato una perizia di variante al progetto esecutivo sopraindicato,
proprio al fine di stralciare i lavori previsti su tale appezzamento
Era stato anche esperito un tentativo di pervenire ad un accordo bonario per
la cessione dell’area, onde evitare l’esproprio delle aree di proprietà di
parte appellante: con lettera del 13.01.2004 prot. n. 804 era stata
comunicato ai proprietari l’adozione della variante al PRG per l’apposizione
del vincolo preordinato all’esproprio per la realizzazione delle opere
conseguenti alla realizzazione della pista ciclabile –2° stralcio– ai sensi
degli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 327/2001. La variante, in assenza di
osservazioni da parte dei proprietari, era stata poi approvata in via
definitiva con la delibera del Consiglio comunale n. 7 del 28.01.2004.
L’Ufficio Espropri del Comune, con lettera del 04.08.2004, aveva comunicato
gli estremi del progetto definitivo-esecutivo, ai sensi dell’art. 17 del
D.P.R. 327/2001, oltre a proporre l’indennità provvisoria.
Per completare i lavori, garantendo la corretta e sicura transitabilità di
Viale Po, erano state attivate le procedure di occupazione d’urgenza
dell’area di proprietà catastale della ditta Sc., ai sensi del 1° comma
dell’art. 22-bis del D.P.R. n. 327/2001, in tal modo disponendo
l’occupazione del bene, l’immissione in possesso e la determinazione, per il
periodo intercorrente tra la data di immissione in possesso e la data di
corresponsione dell’indennità di espropriazione, dell’indennità di
occupazione.
Avverso tutti i detti atti gli appellanti erano insorti prospettando
numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere che il Tar ha
analiticamente vagliato e respinto.
...
Il primo giudice ha parimenti respinto la seconda censura con la
quale ci si doleva che il provvedimento 636 del 22.10.2004 e il conseguente
decreto di occupazione di urgenza 21478 del 25.10.2004 nonché l’atto di
avviso del 25.10.2004, erano stati emanati da soggetto incompetente, se non
del tutto privo del relativo potere, in quanto avrebbero dovuto essere
emanati, ai sensi dell’art. comma 5 del T.U., dal Dirigente e non dal
funzionario, come, di fatto, è avvenuto.
Il Tar ha in proposito osservato che il Comune, con il provvedimento del
29/12/2001 aveva assegnato al segretario generale la reggenza ad interim
degli interventi sul territorio e patrimonio sino alla copertura del posto
vacante di Responsabile della medesima area, premettendo che il segretario
generale avrebbe provveduto a delegare le rispettive competenze tra i due
responsabili dell’area tecnica, (funzionari).
A avviso del Tar tale impostazione –Sindaco che assegna le funzioni al
Segretario generale e quest’ultimo che delega ai singoli dipendenti
funzionari dell’area- era conforme al disegno organizzativo disegnato dal
legislatore pensando, in particolare, ai Comuni di non grandi dimensioni:
l’art. 97 del d.lgs. 267/2000, comma 4, lett. d), prevedeva che potevano
essere esercitate dal segretario comunale tutte le funzioni attribuitegli
dal Sindaco (parimenti l’articolo 17 del d.lgs. 30/03/2001 n. 165 sanciva la
facoltà per i dirigenti di delegare alcune delle competenze gestionali a
loro attribuite ai dipendenti che ricoprivano le qualifiche funzionali più
elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidati).
Alla luce di tali elementi, la circostanza che il comune si fosse dotato di
un assetto organizzativo che prevedeva la delega delle funzioni inerenti
l’area del territorio e del patrimonio da parte del Segretario generale a
tre funzionari di categoria D3 era conforme alle disposizioni ordina
mentali: ne discendeva che il geometra comunale che aveva emanato gli atti
relativi al procedimento di esproprio era perfettamente competente, nella
sua veste di soggetto delegato dal segretario generale e di funzionario
apicale cui erano state sostanzialmente riconosciute le funzioni
dirigenziali.
Quanto agli altri profili della censura (assenza della indicazione della
durata dell’occupazione d’urgenza, mancanza dei presupposti di urgenza
necessari), anch’essi sono stati dichiarati infondati, in quanto la durata
dell’occupazione d’urgenza era fissata nelle premesse del provvedimento in
12 mesi, mentre per quanto concerne i presupposti dell’urgenza essi si erano
compendiati nel fatto che i lavori erano stati necessitati dalla messa in
sicurezza della strada e dalla vicina presenza delle aree golenali.
...
DIRITTO
...
2. Quanto alla censura di incompetenza, si osserva che: il Tuel (d.Lvo.
267/2000, all’art. 97, comma 4) prevede che “Il segretario sovrintende
allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività,
salvo quando ai sensi e per gli effetti del comma 1 dell'articolo 108 il
sindaco e il presidente della provincia abbiano nominato il direttore
generale. Il segretario inoltre:
a) partecipa con funzioni consultive, referenti e di assistenza
alle riunioni del consiglio e della giunta e ne cura la verbalizzazione;
b) esprime il parere di cui all'articolo 49, in relazione alle sue
competenze, nel caso in cui l'ente non abbia responsabili dei servizi;
c) può rogare tutti i contratti nei quali l'ente è parte ed
autenticare scritture private ed atti unilaterali nell'interesse dell'ente;
d) esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai
regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia;
e) esercita le funzioni di direttore generale nell'ipotesi prevista
dall'articolo 108, comma 4.2.”
La lett. d) distingue tra funzioni “originarie” e “conferitegli”.
E’ ben noto al Collegio l’orientamento della giurisprudenza di legittimità
secondo cui “in applicazione dell'art. 97 del d.lgs. 18.08.2000 n. 267,
recante il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, al
segretario comunale sono affidati compiti di coordinamento dell'attività dei
dirigenti e degli uffici cui questi ultimi sono preposti, nonché di
sovrintendenza allo svolgimento delle relative funzioni, senza che, però,
detti dirigenti -cui è assegnata una sfera di attribuzioni derogabile solo
con norma primaria- assumano diretta responsabilità nei confronti del
segretario. Pertanto, l'attribuzione al segretario comunale dei detti
compiti di sovrintendenza e di coordinamento non può essere intesa nel senso
che allo stesso sia concesso un potere di sostituzione dei dirigenti
nell'emanazione dei provvedimenti amministrativi di loro competenza"
(Cass. Civ. Sez. lavoro, Sent. n. 13708 del 12.06.2007).
Sennonché, va rammentato che le funzioni “conferite” al Segretario
Generale sono quelle spettanti ai Dirigenti e che, quanto a questi ultimi,
l’art. 17 del Tu n. 165/2001 prevede la delegabilità delle funzioni (“I
dirigenti, nell'ambito di quanto stabilito dall'articolo 4 esercitano, fra
gli altri, i seguenti compiti e poteri:
a) formulano proposte ed esprimono pareri ai dirigenti degli uffici
dirigenziali generali;
b) curano l'attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi
assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i
relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di
spesa e di acquisizione delle entrate;
c) svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti
degli uffici dirigenziali generali;
d) dirigono, coordinano e controllano l'attività degli uffici che
da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche
con poteri sostitutivi in caso di inerzia;
d-bis) concorrono all'individuazione delle risorse e dei profili
professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono
preposti anche al fine dell'elaborazione del documento di programmazione
triennale del fabbisogno di personale di cui all'articolo 6, comma 4;
e) provvedono alla gestione del personale e delle risorse
finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici, anche ai sensi di
quanto previsto all'articolo 16, comma 1, lettera l-bis;
e-bis) effettuano la valutazione del personale assegnato ai propri
uffici, nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione
economica e tra le aree, nonché della corresponsione di indennità e premi
incentivanti.
1-bis. I dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono
delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato,
alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d)
ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più
elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati. Non si applica in ogni
caso l'articolo 2103 del codice civile.”).
Orbene, nei limiti in cui è prevista la delega al Segretario generale di
funzioni dirigenziali (TAR Calabria Catanzaro Sez. II, 12.03.2002, n. 571: “nel
nuovo ordinamento degli enti locali, il segretario comunale non rientra più
nel novero dei dirigenti dell'amministrazione locale e tale costruzione è
ulteriormente confermata dall'art. 97 d.lgs. 18.08.2000 n. 267, laddove al
comma 4, lett. d), ipotizza l'affidamento al segretario comunale di
competenze dirigenziali limitate e pur sempre legate ad esigenze eccezionali
e transeunti.”) costituisce vizio prospettico rilevante ritenere che
esse non possano essere a propria volta delegate a funzionari.
Invero, posto che l’appello non censura il primo “passaggio” (dal
Sindaco al Segretario), non è validamente contestabile il secondo (dal
Segretario al funzionario), operando il consolidato principio per cui (Cons.
Stato Sez. V, 01.12.2006, n. 7081) “qualora in un Comune non vi siano
figure dirigenziali, solo con un atto sindacale di attribuzione di dette
funzioni le stesse possono essere esercitate da funzionari non dirigenti
rimanendo riservate al Sindaco in assenza di tale atto di delega”.
Negare tale sviluppo significherebbe perseguire due inaccettabili opzioni
ermeneutiche: la prima, diretta a negare applicazione pratica alla
prescrizione su riportata ex art. 97, comma 4, lett. d), del Tuel; ovvero,
in subordine, prevedere la traslazione diretta ed obbligatoria sul
segretario generale, senza che questi possa avvalersi dei funzionari.
In entrambi i casi, un risultato inaccettabile che paralizzerebbe i piccoli
comuni privi (come lo era illo tempore l’appellata amministrazione
comunale) di un dirigente preposto all’area tecnica.
Ad abundantiam, si rileva che ai sensi del co. V dell’art. 6 del dPR
n. 327/2001 (“1. L'autorità competente alla realizzazione di un'opera
pubblica o di pubblica utilità è anche competente all'emanazione degli atti
del procedimento espropriativo che si renda necessario.
2. Le amministrazioni statali, le Regioni, le Province, i Comuni e
gli altri enti pubblici individuano ed organizzano l'ufficio per le
espropriazioni, ovvero attribuiscono i relativi poteri ad un ufficio già
esistente.
3. Le Regioni a statuto speciale o a statuto ordinario e le
Province autonome di Trento e di Bolzano emanano tutti gli atti dei
procedimenti espropriativi strumentali alla cura degli interessi da esse
gestiti, anche nel caso di delega di funzioni statali.
4. Gli enti locali possono istituire un ufficio comune per le
espropriazioni e possono costituirsi in consorzio o in un'altra forma
associativa prevista dalla legge.
5. All'ufficio per le espropriazioni è preposto un dirigente o, in
sua mancanza, il dipendente con la qualifica più elevata.
6. Per ciascun procedimento, è designato un responsabile che
dirige, coordina e cura tutte le operazioni e gli atti del procedimento,
anche avvalendosi dell'ausilio di tecnici.
7. Il dirigente dell'ufficio per le espropriazioni emana ogni
provvedimento conclusivo del procedimento o di singole fasi di esso, anche
se non predisposto dal responsabile del procedimento.
8. Se l'opera pubblica o di pubblica utilità va realizzata da un
concessionario o contraente generale, l'amministrazione titolare del potere
espropriativo può delegare, in tutto o in parte, l'esercizio dei propri
poteri espropriativi, determinando chiaramente l'ambito della delega nella
concessione o nell'atto di affidamento, i cui estremi vanno specificati in
ogni atto del procedimento espropriativo. A questo scopo i soggetti privati
cui sono attribuiti per legge o per delega poteri espropriativi, possono
avvalersi di società controllata. I soggetti privati possono altresì
avvalersi di società di servizi ai fini delle attività preparatorie.
9. Per le espropriazioni finalizzate alla realizzazione di opere
private, l'autorità espropriante è l'Ente che emana il provvedimento dal
quale deriva la dichiarazione di pubblica utilità.”) è ben possibile che
un funzionario, in carenza di figura dirigenziale, sia preposto all’Ufficio
per le espropriazioni, di guisa che la censura appare del tutto priva di
spessore
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.02.2014 n. 494 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2014 |
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CONSIGLIERI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Il danno erariale desumibile da procedure di
verticalizzazioni (da D1 a D3) non conformi alla normativa e al contratto.
La procedura disposta per attuare la progressione
verticale in argomento è avvenuta in violazione dell’art. 4
CCNL Enti Locali del 31.03.1999 che prevede, ove ricorrano
posti vacanti all’interno della dotazione organica,
procedure selettive.
La progressione (“verticale” ai sensi dell’art. 4 CCNL Enti
Locali 31.03.1999) infatti è avvenuta nel mancato rispetto
dei presupposti normativi ed ha consentito la “liberazione”,
all’interno del Fondo di produttività, di risorse destinate
a remunerare anche altri istituti, a beneficio di altri
dipendenti comunali e di alcuni degli stessi riqualificati
cui veniva riconosciuta, oltre al superiore inquadramento
giuridico, un’ulteriore fascia economica.
Il passaggio di qualifica è avvenuto, inoltre, in
mancanza di una effettiva procedura selettiva, come
prescritto, invece, dal richiamato art. 4 del CCNL Enti
locali 31.03.1999 e dalle norme che regolano la materia
dell’accesso al pubblico impiego, per garantire anche
l’accesso ai concorrenti esterni.
---------------
Da quanto sopra esposto consegue ad avviso del Collegio la
responsabilità degli Amministratori e del Segretario
comunale per la vicenda in esame, ricorrendo tutti i
presupposti per una affermazione di responsabilità: il
danno, il rapporto di servizio, il nesso causale, la colpa
grave.
In particolare, per quanto attiene al Sindaco ed ai
componenti della Giunta, il carattere gravemente colposo del
loro comportamento emerge in maniera evidente dalla stessa
sequenza degli atti adottati, diretti inequivocabilmente a
liberare somme dal fondo di produttività, ponendole a carico
del bilancio, con conseguente maggior onere complessivo per
l’Ente.
Anche il comportamento del Segretario comunale è
parimenti connotato da grave colpevolezza, in quanto,
presente, tra l’altro, alla seduta dell’11.04.2006 nella
quale è stata adottata la più volte richiamata deliberazione
di Giunta n. 56, non risulta in alcun modo aver fatto
rilevare le illegittimità della decisione in corso di
adozione, ed il suo conseguente carattere dannoso, come
invece sarebbe stato suo dovere, nell’ambito del rapporto di
collaborazione con l’Organo politico i cui contenuti sono
delineati dalla consolidata giurisprudenza della Corte dei
conti.
Quanto alla sig.ra R.R., il Collegio rileva che
non solo nella sua qualità di Responsabile
dell’Area amministrativa ed AA.GG. ha espresso il parere di
regolarità tecnica in ordine alla predetta delibera 56 del
2006 ed ha adottato successivamente la determinazione
17.05.2006 n. 36, con cui è stata eseguita la delibera
stessa, ma in precedenza in quanto componente della
delegazione trattante di parte pubblica a più riprese aveva
esaminato la questione della trasformazione in inquadramento
giuridico dell’inquadramento economico D3. Anche nei suoi
confronti, pertanto, il Collegio ritiene sussistente quella
colpa grave che costituisce presupposto per l’affermazione
della responsabilità.
---------------
Come già esposto in narrativa nel 2009 la Giunta Comunale
pro-tempore del Comune di San Vittore Olona ha disposto una
serie di controlli e verifiche su deliberazioni assunte dai
precedenti amministratori, in materia di personale, in
particolare sulla delibera di giunta n. 56/2006 avente ad
oggetto “Progetto di valorizzazione risorse umane”,
riguardo alla quale nella relazione predisposta dalla
Segretaria comunale sono poste in evidenza diverse
illegittimità da cui derivano effetti dannosi.
Con riferimento a tale relazione, i profili censurati
dall’Inquirente riguardano sostanzialmente il passaggio
dalla categoria D1 alla categoria D3, che viene a
configurare una progressione verticale, e il passaggio alla
superiore posizione giuridica in assenza dei relativi posti
in organico e di una vera e propria procedura selettiva.
L’importo del danno è stato quantificato in €. 121.924,03
complessivi da addebitare per il 70% del danno contestato in
parti uguali ai componenti della Giunta e cioè €. 14.224,48
ciascuno a B., M., V., R., G. e T..
Il 15% del danno pari a €. 18.288,60, è stato addebitato
alla signora R., e un ulteriore 10% pari a €. 12.192,403 ai
componenti del Nucleo di valutazione signori B. ed A. (la
parte addebitata a CONTE non risulta perseguibile per
l’intervenuta scomparsa del medesimo). Il restante 5%
dell’importo contestato pari a €. 6.096,20, infine a M..
Il Collegio osserva che la procedura disposta per attuare
la progressione verticale in argomento è avvenuta in
violazione dell’art. 4 CCNL Enti Locali del 31.03.1999 che
prevede, ove ricorrano posti vacanti all’interno della
dotazione organica, procedure selettive.
La progressione (“verticale” ai sensi dell’art. 4
CCNL Enti Locali 31.03.1999) infatti è avvenuta nel mancato
rispetto dei presupposti normativi ed ha consentito la “liberazione”,
all’interno del Fondo di produttività, di risorse destinate
a remunerare anche altri istituti, a beneficio di altri
dipendenti comunali e di alcuni degli stessi riqualificati
cui veniva riconosciuta, oltre al superiore inquadramento
giuridico, un’ulteriore fascia economica.
Nel caso in esame la modifica della pianta organica, con la
previsione dei n. 6 nuovi posti di D3 giuridico, è avvenuta,
infatti, solo con delibera giuntale n. 129 del 05.09.2006,
approvata successivamente alla delibera n. 56
dell’11.04.2006, ed alla convalida della riqualificazione
del Nucleo di valutazione dell’11.05.2006, nonché alla
determina dirigenziale n. 16 del 17.05.2006.
Con la delibera n. 56/2006, la Giunta comunale non ha
provveduto a modificare l’assetto della pianta organica
dell’ente delineata dalla delibera 209/2000 ma si è limitata
a disporre la soppressione, con effetti differiti al termine
della procedura di riqualificazione, dei posti vacanti (che,
come evidenziato dalla tabella allegata alla stessa
delibera, erano quelli di categoria C). Si condivide sul
punto quanto rappresentato dalla Procura regionale che non
corrisponde al vero, pertanto, quanto affermato nelle
proprie deduzioni dai convenuti circa la previsione delle
nuove posizioni funzionali già con la delibera n. 56/2006 .
L’art. 5, comma 7, del D.C.P.M. 15.02.2006, con riguardo ai
limiti concernenti la rideterminazione della dotazione
organica e le assunzioni a tempo indeterminato, prevedeva,
poi, che i Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti
(come San Vittore Olona) potessero procedere a nuove
assunzioni nel limite del 25% delle cessazioni dal servizio
verificatesi nel triennio 2004-2006 (esclusa la mobilità).
Per prevedere in pianta organica i posti di cui si discute
almeno 24 dipendenti avrebbero dovuto cessare dal servizio.
Il passaggio di qualifica è avvenuto, inoltre, in
mancanza di una effettiva procedura selettiva, come
prescritto, invece, dal richiamato art. 4 del CCNL Enti
locali 31.03.1999 e dalle norme che regolano la materia
dell’accesso al pubblico impiego, per garantire anche
l’accesso ai concorrenti esterni.
Come evidenziato dall’Inquirente dopo che la delibera
giuntale n. 56/2006, riconfermando la volontà espressa
dall’Amministrazione in sede di contrattazione decentrata di
riconoscimento dell’inquadramento giuridico D3 ai dipendenti
già collocati in posizione economica D3 (vedasi, in
particolare, i verbali del 17.10.2005 e del 03.11.2005), ha
disposto la “riclassificazione” dei posti interessati
in cat. D3 giuridico, la relativa copertura è avvenuta sulla
base della “convalida” ad opera del Nucleo di
valutazione, quale risulta dalla sintetica nota 11.05.2006,
comunque in violazione di quanto previsto dall’art. 28
Regolamento degli uffici e dei servizi del Comune per la
formazione della Commissione esaminatrice.
La progressione giuridica è stata riconosciuta a far data
dal 01.01.2006, nonostante la delibera giuntale n. 56 sia
datata 11.04.2006 e l’atto di “convalida” (a firma
della responsabile dell’Area Amministrativa Affari Generali,
sig. R., partecipante alla procedura) sia intervenuto solo
il 17.05.2006.
Gli Amministratori in più occasioni hanno ribadito l’assenza
di danno e l’utilità conseguita.
Come si evince da tutti gli atti di causa ed in particolare
dalla denuncia della Segretaria M.N. e dalla delibera n.
109/2010 il danno all’Ente invece sussiste ed è pari alla
differenza tra il compenso spettante alla Cat. D1 e quella
spettante alla Cat. D3 giuridica, legato alle maggiori somme
indebitamente erogate ai dipendenti sotto forma di salario
accessorio e degli oneri riflessi –CPDEL IRAP INAIL INADEL-
attinte al Fondo di produttività di cui si è già detto,
depurato dai costi ad esso afferenti in relazione ai
compensi dei dipendenti promossi (per un costo complessivo,
dal 2006 al 2010, di € 121.924,03).
Il Collegio rileva inoltre che, quanto all’utilità
conseguita in seguito alla valorizzazione del personale
suddetto, solo in sede di audizione personale, come risulta
dal relativo verbale, il sindaco B. si è soffermato
specificamente su questo aspetto della valorizzazione del
personale, limitandosi a rappresentare che tale progetto “ha
permesso di recuperare la disponibilità del personale a
svolgere, i compiti assegnati dall’Amministrazione e
l’ultimazione della fase preliminare all’introduzione del
controllo di gestione” senza fornire alcuna prova di
questa aumentata produttività; quando invece risulta che gli
impiegati promossi hanno continuato a svolgere esattamente
le stesse mansioni che svolgevano in precedenza senza
aggravio di funzioni e responsabilità.
Da quanto sopra esposto consegue ad avviso del Collegio
la responsabilità degli Amministratori e del Segretario
comunale per la vicenda in esame, ricorrendo tutti i
presupposti per una affermazione di responsabilità: il
danno, il rapporto di servizio, il nesso causale, la colpa
grave.
In particolare, per quanto attiene al Sindaco B. ed ai
componenti della Giunta M., V., R., G. e T., il carattere
gravemente colposo del loro comportamento emerge in maniera
evidente dalla stessa sequenza degli atti adottati, diretti
inequivocabilmente –come emerge dalla nota-denunzia del
Comune 23.12.2009 n. 13675 e meglio da quelle successive
16.06.2011 n. 6191 e 24.06.2011 n. 4910– a liberare somme
dal fondo di produttività, ponendole a carico del bilancio,
con conseguente maggior onere complessivo per l’Ente, ciò
che del resto risulta anche dagli atti indicati dalla
Procura regionale nell’atto di citazione (cfr. pagg. 4 e
5).
Anche il comportamento del Segretario comunale M. è
parimenti connotato da grave colpevolezza, in quanto,
presente, tra l’altro, alla seduta dell’11.04.2006 nella
quale è stata adottata la più volte richiamata deliberazione
di Giunta n. 56, non risulta in alcun modo aver fatto
rilevare le illegittimità della decisione in corso di
adozione, ed il suo conseguente carattere dannoso, come
invece sarebbe stato suo dovere, nell’ambito del rapporto di
collaborazione con l’Organo politico i cui contenuti sono
delineati dalla consolidata giurisprudenza della Corte dei
conti.
Quanto alla sig.ra R.R., il Collegio rileva
che –come posto in
rilievo nell’atto di citazione– non solo
nella sua qualità di Responsabile dell’Area amministrativa
ed AA.GG. ha espresso il parere di regolarità tecnica in
ordine alla predetta delibera 56 del 2006 ed ha adottato
successivamente la determinazione 17.05.2006 n. 36, con cui
è stata eseguita la delibera stessa, ma in precedenza in
quanto componente della delegazione trattante di parte
pubblica a più riprese aveva esaminato la questione della
trasformazione in inquadramento giuridico dell’inquadramento
economico D3. Anche nei suoi confronti, pertanto, il
Collegio ritiene sussistente quella colpa grave che
costituisce presupposto per l’affermazione della
responsabilità
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Lombardia,
sentenza 21.01.2014 n. 9). |
dicembre 2013 |
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SEGRETARI COMUNALI: Province, segretari in bilico.
Assieme ai dg cesseranno dagli incarichi il 30 settembre.
Un emendamento al ddl Delrio contraddice l'intesa con i
sindacati sui posti di lavoro.
Sono dei segretari comunali e dei direttori generali delle
province assorbite dalle città metropolitane le prime teste
che salteranno.
La commissione affari costituzionali della camera ha
presentato un emendamento che va in direzione fortemente
contraria alle garanzie sul rapporto di lavoro del personale
provinciale, sulle quali si era sperticato il ministro
Graziano Delrio, appoggiandosi a un accordo con i sindacati,
caratterizzato dalla particolarità di essere stato stipulato
escludendo proprio l'Upi, cioè le province.
E gli effetti cominciano a vedersi.
L'emendamento all'articolo 10 dell'attuale testo del ddl
Delrio prevede che «il segretario provinciale e il direttore
della provincia, in carica alla data di entrata in vigore
della presente legge, cessano in ogni caso dai rispettivi
incarichi alla data del 30.09.2014».
Per i segretari non si tratta necessariamente della perdita
del posto di lavoro, ma si apre la possibilità di una loro
messa a disposizione della struttura operante presso il
Viminale e dell'apertura di un percorso, comunque
complicato, di ricerca di nuovi incarichi. Le sedi vacanti
negli enti locali non mancano, ma il rischio di un «passo
indietro» per i segretari è evidente.
Per quanto concerne i direttori generali, si tratta di
incarichi necessariamente a tempo determinato, sicché la
scadenza è in qualche modo connaturata alla tipologia stessa
del lavoro svolto. Di certo, tuttavia, la legge interviene
nel troncare quei rapporti che si sarebbero potuti
prolungare anche fino al 2015.
Ma anche per il restante personale provinciale non ci sono
buone notizie. L'emendamento prevede che i dipendenti della
provincia soppressa mantiene la posizione giuridica ed
economica in godimento all'atto del trasferimento alla città
metropolitana, con riferimento alle voci fisse e
continuative, compresa l'anzianità di servizio maturata.
Non viene confermata, invece, la retribuzione variabile,
legata al risultato, sebbene la contrattazione collettiva
preveda la fissazione di specifici fondi a finanziarla.
L'emendamento impone alle città metropolitane di
riorganizzare i servizi entro sei mesi dal trasferimento del
personale, modificando il trattamento accessorio «in
relazione al nuovo assetto organizzativo».
La norma suscita non poche perplessità, in quanto la città
metropolitana ha ben poco da riorganizzare, visto che
subentra in tutto e per tutto nelle funzioni provinciali,
sicché gli assetti organizzativi non possono cambiare di
molto.
Sembra chiaro il messaggio: acclarato, come ha spiegato la
Corte dei conti, che in effetti dal riordino delle province
non deriveranno risparmi, l'unico sistema per dimostrare di
contenere la spesa è agire sul costo del personale.
La revisione organizzativa è il presupposto per consentire
alle città metropolitane di agire esattamente su questa
leva, contando sul fatto che il sindaco metropolitano sarà
il sindaco del capoluogo, un soggetto che potrebbe non avere
particolari remore nel rivedere al ribasso i costi.
Inoltre, l'emendamento lancia anche un segnale rispetto al
trattamento del personale provinciale che sarà trasferito
dalle province «svuotate» verso altri enti, i quali
potranno ancora a maggior ragione incidere negativamente sul
trattamento economico dei dipendenti provinciali, i quali,
dunque, verosimilmente saranno lo strumento per il
contenimento di costi che, in altro modo, la riforma non
riesce a garantire
(articolo ItaliaOggi del
13.12.2013). |
ENTI
LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Relazione del responsabile della prevenzione della
corruzione - chiarimenti (12.12.2013 - link a
www.funzionepubblica.gov.it). |
novembre 2013 |
|
SEGRETARI COMUNALI: La responsabilità del segretario comunale in caso di danni
erariali accertati dalla Corte dei Conti.
Il Giudice
contabile può, e anzi deve, considerare incidenter tantum
eventuali corresponsabilità di soggetti che non sono parti
del giudizio, ai fini della quantificazione del danno
concretamente attribuibile ai soggetti chiamati in giudizio.
Invero, l’art. 1, comma 1-quater, della legge n. 20/1994,
introdotto dall’art. 3 del d.l. n. 543/1996 convertito dalla
legge n. 639/1996, stabilisce infatti: “se il fatto dannoso
è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le
singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che
vi ha preso”.
E nella fattispecie,
vanno peraltro anche considerate le presumibili
carenze nell’assistenza giuridica fornita agli
amministratori comunali, nella vicenda in esame, dal
segretario comunale.
Sul punto, va rilevato che all’epoca dei fatti in questione
le funzioni del segretario comunale erano disciplinate, in
modo non organico, dal testo unico approvato con r.d. n.
383/1934 e dal regolamento approvato con r.d. n. 297/1911,
ma anche da altre disposizioni legislative e regolamentari.
Sulla base dell’art. 59 del r.d. n. 297/1911 (il segretario
“assiste alle sedute della giunta, ha voto consultivo circa
la legalità di ogni proposta e deliberazione e redige il
verbale dell’adunanza”) e dell’art. 81 dello stesso r.d.
(“il segretario è responsabile degli adempimenti di legge
spettanti all’ufficio comunale, e della esecuzione delle
deliberazioni del Consiglio e della Giunta, in conformità
delle disposizioni del sindaco”), veniva comunque
pacificamente riconosciuta al segretario comunale anche
un’importante attività di “consulenza tecnico-giuridica”,
che nella fattispecie non risulta in effetti
convenientemente assicurata.
--------------
Nel caso di compartecipazione di più soggetti a
un'unica vicenda dannosa per un’amministrazione pubblica, la
giurisprudenza di gran lunga prevalente esclude una
responsabilità cumulativa unitaria e pertanto un
litisconsorzio necessario in applicazione dell'art. 102
c.p.c. (ex plurimis: SS.RR. n. 13/QM/2003, Prima
Sezione n. 101/2005, Seconda Sezione n. 361/2005, Terza
Sezione n. 16/2007, Appello Sicilia n. 126/2010 etc.).
Peraltro il Giudice può, e anzi deve, considerare
incidenter tantum eventuali corresponsabilità di
soggetti che non sono parti del giudizio, ai fini della
quantificazione del danno concretamente attribuibile ai
soggetti chiamati in giudizio. L’art. 1, comma 1-quater,
della legge n. 20/1994, introdotto dall’art. 3 del d.l. n.
543/1996 convertito dalla legge n. 639/1996, stabilisce
infatti: “se il fatto dannoso è causato da più persone,
la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità,
condanna ciascuno per la parte che vi ha preso”.
Nella fattispecie, la Sezione molisana ha già considerato le
possibili corresponsabilità di due assessori, addebitando al
sig. F.R. solo la terza parte del danno accertato (e
riducendo altresì ulteriormente del 10% l’importo della sua
quota di danno).
Ad avviso del Collegio, vanno peraltro anche considerate le
presumibili carenze nell’assistenza giuridica fornita agli
amministratori comunali, nella vicenda in esame, dal
segretario comunale.
Sul punto, va rilevato che all’epoca dei fatti in questione
le funzioni del segretario comunale erano disciplinate, in
modo non organico, dal testo unico approvato con r.d. n.
383/1934 e dal regolamento approvato con r.d. n. 297/1911,
ma anche da altre disposizioni legislative e regolamentari.
Sulla base dell’art. 59 del r.d. n. 297/1911 (il segretario
“assiste alle sedute della giunta, ha voto consultivo
circa la legalità di ogni proposta e deliberazione e redige
il verbale dell’adunanza”) e dell’art. 81 dello stesso
r.d. (“il segretario è responsabile degli adempimenti di
legge spettanti all’ufficio comunale, e della esecuzione
delle deliberazioni del Consiglio e della Giunta, in
conformità delle disposizioni del sindaco”), veniva
comunque pacificamente riconosciuta al segretario comunale
anche un’importante attività di “consulenza
tecnico-giuridica”, che nella fattispecie non risulta in
effetti convenientemente assicurata.
Va poi anche considerata, come ulteriore concausa nella
produzione del danno o almeno ai fini di una più congrua
applicazione del potere riduttivo dell’addebito previsto
dagli artt. 52 del r.d. n. 1214/1934 e 1 della legge n.
20/1994, l’approvazione senza rilievi della deliberazione n.
165/1980 da parte del Comitato Regionale di Controllo, cui
l’art. 59 della legge n. 62/1953 attribuiva il “controllo
di legittimità” delle deliberazioni comunali (Corte dei
Conti, Sez. II giurisdiz. centrale d'appello,
sentenza 22.11.2013 n. 716). |
SEGRETARI COMUNALI - PUBBLICO IMPIEGO:
Il segretario comunale non deve esimersi dal controllare
l'operato dei vari uffici.
Ciò che radica la responsabilità (anche)
del segretario comunale (circa il fatto che la dirigente non
aveva provveduto ad iscrivere a ruolo le contravvenzioni del
c.d.s. con la conseguente perdita del credito erariale) non
è certo il non avere controllato minuziosamente l’attività
della responsabile d'area, adempimento che non poteva
essergli richiesto, ma il fatto di non avere mai effettuato
dei controlli, sia pure a campione, di essersi del tutto
disinteressato dell’andamento di quel settore di attività
amministrativa, sino alla scoperta dei fatti, consentendo
che per un lunghissimo periodo di tempo un adempimento
fondamentale, come quello dell’iscrizione a ruolo delle
somme dovute a seguito di verbali non pagati, fosse
pretermesso, ignorando, così, un fenomeno di dimensioni
assolutamente abnormi, che una corretta attività di
vigilanza avrebbe sicuramente individuato per tempo.
Le conseguenze della mancata iscrizione a ruolo delle
contravvenzioni, infatti, non possono non ricadere anche sul
segretario comunale V., il quale, in assenza della figura
del responsabile dell’Area Vigilanza, nominato nella persona
del dott. N. con determina n. 14/2007 del Commissario
straordinario, ha omesso, come esposto, sia l’attività di
vigilanza che l’adozione di atti surrogatori per evitare che
le contravvenzioni cadessero in prescrizione; tale doverosa
attività, tenuto conto del regolamento comunale, non
comporta certamente alcuna dipendenza gerarchica del Corpo
di Polizia Municipale dalla sua figura.
In effetti, ciò che, ad avviso del Collegio, radica la
responsabilità del V. non è certo il non avere controllato
minuziosamente l’attività della N.V., adempimento che non
poteva essergli richiesto, ma il fatto di non avere mai
effettuato dei controlli, sia pure a campione, di essersi
del tutto disinteressato dell’andamento di quel settore di
attività amministrativa, sino alla scoperta dei fatti,
consentendo che per un lunghissimo periodo di tempo un
adempimento fondamentale, come quello dell’iscrizione a
ruolo delle somme dovute a seguito di verbali non pagati,
fosse pretermesso, ignorando, così, un fenomeno di
dimensioni assolutamente abnormi, che una corretta attività
di vigilanza avrebbe sicuramente individuato per tempo
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. d'appello Siciliana,
sentenza 05.11.2013 n. 309). |
ottobre 2013 |
|
SEGRETARI COMUNALI: Il badge per il segretario non è più un tabù.
Nonostante l'orario di lavoro del segretario comunale non
preveda alcuna quantificazione di tale prestazione
fondandosi, come noto, su un sistema di «autoresponsabilizzazione»
del segretario stesso, non è preclusa all'amministrazione
comunale la possibilità di dotarsi di un sistema di
rilevazione delle sue presenze e assenze, al solo fine della
redazione della valutazione annuale, dell'erogazione della
retribuzione di risultato e della gestione delle ferie o
delle malattie.
È quanto ha precisato l'Aran nel recente
parere
24.10.2013 n. 34/2013, con cui fa luce sulla possibilità per un
comune di dotare il proprio segretario di un tesserino
magnetico per la rilevazione delle sue presenze e assenze.
Secondo la disciplina contrattuale prevista dall'articolo 19
del Ccnl, che sostanzialmente ricalca le norme previste per
la dirigenza del comparto regioni e autonomie locali, per il
segretario comunale non è prevista alcuna quantificazione
complessiva dell'orario di lavoro, neppure attraverso la
sola definizione di un limite massimo di durata delle
prestazioni lavorative dovute. Spetta, invece, al segretario
l'organizzazione complessiva del proprio tempo di lavoro, in
modo da assicurare il completo soddisfacimento dei compiti
affidati e degli obiettivi assegnati.
Pertanto, adottando
una linea di pensiero sostanzialmente analoga a quella per
la dirigenza, l'Aran ammette che se il nuovo sistema è
basato su una sorta di «autoresponsabilizzazione» del
segretario nell'organizzazione del proprio orario di lavoro,
l'ente locale può sempre assumere iniziative per l'adozione
di sistemi di rilevazione e accertamento delle presenze e
delle assenze del segretario. Un sistema che sarà poi utile
ai fini della valutazione annuale del segretario,
dell'erogazione della retribuzione di risultato nonché per
la gestione degli altri istituti connessi al rapporto di
lavoro, quali, per esempio, le ferie e la malattia.
In pratica, ciò che non è ammesso è che l'ente utilizzi la
rilevazione automatica per fini diversi da quella del
semplice accertamento delle presenze e delle assenze.
Ovvero, che la «strisciata» del badge da parte del
segretario possa essere rilevante ai fini della «quantità
oraria» delle prestazioni giornaliere. Possibilità
espressamente preclusa dalla norma contrattuale sopra
rilevata che non prevede per i segretari alcuna
quantificazione dell'orario di lavoro dovuto settimanalmente
(articolo ItaliaOggi
del 15.11.2013). |
SEGRETARI COMUNALI: Dirigenza
ai segretari senza nuovi costi.
Con la
sentenza 17.10.2013, il Tribunale civile di
Roma ha riconosciuto l'appartenenza dei segretari comunali e
provinciali alla dirigenza della Pubblica amministrazione,
una questione che da tempo interessa la categoria.
Sulla vicenda sono già apparse le prime repliche dell'Aran
(si veda l'articolo pubblicato sul Sole 24 Ore del 29
ottobre), che alludono a pesanti conseguenze finanziarie e
meritano qualche ulteriore considerazione.
La decisione trae origine dal ricorso presentato dall'Unione
nazionale dei segretari comunali e provinciali (il sindacato
più rappresentativo della categoria) che si era vista
esclusa dalla negoziazione per il rinnovo del Ccnl di
categoria per il quadriennio 2006-2009. Il Tribunale ha
confermato la tesi del sindacato, in base a un'ampia serie
di indici normativi, a partire dalle stesse procedure di
selezione dei segretari tramite concorso pubblico, con
l'acquisizione di un'abilitazione concessa dalla «Scuola
superiore per la formazione e la specializzazione dei
dirigenti della pubblica amministrazione».
L'aspetto principale che è preso in considerazione, però,
attiene alle funzioni esercitate in base al Testo unico e ad
altre fonti più recenti (legge anticorruzione). Nella
dettagliata ricostruzione normativa, il giudice dimostra che
al segretario è stato affidato un ruolo sempre più rilevante
di coordinamento dei dirigenti e di garanzia di «buon
andamento», per un'amministrazione efficiente, trasparente e
vicina al cittadino: un ruolo che richiede evidentemente
un'adeguata qualificazione professionale e una collocazione
apicale all'interno della struttura.
Appare chiara, quindi, l'intenzione del legislatore di
assimilare la figura professionale dei segretari alla
dirigenza della Pa, anche se in un'area autonoma di
contrattazione.
Alle disposizioni normative sopra indicate (che la sentenza
definisce «precise» e «inequivocabili») si aggiunge la
disciplina contrattuale, anch'essa significativa,
applicabile in caso di mobilità tra pubbliche
amministrazioni: sarebbe quanto meno illogico che il
segretario, se accedesse alla mobilità, lo facesse da
dirigente, senza esserlo. Non appaiono peraltro
condivisibili i timori dell'Aran sugli effetti della
sentenza, a meno di voler rimettere in discussione la
regolarità delle procedure finora seguite e degli atti
adottati.
È incomprensibile, inoltre, la considerazione che
l'inquadramento dei segretari all'interno della classe
dirigenziale della Pa possa produrre un aumento di spesa,
perché in realtà la loro retribuzione resta quella prevista
contrattualmente. La sentenza non introduce alcuna novità
neppure con riferimento all'istituto del «galleggiamento»
che consente al segretario, indipendentemente dalla sua
categoria di appartenenza, di avere un trattamento economico
non inferiore al dirigente che lo stesso coordina: questo
istituto, riguardando solo la retribuzione di posizione, è
da sempre pacificamente applicato anche nei piccoli Comuni,
naturalmente con riferimento non ai dirigenti ma ai
responsabili titolari di posizione organizzativa.
Dalla sentenza non deriva dunque alcuna spesa a carico della
finanza pubblica.
Al contrario, il giudice si è basato proprio
sull'ordinamento già esistente (normativo e contrattuale).
La sentenza serve semmai ad aiutare i segretari a svolgere
il loro ruolo in modo proficuo per gli enti e per le
comunità locali
(articolo Il Sole 24 Ore del
04.11.2013). |
SEGRETARI COMUNALI:
Segretari locali come i dirigenti.
Tribunale di Roma. Sentenza sull'inquadramento.
I segretari
comunali e provinciali sono «equiparati» ai dirigenti.
Lo
dice a chiare lettere la
sentenza
17.10.2013 della I Sez. Lavoro del Tribunale di Roma, con
una decisione che è nata per dirimere una controversia fra
l'agenzia negoziale delle pubbliche amministrazioni e il
sindacato di settore (l'Unione nazionale segretari) ma che
per farlo affronta la natura stessa del ruolo della
categoria; e afferma, appunto, che le leggi in vigore
mostrano «l'intenzione evidente di equiparare e assimilare
la figura professionale dei segretari a quella dei
dipendenti con inquadramento dirigenziale, pur mantenendo la
distinzione dei due profili».
Quasi scontato il ricorso in
appello dell'amministrazione centrale, che ha finora sempre
contrastato l'idea di attribuire ai segretari uno "status"
che farebbe entrare nella dirigenza pubblica almeno altre
6mila persone: con conseguenze da verificare.
Il dibattito nasce su un terreno squisitamente sindacale,
legato al fatto che l'Unione dei segretari era stata esclusa
dai tavoli per i contratti 2006-2009 in quanto ritenuta «non
rappresentativa», dal momento che i calcoli sui parametri da
superare per poter negoziare (raccogliere almeno il 5% di
iscritti a sindacati) erano stati condotti sull'intero
comparto «Regioni-enti locali»: una platea da oltre 500mila
persone, in cui i 6mila segretari pesano ovviamente troppo
poco per ottenere i requisiti di rappresentatività.
L'Unione, anche sulla base delle prassi seguite prima
dell'arrivo di Renato Brunetta al ministero della Pa, ha
contestato questa lettura, rivendicando di essere la sigla
ampiamente maggioritaria nella categoria. La battaglia è
scoppiata nel 2009 (e riguardava i bienni fin dal 2006 per
il ritardo cronico con cui si rinnovavano i contratti
pubblici prima del blocco), ed è sfociata prima in
un'ordinanza (febbraio 2011) e poi nella sentenza del
Tribunale di Roma.
Tutto qui? Per Alfredo Ricciardi, segretario nazionale
dell'Unione, la sentenza «riconosce che i segretari sono una
categoria autonoma di rango dirigenziale», ma non ha
conseguenze sull'ordinamento perché «le regole di fatto già
riconoscono questo ruolo ai segretari, che infatti per
esempio non hanno l'orario di lavoro a 36 ore e lo
straordinario».
Diversi, però, i timori
dell'amministrazione, dove si teme per esempio che la
pronuncia possa alimentare richieste di adeguamenti da parte
dei segretari dei piccoli Comuni, dove non esistono
dirigenti e quindi non si applica il «galleggiamento» che
equipara la retribuzione del segretario a quella del
dirigente di vetta; oppure che, sentenza alla mano, i
segretari che migrano in mobilità verso altre Pubbliche
amministrazioni possano pretendere in automatico
l'inquadramento dirigenziale
(articolo Il Sole 24 Ore del
29.10.2013). |
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Va condannato, per danno erariale, il responsabile del
servizio finanziario per aver liquidato al
Segretario Comunale il compenso in qualità di Presidente del
Nucleo di Valutazione.
L’art. 41, comma 6, del CCNL del
16/05/2001 stabilisce il principio di onnicomprensività
della retribuzione di posizione del Segretario comunale, a
corredo del quale è prevista –altresì– la possibilità di
riconoscere una maggiorazione di detto emolumento, che con
il contratto integrativo stipulato il 21/12/2003 è stata
fissata fino ad un massimo del 50%, in ragione della
riscontrata presenza di condizioni di natura soggettiva ed
oggettiva, indicate nel medesimo accordo.
Tra dette condizioni rientra anche la partecipazione al
Nucleo di valutazione e, già nell’agosto del 2003, l’ARAN
–in risposta a specifico quesito– indicava chiaramente che è
ammissibile una remunerazione separata (e aggiuntiva) per
tale attività soltanto qualora essa si collochi al di fuori
delle competenze ordinarie del segretario, altrimenti la
stessa può solo concorrere al riconoscimento della
maggiorazione di cui sopra.
----------------
Va posto quindi –doverosamente- l’accento sulla qualifica
dirigenziale rivestita dal responsabile del servizio
finanziario, in relazione alla quale s’impongono requisiti
di professionalità e conoscenza che la stabile
giurisprudenza di questa Corte reputa non legittimino alcuna
forma di ignorantia legis, men che mai nel settore di
specifica competenza.
Nel caso di specie, non può ammettersi che il responsabile
dell’ufficio finanziario di un Comune non abbia piena
cognizione e padronanza delle norme che regolano la
corresponsione dei trattamenti economici dei dipendenti e
del segretario comunale, così come non è ammissibile che non
faccia uso della propria autonomia decisionale per svolgere
un’istruttoria pur minima rispetto alla richiesta di un
compenso aggiuntivo, ovvero non ritenga di poter/dover
interloquire formalmente sulla questione con il segretario
comunale richiedente.
A ben vedere la situazione del segretario comunale era
assolutamente chiara: rivestendo di diritto il ruolo di
Presidente del Nucleo di valutazione e beneficiando –nel
periodo contestato– della maggiorazione massima della
retribuzione di posizione, a nessun titolo ed in alcuna
forma era possibile riconoscerle un ulteriore remunerazione
per quell’incarico.
---------------
Con atto di citazione depositato in data 11/05/2011, la
Procura Regionale ha convenuto in giudizio il sig. D.C.F.,
per sentirlo condannare –in qualità di Responsabile del
Servizio finanziario del Comune di Montecorvino Pugliano– al
pagamento della somma di € 5.400,00, a titolo di danno
erariale cagionato all’amministrazione comunale, in
relazione alla corresponsione in favore del Segretario
comunale p.t. (B.G.), di un compenso aggiuntivo, nel
triennio 2003/2006, per il suo incarico di Presidente del
Nucleo di valutazione.
...
Nel merito, la condotta del convenuto si palesa gravemente
colposa, per un duplice ordine profili, oggettivi e
soggettivi.
Innanzitutto è importante ribadire –anche in questa vicenda–
come il quadro normativo, ermeneutico ed applicativo di
riferimento sia sostanzialmente chiaro ed intellegibile nei
suoi contenuti. L’art. 41, comma 6, del CCNL del 16/05/2001
stabilisce, infatti, il principio di onnicomprensività della
retribuzione di posizione del Segretario comunale, a corredo
del quale è prevista –altresì– la possibilità di riconoscere
una maggiorazione di detto emolumento, che con il contratto
integrativo stipulato il 21/12/2003 è stata fissata fino ad
un massimo del 50%, in ragione della riscontrata presenza di
condizioni di natura soggettiva ed oggettiva, indicate nel
medesimo accordo. Tra dette condizioni rientra anche la
partecipazione al Nucleo di valutazione e, già nell’agosto
del 2003, l’ARAN –in risposta a specifico quesito– indicava
chiaramente che è ammissibile una remunerazione separata (e
aggiuntiva) per tale attività soltanto qualora essa si
collochi al di fuori delle competenze ordinarie del
segretario, altrimenti la stessa può solo concorrere al
riconoscimento della maggiorazione di cui sopra.
Nel descritto contesto, il Regolamento, approvato dal Comune
di Montecorvino Pugliano nel 2002 per disciplinare
l’istituzione e il funzionamento dei servizi di controllo
interno e, in particolare, del Nucleo di valutazione,
prevede –all’art. 6, comma 3– che detto organo “...è un
collegio composto dal Segretario comunale, che lo presiede e
da n° 2 membri esperti esterni di provata qualificazione...”.
Come rilevato dal Requirente, il tenore di questa
disposizione non lascia spazio a dubbi circa il fatto che la
presidenza del Nucleo sia attribuita al segretario comunale
di diritto, ovverosia senz’altro ratione officii, non
trovando pertanto alcun riscontro gli assunti difensivi
secondo i quali, al contrario, la dott.ssa G. avrebbe
ricevuto quell’incarico per specifiche competenze
amministrative, non menzionate (né richieste) nella norma.
Altro dato pacifico nella fattispecie all’esame, è la
percezione da parte di costei –nel periodo considerato–
della misura massima della retribuzione di posizione, nonché
di un compenso separato per l’espletamento delle funzioni di
Direttore generale dell’ente.
A fronte dei summenzionati elementi fattuali e giuridici, va
posto quindi –doverosamente- l’accento sulla qualifica
dirigenziale rivestita dal D.C., in relazione alla quale
s’impongono requisiti di professionalità e conoscenza che la
stabile giurisprudenza di questa Corte reputa non
legittimino alcuna forma di ignorantia legis, men che
mai nel settore di specifica competenza. Nel caso di specie,
non può ammettersi che il responsabile dell’ufficio
finanziario di un Comune non abbia piena cognizione e
padronanza delle norme che regolano la corresponsione dei
trattamenti economici dei dipendenti e del segretario
comunale, così come non è ammissibile che non faccia uso
della propria autonomia decisionale per svolgere
un’istruttoria pur minima rispetto alla richiesta di un
compenso aggiuntivo, ovvero non ritenga di poter/dover
interloquire formalmente sulla questione con il segretario
comunale richiedente.
A ben vedere la situazione della dott.ssa G. era
assolutamente chiara: rivestendo ella di diritto il ruolo di
Presidente del Nucleo di valutazione e beneficiando –nel
periodo contestato– della maggiorazione massima della
retribuzione di posizione, a nessun titolo ed in alcuna
forma era possibile riconoscerle un ulteriore remunerazione
per quell’incarico. In proposito –diversamente da quanto
dedotto dalla difesa del convenuto- si palesa corretto e
conferente il richiamo, operato dalla Procura, alla sentenza
di questa Sezione n. 1775/2010, in cui detta affermazione è
suffragata da ampie argomentazioni, pienamente condivise
dall’odierno Collegio giudicante.
Nei descritti termini va accolta, altresì, l’identificazione
del danno erariale nell’intero ammontare delle somme
conferite. Come osservato più volte da questa Corte,
infatti, in fattispecie come queste non può trovare ingresso
il principio della compensatio lucri cum damno, con
cui è possibile dare rilievo ai risultati comunque
conseguiti dall’organo contestato nell’interesse della
comunità amministrata: il vizio che colpisce la struttura
e/o i poteri di un organo pubblico, infatti, fa sì che gli
oneri finanziari da questo generati siano completamente e
irrimediabilmente contra legem, e perciò
costituiscano integralmente danno erariale, restando così
preclusa qualsivoglia operazione compensativa.
Anche su questo punto, dunque, gli assunti difensivi vanno
respinti
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Campania,
sentenza 11.10.2013 n. 1347). |
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Termine di prescrizione del diritto al pagamento delle ferie
non godute.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, nella
sentenza 01.10.2013 n. 4878, si occupa del compenso
per ferie non godute da parte di un Segretario comunale
negli anni 1982-1987; in particolare, del termine
prescrizionale del diritto all'ottenimento del pagamento
sostitutivo.
Il giudice di primo grado aveva respinto la richiesta
dell'interessato, in quanto (nonostante avesse dimostrato la
non fruizione delle ferie) non aveva intentato l'azione
entro il termine di cinque anni dalla maturazione del
credito.
In sede di gravame, invece, viene riformata la pronuncia,
per le seguenti motivazioni:
"Il prestatore che non abbia goduto delle ferie per esigenze
di servizio ha diritto al compenso sostitutivo; e il credito
relativo, avendo natura non retributiva ma risarcitoria, ha
termine di prescrizione decennale (v. C.d.S., Sez. V, 22.10.2007, n. 5531; 19.10.2009, n. 6415)".
Nella fattispecie, poi, il deducente aveva anche interrotto
(con nota scritta) il precitato termine decennale di
prescrizione
(tratto da www.publika.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2013 |
|
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Personale degli enti locali. Compiti del segretario comunale
e rapporto con le P.O. in Comuni privi di figure
dirigenziali.
Ai sensi dell'art. 97, comma 4, lett.
d), del d.lgs. 267/2000, il segretario comunale, anche se
chiamato a sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei
dirigenti e a coordinarne le relative attività, non può di
norma espletare compiti ordinariamente rimessi alla
struttura burocratica in senso proprio dell'ente locale,
sostituendosi ai dirigenti, salve eventuali ipotesi
eccezionali di assenza, nei ruoli dell'ente locale, di
dirigenti o di altri funzionari in grado di espletarne i
compiti.
Il Comune ha chiesto un parere in ordine ad alcune
problematiche concernenti il rapporto intercorrente, nei
comuni privi di figure dirigenziali, tra il segretario
comunale e i titolari di posizione organizzativa. In
particolare, l'Ente si è posto la questione se tra i compiti
del segretario rientri la funzione di controllo preventivo
sugli atti, ovvero il potere di sostituirsi al 'dirigente'
(P.O.) nell'espletamento di compiti istituzionali,
approvazione di determinazioni, scelte operative, anche
attraverso l'avocazione a sé e la sospensione degli atti nel
loro percorso amministrativo.
Preliminarmente si osserva che esula dalle competenze dello
scrivente Ufficio entrare nel merito delle singole
situazioni prospettate dagli enti e dirimere eventuali
questioni controverse insorte tra diversi uffici delle
amministrazioni locali, dovendo limitarsi ad esaminare le
fattispecie in termini generali, nell'ambito della
collaborazione giuridico amministrativa rivolta agli enti
locali.
Premesso un tanto, si rinvia innanzitutto alle norme
regolamentari di organizzazione adottate
dall'Amministrazione per definire competenze e ruoli dei
singoli soggetti che operano all'interno della medesima,
nell'intesa che dette norme risultino in armonia con i
principi dettati dall'ordinamento vigente, sia in materia di
organizzazione, che con riferimento ai profili delle
rispettive competenze.
Si ritiene utile, a tal proposito, illustrare di seguito, in
linea generale, l'orientamento giurisprudenziale formatosi
in ordine alla figura del segretario comunale ed ai suoi
compiti specifici.
Come rilevato dal giudice amministrativo
[1], ai sensi
dell'art. 97, comma 4, lett. d), del d.lgs. n. 267/2000, il
segretario comunale, anche se chiamato a sovrintendere allo
svolgimento delle funzioni dei dirigenti e a coordinarne le
relative attività, non può di norma espletare compiti
ordinariamente rimessi alla struttura burocratica in senso
proprio dell'ente locale, sostituendosi ai dirigenti, salve
eventuali ipotesi eccezionali di assenza, nei ruoli
dell'ente locale, di dirigenti o di altri funzionari in
grado di espletarne i compiti.
Si è altresì sottolineato che al segretario comunale non
sono affidati, di norma, compiti di amministrazione c.d.
attiva, limitandosi egli a sovrintendere allo svolgimento
delle funzioni dei dirigenti e a coordinarne l'attività.
Tale attribuzione di competenze nettamente separate risulta
però per ovvie ragioni temperata nei comuni di minori
dimensioni demografiche, generalmente privi di personale
dirigenziale. Infatti, l'art. 109 del T.U.E.L. dispone che,
nei comuni privi di dirigenti, le funzioni dirigenziali
possono essere attribuite ai responsabili degli uffici
oppure demandate al segretario comunale, in applicazione
dell'art. 97, comma 4, lett. d), del medesimo testo unico, a
mente del quale il segretario comunale esercita ogni altra
funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o
conferitagli dal sindaco. In tal caso legittimamente la
responsabilità operativa di determinate aree può essere
attribuita al segretario comunale, che risulta competente ad
adottare i relativi provvedimenti ad efficacia esterna.
[2]
Si è precisato, inoltre, che l'art. 97 richiamato è una
disposizione aperta, che permette di attribuire al
segretario comunale altri compiti particolari, oltre a
quelli contemplati espressamente nello stesso enunciato, in
conformità alle prescrizioni statutarie e regolamentari
dell'ente, le quali possono prevedere che il segretario sia
investito di funzioni gestionali, rientranti nelle
prerogative dirigenziali, purché queste siano circoscritte e
l'affidamento non sia teso a stravolgere l'assetto
ordinamentale complessivo dell'ente [3].
La Suprema Corte [4]
si è pronunciata espressamente sull'illegittimità della
sostituzione operata dal segretario comunale nei confronti
di un atto rientrante nella sfera di attribuzione di un
dipendente, cui pacificamente, secondo conformi previsioni
di legge, erano state attribuite funzioni dirigenziali,
benché risultasse privo della relativa qualifica. In tale
circostanza, si è rimarcato come, nel d.lgs. n. 267/2000, i
compiti propri del segretario comunale siano definiti, in
linea generale, quali 'compiti di collaborazione e
funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei
confronti degli organi dell'ente, in ordine alla conformità
dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai
regolamenti'.
Si è poi specificato che il segretario sovrintende allo
svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina
l'attività. Quanto alle attribuzioni dei dirigenti -continua
la Suprema Corte- la legge ribadisce il principio
fondamentale di separazione tra poteri di indirizzo e
controllo politico amministrativo da un lato, e di gestione
dall'altro, ed in questa prospettiva assegna ai dirigenti la
direzione degli uffici e dei servizi, secondo i criteri e le
norme dettate dagli statuti e dai regolamenti, imponendo a
questi ultimi di uniformarsi al principio anzidetto (art.
107 TUEL). Pertanto, il legislatore attribuisce ai dirigenti
ogni compito non riconducibile, in modo espresso, alle
funzioni di indirizzo e controllo politico amministrativo o
non rientrante tra le funzioni del segretario e del
direttore generale.
Particolare rilievo -sottolinea la Corte di Cassazione-
nella ricostruzione delle funzioni dirigenziali, assumono,
infine, le previsioni circa l'inderogabilità delle
attribuzioni dei dirigenti (se non per espressa e specifica
previsione di legge) e la diretta ed esclusiva
responsabilità dei medesimi, in relazione agli obiettivi
dell'ente, alla correttezza amministrativa, alla efficienza
e ai risultati della gestione.
Pertanto, l'attribuzione legislativa al segretario comunale
di compiti di sovrintendenza e di coordinamento
dell'attività del dirigente non può essere intesa, per
ragioni di coerenza sistematica, nel senso che tali compiti
implichino un potere di sostituzione del dirigente medesimo.
Un siffatto potere, da un lato comporterebbe deroga alle
attribuzioni di quest'ultimo, in contrasto con l'esplicito
limite che la legge prevede in proposito, dall'altro
determinerebbe violazione della regola di diretta
responsabilità del dirigente rispetto all'atto di esercizio
di una funzione specificamente attribuitagli.
---------------
[1] Cfr. TAR Piemonte, Torino, sez. II, sentenza n. 2739
del 04.11.2008.
[2] Cfr. Cons. di Stato, sez. IV,. sentenza n.4858 del 2006.
[3] Cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sentenza n. 715
del 2005.
[4] Cfr. Cassazione civile, sez. lav., sentenza n. 13708 del
2007 (13.09.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
luglio 2013 |
|
ENTI
LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Segretari,
i costi non si dividono. Delibera
Corte conti sulle convenzioni.
Le spese del personale relative al segretario comunale che
opera anche in altri comuni in convenzione, devono essere
classificate per intero nel bilancio dell'ente e non in
quota parte. Infatti, il rapporto di servizio del segretario
che presta la sua opera anche presso un ente diverso da
quello di assegnazione principale rimane, sotto il profilo
del rapporto organico, in capo al comune capofila e
l'inscindibilità del rapporto stesso non consente di
considerare la spesa per il dipendente solo per una quota
parte.
È quanto ha affermato la sezione delle autonomie della Corte
dei conti, nella
deliberazione
26.07.2013 n. 17, facendo chiarezza su un aspetto
delle disposizioni previste dall'articolo 76, comma 6, del
dl n. 112/2008, in materia di rapporto tra spesa del
personale e quella corrente.
La vicenda.
Il comune di Terranova del Pollino ha in regime di
convenzione con altri due enti il servizio del segretario
comunale. Essendo comune capofila, anticipa per il predetto
servizio l'intero onere finanziario, comprensivo di
contributi fiscali e previdenziali, mentre gli altri due
enti versano mensilmente a quest'ultimo la propria quota, a
scadenze diverse.
Il comune afferma che le quote di rimborso provenienti dagli
altri due enti andrebbero escluse in bilancio dalla voce «spese
di personale», perché legate a prestazioni che il
segretario svolge nell'interesse degli altri enti e che le
stesse, per i limiti ex dl n. 112/2008, andrebbero
considerate solo per la propria quota spettante, mentre le
altre dovrebbero rientrare nelle spese per prestazioni di
servizi.
La decisione.
Per la Corte, anche se non esiste una disposizione attuale
che indichi quali siano le componenti dell'aggregato spesa
di personale per il vincolo che fa riferimento al rapporto
spesa di personale e spesa corrente, si ritiene preferibile
non ammettere l'esclusione.
Rafforza questa conclusione l'evidenza che il rapporto di
servizio del segretario che presta la sua opera anche presso
un ente diverso da quello di assegnazione principale rimane,
in capo al comune capofila. Tale inscindibilità, pertanto,
non consente di considerare la spesa per il dipendente solo
per una quota parte
(articolo ItaliaOggi del 31.07.2013). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Oggetto:
sedi vacanti e reggenze a scavalco
(Ministero dell'Interno,
circolare 08.07.2013 n. 23581 di prot.). |
giugno 2013 |
|
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: T.
Grandelli e M. Zamberlan,
Il trattamento economico del segretario comunale e
provinciale
(Risorse Umane, n. 3/2013). |
SEGRETARI COMUNALI:
Retribuzione di posizione, scontro segretari-Inps
LA CONTESA/
Ancora numerosi i ricorsi sulla valutazione a fini
previdenziali delle maggiorazioni alla voce stipendiale.
Lo scontro fra segretari comunali e provinciali e l'Inps
sulla maggiorazione della retribuzione di posizione non ha
visto ancora la parola fine. Ora anche la giurisprudenza, un
tempo a fianco dei segretari, registra alcune sentenze
favorevoli all'istituto di previdenza. Ma oggi, forse, i
segretari hanno qualche ragione in più.
Così si può
riassumere lo stato attuale dell'annosa vicenda che riguarda
la valutazione ai fini pensionistici della maggiorazione
della retribuzione di posizione prevista dall'articolo 41,
comma 4, del Ccnl del 16.05.2001.
I segretari comunali e provinciali sostengono che la
maggiorazione abbia la stessa natura della retribuzione di
posizione, forti di un parere Aran che va in questa
direzione. Concludono, quindi, con la valutazione di
entrambe le voci stipendiali in quota «A» della pensione.
L'Inps, invece, afferma che i due emolumenti non possono
essere considerati omogenei, perché la retribuzione di
posizione è fissa e continuativa e il suo importo è
stabilito dal Ccnl, mentre, per la maggiorazione, il Ccdi
del 22.12.2003 individua condizioni soggettive e
oggettive in presenza delle quali l'ente può (e non deve)
riconoscere la maggiorazione.
Ovviamente i segretari,
pensionati, ricorrono contro i provvedimenti che considerano
la maggiorazione in quota «B»: negli anni passati, molte
sentenze hanno accolto questi ricorsi. Nonostante questo
orientamento giurisprudenziale, l'ex Inpdap (note operative
11/2006 e 23/2011), persevera sulla propria posizione. Ma il
vento sembra cambiare, e la Corte dei conti, in sede di
appello, sembra riportarsi in linea con l'istituto di
previdenza (Sezione III, sentenze 279/2013 e 293/2013).
L'Unione segretari torna alla carica, forte del fatto che,
oggi, i segretari sono dipendenti del ministero
dell'Interno. E chiedono all'Inps di mettere nero su bianco
il motivo per il quale i loro colleghi, dirigenti
ministeriali, si vedono valutata in maniera più pesante sia
la retribuzione di posizione di parte fissa, sia quella di
parte variabile, come pure i dirigenti e i titolari di
posizione organizzativa degli enti locali, mentre per i
segretari si persiste in un atteggiamento contrario, con una
disparità di trattamento.
Anche a questo, l'Inps risponde richiamando la sentenza
della Corte dei conti del Piemonte 124/ 2012, in cui si
evidenzia la non sovrapponibilità della struttura
retributiva dei segretari e delle altre figure dirigenziali,
confermata dalla presenza di un comparto di contrattazione
ad hoc. L'Unione ha dunque scritto nuovamente
all'Inps e al presidente della Corte dei conti, ribattendo,
punto per punto, sulle ragioni di una valutazione in quota
«A» della maggiorazione. Non resta che attendere i prossimi
sviluppi (articolo Il Sole 24 Ore
del 24.06.2013). |
CONSIGLIERI COMUNALI -
APPALTI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Anche il Segretario comunale è responsabile per
l'approvazione illegittima di debiti fuori bilancio.
Osserva il Collegio che i lavori oggetto
della presente controversia –determinativi del pagamento–
non rientravano tra quelli oggetto di appalto e la loro
realizzazione era stata decisa in piena autonomia
dall’impresa, senza alcun coinvolgimento istituzionale della
stazione appaltante o della direzione dei lavori.
Né sussisteva la presenza di apposite riserve negli atti
adottati nelle varie fasi di esecuzione dell’appalto.
In altri termini l’impresa aveva deciso autonomamente e
contra legem –vista la normativa di settore-, in assenza di
richiesta o autorizzazione dell’Amministrazione comunale
committente di effettuare lavori che esulavano dall’opus
appaltato.
La normativa in tema di opere pubbliche preclude –in via
generale– all’appaltatore la possibilità di operare con tali
modalità pur, se in ipotesi, al fine di realizzare
interventi caratterizzati da intrinseca utilità.
In siffatto modo l’art. 342, comma primo, della legge sui
lavori pubblici (all. F) 20.03.1865 n. 2248, applicabile
nella specie, impedisce in via generale all’appaltatore di
apportare “variazioni o addizioni di sorta al lavoro assunto
senza averne ricevuto l’ordine per iscritto dall’ingegnere
direttore”, ed in seguito si aggiunge che “mancando una tale
approvazione gli appaltatori non possono pretendere alcun
aumento di prezzo od indennità per le variazioni od
addizioni avvenute, e sono tenuti ad eseguire senza compenso
quelle riforme che in conseguenza l’Amministrazione credesse
opportuno di ordinare, oltre il risarcimento dei danni
recati”.
Nella stessa direzione l’art. 134 del d.P.R. 21.12.1999 n.
554 dispone che “nessuna variazione o addizione al progetto
approvato può essere introdotta dall’appaltatore se non è
disposta dal direttore dei lavori e preventivamente
approvata dalla stazione appaltante nel rispetto delle
condizioni e dei limiti indicati dal’art. 25 della legge. Il
mancato rispetto di tale disposizione non dà titolo al
pagamento dei lavori non autorizzati e comporta la
rimessione in pristino, a carico dell’appaltatore, dei
lavori e delle opere nella situazione originaria secondo le
disposizioni del direttore dei lavori”.
I regimi derogatori che si sono succeduti nel tempo non
hanno mai permesso la possibilità di variazioni unilaterali
dell’appaltatore, senza che questi ne avesse fatto riserva
(sulla necessità di una tempestiva iscrizione di riserva,
pena la decadenza del diritto al pagamento per i maggiori
costi delle opere eseguite e preclusione anche dell’azione
ai sensi dell’art. 2041 c.c.. cfr. Corte Cassazione
12.09.2003 n. 13440) o prescindendo dal coinvolgimento della
direzione dei lavori.
Il Giudice di Legittimità ha, pertanto, più volte ribadito
che “in materia di appalti l’onere dell’iscrizione nel
registro di contabilità (di cui al RD n. 350 del 1895)
condiziona la tutelabilità delle pretese dell’appaltatore
non accolte dalla committente PA in ordine alle partite di
lavoro eseguite".
Vieppiù il Giudice di Legittimità ha statuito che “non è poi
esatto che l’appaltatore abbia l’onere di iscrivere la
riserva per maggiori compensi pretesi soltanto al momento
della scadenza contrattuale prevista …. In quanto dal
combinato disposto degli artt. 53 e 54 r.d. n. 350 del 1895…
si ricava la regola assoluta ed inderogabile che
l’appaltatore che richieda maggiori compensi, rimborsi o
indennizzi, per qualsiasi titolo e in relazione a qualsiasi
situazione nel corso dell’esecuzione dell’opera, è tenuto a
iscrivere nel registro di contabilità la riserva
“immediatamente” e quindi contestualmente all’insorgenza e
percezione del fatto dannoso. Solo dal registro di
contabilità è rilevabile l’incidenza che le varie vicende
potranno avere sui costi dell’appalto e per il committente e
per l’appaltatore”.
Ove anche, come prospettato dalle parti convenute in ipotesi
fossero da considerare opere extracontrattuali, ai sensi
dell’art. 344 della l. 20.03.1865 n. 2248 all. F, era
necessario un nuovo impegno di spesa ed un autonomo
contratto, ad oggetto tipologie di opere e compensi
spettanti all’appaltatore, dovendo ricorrere, a pena di
nullità ed improduttività di effetti, un atto adottato
dall’organo rappresentativo esterno dell’ente, il solo
legittimato a stipulare in nome e per conto di esso.
Sicché vi è improponibilità della domanda ex art. 2041 c.c.
rivolta all’ente locale per opere e lavori commissionati
senza alcun previo impegno di spesa né copertura
finanziaria, come disposto dal previgente art. 23, comma 4,
del D.L. 66 del 1989 convertito nella legge n. 144 del 1989
(norme più volte modificate ed infine cristallizzate negli
artt. 191 e 194 del d.lgs. n. 267 del 2000, sempre in
armonia con il dettato dell’art. 23 D.L. 66/1989). La
improponibilità deriva dal fatto che le norme, impositive di
sole azioni dirette nei confronti del funzionario
deliberante, hanno fatto venir meno la necessaria
residualità dell’azione ex art. 2041 c.c. nei riguardi
dell’ente locale.
---------------
L’art.
1, comma 1–ter della l. n. 20/1994 dispone che “nel caso di
deliberazioni di organi collegiali la responsabilità si
imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto
favorevole. Nel caso di atti che rientrano nella competenza
propria degli uffici tecnici o amministrativi la
responsabilità non si estende ai titolari degli organi
politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne
abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione”.
Pertanto, ribadisce il Collegio, che l’atto dannoso, ossia
il riconoscimento del debito fuori bilancio, rientra tra le
competenze dell’organo politico (art. 194 d.lgs. 267/2000) e
non in quella propria dell’organo tecnico (che in ogni caso
è responsabile in quanto proponente).
Nella fattispecie, non si è trattato di ratificare o
approvare un atto proprio di altro organo (tecnico), ma di
adottare un atto di riconoscimento di debito fuori bilancio,
rientrante appieno nella propria sfera di competenza e
responsabilità.
L’aver autorizzato l’accollo della spesa risulta, pertanto,
decisione poco avveduta e assolutamente antigiuridica e, in
ordine al profilo psicologico, va sicuramente affermata la
colpa grave sia degli amministratori (rectius dell’apparato
politico), sia dei funzionari amministrativi che hanno
espresso parere favorevole all’adozione del provvedimento,
in quanto la normativa di riferimento era assolutamente
intellegibile, non sussistendo i presupposti per riconoscere
quanto richiesto (non essendo state avanzate riserve o
richieste di alcun genere sui lavori extracontratto per i
quali non era stata coinvolta la direzione dei lavori o
l’Amministrazione comunale).
Pertanto va affermata la colpa grave degli odierni convenuti
in forza dei differenti ruoli rivestiti nell’ambito del
Comune e della palese erroneità dell’atto nell’ambito delle
rispettive competenze.
Il pagamento di lavori esulanti dal contratto, decisi in
piena autonomia dall’impresa senza coinvolgimento
dell’Amministrazione in mancanza della richiesta di
pagamento durante la loro effettuazione o l’apposizione di
riserve, determina una anomala richiesta di pagamento (a
distanza di cinque anni dall’ultimo pagamento afferenti al
lavori), e tale anomalia non poteva trovare “copertura”
attraverso il riconoscimento di un debito fuori bilancio.
---------------
Nel novero dei soggetti che hanno avuto un apporto causale
più rilevante nella causazione del danno (pari al 70% dello
stesso) va anche ritenuto responsabile il segretario
comunale che aveva, ai sensi dell’art. 97 d.Lgs. n.
267/2000, il dovere di esercitare compiti di “assistenza
giuridico amministrativa” ed era tenuto a segnalare
l’illegittimità di un atto palesemente in contrasto con i
principi in tema di contrattualistica pubblica, tanto più
che non vi era in atti alcuna controversia, giudiziaria o
stragiudiziale, che potesse indurre ad indirizzare verso una
decisione (il riconoscimento del debito fuori bilancio)
costituente un minor danno a fronte di ipotetici esborsi a
seguito della soccombenza in giudizio.
---------------
La Procura contesta agli odierni convenuti di aver espresso
voto favorevole –o di aver consentito– alla legittimità del
pagamento senza rilevare, nonostante le specifiche
competenze istituzionali, l’intervenuta decadenza.
Osserva il Collegio che i lavori oggetto della presente
controversia –determinativi del pagamento– non rientravano
tra quelli oggetto di appalto e la loro realizzazione era
stata decisa in piena autonomia dall’impresa, senza alcun
coinvolgimento istituzionale della stazione appaltante o
della direzione dei lavori.
Né sussisteva la presenza di apposite riserve negli atti
adottati nelle varie fasi di esecuzione dell’appalto.
In altri termini l’impresa aveva deciso autonomamente e
contra legem –vista la normativa di settore-, in assenza
di richiesta o autorizzazione dell’Amministrazione comunale
committente di effettuare lavori che esulavano dall’opus
appaltato.
La normativa in tema di opere pubbliche preclude –in via
generale– all’appaltatore la possibilità di operare con
tali modalità pur, se in ipotesi, al fine di realizzare
interventi caratterizzati da intrinseca utilità.
In siffatto modo l’art. 342, comma primo, della legge sui
lavori pubblici (all. F) 20.03.1865 n. 2248, applicabile
nella specie, impedisce in via generale all’appaltatore di
apportare “variazioni o addizioni di sorta al lavoro assunto
senza averne ricevuto l’ordine per iscritto dall’ingegnere
direttore”, ed in seguito si aggiunge che “mancando una tale
approvazione gli appaltatori non possono pretendere alcun
aumento di prezzo od indennità per le variazioni od
addizioni avvenute, e sono tenuti ad eseguire senza compenso
quelle riforme che in conseguenza l’Amministrazione credesse
opportuno di ordinare, oltre il risarcimento dei danni
recati”.
Nella stessa direzione l’art. 134 del d.P.R. 21.12.1999 n.
554 dispone che “nessuna variazione o addizione al progetto
approvato può essere introdotta dall’appaltatore se non è
disposta dal direttore dei lavori e preventivamente
approvata dalla stazione appaltante nel rispetto delle
condizioni e dei limiti indicati dal’art. 25 della legge. Il
mancato rispetto di tale disposizione non dà titolo al
pagamento dei lavori non autorizzati e comporta la
rimessione in pristino, a carico dell’appaltatore, dei
lavori e delle opere nella situazione originaria secondo le
disposizioni del direttore dei lavori”.
I regimi derogatori che si sono succeduti nel tempo non
hanno mai permesso la possibilità di variazioni unilaterali
dell’appaltatore, senza che questi ne avesse fatto riserva
(sulla necessità di una tempestiva iscrizione di riserva,
pena la decadenza del diritto al pagamento per i maggiori
costi delle opere eseguite e preclusione anche dell’azione
ai sensi dell’art. 2041 c.c.. cfr. Corte Cassazione 12.09.2003 n. 13440) o prescindendo dal coinvolgimento
della direzione dei lavori.
Il Giudice di Legittimità ha, pertanto, più volte ribadito
che “in materia di appalti l’onere dell’iscrizione nel
registro di contabilità (di cui al RD n. 350 del 1895)
condiziona la tutelabilità delle pretese dell’appaltatore
non accolte dalla committente PA in ordine alle partite di
lavoro eseguite": in termini C. Cass. Sez. I 4851/1997.
Vieppiù il Giudice di Legittimità ha statuito che “non è
poi esatto che l’appaltatore abbia l’onere di iscrivere la
riserva per maggiori compensi pretesi soltanto al momento
della scadenza contrattuale prevista …. In quanto dal
combinato disposto degli artt. 53 e 54 r.d. n. 350 del 1895…
si ricava la regola assoluta ed inderogabile che
l’appaltatore che richieda maggiori compensi, rimborsi o
indennizzi, per qualsiasi titolo e in relazione a qualsiasi
situazione nel corso dell’esecuzione dell’opera, è tenuto a
iscrivere nel registro di contabilità la riserva
“immediatamente” e quindi contestualmente all’insorgenza e
percezione del fatto dannoso.
Solo dal registro di contabilità è rilevabile l’incidenza
che le varie vicende potranno avere sui costi dell’appalto e
per il committente e per l’appaltatore”: cfr. Corte Cass., I
Sez. Civ. 07.10.2010 n. 20828.
Ove anche, come prospettato dalle parti convenute in ipotesi
fossero da considerare opere extracontrattuali, ai sensi
dell’art. 344 della l. 20.03.1865 n. 2248 all. F, era
necessario un nuovo impegno di spesa ed un autonomo
contratto, ad oggetto tipologie di opere e compensi
spettanti all’appaltatore, dovendo ricorrere, a pena di
nullità ed improduttività di effetti, un atto adottato
dall’organo rappresentativo esterno dell’ente, il solo
legittimato a stipulare in nome e per conto di esso: in
termini Cass. I Sez. 28.02.2013 n. 5020.
Sicché vi è improponibilità della domanda ex art. 2041 c.c.
rivolta all’ente locale per opere e lavori commissionati
senza alcun previo impegno di spesa né copertura
finanziaria, come disposto dal previgente art. 23, comma
4, del D.L. 66 del 1989 convertito nella legge n. 144 del
1989 (norme più volte modificate ed infine cristallizzate
negli artt. 191 e 194 del d.lgs. n. 267 del 2000, sempre in
armonia con il dettato dell’art. 23 D.L. 66/1989). La
improponibilità deriva dal fatto che le norme, impositive di
sole azioni dirette nei confronti del funzionario
deliberante, hanno fatto venir meno la necessaria
residualità dell’azione ex art. 2041 c.c. nei riguardi
dell’ente locale: cfr. Cass. 5020/2013 e 4216 del 2012).
Tanto ribadito in ordine al fatto causativo del danno
erariale e ritenuta la sussistenza del rapporto di servizio,
le parti convenute –apparato politico (i consiglieri
comunali, il sindaco e l’assessore comunale)- invocano la cd.
esimente politica, ai sensi dell’art. 1, comma 1–ter della
l. n. 20/1994, avendo gli stessi fatto affidamento
sull’istruttoria svolta dagli uffici tecnici comunali
competenti preposti al momento gestorio amministrativo.
Osserva il Collegio che la norma invocata dispone che “nel
caso di deliberazioni di organi collegiali la responsabilità
si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto
favorevole. Nel caso di atti che rientrano nella competenza
propria degli uffici tecnici o amministrativi la
responsabilità non si estende ai titolari degli organi
politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne
abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione”.
Pertanto, ribadisce il Collegio, che l’atto dannoso, ossia
il riconoscimento del debito fuori bilancio, rientra tra le
competenze dell’organo politico (art. 194 d.lgs. 267/2000) e
non in quella propria dell’organo tecnico (che in ogni caso
è responsabile in quanto proponente).
Non si è trattato, quindi, di ratificare o approvare un atto
proprio di altro organo (tecnico), ma di adottare un atto di
riconoscimento di debito fuori bilancio, rientrante appieno
nella propria sfera di competenza e responsabilità.
L’aver autorizzato l’accollo della spesa risulta, pertanto,
decisione poco avveduta e assolutamente antigiuridica e, in
ordine al profilo psicologico, va sicuramente affermata la
colpa grave sia degli amministratori (rectius dell’apparato
politico), sia dei funzionari amministrativi che hanno
espresso parere favorevole all’adozione del provvedimento,
in quanto la normativa di riferimento era assolutamente
intellegibile, non sussistendo i presupposti per riconoscere
quanto richiesto (non essendo state avanzate riserve o
richieste di alcun genere sui lavori extracontratto per i
quali non era stata coinvolta la direzione dei lavori o
l’Amministrazione comunale): cfr. Corte conti Sez. III Centr.
12.05.2008 n. 161 e 27.12.2011 n. 888.
Pertanto va affermata la colpa grave degli odierni convenuti
in forza dei differenti ruoli rivestiti nell’ambito del
Comune e della palese erroneità dell’atto nell’ambito delle
rispettive competenze.
Il pagamento di lavori esulanti dal contratto, decisi in
piena autonomia dall’impresa senza coinvolgimento
dell’Amministrazione in mancanza della richiesta di
pagamento durante la loro effettuazione o l’apposizione di
riserve, determina una anomala richiesta di pagamento (a
distanza di cinque anni dall’ultimo pagamento afferenti al
lavori), e tale anomalia non poteva trovare “copertura”
attraverso il riconoscimento di un debito fuori bilancio.
L’adozione di un atto avente particolare rilievo finanziario
e contabile determina pertanto una più rilevante
responsabilità per il maggior rigore che avrebbero dovuto
avere i convenuti cui si imputa il 70% del danno
finanziario, ed in specie i sigg.ri Michele Bello, Enzo
Bianchi, Franco Dringoli, Giuseppe Fanfani e Valter
Tirannanzi.
Il sig. Giuseppe Fanfani, sindaco –e come tale organo di
sovrintendenza al funzionamento dei servizi e degli uffici-, ha espresso voto favorevole sulla delibera C.C. n. 147
del 26.07.2007 nonostante la palese violazione della
stessa per la normativa in tema di contrattualistica
pubblica, ed essendo o dovendo essere a conoscenza della non debenza del pagamento dei lavori dell’impresa a fronte dell’assenza di apposizioni di riserve: cfr. questa Sezione
617/2009.
Parimenti responsabile è il sig. Franco Dringoli, assessore
competente, per le medesime considerazioni mosse nei
confronti del sindaco, cioè per la violazione palese della
normativa in tema di contrattualistica pubblica, ma anche
per le sue attribuzioni specifiche in materia di lavori
pubblici.
Responsabile è anche il sig. Valter Tirinnanzi, direttore
dei lavori, che con comportamento gravemente omissivo non ha
vigilato adeguatamente sulla legittima esecuzione dei lavori
oggetto dell’appalto con specifica responsabilità nell’aver
consentito variazioni ed integrazioni al contratto approvato
dall’Amministrazione, ma anche per non aver rilevato la
tardività delle richieste.
Fondata appare anche la richiesta di condanna del sig. Enzo
Bianchi, responsabile dell’Area Servizi Infrastrutture che
ha avuto un ruolo rilevante nella formazione del
provvedimento contestato, poi sottoposto all’approvazione
del Consiglio Comunale.
Infine nel novero dei soggetti che hanno avuto un apporto
causale più rilevante nella causazione del danno (pari al
70% dello stesso) va anche ritenuto responsabile il
segretario comunale che aveva, ai sensi dell’art. 97 d.Lgs.
n. 267/2000, il dovere di esercitare compiti di “assistenza
giuridico amministrativa” ed era tenuto a segnalare
l’illegittimità di un atto palesemente in contrasto con i
principi in tema di contrattualistica pubblica, tanto più
che non vi era in atti alcuna controversia, giudiziaria o
stragiudiziale, che potesse indurre ad indirizzare verso una
decisione (il riconoscimento del debito fuori bilancio)
costituente un minor danno a fronte di ipotetici esborsi a
seguito della soccombenza in giudizio: in termini Sezione
giurisdizionale Regione Calabria n. 208/2006.
Tutti i soggetti con il loro comportamento hanno
contribuito, a parere del Collegio in pari misura,
all’assunzione di un onere finanziario da parte del Comune
in assenza di un obbligazione giuridicamente rilevante, non
rilevando (o non facendo rilevare) la incontestabile
esistenza della decadenza realizzata dall’impresa, ritenuta
l’assenza di riserve da parte dell’appaltatore.
Né rileva, ai fini della individuazione delle
responsabilità, l’argomentazione difensiva secondo cui
l’inosservanza della prescritte procedure sarebbe dovuta
alla “extracontrattualità” dei lavori eseguiti, atteso che
non viene contestato che questi non fossero compresi nel
contratto, ma che essi, benché connessi e strumentali a
quelli appaltati, siano stati pagati con procedura
irregolare: cfr. questa Sezione 16.11.2009 n. 617
(Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Toscana,
sentenza
17.06.2013 n. 206). |
SEGRETARI COMUNALI: La
figura del Segretario è prevista come obbligatoria
all'interno della Provincia e, pertanto, il divieto di
assunzione non può riguardare detta figura.
Questa Sezione ha già avuto modo di precisare, in merito
all’assunzione di categorie protette, che le dette norme
sono in realtà perfettamente compatibili e vanno
correttamente interpretate considerando che all’interno
della spesa del personale, ai fini del rispetto del limite
debbono essere computate anche quelle relative al segretario
provinciale secondo l’enunciato principio della
onnicomprensività delle Sezioni riunite della Corte dei
Conti.
È allora chiaro che una corretta programmazione del
fabbisogno di personale, così come disposto dall’art. 91 del
TUEL, consente ed anzi impone di adottare tutte le misure
per poter adempiere agli obblighi derivanti anche dall’art.
97 del TUEL.
---------------
Nel merito, si rende necessario al riguardo,
preliminarmente, sottolineare che la figura del segretario
provinciale, come quella del segretario comunale, è
disciplinata dall’art. 97, del TUEL in base al quale “Il
comune e la provincia hanno un segretario titolare
dipendente dall'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo
dei segretari comunali e provinciali, di cui all'articolo
102 e iscritto all'albo di cui all'articolo 98”.
Ne risulta che la figura del Segretario è
prevista come obbligatoria all'interno della Provincia.
Pertanto,
come peraltro già affermato dalla Giurisprudenza di questa
Corte dei conti che questa Sezione regionale ritiene di
condividere, il divieto di assunzione non
può riguardare detta figura
(Sez. Puglia n. 75/2013).
D’altra parte la nomina del segretario provinciale non è
costitutiva di un rapporto di lavoro dipendente, che
intercorre invece con lo Stato attraverso il Ministero
dell'Interno, bensì instaura con la Provincia un rapporto di
servizio.
Ciò premesso la Sezione non ritiene di condividere l’assunto
del Presidente della Provincia circa l’antinomia normativa
dell’art. 97, comma 1, del TUEL che sancisce l’obbligo di
nomina e il divieto disposto dal comma 7 dell’art. 76 del
D.L. n. 112/2008 in base al quale è fatto divieto agli enti
nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o
superiore al 50% delle spese correnti di procedere ad
assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con
qualsivoglia tipologia contrattuale.
Questa Sezione ha già avuto modo di
precisare con il
parere n. 136/2012, richiamato dalla Provincia nella
richiesta di parere, in merito all’assunzione di categorie
protette, che si appalesa fuorviante
considerare inconciliabili le norme di cui si chiede in
questa sede di operare un arduo contemperamento atteso che
le stesse sono in realtà perfettamente compatibili e vanno
correttamente interpretate considerando che all’interno
della spesa del personale, ai fini del rispetto del limite
debbono essere computate anche quelle relative al segretario
provinciale secondo l’enunciato principio della
onnicomprensività delle Sezioni riunite della Corte dei
Conti
(deliberazione n. 27/CONTR711).
Non può inoltre esservi dubbio sul fatto che la lamentata
riduzione dei trasferimenti statali non possa essere
ragionevolmente presa in considerazione ai fini del
superamento del limite che, peraltro, nel tempo è stato
incrementato fino al 50% a fronte di uno speculare principio
di riduzione della spesa del personale introdotto fin dal
2006.
È allora chiaro che una corretta
programmazione del fabbisogno di personale, così come
disposto dall’art. 91 del TUEL, consente ed anzi impone di
adottare tutte le misure per poter adempiere agli obblighi
derivanti anche dall’art. 97 del TUEL.
La Sezione pertanto ritiene, come in analoga fattispecie di
cui al parere n. 136/2012, più volte richiamato, “che non
possa essere fatto oggetto di richiesta di parere il
contemperamento di norme astrattamente non incompatibili ma
che, in via di fatto, risultino tali unicamente in
conseguenza della violazione, a monte, dell’obbligo di
programmare correttamente l’andamento delle spese attraverso
gli strumenti sopra richiamati” (Corte dei Conti, Sez.
controllo Molise,
parere 05.06.2013 n.
20). |
maggio 2013 |
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INCARICHI PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI
COMUNALI: Vi
è un principio basilare nel nostro ordinamento, da lungo
tempo unanimemente riconosciuto dalla giurisprudenza
contabile in virtù del quale ogni ente pubblico, dallo Stato
all’ente locale, deve assolvere ai compiti istituzionali
avvalendosi delle proprie strutture organizzative e del
personale che vi è preposto.
Detto principio costituisce, per jus receptum, il corollario
del canone costituzionale di buona amministrazione (art. 97
Cost.) che impone alla pubblica amministrazione di
uniformare i propri comportamenti ai criteri di legalità,
economicità, efficienza ed imparzialità.
Tuttavia, la possibilità di far ricorso a personale esterno
(esternalizzazione) è ammessa nei limiti e alle condizioni
in cui la legge lo preveda.
Dalla lettura sistematica delle disposizioni che
disciplinano il ricorso alle risorse esterne, e quindi
dall’esegesi dell’art. 7 del d.lgs. 1993, n. 29, dell’ art.
110, comma 1, 2, e 6 del dlg. 267/2000 (con esclusivo
riferimento ai comuni ed alla province), dell’art. 1, co. 11
e co. 116 della legge n. 311/2004, dell’art. 32 del d.l.
223/2006 e successivamente dell’art. 3, comma 76, della l.
244 del 2007, è dato cogliere un principio normativo di
fondo che regola tutta la materia e cioè il conferimento di
incarichi all’esterno, in qualunque delle ipotesi previste,
è consentito solo allorquando nell’ambito della dotazione
organica non sia possibile reperire personale competente ad
affrontare problematiche di particolare complessità od
urgenza.
--------------
Requisito imprescindibile della responsabilità
amministrativo-contabile è la sussistenza del
danno erariale.
Il legislatore
si è occupato di disciplinare in
dettaglio i presupposti legittimanti il ricorso alla
collaborazione esterna così esprimendo a monte una
valutazione di utilità; per cui è, oltreché illegittimo,
assolutamente inutile qualsiasi conferimento di incarico che
non rispetti i presupposti normativi.
In altri termini lo stesso legislatore subordina l’utilità
dell’esternalizzazione a ferrei limiti legali, solo in
presenza dei quali si giustifica l’esborso di denaro.
Ne consegue che tutti gli emolumenti erogati al M.
costituiscono un danno all’erario del Comune di Serrata a
prescindere dall’attività concretamente svolta da questi,
poiché in ogni caso non può considerarsi utile atteso che
avrebbe potuto, per come sopra evidenziato, essere svolta da
soggetti interni all’amministrazione stessa.
---------------
L’evento dannoso per
cui è causa (ndr: illegittimo incarico professionale
all'esterno dell'ente) è stato determinato non solo dalla condotta
colposa degli odierni convenuti ma anche dal comportamento
di soggetti che sono rimasti estranei al presente giudizio
ed in particolare dal segretario comunale che ha reso parere
favorevole di legittimità sulla deliberazione della giunta
municipale con la quale è stato deciso il conferimento
dell’incarico per cui è causa.
Conseguentemente, in ragione dell'art. 53, comma 3, l. n. 142
del 1990, di tale parere deve rispondere, a prescindere
dalla natura obbligatoria o facoltativa.
Peraltro il segretario comunale, che è un tecnico del
diritto, svolge una specifica funzione di garante della
legalità e della correttezza amministrativa dell’azione
dell’ente locale, di assistenza e di collaborazione
giuridica ed amministrativa, sicché non avrebbe dovuto
rilasciare il parere favorevole proprio in considerazione
della palese violazione dei parametri normativi.
---------------
1) La questione posta al vaglio del Collegio riguarda una
ipotesi di danno erariale relativo all’attribuzione di un
incarico a soggetto estraneo all’ente comunale.
In particolare, parte requirente contesta agli odierni
convenuti di aver conferito, con contratto di diritto
privato a tempo determinato, la gestione operativa
dell’attività contabile e tributaria del comune di Serrata
al sig. Macrì, in assenza dei presupposti cui il legislatore
subordina l’esternalizzazione.
2) In primo luogo si ritiene di dovere premettere alcune
considerazioni, tenendo comunque presente che con la
delibere richiamata in citazione è stato stipulato un
contratto a tempo determinato in ragione dell’art. 110,
comma 2° del Tuel.
Vi è un principio basilare nel nostro ordinamento, da lungo
tempo unanimemente riconosciuto dalla giurisprudenza
contabile in virtù del quale ogni ente pubblico, dallo Stato
all’ente locale, deve assolvere ai compiti istituzionali
avvalendosi delle proprie strutture organizzative e del
personale che vi è preposto.
Detto principio costituisce, per jus receptum, il corollario
del canone costituzionale di buona amministrazione (art. 97
Cost.) che impone alla pubblica amministrazione di
uniformare i propri comportamenti ai criteri di legalità,
economicità, efficienza ed imparzialità (Corte dei conti,
Sez. Sardegna, 18.09.2008, n. 1831; Corte dei conti, Sez.
Lazio, 12.05.2008, n. 787).
Tuttavia, la possibilità di far ricorso a personale esterno
(esternalizzazione) è ammessa nei limiti e alle condizioni
in cui la legge lo preveda (Sez. controllo, 26.11.1991, n. 111; SS. RR., 23.06.1992, n. 792, e 12.06.1998, n. 27; Sez. II, 13.06.1997, n. 81, e 18.10.1999, n. 271).
Dalla lettura sistematica delle disposizioni che
disciplinano il ricorso alle risorse esterne, e quindi
dall’esegesi dell’ art. 7 del d.lgs. 1993, n. 29, dell’art.
110, comma 1, 2, e 6 del dlgs. 267/2000 (con esclusivo
riferimento ai comuni ed alla province), dell’art. 1, co.
11 e co. 116 della legge n. 311/2004, dell’art. 32 del
d.l. 223/2006 e successivamente dell’art. 3, comma 76, della
l. 244 del 2007, è dato cogliere un principio normativo di
fondo che regola tutta la materia e cioè il conferimento di
incarichi all’esterno, in qualunque delle ipotesi previste,
è consentito solo allorquando nell’ambito della dotazione
organica non sia possibile reperire personale competente ad
affrontare problematiche di particolare complessità od
urgenza.
3) Tanto premesso, come innanzi evidenziato, la disposizione
di riferimento è contenuta nell’art. 110, comma 2, del d.lgs.
276/200, che consente, entro i limiti e seguendo i criteri e
le modalità indicate nel regolamento sull'ordinamento degli
uffici e dei servizi, di stipulare contratti a tempo
determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari
dell'area direttiva.
Anche detta disposizione, tuttavia, subordina il ricorso a
risorse esterne solo in assenza di professionalità analoghe
presenti all'interno dell'ente.
4) Ebbene, il Collegio non ritiene che l’incarico assegnato al Macrì sia stato conferito in presenza dei
presupposti legittimanti.
In primo luogo occorre chiarire che le incombenze assegnate
al suddetto avevano la forma di “operazioni
amministrative”, e quindi avevano un esclusivo contenuto
materiale.
Con riferimento all’attività contabile e tributaria,
infatti, quando si parla di gestione operativa (soprattutto
in un ente di ridottissime dimensioni), non può che farsi
riferimento all’attività necessaria per portare ad
esecuzione le già disposte decisioni amministrative, in
termini di pagamenti delle spese e di riscossioni
dell’entrate.
Trattasi, sostanzialmente di operazioni reali seguite dai
doveri di annotazione nelle scritture contabili dell’ente delle
operazioni svolte; compiti dunque aventi esclusivamente
natura esecutiva.
Ebbene, dall’esame della pianta organica risulta che,
all’epoca dei fatti, nell’Area Amministrativa nel Comune di
Serrata vi era un posto (coperto) di istruttore
amministrativo, categoria C, posizione economica C5 le cui
mansioni erano perfettamente compatibili con “la gestione
operativa dell’attività contabile e tributaria” di un paese
di 1.000 abitanti circa.
L’istruttore amministrativo, infatti, secondo la
declaratoria dei profili professionali di cui al CC.N.EE.LL.
del 31/03/1999, svolge un’attività caratterizzata da
contenuti di concetto con responsabilità di risultato
relativi a specifici processi produttivi/ amministrativi, ha
un’autonomia di iniziativa circoscritta al proprio ambito
operativo tant’è che se posto nell’ambito di una
organizzazione di medie dimensioni assume la funzione di
capoufficio. E’ un lavoratore che svolge attività
istruttoria nel campo amministrativo, tecnico e contabile,
curando, nel rispetto delle procedure e degli adempimenti di
legge ed avvalendosi delle conoscenze professionali tipiche
del profilo, la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dei
dati.
Peraltro che le mansioni attribuite al Macrì fossero al
massimo quelle proprie dell’istruttore amministrativo emerge
senza alcun dubbio altresì ove si pongano a confronto con
quelle proprie del funzionario, Istruttore Direttivo,
categoria d (profilo immediatamente superiore alla cat. C)
al quale, invece, è chiesto di espletare funzioni di elevato
contenuto professionale che si concretizzano in attività di
studio, di ricerca, di elaborazione di piani e programmi, di
predisposizione e formazione di atti e provvedimenti di
notevole grado di difficoltà.
Non solo; la Giunta Municipale aveva previsto in pianta
organica, nell’area amministrativa, un posto di istruttore
contabile, categoria C.
Tanto premesso, si ritiene che le incombenze assegnate al
ragioniere esterno avrebbero dovuto essere espletate
dall’Istruttore amministrativo già presente nell’Area
Amministrativa o addirittura, da altro dipendente (anche
con profilo funzionale inferiore) mediante la progressione
verticale.
Detto assunto, infatti, scaturisce dalla delibera
dell’Organo giuntale avente ad oggetto “approvazione nuova
dotazione organica e piano triennale delle assunzioni” nella
quale viene chiaramente affermato “la copertura del posto di
istruttore contabile è prevista mediante la progressione
verticale”; la qualcosa lascia presumere che nell’ambito
della dotazione organica vi fossero professionalità ,anche
di profilo inferiore alla C, capaci di svolgere le funzioni
assegnate all’esterno.
5) Tra l’altro, nella delibera con la quale si autorizza il
sindaco al conferimento dell’incarico esterno, nessuna
motivazione concreta viene formulata in ordine alla
inesistenza di idonea professionalità nell’ambito dell’ente.
Nessun argomento, infatti, viene esternato in ordine alla
eventuale inidoneità dell’istruttore amministrativo in
organico a svolgere le mansioni esternalizzate Né risulta in
altro modo che una tale valutazione sia stata concretamente
svolta.
In proposito il Collegio condivide quanto affermato dalla
Sezione Toscana, nella sentenza n 329/2009, e cioè che “non
si può ignorare la necessità che tali valutazioni siano
suffragate da serie e documentate azioni”.
6) Invero, l’attribuzione della gestione operativa
dell’attività contabile e tributaria all’istruttore
amministrativo in organico sarebbe stata altresì possibile
in considerazione dell’esigua mole di lavoro conferita
all’esterno; si consideri al riguardo che Il Macrì, secondo
il contratto, avrebbe dovuto garantire almeno due accessi
settimanali in ufficio; e per tuziorismo si evidenzia che le
mansioni affidate al ragioniere potevano essere svolte solo
in ufficio.
Ebbene, seppure l’istruttore fosse già impegnato all’Ufficio
anagrafe (per come assunto dalla difesa), ben poteva
svolgere anche detta ulteriore mansione anche solo in
considerazione della modesta entità di lavoro che l’ ufficio
anagrafe di un paesino di meno di 1000 abitanti è chiamato
ad espletare.
7) Ma la illegittimità scaturisce anche da altra
considerazione.
Il Macrì, contro ogni principio che disciplina
l’esternalizzazione, è stato consulente contabile presso il
comune di Serrata dal 1980 al 2002, ed incaricato
all’Ufficio finanziario e tributario dal 2003 a tutt’oggi.
In sostanza il suddetto ragioniere, a dispetto di tutte le
norme che regolano le procedure di reclutamento e di
assunzione del personale nelle pubbliche amministrazioni,
svolge attività lavorativa a favore del comune di Serrata da
oltre trent’anni senza aver mai superato un concorso
pubblico.
Tanto emerge sia dal curriculum vitae del Macrì che dalla
deliberazione della Giunta municipale nella quale è
espressamente dichiarato “che l’Ufficio di ragioneria si è
avvalso del supporto del Rag. Macrì Tito da lungo tempo”.
Tanto premesso, l’incarico è stato conferito in assenza dei
presupposti normativi.
8)
Requisito imprescindibile della responsabilità
amministrativo-contabile è, tuttavia, la sussistenza del
danno erariale.
Il difensore dei convenuti oppone, in proposito, che
l’amministrazione avrebbe comunque beneficiato delle
prestazioni professionali rese dal Macrì.
Il Collegio tuttavia ritiene di non poter condividere detto
assunto e di non poter configurare un’ipotesi di vantaggio
derivante all’amministrazione locale.
Il legislatore, infatti,
si è occupato di disciplinare in
dettaglio i presupposti legittimanti il ricorso alla
collaborazione esterna così esprimendo a monte una
valutazione di utilità; per cui è, oltreché illegittimo,
assolutamente inutile qualsiasi conferimento di incarico che
non rispetti i presupposti normativi.
In altri termini lo stesso legislatore subordina l’utilità
dell’esternalizzazione a ferrei limiti legali, solo in
presenza dei quali si giustifica l’esborso di denaro.
Ne consegue che tutti gli emolumenti erogati al Macrì
costituiscono un danno all’erario del Comune di Serrata a
prescindere dall’attività concretamente svolta da questi,
poiché in ogni caso non può considerarsi utile atteso che
avrebbe potuto, per come sopra evidenziato, essere svolta da
soggetti interni all’amministrazione stessa.
9) La Procura ha ritenuto di citare il Sindaco e gli
assessori che hanno deliberato di conferire l’incarico al Macrì.
E’ fuori ogni dubbio che il danno testé configurato sia
etiologicamente riconducibile alla condotta posta in essere
dai suddetti soggetti.
Si consideri, infatti, che il Sindaco e gli assessori Sofi e
Sorrento, con il provvedimento n. 4 del 07.01.2010, hanno
deliberato il conferimento della gestione operativa
dell’attività contabile e tributaria del comune di Serrata
al rag. Macrì. Così come, il Sindaco, in ottemperanza a
quanto disposto nella delibera giuntale, ha provveduto a
conferire l’incarico.
Tutti atti illegittimi, per i motivi innanzi indicati e
forieri del danno erariale per cui è causa.
10)
Ma la condotta, oltre ad essere illecita è altresì
connotata da colpa grave.
I suddetti, infatti, in spregio alle norme che regolano la
materia con assoluta noncuranza dei parametri normativi
(propri dell’azione amministrativa) dell’efficacia,
dell’efficienza e dell’economicità ed in violazione alle più
elementari regole di buona amministrazione, hanno gestito
con evidente negligenza e trascuratezza il patrimonio del
Comune di Serrata.
Peraltro la gravità della colpa appare di tutta evidenza
proprio in considerazione che detto incarico è stato
conferito, senza soluzione di continuità, dal 2003 ad oggi.
Non solo; gli odierni convenuti ben conoscevano la dotazione
organica nonché la previsione di copertura del posto di
istruttore contabile mediante la progressione verticale: loro
stessi, infatti, lo avevano deliberato nel 2009.
Un ulteriore elemento emerge dagli atti e cioè che il Comune
di Serrata, da oltre venticinque anni utilizzava
l’esternalizzazione per provvedere ai bisogni istituzionali
dell’ente evidentemente considerando il ricorso a
professionalità esterne come una prerogativa arbitraria
propria degli amministratori.
In ogni caso, l’elemento che, a fortiori, convince il
Collegio ad affermare la gravità della colpa nella condotta
degli odierni convenuti, scaturisce dal fatto che il 05.03.2010, quindi appena due mesi dopo il conferimento, il gruppo
consiliare “Nuovi orizzonti” chiedeva al Sindaco, alla
Giunta Municipale ed al Segretario comunale, di revocare
l’incarico al Macrì in considerazione dei molteplici profili
di illegittimità.
Ebbene, anche a fronte di una puntuale ed argomentata
richiesta di revoca, i suddetti organi non hanno inteso
prendere posizione, mantenendo, seppure avvisati della
illegittimità, l’incarico al Macrì in spregio alle
disposizioni che disciplinano la materia.
11) L’ultimo profilo da esaminare riguarda la ripartizione
del danno evidenziando che “se il fatto dannoso è causato da
più persone, la Corte dei conti, valutate le singole
responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha
preso” (art. 1-quater l. 20/1994 ).
Il Collegio ritiene innanzi a tutto che l’evento dannoso per
cui è causa è stato determinato non solo dalla condotta
colposa degli odierni convenuti ma anche dal comportamento
di soggetti che sono rimasti estranei al presente giudizio
ed in particolare dal segretario comunale che ha reso parere
favorevole di legittimità sulla deliberazione della giunta
municipale con la quale è stato deciso il conferimento
dell’incarico per cui è causa.
Conseguentemente, in ragione dell'art. 53, comma 3, l. n. 142
del 1990, di tale parere deve rispondere, a prescindere
dalla natura obbligatoria o facoltativa.
Peraltro il segretario comunale, che è un tecnico del
diritto, svolge una specifica funzione di garante della
legalità e della correttezza amministrativa dell’azione
dell’ente locale, di assistenza e di collaborazione
giuridica ed amministrativa, sicché non avrebbe dovuto
rilasciare il parere favorevole proprio in considerazione
della palese violazione dei parametri normativi.
Tanto premesso, il Collegio ritiene di dover imputare
idealmente il 25% del danno erariale al segretario comunale
non citato e di ripartire il restante 75% in parti uguali
tra il sindaco (Vinci Salvatore) e gli altri due membri
della giunta municipale presenti alla seduta del 07.01.2010 (Sofi Angelo e Sorrenti Gioacchino) (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Calabria,
sentenza 10.05.2013 n. 159). |
aprile 2013 |
|
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Incompatibilità. Il limite fissato a livello regionale.
Niente politica locale per segretari e dirigenti.
I segretari comunali e provinciali e i dirigenti delle Pa
non possono svolgere il ruolo di consiglieri, di sindaci e
di assessori nei Comuni con popolazione superiore a 15mila
abitanti, nelle forme associative con questa soglia minima
di popolazione e nelle Province della stessa regione in cui
svolgono la propria attività lavorativa.
È questo uno degli
effetti di maggiore rilievo (assai discutibile) del Dlgs
39/2013. L'entrata in vigore del provvedimento è prevista
per il prossimo 4 maggio, per cui la disposizione comincerà
a produrre i propri effetti già con il rinnovo degli organi
elettivi di numerosi Comuni della fine del prossimo mese.
Va sottolineato che queste regole non si estendono ai
responsabili che nei Comuni privi di dirigenti esercitano
funzioni dirigenziali. La stessa incompatibilità è prevista
tra lo svolgimento di ruoli dirigenziali in una Pa e gli
incarichi di consigliere e/o di assessore regionale, e con
l'essere componente dell'organo di indirizzo degli enti di
diritto privato controllati dalla regione, da Province o da
Comuni con popolazione superiore a 15mila abitanti. In tutti
questi casi matura l'incompatibilità, per cui i soggetti
interessati devono effettuare una scelta entro i 15 giorni
successivi alla contestazione; nel caso in cui ciò non
avvenga il legislatore prevede la decadenza automatica.
Gli effetti di queste norme meritano una valutazione
approfondita: nei fatti, con queste regole, lo svolgimento,
nella stessa regione di compiti dirigenziali in una Pa o di
segretario in un Comune condiziona il corpo elettorale di un
altro municipio. Non è chiara, in questo quadro, la ragione
dell'esclusione dei piccoli e medi Comuni dall'ambito di
applicazione della disposizione.
Occorre inoltre sottolineare che i segretari comunali e
provinciali, in quanto responsabili anticorruzione, sono
espressamente indicati come i soggetti che devono vigilare
sulla corretta applicazione di queste disposizioni. Essi
devono contestare tanto le ragioni di inconferibilità quanto
quelle di incompatibilità, e devono provvedere alla
segnalazione all'Autorità anticorruzione, a quella Antitrust
e alla procura regionale della Corte dei Conti delle
violazioni che accertano. Tutti gli eletti devono, al
momento dell'insediamento e con cadenza annuale, dichiarare
l'insussistenza di cause di inconferibilità; questa è
condizione per potere svolgere questo incarico.
La disposizione irroga la sanzione del divieto per i cinque
anni successivi di attribuzione di qualunque tipo di
incarico in una amministrazione pubblica nel caso in
dichiarazione mendace, ferme restando le sanzioni penali
previste dall'ordinamento in questi casi. Infine, il decreto
legislativo espressamente prevede l'irrogazione della
sanzione della nullità per tutti gli incarichi che vengono
conferiti in violazione delle nuove regole sulle
incompatibilità e sulle inconferibilità di incarichi
amministrativi (articolo Il Sole 24
Ore del 29.04.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Dirigente di staff responsabile anticorruzione.
Negli enti locali, invece, il compito spetta per legge al
segretario comunale. In gazzetta ufficiale la circolare
della funzione pubblica sulla legge 190/2012.
L'incarico di responsabile della prevenzione della
corruzione, nei ministeri e nelle amministrazioni diverse
dagli enti locali, va assegnato a dirigenti operanti presso
gli staff degli organi di governo o posti a dirigere gli
uffici di disciplina. Mentre negli enti locali il compito
per legge spetta ai segretari comunali.
E' stata pubblicata
in Gazzetta Ufficiale la
circolare 25.01.2013 n. 1/2013 del Dipartimento
della Funzione Pubblica, che contiene le prime indicazioni
per l'applicazione della legge 190/2012, “anticorruzione”.
E' il primo passo ufficiale di Palazzo Vidoni nel complicato
percorso che impone alle amministrazioni di dotarsi di una
serie di strumenti finalizzati a contrastare fenomeni
corruttivi, in attesa del fondamentale piano nazionale
anticorruzione, che il Dipartimento ha il compito di
redigere e la Civit (Commissione Indipendente per la
Valutazione, la Trasparenza e l'Integrità delle
amministrazioni pubbliche), nella veste di Autorità
nazionale anti corruzione, dovrà poi approvare.
La Civit,
come è noto, ha ritenuto che il termine dello scorso 31
marzo per approvare i piani anticorruzione da parte di
ciascuna amministrazione è da considerare ordinatorio: sarà
l'approvazione del piano nazionale a far scattare
definitivamente le lancette per il conto alla rovescia,
finalizzato all'attivazione degli strumenti anticorruzione.
La circolare 1/2013, tuttavia, fornisce alcune prime
indicazioni utili per avviare il lavoro che le
amministrazioni debbono in ogni caso apprestare. In
particolare, risulta utile la definizione che Palazzo Vidoni
fornisce di corruzione.
La legge 190/2012 è sostanzialmente
divisa in due parti: la seconda modifica in parte il codice
penale, regolamentando il reato di corruzione e le pene
relative. La prima parte, invece, è dedicata alle
amministrazioni pubbliche e fissa una serie di regole e
comportamenti (rinviando ad altre norme “accessorie”, quali
ad esempio il riordino della trasparenza adottato col d.lgs
33/2013), con l'obiettivo di ridurre al minimo i rischi di
comportamenti corruttivi. Tali indicazioni, tuttavia, molte
delle quali di natura organizzativa, non si limitano a
prendere in considerazione la corruzione come reato. La
circolare spiega che le situazioni da prendere in
considerazione per organizzare l'attività amministrativa ed
i servizi così da contrastare la corruzione sono più ampie
della fattispecie penalistica.
Nel contesto della legge 190/2012, per la parte dedicata
all'azione amministrativa, dunque, della corruzione non
bisogna guardare la sola accezione penalistica, ma riferirsi
ad un concetto più ampio, intendendo per corruzione ogni
azione o comportamento che svii dai principi fondamentali di
trasparenza, correttezza, buona fede, parità di trattamento,
ragionevolezza ed equità, che portino, come conseguenza,
all'abuso da parte di un soggetto dotato di poteri pubblici
di cui dispone, finalizzato ad ottenere vantaggi privati
(propri o di terzi), a detrimento dell'interesse generale
(articolo ItaliaOggi del 27.04.2013). |
ATTI AMMINISTRATIVI - SEGRETARIO COMUNALE:
Segretario comunale. Controllo successivo ex d.l. 174/2012.
Qualora il segretario comunale svolga
compiti gestionali, il comune dovrà adottare, ai fini dei
controlli successivi di cui all'art. 147 bis del d.lgs.
267/2000, opportuni strumenti atti a garantire l'insorgere
di ipotesi di incompatibilità e conflitto di interesse,
evitando la sovrapposizione del ruolo di 'controllato'e
controllore'.
Il Comune ha chiesto un parere in ordine alle nuove
incombenze previste, per il segretario comunale, dal d.l.
174 del 2012, in particolare in relazione ai controlli
successivi imposti dall'art. 147-bis, comma 2, del d.lgs.
267/2000, come novellato. L'Ente rappresenta che al
Segretario comunale sono stati attribuiti compiti gestionali
che comportano l'adozione di atti per i quali è previsto il
predetto controllo. In questa fattispecie e nel caso di
eventuale conflitto di interesse del Segretario,
l'Amministrazione si è posta la questione se il controllo
successivo, a norma di legge, possa essere effettuato dal
Vicesegretario che, a mente di quanto disposto dal
regolamento degli uffici e dei servizi, sostituisce il
Segretario in caso di assenza o impedimento.
Com'è noto, il d.l. 174/2012, convertito in l. 213/2012, è
intervenuto introducendo alcune modifiche al d.lgs.
267/2000.
Ai fini che ci interessano l'art. 147, come novellato,
dispone che gli enti locali, nell'ambito della loro
autonomia normativa e organizzativa, individuano strumenti e
metodologie per garantire, attraverso il controllo di
regolarità amministrativa e contabile, la legittimità, la
regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa,
disciplinando un efficace sistema di controlli interni.
L'art. 147-bis, comma 1, prevede altresì che il controllo di
regolarità amministrativa e contabile è assicurato, nella
fase preventiva della formazione dell'atto, da ogni
responsabile di servizio ed è esercitato attraverso il
rilascio del parere di regolarità tecnica attestante la
regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa. Il
controllo contabile è effettuato dal responsabile del
servizio finanziario ed è esercitato attraverso il rilascio
del parere di regolarità contabile e del visto attestante la
copertura finanziaria.
Il successivo comma 2 specifica che il controllo di
regolarità amministrativa e contabile è inoltre assicurato,
nella fase successiva, secondo principi generali di
revisione aziendale e modalità definite nell'ambito
dell'autonomia organizzativa dell'ente, sotto la direzione
del Segretario, in base alla normativa vigente. Sono
soggette al controllo le determinazioni di impegno di spesa,
gli atti di accertamento di entrata, gli atti di
liquidazione di spesa, i contratti e gli altri atti
amministrativi, scelti secondo una selezione casuale
effettuata con motivate tecniche di campionamento
[1].
Il comma 3 infine dispone che le risultanze del predetto
controllo successivo siano trasmesse periodicamente, a cura
del Segretario, ai responsabili dei servizi, ai revisori dei
conti e agli organi di valutazione dei risultati dei
dipendenti, come documenti utili per la valutazione, e al
consiglio comunale.
A tal proposito, certa dottrina [2]
ha evidenziato come nella nuova formulazione della norma in
esame, il legislatore non si sia preoccupato di disciplinare
esplicitamente i casi in cui il Segretario comunale assuma
direttamente la responsabilità di alcuni servizi, ai sensi
dell'art. 97, comma 4, lett. d), del TUEL. Si è osservato
che l'art. 147 bis citato pone in rilievo essenzialmente due
aspetti: l'autonomia del singolo ente locale
nell'organizzare tale forma di controllo e il ruolo di
'direzione' rivestito dal Segretario comunale.
In realtà, l'aver precisato che il Segretario assume tale
ruolo di direzione non significa necessariamente che detto
soggetto debba intervenire direttamente su tutte le attività
riferite a tale forma di controllo, dovendo comunque
garantire il coordinamento complessivo delle attività.
E' evidente che, in ogni caso, occorre garantire il rispetto
del principio generale di separazione tra il soggetto che ha
redatto gli atti ed il soggetto che effettua il controllo
successivo sui medesimi. Nei comuni di piccole dimensioni,
infatti, in cui al Segretario possono essere attribuite le
funzioni di Responsabile di determinati servizi, il
Segretario si ritroverebbe contemporaneamente nella duplice
veste di controllato e controllore, pregiudicando
l'imparzialità dei controlli [3].
In merito a tale aspetto, si sono ipotizzate diverse
soluzioni, che gli enti stanno attualmente elaborando per
fronteggiare il problema concreto.
Ad esempio, in alcuni regolamenti si prevede che il comune
si convenzioni con altri enti e che, per gli atti adottati
dal Segretario nella funzione di responsabile di servizio,
il controllo sia esercitato dal Segretario dell'altro comune
convenzionato, prevedendo, in sostanza, uno 'scambio'
tra soggetti controllori.
Appare valida anche la scelta di individuare l'O.I.V
(organismo indipendente di valutazione), al fine di evitare
situazioni di conflitto di interessi, considerato che detto
organismo è composto da membri esterni (e pertanto opera in
totale autonomia e indipendenza [4]).
Si è evidenziata, in detta fattispecie, l'opportunità che il
Segretario, che mantiene la direzione di tale controllo,
definisca una programmazione annuale dell'attività di
controllo che intende realizzare. Nell'ambito di tale
programmazione, dovrà acquisire dall'O.I.V. l'elenco dei
procedimenti e le modalità di selezione del campione di atti
redatti direttamente dal Segretario e che l'organo stesso si
impegna ad esaminare.
Altra possibilità è quella di demandare il controllo di tali
atti all'organo di revisione al quale, ai sensi dell'art.
239 del TUEL, già spetta il compito di effettuare verifiche
sulla regolarità amministrativa, contabile e finanziaria
mediante tecniche motivate di campionamento.
La stessa Corte dei conti [5]
ha rilevato come l'assetto di compiti/funzioni in capo ai
Segretari comunali e ai dirigenti non venga interessato dal
recente d.l. 174/2012. La magistratura contabile ha ribadito
l'autonomia normativa, organizzativa e regolamentare
riconosciuta dal legislatore in capo agli enti locali,
rimarcando la possibilità loro rimessa di selezionare la
concreta articolazione delle modalità dei controlli, da
calibrare anche con riferimento alle caratteristiche
dimensionali dei diversi enti, adottando strumenti comunque
atti ad evitare l'insorgere di ipotesi di incompatibilità e
conflitto di interesse.
---------------
[1] Come rappresentato dall'ANCI, il controllo nella fase
successiva va limitato alle categorie di provvedimenti più
significativi da scegliere con idonea campionatura (cfr.
parere del 22.01.2013).
[2] Cfr. Sistema 24 PA Risponde del 03.02.2013, Controllo
regolarità amministrativa di Bertocchi Marco.
[3] La legge di conversione del d.l. 174/2012 è intervenuta
proponendo alcuni correttivi al nuovo articolo 147-bis del
TUEL, che rimuovono in buona parte gli aspetti più critici.
Ad esempio si è previsto che i controlli di fase successiva
affidati al Segretario sono effettuati solo sulla regolarità
amministrativa, e non anche sulla regolarità contabile degli
atti. Si sono poi sottratti ai controlli successivi del
Segretario gli atti di accertamento di entrata e di
liquidazione della spesa (cfr. Controllo di regolarità
amministrativa e contabile: cosa cambia il decreto enti
locali, pubblicato da Fabio Federici e consultabile sul
sito: www.larevisionelegale.it).
[4] Cfr. art. 6, comma 5, della L.R. 16/2010.
[5] Cfr. sez. di controllo per la Regione Sardegna,
deliberazione n. 28/2013/PAR
(11.04.2013
- link a www.regione.fvg.it). |
SEGRETARI COMUNALI: Dopo
la riforma indotta dall’art. 51 della legge n. 127 del 1997,
il meccanismo giuridico che caratterizza i segretari
comunali e provinciali è scisso in una doppia procedura,
ognuna delle quali è indipendente dall’altra: la prima
consiste nella iscrizione all’albo, il che determina la
idoneità dei soggetti a ricoprire la posizione di segretario
comunale o provinciale, a seconda della relativa fascia,
mentre la seconda è affidata alla scelta dei sindaci,
i quali possono richiedere la nomina di uno dei segretari
iscritti all’albo, ma ciò non è un obbligo giuridico, ma
solo una facoltà, mentre, naturalmente, i soggetti iscritti
all’albo non possono pretendere alcunché dai sindaci per il
fatto della loro iscrizione, la quale, si ripete, è solo un
presupposto per la eventuale, successiva richiesta di
nomina.
Osserva invero la Sezione che il ricorrente è un soggetto
che, a seguito del superamento di un pubblico concorso, è
stato inserito all’albo dei segretari comunali e
provinciali, relativamente alla fascia C (comuni fino a
3.000 abitanti) e pertanto lo stesso è un soggetto
potenzialmente idoneo ad essere chiamato, a livello
personale e fiduciario, da qualche sindaco di comuni
ricadenti nel territorio della regione Friuli-Venezia Giulia
ed essere nominato nel rapporto di ufficio di segretario
comunale, ma la sua situazione personale si ferma qui, non
avendo egli titolo ad ingerirsi, per il solo fatto della sua
idoneità potenziale, in attività (nella specie di tipo
organizzatorio) posta in essere dai comuni.
Infatti, come è noto, dopo la riforma indotta dall’art. 51
della legge n. 127 del 1997, il meccanismo giuridico che
caratterizza i segretari comunali e provinciali è scisso in
una doppia procedura, ognuna delle quali è indipendente
dall’altra: la prima consiste nella iscrizione
all’albo, il che determina la idoneità dei soggetti a
ricoprire la posizione di segretario comunale o provinciale,
a seconda della relativa fascia, mentre la seconda è
affidata alla scelta dei sindaci, i quali possono richiedere
la nomina di uno dei segretari iscritti all’albo, ma ciò non
è un obbligo giuridico, ma solo una facoltà, mentre,
naturalmente, i soggetti iscritti all’albo non possono
pretendere alcunché dai sindaci per il fatto della loro
iscrizione, la quale, si ripete, è solo un presupposto per
la eventuale, successiva richiesta di nomina (Consiglio di
Stato, Sez. I,
parere 08.04.2013 n. 1661 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
SEGRETARI COMUNALI: Unioni, segretari senza convenzioni.
Enti locali. Possono svolgere le
funzioni solo se autorizzati dal sindaco e fuori.
Il segretario comunale, ove autorizzato dal suo ente, può
svolgere al di fuori dell'orario di lavoro -ci chiede lumi
Giuseppe Cofano- l'incarico di segretario di una unione dei
comuni. Non è consentito il convenzionamento tra un comune
ed una unione per lo svolgimento della funzione di
segretario. Sono questi i pilastri fissati in via
interpretativa, in modo consolidato, per le segreterie delle
unioni dei comuni.
Queste ultime, pur essendo enti locali, non sono obbligate
ad avere un segretario iscritto allo specifico albo gestito
prima dalla specifica Agenzia ed adesso da una articolazione
del ministero dell'Interno. Le unioni dei comuni possono,
sulla base della propria regolamentazione, prevedere la
utilizzazione di segretari comunali ovvero di dirigenti e/o
responsabili degli enti aderenti. Molti statuti delle unioni
dettano il vincolo per la utilizzazione del segretario di
uno dei comuni come vertice amministrativo della gestione
associata.
Non essendo previsto dal legislatore che le unioni debbano
avere necessariamente un segretario iscritto allo specifico
albo, viene negata in modo consolidato la possibilità che
queste due amministrazioni possano stipulare una convenzione
di segreteria, sul modello di quanto espressamente
consentito dalla normativa contrattuale tra i comuni. Nella
stessa scia vanno le indicazioni prevalenti sul divieto del
comando parziale di un segretario da un comune ad una
unione.
Sulla base delle indicazioni dettate dalla ex Agenzia per la
gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali i
segretari possono essere autorizzati dagli enti a svolgere
l'incarico di segretari della unione. Si tratta di un
rapporto che si deve stabilire al di fuori del normale
orario di lavoro, sulla base delle previsioni di cui
all'articolo 52 del Dlgs n. 165/2001.
Peraltro la stessa Agenzia ha considerato utile il servizio
prestato dai segretari comunali presso le unioni ai fini
della maturazione della anzianità in enti aventi una
popolazione superiore a 10.000 abitanti al fine di
consentire ai segretari la partecipazione al corso
(denominato Sefa) per l'accesso alla fascia professionale
più elevata, che corrisponde a quella che nella vecchia
terminologia veniva denominata segreteria generale. Il che
costituisce una dimostrazione di come questa attività, per
quanto non direttamente connessa direttamente ai compiti
svolti istituzionalmente, è per molti aspetti da considerare
come parificata allo stesso. Secondo alcune interpretazioni,
che sono comunque sostanzialmente minoritarie, le unioni dei
comuni potrebbero avvalersi dei segretari anche sulla base
del comma 557 della legge n. 311/2004, cioè la norma che
consente a questi enti, alle comunità montane ed ai comuni
con popolazione inferiore a 5.000 abitanti di utilizzare,
previa autorizzazione, dipendenti di comuni che continuano
ad avere con lo stesso un rapporto di lavoro a tempo pieno.
Infine, nella gran parte delle realtà il trattamento
economico al segretario utilizzato dalla unione è
corrisposto da questo ente; il fatto che lo corrisponda il
comune determina verosimilmente una misura più ridotta dello
stesso
(articolo Il Sole 24 Ore del 06.04.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - SEGRETARI COMUNALI:
Se il danno è costituito da un compenso illecito, indebito o
comunque inutile questo non va depurato dell’eventuale
imposta sui redditi pagata all’Erario.
Al riguardo, la richiesta del convenuto di detrarre nella
quantificazione del danno l’importo destinato all’Erario per
la prevista tassazione del 43% del compenso lordo,
trattandosi, in sostanza, di una mera “partita di giro”,
deve essere rigettata. Ciò perché, nel caso di specie la
prevista tassazione del 43% del compenso lordo è circostanza
assolutamente indipendente dall’utilità o meno del
conferimento dell’incarico.
Infatti, il pagamento
dell’imposta e l’inutilità dell’incarico sono fatti tra di
loro privi di qualsiasi connessione causale, atteso che
l’imposta doveva essere pagata, anche se l’incarico fosse
stato considerato lecito ed utile.
Del resto consolidata
giurisprudenza di questa Corte sul punto specifico relativo
alla dedotta detraibilità dell’IRPEF sui trattamenti
retributivi ha già affermato che “… la compensatio lucri
cum damno opera solo quando danno e vantaggio sono
conseguenze immediate e dirette dello stesso fatto, che deve
essere idoneo a produrre entrambi gli effetti. In altre
parole, non sono valutabili come vantaggi, eventi
eziologicamente non dipendenti dal fatto illecito, secondo
il principio dell’id quod plerunque accidit” (ex multis
cfr. Sez. II n. 400 del 15.10.2010)
(massima tratta da www.respamm.it - Corte dei Conti, Sez. giur.
Lombardia,
sentenza 05.04.2013 n. 89 - link a www.corteconti). |
CONSIGLIERI COMUNALI - SEGRETARI COMUNALI:
Inutile e dannosa la nomina a direttore generale in un
Comune di mille abitanti e con sei dipendenti.
A tal riguardo, deve essere evidenziato il consolidato
orientamento giurisprudenziale non solo di questa Corte, ma
della stessa Cassazione secondo cui i giudici contabili
possono e devono verificare la compatibilità delle scelte
amministrative con i fini dell’Ente pubblico sotto il
profilo del corretto esercizio della discrezionalità.
Pertanto è possibile il sindacato delle scelte
discrezionali, in presenza di atti contra legem o
palesemente irragionevoli ovvero ancora altamente
diseconomici.
In altri termini, il comportamento contra legem o irrazionale del pubblico agente non è mai al riparo
dal sindacato, non potendo esso costituire esercizio di una
scelta discrezionale insindacabile. L’art. 1, comma 1, della
Legge n. 20/1994 non può rappresentare, infatti, uno schermo
di protezione per le decisioni irragionevoli o assunte in
violazione di norme di legge, che abbiano causato un danno
erariale
(massima tratta da www.respamm.it -
Corte dei Conti, Sez. giur. Lombardia,
sentenza 05.04.2013 n. 88 - link a www.corteconti). |
marzo 2013 |
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PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
Quesito in tema di
compatibilità tra la posizione di responsabile per la
prevenzione della corruzione e di responsabile dell’ufficio
per i procedimenti disciplinari.
Domanda:
“E’ stato
chiesto alla Commissione se il Segretario comunale, quale
responsabile per la prevenzione della corruzione e, al tempo
stesso, responsabile dell’ufficio per i procedimenti
disciplinari, versi in situazioni di conflitto di interesse
o di incompatibilità”
Risposta:
“La Commissione ha espresso l’avviso che, anche alla luce
di quanto previsto dalla circolare n. 1/2013 del
Dipartimento della Funzione pubblica, il responsabile della
prevenzione della corruzione non può rivestire
contemporaneamente il ruolo di responsabile dell’ufficio per
i procedimenti disciplinari, versandosi in tale ipotesi in
una situazione di potenziale conflitto di interessi” (marzo
2013 - link a www.civit.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - SEGRETARI COMUNALI:
Va escluso che la disciplina innovativa del 2012
(D.L. 10.10.2012 n. 174 convertito
in legge 07.12.2012 n. 213) assegni
al Segretario comunale un ruolo nel sistema dei controlli
tale da porlo in situazione di incompatibilità.
Invero, i nuovi compiti di direzione e di trasmissione delle
risultanze del controllo assegnati dalla novella al
Segretario, unitamente a quelli della trasmissione alla
Sezione del controllo della relazione semestrale del
Sindaco, contenente il referto ex art. 148, comma 1, non
configurano ipotesi di incompatibilità, tenuto anche conto
della “(…) concomitante autonomia normativa, organizzativa e
regolamentare riconfermata dal Legislatore in capo agli enti
locali, ovvero, alla possibilità loro rimessa di selezionare
la concreta articolazione delle modalità dei controlli, da
calibrare anche con riferimento alle caratteristiche
dimensionali dei diversi enti, in modo che si possano
evitare eventuali ipotesi di incompatibilità.”.
---------------
Il Sindaco del Comune di Nuxis domanda se alla luce della
nuova normativa (v. D.L. 10.10.2012 n. 174 convertito in
legge 07.12.2012 n. 213), che ha inciso anche sulle
disposizioni in materia di controlli interni ed esterni di
cui al D.Lgs. 267/2000, si configuri incompatibilità per
il Segretario comunale titolare degli incarichi di
responsabilità di servizi/settori/aree -allo stesso
attribuiti ai sensi del richiamato D.Lgs. 267/2000- e le
competenze di cui è investito in materia di controlli.
...
4. A fondamento dell’ipotetico contrasto interpretativo ora
sollevato, il Comune adduce il fatto che il Segretario
comunale, eventualmente incaricato della responsabilità
dirigenziale di servizi o settori, rivestirebbe
contemporaneamente il compito di controllore e controllato,
presentando conseguenti profili di incompatibilità,
dovendosi successivamente far carico dei compiti
espressamente previsti ora dal novellato art. 148 D.Lgs.
267/2000 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli
enti locali). In effetti, nel caso in cui l’ente sia
sprovvisto di dirigenti o di responsabili dei servizi, le
relative funzioni possono essere conferite al Segretario,
tenuto in tal caso ai pareri di responsabilità
tecnico-amministrativa (ai sensi degli art. 49, 107, 108 e
109 del TUEL).
5. Nel merito della richiesta formulata dal Comune, cosi
come rilevato dal Consiglio delle Autonomie locali, la
Sezione non ravvisa la sussistenza di contrasto
interpretativo tra l’applicazione della disposizione di cui
all’art. 97, comma 4, lett. d) (che reca la disciplina del
ruolo e funzioni dei Segretari comunali e provinciali e al
richiamato comma autorizza il Sindaco o il Presidente della
provincia al conferimento di ogni altra funzione a termini
di statuto o regolamenti) e delle disposizioni, così come
ora innovate, di cui al capo III e capo IV del cit. T.U.
267/2000 (rispettivamente dedicate alla tipologia dei
controlli interni e ai controlli esterni sulla gestione).
Inoltre, si fa osservare che, limitatamente ai profili sopra
delineati, l’assetto di attribuzione di compiti/funzioni in
capo ai Segretari e ai Dirigenti non viene interessato dal
recente D.L. 174/2012. Viceversa, la nuova normativa detta,
tra le altre, disposizioni di rafforzamento dei controlli
per gli enti locali, prescrivendo l’adozione e l’operatività
-entro tre mesi dalla sua entrata in vigore- di apposito
regolamento che definisca strumenti e modalità di controllo
interno, disegnando puntualmente detti strumenti e modalità
e riscrivendo gli art. 147 e seguenti del T.U. 267/2000 e
disegna nuove articolazioni delle tipologie di controllo (v.
art. 3, comma 1, lett. d), e comma 2 cit. D.L. 174/2012).
6. Il novellato art. 147 del TUEL (tipologia dei controlli
interni), comma 4, prevede che partecipano
all’organizzazione del sistema dei controlli interni il
segretario dell’ente, il direttore generale, laddove
previsto, i responsabili dei servizi e le unità di
controllo, laddove istituite. Dall’art. 147-bis vengono,
poi, modulate articolazioni del controllo di regolarità
amministrativo contabile, in via preventiva assicurato dai
pareri di conformità dei responsabili dei servizi, compreso
il servizio finanziario, in via successiva assicurato
proprio dalla direzione del Segretario. <<Le risultanze
del controllo di cui al comma 2 sono trasmesse
periodicamente, a cura del segretario, ai responsabili dei
servizi, unitamente alle direttive cui conformarsi in caso
di riscontrate irregolarità, nonché ai revisori dei conti e
agli organi di valutazione dei risultati dei dipendenti,
come documenti utili per la valutazione, e al consiglio
comunale>>.
7. In conseguenza, i nuovi compiti di direzione e di
trasmissione delle risultanze del controllo finora
esaminati, unitamente a quelli della trasmissione alla
Sezione del controllo della relazione semestrale del
Sindaco, contenente il referto ex art. 148, comma 1,
previsti a carico del Segretario comunale, non può ritenersi
che configurino ipotesi di contabilità secondo le previsioni
ipotizzate dal Legislatore, contrariamente alle perplessità
manifestate dal comune di Nuxis.
Ciò anche in considerazione della concomitante autonomia
normativa, organizzativa e regolamentare riconfermata dal
Legislatore in capo agli enti locali, ovvero, alla
possibilità loro rimessa di selezionare la concreta
articolazione delle modalità dei controlli, da calibrare
anche con riferimento alle caratteristiche dimensionali dei
diversi enti, in modo che si possano evitare eventuali
ipotesi di incompatibilità
(Corte dei Conti, Sez. controllo Sardegna,
parere 15.03.2013 n. 28). |
SEGRETARI
COMUNALI: Segretario
comunale responsabile anticorruzione.
Per i segretari comunali non scattano le incompatibilità
allo svolgimento della funzione di responsabile della
prevenzione della corruzione, indicate dalla
circolare 25.01.2013 n. 1/2013 della Funzione pubblica.
La nota di Palazzo Vidoni,
specificamente riferita alle amministrazioni dello stato, ha
individuato due espresse situazioni di incompatibilità, che
escludono la possibilità di assegnare ai dirigenti
l'incarico di responsabile anticorruzione. La prima consiste
nel far parte di uffici di diretta collaborazione degli
organi di governo. La seconda, discende dal far parte degli
uffici per i procedimenti disciplinari. La figura del
segretario comunale per sua stessa natura ricade in entrambe
le situazioni indicate. Il segretario è necessariamente
posto alla diretta collaborazione degli organi di governo,
nei confronti dei quali principalmente svolge la funzione di
garanzia della legittimità e correttezza dell'azione
amministrativa.
Per altro, l'attuale ordinamento degli enti
locali pone (molto discutibilmente sul piano della
rispondenza alla Costituzione) il segretario alla diretta
dipendenza del sindaco o presidente della provincia, che lo
nominano per via sostanzialmente fiduciaria, in un rapporto
di spoils system puro. Il segretario comunale, inoltre, per
la sua posizione peculiare all'interno degli enti e le
competenze che lo caratterizzano fa parte quasi sempre, con
la veste di presidente, delle commissioni di disciplina.
Tuttavia, queste circostanze non possono essere utilizzate
per giustificare l'attribuzione dell'incarico di
responsabile della prevenzione della corruzione a un
soggetto diverso dal segretario comunale. Esse valgono per
le amministrazioni statali, nelle quali quello di
responsabile anticorruzione è una tra le tante tipologie di
incarichi dirigenziali. Negli enti locali, invece, per
espressa previsione della legge 190/2012, il segretario
comunale è necessariamente il responsabile della prevenzione
della corruzione.
Occorre precisare che questo incarico non
rientra tra quelli che possono essere conferiti al
segretario ai sensi del Tuel. Tali incarichi, infatti,
derivano da una scelta organizzativa discrezionale del
vertice monocratico. Invece, la funzione di responsabile
della prevenzione della corruzione è un'attribuzione
assegnata al segretario comunale direttamente dalla legge:
dunque, non è necessario alcun provvedimento del sindaco o
del presidente della provincia
(articolo ItaliaOggi dell'01.03.2013 - tratto da www.ecostampa.it). |
febbraio 2013 |
|
PUBBLICO
IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: A.
Trovato,
Affidamento di funzioni dirigenziali al segretario
(Guida al Pubblico Impiego n. 1-2/2013).
---------------
Responsabilità attribuita al segretario
comunale.
È possibile per un comune, in presenza di figure
dirigenziali, procedere all’affidamento di un incarico
dirigenziale al segretario generale?
Su concorde avviso espresso dalla ex Agenzia autonoma per la
gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali, si
rileva preliminarmente che l’art. 97 del decreto legislativo
n. 267/2000 stabilisce i compiti e le funzioni dei segretari
comunali e provinciali.
In particolare, il comma 2 di detto articolo statuisce che
il segretario svolge compiti di collaborazione e funzioni di
assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli
organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione
amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti. Il
successivo comma 4, nel prevedere che il segretario
sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti
coordinandone l’attività, elenca le funzioni a esso
spettanti.
Invero, la lett. d) del medesimo comma 4 dispone che il
segretario esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo
statuto o dai regolamenti o conferitagli dal sindaco o dal
presidente della provincia.
Tale norma, come evidenziato anche nella circolare del
ministero dell’Interno n. 1/1997 del 15.07.1997, ha valenza
di clausola di salvaguardia ai fini del buon andamento della
macchina organizzativa, amministrativa e gestionale
dell’ente. Infatti, occorre rilevare che le assegnazioni di
ulteriori funzioni al segretario possono avvenire solo nel
momento in cui l’ente locale risulti privo sia di personale
di qualifica dirigenziale sia di responsabili dei servizi,
ovvero qualora l’ente intenda fare una specifica scelta
gestionale in tal senso. Bisogna, difatti, rammentare che i
dirigenti -ovvero i dipendenti nominati responsabili degli
uffici e dei servizi- sono titolari delle funzioni loro
attribuite, risultando, quindi, residuale l’applicazione
della citata disposizione di cui alla lett. d) del comma 4
dell’art. 97.
Ciò posto, poiché ai sensi dell’art. 89 del decreto
legislativo n. 267/2000 l’ordinamento generale degli uffici
e dei servizi è coperto da riserva di tipo regolamentare, si
deve ritenere che l’eventuale attribuzione di specifiche
funzioni gestionali o di titolarità degli uffici o dei
servizi al segretario sia necessariamente da prevedere
attraverso una specifica disposizione regolamentare, previa
un’attenta verifica dell’assenza all’interno dell’ente di
adeguate figure professionali; mentre il conferimento delle
funzioni, riservato al sindaco o al presidente della
provincia, non può che essere temporaneo e limitato
all’espletamento di una prestazione nell’ambito di una
funzione (ad esempio, la presidenza di una gara per
temporanea assenza del dirigente).
Si rammenta, infine, che le stesse disposizioni
contrattuali, contenute nell’art. 1 del Ccnl dei segretari
comunali e provinciali del 22.12.2003, stabiliscono che,
relativamente agli incarichi per attività di carattere
gestionale, occorre che gli stessi siano conferiti in via
temporanea e dopo aver accertato l’inesistenza delle
necessarie professionalità all’interno dell’ente. Si deve
tenere conto, infatti, che, per l’esercizio delle funzioni
aggiuntive affidate al segretario, è prevista una
maggiorazione della retribuzione di posizione in godimento
(Linea diretta con il Viminale, prot. n. Ta 2012 E 14013). |
SEGRETARI
COMUNALI: L.
Camarda,
Le nuove responsabilità del segretario comunale (Diritto
e pratica amministrativa n. 2/2013). |
COMPETENZE
GESTIONALI - SEGRETARI COMUNALI:
S. Salvai,
Gli incarichi dirigenziali al Segretario Comunale
(24.02.2013 - link a www.gianlucabertagna.it). |
SEGRETARI
COMUNALI: S.
Santoro,
Il Segretario Generale: compiti e responsabilità (11.02.2013
- link a
www.leggioggi.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - SEGRETARI COMUNALI: La condanna dell'assessore si estende al segretario
Rientra tra i doveri di servizio del segretario comunale
fornire pareri in materia di regolarità delle deliberazioni
adottate, sussistendo la colpa grave per violazione dei
doveri di servizio, in quanto con un minimo di diligenza si
sarebbe evidenziata la natura illegittima e dannosa della
deliberazione stessa.
Il principio è contenuto nella
sentenza 01.02.2013 n. 41
della Corte dei Conti, Sez. II giur. centrale d'appello.
In particolare, l'atto non rispettava il termine massimo per
il conferimento di mansioni superiori, che secondo
l'articolo 52 del dlgs n. 165/2001, può essere disposto nel
caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei
mesi, prorogabili a dodici, nel caso in cui fossero state
avviate le procedure per la copertura del posto vacante. La
norma non prevede, inoltre, alcuna proroga ulteriore, né per
problemi nell'espletamento del concorso, né per altre cause
giustificative.
La Corte dei conti evidenzia che tali norme erano
espressamente richiamate nell'atto oggetto del ricorso in
appello e pertanto si presume note alla giunta comunale, che
procedeva nonostante tutto a conferire le mansioni superiori
a un dipendente al quale erano già state conferite per oltre
24 mesi.
Sussiste, pertanto, la colpa grave degli assessori che hanno
votato la deliberazione, in quanto con un minimo di
diligenza avrebbero potuto evidenziare la natura dannosa e
illegittima dell'atto adottato. La condanna si estende anche
al segretario comunale che la Corte presume conoscesse la
normativa, sia per dovere d'ufficio, che per esperienza e
per preparazione professionale derivante dalla categoria di
appartenenza; nonostante ciò non fornì alcun parere sulla
regolarità della deliberazione e verbalizzò la seduta senza
osservazione alcuna. Il tutto in violazione dei suoi
obblighi di assistenza giuridico-amministrativa (istruttoria
e consultiva) agli organi di vertice dell'ente, in sede di
adozione delle deliberazioni.
A fronte di un'evidente illegittimità, continua la Corte dei
conti, la giunta decise di confermare le mansioni superiori
senza il parere burocratico del segretario, senza effettuare
tutti gli approfondimenti del caso, che sarebbero stati
necessari
(articolo ItaliaOggi del 05.04.2013
- tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - SEGRETARI
COMUNALI:
Rientra tra i doveri di servizio del segretario comunale il
rilascio di pareri in materia di regolarità delle
deliberazioni.
Sussiste la colpa grave dei convenuti per violazione dei
loro doveri di servizio, atteso che con un minimo di
diligenza si sarebbe immediatamente evidenziata la natura
non solo illegittima, ma anche dannosa della deliberazione
adottata.
In particolare, il Segretario comunale –che deve
presumersi conoscere la normativa nel dettaglio sia per
dovere di ufficio, sia per l’esperienza e la preparazione
professionale presumibile dalla categoria di appartenenza–
non rese alcun parere sulla regolarità della deliberazione e
verbalizzò la delibera senza alcuna osservazione, in
violazione dei suoi obblighi di assistenza giuridico-amministrativa (istruttoria e consultiva) agli
organi politici dell’ente in sede di adozione delle
deliberazioni; ed i componenti della Giunta decisero di
confermare le mansioni superiori senza il parere burocratico
(del segretario) e a fronte di una evidente illegittimità
della delibera stessa che avrebbe imposto tutti gli
approfondimenti del caso, in violazione dei doveri di
servizio che imponevano ai componenti della giunta la
massima diligenza nella gestione di risorse comunali.
---------------
Sussiste quindi la
colpa grave dei convenuti per violazione dei loro doveri di
servizio, atteso che con un minimo di diligenza si sarebbe
immediatamente evidenziata la natura non solo illegittima,
ma anche dannosa della deliberazione adottata.
In particolare, come sopra precisato (§ 7.2.1.e), il
Segretario comunale –che deve presumersi conoscesse tale
normativa nel dettaglio sia per dovere di ufficio, sia per
l’esperienza e la preparazione professionale presumibile
dalla categoria di appartenenza– non rese alcun parere sulla
regolarità della deliberazione (reso invece su tutte le
altre deliberazioni in atti) e verbalizzò la delibera senza
alcuna osservazione, in violazione dei suoi obblighi di
assistenza giuridico-amministrativa (istruttoria e
consultiva) agli organi politici dell’ente in sede di
adozione delle deliberazioni (artt. 52, 53 e 58 L. 142/1990
nel testo vigente nel 1999, artt. 93 e 97 D.Lgs. 267/2000);
ed i componenti della Giunta decisero di confermare le
mansioni superiori senza il parere burocratico (del
segretario) e a fronte di una evidente illegittimità della
delibera stessa che avrebbe imposto tutti gli
approfondimenti del caso, in violazione dei doveri di
servizio che imponevano ai componenti della giunta la
massima diligenza nella gestione di risorse comunali (artt.
58 L. 142/1990 e artt. 78 e 93 D.Lgs. 267/2000)
(massima tratta da www.respamm.it -
Corte dei Conti, Sez. II giur. centrale d'appello,
sentenza 01.02.2013 n.
41). |
gennaio 2013 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI - SEGRETARI COMUNALI:
Responsabilità. Obbligo presente anche dopo
l'addio alle verifiche di legittimità. Al segretario anche
il dovere di controllo preventivo
LE BASI/ Una segnalazione anonima può essere sufficiente per
avviare un giudizio se contiene elementi «specifici e
concreti».
Le segnalazioni anonime che contengano
elementi precisi possono essere assunte come base per
l'avvio del giudizio di responsabilità contabile. Il
segretario ha il dovere di segnalare le illegittimità che
sono contenute nelle proposte di deliberazione; lo stesso
vincolo è posto in capo al vicesegretario. La colpa grave
non è data dalla semplice violazione di una norma: si
richiede in aggiunta una grave negligenza.
Sono le principali indicazioni contenute nella
sentenza 18.01.2013 n. 40 della III Sez. di
appello della Corte dei Conti.
La pronuncia conferma la condanna di primo grado irrogata ad
amministratori, segretario e vice segretario di un Comune
che hanno reiterato incarichi professionali senza che l'ente
ne avesse un vantaggio. L'importanza della sentenza è data
dall'ampliamento degli ambiti entro cui matura la colpa
grave, delle possibilità di avviare procedimenti sulla base
di notizie anonime e dalla definizione delle condizioni
entro cui matura la responsabilità del segretario.
Viene detto espressamente che «il carattere anonimo di un
esposto non è di per sé di ostacolo al legittimo avvio
dell'istruttoria tanto più se la segnalazione ... configura
una notizia di danno specifica e concreta». In questo
modo si ribadisce l'ampia discrezionalità che la procura
della Corte dei Conti ha nel selezionare le notizie sulla
cui base avviare un procedimento di responsabilità
contabile.
Altrettanto netta è l'individuazione delle condizioni per la
maturazione della responsabilità del segretario e, elemento
per molti aspetti innovativo, del vicesegretario. Essi hanno
il dovere di «esprimere pareri di legittimità sulle
delibere dell'ente locale» e la presenza nelle riunioni
di Giunta e consiglio impone loro di «evidenziare la non
conformità a legge del provvedimento». Né questo dovere
è venuto meno a seguito dell'abrogazione del parere di
legittimità da parte del segretario; essi hanno il «preciso
obbligo giuridico di segnalare agli amministratori le
illegittimità contenute negli emanandi provvedimenti, al
fine di impedire atti e comportamenti illegittimi forieri di
danno erariale». È questo il tratto essenziale del loro
«ruolo di garanzia».
Infine la sentenza chiarisce che per configurare la presenza
del fattore della colpa grave «non è sufficiente la
semplice violazione della legge o di regole di buona
amministrazione ma è necessario che questa violazione sia
connotata da inescusabile negligenza o dalla previsione
dell'evento dannoso». Ovvero, occorre «un
comportamento avventato e caratterizzato dalla assenza di
quel minimo di diligenza che è lecito attendersi in
relazione ai doveri di servizio propri o specifici dei
pubblici dipendenti». Occorre cioè una condotta
caratterizzata dalla «prevedibilità delle conseguenze
dannose del comportamento».
Un suo altro indice è costituito dall'elevato «grado di
anomalia e di incompatibilità dei comportamenti concreti
rispetto agli schemi normativi astratti, ivi compreso il
dovere di svolgere i propri compiti con il massimo di lealtà
e diligenza». La presenza di questo componente deve
essere verificata con riferimento alla condotta
concretamente seguita da amministratori e funzionari (articolo
Il Sole 24 Ore dell'11.02.2013 - tratto da
www.corteconti.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - SEGRETARI
COMUNALI:
Ruolo del Segretario comunale e danno erariale.
E’ noto che tra i doveri del
segretario comunale sussiste anche quello, fondamentale, di
esprimere pareri di legittimità sulle delibere dell’ente
locale.
La circostanza che, nella specie, entrambi i suddetti
condannati/appellanti (ndr: segretario e vice-segretario
comunale) non si siano pronunciati -come se avessero da
espletare mera funzione di assistenza e collaborazione
giuridico/amministrativa nella redazione della delibera- non
può valere da esimente ma coinvolge ancor più la loro
responsabilità per il silenzio serbato mentre avrebbero
dovuto espressamente evidenziare la non conformità a legge
del provvedimento.
In tema, la giurisprudenza della Corte è assai chiara
nell’affermare che “L'affidamento, alla stregua della
previsione normativa di cui all'art. 97 T.U. 18.08.2000, n.
267, al segretario comunale di funzioni di assistenza e di
collaborazione giuridica e amministrativa con tutti gli
organi dell'ente locale assorbe, in qualche guisa, lo
specifico compito, dianzi espressamente previsto dall'art.
53 L. 08.06.1990, n. 142, di esprimere un previo parere di
legittimità sulle deliberazioni di giunta; l'evoluzione
normativa in materia ben lungi dall'evidenziare una
sottrazione del segretario in questione alla responsabilità
amministrativa per il parere eventualmente espresso su atti
della Giunta, ne ha invece sottolineato le maggiori
responsabilità in ragione della rilevata estensione di
funzioni, di tal che non assume alcun rilievo esimente
l'art. 17, commi 85 e 86, L. 15.05.1997, n. 127 che ha
espressamente abrogato l'istituto del previo parere di
legittimità del segretario comunale”.
Pertanto non può dubitarsi del fatto che il Segretario
comunale abbia il “preciso obbligo giuridico di segnalare
agli amministratori le illegittimità contenute negli
emanandi provvedimenti”, al fine di impedire atti e
comportamenti illegittimi forieri di danno erariale: si
tratta, invero, di una figura professionale alla quale è per
legge “demandato un ruolo di garanzia, affinché l'attività
dell'ente possa dispiegarsi nell'interesse del buon
andamento e dell'imparzialità”.
---------------
Non essendo possibile configurare un generale criterio di
valutazione della colpa grave, non è sufficiente a
integrarla la semplice “violazione della legge o di regole
di buona amministrazione ma è necessario che questa
violazione sia connotata da inescusabile negligenza o dalla
previsione dell'evento dannoso”.
Detta colpa consiste, infatti, “in un comportamento
avventato e caratterizzato da assenza di quel minimo di
diligenza che è lecito attendersi in relazione ai doveri di
servizio propri o specifici dei pubblici dipendenti (…)”
ossia nella “inammissibile trascuratezza e negligenza dei
propri doveri, coniugata alla prevedibilità delle
conseguenze dannose del comportamento” in relazione alle
modalità del fatto, all'atteggiamento soggettivo dell'autore
nonché al rapporto tra tale atteggiamento e l'evento
dannoso: “di guisa che il giudizio di riprovevolezza della
condotta venga in definitiva ad essere basato su un quid
pluris rispetto ai parametri di cui agli artt. 43 cod. pen.
e 1176 cod. civ.”.
Occorre far riferimento, insomma, “al grado di anomalia e di
incompatibilità dei comportamenti concreti rispetto agli
schemi normativi astratti, ivi compreso il dovere di
svolgere i propri compiti con il massimo di lealtà e
diligenza, dovendosi in particolare esaminare il concreto
atteggiarsi dell'agente, calato nella contestualità del
momento, nei fini del suo agire quali desumibili da indici
di presunzione di esperienza, perizia e buon senso, nel
grado di prevedibilità di eventi dannosi e nella quota di
esigibilità, anche alla stregua di altri doveri e fini
pubblici da seguire, della norma infranta”.
---------------
FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Sezione giurisdizionale per
la regione Basilicata -in disparte la reiezione di questioni
pregiudiziali e/o procedurali- ha condannato (tra gli altri)
i sig.ri ... al pagamento di importi tra loro diversi (oltre
agli interessi legali) -determinati in via equitativa, nella
misura del 20% di quanto chiesto nell’atto introduttivo e
comprensivi della rivalutazione- a favore dello Stato (50%
del totale), della Regione Basilicata (30% del totale) e del
Comune di LAURIA (PZ) (20% del totale).
I medesimi sono stati ritenuti responsabili -quali
amministratori e/o segretario e v. segretario comunale- del
danno conseguente a illegittimo affidamento a cinque
soggetti esterni, nel periodo 2002/2008, di numerosi e/o non
proficui incarichi per la gestione di pratiche relative alla
ricostruzione post terremoto del 09.09.1998.
...
E’ noto che tra i doveri del
segretario comunale sussiste anche quello, fondamentale, di
esprimere pareri di legittimità sulle delibere dell’ente
locale. La circostanza che, nella specie, entrambi i
suddetti condannati/appellanti non si siano pronunciati
-come se avessero da espletare mera funzione di assistenza e
collaborazione giuridico/amministrativa nella redazione
della delibera- non può valere da esimente ma coinvolge
ancor più la loro responsabilità per il silenzio serbato
mentre avrebbero dovuto espressamente evidenziare la non
conformità a legge del provvedimento.
In tema, la giurisprudenza della Corte è assai chiara
nell’affermare che “L'affidamento, alla stregua della
previsione normativa di cui all'art. 97 T.U. 18.08.2000, n.
267, al segretario comunale di funzioni di assistenza e di
collaborazione giuridica e amministrativa con tutti gli
organi dell'ente locale assorbe, in qualche guisa, lo
specifico compito, dianzi espressamente previsto dall'art.
53 L. 08.06.1990, n. 142, di esprimere un previo parere di
legittimità sulle deliberazioni di giunta; l'evoluzione
normativa in materia ben lungi dall'evidenziare una
sottrazione del segretario in questione alla responsabilità
amministrativa per il parere eventualmente espresso su atti
della Giunta, ne ha invece sottolineato le maggiori
responsabilità in ragione della rilevata estensione di
funzioni, di tal che non assume alcun rilievo esimente
l'art. 17, commi 85 e 86, L. 15.05.1997, n. 127 che ha
espressamente abrogato l'istituto del previo parere di
legittimità del segretario comunale” (cfr.: Sez. 2^ giur.
C.le d’appello,
sentenza 23.06.2004 n. 197; idem, sentenza 17.03.2004 n.
88).
Pertanto non può dubitarsi del fatto che il Segretario
comunale abbia il “preciso obbligo giuridico di segnalare
agli amministratori le illegittimità contenute negli
emanandi provvedimenti”, al fine di impedire atti e
comportamenti illegittimi forieri di danno erariale (Sez.
Giur. Lombardia,
sentenza 09.07.2009 n. 473): si tratta, invero, di una
figura professionale alla quale è per legge “demandato un
ruolo di garanzia, affinché l'attività dell'ente possa
dispiegarsi nell'interesse del buon andamento e
dell'imparzialità” (Sez. Giur. Lombardia,
sentenza 08.05.2009 n. 324).
Orbene, in proposito, è da
richiamare la consolidata e condivisibile giurisprudenza
della Corte dei conti secondo cui, non essendo possibile
configurare un generale criterio di valutazione della colpa
grave, non è sufficiente a integrarla la semplice “violazione
della legge o di regole di buona amministrazione ma è
necessario che questa violazione sia connotata da
inescusabile negligenza o dalla previsione dell'evento
dannoso” (Sez. 3^ giur. centrale di appello, sent. n. 75
del 12/02/2010; idem, sent. n. 424 del 09/10/ 2006).
Detta colpa consiste, infatti, “in un comportamento
avventato e caratterizzato da assenza di quel minimo di
diligenza che è lecito attendersi in relazione ai doveri di
servizio propri o specifici dei pubblici dipendenti (…)”
(Sez. 1^ centrale di appello, sent. n. 305 dell’08.05.2009)
ossia nella “inammissibile trascuratezza e negligenza dei
propri doveri, coniugata alla prevedibilità delle
conseguenze dannose del comportamento” (Sez. Giur.
Calabria, sent. 01/07/2005, n. 763) in relazione alle
modalità del fatto, all'atteggiamento soggettivo dell'autore
nonché al rapporto tra tale atteggiamento e l'evento
dannoso: “di guisa che il giudizio di riprovevolezza
della condotta venga in definitiva ad essere basato su un
quid pluris rispetto ai parametri di cui agli artt. 43 cod.
pen. e 1176 cod. civ.” (Sezioni Riunite, sent.
10/06/1997, n. 56).
Occorre far riferimento, insomma, “al grado di anomalia e
di incompatibilità dei comportamenti concreti rispetto agli
schemi normativi astratti, ivi compreso il dovere di
svolgere i propri compiti con il massimo di lealtà e
diligenza, dovendosi in particolare esaminare il concreto
atteggiarsi dell'agente, calato nella contestualità del
momento, nei fini del suo agire quali desumibili da indici
di presunzione di esperienza, perizia e buon senso, nel
grado di prevedibilità di eventi dannosi e nella quota di
esigibilità, anche alla stregua di altri doveri e fini
pubblici da seguire, della norma infranta” (Sez. Giur.
Piemonte, sent. 02/11/2005, n. 647).
In ragione di quanto precede, a questo Collegio
sembrano palesi la scarsa diligenza, superficialità,
contraddittorietà e/o trascuratezza del modus procedendi
degli (odierni) appellanti -per aver, in particolare,
provveduto al costante rinnovo delle convenzioni– tali da
configurare la loro piena responsabilità in ordine al
pregiudizio patrimoniale arrecato al Comune di Lauria, nel
cui nome e interesse hanno operato.
La gravata sentenza, al proposito, fondatamente ha
evidenziato che l’applicazione (contra legem) di
personale convenzionato all’espletamento delle pratiche
addirittura concernenti il lontano terremoto del 1980, 1981
e 1982 non solo ha inciso sull’efficacia ed efficienza della
gestione dell’attività amministrativa riguardante il sisma
del 1998 –risultata scarsa almeno nella parte della mancata
programmazione (e conseguente valutazione) di un risultato
minimo da raggiungere annualmente da parte dei tecnici
convenzionati– ma ha palesemente violato la legge (art. 5,
c. 3, della l. n. 32/1992).
E’ da convenire, dunque, sul “comportamento gravemente
colposo degli amministratori che hanno assunto le delibere
in tal senso, nonché dei soggetti che hanno svolto le
funzioni di Segretario Comunale nell’occasione, venendo meno
a quei compiti di assistenza giuridico-amministrativa nei
confronti degli organi elettivi e di garanti della
legittimità dell’azione amministrativa previsti dall’art. 97
del d.lgs. n. 267/2000” (pag. 25 della sentenza)
(Corte dei Conti, Sez. III giurisdiz. centrale d'appello,
sentenza 18.01.2013 n. 40 - link a
www.corteconti.it). |
anno 2012 |
|
ATTI AMMINISTRATIVI - SEGRETARI COMUNALI: M.
Esposito,
IL CONTROLLO DI REGOLARITÀ AMMINISTRATIVA ED IL RUOLO DEL
SEGRETARIO COMUNALE
(Gazzetta Amministrativa
n. 4/2012). |
INCARICHI
PROFESSIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Corte
dei conti. Liquidazione di compensi.
Il pagamento errato condanna i segretari.
OBBLIGHI CONDIVISI/ Anche il responsabile del servizio
finanziario è tenuto a vigilare sulla correttezza degli atti
per versare gli onorari.
Particolare attenzione va prestata alla liquidazione di
corrispettivi professionali (parcelle legali) con un
rigoroso controllo che, coinvolgendo il responsabile di
servizio che adotta la liquidazione e il responsabile del
servizio finanziario, eviti di liquidare compensi non dovuti
sulla base di semplici preavvisi di fatture presentate dal
professionista e in assenza di documentazione idonea a
giustificare la misura del compenso richiesto.
La
sentenza
14.12.2012 n. 1125 della sezione Corte dei Conti Veneto
chiarisce il ruolo di garante in capo al segretario comunale
e al ragioniere, e articola le responsabilità per omissione
di controllo cui vanno incontro il responsabile di servizio
(nella fattispecie era anche segretario comunale) che ha
disposto la liquidazione dei compensi, e il responsabile del
servizio finanziario che ha apposto il visto di regolarità
contabile.
La responsabilità del responsabile di servizio/segretario
comunale che ha adottato l'atto discende dalla mancata
verifica della congruità del compenso riconosciuto, e dal
contrasto con il generale dovere, conseguente alla sua
posizione di segretario generale (articolo 97 del Dlgs
267/2000) di essere garante della legalità e della
correttezza amministrativa dell'azione del l'ente locale. In
relazione al ruolo del segretario comunale/responsabile di
servizio si è riconosciuta una maggiore incidenza causale
nella determinazione del danno, quantificabile nella misura
del 60% dell'intero. Il restante 40% è stato addebitato al
concorso colposo del ragioniere capo perché le circostanze
non giustificavano l'emissione dei titoli di pagamento e che
avrebbero dovuto determinare almeno la richiesta di
giustificazioni idonee.
Nell'affermare la responsabilità del ragioniere per il visto
sull'atto irregolare, la Corte evidenzia che non c'è una
differenza ontologica tra il parere di regolarità contabile,
previsto per le deliberazioni degli organi rappresentativi,
e il visto per le determinazioni dei responsabili dei
servizi; il controllo di regolarità finanziaria deve essere
ritenuto afferente alla legittimità della spesa, implicando
un giudizio sulla sua conformità alle leggi e ai regolamenti
(Corte conti, sezione giurisdizionale Sicilia, n.
1337/2012).
A fronte di compensi liquidati sulla base di determinazioni
illegittimamente assunte, c'è per il dirigente del settore
finanziario il dovere di sospendere i pagamenti illegittimi,
ed eventuali esoneri di responsabilità sono possibili solo
in esito a un'analisi complessiva delle particolari
circostanze del caso deciso e della non rilevabilità
immediata delle illegittimità accertate.
Nel caso affrontato dalla sentenza, invece, si è rilevato
che l'anomalia delle liquidazioni effettuate dal
responsabile del servizio poteva essere facilmente rilevata
dal ragioniere capo
(articolo Il Sole 24 Ore del
31.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI
COMUNALI - ENTI LOCALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI
COMUNALI: G.U.
07.12.2012 n. 286 "Testo
del decreto-legge 10.10.2012, n. 174 coordinato con la legge
di conversione 07.12.2012, n. 213 recante: «Disposizioni
urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti
territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle
zone terremotate nel maggio 2012»". |
SEGRETARI
COMUNALI:
Niente «premi» senza obiettivi.
Niente retribuzioni di risultato per i segretari se non sono
stati formalizzati in via preventiva dall'amministrazione
gli obiettivi necessari alla valutazione.
Lo spiega l'ex-Ages (agenzia dei segretari) nelle risposte
ai quesiti
30.11.2012 n. 9/2012 e
30.11.2012 n. 10/2012.
In un altra nota (la
30.11.2012 n. 8/2012) l'ex-Ages afferma che non sono
possibili le convenzioni fra Comuni singoli e Unioni
(articolo
Il Sole 24 Ore del 05.12.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
ENTI LOCALI -
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Il
controllo strategico sotto il dg crea un cortocircuito
organizzativo.
Un cortocircuito organizzativo e istituzionale. Il disegno
di legge di conversione del dl 174/2012 rischia di creare
inestricabili problemi operativi incidendo sull'autonomia
dei segretari comunali e dei dirigenti, oltre che creando
nuovi elementi di rivalità tra i segretari e i direttori
generali.
Gli emendamenti inseriscono al comma 2
dell'articolo 147-ter del dlgs 267/2000 la previsione
secondo la quale l'unità addetta al controllo strategico «è
posta sotto la direzione del direttore generale, laddove
previsto, o del segretario comunale negli enti in cui non è
prevista la figura del direttore generale». Sono state così
accolte le lagnanze dei (pochissimi) direttori generali
degli enti locali, i quali avevano chiesto a gran vice che
la norma specificasse la loro preposizione al controllo
strategico. Quasi che il controllo strategico e la sua
direzione costituiscano una posizione di privilegio o
superiorità gerarchica, i direttori generali hanno ottenuto
questo riconoscimento espresso delle loro funzioni, a
scapito dei segretari comunali.
Una scelta discutibile,
quella del legislatore, perché dà appunto la sensazione che
il controllo strategico (forse a causa dell'aggettivo
altisonante) risulti una funzione di natura apicale, mentre
altro non è che la congiunzione tra la programmazione
politica di mandato e le relazioni revisionali e
programmatica triennali. Inoltre, si attribuisce un rilievo
a una figura, quella del direttore generale, in via di
estinzione, già eliminata in tutti i comuni con meno di 100
mila abitanti e oggettivamente vista come un doppione, anche
per effetto proprio del dl 174/2012 che certamente rilancia
il peso del segretario comunale.
Un rilancio anche oltre
misura, almeno a causa sempre degli emendamenti al disegno
di legge di conversione. I quali, se approvati, creano
ragioni di complicazione e attrito anche tra segretari e
dirigenti, con la possibilità di accrescere l'ingerenza
degli organi di governo nella gestione. Infatti, si prevede
di modificare l'articolo 147-bis, comma 3, del dlgs 267/2000
prevedendo che gli atti di controllo del segretario sui
provvedimenti dei dirigenti siano trasmessi a questi ultimi
«unitamente alle direttive cui conformarsi in caso di
riscontrata irregolarità».
A parte la circostanza che le
direttive sono atti che non implicano l'obbligo di
conformazione da parte del destinatario e che i dirigenti
dispongono di una specifica sfera di autonomia che non può
essere lesa, in ogni caso appare singolare assegnare al
segretario un potere di conformazione, visto che detto
organo risulta ancora incaricato direttamente dal sindaco o
dal presidente della provincia.
Il segretario comunale non
gode di quella posizione di terzietà di cui un organo di
controllo dotato di poteri conformativi dovrebbe disporre.
Gli emendamenti rischiano, così, di rendere la riforma dei
controlli uno strumento mediante il quale gli organi di
governo, per il tramite di segretari troppo influenzabili,
potrebbero per interposta persona e mediante i controlli
gestire indirettamente. Un risultato del tutto opposto agli
intenti della norma e alla Costituzione
(articolo ItaliaOggi dell'01.12.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Anticorruzione con armi
spuntate.
Il segretario è il responsabile. Ma non può essere
sanzionato. Il sistema di
prevenzione disegnato dalla legge 190 appare tarato solo sui
dirigenti pubblici.
Inapplicabili ai segretari comunali le sanzioni previste
dalla legge 190/2012 in capo alla figura del responsabile
della prevenzione della corruzione.
La «legge anticorruzione» stabilisce che il responsabile
della prevenzione negli enti locali coincida col segretario
comunale, a meno che motivatamente non si assegni la
funzione a un altro soggetto.
Tuttavia, il sistema delle sanzioni per il responsabile
appare disegnato solo ed esclusivamente per i dirigenti
pubblici e non si attaglia alla figura del segretario.
Per il responsabile sono elementi di valutazione della
responsabilità dirigenziale «la mancata predisposizione del
piano e la mancata adozione delle procedure per la selezione
e la formazione dei dipendenti». Ma si vede subito come
questa indicazione valga poco o nulla per il segretario
comunale.
Il sistema della responsabilità dirigenziale è regolato
dall'articolo 21, comma 1, del dlgs 267/2000, ai sensi del
quale «il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato
attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui
al Titolo II del decreto legislativo di attuazione della
legge 04.03.2009, n. 15, in materia di ottimizzazione
della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e
trasparenza delle pubbliche amministrazioni ovvero
l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente
comportano, previa contestazione e ferma restando
l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la
disciplina contenuta nel contratto collettivo,
l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico
dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi,
l'amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel
rispetto del principio del contraddittorio, revocare
l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli
di cui all'articolo 23 ovvero recedere dal rapporto di
lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo».
Come si nota, esso si fonda su tre livelli di sanzioni,
connesse alla gravità della responsabilità dirigenziale
rilevata: l'impossibilità di rinnovare, alla scadenza,
l'incarico dirigenziale, oppure la revoca anticipata o,
ancora, il recesso dal rapporto di lavoro.
Si tratta di una disciplina in gran parte incompatibile con
la regolazione del rapporto dei segretari comunali, i quali
dipendono, ancora per poco, dall'Agenzia per poi tornare nei
ruoli del ministero dell'interno. Il recesso, dunque, non
appare attivabile.
Ma, anche l'impossibilità del rinnovo dell'incarico non ha
alcun senso. Il segretario comunale non può che avere
l'incarico da segretario comunale. Semmai, la responsabilità
dirigenziale connessa al ruolo di responsabile della
prevenzione della corruzione potrebbe essere utile per
levarsi il peso da dosso di tale incarico, ma ovviamente
l'ente non potrebbe «non rinnovare l'incarico», posto che
tale eventualità rimane esclusivamente legata al succedersi
dei sindaci e dei presidenti delle province, dato lo spoils
system particolarmente spinto che caratterizza lo status dei
segretari.
Pertanto, l'unica vera e concreta sanzione attivabile per il
segretari potrebbe essere quella della revoca dell'incarico.
Ma tale istituto è regolato dal dlgs 267/2000 ed è connesso
soprattutto alle funzioni tipicamente proprie del
segretario.
Nella sostanza, questo primo lotto di responsabilità ha
senso solo per i dirigenti veri e propri, molto meno, quasi
riducendosi a pura forma, per i segretari comunali. Un
secondo tipo di responsabilità, quella oggettivamente più
sorprendente e meno giustificabile, è quella che rende il
responsabile responsabile, appunto, per la condotta altrui.
La legge prevede che «in caso di commissione, all'interno
dell'amministrazione, di un reato di corruzione accertato
con sentenza passata in giudicato, il responsabile
individuato ai sensi del comma 7 del presente articolo
risponde ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo
30.03.2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché
sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e
all'immagine della pubblica amministrazione».
La norma scarica sul responsabile, in primo luogo, la già
vista «responsabilità dirigenziale», replicando gli stessi
problemi di applicabilità ai segretari comunali visti prima.
Vi è poi la responsabilità disciplinare, che nel sistema
degli enti locali, data la posizione di autonomia
spiccatissima del segretario, non si capisce bene chi
potrebbe mai contestare.
Insomma, proprio con riferimento alle responsabilità del
segretario, la legge 190/2012 rivela il suo eccessivo
formalismo burocratico, che lascia pochi spazi alla concreta
efficacia
(articolo ItaliaOggi del
23.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
PUBBLICO
IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: La
giunta approva il Piano.
È la giunta comunale l'organo competente ad approvare il
piano anticorruzione. La legge 190/2012 demanda all'«organo
di indirizzo politico» il compito di adottare il piano, su
proposta del dirigente responsabile della prevenzione della
corruzione, che negli enti locali coincide col segretario
comunale, a meno che motivatamente non si stabilisca di
assegnare questo compito ad un altro soggetto.
La locuzione
«organo di indirizzo politico» pone il problema di
comprendere quale sia tale organo negli enti locali, in cui
la funzione di indirizzo è ripartita tra consiglio, giunta e
sindaco (nelle province a breve la giunta dovrebbe sparire).
Evidentemente il legislatore ha tenuto presente il modello
dell'organo di indirizzo politico monocratico, tipico
dell'assetto ministeriale, lasciando aperto il problema
della corretta determinazione delle competenze negli enti
locali. Ad un primo sguardo, sembrerebbe di poter concludere
che la competenza sia del consiglio, considerando che ai
sensi dell'articolo 42, comma 1, del dlgs 267/2000 «è
l'organo di indirizzo e di controllo
politico–amministrativo».
Tuttavia, non si deve dimenticare che il consiglio è
competente esclusivamente ed in via tassativa per le sole
attribuzioni ad esso assegnate dallo stesso articolo 42 del
Tuel, il quale richiama solo programmi, mentre utilizza il
lemma «piani» solo per quelli urbanistici. La tassatività
delle competenze del consiglio, allora, porta a far ritenere
che l'adozione del piano di prevenzione della corruzione
ricada nell'organo dotato di competenza generale e
residuale, ovvero la giunta, anche in relazione alla
funzione fondamentalmente esecutiva e non di programmazione
generale che riveste il piano anticorruzione.
Basti porre mente alla necessità che il responsabile della
prevenzione della convenzione controlli in corso d'opera
l'utilità e l'efficacia del piano ed al suo obbligo di
proporne tempestivamente adeguamenti e modifiche, anche
connesse a modifiche organizzative dell'ente.
L'organizzazione è strettamente connessa al regolamento
sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, unico
regolamento che il Testo unico degli enti locali assegni
alla competenza della giunta.
Considerando il valore di atto non di indirizzo generale, ma
organizzativo, del piano di prevenzione della corruzione ed
anche la non necessarietà di un dibattito tra maggioranza e
opposizione sul tema e, ancora, una rilevante snellezza del
procedimento di approvazione e revisione, sembra di poter
affermare, allora, che la competenza ricada sulla giunta e
non sul consiglio. Nel caso delle province, una volta
soppresse le giunte, sarà il presidente della provincia a
svolgerne le funzioni e dunque sarà detto organo monocratico
competente ad approvare il piano e le relative modifiche
(articolo ItaliaOggi del
23.11.2012). |
SEGRETARI
COMUNALI: Botta
e risposta dopo il varo del dl 174. Sul controllo strategico
scontro tra Anci, segretari e direttori.
Tra le numerose forme di controllo sull'attività degli enti
locali previste dalla legislazione vigente, riprese e
potenziate dal decreto-legge 174 del 10 ottobre scorso,
figura il controllo strategico. Di che si tratta? Esso
rappresenta un aspetto cruciale della riforma della p.a. in
quanto mira a verificare se e in quale misura siano stati
realizzati gli obiettivi finali dell'ente intesi in termini
di servizi resi ai cittadini. È pertanto evidente che tale
forma di controllo presuppone l'esistenza di documenti di
programmazione strategica e modelli di organizzazione e di
gestione orientati al risultato. Presupposti che mancano in
quasi tutte le amministrazione tanto che la Corte dei conti
ha più volte segnalato la sostanziale inosservanza della
norma in materia.
In realtà, la pianificazione strategica,
che spetta agli organi di governo, è carente quasi ovunque e
gli stessi strumenti di programmazione previsti dalla legge
sono spesso vuoti di contenuto, inadeguati e tardivi
(programma di governo, piani di sviluppo, strumenti di
bilancio). In tale quadro, come si manifesta possibile dare
concreta attuazione all'articolo 147 del Testo unico, come
sostituito dal decreto 174, che sostanzialmente ripete la
definizione e le finalità del controllo strategico diretto a
«valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di
attuazione dei piani, dei programmi e degli altri strumenti
di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di
congruenza tra i risultati conseguiti e gli obiettivi
predefiniti»? Come è possibile operare se i piani non ci
sono o sono carenti e i risultati non sono individuati, né
misurati?
Il decreto-legge va oltre e dispone che,
nell'ambito della loro autonomia, gli enti locali
disciplinano e organizzano il sistema dei controlli interni
cui il controllo strategico appartiene. A detta
organizzazione partecipano il segretario dell'ente, il
direttore generale laddove previsto, i responsabili dei
servizi e le unità di controllo. Un po' tutti insomma. Sul
funzionamento del sistema vigila questa volta la Corte dei
conti attraverso le sezioni regionali. A tali fini il
sindaco, o il presidente della provincia, trasmette alla
Corte un referto sulla regolarità della gestione e
sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli
interni avvalendosi del direttore generale o del segretario
negli enti in cui non è prevista la figura del dg. Ancora,
il decreto 174 prevede che debba essere istituita una unità
organizzativa preposta al controllo strategico che effettua
rilevazioni ed elabora rapporti periodici da sottoporre alla
giunta e al consiglio.
E qui si innesta un'aspra querelle
tra l'Anci, l'Unione dei segretari e l'Andigel,
l'associazione dei direttori generali degli enti locali. È
accaduto infatti che in sede di esame del decreto da parte
della commissione affari costituzionali della camera è stato
approvato, tra gli altri, un emendamento che pone tout court
l'unità organizzativa suddetta «sotto la direzione del
segretario comunale». L'emendamento non fa menzione alcuna
del direttore generale laddove previsto, come nel caso della
trasmissione del referto alla Corte dei conti. L'Anci
interviene con un comunicato del presidente in cui si
rappresenta l'inopportunità di affidare la suddetta
direzione al segretario.
Con un duro comunicato, l'Unione
nazionale dei segretari stigmatizza l'intervento di Delrio,
chiede addirittura di riconsiderare la propria posizione,
conferma la proposta di un direttore operativo che supporti
e non sostituisca le funzioni e le competenze del
segretario. Non meno duro il comunicato del presidente dell'Andigel
che considera l'emendamento «un colpo di mano e un insulto a
qualsiasi principio di autonomia e che conferma una
pericolosa involuzione centralistica in corso».
Si ripropone
dunque lo scontro tra le due unità di vertice determinatosi
in seguito alla introduzione negli enti locali di maggiori
dimensioni della figura del direttore generale prevista
dalla riforma Bassanini del 1997. Oggi, a distanza di 15
anni il problema non è stato ancora risolto
(articolo ItaliaOggi del
23.11.2012 - tratto da www.corteconti.it). |
SEGRETARI
COMUNALI:
Retribuzione di risultato del Segretario e art.
9, comma 2-bis, d.l. 78/2010.
La Corte dei Conti, sezione regionale Veneto, con il
parere 22.11.2012 n. 972, affronta il tema
dell'assoggettamento o meno alle limitazioni poste dall'art.
9, comma 2-bis, del d.l. 78/2010 delle risorse destinate a
finanziare la retribuzione di risultato del Segretario, ai
sensi dell'art. 42 del CCNL del 16.05.2001.
Di seguito le considerazioni preliminari e, poi, conclusive
della sezione.
Secondo la vincolante ricostruzione interpretativa offerta
dalle Sezioni Riunite con la deliberazione n. 51/CONTR/2011,
confermata anche dal Ministero dell'Interno-Ragioneria
Generale dello Stato con circolare n. 12 del 15.04.2011:
- "Le risorse con riferimento alle quali opera il
contenimento, dunque, sarebbero quelle di alimentazione dei
fondi, ovvero, le risorse potenzialmente destinabili alla
generalità dei dipendenti dell'ente attraverso lo
svolgimento della contrattazione integrativa. Ne
resterebbero, di conseguenza, esclusi, gli importi diretti a
remunerare prestazioni professionali tipiche di soggetti
individuati o individuabili (e, segnatamente, le risorse per
le attività di progettazione e per l'avvocatura interna),
che alimentano il fondo in senso solo figurativo, non
essendo destinati a finanziare incentivi spettanti alla
generalità del personale dell'amministrazione pubblica";
- "L'identificazione, ai soli fini dell'applicazione del
limite di spesa di cui al comma 2-bis, tra fondi della
contrattazione integrativa e salario accessorio, peraltro,
trova conforto nella previsione contenuta nell'ultimo
periodo di tale comma: la riduzione, automatica e
proporzionale, dell'ammontare complessivo degli importi
destinati al trattamento accessorio del personale dell'ente,
in conseguenza della riduzione del numero dei dipendenti in
servizio ivi prevista, infatti, non può che avere ad oggetto
le risorse che, confluendo nei fondi unici di
amministrazione, attraverso i meccanismi 'distributivi'
propri della contrattazione decentrata, sono ripartite tra
la generalità dei dipendenti e che, nell'ottica del
contingentamento e della razionalizzazione della relativa
spesa, a fronte della riduzione dell'organico complessivo,
devono subire una correlativa diminuzione. Tale rilievo
consente di superare le inevitabili perplessità ingenerate
dalla formulazione della prima parte del comma in esame
-che, nel contemplare genericamente le 'risorse destinate
annualmente al trattamento accessorio del personale', e non
contenendo più il termine 'fondo' o 'fondi', che compariva,
invece, in precedenti ed analoghe disposizioni (art. 1,
comma 189, della L. 266/2005 ed art. 67 del D.L. 112/2008),
sembrerebbe riferirsi a tutti gli importi che, anche senza
passare per la contrattazione decentrata, alimentano il
salario accessorio- e di restringere il campo alle
componenti del trattamento accessorio finanziate dai fondi e
non direttamente dal bilancio dell'ente (sul punto, Sez.
Lombardia, deliberazione n. 59/2012/PAR)";
- "In quest'ottica interpretativa, occorre stabilire se
le risorse di cui al citata art. 42 del CCNL del 2001,
destinate alla corresponsione, in favore del Segretario
comunale, della indennità di risultato, siano
indentificabili con quelle di cui all'art. 9, comma 2-bis,
del D.L. 78/2010. Posto che l'indennità in questione
costituisce certamente una componente del trattamento
accessorio del Segretario, deve rilevarsi, tuttavia, che le
risorse, all'uopo, stanziate dall'ente (definite dalla
disposizione contrattuale come 'aggiuntive') non
confluiscono in un fondo unico di amministrazione e non
contribuiscono in alcun modo ad alimentare il trattamento
accessorio della generalità dei dipendenti, risultando
'dedicate' al solo Segretario. Le risorse in questione, in
sostanza, si collocano al di fuori della contrattazione
integrativa, non concorrendo in alcun modo ad alimentarla,
neppure in modo figurativo, e gravano direttamente sul
bilancio dell'ente. Tali elementi, interpretati alla luce
delle indicazioni (peraltro vincolanti) offerte dalle
SS.RR., inducono ad escludere dal campo di applicazione
della norma limitatrice le risorse destinate alla
retribuzione di risultato del Segretario comunale";
- la spesa in questione è comunque rilevante ai fini del
contenimento complessivo della spesa di personale ai sensi
dell'art. 1, comma 557, della legge n. 296/2006 ed in
particolare di quanto ivi previsto alla lettera c);
- "... la stessa disposizione contrattuale che disciplina
la retribuzione in esame, pone, quale limite allo
stanziamento delle relative risorse, proprio 'la capacità di
spesa' del singolo ente; concetto, quest'ultimo, che, può
riferirsi, più in generale, anche a quegli elementi (vincoli
e limiti economici e finanziari imposti dall'ordinamento),
condizionanti, in concreto, l'autonomia di spesa";
- "Infine, si rammenta che il trattamento economico
complessivo spettante al singolo dipendente, comprensivo,
per espressa previsione normativa, anche del 'trattamento
accessorio' (e, quindi, nel caso del segretario,
dell'indennità di risultato di cui all'art. 42 cit.), è
soggetto alla riduzione prevista dal comma 1 dell'art. 9 del
D.L. 78/2010" (tratto da www.publika.it). |
SEGRETARI
COMUNALI: La
petizione.
Spoil system, valanga di firme dai segretari.
I segretari comunali scendono in campo e si rivolgono
direttamente al Governo per lamentare lo spoil system a cui
sono soggetti.
Il fatto degno di nota è che la petizione,
circolata in rete nei giorni scorsi (http://petizionepubblica.it)
ha già ricevuto la firma di oltre mille sottoscrittori,
coinvolgendo quindi circa un terzo dei segretari oggi in
attività.
Lo spunto per la presa di posizione è la norma del decreto
legge sugli enti locali, confermata con qualche correzione
durante la conversione in legge alla Camera, che blinda la
figura dei responsabili dei servizi finanziari; con le nuove
regole, per revocare l'incarico occorre il riscontro di
«gravi irregolarità nell'esercizio delle funzioni», e
l'ordinanza di revoca firmata dal sindaco deve ricevere il
via libera da parte del collegio dei revisori dei conti
(nella versione originale del decreto 174/2012 era
addirittura previsto il timbro da parte della Ragioneria
generale dello Stato).
«Perché noi no?», si chiedono in
sostanza i segretari comunali, che rimarcano la «scarsa
considerazione prestata alla figura del segretario, a cui è
esplicitamente affidata la direzione dei controlli interni,
e che opera oggi in condizione di assoluta precarietà, dato
che il suo incarico scade alla scadenza del mandato del
sindaco». L'incongruenza agli occhi dei segretari si fa più
grave alla luce delle nuove regole scritte nello stesso
decreto legge sugli enti locali, che affidano proprio a
segretari e responsabili dei servizi finanziari compiti
gemelli nel coordinamento dei nuovi controlli interni.
Segretari e ragionieri capo, solo per fare un esempio,
devono sovrintendere alle nuove regolazioni di inizio e fine
mandato previste per sindaci e presidenti della Provincia, e
rispondono personalmente con il dimezzamento dello stipendio
per tre mesi se l'adempimento non viene effettuato. Senza
«un adeguato sistema di tutela del ruolo -sostengono però i
segretari- il potenziamento dei controlli è vanificato
nella sostanza»
(articolo Il Sole 24 Ore del
19.11.2012 - tratto da www.ecostampa.it). |
SEGRETARI
COMUNALI: Petizione
online per chiedere maggiori tutele. Segretari comunali contro
lo spoils system.
La recente riforma dei controlli sugli enti locali ha
introdotto un'efficace e più penetrante forma di controllo
sulla attività amministrativa dell'ente locale che però non
tiene conto della delicata posizione che occupa il
segretario comunale all'interno dell'ente.
Per questo la categoria ha promosso la sottoscrizione di una
petizione online, che ha già riscosso grande adesione, per
sottolineare lo stato di disagio nel quale si trovano.
Il governo, consapevole del grave problema dell'imparzialità
dei vertici amministrativi, ha ritenuto di blindare la
posizione del responsabile del servizio finanziario.
Ai sensi del dl 174/2012 approvato martedì dalla camera dei
deputati, l'incarico di responsabile del servizio
finanziario di cui all'articolo 153, comma 4, può essere
revocato esclusivamente in caso di gravi irregolarità
riscontrate nell'esercizio delle funzioni assegnate. La
revoca è disposta con ordinanza del legale rappresentante
dell'ente, previo parere obbligatorio del collegio dei
revisori dei conti. La commissione bilancio di Montecitorio
ha così modificato il testo originario del decreto legge che
subordinava la revoca a un duplice parere del ministero
dell'interno e del ministero dell'economia e delle finanze,
Dipartimento della Ragioneria generale dello stato. Una
modifica che, secondo i segretari comunali, non cambia la ratio della norma.
«È evidente che il governo», si legge nella petizione
online, «per non vedere vanificata la ratio della nuova
previsione, ha tutelato il responsabile del servizio
finanziario da ipotesi distorsive di revoca immotivata da
parte del sindaco, frequenti purtroppo nell'attuale sistema
di spoils system che attribuisce poteri illimitati agli
organi politici anche degli enti locali».
«Scarsa considerazione in questo senso, però, è stata
prestata alla figura del segretario, a cui viene
esplicitamente affidata la direzione dei controlli interni,
e che, si rammenta, opera oggi in condizione di assoluta
precarietà, dato che il suo incarico scade alla scadenza del
mandato del sindaco».
«Incongruenza oggi ancora più evidente», proseguono, «con le
nuove funzioni che il disegno di legge anticorruzione
attribuisce al segretario, affidandogli nella sua qualità di
dirigente generale dell'ente locale il compito e il ruolo di
responsabile del piano anticorruzione nell'ente locale».
«I segretari», conclude il testo della raccolta firme,
«chiedono dunque la revisione del sistema di nomina del
segretario, eliminando l'attuale spoils system per
salvaguardare la sua imparzialità e il corretto svolgimento
del suo delicato ruolo, ritenendo indispensabile, in primo
luogo, eliminare la scadenza automatica dell'incarico del
segretario nell'ente locale alla scadenza del mandato del
sindaco. Tale sistema oggi rimette alla mera discrezionalità
politica la prosecuzione dell'operato del segretario
nell'ente; i segretari, inoltre, ritengono necessario
introdurre un adeguato sistema di tutela del loro ruolo per
non vanificare nella sostanza il potenziamento dei controlli
che oggi appare necessario».
«La petizione», viene spiegato, «è assolutamente laica, non
ha alcuna connotazione sindacale e, allo stato attuale, ha
già superato 1.000 sottoscrittori».
Per consultare e aderire alla petizione: http://petizionepubblica.it
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - SEGRETARI COMUNALI: E'
fondato il primo motivo di ricorso, incentrato sulla
asserita incompetenza del Segretario comunale, autore
dell’atto, rispetto al dirigente, competente in via generale
ai sensi dell’art. 107 TUEL.
Occorre infatti ricordare il testo della norma citata, comma
3, per cui “sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di
attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli
atti di indirizzo adottati dai medesimi organi”.
La norma stessa ammette una sola deroga, quella di cui al
successivo art. 109 ultimo comma, per cui nei Comuni privi
di dirigenti le relative funzioni “possono essere
attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco,
ai responsabili degli uffici o dei servizi,
indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in
deroga a ogni diversa disposizione”.
Non esiste invece alcuna norma che affidi in via generale e
ordinaria un compito di supplenza dei dirigenti impediti o
assenti al Segretario comunale, al quale, ai sensi dell’art.
97, comma 4, TUEL soltanto “sovrintende allo svolgimento
delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività”.
... per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia,
del provvedimento 07.07.2010 prot. n. 7012, ricevuto il
successivo 16 luglio, con il quale il Segretario comunale
del Comune di Grumello del Monte ha respinto l’istanza della
ricorrente volta ad ottenere l’autorizzazione ad installare
una stazione radio base per telefonia mobile nella locale
via Don Francesco Lazzari;
...
Nel merito, è fondato anzitutto il primo motivo di ricorso,
incentrato sulla asserita incompetenza del Segretario
comunale, autore dell’atto, rispetto al dirigente,
competente in via generale ai sensi dell’art. 107 TUEL.
Occorre infatti ricordare il testo della norma citata, comma
3, per cui “sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di
attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli
atti di indirizzo adottati dai medesimi organi”. La norma
stessa ammette una sola deroga, quella di cui al successivo
art. 109 ultimo comma, per cui nei Comuni privi di dirigenti
le relative funzioni “possono essere attribuite, a seguito
di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli
uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica
funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione”.
Non esiste invece alcuna norma che affidi in via generale e
ordinaria un compito di supplenza dei dirigenti impediti o
assenti al Segretario comunale, al quale, ai sensi dell’art.
97, comma 4, TUEL soltanto “sovrintende allo svolgimento delle
funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività”.
Ciò posto, nel caso di specie in cui il dirigente
all’origine responsabile della pratica era deceduto, non era
possibile farlo sostituire in via automatica ed ordinaria al
Segretario, rispetto al quale non consta uno specifico atto
di conferimento di funzioni.
Ciò posto, l’accoglimento di detto motivo non preclude
l’esame dei restanti. In proposito, il Collegio non ignora
l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale “la
fondatezza della censura di incompetenza dell'autorità che
ha emanato l'atto, da esaminarsi prioritariamente rispetto
ad ogni altro motivo di ricorso, determina unicamente la
rimessione dell'affare all'autorità indicata come
competente, in applicazione dell'art. 26 legge n. 1034 del
1971, ed impedisce l'esame delle altre doglianze, che
finirebbe, altrimenti, per risolversi in un giudizio
anticipato sui futuri provvedimenti dell'organo riconosciuto
come competente ed in un vincolo anomalo sulla riedizione
del potere” (così in motivazione C.d.S. sez. IV 14.05.2007 n. 2427; conformi anche C.d.S. sez. IV 12.12.2006
n. 7271 e 12.03.1996 n. 310, nonché sez. VI 07.04.1981
n. 140)
Sempre il Collegio ritiene però che tale orientamento
vada inteso in modo corretto. Come risulta dalla stessa
decisione 310/1996 citata, infatti, esso si fonda sulla
circostanza per cui nel processo amministrativo “non è
prevista alcuna forma di integrazione del contraddittorio
nei confronti dell'organo amministrativo effettivamente
competente”, e quindi si spiega con l’esigenza di non
vincolare al giudicato un soggetto che al processo non è
stato in condizione di partecipare. Non sfugge allora che
tale esigenza non sussiste nel caso di specie, in cui si fa
questione della competenza di due organi, il dirigente e il
Segretario, pur sempre appartenenti ad un medesimo soggetto
giuridico, ovvero al Comune, che nel processo è stato
ritualmente evocato ed ha potuto esercitare appieno il
proprio diritto di difesa con riguardo a tutte le censure
dedotte
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 15.11.2012 n. 1804 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
SEGRETARI
COMUNALI: Anticorruzione.
Modifiche al Tuel. Revoca del segretario soggetta a
verifica.
Le disposizioni approvate in via definitiva dalla Camera
sulla repressione della corruzione vedono il segretario
comunale come soggetto chiamato ad assolvere, negli enti
locali, le funzioni di responsabile della prevenzione della
corruzione attribuendogli precise funzioni (tra le altre, la
predisposizione del piano triennale di prevenzione della
corruzione e la vigilanza sulla sua attuazione) e ampie
responsabilità di natura disciplinare e erariale in caso di
omissione di controllo.
Quello che emerge dalla disciplina è però il fatto che a
fronte di queste ulteriori funzioni di garanzia e controllo
e delle responsabilità previste, nessuna garanzia
sostanziale è prevista per il segretario comunale: È
semplicemente aggravata la procedura di revoca prevista
dall'articolo 100 del Tuel (Dlgs 267/2000), prevedendo che
il provvedimento di revoca del sindaco per gravi violazioni
d'ufficio sia comunicato tramite il prefetto all'autorità
nazionale anticorruzione, che entro 30 giorni vaglierà se la
revoca si ricolleghi o meno alle attività anticorruzione
svolte dal segretario. Trascorso il termine senza obiezioni
da parte dell'autorità, la revoca del segretario diventerà
efficace.
Si tratta di una garanzia blanda, più formale che
sostanziale, dato che a oggi i casi di revoca dei segretari
in base all'articolo 100 del Tuel sono sporadici.
Il provvedimento quindi nulla prevede su maggiori garanzie,
sia nella nomina, sia nella non conferma del segretario,
auspicate dall'apposita commissione ministeriale ma
soprattutto da settori della categoria, in considerazione
del fatto che la nomina fiduciaria e lo spoil sistem
automatico, mal si conciliano con le sempre più ampie
funzioni di controllo e garanzia che sono assegnate ai
segretari.
Si pensi infatti alle funzioni di controllo e garanzia
previste sia nel provvedimento anti corruzione, sia nel
decreto legge 174/2012 in materia di controlli sugli enti
locali
(articolo Il
Sole 24 Ore del 05.11.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
SEGRETARI
COMUNALI:
Niente straordinario elettorale per i segretari
comunali.
I segretari comunali e provinciali non
possono partecipare alla erogazione dello straordinario
elettorale; la remunerazione degli incarichi dirigenziali
con la retribuzione di posizione spettante ai
dirigenti/titolari di posizione organizzativa è inibita; la
maggiorazione della retribuzione di posizione non motivata
adeguatamente e la sua fissazione nella misura massima
esclusivamente in presenza del conferimento di incarichi
aggiuntivi sono da considerare illegittime; la attribuzione
di una indennità di risultato per gli incarichi aggiuntivi e
la liquidazione della stessa nella misura massima in assenza
di una adeguata valutazione sono vietate.
Sono queste le principali indicazioni contenute nella
sentenza 19.10.2012 n. 1627 della Corte dei Conti della
Campania.
La sentenza si deve segnalare, in particolare, per
l'importanza delle indicazioni dettate in materia di aumento
della retribuzione di posizione, di criteri di valutazione
ai fini della erogazione della indennità di risultato e per
la sottolineatura del ruolo complessivo di garante della
legittimità che il segretario comunale svolge e che non deve
tradursi nella finalizzazione per esigenze di tipo
personale.
LO STRAORDINARIO
La erogazione della indennità di straordinario elettorale è
da considerare vietata sulla base delle previsioni di cui
all'articolo 41, comma 6, del CCNL 17.05.2006, che dispone
la onnicomprensività della retribuzione di posizione, ivi
compreso lo straordinario. Sia l'Aran, già dal 2001, che il
ministero dell'Interno hanno chiarito che tale divieto si
estende anche ai compensi trasferiti all'ente per lo
straordinario elettorale. Data la gravità della violazione,
la sentenza ritiene che maturino le condizioni per la
configurazione del "dolo contrattuale", in quanto
risulta un vantaggio indebito per lo stesso segretario.
Occorre aggiungere che, con riferimento ad un anno, il
segretario è stato inserito tra i beneficiari anche se non
era tra i componenti l'ufficio elettorale; per questa
illegittimità la sua responsabilità matura al 50% insieme a
quella del funzionario che lo ha inserito.
LA RETRIBUZIONE DI POSIZIONE
Le condizioni per la maggiorazione della retribuzione di
posizione sono state definite dal contratto nazionale
integrativo firmato dalla ex Agenzia per la gestione
dell'albo dei segretari e dalle organizzazioni sindacali in
data 23.01.2003.
Prima della sottoscrizione di tale intesa si potevano
consentire remunerazioni del conferimento di incarichi
ulteriori con metodi diversi, quali la retribuzione di
posizione spettante all'eventuale titolare di posizione
organizzativa; dopo la stipula di tale accordo ciò non è in
alcun modo consentito. Il non avere applicato questa
discipline viene definito dalla Corte dei Conti come "una
condotta di assoluta gravità": sia nei confronti del
segretario sia nei confronti del sindaco che ha disposto la
erogazione di tale trattamento, matura la colpa grave,
mentre la sentenza non rileva il manifestarsi del dolo.
Viene inoltre contestata la legittimità della maggiorazione
della retribuzione di posizione nella misura massima in
assenza di qualsivoglia motivazione: la semplice "menzione
dei criteri e parametri valutativi stabiliti nel contratto
integrativo di comparto si connota, pertanto, come mera
clausola di stile, funzionale alla correttezza formale
dell'atto, risultando nella sostanza palesemente elusa la
logica sottesa alla disciplina contrattuale".
L'attribuzione di incarichi aggiuntivi è solamente una delle
componenti che concorrono alla maggiorazione.
L'INDENNITA' DI RISULTATO
La sentenza censura infine il riconoscimento della indennità
di risultato per il conferimento di incarichi aggiuntivi. E'
quindi illegittimo il riconoscimento al segretario di una
specifica indennità di risultato per gli incarichi
aggiuntivi, compenso che nel caso specifico si sommava a
quello previsto per il suo ruolo di segretario. Siamo in
presenza di una violazione assai grave in quanto è "patente
la violazione di norme dal contenuto chiaro ed
inequivocabile" e la erogazione di tali somme è priva "di
qualsivoglia titolo giustificativo", tanto più che si
sono applicate le norme dettate da un contratto che non
riguarda i segretari, cioè dal CCNL del personale degli enti
locali.
La sentenza censura la erogazione della indennità di
valutazione nella misura massima, il 10% della retribuzione,
in assenza di una valutazione operata sulla base dei criteri
di carattere generale previsti per tutte le valutazioni dal
Dlgs n. 286/1999 (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a
www.corteconti.it). |
SEGRETARI COMUNALI: Corte dei conti Campania. Quattro criteri sanciti dalla
sezione giurisdizionale.
Segretari, stipendi accessori sempre da «motivare».
Lo straordinario elettorale non produce compensi.
Quattro questioni di grande rilievo affrontate nella
sentenza
19.10.2012 n. 1627, con la quale la sezione giuridica
della Corte dei conti della Campania ha fissato principi in
tema di retribuzione accessoria dei segretari comunali e
provinciali.
Punto per punto
Innanzitutto, i giudici campani hanno affermato che il
pagamento dello straordinario elettorale al segretario,
oltre a essere contra legem, rappresenta un danno
all'erario, poiché è in contrasto con il principio di
onnicomprensività della retribuzione di cui all'articolo 41,
comma 6, del Ccnl Segretari del 16.05.2001.
La seconda questione concerne le modalità di attribuzione
della maggiorazione della retribuzione di posizione. Ai
sensi dell'articolo 41, comma 4, del Ccnl citato, gli enti,
nell'ambito degli equilibri di bilancio, possono riconoscere
al segretario una maggiorazione dal 10% al 50% della
retribuzione di posizione, allorché ricorrano le condizioni
di carattere oggettivo o soggettivo indicate nell'accordo
integrativo 22.12.2003.
Per la Corte la maggiorazione
non può essere attribuita mediante atti aventi motivazione
solo formale, che semplicemente ripetano il dettato della
norma nazionale. Il riconoscimento del compenso aggiuntivo
nella misura massima, in assenza di una congrua motivazione
(che dia conto sia delle condizioni soggettive e oggettive
legittimanti sia del processo di quantificazione monetaria
tra il minimo e il massimo) è fonte di responsabilità
amministrativa. In altre parole, la maggiorazione per le
cosiddette funzioni aggiuntive deve poggiare su un serio
percorso valutativo circa l'an e il quantum del beneficio e
non può essere, com'è prassi diffusa, un'aggiunta
stipendiale quasi automatica.
Il terzo profilo riguarda il riconoscimento al segretario,
nel caso di conferimento di funzioni gestionali, non solo
della retribuzione di risultato stabilita per i segretari,
ma anche di quella prevista per i dipendenti del comparto
titolari di posizione organizzativa ex articolo 10 del Ccnl
31.03.1999 (25% della retribuzione di posizione). Anche
in questo caso è stata riconosciuta la sussistenza del danno
erariale, poiché al segretario spetta unicamente la
retribuzione di risultato prevista dai contratti nazionali
di settore, senza altre forme di premialità stabilite per i
dipendenti di altri comparti, anche qualora siano svolte
temporaneamente funzioni gestionali.
La Corte, infine, ha trattato il tema dell'attribuzione
della retribuzione di risultato propria dei segretari ex
articolo 42 del Ccnl 16.05.2001. Sul punto è stata
ritenuta fonte di responsabilità amministrativa
l'assegnazione al segretario della premialità nella misura
massima in assenza di un serio processo valutativo, che, ai
sensi del Dlgs 286/1999, deve prevedere almeno una
preventiva fissazione di obiettivi quali-quantitativi da
raggiungere e una valutazione finale motivata sul
raggiungimento degli stessi.
Ulteriore «sviluppo»
È evidente la portata della sentenza in un contesto nel
quale alcune delle prassi censurate (maggiorazione della
posizione e riconoscimento del risultato in assenza di
congrue motivazioni e valutazioni) risultano diffuse su
scala nazionale. La decisione, tuttavia, può rappresentare
anche un importante riferimento per valutare la portata, in
termini di responsabilità, di una fattispecie ancor più
scottante: la relazione fra la maggiorazione ex articolo 41,
comma 4, del Ccnl 16.05.2001 e la clausola di
"galleggiamento" ex articolo 41, comma 5, nel periodo
precedente all'entrata in vigore della legge 183/2011.
Secondo un inciso della motivazione, difatti, l'articolo 41
e la sua interpretazione rigorosa (ora avvalorata
dall'articolo 4, comma 26, della legge 183/2011) impongono
che l'allineamento stipendiale operi sulla retribuzione di
posizione del segretario complessivamente intesa, inclusa la
maggiorazione di cui all'articolo 41, comma 4. La Corte,
pertanto, riconosce che, a differenza di quanto spesso
verificatosi, il galleggiamento sulla posizione dirigenziale
più retribuita può (e poteva) operare solo dopo il
riconoscimento della maggiorazione della retribuzione di
posizione, e non viceversa.
---------------
La sentenza in pillole
01 | IL DANNO ERARIALE
L'attribuzione a segretari comunali o provinciali di
straordinari elettorali e il riconoscimento (se sono
conferite funzioni gestionali) della retribuzione prevista
per i dipendenti del comparto titolari di posizione
organizzativa configurano danno all'erario.
02 | LE VALUTAZIONI
La maggiorazione della retribuzione di posizione e
l'attribuzione della retribuzione di risultato possono
arrivare solo al termine di un serio percorso valutativo
(mentre ora è prassi diffusa concederle anche in assenza di
congrue motivazioni e valutazioni).
03 | L'INCISO
La Corte riconosce che,
a differenza di quanto spesso verificatosi, il
"galleggiamento" sulla posizione dirigenziale più retribuita
può (e poteva) operare solo dopo il riconoscimento della
maggiorazione della retribuzione di posizione,
e non viceversa (articolo Il Sole 24 Ore del 12.11.2012
- tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI -
SEGRETARI COMUNALI: Agenzia
per la gestione dei segretari. Gli enti continueranno a
pagare.
I comuni e le province dovranno continuare a versare i
contributi dovuti alla vecchia Agenzia per la gestione
dell'albo dei segretari non più fino alla fine del 2012 ma
fino alla fine del mese di luglio del 2013; la Scuola
superiore per la formazione e la specializzazione dei
dirigenti della pubblica amministrazione locale, cioè la
Scuola dei segretari, conosciuta anche come Sspal, viene
soppressa; viene istituito il consiglio direttivo per l'Albo
dei segretari comunali e provinciali presso il ministero
dell'interno: sono queste le principali novità dettate
dall'articolo 10 del dl n. 174/2012.
Viene per l'ennesima
volta prorogato (si veda ItaliaOggi di giovedì 4 ottobre)
l'obbligo per gli enti locali di versare al ministero
dell'interno i contributi provenienti dalla riscossione dei
diritti di segreteria già dovuti alla disciolta Agenzia per
la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali,
contributi che servono per la corresponsione del trattamento
economico ai segretari in disponibilità e per il
funzionamento dell'Agenzia e della Scuola dei segretari.
Tale termine era previsto per la fine del 2010, ma di
proroga in proroga (con questa disposizioni si sposta la
scadenza fissata dal dl 95/2012, cosiddetta spending review,
per la fine del 2012) si è arrivati alla fine del mese di
luglio del 2013. Da ricordare che, nel momento in cui questo
obbligo verrà meno, i trasferimenti ai comuni e alle
province saranno ridotti di una cifra complessiva analoga:
con le nuove regole si dovrebbe avere una ripartizione più
equa tra i singoli enti locali.
Viene chiusa la Scuola dei segretari, che gestisce sia i
corsi per l'accesso all'Albo dei segretari, sia quelli per
avanzare in tale carriera, sia l'aggiornamento; le sue
attività, nonché il suo personale, vengono assegnati al
ministero dell'interno. Con un regolamento da emanare entro
il termine del 31.07.2013, saranno dettate le modalità
attraverso cui il ministero dell'interno dovrà gestire le
attività svolte in precedenza dalla Agenzia per la gestione
dell'albo e quelle della Scuola.
È stato infine istituito, a far data dalla entrata in vigore
del decreto, il Comitato direttivo per l'Albo nazionale dei
segretari comunali e provinciali. Esso viene presieduto dal
ministro dell'interno ed è composto da rappresentanti del
Viminale, dell'Anci e dell'Upi: a differenza del vecchio
consiglio di amministrazione dell'Agenzia non vi sono i
rappresentanti dei segretari comunali e provinciali. Per la
partecipazione a tale organismo non è prevista la erogazione
di alcun compenso.
I suoi compiti sono fissati direttamente dalla disposizione:
definire le modalità di gestione dell'albo dei segretari,
ivi compresi i beni di proprietà della disciolta Agenzia;
fissare il fabbisogno di segretari comunali e provinciali
(ricordando al riguardo che il dl n. 95/2012 fissa nello 80%
dei cessati il tetto per le nuove assunzioni di segretari);
adottare gli indirizzi per la programmazione dell'attività
didattica e il piano generale annuale delle iniziative di
formazione e di assistenza, svolgendo altresì i compiti di
controllo; ripartire le risorse necessarie per la gestione
dell'albo, per i corsi concorso per l'accesso, per la
formazione e l'aggiornamento professionale dei segretari,
dei dirigenti degli enti locali e degli amministratori
(articolo ItaliaOggi del 19.10.2012
- tratto da www.ecostampa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - SEGRETARI COMUNALI: Per la regolarità amministrativa direzione affidata al
segretario.
Il marcato potenziamento dei compiti di controllo successivo
assegnati ai segretari è uno degli effetti di maggiore
rilievo contenuti nel
D.L.
10.10.2012 n. 174. Questo effetto si farà
ancor più sentire con l'approvazione della legge
anticorruzione, che responsabilizza direttamente i segretari
nel coordinamento delle iniziative che le singole
amministrazioni devono assumere sul versante della
prevenzione di questo fenomeno.
Il risultato combinato di queste disposizioni non potrà che
determinare conseguenze anche sullo status dei segretari, a
partire dall'accelerazione del processo di convenzionamento
di questa figura nella gran parte dei piccoli Comuni, oltre
che dalla necessità di differenziare le attribuzioni di
controllo e garanzia da quelle che sono più intimamente
collegate alla gestione e di rafforzare la sua indipendenza.
Il decreto responsabilizza direttamente i segretari nella
direzione del controllo di regolarità amministrativa e
contabile nella fase successiva allo svolgimento della
attività amministrativa; va ricordato che nella fase
preventiva questo controllo è rimesso ai pareri tecnici dei
singoli dirigenti e a quello del dirigente finanziario. Il
controllo di regolarità amministrativa e contabile nella
fase successiva si deve dirigere sulle determinazioni, sugli
impegni di spesa, sui contratti e non sulle deliberazioni,
visto che nel procedimento di loro formazione il segretario
interviene già direttamente partecipando alle riunioni dei
consigli e delle giunte e avendo in quelle sedi il potere e
il dovere di evidenziare i profili di illegittimità.
Il
segretario viene inoltre responsabilizzato direttamente a
garantire la trasmissione delle risultanze di questa forma
di controllo interno agli organi di governo, ai dirigenti,
ai revisori dei conti e agli organismi di valutazione. Nel
rispetto di questi principi, le singole amministrazioni
avranno un'ampia autonomia regolamentare, ad esempio per la
scelta delle modalità con cui decidere gli atti da
controllare e con cui supportare il ruolo del segretario.
Una seconda importante scelta contenuta nel provvedimento è
quella di imporre alle singole amministrazioni l'obbligo di
garantire comunque uno ruolo specifico del segretario nella
«organizzazione del sistema dei controlli interni».
Si deve inoltre segnalare il vincolo che i segretari siano
direttamente coinvolti, anche se non con un ruolo di
direzione, nel controllo degli equilibri finanziari. Il che
sottolinea la crescente funzione di garanzia che il
segretario viene a svolgere in tale forma di controllo
interno.
Inoltre nelle province e nei comuni con popolazione
superiore a 10mila abitanti, i direttori generali o i
segretari sono impegnati a trasmettere, per conto del
vertice politico dell'ente, con cadenza semestrale alla
Corte dei conti il referto della regolarità della gestione e
dell'efficacia e adeguatezza dei sistemi di controllo
interno, informando anche il Presidente del Consiglio
comunale o provinciale (articolo Il Sole 24 Ore
del 15.10.2012 - link a www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI -
SEGRETARI COMUNALI:
Segreteria comunale in Unione.
La Corte dei Conti, sezione regionale controllo Piemonte, con
il
parere 12.10.2012 n. 304,
risponde da un ente con popolazione inferiore a 1000
abitanti "circa la possibilità ... di gestire il servizio di
Segreteria Comunale in forma associata, trasferendo il
relativo servizio all'Unione di Comuni di cui fa parte, a
condizione che il Segretario dell'Unione sia iscritto
all'Albo dei Segretari Comunali e Provinciali".
La sezione passa in rassegna le norme che impongono agli
enti di minori dimensioni la gestione, in convenzione o
mediante Unione delle, funzioni fondamenti e i tempi di
attuazione di dette disposizioni e, conseguentemente ricorda
i seguenti principi:
- obbligatorietà per gli enti di gestire le funzioni
fondamenti che sono individuate dall'art. 14, comma 27, del
d.l. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010, come
modificato dal d.l. 95/2012, convertito in legge n.
135/2012;
- esercizio obbligatorio in forma associata, mediante Unione
o convenzione, delle funzioni fondamentali per gli enti con
popolazione fino a 5000 abitanti ed obbligo, per ciascuna
funzione, di utilizzo di una sola forma associativa;
- facoltà per gli enti con popolazione fino a 1000 abitanti
di esercitare tutte le funzioni in forma associata, mediante
Unione.
Successivamente riprende le disposizioni del TUEL che
riguardano la figura del Segretario Comunale: figura
specifica, organo monocratico e funzioni appositamente
disciplinate dal testo unico; dipendenza funzionale dal
Sindaco; configurazione di una distinta e specifica funzione
amministrativa fondamentale per l'ente.
Passando, poi, all'esame del quesito, formula le seguenti
osservazioni:
"Tale funzione (quella del Segretario), nell'ambito
dell'elencazione delle funzioni fondamentali contenuta
nell'art. 14, comma 27, del D.L. n. 78/2010, conv. nella L.
n. 122/2010, appare riconducibile alla fattispecie sub lett.
a) ('organizzazione generale dell'Amministrazione, gestione
finanziaria e contabile e controllo'), ma non esaurisce di
per sé l'intera categoria di cui alla lett. a) citata, che,
al contrario, ricomprende altre funzioni oggettivamente ed
amministrativamente distinte. ... In quest'ottica, è
indubbio che la Segreteria Comunale, attenenendo ad una
distinta e specifica funzione amministrativa fondamentale,
possa essere oggetto di una gestione associata, tramite
convenzione o, come indicato nella richiesta di parere in
esame, tramite Unione di Comuni.
Le disposizioni sopra
citate vietano anche l'eventualità che la medesima funzione
sia oggetto di più di una forma associativa, con conseguente
duplicazione di spese. Sotto questo profilo, la Sezione
osserva che il divieto menzionato deve essere riferito, nel
caso di specie, alla singola specifica funzione di
Segreteria comunale conferita in forma associata, e non alla
complessiva fattispecie a) del citato art. 14, comma 27, che
ricomprende una pluralità di funzioni amministrative tra
loro distinte, secondo una logica classificatoria di tipo giuridico-finanziario, analoga a quella sottostante alla
classificazione già contenuta nel D.P.R. n. 194/1996.
Pertanto, fermo restando l'obbligo della gestione associata
di tutte le funzioni fondamentali, se da un lato non risulta
precluso l'affidamento, alla medesima Unione di Comuni,
della Segreteria comunale insieme a tutte le altre funzioni
ricomprendibili nella fattispecie sub a) (già funzione 01,
prevista dal D.P.R. n. 194/1996, denominata 'Funzioni
generali di amministrazione, di gestione e di controllo'),
dall'altro lato non risulta neppure precluso l'affidamento
disgiunto, tramite diverse soluzioni associative, della
Segreteria comunale rispetto alle altre funzioni includibili
nella fattispecie a), purché non si abbia un'effettiva
duplicazione delle singole funzioni individuali.
Spetta
all'Ente, valutare, nella propria autonomia decisionale, le
modalità organizzative ottimali al fine di raggiungere gli
obiettivi di maggior efficienza, razionalizzazione e
risparmio che il legislatore ha inteso conseguire prevedendo
l'esercizio associato di funzioni (sul punto cfr. anche la deliberaz.
di questa Sezione n. 287/2012)" (tratto da www.publika.it). |
COMPETENZE
GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI:
OGGETTO: esposto di un consigliere comunale contro un
comune.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha chiesto
l’avviso di questo Ministero in ordine all’esposto,
presentato da un consigliere contro il comune, concernente
l’affidamento da oltre un anno di un incarico dirigenziale
al Segretario Generale, nonostante la presenza nell’ente di
figure dirigenziali.
---------------
Il Dipartimento della Funzione
Pubblica con una la nota ha chiesto l’avviso di questo
Ministero in ordine all’esposto, presentato da un
consigliere contro un Comune, concernente l’affidamento, da
oltre un anno, di un incarico dirigenziale al Segretario
Generale, nonostante la presenza nell’ente di figure
dirigenziali.
Al riguardo, su concorde avviso espresso dalla ex Agenzia
Autonoma per la gestione dell’Albo dei Segretari Comunali e
Provinciali, si rileva preliminarmente che l’art. 97 del
Dlgs 267/2000 stabilisce i compiti e le funzioni dei
segretari comuni e provinciali. In particolare, il comma 2
di detto articolo statuisce che il segretario svolge compiti
di collaborazione e funzioni di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell’ente in ordine alla conformità dell’azione
amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti. Il
successivo comma 4, nel prevedere che il segretario
sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti
coordinandone l’attività, elenca le funzioni ad stesso
spettanti. Invero, la lett. d) del medesimo comma 4 dispone
che il segretario esercita ogni altra funzione attribuitagli
dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco
o dal presidente della provincia.
Tale norma, come evidenziato anche nella circolare di questo
Ministero del 15.07.1997 n. 1/1997, citata dall’esponente,
ha valenza di clausola di salvaguardia ai fini del buon
andamento della macchina organizzativa, amministrativa e
gestionale dell’ente. Infatti, occorre rilevare che le
assegnazioni di ulteriori funzioni al segretario può
avvenire solo nel momento in cui l’ente locale risulti privo
sia di personale di qualifica dirigenziale sia di
responsabili dei servizi, ovvero qualora l’ente intenda fare
una specifica scelta gestionale in tal senso. Bisogna,
difatti, rammentare che i dirigenti -ovvero i dipendenti
nominati responsabili degli uffici e dei servizi- sono
titolari delle funzioni loro attribuite, risultando, quindi,
residuale l’applicazione della citata disposizione di cui al
comma 4, lett. d), dell’art. 97.
Ciò posto, poiché ai sensi dell’art. 89 del Dlgs 267/2000
l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi è coperto
da riserva di tipo regolamentare, si deve ritenere che
l’eventuale attribuzione di specifiche funzioni gestionali o
di titolarità degli uffici o dei servizi al segretario sia
necessariamente da prevedere attraverso una specifica
disposizione regolamentare, previa un’attenta verifica
dell’assenza all’interno dell’ente di adeguate figure
professionali; mentre il conferimento delle funzioni,
riservato al Sindaco o al presidente della Provincia, non
può che essere temporaneo e limitato all’espletamento di una
prestazione nell’ambito di una funzione (ad esempio la
presidenza di una gara per temporanea assenza del
dirigente).
Si rammenta, infine, che le stesse disposizioni
contrattuali, contenute nell’art. 1 del CCNL dei segretari
comunali e provinciali del 22.12.2003, stabiliscono che,
relativamente agli incarichi per attività di carattere
gestionale, occorre che gli stessi siano conferiti in via
temporanea e dopo aver accertato l’inesistenza delle
necessarie professionalità all’interno dell’Ente. Si deve
tenere conto, infatti, che, per l’esercizio delle funzioni
aggiuntive affidate al segretario, è prevista una
maggiorazione della retribuzione di posizione in godimento
(09.10.2012 - link a http://incomune.interno.it). |
SEGRETARI
COMUNALI:
Regioni ed Autonomie Locali-Raccolta
sistematica.
La raccolta sistematica si propone di facilitare la lettura
dei diversi contratti collettivi nazionali di lavoro
vigenti, stipulati negli anni, offrendone una visione
unitaria e sistematica.
Essa è stata redatta attraverso la collazione delle clausole
contrattuali vigenti, raccolte all’interno di uno schema
unitario, per favorire una più agevole consultazione.
A tal fine, sono state aggregate tutte le clausole afferenti
a ciascun istituto contrattuale, anche quelle definite in
tempi diversi nell’ambito di differenti CCNL, conservando
tuttavia la numerazione vigente ed il riferimento al
contratto di origine.
Si tratta, pertanto, di un testo meramente compilativo che,
non avendo carattere negoziale, non può avere alcun effetto
né abrogativo, né sostitutivo delle clausole vigenti, le
quali prevalgono in caso di discordanza.
La riproduzione dei testi forniti nel formato elettronico è
consentita purché ne venga menzionata la fonte ed il
carattere gratuito. La raccolta è il frutto di una selezione
redazionale. L’Aran non è responsabile di eventuali errori o
imprecisioni, nonché di danni conseguenti ad azioni o
determinazioni assunte in base alla consultazione della
stessa.
---------------
Nota: navigando all’interno del documento PDF, per
tornare alla vista precedente utilizzare i tasti ALT + tasto
direzionale sx (ARAN,
settembre 2012). |
PUBBLICO
IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: E'
illegittimo il provvedimento sindacale di nomina del
segretario comunale quale responsabile di settore laddove
non è stato dato conto dell’impossibilità di procedere con
le modalità alternative del Regolamento comunale degli
Uffici e dei Servizi, limitandosi a richiamare il disposto
del comma 4, norma la cui operatività interviene, come
detto, solo in caso di impossibilità a procedere con le
modalità contemplate dalla disposizione nei commi
precedenti.
Invero, il regolamento comunale:
● dispone all’art. 25, che la responsabilità di un servizio,
in caso di vacanza del posto o di assenza prolungata del
titolare, possa essere assegnata ad interim, per un periodo
di tempo determinato, ad altro funzionario di pari
categoria;
● tali mansioni, prosegue il comma 2, possono anche essere
transitoriamente assegnate a dipendenti di categoria
immediatamente inferiore, con l’osservanza delle condizioni
e modalità previste dalla normativa vigente in materia;
l’assegnazione temporanea è disposta dal Sindaco;
● il successivo comma 3 stabilisce poi che possa essere
prevista la nomina del responsabile del servizio, previa
convenzione tra Enti;
● infine il comma 4 prevede che qualora non sia possibile
procedere alla sostituzione dei Responsabili secondo le
modalità previste dai precedenti commi, le funzioni siano
comunque svolte dal Segretario comunale.
Il comma 4 rappresenta una norma di chiusura del sistema di
sostituzione del responsabile del servizio, volta a
garantire la funzionalità dell’ente, prevedendo un’ipotesi
residuale di attribuzione della titolarità del servizio al
segretario comunale, qualora non sia possibile assegnare in
altro modo l’incarico temporaneo, secondo le modalità
descritte dalla norma nei commi precedenti.
Né può ritenersi che l’art. 97, comma 4, lett. d), del
D.lgs. 267/2000, laddove prevede che il Segretario comunale
eserciti ogni altra funzione conferitagli dal Sindaco, possa
legittimare il conferimento di qualunque tipo di incarico al
Segretario comunale, dato che tale norma deve essere
coniugata con le altre disposizioni legislative e
regolamentari.
Anzi, a ben vedere, la previsione di cui al comma 4
dell’art. 25 del Regolamento comunale risulta essere ipotesi
specifica del più generale disposto di cui all’art. 97 del
D.lgs. 267/2000, ma la sua applicabilità, per effetto del
chiaro dettato della norma regolamentare, è subordinato
all’impossibilità di conferire incarichi secondo le modalità
previste dai commi precedenti dello stesso art. 25.
Con il primo motivo di gravame i ricorrenti deducono la
violazione del D.lgs. n. 267/2000 in combinato disposto con
il Regolamento Comunale degli Uffici e dei Servizi,
approvato con deliberazione di G.M. n. 35 del 23.03.2009.
Lamentano che gli atti della procedura selettiva, a partire
dal bando, approvato con determinazione n. 136 del
31/12/2012, e fino all’approvazione delle graduatorie
finali, di cui alla determina n. 90 del 28.09.2011,
sarebbero stati adottati da un soggetto illegittimamente
nominato quale responsabile del settore Amministrativo del
Comune.
Espongono infatti che il Sindaco del Comune di Grotteria,
con decreto Prot. n. 7830 del 31.12.2010, revocava al dott.
Vincenzo Lombardo l’attribuzione di responsabile del settore
affari generali–servizio amministrativo–servizi
demografici–ufficio personale, stabilendo di attribuire la
responsabilità di tali settori ad altra figura giuridica
presente nell’Ente. Quindi, con decreto Prot. n. 7831 del
31.12.2010, procedeva a nominare il Segretario comunale
dott. Arturo Tresoldi responsabile dell’area amministrativa
e dei relativi servizi, attribuendogli le relative funzioni
dirigenziali.
A seguito di avvicendamento in seno all’Ufficio di
Segretario comunale, il Sindaco, con decreto Prot. n. 6196
del 12.09.2011, nominava il “nuovo” Segretario
comunale dott.ssa Maria Luisa Calì quale responsabile
dell’area amministrativa e dei relativi servizi,
attribuendole le relative funzioni dirigenziali, la quale,
in tale veste, approvava le graduatorie finali della
procedura selettiva (cfr. determina n. 90 del 28.09.2011). I
ricorrenti espongono infine che, due mesi dopo la nomina
della dott.ssa Calì a responsabile dell’area amministrativa,
il Sindaco, con decreto n. 7577 del 15.11.2011, nominava il
dipendente comunale di Cat. C5 sig. Giovanni Marando
responsabile dell’area amministrativa e dei relativi
servizi, attribuendogli le relative funzioni dirigenziali.
...
Venendo quindi all’esame della censura introdotta con il
primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 109 del D.lgs.
267/2000 gli incarichi dirigenziali sono conferiti a tempo
determinato dal Sindaco, con provvedimento motivato e con le
modalità fissate dal regolamento sull'ordinamento degli
uffici e dei servizi, secondo criteri di competenza
professionale, in relazione agli obiettivi indicati nel
programma amministrativo del sindaco o del presidente della
provincia e sono revocati in caso di inosservanza delle
direttive del sindaco o del presidente della provincia,
della Giunta o dell'assessore di riferimento, o in caso di
mancato raggiungimento al termine di ciascun anno
finanziario degli obiettivi assegnati nel piano esecutivo di
gestione previsto dall'articolo 169 o per responsabilità
particolarmente grave o reiterata e negli altri casi
disciplinati dai contratti collettivi di lavoro.
Il successivo comma 2 prevede che nei comuni privi di
personale di qualifica dirigenziale le funzioni dirigenziali
di cui all'articolo 107, commi 2 e 3, fatta salva
l'applicazione dell'articolo 97, comma 4, lettera d),
possono essere attribuite, a seguito di provvedimento
motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei
servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale,
anche in deroga a ogni diversa disposizione. L’art. 97,
richiamato nella disposizione appena ricordata, dispone, al
comma 4, lett. d), che il segretario comunale eserciti ogni
altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai
regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente
della provincia.
Le norme del TU Enti locali, in relazione alle modalità di
conferimento degli incarichi dirigenziali, operano un rinvio
al regolamento comunale sull'ordinamento degli uffici e dei
servizi.
Il Regolamento del Comune di Grotteria, depositato in
giudizio, dispone all’art. 25, che la responsabilità di un
servizio, in caso di vacanza del posto o di assenza
prolungata del titolare, possa essere assegnata ad
interim, per un periodo di tempo determinato, ad altro
funzionario di pari categoria.
Tali mansioni, prosegue il comma 2, possono anche essere
transitoriamente assegnate a dipendenti di categoria
immediatamente inferiore, con l’osservanza delle condizioni
e modalità previste dalla normativa vigente in materia;
l’assegnazione temporanea è disposta dal Sindaco. Il
successivo comma 3 stabilisce poi che possa essere prevista
la nomina del responsabile del servizio, previa convenzione
tra Enti. Infine il comma 4 prevede che qualora non sia
possibile procedere alla sostituzione dei Responsabili
secondo le modalità previste dai precedenti commi, le
funzioni siano comunque svolte dal Segretario comunale.
Il comma 4 rappresenta una norma di chiusura del sistema di
sostituzione del responsabile del servizio, volta a
garantire la funzionalità dell’ente, prevedendo un’ipotesi
residuale di attribuzione della titolarità del servizio al
segretario comunale, qualora non sia possibile assegnare in
altro modo l’incarico temporaneo, secondo le modalità
descritte dalla norma nei commi precedenti.
I decreti del Sindaco prot. n. 7831 del 31/12/2011 e prot.
n. 6196 del 12/09/2011, con i quali il Segretario comunale è
stato nominato quale responsabile dell’Area amministrativa e
dei relativi servizi, non danno conto dell’impossibilità di
procedere con le modalità di cui ai commi 1-3 dell’art. 25
del Regolamento comunale degli Uffici e dei Servizi,
limitandosi a richiamare il disposto del comma 4, norma la
cui operatività interviene, come detto, solo in caso di
impossibilità a procedere con le modalità contemplate dalla
disposizione nei commi precedenti. I provvedimenti
sindacali, quindi, si presentano carenti sotto il profilo
motivazionale, non dando conto, anche sotto un mero profilo
di fatto, dei presupposti che consentono l’applicazione
della disposizione di cui all’art. 25, comma 4, del
regolamento comunale.
Né può ritenersi che l’art. 97, comma 4, lett. d), del
D.lgs. 267/2000, laddove prevede che il Segretario comunale
eserciti ogni altra funzione conferitagli dal Sindaco, possa
legittimare il conferimento di qualunque tipo di incarico al
Segretario comunale, dato che tale norma deve essere
coniugata con le altre disposizioni legislative e
regolamentari. Anzi, a ben vedere, la previsione di cui al
comma 4 dell’art. 25 del Regolamento comunale risulta essere
ipotesi specifica del più generale disposto di cui all’art.
97 del D.lgs. 267/2000, ma la sua applicabilità, per effetto
del chiaro dettato della norma regolamentare, è subordinato
all’impossibilità di conferire incarichi secondo le modalità
previste dai commi precedenti dello stesso art. 25.
Da quanto sopra esposto consegue l’illegittimità dei
provvedimenti di nomina del responsabile dell’Area
amministrativa, cui fa seguito l’illegittimità, in via
derivata, degli atti dallo stesso compiuti in relazione alla
procedura selettiva oggetto dell’odierno giudizio, atti
peraltro (anche) autonomamente gravati
(TAR Calabria–Reggio Calabria,
sentenza 11.09.2012 n. 575 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Interrogazioni. Tra Unioni e municipi.
Niente segreteria in convenzione
IL DIVIETO/
Il ministro Giarda ha motivato la sua
risposta in base al Tuel, auspicando però un
ripensamento.
Non possono essere stipulate convenzioni di
segreteria tra i Comuni e le Unioni: è
quanto ha chiarito il ministro per i
Rapporti con il parlamento, Piero Giarda, in
risposta a una interrogazione che era stata
presentata dall'onorevole Daniela
Melchiorre.
Per il ministro è necessario ripensare tale
divieto per arrivare a risultati di
«razionalizzazione delle risorse e di
ottimizzazione dell'esercizio delle funzioni
degli enti locali». Questa esigenza è
ulteriormente rafforzata dall'accelerazione
impressa dal legislatore alla gestione
associata tra i piccoli Comuni e dalla
progressiva riduzione del numero dei
segretari in servizio. Tanto più che quasi
dappertutto, ai vertici delle Unioni, vi
sono proprio segretari dei Comuni aderenti,
sulla base di disposizioni dettate dagli
statuti e della possibilità offerta dalla ex
Agenzia di ricevere questo come un incarico
aggiuntivo.
Il ministro ha detto "no" alla stipula di
convenzioni di segreteria tra Unioni e
Comuni perché «il segretario comunale e
provinciale, come figura professionale,
esercita le proprie attribuzioni, in
conformità con quanto previsto dal proprio
ordinamento e dal testo unico degli enti
locali, solo presso i Comuni e le Province,
o presso le convenzioni di segreteria, le
quali tuttavia non riguardano né le Unioni
di Comuni né le Comunità montane. Queste
ultime, infatti, hanno facoltà di avvalersi
per i servizi di segreteria di personale non
iscritto all'apposito albo. Il quadro
normativo di riferimento non contempla
dunque la possibilità di stipulare una
convenzione con l'Unione per il servizio di
segreteria».
Giarda ha citato, a sostegno della propria
tesi, la deliberazione della soppressa
Agenzia nazionale dei segretari comunali e
provinciali del 02.05.2001.
Implicitamente ha confermato che queste
disposizioni continuano ad applicarsi anche
dopo che –con il Dl 95/2012, la cosiddetta
spending review– è stato previsto che i
Comuni possano stipulare in generale
convenzioni con le Unioni.
Ma il blocco alle convenzioni per la
segreteria non ha impedito che i segretari,
previa autorizzazione dei sindaci, possano
svolgere l'incarico di segretari
dell'Unione. Tale incarico è da considerare
(secondo la deliberazione 200/2001 della
disciolta Agenzia) come extra-istituzionale,
quindi disciplinato dall'articolo 53 del
Dlgs 165/2001, e remunerato come tale.
Con la gestione associata tra i piccoli
Comuni si viene a modificare in modo
significativo il ruolo dei segretari nei
piccoli centri, stimolando ulteriormente
l'utilizzazione dello strumento convenzioni.
Nella stessa direzione va anche la tendenza,
consacrata da ultimo dal Dl 95/2012 con il
tetto alle nuove assunzioni, alla
progressiva riduzione dei segretari in
servizio. Tutte queste ragioni spingono
verso l'utilizzazione delle convenzioni di
segreteria tra Comuni e Unioni.
Peraltro, sulla base della riscrittura delle
funzioni fondamentali dei Comuni contenuta
in tale provvedimento, non è più necessario
che esse siano inserite nelle forme
associate scelte dall'ente, potendo
continuare a mantenere la loro specificità,
anche per la individuazione dei Comuni (articolo
Il Sole 24 Ore del 30.07.2012 -
tratto da www.ecostampa.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Personale. Ricambio fermo all'80%
delle uscite dell'anno precedente. Un tetto
ai nuovi ingressi per i segretari comunali.
Una disposizione a sorpresa che si ritrova
nella bozza del decreto spending review
riguarda i segretari comunali laddove si
prevede (all'articolo 14, comma 6, del Dl
95/2012) che: «A decorrere dal 2012 le
assunzioni dei segretari comunali e
provinciali sono autorizzate con le modalità
di cui all'articolo 66, comma 10, del
decreto-legge 25.06.2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge
06.06.2008, n. 133 per un numero di unità
non superiore all'80 per cento a quelle
cessate dal servizio nel corso dell'anno
precedente».
Si tratta di fatto di una norma che limita
il turn-over dei segretari nella misura
dell'ottanta per cento, norma che si
ricollega a quelle in materia di personale
statale .
Una norma tuttavia che, se convertita in
legge, avrà effetti sia a breve che a lungo
termine sulla categoria ma anche
sull'organizzazione degli enti locali .
A breve termine, la disposizione andando a
limitare la possibilità di scelta dei
sindaci non potrà che determinare un
ampliamento delle convenzioni di segreteria
già esistenti. Convenzioni che, spesso
costituite da tre o quattro comuni, già oggi
con enorme difficoltà assicurano un servizio
ottimale ed efficiente anche se tale forma
associativa comunque per sua natura non può
consentire di ovviare alla carenza ormai
atavica della figura in determinate aree del
territorio nazionale.
A lungo termine la norma sancisce, di fatto,
la configurazione della categoria dei
segretari, come categoria ad esaurimento con
la conseguenza che per gli enti locali si
porrà, quanto prima, il problema del vertice
organizzativo atteso che la dotazione dei
segretari, via via, sarà sempre più
numericamente insufficiente a garantire il
servizio.
Questa scelta, infine, appare in contrasto
con la rivalutazione della figura del
segretario che sembrava emergere dal disegno
di legge anti-corruzione recentemente
licenziato dalla Camera che attribuisce
maggiori funzioni ai segretari.
In realtà, a ben vedere, la scelta di
ridurre il turn-over dei segretari comunali
si spiega con il collegamento con la
disciplina sempre prevista dal decreto sulla
spending review.
Il decreto legge sempre in materia di
gestioni associate, sostanzialmente lascia
presagire un aumento delle unioni e delle
convenzioni che di fatto determinerà una
riduzione di sedi di segreteria, almeno
quelle singole, nei piccoli comuni.
Questo nonostante sia noto che le
convenzioni di segreteria sono oggetto di
disciplina speciale che deve essere derogata
espressamente dalla normativa generale.
---------------
L'operazione
01 | IL TAGLIO
Già da quest'anno il decreto sulla
spending review n. 2 (Dl 95/2012) ha
messo un tetto alle assunzioni di segretari
comunali.
I nuovi ingressi non devono superare l'80%
di quelli fuoriusciti nell'anno precedente
02 | GLI EFFETTI
A breve termine i sindaci saranno spinti ad
ampliare il ricorso alle convenzioni di
segreteria già esistenti, di solito
costituite fra tre-quattro comuni.
A lungo andare potrebbero sorgere problemi
nel reperimento di questa figura
professionale (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.07.2012 -
tratto da www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Ancora
sacrifici per gli enti locali. Attesi 7,2
mld di tagli in 24 mesi. Indebitamento su
base annua. Le assunzioni di segretari non
potranno superare l'80% delle cessazioni.
Nuovi tagli per più di 2 miliardi nel 2012 e
per oltre 5 miliardi a regime. E un conto
piuttosto salato quello che il decreto legge
sulla spending review, varato ieri
dal governo, presenta a regioni, province e
comuni. Tanto salato da far dubitare che il
titolo del provvedimento (-Disposizioni
urgenti per la revisione della spesa
pubblica, a invarianza dei servizi ai
cittadini-) rappresenti un auspicio, più che
una certezza.
In effetti, un impatto sulla quantità e
qualità delle prestazioni erogate non può
essere escluso in partenza, anche perché le
nuove sforbiciate si aggiungono a quelle già
previste dalle pesanti manovre correttive
varate negli ultimi due anni. A calare
ancora una volta la mannaia sulle spettanze
regionali e locali è l'art. 16 della bozza
di decreto, che impone agli enti
territoriali un nuovo, consistente
contributo alla realizzazione degli
obiettivi di finanza pubblica, da garantire
-anche mediante riduzione delle spese per
consumi intermedi-.
Il comma 2 agisce sulle risorse a qualunque
titolo dovute dallo stato alle regioni
ordinarie, escluse quelle destinate al
finanziamento corrente del servizio
sanitario nazionale, riducendole di 700
milioni per il 2012 e di 1 miliardo a
decorrere dal 2013. Ancora più pesante la
decurtazione imposta a regioni speciali e
province autonome, cui il comma 3 taglia 500
milioni per quest'anno, 1 miliardo per il
prossimo e 1.500 milioni a decorrere dal
2014.
Brutte notizie anche per gli enti locali. Il
comma 4 fa nuovamente dimagrire il fondo
sperimentale di riequilibrio dei comuni
(destinato a essere sostituito dal fondo
perequativo, se e quando il federalismo
fiscale sarà pienamente attuato), nonché i
residui trasferimenti erariali erogati ai
municipi di Sicilia e Sardegna: meno 500
milioni per il 2012 e meno 2 miliardi dal
2013. Misure analoghe sono ...
(articolo ItaliaOggi del 06.07.2012 - link a
www.corteconti.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
A. Lo Destro,
Segretari comunali contro la corruzione.
Come si può pensare che un funzionario,
privo delle garanzie di indipendenza e
stabilità, nominato ogni cinque anni dal
sindaco e che scade automaticamente al
cessare del mandato, possa esercitare una
efficace azione anticorruzione? (27.06.2012
- link a www.leggioggi.it).
---------------
C. Rossi,
Il segretario comunale, riedizione moderna
del mito di Atlante (04.07.2012 -
link a www.leggioggi.it). |
COMPETENZE GESTIONALI - SEGRETARI COMUNALI: Mentre
alla Giunta Comunale è attribuito il compito
di adottare atti di indirizzo che impegnano
dirigenti e responsabili degli uffici e dei
servizi (nei Comuni privi di qualifica
dirigenziale), ai Dirigenti competono, ai
sensi del successivo comma 3 dell’art. 107,
le modalità per assolvere ai compiti di
attuazione degli obiettivi e dei programmi
nonché numerose funzioni con rilevanza
esterna, essendo titolari non solo della
gestione amministrativa, ma anche di quella
finanziaria e tecnica, attraverso degli
autonomi poteri di spesa, di organizzazione
delle risorse umane, strumentali e di
controllo anche e soprattutto nella materia
degli appalti pubblici: in tale ottica si
spiega l’attribuzione, in capo ai dirigenti
degli enti locali, della competenza a
presiedere le commissioni di gara e di
concorso, delle responsabilità delle
procedure di appalto e di concorso, e, di
conseguenza, anche della nomina della
commissione giudicatrice, mediante
disposizioni immediatamente applicabili,
senza necessità d'interposizione di apposite
fonti secondarie.
Con riferimento ai Comuni di piccole
dimensione, nei quali risulta difficile
individuare una figura dirigenziale, trova
applicazione l’art. 109 D.Lgs. 267/2000, il
quale, sebbene sembri lasciare al Sindaco
un’ampia discrezionalità nel delegare, con
provvedimento motivato, dette funzioni
gestionali, ai responsabili degli uffici e
dei servizi, indipendentemente dalla loro
qualifica funzionale, non consente, però,
neanche in lettura combinata con l’art. 53,
comma 23, della L. n. 388/2000, nel testo
modificato dall’art. 29, comma IV, L.
448/2001, che, nei comuni con popolazione
inferiore a 5000 abitanti, la possibilità di
affidare, mediante espresse disposizioni
regolamentari, la responsabilità degli
uffici e dei servizi nonché il potere di
adottare atti anche di natura tecnica-
gestionale, in capo all’intera Giunta, in
sede collegiale, ma, eventualmente, soltanto
in capo al componente dell’organo esecutivo,
uti singulo.
---------------
Nell'attuale assetto normativo, il
Segretario Comunale mantiene con il comune
un mero rapporto organico e non di servizio,
ha istituzionalmente compiti di
collaborazione, di assistenza
giuridico-amministrativa e di sovrintendenza
e di coordinamento del personale
dirigenziale (in presenza di determinati
presupposti), di consulenza, di
verbalizzazione e di ufficiale rogante per
tutti i contratti di cui il comune è parte,
per cui non può espletare altre specifiche
funzioni, come la presidenza di una
Commissione di gara o la direzione di un
ufficio, in assenza di un'espressa
previsione statutaria o regolamentare.
Con il primo motivo, parte ricorrente deduce
che la Commissione di Gara sarebbe stata
nominata dalla Giunta Comunale, con Delibera
n. 17 del 2011, anziché dal competente
Responsabile del Settore Urbanistica.
Viene dedotta la violazione degli articoli
84, comma 2°, del D.Lgs. n. 163 del 2006 e
dell’art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, in
relazione al principio della separazione tra
poteri di indirizzo e controllo politico
amministrativo, spettanti agli organi di
governo, e poteri di gestione
ammi-nistrativa finanziaria e tecnica,
attribuiti ai dirigenti, in base al quale
spetta ai dirigenti “la responsabilità
delle procedure di appalto e di concessione”
e, quindi, di qualsiasi provvedimento di
natura tecnico gestionale, tra cui rientra
sicuramente anche la nomina della
commissione di gara .
Si tratta di una norma che generalizza ed
estende a tutti i contratti pubblici di
lavori, servizi, forniture la disciplina
originariamente prevista, quanto agli
appalti per lavori pubblici, dall’art. 21
della legge 109/1994, in tema di nomina e
costituzione della commissione giudicatrice,
allorquando il criterio di aggiudicazione
prescelto è quello dell’offerta economica
più vantaggiosa.
Per correttezza espositiva, va evidenziato
che, con sentenza Corte Cost. n. 401 del
23.11.2007, è stato dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 84,
commi 2, 3, 8 e 9, D.lgs. n. 163/2006, nella
parte in cui vincolava le Regioni
all’osservanza di norme in materia di
composizione e modalità di nomina dei
componenti delle commissioni di gara,
anziché disporre che le disposizioni abbiano
carattere suppletivo e cedevole rispetto ad
una divergente normativa regionale (sia che
abbia già diversamente disposto o che
disponga per l’avvenire), trattandosi di
profili che non rientrano nella materia
della tutela della concorrenza, ma nella
materia della organizzazione amministrativa,
che compete alle Regioni .
Ma di una disposizione legislativa
regionale, che abbia disposto sul punto in
divergenza rispetto alle previsioni
invocate, non vi è traccia nel caso di
specie.
I rapporti tra Giunta Comunale ed apparato
burocratico trovano disciplina generale
nell’art. 107, comma 1, del D.Lgs. n. 267
del 2000, secondo cui agli organi di governo
spettano i poteri di indirizzo e di
controllo ed ai dirigenti spetta la gestione
amministrativa.
Il principio di separazione dei poteri tra
organi politici e dirigenti è poi ripreso
dal comma 2° del medesimo art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000, il quale precisa che
spettano ai dirigenti tutti i compiti,
compresa l’adozione di atti che impegnano
l’amministrazione verso l’esterno, che la
legge e lo statuto espressamente non
riservano agli organi di governo dell’ente
e/o che non rientrano tra le funzioni del
segretario o del direttore generale.
Dall’esegesi di queste norme, si evince
chiaramente che, mentre alla Giunta Comunale
è attribuito il compito di adottare atti di
indirizzo che impegnano dirigenti e
responsabili degli uffici e dei servizi (nei
Comuni privi di qualifica dirigenziale), ai
Dirigenti competono, ai sensi del successivo
comma 3 dell’art. 107, le modalità per
assolvere ai compiti di attuazione degli
obiettivi e dei programmi nonché numerose
funzioni con rilevanza esterna, essendo
titolari non solo della gestione
amministrativa, ma anche di quella
finanziaria e tecnica, attraverso degli
autonomi poteri di spesa, di organizzazione
delle risorse umane, strumentali e di
controllo anche e soprattutto nella materia
degli appalti pubblici: in tale ottica si
spiega l’attribuzione, in capo ai dirigenti
degli enti locali, della competenza a
presiedere le commissioni di gara e di
concorso, delle responsabilità delle
procedure di appalto e di concorso, e, di
conseguenza, anche della nomina della
commissione giudicatrice, mediante
disposizioni immediatamente applicabili,
senza necessità d'interposizione di apposite
fonti secondarie (conf.: Cons. Stato, Sez.
V 28.12.2007 n. 6723).
Con riferimento ai Comuni di piccole
dimensione, nei quali risulta difficile
individuare una figura dirigenziale, trova
applicazione l’art. 109 D.Lgs. 267/2000, il
quale, sebbene sembri lasciare al Sindaco
un’ampia discrezionalità nel delegare, con
provvedimento motivato, dette funzioni
gestionali, ai responsabili degli uffici e
dei servizi, indipendentemente dalla loro
qualifica funzionale, non consente, però,
neanche in lettura combinata con l’art. 53,
comma 23, della L. n. 388/2000, nel testo
modificato dall’art. 29, comma IV, L. 448/2001,
che, nei comuni con popolazione inferiore a
5000 abitanti, la possibilità di affidare,
mediante espresse disposizioni
regolamentari, la responsabilità degli
uffici e dei servizi nonché il potere di
adottare atti anche di natura tecnica-
gestionale, in capo all’intera Giunta, in
sede collegiale, ma, eventualmente, soltanto
in capo al componente dell’organo esecutivo,
uti singulo.
Nel caso di specie, invece, la nomina della
commissione di gara è stata posta in essere
dalla Giunta Comunale Comunale, con
l’impugnata Deliberazione n. 17 del
19.01.2011.
Ne discende l’accoglimento della presente
censura.
---------------
Con il
secondo motivo, parte ricorrente deduce che
la presidenza della commissione di gara, in
violazione degli artt. 107, comma 3, lett.
a), D. L.vo 267/2000 e 84, comma 3, D. L.vo
163/2006, non sarebbe stata attribuita al
Responsabile del Settore, ma al segretario
comunale, peraltro con motivazioni
genericamente riferibili ad esigenze di
servizio e ad eccessivo carico di lavoro al
fine di non pregiudicare il normale
funzionamento del servizio (Deliberazione
G.C. n. 49/2011).
L’art. 84, comma 3°, del D. Lgs 12.04.2006 n.
163 stabilisce: “La commissione è presieduta
da un dirigente della stazione appaltante,
nominato dall'organo competente”.
Ed invero, nell'attuale assetto normativo,
il Segretario Comunale, mantiene con il
comune un mero rapporto organico e non di
servizio, ha istituzionalmente compiti di
collaborazione, di assistenza
giuridico-amministrativa e di sovrintendenza
e di coordinamento del personale
dirigenziale (in presenza di determinati
presupposti), di consulenza, di
verbalizzazione e di ufficiale rogante per
tutti i contratti di cui il comune è parte,
per cui non può espletare altre specifiche
funzioni, come la presidenza di una
Commissione di gara o la direzione di un
ufficio, in assenza di un'espressa
previsione statutaria o regolamentare.
Ma, nel caso di specie, non vi è traccia in
atti dell’esistenza di siffatta previsione
statutaria o regolamentare.
Pertanto, la censura merita adesione
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza
06.06.2012 n. 538 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Corte
dei conti. Mobilità ammessa. Segretari
comunali nei costi di personale.
Per la Corte dei conti (sezione autonomie,
deliberazione
30.05.2012 n. 8) le norme che
regolano il ruolo, le funzioni e lo status
dei segretari comunali e provinciali non
giustificano una posizione funzionale
all'interno degli enti locali diversa da
quella attuale. Non si può dunque prevedere
che le relative spese siano allocate in
bilancio diversamente da quelle per il
personale dipendente degli stessi enti.
In
altri termini, la tesi secondo la quale le
assunzioni dei segretari comunali e
provinciali, essendo prive di limitazioni,
non consentono di considerare neutre le
relative mobilità (articolo 1, comma 47,
della legge 311/2004) è smentita
dall'assunto della stessa sezione autonomie
della Corte dei conti. La decisione della
Corte appare risolutiva, dunque, anche del
problema della mobilità dei segretari in
altre amministrazioni.
L'altro orientamento
In base alla circolare del dipartimento
della Funzione pubblica, emanata
congiuntamente alla Ragioneria generale
dello Stato il 22.02.2011, le
assunzioni dei segretari comunali e
provinciali sarebbero escluse dai vincoli
sulle assunzioni e la conseguente mobilità
«ad eccezione dei segretari collocati in
disponibilità nell'elenco di cui
all'articolo 34 del Dlgs 165/2001 non
sarebbe neutra sotto il profilo contabile.
Ciò in quanto l'assunzione degli stessi è
autorizzata in relazione ad un fabbisogno
che non trova copertura finanziaria in un
budget appositamente dedicato dalla legge.
La relativa assunzione è quindi priva di
vincoli normativi specifici. In caso
contrario, si avrebbe un'alterazione dei
livelli occupazionali, rigidamente
controllati finanziariamente, in quanto
l'assunzione di segretari comunali potrebbe
fungere da serbatoio che alimenta le
amministrazioni sottoposte a vincoli».
Questa tesi è dunque smentita dalla Corte
dei conti.
D'altronde, dall'esame del Dpr del ministero
dell'Interno del 21.04.2011 con cui si
autorizzava ad assumere a tempo
indeterminato segretari comunali e
provinciali, si desume come gli oneri
connessi alle assunzioni siano posti
(articolo 3 del Dpr) «a carico del bilancio
degli enti locali presso i quali i segretari
presteranno servizio in qualità di
titolari»: l'affermazione ben si concilia
con la considerazione che il rapporto di
lavoro si instaura solo con la prima nomina
a cura del sindaco di un Comune di classe
adeguata e conseguente entrata in servizio
dei segretari comunali e provinciali di
prima nomina e non certo con l'inserimento
nell'ambito nell'Albo regionale a cura del
ministro dell'Interno e delle singole
prefetture
(articolo Il Sole 24
Ore del 25.06.2012). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Segretari,
spese senza eccezioni. Costi da computare
tra quelli per il personale.
Le spese relative ai
segretari comunali e provinciali vanno a
braccetto con quelle del personale
dipendente. Infatti, l'attuale assetto
normativo che regola il ruolo, le funzioni e
lo status dei segretari comunali e
provinciali non giustifica una posizione
funzionale all'interno degli enti locali
diversa da quella attuale, cosicché non si
può prevedere che le relative spese siano
allocate in bilancio diversamente da quelle
per il personale dipendente degli stessi
enti.
È quanto mette nero la sezione autonomie
della Corte dei conti nel testo della
deliberazione
30.05.2012 n. 8, in risposta
alle perplessità ventilate da un gruppo di
amministratori locali liguri in ordine agli
effetti conseguenti all'assunzione di nuovi
segretari comunali, sul piano dell'incidenza
delle relative spese di personale nei già
asfittici bilanci degli enti locali.
Si potrebbe argomentare, così come ha fatto
la sezione di controllo della Corte ligure,
che nelle funzioni del segretario comunale
ci sia un quid di specialità nel rapporto
funzionale con l'ente, così da poter
apprezzare una posizione diversa da quello
del normale dipendente.
Ma la sezione autonomie non ha ravvisato
alcunché di speciale nelle prerogative che
spettano al segretario dell'ente. Ha
ricordato, innanzitutto, che lo status
giuridico ed economico va ricondotto al dpr
n. 465/1997 e alle norme contenute nei
contratti collettivi. Ed è in tali contesti
che si ravvisano elementi per ricondurre il
segretario «nel tessuto strutturale
dell'organizzazione dell'ente locale».
Il riferimento è all'articolo 88 del Tuel,
dove i segretari comunali sono considerati
in termini unitari con il personale
dipendente e nelle disposizioni contenute
all'articolo 97 dello stesso Testo unico.
Qui, l'attività del segretario integra una
prestazione lavorativa interamente organica
all'ente e alle sue finalità istituzionali,
così come l'organicità del ruolo del
segretario non differisce da quella dei
dipendenti.
Quindi, ha ammesso la sezione autonomie,
l'attività di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti degli
organi dell'ente e il coordinamento
dell'attività dei dirigenti non sono
ritenuti fattori che incidono sulla
qualificazione del rapporto interno che
siano tali da differenziarlo sul piano della
finalità della spesa
(articolo ItaliaOggi
dell'08.06.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI - SEGRETARI COMUNALI:
La giurisprudenza
contabile ha avuto modo di affermare
ripetutamente che l’intervenuta soppressione
del parere di legittimità del segretario su
ogni proposta di deliberazione sottoposta
alla Giunta o al Consiglio non esclude che
permangano in capo al segretario tutta una
serie di compiti ed adempimenti che, lungi
dal determinare un’area di
deresponsabilizzazione del medesimo, lo
impegnano, invece, ad un corretto
svolgimento degli stessi, pena la sua
soggezione, in ragione del rapporto di
servizio instaurato con l’ente locale,
all’azione di responsabilità amministrativa,
ove di questa ricorrano gli specifici
presupposti.
Il T.U. n. 267/2000 non esclude che il
segretario comunale possa essere
responsabile in riferimento alla conformità
dell’azione amministrativa alle leggi, agli
statuti ed ai regolamenti.
L’affidamento al segretario comunale di
funzioni di assistenza e di collaborazione
giuridico ed amministrativa impone di
esercitare il controllo di legittimità,
seppure non sia sufficiente la mera attività
di verbalizzazione per la sussistenza
dell’elemento soggettivo.
Parimenti responsabile è il sig. R.M.
(segretario comunale nonché direttore
generale) che ha dichiarato (anche in sede
di audizione personale) di aver firmato il
verbale della delib. della Giunta Comunale
n. 44/2009, senza preoccuparsi di leggerla,
e quindi ponendo in essere una condotta
connotata da grave negligenza.
La giurisprudenza contabile ha avuto modo di
affermare ripetutamente che l’intervenuta
soppressione, ai sensi dell’art. 17, comma
85, della l. n. 127/1997, del parere di
legittimità del segretario (comunale o
provinciale) su ogni proposta di
deliberazione sottoposta alla Giunta o al
Consiglio, già previsto dall’ art. 53 della
l. n. 142/1990, non esclude che permangano
in capo al segretario tutta una serie di
compiti ed adempimenti che, lungi dal
determinare un’area di
deresponsabilizzazione del medesimo, lo
impegnano, invece, ad un corretto
svolgimento degli stessi, pena la sua
soggezione, in ragione del rapporto di
servizio instaurato con l’ente locale,
all’azione di responsabilità amministrativa,
ove di questa ricorrano gli specifici
presupposti.
Ciò in quanto il suddetto art. 17 della l.
127/1997 e, successivamente, l’art. 97 del
D.Lgvo 18.08.2000 n. 267, mantiene per il
segretario comunale la specifica funzione
ausiliaria di garante della legalità e
correttezza amministrativa dell’azione
dell’ente locale. Infatti il T.U. n.
267/2000 ha assegnato al segretario
dell’ente locale, in linea generale, oltre
agli altri compiti indicati dal menzionato
art. 97, le “funzioni di collaborazione e
di assistenza giuridico–amministrativa nei
confronti degli organi dell’ente in ordine
alla conformità dell’azione amministrativa
alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”
e quelle di “sovrintendere allo
svolgimento delle funzioni dei dirigenti e
di coordinarne l’attività”.
Sicché la predetta modifica normativa non
esclude che il segretario comunale, proprio
in virtù di tali specifici compiti di
consulenza giuridico–amministrativa, possa
essere responsabile in riferimento alla
conformità dell’azione amministrativa alle
leggi, agli statuti ed ai regolamenti: cfr.
Sez. I Centr. 07.08.2008 n. 1534 e Sez. II
Centr. 23.06.2004 n. 197/A.
In sostanza, l’affidamento al segretario
comunale di funzioni di assistenza e di
collaborazione giuridico ed amministrativa
imponeva nella specie di esercitare il
controllo di legittimità, seppure, come ha
affermato questa Sezione (27.03.2012 n.
164), non sia sufficiente la mera attività
di verbalizzazione per la sussistenza
dell’elemento soggettivo (Corte dei Conti,
Sez. giurisdiz. Toscana,
sentenza 07.05.2012 n. 217). |
SEGRETARI COMUNALI:
Corte dei conti. Compensi dei segretari.
Irap a carico dell'ente nei diritti di
rogito.
Nei diritti di rogito da corrispondere ai
segretari comunali e provinciali non si
devono calcolare né l'Irap né gli oneri
previdenziali: questi costi devono essere
sostenuti dalle amministrazioni e sono
finanziati dalla quota dei diritti che
queste incamerano.
Sono le chiare
indicazioni fornite dalla sezione regionale
di controllo della Corte dei Conti della
Sardegna,
parere
29.03.2012 n. 27,
in risposta alla richiesta del comune di
Capoterra.
Il parere rigetta completamente
le tesi sostenute dalla Ragioneria generale
dello Stato, che sostiene invece
l'inclusione degli oneri Irap e di quelli
previdenziali in questi compensi,
determinando così una riduzione assai
significativa del netto da corrispondere ai
segretari.
Ovviamente, non si può dire che
nessuna delle due tesi prevalga sull'altra,
ma sicuramente la richiesta di restituzione
avanzata dagli ispettori è fortemente
ridimensionata e non si può in ogni caso
parlare di condotta ispirata a colpa grave
nel caso di maturazione di responsabilità
amministrativa, perché c'è -quanto meno-
una incertezza interpretativa, elemento che
per la giurisprudenza consolidata della
Corte dei Conti determina il maturare di una
esimente alla maturazione di questo
requisito psicologico.
Alla base del parere dei giudici contabili
isolani, c'è la considerazione che gli oneri
previdenziali, ovviamente parliamo della
quota sostenuta dall'ente perché è pacifico
che la quota a carico del dipendente debba
essere defalcata, possono essere sostenuti
dai dipendenti solamente in presenza di una
esplicita previsione legislativa, come per
esempio è dettata per i dipendenti degli
uffici tecnici e per gli avvocati. Il
principio di carattere generale pone questi
oneri a carico del datore di lavoro ed è
dettato dalla legge 335/1995. Da qui la
conclusione che «non è possibile
applicare analogicamente ai segretari
comunali la disciplina che è stata prevista
dal legislatore solo per gli onorari
professionali dei legali pubblici e per gli
incentivi del personale tecnico dipendente
delle pubbliche amministrazioni».
Le stesse argomentazioni si ritrovano anche
per l'Irap: «in assenza di specifica
normativa di segno contrario, non si
ravvisano ulteriori ragioni per le quali si
debba o si possa porre a carico dei
segretari comunali il pagamento dell'Irap
sui diritti di rogito, valendo anche per
essi l'essenziale considerazione che tale
onere grava sul titolare dell'attività
produttiva che è, appunto, l'amministrazione
presso la quale prestano servizio» (articolo Il Sole 24 Ore
del 16.04.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Diritti di rogito - oneri
contributivi e IRAP.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Sardegna, con
il
parere 29.03.2012 n. 27, risponde ai quesiti posti dal Comune
di Capoterra volti a conoscere l'avviso
della Corte circa la possibile applicazione
analogica ai Segretari comunali (per la
percezione dei diritti di rogito) delle
previsioni che dispongono che le competenze
professionali maturate dai tecnici e dai
legali dipendenti della pubblica
amministrazione sono da ritenersi
comprensive anche degli oneri riflessi a
carico del datore di lavoro e circa le
modalità di copertura dell'onere costituito
dall'IRAP.
Per gli oneri contributivi, la Sezione
ritiene: "... poiché per i diritti di rogito
manca nell'ordinamento un'espressa
previsione di deroga all'art. 2115 c.c. che
superi quella già applicabile di cui
all'art. 2 comma 2 della legge 335/1995 e
poiché le eccezioni indicate dai commi 207 e
208 della legge 266/2005 e dall'art. 92
comma 5 del D.lgs. 163/2006 non possono
trovare applicazione oltre i casi ivi
espressamente previsti, ritiene in
conclusione la Sezione che non sia possibile
applicare analogicamente ai segretari
comunali la disciplina che è stata prevista
dal legislatore solo per gli onorari
professionali dei legali pubblici e per gli
incentivi del personale tecnico dipendente
delle pubbliche amministrazioni, la quale
pone interamente a carico di questi ultimi
gli oneri riflessi od accessori sui loro
compensi latu sensu professionali (dunque
anche per la parte altrimenti a carico
dell'amministrazione di appartenenza secondo
le previsioni generali della legge n.
335/1995)".
Per quanto concerne, invece, l'IRAP: "Considerazioni
diverse devono invece effettuarsi per
l'Irap, rispetto al quale il Comune
richiedente sembra ignorare l'esatta portata
della deliberazione n. 33/2010 delle Sezioni
Riunite di questa Corte ............La
circostanza,......, che le Sezioni Riunite
abbiano correttamente specificato che da un
punto di vista contabile gli enti che
corrispondono compensi incentivanti per la
progettazione ovvero compensi professionali
alle avvocature interne sono tenuti ad
accantonare e prevedere nei rispettivi fondi
gli importi necessari a fronteggiare il
pagamento dell'IRAP ......... non significa
che l'Irap debba necessariamente rimanere a
carico dei professionisti dipendenti: come è
stato precisato nella precedente
deliberazione n. 18/2012 di questa Sezione e
dalla deliberazione n. 48/2010 della Sezione
di controllo per la Regione Piemonte
.............Pertanto è evidente che per i
diritti di rogito dei segretari comunali,
per la cui regolamentazione opera la fonte
contrattuale e per i quali al momento non
sussiste la possibilità di una diversa
autonoma regolamentazione interna dell'ente
locale, non si pone nemmeno una questione di
applicabilità analogica della disciplina
operante per l'Irap sui compensi
professionali dei legali pubblici e sui
compensi incentivanti del personale tecnico.
Infatti anche per gli avvocati pubblici ed i
tecnici dipendenti dell'amministrazione si
applicano le previsioni generali che pongono
l'Irap a carico del datore di lavoro, fatti
salvi gli effetti che indirettamente possono
derivare dalla regolamentazione adottata
dall'ente di appartenenza. Né, del resto, in
assenza di specifica normativa di segno
contrario, si ravvisano ulteriori ragioni
per le quali si debba o si possa porre a
carico dei segretari comunali il pagamento
dell'Irap sui diritti di rogito, valendo
anche per essi l'essenziale considerazione
che tale onere grava sul titolare
dell'attività produttiva che è, appunto,
l'amministrazione presso la quale prestano
servizio" (tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI: Piano
di prevenzione nella lotta alla corruzione
nella p.a.. Operazione pulizia.
Protagonisti i segretari degli enti.
Lotta alla corruzione nella p.a. a 360°. I
piani di prevenzione della corruzione
dovranno essere adottati anche da regioni ed
enti locali. Con la possibilità che, per
questi ultimi, la mancata adozione comporti
l'avvio di un procedimento di
commissariamento ad acta, al pari della
mancata adozione di altri atti fondamentali
quali il bilancio. Sarà il segretario
dell'ente locale inoltre a dover svolgere la
funzione di dirigente responsabile della
prevenzione della corruzione. Occorrerà
rivedere pertanto anche le norme che
regolano la sua nomina, oggi del tutto
fiduciaria.
È quanto si ricava dalla lettura
della
prima individuazione dei settori di
indagine sul fenomeno della lotta alla
corruzione, redatta dalla Commissione di
studio su trasparenza e corruzione nella
pubblica amministrazione, presieduta da
Roberto Garofoli. Particolare attenzione è
stata dedicata all'allargamento ad altri
settori della p.a. delle misure contenute
nel ddl anticorruzione e alle sinergie tra
le prefetture e il segretario comunale o
provinciale.
Il Piano di prevenzione. Innanzitutto, la
Commissione ha proposto di emendare al
predetto ddl che le amministrazioni centrali
trasmettano alla Funzione pubblica un
apposito Piano di prevenzione della
corruzione che sia predisposto da un
dirigente appositamente nominato quale
«responsabile». È ovvio che un progetto non
può restare solo incardinato a livello di
p.a. centrale. Ecco, pertanto, la proposta
di «allargare» le disposizioni in materia di
anticorruzione anche alle amministrazioni
indicate all'art. 1, comma del Testo unico
sul pubblico impiego. Se, da un lato, a
vigilare sulle p.a. centrali (agenzie ed
enti pubblici inclusi) sorgerà infatti
l'Autorità nazionale anticorruzione, ci si
pone il problema di come coordinare tali
compiti per la «galassia» del sistema
amministrativo pubblico. In particolare per
regioni, province, comuni e le loro forme
associative.
Regioni. Per quanto riguarda le regioni, la
Commissione ha proposto che il ddl preveda
obbligatoriamente l'adozione del Piano
anticorruzione rinviando in sede di intesa
con le stesse regioni all'individuazione del
dirigente responsabile con compiti ben
precisi e con uno status di maggiore
indipendenza.
Enti locali. Sul fronte enti locali invece
la Commissione individua nel prefetto la
figura da valorizzare per dare piena
efficacia al Piano. Il prefetto potrà
supportare le amministrazioni locali al
momento di redigere il Piano anticorruzione
ma anche di monitorarne la reale
approvazione.
A tal fine, si legge nel testo
in esame, in considerazione dell'importanza
che il Piano assume nella vita
politico-amministrativa dell'ente, valuti il
legislatore di inserire una norma ad hoc che
preveda, in caso di mancata adozione del
Piano, l'avvio di un procedimento di nomina
di commissario ad acta, così come oggi si
prevede nel Tuel, per esempio nel caso di
mancata approvazione del bilancio o del
rendiconto di gestione.
Il segretario dell'ente. Per le province e i
comuni si pone il problema di chi possa
svolgere la figura del dirigente
responsabile della prevenzione della
corruzione con i compiti di redigere il
Piano della prevenzione. Il documento
redatto ieri individua tale figura in quella
del segretario dell'ente, in quanto «è
sempre stato strumento di garanzia della
legalità e dell'imparzialità nelle
amministrazioni locali». Questi nuovi
compiti comporteranno, anche con norme ad
hoc nel testo del ddl, di apporre delle
modifiche allo status di segretario, così da
garantirne una sua maggiore indipendenza
dall'organo politico.
Quindi, per la
Commissione, si dovrebbe tornare all'antico,
rivedendo le procedure di nomina dei
segretari «al fine di ridurne l'attuale
tasso di fiduciarietà». La Commissione
propone che sia il Viminale a proporre al
sindaco una rosa di nomi, selezionati sulla
base di una domanda da parte degli
interessati e in possesso di specifici
requisiti. Da questa rosa, il primo
cittadino poi nominerà «il prescelto»
(articolo ItaliaOggi del
24.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
CONSIGLIERI COMUNALI - SEGRETARI COMUNALI:
Procedimento di nomina del Segretario
comunale o provinciale.
E'
inequivocabile che il Sindaco (o il
Presidente della Provincia) può provvedere
alla nomina “solo in presenza e dopo
l’intervenuta assegnazione, da parte dell’Ages,
del Segretario in precedenza individuato;
ove manchi l’assegnazione, non può farsi
luogo ad alcuna nomina e quella
eventualmente disposta deve stimarsi tamquam
non esset per carenza del suo unico ed
indefettibile presupposto.
Detto altrimenti, la nomina del Segretario
procede dal perfezionamento di una
fattispecie a formazione progressiva, di cui
l’assegnazione da parte dell’Agenzia è un
elemento essenziale e costitutivo: non è
pensabile, infatti, alla luce dei principi
generali, che un ente pubblico (nello
specifico, la Provincia o il Comune) possa
avvalersi di un impiegato appartenente al
ruolo di una differente amministrazione,
senza aver preventivamente raggiunto con
quest’ultima una specifica intesa (il
termine, qui ovviamente utilizzato in senso
atecnico, allude alla convergenza oggettiva
che deve necessariamente realizzarsi, in
sede procedimentale, tra le richieste
formulate dall’ente locale e l’esito delle
verifiche delegate istituzionalmente
all’Agenzia)”.
Ai fini del
decidere, appare opportuno richiamare la
normativa che disciplina la materia e
precisamente il D.Lgs. n. 267 del 2000, il
D.P.R. 04.12.1997, n. 465 nonché il
contratto collettino nazionale di lavoro dei
segretari comunali e provinciali siglato il
16.05.2001, i quali –per quanto di rilevanza
in questa sede– prevedono che:
- “il comune e la provincia hanno un
segretario titolare dipendente dell’Agenzia
autonoma per la gestione dell’albo dei
segretari comunali e provinciali, di cui
all’art. 102 e iscritto all’albo di cui
all’art. 98” (art. 97, comma 1, D.Lgs.
n. 267 del 2000);
- “l’iscrizione all’albo è subordinata al
possesso dell’abilitazione concessa dalla
Scuola superiore per la formazione e la
specializzazione dei dirigenti della
pubblica amministrazione locale ovvero dalla
sezione autonoma della Scuola superiore
dell’amministrazione dell’Interno” (art.
98, comma 4, D.Lgs. n. 267 del 2000);
- “al relativo corso si accede mediante
concorso nazionale a cui possono partecipare
i laureati in giurisprudenza, scienze
politiche, economia” (art. 98, comma 5,
D.Lgs. n. 267 del 2000);
- il consiglio nazionale di amministrazione
dell’Agenzia autonoma per la gestione
dell’albo dei segretari comunali e
provinciali dispone l’iscrizione nell’albo,
nella prima fascia professionale, degli
idonei ai concorsi all’uopo espletati (art.
12 D.P.R. n. 465 del 1997);
- i segretari comunali e provinciali
risultano iscritti in specifiche fasce
professionali (art. 12 D.P.R. n. 465 del
1997);
- “il sindaco e il presidente della
provincia nominano il segretario, che
dipende funzionalmente dal capo
dell’amministrazione, scegliendo tra gli
iscritti all’albo di cui all’art. 98”
(art. 99, comma 1, D.Lgs. n. 267 del 2000;
art. 15 del D.P.R. n. 465 del 1997);
- “la nomina è disposta non prima di 60
giorni e non oltre 120 giorni dalla data di
insediamento del sindaco e del presidente
della provincia, decorsi i quali il
segretario è confermato” (art. 99, comma
3, D.Lgs. n. 267 del 2000; art. 15 D.P.R. n.
465 del 1997);
- “l’avvio della procedura di nomina è
pubblicizzato nelle forme stabilite dal
consiglio nazionale di amministrazione.
L’Agenzia fornisce, a richiesta i curricula
relativi alle caratteristiche professionali
dei segretari. La nomina del segretario ha
effetto dall’accettazione” (art. 15,
comma 4, D.P.R. n. 465 del 1997);
- “1. la nomina a segretario avviene nel
rispetto delle previsioni del T.u.e.l. n.
267/2000 e del DPR n. 465/1997. 2. A tal
fine, a seguito dell’avvio della procedura
che deve essere pubblicizzato nelle forme
stabilite dal Consiglio nazionale di
amministrazione, la Sezione regionale
dell’Agenzia competente trasmette ai sindaci
che ne hanno fatto richiesta l’elenco dei
segretari iscritti e che non siano già
titolari di incarichi presso altri enti, con
i relativi curricula” (art. 17 CCNL);
- “il rapporto di lavoro dei segretari
comunali e provinciali è costituito e
regolato da contratti individuali, secondo
le disposizioni di legge, della normativa
comunitaria e del presente contratto
collettivo di lavoro. Il rapporto di lavoro
con l’Agenzia nazionale si instaura con la
sottoscrizione del contratto individuale con
la prima nomina a segretario generale”
(art. 15 CCNL);
- l’eventuale “mancata accettazione della
prima nomina comporta automaticamente la
cancellazione dall’albo” (art. 13 del
D.P.R. n. 465 del 1997; art. 17 CCNL).
Come già si evince da quanto riportato:
- risultava istituita un’Agenzia autonoma
per la gestione dell’albo dei segretari
comunali e provinciali, “avente
personalità giuridica di diritto pubblico e
sottoposta alla vigilanza del Ministero
dell’Interno” (art. 102 D.Lgs. n. 267
del 2000; art. 1 del D.P.R. n. 465 del
1997), poi venuta meno a seguito
dell’entrata in vigore del D.L. 31.05.2010,
n. 78;
- in linea con le previsioni dell’art. 12
del D.P.R. n. 465 del 1997, il contratto
collettivo nazionale del 2001 ha previsto
tre fasce professionali per l’iscrizione
all’albo dei segretari comunali e
provinciali e precisamente la fascia C,
attinente ai segretari idonei alla
titolarità di comuni fino a 3.000 abitanti,
i quali abbiano superato il concorso ed il
corso previsti per l’accesso in carriera
(art. 13 D.P.R. n. 465 del 2001), la fascia
B, in cui sono inseriti i segretari
risultati idonei, a seguito del superamento
del corso di specializzazione della Scuola
Superiore di cui all’art. 14 del D.P.R. n.
467 del 1997, alla titolarità di sedi di
comuni fino a 65.000 abitanti, e, infine, la
fascia A, ricomprendente i segretari idonei,
a seguito del superamento del secondo corso
di specializzazione della Scuola Superiore,
alla titolarità di comuni con popolazione
superiore a 65.000 abitanti, nonché di
comuni capoluogo di provincia e di province,
con la precisazione che per l’ammissione ai
corsi di specializzazione è richiesta una
specifica anzianità di servizio pari ad
almeno due anni nella fascia C o, in
relazione al corso previsto per la fascia A,
“in comuni di classe II o superiore”
(cfr., tra l’altro, accordo sottoscritto il
13.01.2009 e, in precedenza, art. 31 CCNL).
Tutto ciò premesso, appare evidente che la
nomina del segretario comunale costituisce
il risultato di un iter complesso, il quale
–all’epoca della vicenda della ricorrente-
vedeva primariamente coinvolti l’Agenzia
sopra indicata ed il Sindaco.
A seguito delle riforme varate sul finire
degli anni novanta del secolo scorso (cc.dd.
“riforme Bassanini”), i segretari
comunale e provinciali sono, infatti,
divenuti dipendenti dell’Agenzia (cfr. art.
97, comma 1, del TUEL, già richiamato) ma si
tratta comunque di funzionari che
intrattengono un rapporto funzionale di
servizio con gli enti locali di
assegnazione.
Come osservato dal Consiglio di Stato (cfr.
Sez. V, 31.07.2006, n. 4694), sussiste “embricazione”
tra due rapporti, da identificare con quello
di impiego e quello di servizio, la quale
chiaramente rivela che l’atto di
assegnazione dell’Agenzia costituisce uno
snodo fondamentale del procedimento di
nomina.
La procedura –così come desumibile dalle
previsioni di cui sopra ma anche dalla
deliberazione del Consiglio Nazionale di
Amministrazione n. 150 del 15.07.1999–
risulta, infatti, così articolata:
- avvio del procedimento di nomina da parte
del Sindaco (o dal Presidente della
Provincia) tramite richiesta all’Agenzia di
pubblicare avviso di ricerca di un
segretario per l’ente;
- pubblicazione dell’avviso di vacanza sul
sito internet dell’Agenzia;
- individuazione da parte
dell’amministrazione richiedente del
nominativo del segretario da nominare e
conseguente richiesta di assegnazione
indirizzata all’Agenzia;
- assegnazione da parte dell’Agenzia, una
volta accertato il possesso, in capo al
segretario individuato, dei requisiti
prescritti per l’assunzione dell’incarico;
- adozione da parte del Sindaco (o del
Presidente della Provincia) del
provvedimento di nomina del segretario
assegnato;
- accettazione da parte del nominato ed
assunzione in servizio dello stesso.
Ciò detto, è inequivocabile che il Sindaco
(o il Presidente della Provincia) può
provvedere alla nomina “solo in presenza
e dopo l’intervenuta assegnazione, da parte
dell’Ages, del Segretario in precedenza
individuato; ove manchi l’assegnazione, non
può farsi luogo ad alcuna nomina e quella
eventualmente disposta deve stimarsi tamquam
non esset per carenza del suo unico ed
indefettibile presupposto. Detto altrimenti,
la nomina del Segretario procede dal
perfezionamento di una fattispecie a
formazione progressiva, di cui
l’assegnazione da parte dell’Agenzia è un
elemento essenziale e costitutivo: non è
pensabile, infatti, alla luce dei principi
generali, che un ente pubblico (nello
specifico, la Provincia o il Comune) possa
avvalersi di un impiegato appartenente al
ruolo di una differente amministrazione,
senza aver preventivamente raggiunto con
quest’ultima una specifica intesa (il
termine, qui ovviamente utilizzato in senso
atecnico, allude alla convergenza oggettiva
che deve necessariamente realizzarsi, in
sede procedimentale, tra le richieste
formulate dall’ente locale e l’esito delle
verifiche delegate istituzionalmente
all’Agenzia)” (cfr. C.d.S., dec.
citata).
Stante quanto precisato, il Collegio ritiene
di poter affermare che –in carenza del
rispetto della procedura di cui sopra ed, in
particolare, dell’espletamento da parte
dell’Agenzia dell’attività alla stessa
spettante– alcun valido rapporto di servizio
potrà mai instaurarsi tra il Sindaco ed il
Segretario Comunale e, dunque, non potrà
utilmente maturare e, conseguentemente,
essere ravvisato il periodo di servizio
richiesto per l’ammissione al corso di
specializzazione interno per il
conseguimento dell’idoneità a segretario di
fascia più alta
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-ter,
sentenza 20.03.2012 n. 2682 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Agenzia
segretari, tutto un bluff.
Soppressione solo sulla carta. In due anni
spesi 2 milioni. Corte dei conti sugli enti
cancellati dal dl 78/2010. Non c'è volontà
di eliminare l'Ages.
A distanza di quasi due anni, l'iter di
soppressione dell'Agenzia per la gestione
dell'albo dei segretari comunali e
provinciali (Ages) incontra notevoli
risvolti critici sia sotto il profilo
dell'economicità che dell'efficienza. Anzi,
la scarsa attenzione dedicata al problema
dall'amministrazione subentrante, ovvero il
ministero dell'interno, nonché il lungo
perpetrarsi di modalità ancora provvisorie,
induce a dubitare che si voglia portare a
compimento il processo di soppressione
statuito dal decreto legge n. 78/2010.
Nel frattempo, tra spese di personale e
quelle relative a servizi vari, l'ex Ages ha
sostenuto costi per poco più di 2 milioni di
euro.
È il j'accuse che la sezione centrale di
controllo sugli enti della Corte dei Conti,
Sez. centrale di controllo,
ha messo nero su bianco nel testo della
deliberazione
08.03.2012 n. 1, avente
per oggetto la verifica sullo stato di
attuazione del processo di soppressione e
incorporazione di enti e organismi pubblici
previsto dall'articolo 7 della manovra
varata nel maggio 2010. Un processo che
oltre a coinvolgere l'Ages comprende, tra
gli altri, l'ente teatrale italiano,
l'Istituto per la promozione industriale e
l'Istituto di studi e analisi economica.
Con riferimento all'Ages, la Corte ha
sottolineato che, in tempi brevi, il
Viminale, con decreto del 31.07.2010, ha
istituito un'unità di missione con il
compito di svolgere le attività gestionali
per sei mesi. Ma, di proroga in proroga,
tale unità sarà attiva sino al prossimo 30
giugno. Tralasciando le vicissitudini
riportate, che hanno comunque condotto al
mancato varo del rendiconto, per effetto
della mancanza dell'organo di revisione, la
Corte sottolinea che, a oggi, «è ancora in
via di definizione il dm interno che
contenga le date di effettivo esercizio
delle funzioni trasferite e l'individuazione
delle risorse umane, strumentali e
finanziare».
La Corte ha anche messo nero su bianco i
costi dell'Ages, nonostante la disposta
soppressione. Interessanti le voci relative
ai servizi. Da un lato i servizi legati al
funzionamento degli uffici dell'ex Agenzia,
quali, tra gli altri, l'elaborazione e
stampa degli stipendi, la cui spesa
sostenuta dall'01/08/2010 al 31/12/2011 è
stimata in oltre 90 mila euro e la tenuta
della contabilità economico patrimoniale che
viene stimata in oltre 174 mila euro.
Sommando altre voci, la spesa sostenuta dopo
la soppressione ammonta a 292 mila euro
oltre Iva. Vi è però un secondo gruppo messo
a fuoco dalla Corte, ovvero quello delle
spese strutturali.
Tra queste, i servizi
informativi, la cui spesa per il periodo 01/08/2010-31/12/2011 è stimata in poco più
di 510 mila euro, una voce di spesa «Global
service agenzia in Roma» stimata in circa
500 mila euro più Iva, la fornitura di buoni
pasto, costata 304 mila euro, servizi
assicurativi per 227 mila euro, servizi
esterni per l'informatica della sede
centrale (52 mila euro), servizi legati
all'espletamento dell'ultimo concorso dei
segretari comunali e provinciali, pari a 186
mila euro. Aggiungendo altre voci, la Corte
mette nero su bianco che tali servizi, detti
strutturali, ammontano a 1,7 milioni di
euro.
In definitiva, per la Corte, il processo di
soppressione dell'Ages, ancora oggi non
definito, sembra celare difficoltà
nell'adozione di decisioni definitive legate
alle sorti dell'ente, ma non si può non
vedere che, di fatto, si sono prodotte
situazioni e circostanze che mostrano gravi
criticità per i profili dell'economicità e
dell'efficienza. Una gestione transitoria
che per sua natura si deve risolvere in
tempi brevi, gestisce l'ordinarietà da quasi
due anni in quanto sono assenti gli
strumenti, giuridici e finanziari, per porre
fine alla vicenda (articolo ItaliaOggi
del 16.03.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI:
Direttore Generale.
Dalla Corte dei Conti Sez. Reg.le Lombardia
-parere 15.03.2012 n. 71- arriva la conferma dei consolidati
orientamenti circa il divieto, per gli enti
con popolazione inferiore a 100.000 abitanti, di nominare il Direttore Generale sia in
favore di soggetto esterno che mediante
attribuzione delle relative funzioni al
Segretario Comunale ed anche con segreteria
convenzionata.
Infatti, a seguito
dell'entrata in vigore dell'articolo 2,
commi 183-186, della legge 23.12.2009,
n. 191 (Finanziaria 2010) e decorso il
periodo transitori previsto (articolo 1,
comma 2, del d.l. 25.01.2010, n. 2,
convertito con modificazioni dalla legge 26.03.2010, n. 42) ovvero intervenuta la
scadenza degli incarichi già conferiti, la
soppressione della figura del direttore
generale è definitiva.
Alle esigenze gestorie ed operative degli enti di piccole
dimensioni si dovrà sopperire affidando ai
dipendenti in servizio le relative
specifiche responsabilità, riconoscendo loro
la posizione organizzativa in applicazione
del CCNL ovvero al Segretario Comunale
nell'ambito delle competenze di
coordinamento attribuitegli dall'articolo
97, comma 4, del TUEL (tratto da
www.publika.it). |
SEGRETARI COMUNALI: Una
casta nascosta: i segretari comunali.
Non si parla mai della Casta dei segretari
comunali, notai dei comuni i quali
raggiungono stipendi mensili da capogiro e
fanno le delibere un tempo con la carta
carbone, oggi con il copia e incolla.
Non sarebbe il caso di chiamarli quando non
si possono risolvere i problemi e pagarli a
ore? Visto che, peraltro, riescono ad
esercitare anche in 15 comuni
contestualmente ...
(articolo
Libero
del 03.03.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Compensi. La Corte d'appello di Firenze
inverte il trend giurisprudenziale.
Segretari comunali, stop alla doppia
maggiorazione.
IL PUNTO/
Se non si riesce a provare che l'onere è più
«pesante», prevale la posizione di Aran,
Funzione pubblica e Ragioneria dello Stato.
Come ogni telenovela che si rispetti, la
querelle relativa al rapporto tra
maggiorazione della retribuzione di
posizione dei segretari comunali (il cui
scopo è quello di retribuire funzioni
aggiuntive rispetto a quelle base del
segretario) e la maggiorazione retributiva
dovuta al "riallineamento stipendiale" (vale
a dire il cosiddetto "galleggiamento", il
cui scopo è quello di assicurare al
segretario una retribuzione almeno pari a
quella del dirigente apicale) si arricchisce
di nuove puntate con relativi colpi di
scena.
Esattamente due anni fa (si veda in
proposito quanto scritto dal Sole 24 Ore del
15.02.2010) veniva riportata la
notizia che il Tribunale di Pistoia –contrariamente agli orientamenti espressi
dall'Aran, dalla Ragioneria generale dello
Stato e dalla Funzione pubblica– aveva
affermato per sentenza che i due istituti in
oggetto non si influenzavano fra di loro
(con la conseguenza che essi si sommavano e
non si riassorbivano).
Questa sentenza è poi stata seguita da una
giurisprudenza di merito conforme (Tribunali
della Spezia, di Rimini, dell'Aquila, di
Mantova), con la sola eccezione che era
costituita dal Tribunale di Milano.
Recentemente, la Corte d'appello di Firenze,
con sentenza n. 1160/2011, rigettando la
domanda avanzata in primo grado dall'ex
segretario generale della Provincia di
Pistoia, ha affermato che la percentuale
delle maggiorazioni, riconosciuta dall'ente
in caso di incarichi aggiuntivi, non può
essere applicata sulla retribuzione di
posizione già adeguata all'indennità
percepita dal dirigente maggiormente
retribuito dell'ente per effetto del
riallineamento stipendiale, qualora il
segretario non abbia fornito in giudizio la
prova sul fatto che l'incarico aggiuntivo
rappresenti e abbia rappresentato un onere
maggiore di quanto non lo sia in una diversa
realtà dove l'incarico aggiuntivo non sia
stato affidato.
In mancanza di tale prova, peraltro
piuttosto difficile da produrre, la regola
invocata dal lavoratore non può essere
applicata, non essendo stata fornita la
dimostrazione di un pregiudizio concreto
rapportato alla natura e all'impegno
dell'incarico aggiuntivo rispetto
all'incarico base.
Con una decisione che per certi aspetti si
può considerare a metà strada fra le
posizioni dell'Aran/Ragioneria generale
dello Stato e quelle delle organizzazioni
sindacali, il giudice di secondo grado ha
finito per spostare la questione: si passa,
cioè, da un piano strettamente
interpretativo –come era stato sempre
prospettato da entrambe le parti del
contenzioso fino a quel momento– a un piano
più concreto, che attiene in sostanza
all'aspetto probatorio.
Al di là del merito della questione, questo
ulteriore episodio ci ricorda, se ce ne
fosse bisogno, che ogni sentenza fa storia a
sé, e –oltre a ragionare sulle più corrette
interpretazioni delle norme (per le quali
probabilmente è opportuno conformarsi alle
indicazioni dell'Aran o della Ragioneria
generale dello Stato)– occorre che l'ente
abbia la sensibilità di gestire il rapporto
di lavoro in modo equo e corretto, nel
rispetto sia del lavoratore che degli
interessi della pubblica amministrazione (articolo Il Sole 24 Ore del
20.02.2012 - tratto da
www.ecostampa.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Per i segretari-direttori
un taglio basta e avanza. Sezioni riunite:
niente decurtazione per l'indennità da dg.
Ai segretari comunali cui siano state
conferite le funzioni di direttore generale
non si applica il taglio della retribuzione
del 10% prevista dall'articolo 6, comma 3,
del dl 78/2010, per tutti coloro che
rivestano incarichi pubblici.
Lo chiarisce definitivamente la Corte dei
conti, sezioni riunite, con la
deliberazione 03.02.2012 n. 5.
Dunque, per i
segretari-direttori generali (figura che
progressivamente si restringe ai soli comuni
con oltre 100.000 abitanti e alle province)
è operante solo un taglio stipendiale. Si
tratta di quello del 5% sulla retribuzione
eccedente i 90.000 euro, o del 10% sulla
retribuzione superiore ai 150.000 euro,
previsto dall'articolo 9, comma 2, sempre
del dl 78/2010.
Alla limatura stipendiale dell'articolo 9,
comma 2, del decreto, pertanto, non è
legittimo si aggiunga anche quella prevista
dall'articolo 6, comma 3.
Le sezioni riunite spiegano molto
chiaramente le motivazioni del loro parere.
A ben vedere, al segretario comunale
incaricato delle funzioni di direttore
generale spetta, secondo quanto prevede la
contrattazione collettiva, un'eventuale
compenso, che si aggiunge alle retribuzioni
di posizione e risultato connesse alle
funzioni di segretario.
Le sezioni riunite non hanno dubbio alcuno
nell'affermare che l'indennità connessa
all'incarico di direzione generale altro non
è se non un corrispettivo avente natura
retributiva, sebbene di portata ampiamente
variabile, come in precedenza sancito dalle
sezioni riunite in sede giurisdizionale,
sentenza n. 2/2009/QM.
Di conseguenza, la remunerazione per le
funzioni di direttore generale non ha nulla
a che vedere con i compensi per i titolari
«di incarichi qualsiasi tipo» di cui si
occupa l'articolo 6, comma 3, del dl
78/2010. Tale ultima norma, infatti, si
riferisce ad incarichi non connessi a
prestazioni di lavoro subordinato e, dunque,
non remunerati con compensi aventi natura
retributiva.
Come è noto, in precedenza la sezione
regionale di controllo della Lombardia col
parere 27.05.2011, n. 315 in merito
all'applicabilità dell'articolo 6, comma 3,
ai segretari comunali e direttori generali
aveva espresso un avviso diametralmente
opposto, a termini del quale l'espressione
«incarichi di qualsiasi tipo» si dovesse
riferire ad ogni genere di incarico, sebbene
rientrante nelle prestazioni lavorative
subordinate, regolate da contratti di
lavoro. Sicché al contributo di solidarietà
disciplinato dall'articolo 9, comma 2, si
sarebbe aggiunto anche il taglio del 10%.
La sezione Lombardia aveva successivamente
rivisto in senso diametralmente opposto la
propria posizione, col parere 28.09.2011, n. 495. Ma, nel frattempo, altre
sezioni regionali avevano abbracciato la
visione restrittiva inizialmente proposta.
Con la conseguenza che molte amministrazioni
locali hanno applicato il duplice taglio ai
segretari-direttori generali o hanno
congelato quota parte delle loro
retribuzioni.
Col parere delle sezioni riunite ogni
equivoco o dubbio deve ritenersi risolto.
Compreso il dubbio se l'articolo 6, comma 3,
possa applicarsi ai dirigenti o titolari di
posizioni organizzative, soggetti ai quali
spetta una retribuzione di posizione
connessa ad un incarico.
È evidente che a maggior ragione per questi
soggetti il taglio del 10% non è operante,
dovendosi applicare solo l'articolo 9, comma
2, del d.l. 78/2010 (articolo ItaliaOggi
del 10.02.2012 - tratto da
www.corteconti.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Tagli al compenso aggiuntivo per le funzioni
di Direttore Generale assegnate al
Segretario Comunale.
La Corte dei Conti Sezioni Riunite di
Controllo, con la
deliberazione
03.02.2012 n. 5, si esprime sulla questione di
massima rimessa dalla Sezione regionale
Veneto e, nel merito, esprime il seguente
avviso:
"che l'indennità prevista per il segretario
comunale che svolge anche le funzioni di
direttore generale -non essendo altro che
il corrispettivo previsto da un'espressa
previsione contrattuale per un'ulteriore
attività lavorativa- abbia natura
retributiva, con la conseguenza che rientra
nel trattamento economico complessivo del
segretario-direttore generale, in quanto
tale sottratto alla riduzione di spesa del
10 per cento prevista dall'art. 6, comma 3,
del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, e
soggetto, invece, ai tagli di cui all'art.
9, comma 2, del medesimo decreto-legge" (tratto da www.publika.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Segretari, anche i rogiti nel taglio di
solidarietà. Stipendi. Le indicazioni della
Ragioneria.
L'ALTRO CHIARIMENTO/
La stretta sugli aumenti automatici
determinata dalla legge di stabilità è
interpretativa e valida per il passato.
Due nuovi colpi alla busta paga dei
segretari comunali e provinciali. Arrivano
dalla Ragioneria generale dello Stato, che
in una nota girata a Palazzo Chigi,
Viminale, Anci, Upi e Aran risponde ai
«numerosi quesiti» che continuano a piovere
a Via XX Settembre dalle amministrazioni
locali sulla corretta applicazione delle
regole per gli stipendi dei vertici
amministrativi.
La prima brutta notizia riguarda i diritti
di rogito: secondo la Ragioneria rientrano
nella base di calcolo del «contributo di
solidarietà» che taglia del 5% la quota di
trattamento economico superiore a 90mila
euro e del 10% quella che supera i 150mila.
La tagliola si applica a tutte le entrate
dei segretari, compreso lo «scavalco» che
viene riconosciuto nei casi di reggenza di
altro ente: questi istituti, spiega la
Ragioneria, «hanno effetto sulla dinamica
retributiva, e di conseguenza concorrono al
raggiungimento delle soglie di reddito» che
fanno scattare la sforbiciata di
solidarietà.
Le istruzioni della Ragioneria tornano poi
sull'infinita questione del «galleggiamento»,
cioè lo strumento che consente alla busta
paga del segretario di non fermarsi prima di
quella riconosciuta al dirigente più alto in
carica. La legge di stabilità (articolo 4,
comma 26, della legge 183/2011) ha provato a
chiudere una partita aperta dal 2006,
stabilendo che il «galleggiamento» si
applica dopo le maggiorazioni riconosciute
per incarichi aggiuntivi, stoppando una
prassi che prima gonfiava la busta paga con
il galleggiamento, e poi aggiungeva la
maggiorazione come tassello "indipendente".
Il braccio di ferro, allora, si è spostato
sul carattere «interpretativo» o «innovativo»
della norma: la Ragioneria sancisce la prima
ipotesi, che di conseguenza offre alla
regola valore retroattivo e impedisce una
legittimazione ex post delle applicazioni
più "generose" del passato (articolo Il Sole 24 Ore del
13.01.2012). |
SEGRETARI COMUNALI:
OGGETTO: precisazioni in ordine alla
corretta interpretazione di talune
disposizioni normative con riguardo ai
segretari comunali e provinciali
(Ragioneria Generale dello Stato,
nota 10.01.2012 n. 191 di prot.).
---------------
Trattamento economico dei Segretari.
Con nota prot. n. 191 del 10.01.2012, la
Ragioneria Generale dello Stato dà
chiarimenti sul trattamento economico dei
Segretari Comunali e Provinciali con
specifico riferimento ai diritti di
segreteria per attività rogatoria dei
contratti e per l'applicazione del c.d.
"galleggiamento" (commento
tratto da www.publika.it). |
anno 2011 |
|
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI:
Maggiori oneri di personale
derivanti da nomina Segretario Comunale
titolare.
Secondo la Corte dei Conti Sez. Reg.le
Lombardia (parere
28.12.2011 n. 680) anche la nuova
nomina di Segretario Comunale titolare (in
precedenza ruolo ricoperto con "reggenza")
-con conseguenti maggiori oneri- non
consente all'ente di sottrarsi al rispetto
dei vincoli di finanza pubblica relativi
alle spese di personale; è onere
dell'amministrazione adottare modelli
organizzativi che consentano eventualmente
di nominare un Segretario titolare con i
necessari risparmi di spesa, ad esempio, la
nomina con la formula del convenzionamento
con altri enti (tratto da www.publika.it). |
SEGRETARI COMUNALI: Taglio
del 10% ai segretari.
Per i magistrati scatta la riduzione, ma la
Ragioneria è contraria
L'indennità di direzione generale attribuita
ai segretari comunali va decurtata del 10
per cento.
Sembra questa la tesi prevalente
delle Sezioni regionali della Corte dei
conti, nonostante un'interpretazione
differente da parte della Ragioneria
generale dello Stato.
La manovra estiva del 2010 (Dl 78/2010)
potrebbe, infatti, applicarsi a tale
compenso sulla base di due disposizioni.
L'articolo 6, comma 3, prevede, un taglio
del 10% alle indennità, compensi, gettoni e
retribuzioni corrisposte ai componenti di
organi di indirizzo, direzione e controllo,
consigli di amministrazione e a organi
collegiali comunque denominati ed ai
titolari di incarichi di qualsiasi tipo.
L'articolo 9, comma 2, prevede invece, una
riduzione del 5% per i compensi sopra i
90mila euro e del 10% per quelli oltre i
150mila euro.
L'indennità di direzione
generale corrisposta al segretario rientra
anch'essa in tali limitazioni? In caso di
risposta affermativa quale delle due norme
si deve applicare?
Secondo il recente
parere
23.11.2011 n. 215
della Corte dei conti dell'Emilia Romagna,
in analogia con i
pareri 27.05.2011 n. 315 e
03.11.2011 n. 554 della Lombardia, il compenso per la
direzione generale non può sfuggire
all'ambito di applicazione del taglio secco
del 10% previsto all'articolo 6; si opta
infatti per una applicazione generalizzata
della decurtazione comprendendovi la
remunerazione delle funzioni di direttore
generale attribuite al segretario, alla luce
dell'espresso riferimento letterale ai
titolari di incarico di qualsiasi tipo.
Chi la pensa diversamente è la Ragioneria
generale dello Stato. In risposta a una
specifica domanda del Comune di Ferrara
viene affermato, in una nota del 04.10.2011, che non appare applicabile a tali
compensi il taglio del 10% in quanto
l'articolo 6, comma 3, non riguarda i
redditi da lavoro dipendente, ma la
remunerazione per l'attività prestata in
organi collegiali o nello svolgimento di
incarichi di qualsiasi tipo. E la Rgs
ritiene che l'indennità per lo svolgimento
della funzione di direzione generale da
parte del segretario sia una voce che
concorre a determinare il trattamento
economico complessivo del soggetto in
questione, con il conseguente
assoggettamento a quanto previsto
dall'articolo 9, comma 2.
C'è disparità di vedute anche su un altro
tema affine. Ci si è infatti chiesti se
anche i diritti di rogito debbano rientrare
nel monte retribuzioni oggetto del taglio
del 5% se superiori a 90mila euro o del 10%
se superiori a 150mila euro. La Corte dei
conti del Veneto ha ritenuto che tale
compenso non sia da assoggettare alla
riduzione, in quanto la Sezione autonomie –con la deliberazione 16/2009– ha escluso
tali voci tra quelle utili ai fini del
calcolo della spesa di personale.
Per la Rgs le cose non stanno così, dato che
la finalità della disposizione è totalmente
differente. In risposta a un quesito posto
dal Comune di Bologna si precisa che i
diritti di segreteria relativi all'attività
rogatoria dei contratti nell'interesse
dell'ente rientrano nella nozione di
trattamento economico complessivo. Infatti
l'articolo 37 del Ccnl dei segretari
comunali e provinciali del 19.07.2001 li
menziona tra le voci che contribuiscono a
determinare la struttura della retribuzione
in godimento. In conclusione, tale
emolumento va incluso nel trattamento
economico su cui operare le decurtazioni
previste dall'articolo 9, comma 2, del Dl
78/2010
(articolo IL Sole 24
Ore del 05.12.2011 - link a
www.corteconti.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Remunerazione degli incarichi conferiti al
segretario comunale.
Testo del quesito:
Può essere corrisposta al segretario cui sia
stato conferito un incarico relativo
all’area delle posizioni organizzative di
cui agli artt. 8 e seguenti del CCNL Regioni
e Autonomie Locali del 31.03.1999, anche
la corrispondente retribuzione di posizione
ai sensi del successivo art. 10 dello stesso
CCNL, in aggiunta al compenso di cui
all’art. 41, comma 4, del CCNL dei segretari
comunali e provinciali del 16.05.2001?
Risposta:
Il comma 1 del citato art. 41 conferma “[…]
l’attribuzione del compenso denominato
retribuzione di posizione, collegata alla
rilevanza delle funzioni attribuite ed alle
connesse responsabilità in relazione alla
tipologia dell’ente di cui il segretario è
titolare. […]”. Tale compenso, precisa il
comma 6 dello stesso articolo, “[…] assorbe
ogni altra forma di compenso connessa alle
prestazioni di lavoro, ivi compreso quello
per lavoro straordinario […]”;
Il comma 4, invece, attribuisce agli enti la
facoltà di corrispondere, nell’ambito delle
risorse disponibili e nel rispetto della
capacità di spesa, una maggiorazione del
suddetto compenso.
Condizioni, criteri e parametri per
l’erogazione della suddetta maggiorazione
sono stati definiti con l’accordo di
contrattazione decentrata del 22.12.2003.
La lettura del contratto integrativo di cui
sopra, porta senza dubbio a ritenere che la
maggiorazione della retribuzione di
posizione, qualora sussistano le condizioni
per la sua erogazione, debba remunerare,
nella misura percentuale massima ivi
prevista, tutti gli incarichi ulteriori
eventualmente conferiti al segretario e
ricompresi nella tabella A allegata
all’accordo decentrato.
Deve escludersi, pertanto, un’ulteriore
retribuzione di posizione per l’incarico di
cui trattasi rispetto a quella spettante per
l’ordinaria attività di segretario comunale (quesito
30.11.2011 - tratto da
www.agenziasegretari.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Direttore Generale negli enti con
popolazione fino a 100.000 abitanti.
Testo del quesito:
È possibile conferire le funzioni di
direttore generale al segretario dopo
l’entrata in vigore della Legge Finanziaria
per il 2010?
Risposta:
La risposta al quesito presuppone la
ricognizione sintetica del quadro normativo
di riferimento in materia di soppressione
della figura del direttore generale,
attualmente prevista per i comuni inferiori
ai centomila abitanti.
La materia è stata recentemente disciplinata
dall’art. 2, commi 183-186, della legge 23.12.2009, n. 191 (finanziaria per il
2010). Le disposizioni di legge disponevano
in relazione alle riduzioni del contributo
ordinario spettante agli enti locali a
valere sul fondo ordinario di cui all’art.
34, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 30.12.1992, n. 504, l’adozione per i
comuni di specifiche misure di contenimento
della spesa per la macchina amministrativa
fra cui la soppressione generalizzata della
figura del direttore generale (art. 2, comma
186, lett. d), della legge citata).
Il decreto legge 25.01.2010, n. 2, ha
proseguito nell’intervento urgente di
contenimento delle spese negli enti locali.
Il decreto legge è stato convertito con
modifiche sostanziali nella legge 26.03.2010, n. 42. In sede di conversione,
l’originaria estinzione della figura del
direttore generale del comune è stata
limitata con la seguente locuzione “tranne
che nei comuni con popolazione superiore a
centomila abitanti” (art. 1-quater. lett. d).
della legge n. 42/2010).
Infine, è stata espressamente prevista la
salvezza della fase transitoria, mediante
l’esplicita indicazione che le disposizioni
di cui all’art. 2, comma 186, lettere a) e
d) della legge n. 191/2009, “si applicano in
ogni comune interessato dalla data di
scadenza dei singoli incarichi dei difensori
civici e dei direttori generali in essere
all’entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto”.
La legge di conversione, pertanto, ha
risolto il profilo del regime transitorio,
disciplinando la sorte della figura del
direttore generale in essere all’entrata in
vigore della legge, prevedendo l’esaurimento
del ruolo sino alla scadenza del singolo
incarico.
È opportuno sottolineare che, come chiarito
dalla Corte dei Conti Lombardia con pareri
nn. 593 e 594 del 2010, l’abolizione della
figura del direttore generale per i comuni
con popolazione inferiore o uguale a
centomila abitanti si deve estendere anche
al caso analogo, disciplinato dall’art. 108,
comma 4, del TUEL, ove si prevede la
possibilità che il segretario comunale
eserciti le funzioni di direttore generale.
La soppressione del ruolo istituzionale
concerne, dunque, il direttore generale
esterno all’amministrazione comunale, nonché
il doppio incarico conferito al segretario
comunale in assenza di posizione
direttoriale ai sensi del suddetto art. 108.
Pertanto, allo scadere dell’incarico del
segretario comunale attribuito prima
dell'01.01.2010, non sarà più possibile, per
gli enti con popolazione fino a 100.000
abitanti, conferire l’incarico di direttore
generale ad alcun soggetto (quesito
30.11.2011 - tratto da
www.agenziasegretari.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Spese di viaggio.
Testo del quesito:
Quali sono gli effetti del decreto prot. n.
25402 del 17.05.2011 a firma del
Presidente dell’Unità di Missione, in ordine
al rimborso delle spese di viaggio ai
segretari comunali e provinciali?
Risposta:
Si deve preliminarmente premettere, al
riguardo, che con nota prot. n. 7373 del 10.05.2011, il Ministero dell’Interno ha
trasmesso a questa ex Agenzia “per opportuna
conoscenza e gli eventuali adempimenti conseguenziali”, il parere con cui il
Ministero dell’economia e delle finanze,
Ragioneria Generale dello Stato, si è
espresso con riguardo all’applicabilità ai
segretari comunali e provinciali dell’art.
6, comma 12, del D.L. n. 78/2010, convertito
in Legge n. 122/2010.
Col suddetto parere, il Ragioniere Generale
ha ritenuto, in linea con quanto enunciato
dalla Corte dei Conti a Sezioni riunite con
deliberazione n. 9/CONTR/11, di non doversi
considerare disapplicata per i segretari la
disposizione di cui all’art. 45, comma 2,
del CCNL di categoria del 16.05.2001,
reputando altresì opportuno chiarire
ulteriori punti in materia.
In particolare, ha precisato che:
“a) deve ritenersi disapplicata qualsiasi
disposizione, a qualsiasi titolo posta in
essere, che ancori l’entità del rimborso
chilometrico alle tariffe ACI. Viceversa
deve ritenersi attribuibile solo
un’indennità chilometrica pari ad un quinto
del costo della benzina verde per ogni
chilometro;
b) nelle convenzioni di segreteria devono
essere predeterminate puntuali misure volte
a circoscrivere gli spostamenti del
Segretario tra una sede e l’altra a quanto
strettamente necessario alle esigenze
lavorative, attraverso una programmazione
delle presenze che riduca al minimo
indispensabile gli oneri di rimborso per gli
enti;
c) si ritiene altresì che nessun rimborso
spetti per i tragitti abitazione–luogo di
lavoro e viceversa.”.
Sulla scorta di tali indicazioni si è
provveduto a revocare, con decreto prot. n.
25402 del 17.05.2011, tutte le
precedenti delibere in materia. Trattandosi
di revoca, essa ha efficacia ex nunc.
Dal 17.05.2011, pertanto, il rimborso delle
spese di viaggio è ammesso solo per i
segretari che svolgono servizio (siano essi
titolari, segretari in disponibilità
incaricati di reggenza o supplenza,
segretari a scavalco) presso sedi di
segreteria convenzionate e secondo le
modalità e i criteri di cui alla citata nota
della Ragioneria Generale dello Stato (quesito
30.11.2011 - tratto da
www.agenziasegretari.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Retribuzione di posizione, “galleggiamento”
e nuovi CCNL.
Testo del quesito:
Quali sono le corrette modalità di
applicazione del meccanismo del
galleggiamento, a seguito della
sottoscrizione del CCNL dell'01.03.2011?
Risposta:
È opportuno richiamare, al riguardo, l’art.
3, comma 7, del CCNL dei segretari comunali e
provinciali per il biennio economico
2008-2009 sottoscritto l'01.03.2011, ai
sensi del quale “Fermo restando quanto
previsto dal comma 6, ai soli fini
dell’attuazione delle previsioni dell’art.
41, commi 4 e 5, del CCNL del 16.05.2001, relativo quadriennio normativo
1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999,
trovano applicazione gli importi annui lordi
complessivi, per tredici mensilità, della
retribuzione di posizione del segretario,
come definiti dall’art. 3, comma 2, del CCNL
del 16.05.2001, relativo al biennio
economico 2000-2001.”.
È evidente, pertanto, come il conglobamento
di una quota della retribuzione di posizione
nello stipendio tabellare operato dal nuovo
contratto collettivo, non rilevi né ai fini
del calcolo della maggiorazione della
retribuzione di posizione né
dell’applicazione del meccanismo del c.d.
galleggiamento, per l’eventuale erogazione
dei quali si dovrà tenere conto
dell’indennità di posizione così come
definita dal CCNL del 16.05.2001 (quesito
30.11.2011 - tratto da
www.agenziasegretari.it). |
SEGRETARI COMUNALI: Art.
9, comma 1, D.L. 78/2010: Direttori
Generali/Segretari di Unioni e Dirigenti ex
art. 110 TUEL.
Su quanto in oggetto e su quesiti del Comune
di Mirandola, si pronuncia la Corte dei
Conti Sez. Reg.le Emilia Romagna con
parere 23.11.2011 n. 215; i
passaggi fondamentali:
"Il trattamento percepito dal Direttore
generale dell'Unione non scelto tra i
Segretari dei Comuni ad essa aderenti, bensì
reclutato all'esterno mediante contratto a
tempo determinato, infatti, non sembra poter
rientrare tra le componenti variabili della
dinamica retributiva. La previsione,
mediante deliberazione della Giunta, di un
meccanismo di incremento annuo del compenso,
pare infatti precludere la possibilità di
considerare gli emolumenti in argomento come
derivanti da eventi straordinari".
"La medesima disciplina applicabile al
trattamento economico percepito dal
Direttore generale dell'Unione, reclutato
all'esterno mediante contratto a tempo
determinato, s'impone per le indennità ad personam dei dirigenti a tempo determinato,
assunti ai sensi dell'art. 110, comma 1, del
d.lgs. 267/2000, le quali sono notoriamente
caratterizzate da fissità e continuatività.
Pertanto, la relativa disciplina, di cui al
d.l. deve essere ancora una volta ricercata
nell'art. 9, comma 1".
"La voluntas legislatoris alla base
dell'art. 9, co. 1, infatti, sembra quella di
'congelare' il trattamento economico
complessivo dei pubblici dipendenti, a
prescindere dalla tipologia di contratto
sottostante"
(tratto da www.publika.it). |
ENTI LOCALI - SEGRETARI COMUNALI:
Tagli al trattamento economico
del Segretario Comunale incaricato delle
funzioni di Direttore Generale ed altre
fattispecie.
La Corte dei Conti Sez. Reg.le Veneto, con
parere 17.11.2011 n. 400:
1) rimette alle Sezioni Riunite la seguente
questione di massima "...se la
decurtazione del dieci per cento prevista
dall'articolo 6, comma 3, del decreto legge
31.05.2010, n. 78, convertito nella legge
30.07.2010 n. 122, vada applicata
all'indennità, prevista dall'art. 44 del
C.C.N.L. dei segretari comunali e
provinciali, corrisposta al segretario
generale ....incaricato, ai sensi dell'art.
108 del d.lgs. 267/2000, delle funzioni di
direttore generale";
2) conferma l'orientamento consolidato in
base al quale i compensi del Difensore
Civico sono assoggettati alla decurtazione
(taglio lineare del 10%) di cui all'art. 6,
comma 3, del D.L. 78/2010, in quanto aventi
carattere indennitario;
3) relativamente alla nomina di membri di
CDA di società a totale partecipazione
pubblica, effettuata direttamente
dall'Assemblea societaria, in favore di
soggetti titolari di cariche elettive in
amministrazioni locali diverse, declina: "in
base ad una stretta interpretazione
letterale della disposizione in esame,
ritiene che qualora il soggetto che
conferisca l'incarico sia una società non
ricompresa nell'elenco di cui ai commi 2 e 3
della legge 196/2009 (soggetti che
compongono il settore istituzionale delle
amministrazioni pubbliche individuati
dall'ISTAT), non trovi applicazione il
ricordato art. 5, comma 5", (che
preclude ogni forma di retribuzione per lo
svolgimento di qualsiasi incarico conferito
dalle pubbliche amministrazioni, fatto salvo
il solo rimborso delle spese sostenute ed
eventuali gettoni di presenza di importo
comunque non superiore a 30 euro a seduta)
(tratto da www.publika.it). |
SEGRETARI COMUNALI: Decurtazione
compensi del Segretario Comunale incaricato
delle funzioni di Direttore Generale.
In merito a quanto in oggetto, la Corte dei
Conti Sez. Reg.Le Lombardia, con
il
parere 03.11.2011 n. 554, ritiene
che:
"Il compenso connesso all'attribuzione dell'incarico di direttore generale dell'ente
locale è quindi assoggettato alla previsione
di cui all'art. 6, comma 3, del D.L.
78/2010...Tale ultima norma è più specifica
(e deteriore) rispetto alla disciplina
dettata dall'art. 9, comma 2, del D.L.
78/2010 e dunque trova applicazione
esclusiva per il principio di specialità
rispetto ad altre disposizioni
apparentemente applicabili alla fattispecie.
Peraltro il taglio del 10 per cento sui
compensi percepiti ai sensi dell'art. 6,
comma 3, del D.L. 78/2010 si applica sull'intero
importo della somma erogata e pertanto ha
un'incidenza molto più penalizzante
rispetto alla decurtazione operata dall'art.
9, comma 2, del medesimo decreto."
"Al dualismo della posizione giuridica
corrisponde il dualismo sia della posizione
economica sia, in conseguenza, dei tagli che
non possono essere cumulati, stante la
concorrenza di due disposizioni di legge di
cui una generale (art. 9, commi 1 e 2) ed
un'altra speciale (art. 6, comma 3), con
applicazione di quest'ultima al caso in
esame"
(tratto da www.publika.it). |
SEGRETARI COMUNALI: Più
magre le buste dei segretari.
Si applica prima il galleggiamento o la
maggiorazione nel calcolo della retribuzione
di posizione dei segretari comunali e
provinciali?
La questione, che si trascina ormai da un
quinquennio, trova il suo epilogo nella
legge di stabilità, la quale
prevede che la maggiorazione preceda il
galleggiamento, abbracciando l'ipotesi meno
favorevole ai segretari. D'altronde, non
poteva essere diversamente, in un periodo di
limiti e vincoli alla spesa pubblica.
Come si ricorderà, la vicenda prende avvio
nel 2006 con la contrapposizione che vedeva
da un lato l'Aran e la Ragioneria dello
Stato, che volevano applicare prima il
galleggiamento di cui all'articolo 41, comma
5, del Ccnl 16.05.2001, mentre dall'altro
lato si schieravano l'Agenzia per la
gestione dell'albo dei segretari e le
organizzazioni sindacali, per le quali
doveva avere la precedenza la maggiorazione
prevista dall'articolo 41, comma 5, del
medesimo Ccnl.
Anche il tentativo di ottenere
l'interpretazione autentica, promosso dalla
stessa Ages, ha ricevuto un rifiuto fermo e
netto da parte dell'Aran. Per quest'ultima,
la questione era già sufficientemente
chiara: la comparazione per la
determinazione dell'importo del
galleggiamento deve effettuarsi fra la
posizione dirigenziale più elevata presente
nell'ente e la retribuzione di posizione del
segretario, intendendo come tale quella
determinata in base alla tipologia e alla
dimensione del l'ente, a cui si deve
aggiungere l'eventuale maggiorazione di
retribuzione riconosciuta dal
l'amministrazione per incarichi ulteriori e
aggiuntivi.
Seguendo le indicazioni dell'Aran e della
Ragioneria dello Stato, le amministrazioni
locali hanno calcolato gli stipendi dei
segretari applicando prima la maggiorazione
e poi il galleggiamento. E contro tale
impostazione, alcuni segretari comunali
hanno impugnato gli atti conseguenti,
trovando piena ragione in sede di
contenzioso. Ne sono esempi le sentenze del
Tribunale di Pistoia, di La Spezia, di
Rimini, dell'Aquila e di Mantova.
Forse proprio questo fiume di pronunce
sfavorevoli agli enti e alle casse pubbliche
ha spinto il legislatore a disporre un
intervento, alquanto bizzarro, di "interpretazione"
di una disposizione inserita in un contratto
collettivo di lavoro. Come tale, non può
definirsi "autentica" in quanto
promana da soggetto diverso dall'originario
e, quindi, può disporre solo per il futuro.
La legge di stabilità, all'articolo 4, comma
26, impone il calcolo del galleggiamento,
prendendo a base sia la retribuzione di
posizione in godimento del segretario, sia
l'eventuale maggiorazione. Sposando, di
fatto, la linea dell'Aran e della Ragioneria
dello Stato. Dall'01.01.2012, sarà, quindi,
vietato calcolare la maggiorazione della
retribuzione di posizione in modo difforme
da quello indicato nella legge di stabilità
e, quindi, andando a quantificare
maggiorazione e galleggiamento in maniera
disgiunta o, peggio ancora, porre il
galleggiamento a base della maggiorazione.
Dovranno cessare dunque dall'anno prossimo
le interpretazioni "generose" nei
confronti dei segretari, pena ipotesi di
danno erariale in quanto i compensi in
questione sarebbero elargiti contra legem.
Permane l'obbligo, invece, di dare
esecuzione a tutte le decisioni, anche in
senso contrario, adottate dai giudici entro
alla fine dell'anno
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.10.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
SEGRETARI COMUNALI: Stipendi
dei segretari, galleggiamento limitato.
Limitato il «galleggiamento» dello
stipendio dei segretari comunali e
provinciali.
Il
ddl di stabilità
per il 2012 interviene sul
controverso istituto regolato dall'articolo
41, commi 4 e 5, del Ccnl 16.05.2011, allo
scopo di contenerne gli effetti finanziari
distorsivi e di superare i problemi posti da
alcune sentenze dei giudici del lavoro.
La «clausola del galleggiamento» ha
lo scopo di perequare la retribuzione di
posizione dei segretari a quella del
dipendente di ruolo meglio retribuito. La
relazione tecnica allegata al ddl rileva che
in molti casi, dalle verifiche ispettive, è
emerso che l'istituto è stato applicato in
modo distorto. Tra i tanti problemi posti,
quello di capire se nella retribuzione di
posizione del segretario dovesse
comprendersi o meno l'incremento consentito
dall'articolo 41, comma 4, del Ccnl
16.05.2011, dovuto all'attribuzione di «incarichi
ulteriori». Molti enti hanno apportato
alla retribuzione di posizione sia detto
incremento per incarichi ulteriori, sia il
galleggiamento, senza assorbire nel
galleggiamento stesso l'incremento
contrattuale.
La Ragioneria generale dello Stato e l'Aran
si sono espressi in senso totalmente
opposto. Tuttavia, nell'ambito dell'ampio
contenzioso giudiziale emerso, la
giurisprudenza di merito, in primo grado, si
è orientata nel senso maggiormente
favorevole ai segretari, causando con ciò «effetti
onerosi per i bilanci degli enti e quindi
per la finanza pubblica», come
sottolinea la relazione tecnica al ddl.
Per tale ragione, il legislatore intende
eliminare i dubbi interpretativi e porre un
argine agli effetti negativi, in termini
retributivi, delle sentenze finora emanate.
Per questa ragione, si prevede che
l'allineamento stipendiale «si applica
alla retribuzione di posizione
complessivamente intesa, ivi inclusa
l'eventuale maggiorazione di cui al comma 4
del medesimo articolo 41. A far data
dall'entrata in vigore della presente norma
è fatto divieto di corrispondere somme in
applicazione dell'art. 41, comma 5, del Ccnl
del 16.05.2001 diversamente conteggiate,
anche se riferite a periodi già trascorsi».
Di conseguenza, gli incrementi per gli «incarichi
aggiuntivi» finiranno per ridurre
l'ammontare del galleggiamento.
Il ddl di stabilità farà, tuttavia, salva
l'esecuzione dei giudicati formatisi alla
data di entrata in vigore della presente
legge.
Rimane, tuttavia, interamente irrisolto il
problema dell'ammissibilità nell'ordinamento
di una clausola di galleggiamento
stipendiale come quella regolata dal Ccnl
dei segretari comunali, vigente l'articolo
2, comma 4, del decreto legge 333/1992,
convertito nella legge 438/1992,
interpretato autenticamente dall'articolo 7,
comma 7, del decreto legge 384/1992,
convertito in legge 438/1992, a mente del
quale «l'art. 2, comma 4, del dl
11.07.1992, n. 333, convertito, con
modificazioni, dalla L. 08.08.1992, n. 359,
va interpretato nel senso che dalla data di
entrata in vigore del predetto decreto-legge
non possono essere più adottati
provvedimenti di allineamento stipendiale,
ancorché aventi effetti anteriori
all'11.07.1992»
(articolo ItaliaOggi del 18.10.2011
- link a www.ecostampa.it). |
SEGRETARI COMUNALI: Segretari, ex agenzia paralizzata.
Braccio di ferro sul bilancio. E la
formazione resta al palo. Nonostante
l'abolizione nel 2010 l'organismo è ancora
in vita. Ma in amministrazione provvisoria.
Quando Tremonti nella manovra 2010 la
cancellò con un tratto di penna, il ministro
dell'economia raccolse consensi un po'
dappertutto. Da sempre additata come un
inutile carrozzone mangia-soldi (tra
indennità faraoniche degli organi di
gestione, spese folli e sedi inutili)
l'Agenzia dei segretari comunali e
provinciali, nonostante l'abrogazione, è più
viva che mai.
Sarebbe dovuta passare sotto il controllo
del ministero dell'interno, ma solo a
seguito di un apposito decreto
interministeriale che non è mai stato
emanato.
E così, l'ex Ages, come previsto dalla legge
(dl 78/2010) continua a esercitare
«l'attività già svolta dall'Agenzia presso
la sede e gli uffici a tale fine
utilizzati». Il che significa: continua a
fare quello che ha sempre fatto. Conserva la
titolarità dei contratti stipulati, ne
sottoscrive di nuovi, mantiene autonoma
posizione fiscale, previdenziale e
assistenziale. E soprattutto continua a
incassare i contributi da comuni e province
(sono stati abrogati dal dl 78, ma subito è
intervenuto il milleproroghe 2010 a far
slittare al 31/12/2011 la cancellazione
dell'obolo a carico degli enti). Fa tutto
questo in amministrazione provvisoria, ossia
non potendo spendere più del necessario a
garantire l'attività istituzionale minima. E
meno male, direbbe qualcuno, dopo anni di
vacche grasse.
Il problema è che lo stato di paralisi in
cui si trova l'Agenzia (per la cui gestione,
dopo lo scioglimento del cda nel 2010, il
Viminale ha istituito un'unità di missione a
capo della quale ha posto il prefetto
Umberto Cimmino) sta bloccando le attività
formative della Scuola superiore della
pubblica amministrazione locale. Forse
l'unica ragione perché l'Ages resti
operativa. Alla Sspal, che dipende
dell'Agenzia, compete l'aggiornamento
professionale dei segretari e il
reclutamento degli stessi attraverso
l'organizzazione di Corsi-concorsi che
ovviamente risultano congelati.
I sindacati (Cgil Funzione Pubblica, Cisl
Fps, Uil Fpl e Unione nazionale dei
segretari comunali e provinciali) sono sul
piede di guerra e in una missiva unitaria
indirizzata allo stesso Cimmino e al
ministro dell'interno Roberto Maroni hanno
chiesto una rapida approvazione dei
documenti di bilancio (rendiconto 2010 e
preventivo 2011) indispensabili per far
ripartire le attività a pieno regime.
Ma una querelle tra lo stesso Cimmino e il
neonato Comitato di sorveglianza, nominato
da Maroni nello scorso luglio per
«assicurare un'indefettibile azione di
controllo sulle attività dell'ex Ages» fino
al trasferimento di funzioni al Viminale,
sta bloccando tutto. Cimmino, forte anche
del parere conforme della Corte dei conti
(delibera n. 5/2011 della sezione autonomie),
non vuole proprio saperne di approvare il
bilancio in mancanza di organi di controllo
interno, ossia senza il collegio dei
revisori. E preferisce andare avanti alla
giornata con la gestione provvisoria,
nonostante la «grave crisi di liquidità» che
lo stesso Cimmino riconosce essere alle
porte.
Per il comitato di sorveglianza,
invece, il collegio dei revisori c'è ed è
pienamente operativo. «Non sembra che il
venir meno degli organi dell'Ages», si legge
nella relazione al bilancio di previsione
2011 depositata dal Comitato lo scorso 4
agosto, «abbia fatto decadere il collegio
dei revisori, tanto è vero che lo stesso
collegio ha continuato a svolgere attività
istituzionale e ad essere regolarmente
retribuito».
«La decisione di non approvare
il bilancio di previsione 2011 e la
relazione programmatica nei termini
previsti», prosegue l'organo composto da
Maurizio Delfino, Maurizio Bruschi e Luigi
Barbero, «non è giustificata da alcun
elemento giuridico, posto che, ai sensi del
dl 78/2010, la successione del ministero
dell'interno nelle funzioni dell'ex Ages non
opera immediatamente, ma solo a seguito di
uno specifico decreto».
In pratica, secondo
il Comitato, poiché il passaggio di consegne
tra Agenzia e ministero si avrà solo dopo
l'adozione di questo provvedimento, «sarebbe
stato opportuno procedere con l'approvazione
del bilancio di previsione» per far fronte
alle tante obbligazioni assunte verso
dipendenti, fornitori e banche.
Intanto, la tensione sale. All'interno della
categoria e nelle stanze del ministero
dell'interno. Dove più d'uno pare
intenzionato a chiedere a Maroni la testa di
Cimmino, reo di essere troppo poco
decisionista. Mentre i sindacati, forse
sbagliando bersaglio, se la sono presa col
Comitato di sorveglianza accusandolo di
essere il vero responsabile della mancata
approvazione del bilancio. Quando si dice:
oltre al danno la beffa
(articolo ItaliaOggi del 03.09.2011). |
PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Segretari tuttofare.
Autentica delle quietanze liberatorie. Nel
dl 70/2011 la nuova competenza in materia di assegni.
Segretari comunali e dipendenti incaricati
dal sindaco per le autentiche di firma sono
competenti anche per le autentiche delle
quietanze liberatorie disciplinate dalla
legge 386/1990.
È una novità prevista
dall'art. 8, comma 7, lett. f-bis) della
legge 106/2011, in sede di conversione del
dl 70/2011.
Tale disposizione ha aggiunto
all'art. 8 della legge 386/1990, recante la
disciplina sanzionatoria degli assegni
bancari, dopo il comma 3 relativo alle
quietanze liberatorie inerenti ad assegni
emessi senza provvista, il comma 3-bis il
quale prevede che «l'autenticazione di cui
al comma 3 del presente articolo è
effettuata ai sensi dell'articolo 21, comma
2, del T.u. di cui al decreto del presidente
della repubblica 28.12.2000, n. 445.
L'autenticazione deve essere rilasciata
gratuitamente, tranne i previsti diritti,
nella stessa data della richiesta, salvo
motivato diniego».
Con riferimento alla autenticazione della
quietanza liberatoria, la competenza del
segretario comunale e del dipendente
incaricato dal sindaco alle autentiche di
firma è stata a lungo controversa. Tuttavia
negli ultimi tempi, dopo una risoluzione del
ministero dell'interno del 20 giugno 2006 e
i due pareri dell'Agenzia dei segretari del
06.03.2009 e del 22.06.2010, era ormai
chiaro che né il segretario comunale né il
dipendente incaricato dal sindaco avevano
competenza in materia e che unico soggetto
competente a tale tipo di autenticazione era
il notaio.
A tale conclusione si perveniva in quanto la
quietanza è un atto a forma vincolata con il
quale il creditore, liberando il debitore,
non si limita a dichiarare di aver ricevuto
una data somma di denaro a fronte di un
assegno sprovvisto di copertura ma esprime
una volontà ben precisa volta a liberare il
debitore dalla obbligazione contratta. Si
tratta quindi di un atto negoziale tra
privati, sottratto al regime di
autenticazione previsto dal dpr 445/2000
sulla documentazione amministrativa, di
esclusiva competenza notarile in assenza di
una norma speciale quale ad esempio l'art. 7
del dl 223/2006 sul passaggio di proprietà
dei beni mobili registrati.
L'Agenzia dei segretari aveva espresso tale
orientamento anche in riferimento a comuni
privi di sede notarile precisando che anche
la Banca d'Italia aveva comunicato la
necessità che a tale autentica procedesse un
notaio e non un altro pubblico ufficiale. La
nuova normativa prevede ora invece che
l'autenticazione relativa alle quietanze
liberatorie è effettuata ai sensi dell'art.
21, comma 2, del dpr 445/2000 e quindi anche
dal segretario comunale o dal dipendente
incaricato dal sindaco.
Il legislatore pertanto non solo ha
allargato l'ambito dei soggetti competenti
alla autenticazione delle quietanze
liberatorie, comprendendo tra questi anche
il segretario comunale e il dipendente
incaricato dal sindaco, ma ha assimilato le
stesse alle istanze o alle dichiarazioni
sostitutive di atto di notorietà
disciplinando anche costi e tempi del
rilascio. Ora per l'autenticazione delle
quietanze liberatorie sarà quindi
sufficiente recarsi in comune sostenendo una
spesa spesso di soli 0,52 euro oltre al
bollo
(articolo ItaliaOggi
del 12.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it). |
SEGRETARI COMUNALI: Segretari,
rimborsi double face. Sì ai pagamenti.
Commisurati a 1/5 del prezzo della benzina.
Le limitazioni imposte dal legislatore alla
spesa per missioni del personale pubblico,
contenute all'articolo 6, comma 12, della
manovra correttiva dei conti pubblici 2010,
non disapplicano le norme contrattuali in
materia di rimborsi spese per i segretari
comunali cosiddetti a scavalco , contenute
all'art. 45, comma 2 ...
(articolo
ItaliaOggi del 15.06.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Doppio taglio agli stipendi dei
direttori generali. Lo dicono la corte
conti della Lombardia e
della Toscana.
Doppio taglio agli stipendi dei direttori
generali. Secondo la Corte dei conti,
infatti, si applicano contemporaneamente
l'articolo 6, comma 3, e l'articolo 9, comma
2, del dl 78/2010, convertito in legge
122/2010.
Lo hanno stabilito le sezioni per
la Lombardia, col
parere 27.05.2011 n.
315, e per la Toscana, col
parere 03.05.2011 n. 67.
L'articolo 6, comma 3, della manovra estiva
2010 stabilisce che dispone che, a decorrere
dall'01.01.2011, le indennità, i
compensi, i gettoni, le retribuzioni o le
altre utilità comunque denominate
corrisposti dalle pubbliche amministrazioni
ai componenti di organi di indirizzo,
direzione e controllo, consigli di
amministrazione e organi collegiali comunque
denominati ed ai titolari di incarichi di
qualsiasi tipo sono automaticamente ridotte
del 10% rispetto agli importi risultanti
alla data del 30.04.2010.
Dunque, secondo la magistratura contabile,
poiché la norma si riferisce ai titolari di
incarichi di qualsiasi tipo, per garantire
che sia colta la sua finalità e, cioè, un
risparmio per le casse pubbliche, si deve
necessariamente ricondurre l'assegnazione
delle funzioni di direttore generale alla
tipologia appunto di incarichi. Ne discende
l'irrimediabile taglio del 10% al compenso.
Non finisce qui, però. Poiché i direttori
generali, sia che si tratti di segretari
comunali cui sia stata conferita la
specifica funzione, sia che si tratti di
soggetti esterni assunti ai sensi
dell'articolo 108 del dlgs 267/2000, sono
dipendenti pubblici assimilabili alla
dirigenza, nei loro confronti scatta anche
la disposizione dell'articolo 9, comma 2,
della manovra 2010. Per effetto della quale
la parte di trattamento economico superiore
ai 90.000 euro viene decurtata del 5%; la
parte che supera i 150.000 euro, del 105.
Sul punto, tuttavia, tra la sezione Toscana
e quella Lombardia pare rinvenirsi una
divergenza. Infatti, la magistratura
contabile della toscana intende riferire la
piena applicazione dell'articolo 6, comma 3,
della manovra solo ai segretari comunali
incaricati anche come direttori. La sezione
afferma che «la figura del direttore
generale, qualora incaricato ai sensi
dell'art. 108 Tuel, soggiace invece al
disposto di cui all'art. 9, comma 2 del
citato dl 78/2010 convertito nella legge
122/2010». Dunque, per il direttore generale
«esterno» opererebbe solo il taglio
specifico previsto per la dirigenza.
A parte l'ormai consueta diversificazione di
vedute tra sezioni, in ogni caso le
valutazioni espresse sul merito da parte
della magistratura contabile non appaiono
condivisibili. I pareri della sezione
Lombardia e Toscana sembrano eccessivamente
preoccupati dalla necessità di dare
effettività ai risparmi previsti dalla
legge, così finendo abbastanza chiaramente
per andare oltre gli stessi intenti del
legislatore. L'applicazione ai direttori
generali dell'articolo 6, comma 3, è da
escludere recisamente per almeno due
ragioni.
In primo luogo, l'articolo 6, comma 3, va
letto per intero. Il suo ultimo periodo
dispone: «La riduzione non si applica al
trattamento retributivo di servizio». Il
legislatore, dunque, in modo forse
sintetico, afferma comunque abbastanza
chiaramente che la riduzione secca del 10%
non opera nei confronti degli emolumenti
connessi ai trattamenti economici del
personale dipendente, che con gli enti
conducano un rapporto di lavoro subordinato.
In effetti, oggetto dell'articolo 6, comma
3, sono i compensi per incarichi di
tutt'altro tipo, i cui redditi non sono la
remunerazione di lavoro dipendente:
presidenti e amministratori di società,
componenti di organismi di controllo e
similari.
Per i lavoratori dipendenti si applicano le
disposizioni fissate dall'articolo 9 della
manovra 2010, il quale contiene la norma
speciale per la dirigenza esplicitata al
comma 2.
Di conseguenza, e questa è la seconda
motivazione, ai lavoratori dipendenti non
può che essere applicata la regola
precipuamente riservata loro. E questo vale
non solo per il direttore generale esterno,
come afferma la Corte dei conti della
Toscana, ma anche per il segretario cui sia
stata conferita la funzione di direttore
generale. Infatti, tale incarico è connesso
inscindibilmente al rapporto di lavoro
condotto con l'ente e, per altro, è
espressamente regolato (anche se non
quantificato) dalla contrattazione nazionale
collettiva dell'area dei segretari.
Pertanto, l'eventuale indennità rappresenta
comunque una prestazione stipendiale legata
al «trattamento retributivo di servizio».
Per quanto le interpretazioni della
magistratura contabile abbiano messo in
allarme gli uffici, i quali si sono
allertati per operare entrambe le
decurtazioni, non può che prendersi atto
dell'eccessiva rigidità dei pareri e della
loro incompatibilità con i veri intenti
della manovra, confermati dalla lettura
sistematica degli articoli 6 e 9 della legge
122/2010, dalla quale deriva senza alcun
dubbio l'inapplicabilità del taglio di cui
al comma 3 dell'articolo 6 ai direttori
generali
(articolo ItaliaOggi del 27.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Procedimento di nomina.
Testo del quesito:
Quali sono i termini che deve rispettare il
Sindaco o il Presidente della Provincia
neoeletto nell’ambito della procedura del
nuovo segretario?
Risposta:
Il quadro normativo di riferimento è
rappresentato dall’art. 15, comma 2, del
d.P.R. n. 465/1997, ai sensi del quale “[…]
il sindaco e il presidente della provincia,
previa comunicazione al segretario titolare,
esercitano il potere di nomina del
segretario non prima di sessanta giorni e
non oltre centoventi giorni dalla data del
loro insediamento. In caso di mancato
esercizio del potere di nomina da parte del
sindaco e del presidente della provincia, il
segretario in servizio presso la sede si
intende confermato.”.
Il dettato normativo appare, dunque,
oltremodo chiaro, giacché è inequivocabile
che la nomina deve essere disposta non oltre
il centoventesimo giorno successivo
all’insediamento.
Il termine di centoventi giorni, peraltro,
ha natura perentoria, considerato che al
decorso degli stessi è collegata la
definizione della posizione giuridica
soggettiva del segretario titolare della
sede che, altrimenti, verrebbe rinviata
sine die, con evidente elusione del
disposto normativo.
È da ritenere che l’effetto dello spirare
dei termini e la conseguente conferma del
segretario titolare non può ridursi ad una
mera misura sanzionatoria per comportamento
imputabile alla amministrazione procedente,
ma trova la propria ratio, da un
lato, nell’esigenza di garantire la
continuità funzionale dell’ufficio di
segreteria, dall’altro, nella necessità di
tutelare la posizione del segretario
titolare, il cui rapporto di servizio non
può essere esteso in regime di prorogatio
oltre il congruo termine di 120 gg.
individuato dal legislatore in funzione
della certezza dei rapporti giuridici e
della tutela della professionalità.
Il suddetto termine, pertanto, non può
essere derogato per volontà delle parti, a
prescindere da qualsivoglia valutazione di
merito o dalla presenza di un qualche
comportamento imputabile o meno alla P.A.
tenuta ex lege ad ottemperarvi.
Appare utile evidenziare, del resto, che se
il Consiglio di Stato si è espresso in
alcune sentenze a suffragio della tesi
secondo la quale il termine di 120 giorni si
riferisce all’avvio del procedimento di
nomina e non alla sua conclusione, per
contro, lo stesso Consesso in sede
giurisdizionale, Sezione V, con sentenza n.
4694 del 31.07.2006, ha stabilito che: “[…]
è da reputarsi illegittima (benché, in
effetti, non nulla, stante il tenore del
nuovo art. 21-septies della L. n. 241/1990
che non sembra riferirsi anche al fenomeno
della «carenza di potere in concreto»)
l’individuazione intervenuta dopo lo spirare
del termine perentorio di 120 giorni [...].
Al cospetto di un’individuazione pervenuta
fuori termine l’Agenzia deve tuttavia
astenersi ugualmente dalla successiva
assegnazione, onde impedire la nomina da
parte dell’amministrazione locale; ciò, non
solo e non tanto per l’illegittimità, sopra
messa in luce, dell’atto d’individuazione,
ma per la preminente considerazione della
sicura inefficacia di qualunque nomina
eventualmente disposta dopo lo spirare dei
120 giorni di cui all’art. 99 del T.u.e.l..
Tale inefficacia dell’atto di nomina
discende dalla sua nullità.”.
Sempre il Consiglio di Stato, nella sentenza
n. 1797/2007, afferma che “[...]
All’Agenzia spetta [...] di dare corso alla
procedura di individuazione del segretario
titolare nei sessanta giorni dalla vacanza,
[...] onde concludere la procedura nei
successivi centoventi giorni con
l’accettazione della nomina da parte del
segretario. […]”.
La procedura di nomina, pertanto, deve
concludersi entro il 120° giorno dalla
proclamazione del Sindaco o del Presidente
della Provincia con l’accettazione del
segretario nominato (quesito
30.06.2011 - tratto da
www.agenziasegretari.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Incarichi extra istituzionali.
Testo del quesito:
Può il segretario comunale svolgere un
incarico retribuito presso un società c.d.
in house?
Risposta:
In ordine alla questione, preme richiamare,
in primo luogo, l’art. 53, comma 2, del
D.Lgs. n. 165/2001, ai sensi del quale “Le
pubbliche amministrazioni non possono
conferire ai dipendenti incarichi, non
compresi nei compiti e doveri di ufficio,
che non siano espressamente previsti o
disciplinati da legge o altre fonti
normative, o che non siano espressamente
autorizzati.”.
La disciplina di riferimento, quindi, è
applicabile anche ai segretari comunali e
provinciali in forza del richiamo operato
dall’art. 16 del d.P.R. 04.12.1997, n. 465,
che fa salva la disciplina delle
incompatibilità dettata dagli articoli 60 e
seguenti del testo unico 10.01.1957, n. 3.
Dunque, poiché l’art. 60 del d.P.R. n.
3/1957 stabilisce che: “L’impiegato non
può esercitare il commercio, l’industria, né
alcuna professione o assumere impieghi alle
dipendenze di privati o accettare cariche in
società costituite a fine di lucro, tranne
che si tratti di cariche in società o enti
per le quali la nomina è riservata allo
Stato e sia all’uopo intervenuta
l’autorizzazione del Ministro competente”
e l’art. 53, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001
impone che: “Le pubbliche amministrazioni
non possono conferire ai dipendenti
incarichi non compresi nei doveri di
ufficio, che non siano espressamente
previsti o disciplinati da legge o altre
fonti normative, o che non siano
espressamente autorizzati”, mentre il
comma 5 del medesimo articolo: “In ogni
caso, il conferimento operato direttamente
dall’amministrazione, nonché
l’autorizzazione all’esercizio di incarichi
che provengano da amministrazione pubblica
diversa da quella di appartenenza, ovvero da
società o persone fisiche, che svolgono
attività d’impresa o commerciale, sono
disposti dai rispettivi organi competenti
secondo criteri oggettivi e predeterminati,
che tengano conto della specifica
professionalità, tali da escludere casi di
incompatibilità sia di diritto che di fatto
nell’interesse del buon andamento della
pubblica amministrazione”, può evincersi
che attraverso il meccanismo
dell’autorizzazione, il pubblico dipendente
può trarre la legittimazione all’esercizio
di attività lavorative extra-istituzionali.
Tale autorizzazione (per il segretario
titolare, di esclusiva competenza del
sindaco o del presidente della provincia, a
norma dell’art. 16 del d.P.R. n. 465/1997
come ribadito anche dalla delibera n. 200
del 14.06.2001 adottata dal Consiglio
Nazionale di Amministrazione di questa ex
Agenzia), può essere rilasciata solo previo
rigoroso accertamento della ricorrenza di
specifici presupposti.
Alla base delle previsioni normative citate
vi è infatti, come intuibile, il timore che
lo svolgimento di attività lavorative
diverse da quelle rientranti nella ordinaria
competenza dell’impiegato pubblico, possano
sottrarre tempo e attenzione e, in
definitiva, distogliere quest’ultimo dalle
proprie attività istituzionali, con
abbassamento del livello qualitativo e
quantitativo dell’impegno istituzionalmente
dovuto.
Il sindaco, pertanto, potrà concedere
l’autorizzazione solo previa verifica delle
seguenti condizioni: mantenimento del
livello quantitativo e qualitativo
dell’attività istituzionale; rispetto dei
principi di trasparenza e imparzialità cui è
ispirata la funzione che il segretario
comunale è chiamato a svolgere, a norma
dell’art. 97, comma 2, del D.Lgs.
18.08.2000, n. 267; assenza di possibili
conflitti di interesse con l’attività
istituzionale propria del segretario
comunale.
Tutto ciò per escludere “casi di
incompatibilità, sia di diritto che di
fatto, nell’interesse del buon andamento
della pubblica amministrazione” (art.
53, comma 5, del D.Lgs. n. 165/2001).
In tal senso, del resto, si è espressa anche
la Corte dei Conti, Sezione Regionale di
Controllo per la Lombardia, con il parere n.
228/2010.
Dunque, qualora il segretario titolare di
una sede intendesse svolgere un incarico
presso un’azienda a totale partecipazione
del comune di cui è titolare, secondo il
regime in house), si ritiene
possibile, previa autorizzazione da parte
dell’Amministrazione –che deve verificare
eventuali situazioni di conflitto, anche
potenziale con lo stesso Ente– l’esercizio
dell’attività in parola (quesito
30.06.2011 - tratto da
www.agenziasegretari.it). |
ENTI LOCALI - SEGRETARIO COMUNALE:
SÌ ALLA RIDUZIONE DEL 10% DELLA
REMUNERAZIONE DEL DIRETTORE GENERALE
DELL’ENTE LOCALE.
Enti locali - Riduzione del 10% della
remunerazione prevista dall’art. 6, co. 3,
del Dl n. 78 del 2010 - Si applica in ogni caso
anche al direttore generale.
La riduzione
percentuale pari al 10% prevista dall’art.
6, co. 3, del Dl n. 78/2010 si applica alla
remunerazione delle funzioni di direttore
generale (anche laddove attribuite al
segretario generale).
NOTA
La sezione lombarda ha precisato che la
soppressione dell’incarico del direttore
generale, tranne che per i comuni con
popolazione superiore a 100mila abitanti,
disposta dall’art. 2, co. 186, lett. d),
della L. n. 191/2009, come modificata dalla
L. n. 42/2010, concerne non solo l’ipotesi
del direttore esterno, ma anche quella del
segretario comunale, cui è impedito di
rivestire il doppio incarico ai sensi
dell’art. 108, co. 4, del Tuel.
L’impossibilità di conferire tali funzioni
al segretario comunale ha come corollario il
divieto di corrispondere il relativo
compenso aggiuntivo al medesimo funzionario.
Specifiche responsabilità gestorie per far
fronte alle esigenze dei comuni interessati
devono essere affidate ai dipendenti in
servizio presso l’amministrazione ovvero al
medesimo segretario comunale nell’ambito
delle competenze di coordinamento ex art.
97, co. 4, del Tuel.
La disposizione soppressiva, di cui all’art.
2, co. 186, lett. d), come modificato dalla
L. n. 42/2010, si applica dalla scadenza dei
singoli incarichi dei direttori generali in
essere alla data di entrata in vigore della
legge di conversione del Dl. È stato,
dunque, espressamente risolto per via
normativa il profilo del regime transitorio,
disciplinando la sorte della figura del
direttore generale in essere all’entrata in
vigore della legge, prevedendo l’esaurimento
del ruolo sino alla scadenza del singolo
incarico.
Per quanto attiene
all’applicazione al compenso del direttore
generale della riduzione percentuale pari al
10% prevista dall’art. 6, co. 3, del Dl n.
78/2010, il legislatore ha disposto che a
decorrere dall'01.01.2011 le indennità,
i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le
altre utilità comunque denominate,
corrisposte dalle pubbliche amministrazioni
di cui al co. 3 dell’art. 1 della L. n.
196/2009, incluse le autorità indipendenti,
ai componenti di organi di indirizzo,
direzione e controllo, consigli di
amministrazione e organi collegiali comunque
denominati ed ai titolari di incarichi di
qualsiasi tipo, siano automaticamente
ridotte del 10% rispetto agli importi
risultanti alla data del 30.04.2010.
Al
riguardo, ad avviso dei giudici contabili
lombardi, va valorizzata un’interpretazione
del testo di legge da ultimo indicato nel
senso di una generalizzata applicazione
della decurtazione imposta dal legislatore
nei confronti degli enti locali,
comprendendo in tale riduzione la
remunerazione delle funzioni di direttore
generale (anche laddove attribuite al
segretario generale), atteso l’espresso
riferimento letterale ai titolari di
incarichi di qualsiasi tipo.
Siffatta
esegesi conferisce, altresì, in un’ottica teleologico-sistematica, effettività al
disegno di contenimento dei costi
dell’apparato amministrativo e, quindi, più
in generale nell’ambito delle misure di
razionalizzazione della spesa finalizzate al
rispetto dei principi di coordinamento della
finanza pubblica (cfr. sez. controllo
Toscana n. 67/2011)
(tratto da Guida al Pubblico Impiego n.
7-8/2011 - Corte dei Conti, Sez. reg.
controllo Lombardia,
parere 26.05.2011 n. 315 - link a www.corteconti.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Rimborsi auto «ultra-light» ai segretari in
convenzione.
I segretari in convenzione possono
continuare a utilizzare il mezzo proprio, ma
il rimborso non può avvenire tramite le
tariffe Aci. L'Unità di missione del
ministero dell'Interno ha stabilito,
infatti, che potrà essere riconosciuto
esclusivamente il rimborso pari a un quinto
del costo della benzina verde per
chilometro. Un apposito parere (nota
17.05.2011 n. 25402 di prot.) è stato
acquisito dalla Ragioneria generale dello
Stato. Come per i dipendenti, i dubbi
nascevano dalla manovra estiva 2010
(articolo 6, comma 12, del Dl n. 78) che ha
reso impossibile l'uso del mezzo proprio per
recarsi nei luoghi di missione e trasferta.
Nell'ultimo anno sono intervenute più volte
le interpretazioni della Corte dei conti. Le
conclusioni sono state inserite nelle
Deliberazioni n. 8, 9 e 21 del 2011 delle
Sezioni riunite.
Ma per i segretari comunali c'era una
questione aggiuntiva. Infatti, negli enti
locali di minori dimensioni, è ormai
consuetudine stipulare apposite convenzioni
per avvalersi di tale figura professionale
suddividendo in tal modo anche le spese. Gli
spostamenti del segretario tra una sede e
l'altra sono quindi all'ordine del giorno.
Anche in questo caso è scesa la scure? La
risposta era giunta dalle Sezioni riunite
nella Delibera n. 9/2011: le limitazioni al
trattamento di missione non comportano
l'inefficacia del l'articolo 45, comma 2 del
Ccnl del 16.05.2001 per i segretari
comunali e provinciali inerente il rimborso
delle spese sostenute dal segretario
titolare di sede di segreteria
convenzionata. Nulla veniva detto sulla
quantificazione del rimborso.
La Ragioneria generale, nella
nota
21.04.2011 n. 54055 fatta propria dall'Unità di
missione, aggiunge qualche paletto. Le
amministrazioni in convenzione potranno
continuare a rimborsare l'utilizzo del mezzo
proprio da parte del segretario,
esclusivamente nell'importo di un quinto del
costo della benzina verde per ogni
chilometro. Non potrà essere riconosciuto
alcun indennizzo per i tragitti
abitazione-luogo di lavoro e viceversa.
Questo permetterà agli enti di risparmiare
importi fino a 20 centesimi di euro a km, ma
molto dipenderà dal mezzo di proprietà del
segretario. Per le reggenze e le supplenze,
sia a tempo pieno che a scavalco, il
risparmio sarà totale in quanto non sarà
possibile erogare alcun rimborso
(articolo Il Sole 24
Ore del 13.06.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
ENTI LOCALI -
SEGRETARI COMUNALI: «Punito»
l'incarico immotivato e troppo costoso.
IL CASO - Forte compenso aggiuntivo al segretario comunale
nominato anche direttore generale: responsabilità del
sindaco e del diretto interessato.
La remunerazione in misura eccessiva e
non motivata dell'incarico di direttore generale al
segretario determina il maturare di responsabilità
amministrativa in capo allo stesso e al sindaco, chiamati in
misura paritaria al suo risarcimento.
Sono questi i più rilevanti principi dettati dalla
sentenza 15.03.2011 n.
146 della Corte dei Conti
della Lombardia, resa nota solo nei giorni scorsi.
Nel caso specifico il compenso aggiuntivo erogato come
direttore generale a un segretario era, su base annua, di
circa 120mila euro e il trattamento economico complessivo
ammontava a oltre 200mila euro all'anno. Il primo elemento
rilevato dalla sentenza è l'anomalia tra il compenso
aggiuntivo erogato al direttore generale negli anni 2007 e
2008 e quelli erogati, tanto in precedenza (aumento di circa
il 500%) che successivamente.
Nel merito la sentenza rileva che ci si trova sicuramente
nel l'ambito di un'attività discrezionale, sia per il
conferimento del l'incarico che per la sua remunerazione. Ma
aggiunge che «l'attività discrezionale è attività non
libera ma vincolata nel fine», per cui le
amministrazioni non sono dotate di poteri da esercitare in
modo arbitrario. Viene ricordato che in tali casi «l'eccesso
di potere è il tipico vizio della discrezionalità
amministrativa, lo strumento che consente al giudice di
controllare la corretta applicazione dei canoni di
legittimità da parte di chi agisce per conto della Pa, e di
valutare la compatibilità e l'adeguatezza delle scelte di
merito con i fini pubblici dell'ente». Tale attività di
controllo «segue i parametri della razionalità e della
ragionevolezza» e si deve fermare sulla soglia della
cosiddetta riserva di amministrazione, cioè non può mai
entrare nel merito, ma si deve limitare alla sola verifica
della legittimità.
E, ancora, «il controllo giurisdizionale delle modalità
di esercizio del potere discrezionale, sotto il profilo
della palese illogicità e della irragionevolezza, è
effettuato ex ante». Per cui non ha senso sostenere che
il compenso è stato fissato in misura elevata in relazione
ai risparmi conseguiti dall'ente, visto che questi esiti
sono successivi e non erano conosciuti al momento del
conferimento dell'incarico e della scelta del compenso.
Anzi, i benefici raggiunti devono essere considerati come «irrilevanti»,
visto che l'obbligazione del segretario, come per i
dirigenti, è quella di risultato. Siamo in presenza, infine,
di una condotta gravemente colposa anche alla luce del
principio del contenimento della spesa pubblica.
Da rilevare, infine, l'assenza di una «particolare
motivazione della scelta di aumentare l'emolumento e in
assenza di problematiche gestionali specifiche, di carenze
di organico o di altre ragioni che potessero determinare
tale esigenza –a prescindere dalla totale carenza di
motivazione nell'atto di nomina– per la remunerazione di
attività che erano sostanzialmente sovrapponibili a quelle
poste in essere dal segretario/direttore generale precedente»
(articolo
Il Sole 24 Ore del 30.05.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
SEGRETARI
COMUNALI:
Il cartellino va timbrato. Si rischia la
falsa attestazione della presenza. È l'effetto del codice
disciplinare che richiama il dlgs 150.
È opportuno che i segretari comunali e
provinciali timbrino la propria presenza per evitare il
rischio di incorrere nella sanzione introdotta dal dlgs n.
150/2009 per i dipendenti pubblici che si rendono
responsabili di «falsa attestazione della presenza in
servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento
delle presenze o con altre modalità fraudolente».
Tale opportunità è rimarcata dalle disposizioni contenute
nell'articolo 5, codice disciplinare, comma 10, del Ccnl
14/2/2010. Tale disposizione richiama espressamente la
sanzione del licenziamento con preavviso per il segretario
che incorra nella fattispecie prevista dal nuovo testo
dell'articolo 55-quater del dlgs n. 165/2001 introdotto dal
dlgs n. 150/2009, cosiddetta legge Brunetta, e che prevede
il licenziamento in tronco per i dipendenti pubblici che
imbrogliano sull'effettiva presenza in servizio.
Ricordiamo che l'articolo 19 del Ccnl dei segretari del
16.05.2001 ha assegnato agli stessi un'ampia autonomia nella
gestione del proprio orario di lavoro: infatti lo stesso non
è predeterminato ed i singoli possono gestirlo in modo
flessibile rispetto «alle esigenze connesse
all'espletamento dell'incarico affidato alla sua
responsabilità in relazione agli obiettivi e programmi da
realizzare». Il che induce a letture diversificate sulla
presenza di un tale obbligo, negato dalla ex Agenzia per la
gestione dell'albo autonomo dei segretari comunali e
provinciali ed affermato, anche se con riferimento alla
disciplina in vigore prima del contratto, dalla sentenza
della sesta sezione del Consiglio di stato n. 1763/2007.
L'opportunità della attestazione della presenza tramite i
sistemi di rilevazione delle presenze nell'ente è suggerita
dalla nuova disposizione contrattuale, che ripropone la
sanzione del licenziamento cosiddetto in tronco, cioè senza
preavviso, in capo al segretario che si renda responsabile
di raggiri nella attestazione della sua presenza in
servizio. Il fatto che questa indicazione legislativa sia
riproposta nella disposizione contrattuale induce a
pervenire a tale conclusione. Infatti, la riproposizione in
un contratto di una norma di legge in materia di lavoro
pubblico, alla luce del principio della imperatività di tali
disposizioni e della impossibilità per i contratti
collettivi di modificare le norme di legge, è superfluo e,
quindi, deve necessariamente essere interpretata in modo
produttivo di effetti.
Il che si traduce pressoché automaticamente nella
conseguenza che il contratto chiarisce che anche il
segretario deve potere dimostrare la sua effettiva presenza
in servizio attraverso riscontri documentali e certi. I
quali non sono sicuramente dati dalla sua autodichiarazione,
ma che devono essere effettivamente e concretamente
verificabili, cioè basarsi su elementi certi e
incontrovertibili.
Talvolta, ciò è possibile sulla base di elementi probanti
indiretti, quale, per esempio, la presenza a una riunione di
consiglio o di commissione in cui l'ora risulti in modo
certo. Ma il più delle volte richiede una dimostrazione
tramite documentazione certa e automatica.
Questo non vuol dire che il segretario sia privato della
flessibilità nella gestione del proprio orario voluta dal
contratto: le amministrazioni possono su questo aspetto
dettare specifiche disposizioni, fermi restando gli ampi
margini di autonomia da riconoscere allo stesso, anche alla
luce del divieto assoluto di erogargli compensi per lo
straordinario.
Si deve infine ricordare che l'attestazione della presenza
in servizio e dell'orario svolto costituisce la condizione
essenziale per potere fruire dei ticket sostitutivi della
mensa (articolo ItaliaOggi del 20.05.2011). |
SEGRETARI
COMUNALI:
Oggetto: Rimborso spese di viaggio. Revoca delle
deliberazioni del Consiglio Nazionale d'Amministrazione nn.
57/1999, 241/2002, 282/2003, e 138/2007 (Ministero
dell'Interno, ex Agenzia Autonoma per la gestione dell'Albo
dei Segretari Comunali e Provinciali,
nota 17.05.2011 n. 25402 di prot.). |
SEGRETARI
COMUNALI:
Niente ferie pagate al segretario che
cambia ente.
IL PRINCIPIO - I giorni non goduti non possono essere
liquidati perché il rapporto con il ministero dell'Interno
rimane inalterato.
La Unità di missione del ministero dell'Interno per la
gestione dell'Albo dei segretari ha iniziato a rispondere
quesiti posti dalle autonomie locali.
Dopo la soppressione dell'Agenzia è infatti in capo a tale
organismo il coordinamento delle questioni relative al
trattamento giuridico ed economico dei segretari degli enti
locali. I pareri sono stati pubblicati nei giorni scorsi e
vertono sul pagamento sostitutivo delle ferie non godute e
la possibilità di incremento della retribuzione di
posizione.
In entrambi i casi incide la variabilità dell'attività dei
segretari. È infatti frequente che vi siano repentini
trasferimenti di sede, dovuti spesso anche a
razionalizzazioni sulla spesa di personale.
Accade quindi spesso che il segretario non riesca a fruire
delle ferie presso l'amministrazione in cui prestava
l'attività lavorativa. Nasce da qui il dubbio se possano
essere pagate.
La risposta dell'Unità di missione è negativa. Tutto si basa
sulla distinzione tra rapporto di lavoro e rapporto di
servizio. Il segretario instaura un rapporto di lavoro con
il Viminale al momento della sottoscrizione del contratto
individuale, ma è anche titolare di un rapporto di servizio
a tempo determinato con l'ente locale. Al momento
dell'interruzione del rapporto di servizio non si genera la
condizione prevista dall'articolo 20 del contratto nazionale
del 16.05.2001 per il pagamento sostitutivo delle ferie, che
invece potranno essere corrisposte in busta paga solo alla
data di estinzione del rapporto di lavoro e in particolare
con la cancellazione dall'Albo. Fermo restando che le ferie
dovrebbero essere fruite al massimo entro il primo semestre
dell'anno successivo, si applica quindi al segretario il «trascinamento».
Se si succedono più rapporti di servizio con diversi enti
-intervallati o meno da un periodo di disponibilità- il
segretario porta con sé le ferie maturate e non godute in
quanto il rapporto di lavoro è continuo e unico con la
Ex-Agenzia.
Il frequente convenzionamento tra enti per avvalersi di
un'unica figura di segretario porta con sé anche il dubbio
di come sia possibile riconoscere la maggiorazione del 50%
della retribuzione di posizione in godimento a seconda della
classe dell'ente e delle funzioni effettivamente svolte.
L'Unità di missione fornisce un chiaro esempio. Se viene
attivata una convenzione di segreteria la cui popolazione è
compresa tra 3.001 e 10mila abitanti, la percentuale
erogabile non potrà essere superiore al 50%, calcolata sul
compenso spettante in base alla classe della convenzione.
Ciò per evitare che ogni Comune individui una maggiorazione
in via autonoma che globalmente potrebbe anche più che
raddoppiare (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.05.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
SEGRETARI
COMUNALI:
Oggetto: Segretari comunali
e provinciali. Quesito su applicabilità art. 6, comma 12,
del D.L. n. 78/2010, convertito in L. n. 122/2010 (ndr:
rimborso spese di viaggio) (Ministero dell'Economia e
delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria Generale dello
Stato,
nota 21.04.2011 n. 54055 di prot.). |
SEGRETARI
COMUNALI: Segretari,
Ccnl senza ulteriori oneri.
Il galleggiamento degli stipendi dei segretari comunali e
provinciali non gonfierà le pensioni e il trattamento di
fine rapporto. Perché se così fosse si determinerebbe un
aggravio per il sistema pensionistico, in assenza di una
specifica copertura finanziaria.
Il chiarimento, per certi versi implicito, sugli effetti del
meccanismo retributivo individuato dal nuovo contratto dei
segretari (firmato il 1 marzo scorso, si veda ItaliaOggi del
02/03/2011) per equipararne la retribuzione a quella dei
dirigenti degli enti locali, arriva dalle sezioni unite di
controllo della Corte dei conti.
Nella
deliberazione 02.03.2011 n. 11, ma pubblicata sul
sito internet della magistratura contabile solo ieri, i
giudici erariali hanno accolto la richiesta di palazzo Chigi
di inserire nel Ccnl relativo al biennio economico 2008-2009
una clausola che espressamente chiarisca che il «conglobamento
nello stipendio tabellare della retribuzione di posizione
(l'escamotage individuato per realizzare il galleggiamento
ndr) di cui all'art. 3, comma 5; dell'ipotesi di accordo non
modifica le modalità di determinazione della base di calcolo
in atto del trattamento pensionistico e dei trattamenti di
fine servizio comunque denominati».
Com'è noto, il nuovo contratto dei segretari,
nell'impossibilità di completare l'allineamento stipendiale
utilizzando esclusivamente le risorse disponibili, ha
previsto all'art. 3, comma 5, il conglobamento nello
stipendio tabellare dei segretari di una quota della
retribuzione di posizione, disponendo contestualmente una
riduzione di pari valore di quest'ultimo emolumento. In
questo modo è stata assicurata l'equiparazione del
trattamento retributivo dei segretari a quello stabilito «per
la funzione dirigenziale più elevata nell'ente in base al
contratto collettivo dell'area della dirigenza».
La cautela richiesta dalla presidenza del consiglio per non
gravare sui conti pubblici nasce dal fatto che incrementi
dello stipendio tabellare, realizzati, come nel caso di
specie, attraverso riduzioni del valore di altre componenti
retributive, avrebbero potuto determinare, a giudizio della
Corte, un aumento della base di riferimento (costituita
dall'ultimo stipendio e da altri assegni tassativamente
indicati dalla legge n. 177/1976) su cui applicare la
maggiorazione del 18% prevista dalla legge. Con evidenti
effetti deleteri a carico del sistema pensionistico in
assenza di copertura finanziaria. La Corte ha condiviso tale
cautela e ha chiesto, e ottenuto, che un'assicurazione in
tal senso venisse recepita nel testo del contratto (articolo
ItaliaOggi del 28.04.2011 - link a
www.corteconti.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Maggiorazione della retribuzione di
posizione.
Testo del quesito:
Qual è la percentuale massima di
maggiorazione erogabile al segretario
titolare di una sede di segreteria
convenzionata?
Risposta:
L’accordo di contrattazione decentrata del
22.12.2003 stabilisce, tra l’altro, che le
amministrazioni locali possono erogare una
maggiorazione della retribuzione di
posizione in godimento, in misura variabile
fino a un massimo del 50% a seconda della
classe dell’ente e delle funzioni
effettivamente svolte, sussistendo le
condizioni oggettive e soggettive di cui
all’allegato A del medesimo accordo.
Il successivo accordo del 13.01.2009 ha
fissato la misura percentuale di
maggiorazione massima eventualmente
erogabile al titolare di una sede di
segreteria convenzionata.
Al fine di evitare, infatti, che al
segretario titolare di una convenzione
ciascun comune eroghi autonomamente una
percentuale di maggiorazione sull’indennità
di posizione che, in tal modo, potrebbe
globalmente più che raddoppiare, le parti
negoziali hanno stabilito che tale
percentuale non può comunque superare
complessivamente, nell’ambito della
convenzione, il limite massimo del 50%, che
peraltro è quello già stabilito dagli artt.
1 e 2 del CCDI del 22.12.2003.
Qualora, pertanto, due comuni stipulino una
convenzione per l’esercizio associato del
servizio di segreteria la cui popolazione
complessiva fosse compresa tra 3.001 e
10.000 abitanti (dunque di classe III), ai
sensi dell’art. 1, comma 1, dell’accordo del
13.01.2009, la percentuale massima erogabile
non potrà essere superiore al 50%, calcolata
sul compenso spettante in base alla classe
della convenzione.
I comuni che, nell’ambito della convenzione,
affidino servizi aggiuntivi, devono
concordare le modalità di riparto della
spesa senza superare nel complesso la
percentuale del 50% (quesito
31.03.2011 - tratto da
www.agenziasegretari.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Galleggiamento - Sedi segreteria
convenzionate.
Testo del quesito:
Un comune facente parte di una sede di
segreteria convenzionata, aderisce, con
altri comuni estranei al patto
convenzionale, ad una delle forme
associative disciplinate dagli artt. da 30 a
35 del D.Lgs. n. 267/2000, nell’ambito della
quale presta servizio -in qualità di
dirigente assunto ai sensi dell’art. 110 del
TUEL- un dipendente del comune
convenzionato, collocato, per l’occasione,
in aspettativa non retribuita.
Il dirigente in questione percepisce una
retribuzione di posizione più elevata di
quella erogata al segretario comunale della
convenzione.
È applicabile in questo caso il meccanismo
del c.d. galleggiamento?
Risposta:
In caso di convenzione, l’istituto del
galleggiamento può essere applicato
esclusivamente qualora il funzionario,
ovvero il dirigente, che percepisce una
retribuzione di posizione maggiore di quella
erogata al segretario della medesima
convenzione, sia in servizio presso uno dei
comuni che hanno sottoscritto il patto
convenzionale.
A tal fine, infatti, per “convenzione”
deve intendersi esclusivamente quella
disciplinata dall’art. 10 del d.P.R. n.
465/1997 e dall’art. 98, comma 3, del D.Lgs.
n. 267/2000, escludendosi, pertanto,
qualsiasi altra forma associativa
richiamata, in particolare, dall’art. 30 e
seguenti del TUEL (quesito
31.03.2011 - tratto da
www.agenziasegretari.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Ferie.
Testo del quesito:
È possibile il pagamento sostitutivo per i
giorni di ferie maturati e non goduti dal
segretario?
Risposta:
Il segretario comunale e provinciale, oltre
ad instaurare un rapporto di lavoro con
questa amministrazione al momento della
sottoscrizione del contratto individuale di
lavoro, è anche titolare di un rapporto di
servizio a tempo determinato, corrispondente
alla durata del mandato del sindaco o del
presidente della provincia che lo hanno
nominato, ai quali spettano, ai sensi del
combinato disposto dell’art. 15, comma 1,
del d.P.R. n. 465/1997 e dell’art. 99, del
D.Lgs. n. 267/2000, le attribuzioni in
ordine agli istituti contrattuali connessi
al rapporto funzionale con l’ente locale
presso cui presta servizio.
Le ferie dei segretari comunali e
provinciali, in linea con quanto disposto
dall’art.10 del D.Lgs. n. 66/2003, sono
disciplinate dall’art. 20 del CCNL di
categoria sottoscritto il 16.05.2001, ai
sensi del quale: “Le ferie sono un
diritto irrinunciabile e non sono
monetizzabili, salvo quanto previsto nel
comma 13. Esse sono fruite, anche
frazionatamente, nel corso di ciascun anno
solare in periodi programmati dal segretario
in relazione alle esigenze connesse
all’incarico affidato alla sua
responsabilità e nel rispetto dell’assetto
organizzativo dell’ente. In caso di
indifferibili esigenze di servizio o
personali che non abbiano reso possibile il
godimento delle ferie nel corso dell’anno,
le ferie dovranno essere fruite entro il
primo semestre dell’anno successivo. Fermo
stando il disposto del comma 8, all’atto
della cessazione del rapporto di lavoro,
qualora le ferie spettanti a tale data non
siano state fruite per esigenze di servizio,
l’amministrazione di appartenenza procede al
pagamento sostitutivo delle stesse.
Analogamente si procede nel caso che
l’amministrazione receda dal rapporto ai
sensi della normativa vigente.”.
Tuttavia, il riferimento al pagamento
sostitutivo delle ferie non fruite per
esigenze di servizio all’atto della
cessazione del rapporto di lavoro operato
dalla citata disposizione negoziale, deve
intendersi esclusivamente quale possibilità
di monetizzare le ferie maturate e non
godute non già al momento dell’interruzione
del rapporto di servizio (che, come sopra
rammentato, il segretario instaura con
l’ente locale che lo ha nominato), bensì
alla data dell’estinzione del rapporto di
lavoro con questa amministrazione che si
realizza con la cancellazione dall’albo.
Sulla scorta della predetta disposizione
negoziale, pertanto, le ferie maturate e non
godute non danno luogo alla corresponsione
di compensi sostitutivi, e non sono dunque
monetizzabili, salvo le tassative ipotesi di
cessazione del rapporto di lavoro di cui
all’art. 52 del CCNL di categoria del
16.05.2001, tra le quali non rientra
certamente il caso di specie.
In caso di indifferibili esigenze di
servizio o personali che non abbiano reso
possibile il godimento delle ferie nel corso
dell’anno, le ferie dovranno essere fruite
entro il primo semestre dell’anno
successivo.
Nel momento in cui un segretario viene
nominato titolare di una sede di segreteria,
si instaura un rapporto funzionale con il
sindaco cui spettano, giusto il disposto
dell’art.15, comma 1, del d.P.R. n.
465/1997, le attribuzioni in ordine agli
istituti contrattuali connessi a tale
rapporto, ivi comprese le ferie e tutti gli
altri diritti maturati dal segretario
durante il proprio rapporto di lavoro con
questa amministrazione, rapporto di lavoro
che rimane intatto anche nell’ipotesi in cui
lo stesso, a seguito del rinnovo elettorale,
non venga confermato.
Al segretario comunale e provinciale si
applica, inoltre, il cd. principio del “trascinamento”,
in forza del quale, stante la continuità ed
unicità del rapporto di lavoro con questa
Ex-Agenzia, nel caso in cui si succedano
diversi rapporti di servizio, il segretario
porta con sé le ferie maturate in precedenza
e non godute, nei limiti previsti dall’art.
20 del CCNL.
Il suddetto principio si applica ai
segretari comunali e provinciali
esclusivamente nei casi in cui si succedano
-intervallati o meno da un periodo di
disponibilità- diversi rapporti di servizio.
Così, ad esempio, il segretario titolare in
un comune potrà usufruire delle ferie
residue maturate e non godute anche nella
diversa sede ove dovesse essere
successivamente nominato titolare, ovvero
nell’ambito del rapporto di lavoro con
questa amministrazione nel caso in cui fosse
collocato in disponibilità.
Allo stesso modo, il segretario in
disponibilità avrà diritto a godere dei
residui giorni di ferie nell’amministrazione
ove fosse nominato titolare (quesito
31.03.2011 - tratto da
www.agenziasegretari.it). |
SEGRETARI COMUNALI:
Compensi per incarichi a scavalco.
Testo del quesito:
Quali sono le corrette modalità di
erogazione del compenso spettante al
segretario che svolge un incarico a
scavalco?
Risposta:
L’accordo di contrattazione decentrata del
13.01.2009 stabilisce che al segretario che
svolge un incarico a scavalco “spetta un
compenso stabilito in misura percentuale
sulla retribuzione complessiva in godimento
di cui all’art. 37, comma 1, lett. da a) ad
e) del CCNL del 16.05.2001, ragguagliata al
periodo di incarico.”.
Si ritiene che tale ultima locuzione debba
essere riferita a quanto disposto dal
provvedimento con cui viene conferito
l’incarico.
Se, infatti, nell’atto di conferimento non
sono specificati i giorni di accesso, ma è
fatto riferimento generico a un periodo di
tempo determinato (un mese, due settimane,
sessanta giorni, ecc.) il compenso in
argomento deve essere riconosciuto per
intero per il medesimo periodo.
Qualora, al contrario, il provvedimento di
attribuzione preveda espressamente le
giornate in cui il segretario dovrà svolgere
l’incarico (ad esempio, per due mesi con
accessi bisettimanali), dovrà essere
computato, per gli stessi fini, il periodo
di servizio effettivo espletato (quesito
31.03.2011 - tratto da
www.agenziasegretari.it). |
anno 2010 |
|
SEGRETARI COMUNALI: Attestazione
orario di lavoro segretari comunali.
A seguito di continue assenze dal posto di
lavoro del segretario comunale, alcuni
concittadini hanno richiesto al
sottoscritto, agente di polizia municipale
in servizio c/o il Comune di A., se il
segretario comunale ha l'obbligo di timbrare
il cartellino e di rispettare l'orario di
lavoro così come tutti i dipendenti
pubblici.
Si premette che, il Comune di A. conta circa
6.500 abitanti, con circa 20 dipendenti in
organico, attualmente, suddivisi su due
settori, con due responsabili categoria D di
cui: uno Finanziario/Amministrativo/Anagrafe
Stato Civile e l'altro Tecnico/Sviluppo e
servizi al territorio/Polizia Municipale.
Tanto premesso, si gradirebbe conoscere, ai
sensi delle vigenti normative, gli obblighi
a cui deve attenersi anche il Segretario
comunale (Risorse Umane nella pubblica
amministrazione n. 3/2010). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Potestà rogatoria segretario
comunale atti unilaterali di obbligo
edilizio.
Il Comune di (omissis) premette che:
- la Legge della regione Piemonte
05.12.1977, n. 56 e s.m.i. “Tutela ed uso
del suolo” (B.U. 24.12.1977, n. 53)
all’art. 25, tra l’altro, testualmente
recita “…il rilascio della concessione
per gli interventi edificatori nelle zone
agricole è subordinato alla presentazione al
Sindaco di un atto di impegno dell’avente
diritto che preveda il mantenimento della
destinazione dell’immobile a servizio
dell’attività agricola e le sanzioni per
inosservanza degli impegni assunti; l’atto è
trascritto, a cura dell’Amministrazione ed a
spese del concessionario, sui registri della
proprietà immobiliare…”;
- le vigenti norme tecniche di attuazione
del PRGC del comune prevedono che “Il
rilascio della concessione per gli
interventi edificatori nelle zone agricole è
subordinata alla presentazione al Sindaco di
un atto di impegno dell’avente diritto che
preveda:
- il mantenimento della destinazione
dell’immobile a servizio dell’attività
agricola;
- la classi di coltura in atto e in progetto
documentate a norma del 18° comma
dell’art. 25 della legge regionale n. 56/77
e s.m.i.;
- le sanzioni previste dall’art. 69 della L.
R. n. 56/1977 e s.m.i. per l’inosservanza
degli impegni assunti.
- l’atto è trascritto a cura
dell’Amministrazione comunale e a spese del
concessionario sui registri della proprietà
immobiliare”;
quindi richiede se, alla luce dell’art. 97,
comma 4, lett. c), del d.lgs. 267/2000 e
s.m.i., il segretario comunale sia
competente ad autenticare tali atti, in
dipendenza del rifiuto della Conservatoria
locale di ricevere tali atti nella forma
della scrittura privata autenticata dal
segretario comunale eccependo l’incompetenza
dello stesso ad effettuare tali autentiche
in quanto atti nei quali l’Ente non è parte
e nei quali non è presente l’interesse per
l’Ente stesso (Regione Piemonte,
parere n.
151/2009 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
anno 2008 |
|
COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI
COMUNALI:
Svolgimento funzioni responsabile settore
(in ente popolazione inferiore 5.000 abitanti) da
Segretario comunale - Applicabilità art. 97, D.Lgs.
n. 267 del 18.08.2000.
Con una nota, un’Amministrazione, con popolazione
inferiore ai 5000 abitanti, ha chiesto di conoscere
se sia possibile attribuire la responsabilità
dell’Ufficio Tecnico comunale al segretario comunale
ai sensi dell’art. 97 del D.Lgs. n. 267/2000.
Al riguardo, si rappresenta che, com’è noto, l’art.
97 del citato D.Lgs. n. 267/2000, nell’andare a
definire, al comma 4, i compiti e le funzioni, ha
previsto che il segretario comunale eserciti “ogni
altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai
regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal
presidente della provincia…” (lett. d).
Certamente, nell’ambito di questa formula potrebbe
rientrare il conferimento delle funzioni di
responsabile di un settore dell’amministrazione.
Ciò, peraltro, trova conferma nella previsione del
contratto collettivo integrativo dei segretari
comunali e provinciali sottoscritto il 22.12.2003
che prende in considerazione, autonomamente,
l’ipotesi di “affidamento al segretario di
attività gestionali”.
Tuttavia, occorre rilevare che l’art. 15 del CCNL
del 22.01.2004, ha definitivamente chiarito che
negli enti privi di personale di qualifica
dirigenziale, i responsabili delle strutture apicali
secondo l’ordinamento organizzativo dell’ente, sono
titolari delle posizioni organizzative disciplinate
dagli artt. 8 e seguenti del CCNL del 31.03.1999.
Da quanto sopra emerge, quindi, chiaramente che
negli enti privi di personale dirigenziale le
relative competenze spettano ai titolari di
posizione organizzativa.
Conseguentemente, poiché dalla documentazione
allegata al quesito
risulta che presso l’Ente sono
presenti due dipendenti di cat. D, con profili di
architetto e geometra, attinenti al servizio
tecnico, si ritiene che la discrezionalità
riconosciuta al sindaco di conferire al segretario
la responsabilità dell’area di cui trattasi non
possa essere esercitata in violazione del diritto
dei predetti dipendenti.
Dalle considerazioni suesposte e tenuto conto del
sistema di affidamento delle responsabilità, che ne
incentiva la suddivisione tra il personale in
servizio, emerge, quindi, chiaramente che
l’ambito
della discrezionalità riconosciuta al sindaco dal
legislatore con la previsione ex art. 97, può essere
legittimamente esercitata solo quale strumento
residuale, ovvero utilizzabile esclusivamente da
quelle amministrazioni che si trovassero nella
difficoltà di reperire le necessarie professionalità
all’interno della propria dotazione organica.
Per completezza di informazione, si soggiunge che
essendo l’ente in questione di ridotte dimensioni
può avvalersi del disposto di cui all’art. 53, comma
23, della legge n. 388/2000, come modificato
dall’art. 29, comma 4, della legge n. 488/2001
(Ministero dell'Interno,
parere 17.12.2008 - link a http://incomune.interno.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - SEGRETARI COMUNALI:
L'intervenuta
soppressione, ai sensi dell'art. 17, co. 85° della legge
127/1997, del parere di legittimità del segretario (comunale
o provinciale) su ogni proposta di deliberazione sottoposta
alla giunta o al consiglio, già previsto dall'art. 53 della
L. n. 142/1990, non esclude che permangano in capo al
Segretario tutta una serie di compiti ed adempimenti che,
lungi dal determinare un'area di deresponsabilizzazione del
medesimo, lo impegnano, invece, ad un corretto svolgimento
degli stessi, pena la sua soggezione, in ragione del
rapporto di servizio instaurato con l'ente locale,
all'azione di responsabilità amministrativa, ove di questa
ricorrano gli specifici presupposti.
Ciò in quanto il suddetto, ai sensi dell'art. 17 della L.
127/1997 e, successivamente, dell'art. 97 D.Lgvo 18.08.2000,
n. 267 mantiene la specifica funzione ausiliaria di garante
della legalità e correttezza amministrativa dell'azione
dell'ente locale. Infatti il T.U. n. 267/2000 ha assegnato
al Segretario dell'ente locale, in linea generale, oltre
agli altri compiti indicati all'art. 97 del T.U. citato, le
“funzioni di collaborazione e di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell'ente in ordine alla conformità dell'azione
amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti” e
quelle di “sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei
dirigenti e di coordinarne l'attività”.
Nondimeno la suddetta modifica normativa non esclude che il
Segretario comunale, proprio in virtù di tali specifici
compiti di consulenza giuridico-amministrativa, possa -ed
ove richiestone, debba- comunque rendere il proprio parere
in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle
leggi, agli statuti ed ai regolamenti e che del parere reso
debba rispondere in via amministrativa, in adesione ad un
principio generale, operante a prescindere dalla natura
obbligatoria o facoltativa del parere espresso.
In altri termini l'affidamento, alla stregua della
previsione normativa di cui all'art. 97 T.U. 18.08.2000, n.
267, al Segretario comunale di funzioni di assistenza e di
collaborazione giuridica ed amministrativa di tutti gli
organi dell'ente locale assorbe, in qualche guisa, lo
specifico compito, dianzi espressamente previsto dall'art.
53 L. 08.06.1990 n. 142, di esprimere un previo parere di
legittimità sulle deliberazioni di giunta; di tal che
l'evoluzione normativa in materia ben lungi dall'evidenziare
una sottrazione del già citato Segretario alla
responsabilità amministrativa ne ha invece sottolineato le
maggiori responsabilità in ragione della rilevata estensione
delle funzioni.
Il Segretario
comunale, signor R.F., ha prospettato l'intervenuta
abrogazione, con l'entrata in vigore del comma 85 dell'art.
17 della legge n. 127/1997, dell'art. 53 della Legge n.
142/1990 che poneva in capo al Segretario dell'ente locale
l'obbligo di esprimere il parere di legittimità sulle
deliberazioni dell'Ente; per cui attualmente residuerebbe a
suo carico solo l'attività di verifica che la “cosa
pubblica” sia gestita in conformità ai criteri espressi
nella stessa legge n. 127/1997, non più in un'ottica di
controllo dei singoli atti, bensì di collaborazione con gli
organi dell'Ente nel rispetto delle norme, sia statali che
locali, poste dall'ordinamento giuridico.
Al riguardo questo Giudice deve precisare che la
giurisprudenza della Corte dei conti ha più volte chiarito
che l'intervenuta soppressione, ai sensi dell'art. 17, co.
85° della legge citata, del parere di legittimità del
segretario (comunale o provinciale) su ogni proposta di
deliberazione sottoposta alla giunta o al consiglio, già
previsto dall'art. 53 della L. n. 142/1990, non esclude che
permangano in capo al Segretario tutta una serie di compiti
ed adempimenti che, lungi dal determinare un'area di
deresponsabilizzazione del medesimo, lo impegnano, invece,
ad un corretto svolgimento degli stessi, pena la sua
soggezione, in ragione del rapporto di servizio instaurato
con l'ente locale, all'azione di responsabilità
amministrativa, ove di questa ricorrano gli specifici
presupposti.
Ciò in quanto il suddetto, ai sensi dell'art. 17 della L.
127/97 e, successivamente, dell'art. 97 D.Lgvo 18.08.2000,
n. 267 mantiene la specifica funzione ausiliaria di garante
della legalità e correttezza amministrativa dell'azione
dell'ente locale. Infatti il T.U. n. 267/2000 ha assegnato
al Segretario dell'ente locale, in linea generale, oltre
agli altri compiti indicati all'art. 97 del T.U. citato, le
“funzioni di collaborazione e di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti degli organi
dell'ente in ordine alla conformità dell'azione
amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”
e quelle di “sovrintendere allo svolgimento delle
funzioni dei dirigenti e di coordinarne l'attività”.
Nondimeno la suddetta modifica normativa non esclude che il
Segretario comunale, proprio in virtù di tali specifici
compiti di consulenza giuridico-amministrativa, possa -ed
ove richiestone, debba- comunque rendere il proprio parere
in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle
leggi, agli statuti ed ai regolamenti e che del parere reso
debba rispondere in via amministrativa, in adesione ad un
principio generale, operante a prescindere dalla natura
obbligatoria o facoltativa del parere espresso (Sez. II
Centr. 17.03.2004, n. 88/A; 23.06.2004, n. 197/A; Sez.
Giur.le Puglia, 08.07.2003, n. 594).
In altri termini l'affidamento, alla stregua della
previsione normativa di cui all'art. 97 T.U. 18.08.2000, n.
267, al Segretario comunale di funzioni di assistenza e di
collaborazione giuridica ed amministrativa di tutti gli
organi dell'ente locale assorbe, in qualche guisa, lo
specifico compito, dianzi espressamente previsto dall'art.
53 L. 08.06.1990 n. 142, di esprimere un previo parere di
legittimità sulle deliberazioni di giunta; di tal che
l'evoluzione normativa in materia ben lungi dall'evidenziare
una sottrazione del già citato Segretario alla
responsabilità amministrativa ne ha invece sottolineato le
maggiori responsabilità in ragione della rilevata estensione
delle funzioni.
Nel caso di specie, peraltro, il signor F. era ugualmente
tenuto ad esprimere il parere di legittimità ai sensi delle
disposizioni contenute negli Statuti del Comune di Segrate
che, negli anni interessati, regolamentavano la vita del
Comune e la funzione degli organi. In particolare l'art. 87
dello statuto approvato con deliberazione del C.C. n. 20 del
1994 prevedeva, fra le funzioni del Segretario, quella di “esprimere
il preventivo parere di legittimità su ogni proposta di
deliberazione sottoposta a Giunta Comunale e Consiglio
Comunale”; di adottare i provvedimenti necessari per il
conseguimento dei risultati dell'azione amministrativa
secondo principi di economicità, efficienza ed efficacia; di
assumere i provvedimenti organizzativi per garantire il
diritto di accesso dei consiglieri e dei cittadini agli atti
e alle informazioni.
Gli articoli 17, comma 6 e 77, comma 5 dello Statuto
approvato con deliberazioni del C.C. n. 97 dell'11.12.1998 e
n. 16 dell'11.02.1999 prevedevano altresì che ogni proposta
di deliberazione sottoposta al Consiglio dovesse essere
corredata dal “parere del Segretario Comunale sotto il
profilo della legittimità” e che il medesimo
collaborasse, anche con l'espressione di pareri li
legittimità, con gli organi del Comune.
Pertanto il signor F. era tenuto all'osservanza degli
obblighi che derivavano, oltre che dalla legge, anche dalle
disposizioni statutarie, e quindi a lui comunque competeva
rendere il prescritto parere di legittimità in ordine alle
deliberazioni degli organi dell'Ente locale.
Correttamente, pertanto, i primi giudici hanno censurato il
comportamento illecito del Segretario comunale il quale,
presente ad entrambe le delibere con cui si è disposto il
raddoppio dell'indennità, ed esplicitamente interpellato da
alcuni Consiglieri, come emerge dal verbale della seduta del
dicembre 1997, ha deliberatamente omesso di segnalare la
illegittimità, nella specie, della concessione del suddetto
beneficio.
Da ultimo rileva il Collegio che il comportamento del signor
F. appare ancor più biasimevole alla luce delle
dichiarazioni fatte dal medesimo nelle deduzioni all'invito
e in occasione dell'audizione personale, dalle quali emerge
con evidenza la natura determinante del suo intervento nella
seduta del Consiglio comunale deputato all'approvazione del
citato beneficio.
Egli ha infatti dichiarato al Procuratore regionale, con
raccomandata in data 05.04.2004: “Prima del Consiglio
Comunale il sindaco dr. B.C. mi chiese di esprimere per
iscritto il mio parere in proposito; detto parere da me reso
puntuale ed approfondito era negativo ed esprimeva quanto da
diverse parti è emerso, e cioè che il dr. C., nella sua
posizione di pensionato, e con i piccoli incarichi di
componente di alcuni Consigli di Amministrazione non aveva
diritto al raddoppio dell'indennità. Non nascondo che la
cosa non fu certamente ben accolta dal Sindaco e ciò non
produsse certo buoni rapporti”.
Siffatte ammissioni, confermate nel verbale di audizione
personale del 20 aprile 2004, dimostrano quindi che il F.
era perfettamente consapevole della assoluta carenza dei
presupposti normativi per concedere il raddoppio
dell'indennità e della natura non veritiera delle
dichiarazioni contenute negli atti notori rilasciati dal
Sindaco COLLE; malgrado ciò egli intervenne nelle sedute del
Consiglio in maniera determinante, fugando i dubbi dei
Consiglieri con considerazioni assolutamente
tranquillizzanti.
Per tali motivi ritiene questo giudice di dover pienamente
confermare, nei confronti del signor F., il verdetto di
responsabilità pronunciato dai primi giudici (Corte dei
Conti, Sez. I centrale d' appello,
sentenza 07.04.2008 n. 154). |
anno 2007 |
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COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Segretari
e dirigenti non fungibili. Le prerogative sono derogabili soltanto con norma
primaria. Una sentenza della Corte di cassazione interpreta in modo rigido
il Testo unico degli enti locali.
Il segretario non può sostituire il dirigente comunale.
A questa conclusione è giunta la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con la
sentenza 12.06.2007 n. 13708, interpretando il Testo unico degli enti locali
nel senso della non fungibilità tra la posizione del dirigente e quelle del
segretario dell'ente locale.
Il fatto da cui è scaturita la decisione è stato il seguente.
Il dipendente di un comune addetto all'area tecnica e tecnico manutentiva
comunale, inquadrato nella categoria D3, con funzioni dirigenziali, ha
negato a un privato il permesso di costruire per lavori di ristrutturazione.
A seguito delle rimostranze dell'interessato è intervenuto il sindaco che ha
ordinato al dirigente di rilasciare il titolo edilizio. Il responsabile
dell'area tecnica è rimasto fermo sulla sua posizione e non ha osservato
l'ordine del sindaco. Quest'ultimo si è rivolto al segretario, che ha
rilasciato il titolo edilizio in sostituzione del responsabile di area.
Il funzionario comunale ha fatto causa al comune chiedendo al tribunale del
lavoro di dichiarare che egli solo aveva la titolarità in via esclusiva del
potere decisionale sui provvedimenti edilizi. Il tribunale in primo grado ha
dato torto al dipendente, rigettando la domanda e affermando che spettava al
segretario comunale intervenire in via sostitutiva nel caso di inadempienza
ingiustificata e illegittima dei funzionari.
La Corte di appello ha ribaltato la sentenza di primo grado e ha dichiarato
illegittima la sostituzione operata dal segretario comunale. Il comune ha
portato la questione al vaglio della Corte di cassazione, che però ha
sostanzialmente confermato la sentenza del giudice di secondo grado.
La Cassazione ha spiegato che nel decreto legislativo 18.08.2000 n. 267
(Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), sono ben
delineati compiti propri del segretario comunale. All'articolo 97, comma 2,
del Tuel i compiti del segretario comunale sono definiti, in linea generale,
quali «compiti di collaborazione e funzioni di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente alla
conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai
regolamenti».
L'interpretazione della disposizione porta la Cassazione a descrivere le
attribuzioni del segretario comunale quali compiti di coordinamento
dell'attività dei dirigenti e di sovrintendenza allo svolgimento delle
relative funzioni.
Mentre lo stesso Testo unico degli enti locali attribuisce ai dirigenti una
sfera di prerogative non derogabile se non con norma primaria, ed essi sono
direttamente ed esclusivamente responsabili del loro esercizio.
Da qui un importante corollario. I compiti propri del segretario comunale
sono di sovrintendenza di coordinamento dell'attività del dirigente; nella
sfera di queste attribuzioni non vi è un potere di sostituzione del
dirigente. Tra l'altro non esiste una norma sull'intervento sostitutivo del
dirigente a cura del segretario: ciò è coerente con la disciplina diretta da
parte della legge dei poteri e dei compiti del dirigente. La sostituzione
del dirigente da parte del segretario attenta alla disciplina del Tuel
attenta alla esclusività delle attribuzioni dirette di compiti ai dirigente
e responsabili di area.
D'altra parte consentire al segretario di sostituire il dirigente
determinerebbe violazione della regola di diretta responsabilità del
dirigente rispetto all'atto di esercizio di una funzione specificamente
attribuitagli.
In relazione alla valutazione del dirigente/responsabile di settore i
problemi di inerzia o rifiuto nel provvedere, vanno quindi affrontati sul
piano della responsabilità del dirigente. Ma non sul piano della
autorizzazione del segretario a sostituire il responsabile dell'ufficio.
Nella prospettiva del rapporto di lavoro deve escludersi un'iniziativa
sostitutiva, non consentita sulla base delle norme in vigore all'epoca della
controversia (articolo
ItaliaOggi del 24.08.2007). |
COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Enti, segretari con le mani legate.
Non revocabili gli atti di competenza esclusiva dei dirigenti. La Corte di
cassazione ribadisce: illegittimo svolgere funzioni di competenza dei
manager locali.
Il
segretario comunale e il direttore generale non possono revocare, riformare
o avocare atti gestionali, riservati alla competenza esclusiva dei
dirigenti. Il giudice del lavoro, dunque, può accertare l'esclusiva
titolarità della competenza dei dirigenti, e la conseguente illegittimità di
un atto di avocazione.
Lo chiarisce la
sentenza 12.06.2007
n. 13708 della Corte di Cassazione, Sez. lavoro, che costituisce un ultimo, rilevante
tassello, nel mosaico della vasta giurisprudenza secondo la quale segretario
comunale e direttore generale non possono svolgere funzioni dirigenziali
(Consiglio di stato, sez. V, 25.09.2006, n. 5625; Consiglio di stato,
sez. IV, 21.08.2006, n. 4858; Tar Sardegna, sez. I, 23.03.2004, n.
432; Tar Lombardia, Sezione III, 18.01.2002, n. 112).
Il caso giunto all'esame della Sezione lavoro non riguarda direttamente un
dirigente locale, ma un dipendente di categoria D3, al quale erano state
attribuite funzioni dirigenziali. Circostanza, comunque, che rafforza la
conclusione dell'esclusività delle competenze gestionali in capo ai
dirigenti.
Origine della controversia è stato il diniego, opposto dal funzionario, a
una concessione edilizia per lavori di ristrutturazione, non condiviso dal
sindaco, che gli aveva intimato di rivedere la decisione. A seguito della
conferma del diniego, il provvedimento di rilascio della concessione è stato
adottato per avocazione dal segretario comunale, il quale ha agito in base
ad una specifica richiesta del sindaco.
Il Tribunale di Genova, al quale si era rivolto il funzionario per chiedere
il riconoscimento della propria competenza esclusiva in tema di rilascio
della concessione, aveva dato ragione al comune, ritenendo che ricorrendo
ipotesi di inadempienza ingiustificata ed illegittima da parte dei
funzionari, sussista nel segretario comunale il potere di
sostituzione-avocazione.
Tale visione, tuttavia, è stata radicalmente negata dalla Corte d'appello di
Genova, le cui conclusioni sono state sostanzialmente confermate dalla
Cassazione, che ha respinto il ricorso proposto dal comune.
La Cassazione ha evidenziato che il segretario comunale, in linea generale,
è chiamato a svolgere compiti di collaborazione e funzioni di assistenza
giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente alla
conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai
regolamenti. Nei confronti di dirigenti o funzionari cui siano affidate
funzioni dirigenziali, il segretario svolge funzioni di coordinamento e di
sovrintendenza, ma non di direzione gerarchica.
La decisione della Cassazione insiste sulla circostanza che ai dirigenti
l'articolo 107 del decreto legislativo 267/2000 ha assegnato una sfera di
attribuzioni non derogabile se non con norma primaria, escludendo, dunque,
che lo statuto locale possa incidere sul rapporto tra segretario e
dirigenza, aggiungendo, al comma 6, la previsione di una responsabilità
esclusiva e diretta in capo ai dirigenti.
Per ragioni di coerenza sistematica, dunque, è da escludere che lo
svolgimento dei compiti di coordinamento comporti, anche, l'esercizio di un
potere di sostituzione/avocazione degli atti dirigenziali.
Se così fosse, si determinerebbe quella deroga alle competenze riservate
della dirigenza, che l'articolo 107 consente esclusivamente alla legge. Per
altro verso, si violerebbe l'ulteriore precetto della diretta ed esclusiva
responsabilità del dirigente rispetto all'atto di esercizio di una funzione
specificamente attribuitagli (articolo
ItaliaOggi del 06.07.2007). |
COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Segretario
comunale e direttore generale: compiti, funzioni e potere sostitutivo.
Il segretario comunale non può sostituire il dirigente
nell’emanazione di un provvedimento di sua competenza, in quanto, nel
rispetto del principio di separazione tra potere di indirizzo e controllo
politico-amministrativo e potere gestionale, solo a quest’ultimo compete la
direzione degli uffici e dei servizi, mentre al primo spettano compiti di
collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei
confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione
amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti.
Così ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, nella
sentenza 12.06.2007 n. 13708.
La vicenda ha riguardato un dipendente comunale, inquadrato nell’area D3, il
quale dovendo decidere in merito ad una richiesta di concessione edilizia da
parte di un privato, non l’accolse ritenendo vi fosse una carenza dei
presupposti oggettivi, comunicandone il diniego al sindaco.
Quest’ultimo, reputando il provvedimento doveroso, richiese l’emanazione
dello stesso al Segretario comunale in via sostitutiva.
Il dipendente –al quale è stata irrogata anche una sanzione disciplinare per
violazione dei doveri di comportamento e condotta non conforme ai principi
di correttezza verso i superiori– ha adito al giudice del lavoro, chiedendo,
tra l’altro, di dichiarare illegittimo il provvedimento emesso dal
Segretario comunale e di riconoscergli la titolarità esclusiva del potere
decisionale sui provvedimenti di concessione edilizia.
Il comune interessato, soccombente in primo e secondo grado, si è rivolto
quindi al giudice delle leggi, chiedendo la cassazione della sentenza del
giudice di merito, in particolare, della parte in cui quest’ultimo aveva
dichiarato l'illegittimità della sostituzione operata dal Segretario
comunale, ed in questa sua tesi veniva supportato dall'Unione nazionale
segretari comunali e provinciali, che è intervenuta nel processo, aderendo
al ricorso del Comune, depositato una "comparsa di costituzione”.
La Corte, dichiarando l’atto di "comparsa di costituzione" depositato
dall’Unione Nazionale Segretari Comunali e Provinciali, inammissibile, in
conformità a costante giurisprudenza (Cass. 07.07.2004, n. 12448), ha
rigettato il ricorso, confermando la decisione del giudice di merito.
Il Collegio richiamando le disposizioni legislative –in particolare, il
d.lgs. 267 del 2000– in cui sono regolamentati i compiti e le funzioni del
segretario comunale e del direttore generale, nonché i loro rapporti con la
figura del dirigente, è giunto alla conclusione che la sfera di attribuzioni
assegnata a quest’ultimo, concernente l'adozione di atti di gestione e di
atti o provvedimenti amministrativi, per cui è direttamente ed
esclusivamente responsabile del loro esercizio, non è derogabile se non con
una norma primaria.
Pertanto, continua la Corte, “l'attribuzione legislativa al segretario
comunale di compiti di sovrintendenza di coordinamento dell'attività del
dirigente, non può essere intesa, per ragioni di coerenza sistematica, nel
senso che tali compiti implichino un potere di sostituzione del dirigente.
Un siffatto potere da un lato comporterebbe deroga alle attribuzioni di
quest'ultimo, in contrasto con l'esplicito limite che la legge prevede in
proposito, dall'altro determinerebbe violazione della regola di diretta
responsabilità del dirigente rispetto all'atto di esercizio di una funzione
specificamente attribuitagli” (15.11.2007 - commento tratto da e
link a www.altalex.com)
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Pubblico impiego, compiti del segretario comunale, sostituzione del
dirigente (tratto da e link a www.altalex.com).
Pubblico impiego - compiti del segretario comunale - sostituzione del
dirigente - esclusione [D.Lgs. 267/2000].
- I compiti del segretario comunale sono
definiti, in linea generale, quali "compiti di collaborazione e funzioni di
assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente
in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo
statuto ed ai regolamenti".
Ai dirigenti, viceversa, compete “la direzione
degli uffici e dei servizi” nel rispetto del principio di separazione tra
poteri di indirizzo e controllo politico amministrativo da un lato e
gestione dall'altro e la loro sfera di attribuzioni non è derogabile se non
con norma primaria.
- Ne deriva che l’attribuzione legislativa al segretario comunale
di compiti di sovrintendenza di coordinamento dell'attività del dirigente
non può essere intesa, per ragioni di coerenza sistematica, nel senso che
tali compiti implichino un potere di sostituzione del dirigente.
I problemi
di inerzia o rifiuto nel provvedere, vanno quindi affrontati sul piano della
responsabilità de dirigente, mentre deve escludersi che essi potessero
trovare soluzione mediante un'iniziativa sostitutiva, non consentita sulla
base delle norme in vigore all'epoca della controversia.
---------------
Svolgimento del processo
C.B., geometra, impiegato del Comune di Cogorno nell'area tecnica e tecnico
manutentiva comunale, inquadrato in cat. D3, dovendo decidere della domanda
di un privato avente ad oggetto l'autorizzazione paesaggistica ex lege n.
1497 del 1939 e la concessione edilizia ad eseguire lavori di
ristrutturazione con sostituzione edilizia di fabbricato adibito ad attività
non insalubre, ritenendo che la richiesta non potesse trovare accoglimento
perché l'intervento era da considerare quale nuova ristrutturazione,
comunicò il diniego di concessione al Sindaco.
Questi intimò al C. il rilascio del provvedimento, che venne poi
effettivamente emesso, su richiesta del Sindaco, dal Segretario comunale in
via sostitutiva.
Il C. chiese quindi al Tribunale-giudice del lavoro di dichiarare
illegittimo il provvedimento emesso dal Segretario comunale, di
riconoscergli la titolarità esclusiva del potere decisionale sui
provvedimenti di concessione edilizia, e di dichiarare legittimo il diniego
della concessione. Il Tribunale ritenuta la giurisdizione del giudice
amministrativo per una parte dio tali domande, affermò, quanto al resto, che
in caso di inadempienza ingiustificata e illegittima dei funzionari,
sussisteva il potere del Segretario comunale di sostituzione-avocazione.
Il geom. C. impugnò tale sentenza e l'appellato si costituì resistendo.
A seguito della vicenda amministrativa sopra riassunta il Comune di Cogorno
irrogò al dipendente la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio
con privazione della retribuzione per cinque giorni, contesi andò due
addebiti:
a) la violazione dei doveri di comportamento da cui sia derivato
disservizio ovvero danno agli utenti o a terzi, in relazione al mancato
rilascio della concessione edilizia, nonostante il parere favorevole della
commissione edilizia integrata, e il conseguente prolungarne i tempi di
rilascio, fonte di possibile responsabilità risarcitoria per il comune;
b)
la condotta non conforme ai principi di correttezza verso i superiori in
relazione all'esposto presentato dal C. alla Procura della Repubblica,
contenente l'informazione circa l'avvenuto esercizio del potere sostitutivo,
per la verifica dell'illecito penale, eventualmente configurabile in tale
esercizio.
Il geom. C. impugnò la sanzione dinanzi al Tribunale di Chiavari e il Comune
si costituì resistendo.
Il Tribunale rigettò le eccezioni proposte dal Comune, fondate la prima
sulla circostanza che il giudice incaricato della decisione era stato
componente del Collegio che aveva deciso sul reclamo contro un'ordinanza
cautelare, resa nel procedimento del quale il processo di merito costitutiva
riassunzione, la seconda sul mancato esperimento del tentativo di
conciliazione.
Nel merito accolse il ricorso del C., escludendo che vi fosse
stato indebito ritardo e perciò violazione di doveri da parte del
dipendente, essendo stati compiuti nel corso della procedura concessoria
diversi atti che si palesavano opportuni ed essendo intercorse varie
comunicazioni con l'amministrazione comunale e regionale. Il Tribunale
escluse altresì che fosse qualificabile quale comportamento scorretto il
fatto che il dipendente si era rivolto all'autorità giudiziaria.
Il Comune di Cogorno propose appello contro la sentenza ribadendo le
eccezioni richiamate e sostenendo, nel merito, la legittimità
dell'intervento sostitutivo di fronte al rifiuto del dipendente, e del
provvedimento disciplinare. Il C. si costituì resistendo.
La Corte d'Appello di Genova riuniti i due procedimenti
ha dichiarato
illegittima la sostituzione operata dal Segretario comunale, confermando nel
resto le sentenza impugnate e motivando, in sintesi, come segue.
Non vi è alcuna incompatibilità fra la lettura in udienza della motivazione
della sentenza ed il rito del lavoro. Inoltre l'aver trattato della
controversia in sede di procedimento cautelare non costituisce un'ipotesi
assimilabile sotto il profilo della incompatibilità alla trattazione della
causa in altro grado del giudizio. In ogni caso sarebbe stato necessario far
valere tale circostanza come motivo di ricusazione, il che non era avvenuto.
Non è fondata l'eccezione di improcedibilità, dovendo farsi riferimento al
termine di cui all'articolo 669-octies c.p.c., comma 4, ampiamente trascorso
al momento della instaurazione della causa di merito dinanzi al Tribunale.
Quanto al merito, la concessione edilizia è atto proprio del dirigente, o
nei comuni senza dirigenti come quello in questione, del responsabile
dell'ufficio competente. Il C. era, pacificamente, responsabile del servizio
tecnico del Comune. Il Segretario comunale sulla base della normativa di
riferimento (D.Lgs. n. 267 del 2000, articolo 97) non ha poteri di
avocazione e sostituzione ma funzioni di supervisione e coordinamento dei
dirigenti. Lo stesso deve dirsi anche sulla base del regolamento comunale
anteriore alla citata disposizione di legge.
E' consentita l'assegnazione al
Segretario comunale di funzioni ulteriori, ma occorre una previsione
espressa, che nella specie è stata introdotta con il regolamento comunale
successivo ai fatti di causa, e nel quale comunque il potere di avocazione e
sostituzione presuppone l'accertata inerzia del dirigente titolare. In
conclusione, sia pure per un solo atto, il Comune con il provvedimento di
sostituzione del 20.09.2001 ha illegittimamente spogliato il
dipendente delle mansioni che gli erano attribuite.
Quanto alla sanzione disciplinare, l'informazione circa l'esercizio del
potere sostitutivo data dal C. all'autorità giudiziaria, ossia l'invocazione
del controllo di legalità sull'operato dell'amministrazione, non può
integrare lesione della dignità professionale e personale del Segretario
comunale, salvo il caso di denunzia con modalità denigratorie ed offensive,
neppure adombrate nel procedimento disciplinare.
D'altra parte il contratto
collettivo tipicizza l'illecito disciplinare nella "condotta non conforme ai
principi di correttezza verso i superiori", e richiama pertanto principi di
lealtà ed onestà, la cui violazione è incompatibile con una condotta secondo
diritto, quale la denunzia all'autorità giudiziaria, tanto più che il C. non
aveva un interesse giuridico a impugnare la concessione dinanzi al giudice
amministrativo.
Quindi uno dei due addebiti è da ritenere insussistente. Poiché la sanzione
è stata inflitta in considerazione dell'intera vicenda, venuta meno la
rilevanza disciplinare di una parte di questa, la sanzione complessiva deve
ritenersi eccessiva, e perciò contraria al principio di proporzionalità
fissato nell'articolo 25 del contratto collettivo.
Di questa sentenza il Comune di Cogorno chiede la cassazione sulla base di
quattro motivi limitatamente peraltro alla parte in cui essa ha dichiarato
l'illegittimità della sostituzione operata dal Segretario comunale con il
provvedimento del 20.09.2001.
C.B. resiste con controricorso, chiedendo preliminarmente che sia dichiarata
l'inammissibilità del ricorso per inefficacia o invalidità della procura
conferita dal Sindaco del Comune di Cogorno nonché per violazione del
principio di autosufficienza e per la mancata individuazione degli errore
addebitati alla sentenza impugnata.
L'Unione nazionale segretari comunali e provinciali, ha depositato una
"comparsa di costituzione" aderendo al ricorso del Comune.
Motivi della decisione
...
L'esame va allora rivolto ai motivi sopra riassunti in quanto diretti a
contestare la valutazione di illegittimità della sostituzione operata dal
Segretario comunale nei confronti di un atto rientrante nella sfera di
attribuzione del C., cui pacificamente, secondo conformi previsioni di
legge, erano state attribuite funzioni dirigenziali, benché privo della
relativa qualifica.
I fatti rilevanti per la causa, per quanto emerge dalla sentenza impugnata,
si sono svolti nell'arco di tempo che va dall'08.05.2000, data di
presentazione della domanda di concessione edilizia, al 20.09.2001,
data del rilascio della concessione da parte del segretario comunale.
Essi vanno pertanto valutati alla luce delle norme contenute nel D.Lgs. 18.08.2000, 267 (testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti
locali) onde accertare se fosse o no legittimo sostituire il C. nella
emanazione dell'atto (concessione edilizia) rientrante nelle funzioni
assegnategli. Quindi non hanno rilievo le argomentazioni sviluppate nei
motivi del ricorso circa la normativa regionale in tema di autorizzazione
paesaggistica e dei relativi compiti da essa subdelegati ai Comuni, né
quelle in tema di doverosità del rilascio della concessione da parte del
dipendente.
D'altra parte, neppure possono avere rilievo le norme regolamentari e
statutarie citate nel ricorso (Statuto comunale in ultimo modificato con
atto del Consiglio 20.03.1995, n. 19) che riflettono un sistema anteriore
al vigore del cit. testo unico, disegnando in modo difforme da esso il
rapporto fra dipendenti comunali e segretario.
Ciò premesso deve osservarsi che nel D.Lgs. n. 267 del 2000 i compiti propri
del segretario comunale sono definiti, in linea generale quali "compiti di
collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei
confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione
amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti" (t.u. articolo
97, comma 2). Viene poi specificato che "il segretario sovrintende allo
svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività" (articolo
97, comma 4, prima parte dell'enunziato). Al segretario inoltre possono
essere specificamente attribuite dallo statuto o dai regolamenti o conferite
dal vertice politico dell'ente ulteriori funzioni (articolo 97, comma 4,
lettera d).
Disposizioni specifiche regolano inoltre i compiti del segretario comunale
in relazione alla presenza o assenza nella struttura organizzativa dell'ente
della figura del direttore generale, alla cui nomina il vertice politico
dell'ente può provvedere sulla base dell'articolo 108 del medesimo testo
unico.
Nell'ipotesi in cui il direttore generale manchi, le funzioni di quest'ultimo
possono essere conferite al segretario (articolo 108, comma 4 t.u.),
l'elenco delle cui funzioni comprende infatti "le funzioni di direttore
generale nell'ipotesi prevista dall'articolo 108 c.p.c., comma 4". (art. 97,
comma 4, lett. e).
Qualora tale conferimento non sia avvenuto, i compiti del segretario restano
quelli di sovrintendenza e coordinamento sopraindicati.
Se invece si sia provveduto a tale nomina, la legge impone all'organo di
vertice di disciplinare i rapporti fra direttore generale e segretario,
indicando quale criterio il "rispetto dei loro distinti ed autonomi ruoli".
Quanto alle attribuzioni dei dirigenti, la legge ribadisce il principio
fondamentale di separazione tra poteri di indirizzo e controllo politico-amministrativo,
da un lato, gestione dall'altro, ed in questa prospettiva
assegna ai dirigenti "la direzione degli uffici e dei servizi secondo i
criteri e le norme dettate dagli statuti e dai regolamenti", imponendo a
questi ultimi di uniformarsi al principio anzidetto (articolo 107 t.u.,
comma 1).
Attribuisce quindi ai dirigenti ogni compito non riconducibile, in
modo espresso, alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo o "non rientrante tra le funzioni del segretario o del
direttore generale" (art. 107 t.u., comma 2). Tali compiti ricomprendono
l'adozione degli atti e provvedimenti che impegnano l'amministrazione verso
l'esterno, (art. 107, comma cit.). Fra di essi, rientrano in particolare, "i
provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi ... ivi comprese le
autorizzazioni e le concessioni edilizie".
Particolare rilievo nella ricostruzione delle funzioni dirigenziali
assumono, infine, le previsioni circa la inderogabilità delle attribuzioni
dei dirigenti, se non per espressa e specifica previsione di legge (articolo
10, comma 4) e la diretta ed esclusiva responsabilità dei dirigenti "in
relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa della
efficienza e dei risultati della gestione" (articolo 107, comma 6).
Sì da
tener presente che le funzioni dirigenziali, in presenza di determinati
presupposti, possono essere attribuite anche a personale privo della
relativa qualifica (art. 109, comma 2)
come avvenuto nella specie.
Quanto al direttore generale, elemento, come si è detto non necessario ma
solo eventuale, della struttura dell'ente, esso è individuato dalla legge
quale organo che attua gli "indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi
di governo dell'ente" e "sovrintende alla gestione dell'ente perseguendo
livelli ottimali di efficacia ed efficienza". Il rapporto fra dirigenti e
direttore generale è poi espressamente delineato nel senso che "a tali
fini", ossia ai fini del perseguimento dei compiti assegnati al direttore
generale, i dirigenti sono responsabili verso di lui (art. 108 c.p.c.,
comma 1, ultima parte).
Il quadro normativo cosi sinteticamente accennato consente quindi di
affermare -senza necessità in questa sede di ulteriori approfondimenti-
che anche nei confronti del direttore generale eventualmente nominato, il
rapporto dei dirigenti assume connotazioni tali non permetterne con
sicurezza l'inquadramento in una relazione gerarchica, se non con
attenuazioni del (e scostamenti dal) relativo modello.
In ogni caso, il
modello della relazione fra dirigente e direttore generale consente anche di
misurare con chiarezza la distanza che intercorre fra esso ed quello della
relazione fra gli stessi dirigenti e il segretario generale, salvo quando quest'ultimo eserciti
-come è pacifico nella specie che non sia avvenuto- le
funzioni del direttore generale espressamente conferitegli a norma
dell'articolo 108, comma 4.
Al segretario generale sono infatti affidati compiti di coordinamento
dell'attività dei dirigenti e di sovrintendenza allo svolgimento delle
relative funzioni mentre non risulta invece riprodotta per tale ipotesi la
disposizione sulla diretta responsabilità dei dirigenti nei confronti del
direttore generale.
Ai dirigenti è assegnata a una sfera di attribuzioni non derogabile se non
con norma primaria, ed essi sono direttamente ed esclusivamente responsabili
del loro esercizio. Quindi l'attribuzione legislativa al segretario comunale
di compiti di sovrintendenza di coordinamento dell'attività del dirigente,
non può essere intesa, per ragioni di coerenza sistematica, nel senso che
tali compiti implichino un potere di sostituzione del dirigente. Un siffatto
potere da un lato comporterebbe deroga alle attribuzioni di quest'ultimo, in
contrasto con l'esplicito limite che la legge prevede in proposito,
dall'altro determinerebbe violazione della regola di diretta responsabilità
del dirigente rispetto all'atto di esercizio di una funzione specificamente
attribuitagli.
Nella prospettiva del rapporto di lavoro, che è quella in cui, come
esattamente osservato nella sentenza impugnata, il giudice ordinario deve
collocarsi nella valutazione dell'atto di cui si discute -con conseguente
estraneità alla presente controversia di qualsivoglia dubbio circa la
giurisdizione- i problemi di inerzia o rifiuto nel provvedere, vanno quindi
affrontati sul piano della responsabilità del dirigente, mentre deve
escludersi che essi potessero trovare soluzione mediante un'iniziativa
sostitutiva, non consentita sulla base delle norme in vigore all'epoca della
controversia.
In conclusione, la sostituzione oggetto di controversia è stata esattamente
considerata illegittima dalla Corte d merito e il ricorso del Comune va
rigettato mentre va dichiarato inammissibile l'intervento della Unione
Nazionale Segretari Comunali e Provinciali, con condanna solidale del
ricorrente e della parte interveniente alle spese liquidate come in
dispositivo
(Corte di Cassazione, Sez. lavoro, nella
sentenza 12.06.2007 n. 13708 - link a www.altalex.com). |
SEGRETARI COMUNALI: Anche
il segretario comunale, come tutti i
dipendenti, è tenuto all’osservanza
dell’obbligo dell’orario di ufficio e alla
conseguente timbratura del cartellino
marcatempo attestante la presenza in
ufficio.
La sezione ritiene che anche il segretario
comunale, come tutti i dipendenti, sia
tenuto all’osservanza dell’obbligo
dell’orario di ufficio e alla conseguente
timbratura del cartellino marcatempo
attestante la presenza in ufficio.
In tal senso si vedano pure le note del
Ministero dell’interno n.
9400207/17200.16455 in data 21.03.1994 e n.
9406529/17200/16455 in data 30.08.1994,
entrambe indirizzate alla Prefettura di
Caserta
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 18.04.2007 n. 1763 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
APPALTI - COMPETENZE GESTIONALI - PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: Vietato
firmare contratti.
Segretario comunale e direttore generale non dispongono
del potere di stipulare contratti ed impegnare direttamente
l’amministrazione comunale verso l’esterno. Tali competenze, infatti, sono
riservate in via esclusiva ai dirigenti.
Lo sancisce il TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 05.03.2007 n. 272, negando che un accordo sottoscritto
tra un appaltatore e segretario e direttore generale possa costituire, per
l’ente locale, un valido atto negoziale.
Sia per mancanza della forma e della procedura necessaria, sia, soprattutto,
per carenza in capo al segretario e al direttore della competenza a
impegnare l’ente.
Rileva il Tar che gli enti pubblici non possono assegnare la capacità di
agire nei rapporti contrattuali agli organi interni, sulla base di una
libera scelta.
La capacità di agire e, dunque, di gestire, è, al contrario, strettamente
correlata allo svolgimento da parte degli organi competenti di procedure
definite in modo compiuto dal legislatore, siano esse concorsuali o non per
il perseguimento dei fini assegnati.
In sostanza, il Tar ribadisce, agganciandosi a quanto previsto dall’articolo
97 della Costituzione, che le competenze degli organi traggono la loro fonte
dalla legge, restando, pertanto, precluso per via di organizzazione
modificare l’assetto delle competenze medesime.
Al segretario comunale la legge non ha attribuito funzioni dirigenziali e,
dunque, la capacità di agire per conto dell’ente, ai fini della stipulazione
dei contratti. Ciò, perché, secondo il Tar, il segretario ha il compito
precipuo di svolgere la funzione di consulente giuridico amministrativo
dell’ente locale, non di compiere atti gestionali.
Ma, tali atti sono preclusi anche al direttore generale.
Il quale è organo burocratico di estrazione privatistica, facoltativo,
dotato di una competenza specifica: provvedere ad attuare gli indirizzi e
gli obiettivi stabiliti dall’organo di governo dell’ente, secondo le
direttive impartite dal sindaco o dal presidente della Provincia e
sovrintendere alla gestione dell’ente perseguendo livelli ottimali di
efficacia ed efficienza. Non gestire direttamente, pertanto.
Sicché, secondo il Tribunale amministrativo della Toscana, né segretario
comunale, né direttore generale possono validamente impegnare
l’amministrazione sottoscrivendo intese o contratti (articolo
ItaliaOggi del 06.07.2007).
---------------
SENTENZA
La domanda proposta va disattesa.
Osserva in proposito il collegio che,
ai sensi dell'art.
107, del D.Lgs. 18.08.2000 n.. 867, ai dirigenti degli Enti locali è
affidata la responsabilità e la direzione dei servizi organizzativi
dell'Ente e, nell'ambito di detta funzione, agli stessi compete la gestione
amministrativa, finanziaria e tecnica del settore cui sono specificamente
preposti (TAR Lombardia Milano,
sez. III 21.12.2004 n. 6511), in coerenza con la previsione
di detto potere gestionale, la disposizione ha definitivamente attribuito ai
dirigenti (e, nei Comuni privi di personale con qualifica dirigenziale, ai
Responsabili degli Uffici e dei servizi) la competenza alla stipulazione dei
contratti ed alla adozione di tutti gli atti impegnativi
dell'Amministrazione verso l'esterno, non riservati espressamente dalla
legge o dallo statuto agli organi di governo dell'ente
(TAR Campania Salerno sez. II 02.02.2004 n. 72; Consiglio Stato, sez. V
18.11.2003 n. 7318).
Il contratto di cui sia parte la pubblica Amministrazione
richiede "ad subtantiam", la forma scritta, ed, a tal fine, è
irrilevante, ove si tratti di un Comune, l'esistenza di una deliberazione di
consiglio o di giunta, la quale costituisce atto interno, con funzione
autorizzatoria, volta a consentire all'organo rappresentativo di impegnare
contrattualmente l'ente nei limiti fissati dalla stessa delibera, mentre è
l'atto dell'organo rappresentativo a dover essere preso in esame per
stabilire se l'ente è stato impegnato contrattualmente dall'organo
competente (Cass. civ: sez. I,
06.06.2002 n. 8192).
Per gli enti pubblici la capacità di agire nei rapporti
contrattuali non è rimessa alla libera scelta degli organi chiamati a
manifestare la volontà dell'ente, ma è strettamente correlata allo
svolgimento da parte degli organi competenti di procedure definite in modo
compiuto dal legislatore, siano esse concorsuali o non per il perseguimento
dei fini assegnati (Cos. St. sez.
V, 13.11.2002 n. 6281).
Con riferimento al caso di specie, come riconosciuto dalle stesse società
ricorrenti e comprovato dalla documentazione da queste prodotta ed acquisita
agli atti di causa, nell'incontro avutosi tra le parti il 12.01.2004, vi era
stato solo un accordo verbale finalizzato a porre fine, mediante reciproche
concessioni, il contenzioso tra loro in essere.
Accordo sì confermato con la citata nota del 20.01.2004 a firma congiunta
del Direttore Generale e del Segretario Generale del Comune, ma tuttavia
inidoneo a vincolare l'Ente.
Ciò sia perché nella stessa nota veniva puntualizzato che l'accordo avrebbe
dovuto "essere perfezionato con l'adozione dei necessari provvedimenti
amministrativi", sia perché i soggetti firmatari della stessa non
avevano il potere di impegnare contrattualmente l'ente.
Difatti il Direttore Generale "o city manager" (figura inedita,
introdotta dal comma 10 dell'art. 6 della L. 15.05.1997 n. 127, attraverso
l'inserimento di un nuovo art. 51-bis, nella L. 08.06.1990 n. 142, è organo
burocratico di estrazione privatistica, facoltativo, che "provvede ad
attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dall'organo di governo"
dell'ente,secondo le direttive impartite dal Sindaco o dal Presidente della
Provincia e sovrintende alla gestione dell'ente perseguendo livelli ottimali
di efficacia ed efficienza; mentre il segretario comunale, di cui figura e
ruolo sono state radicalmente ridisegnate dalla su indicata L. 15.05.1997 n.
127, in attuazione ad apposita norma di rinvio contenuta nella L. 08.06.1990
n. 142, ha la funzione precipua di "consulente giuridico-amministrativo
dell'ente locale" in ordine alla conformità dell'azione amministrativa
alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti; inoltre "assiste e cura la
verbalizzazione delle sedute di Giunta e Consiglio", roga i contratti
dell'Amministrazione ed "esercita le altre funzioni attribuitegli dallo
statuto dell'ente".
Ai fini, quindi, dell'esistenza di un accordo vincolante tra le parti
sarebbe stato necessario che un simile accordo fosse stato sottoscritto dal
dirigente del settore dotato del potere di stipulare contratti e di
impegnare l'Amministrazione verso l'esterno e sottoscritto anche dai
rappresentati legali delle due società.
Alla su indicata nota può, pertanto, tutt'al più attribuirsi valenza di
proposta formulata nella fase delle trattative, cui, tuttavia, non è seguito
alcun accordo.
Né la pretesa azionata dalle due società può trovare sostegno nell'art. 11
della L. 08.08.1990 n. 241, che nella versione vigente all'epoca dei fatti
di causa prevedeva che "1. In accoglimento di osservazioni e proposte
presentate a norma dell'art. 10, l'amministrazione procedente può
concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel
perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di
determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei
casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo.
2. Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena
di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti: Ad
essi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice
civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili.
3. Gli accordi sostituitivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi
controlli previsti per questi ultimi.
4. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l'amministrazione recede
unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di provvedere alla
liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi
verificatisi in danno del privato.
5. Le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli
accordi di cui al presente articolo sono riservati alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo".
Con l'introduzione di tale articolo l'adozione autoritativa non è stata
rimpiazzata dal principio "del favor" per il contratto, ma, nel testo
della legge, provvedimento e contratto sono posti sullo stesso piano quali
esiti del procedimento partecipativo; tuttavia l'atto autoritativo non è più
il solo strumento della cura di interessi pubblici, essenziale è il fine
pubblico, fungibili sono gli strumenti attraverso cui perseguirlo (il fine
pubblico può essere perseguito anche attraverso la diretta negoziazione del
contenuto del provvedimento finale). Il diritto privato assunto dalla sfera
pubblica si rivela in sé neutro strumento organizzatorio (si pensi al
fenomeno delle società miste) o modulo convenzionale o pattizio dell'agire
amministrativo utilizzabile, nei casi previsti dalla legge ed entro i limiti
di meritevolezza dell'art. 1322 c.c. (Cons. St. VI sez, 15.05.2002 n. 2636).
L'accordo sostitutivo, di cui al detto art. 11, della L. 08.08.1990 n. 241,
si applica nei casi espressamente previsti dalla legge, mentre quello
integrativo, previsto dalla medesima disposizione, può integrare anche un
provvedimento autoritativo. Anche l'emanazione di detto ultimo tipo di atto
può far residuare un'area marginale a spessore eminentemente discrezionale
che può essere "riempita" dall'accodo integrativo delle parti; come
nell'ipotesi di un provvedimento autoritativo che priva di un bene il
cittadino, ove venga determinato consensualmente l'eventuale corrispettivo
della sottrazione momentanea.
Non è tuttavia possibile equiparare il perfezionamento di
un accordo ai sensi e per gli effetti di cui al citato art. 11 della L.
08.08.1990 n. 241 ad una scrittura sottoscritta, dal lato
dell'amministrazione, da organo privo di competenze decisionali, inoltre
priva della necessaria approvazione dell'organo consiliare competente
(TAR Campania, Salerno, sez. I, 18.06.1002 n. 535).
In base al suddetto articolo di legge l'Amministrazione può, difatti,
concludere accordi con i soggetti interessati che abbiano la titolarità e
la disponibilità delle posizioni interessate, al fine di determinare il
contenuto discrezionale del provvedimento finale di un procedimento
amministrativo, idealmente deputato alla composizione delle possibili
autonomie, ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo
atti, comunque, senza spostamento dell'ordine di competenze delle autorità
investite della responsabilità del procedimento medesimo (TAR Campania,
Salerno sez. I 22.06.2004 n. 1571).
Nel caso che occupa deve ribadirsi quanto in precedenza sostenuto dal
Collegio in ordine alla impossibilità che i soggetti che avevano
sottoscritto la nota del 20.01.2004 potessero impegnare formalmente
l'Amministrazione, con conseguente inapplicabilità dell'art. 11 della L.
08.06.1990 n. 241 a scrittura sottoscritta dal lato dell'Amministrazione, da
organi privi di competenze decisionali.
Tanto comporta l'inaccoglibilità delle censure formulate.
Il ricorso deve essere, pertanto, respinto. |
anno 2005 |
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PUBBLICO IMPIEGO - SEGRETARI COMUNALI: L'osservanza
dell'orario di lavoro costituisce un obbligo del dipendente
pubblico, anche del personale con qualifica dirigenziale,
quale elemento essenziale della prestazione retribuita dalla
Amministrazione Pubblica. L'orario di lavoro,
comunque articolato, deve essere documentato ed accertato
mediante controlli di tipo automatici ed obiettivi, come
disposto dalle vigenti normative in materia.
---------------
I sistemi
automatizzati di rilevazione dell'orario di lavoro devono
essere utilizzati per determinare direttamente la
retribuzione principale e quella accessoria, da
corrispondere a ciascun dipendente, per cui “ciò
comporta che ad ogni eventuale assenza, totale o parziale
dal posto di lavoro (che non sia giustificata dalla vigente
normativa in materia) consegue -oltre alla proporzionale
automatica riduzione della retribuzione- anche
l'attivazione, da parte dei Dirigenti responsabili, delle
procedure disciplinari previste dalla normativa vigente”.
In proposito, -sottolineato che anche “i
permessi brevi fruiti dai dipendenti pubblici per esigenze
personali” (tra i quali rientrano certamente anche le
consumazioni al bar fuori dell'edificio presso il quale i
dipendenti pubblici sono in servizio) devono essere
autorizzati e recuperati successivamente secondo modalità
definite dal Dirigente, e sottolineato che, ai sensi delle
Direttive/Circolari più volte citate, “i Dirigenti sono
responsabili dell'osservanza dell'orario di lavoro da parte
del personale dipendente”- va, infine messo in evidenza
che -ai sensi delle medesime Direttive/Circolari- “eventuali
violazioni dei dirigenti responsabili e del personale
dipendente, conseguenti a dolo o colpa grave, che comportano
una mancata prestazione, con relativo danno erariale,
concretano una violazione penale, oltre che responsabilità
disciplinare e contabile”.
---------------
In presenza di accertata dolosa o colposa
inadempienza nella dovuta prestazione lavorativa da
parte dei pubblici dipendenti, è pacifica e
consolidata la giurisprudenza della Corte dei Conti
nel riconoscere la responsabilità amministrativa
contabile dei predetti dipendenti pubblici,
ritenendo che il danno è, in questi casi, quanto
meno pari alla spesa sostenuta dall'Amministrazione
Pubblica datrice di lavoro per la retribuzione
complessivamente erogata a favore dei dipendenti
pubblici in questione nel periodo in cui essi non
hanno reso la dovuta prestazione lavorativa, fatti
salvi comunque gli ulteriori danni che possono
essere stati causati a motivo della assenza
arbitraria nella gestione dei servizi ai quali i
predetti dipendenti pubblici erano addetti o
preposti.
Si deve convenire con la Procura Regionale sulla
irregolare ed eticamente riprovevole condotta
tenuta, nella circostanza, dalla Sig.ra P., la quale
si è assentata dal suo ufficio durante l'orario di
servizio, senza autorizzazione, senza timbratura del
cartellino magnetico e senza alcuna giustificazione,
per essersi recata a fare colazione al bar al di
fuori dell'edificio comunale.
In sostanza, nella fattispecie che ci occupa, la convenuta è venuta meno, con colpa grave, ai suoi
precisi obblighi di servizio, allorché -senza la prescritta
autorizzazione, senza timbratura del cartellino magnetico e
senza alcuna giustificazione- si è assentata dal suo ufficio
per i motivi innanzi detti, sottraendo un certo periodo di
tempo all'orario di lavoro ed al tempo di lavoro
contrattualmente definito.
Nella vicenda in esame il danno
patrimoniale sussiste ed è chiaramente da imputare alla
violazione del sinallagma prestazione/retribuzione
contrattualmente definito, non essendo stato recuperato da
parte della convenuta il tempo di lavoro arbitrariamente e
colposamente sottratto all'Amministrazione Pubblica datore
di lavoro, pur in presenza di regolare percezione della
intera retribuzione.
Né può essere condivisa anche l'altra
argomentazione della difesa della convenuta circa
l'abitudine diffusa dei pubblici dipendenti del c.d. “cappuccino”
di metà mattinata, normalmente tollerata e, perciò, non
antigiuridica e non lesiva, considerato che il limitato
periodo di tempo in questione è chiaramente usufruibile con
l'utilizzo dei c.d. “permessi brevi” da recuperare
successivamente con le modalità disposte dal Dirigente.
---------------
Il “danno all'immagine ed al prestigio della P.A.”
rientra nella connotazione del “danno
patrimoniale in senso ampio” ex art. 2043 c.c., in
collegamento con l'art. 2 Cost., e “non si correla
necessariamente ad un comportamento causativo di reato
penale”, non rientrando nell'ambito di applicabilità
dell'art. 2059 c.c. (fermo restando, in ogni caso, il
principio della separatezza del giudizio per responsabilità
amministrativa contabile rispetto a quello penale, come
rilevabile dal novellato art. 3 c.p.p.), ma può ben
discendere anche “da un comportamento gravemente
illegittimo ovvero gravemente illecito extrapenale”.
Non
tutti gli atti o comportamenti genericamente illegittimi o
illeciti compiuti da un amministratore, da un dipendente
(anche di fatto), o da un agente pubblico (che pure non
giovano certamente al prestigio ed all'immagine della P.A.)
sono causalmente idonei a determinare una menomazione di
detta immagine e di detto prestigio”, venendo in rilievo
-a questi fini (e, perciò, rilevanti nel giudizio di
responsabilità amministrativa contabile)- “solo i
comportamenti gravemente illegittimi ovvero gravemente
illeciti (anche di carattere extrapenale)”, purché
idonei -nella loro consistenza fenomenica- a produrre quella
“grave perdita di prestigio e della immagine” e quel
“grave detrimento della personalità pubblica.
Va, inoltre, fatto rilevare che
il “danno all'immagine ed
al prestigio della P.A.” compiuto da parte di un
soggetto legato alla P.A. da un rapporto di lavoro, di
impiego o di servizio (anche di fatto) viene in rilievo
unitamente ad altri fondamentali e necessari concomitanti
elementi, quali il necessario “clamor” e la risonanza
e l'amplificazione della notizia da parte dei vari mezzi di
informazione, che “non integrano (però) la lesione, ma ne
indicano la dimensione”, stando ad evidenziare gli “indici
di dimensione via via maggiori che il medesimo evento lesivo
può assumere a seconda delle circostanze”.
Come indicato anche nelle precedenti citate Sentenze
della Corte dei Conti,
tale forma di danno erariale va
inquadrato:
a)
nell'ambito della categoria del “danno patrimoniale
ingiusto per violazione di un diritto fondamentale della
persona giuridica pubblica”, rapportandolo, quindi,
-come già evidenziato- al “danno patrimoniale in senso
ampio” ex art. 2043 c.c. in collegamento con l'art. 2
Cost.;
b)
nell'ambito della fattispecie del “danno esistenziale”,
inteso quale “tutela della propria identità, del proprio
nome, della propria reputazione e credibilità”;
c)
nell'ambito della categoria del “danno/evento” (e non
del “danno/conseguenza”), considerato che, poiché l'“oggetto
del risarcimento non può che essere una perdita cagionata
dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva e la
liquidazione del danno non può riferirsi se non a perdite, a
questi limiti soggiace anche la tutela risarcitoria dei
danni non patrimoniali causati dalla lesione di diritti od
interessi costituzionalmente protetti, quali il diritto
all'immagine, con la peculiarità che essa deve essere
ammessa, per precetto costituzionale, indipendentemente
dalla dimostrazione di perdite patrimoniali, oggetto del
risarcimento, senza la diminuzione o la privazione di valori
inerenti al bene protetto”;
d)
nell'ambito delle fattispecie per le quali -non essendo
richiesta la prova delle spese necessarie al recupero del
bene giuridico leso- si può fare affidamento -per la
concreta determinazione dell'ammontare del danno erariale-
sulla “valutazione equitativa del Giudice”, ai sensi
dell'art. 1226 c.c., sulla base dei “parametri di tipo
oggettivo, soggettivo e sociale” come definiti dalla
giurisprudenza maggioritaria e prevalente della Corte dei
Conti di cui si è detto ed, in particolare, da diverse
Sentenze della Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria;
e)
nell'ambito delle fattispecie per le quali sussiste in ogni
caso “l'onere per l'attore di indicare le presunzioni,
gli indizi e gli altri parametri che intende utilizzare sul
piano probatorio”.
---------------
IIa - DANNO PATRIMONIALE IN SENSO STRETTO
Il Procuratore Regionale ha sostenuto, sostanzialmente, che
l'impiegata, Sig.ra D.P., durante l'orario di servizio
sarebbe stata trovata più volte (ed, in particolare, in data
24.04.2003) assente dal suo ufficio, senza autorizzazione,
senza timbratura del cartellino magnetico e senza alcuna
giustificazione, per essersi recata a fare colazione al di
fuori dell'edificio comunale.
Le ingiustificate assenze dal servizio costituirebbero -a
giudizio dell'attore- il fatto colposo, da cui sarebbe
scaturito il danno erariale in senso stretto per indebita
percezione di emolumenti non dovuti in relazione ai periodi
di assenze ingiustificate dal servizio.
In ordine alla vicenda in causa il primo e più importante
aspetto da considerare è quello relativo alla determinazione
dell'orario di servizio e dell'orario di lavoro (o del tempo
di lavoro) che il dipendente pubblico è tenuto a rendere
all'Amministrazione di appartenenza, e le modalità del
relativo controllo, per la fondamentale ragione che l'orario
ed il tempo di lavoro servono, da un lato, per definire la
misura della prestazione dovuta dal dipendente pubblico, e,
dall'altro lato, per commisurare la retribuzione ad esso
spettante in relazione all'orario ed al tempo di lavoro
prestato, costituendo tali elementi il sinallagma
contrattuale prestazione/retribuzione, che caratterizza il
rapporto di lavoro.
Con la contrattualizzazione a regime di diritto privato del
rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti (c.d. “privatizzazione”)
la materia dell'orario di servizio e dell'orario di lavoro è
stata disciplinata dall'art. 60 del D.Lgs. 03.02.1993, n.
29, che ha anche risolto una serie di incertezze normative e
giurisprudenziali riscontrate da tempo in tale materia.
Questa norma è stata, poi, abrogata dall'art. 22 della legge
23.12.1994, n. 724, che ha nuovamente disciplinato la
materia (rimasta affidata alla contrattazione collettiva),
fissando regole e criteri per l'articolazione dell'orario di
servizio nelle Amministrazioni Pubbliche, per la
determinazione dell'orario mensile e settimanale di lavoro
ordinario da rendere nell'ambito dell'orario di servizio e
dell'orario d'obbligo contrattuale, introducendo e definendo
i concetti dell'orario di servizio, dell'orario di apertura
al pubblico e dell'orario di lavoro (e relative
articolazioni) dei dipendenti delle Amministrazioni
Pubbliche, e precisando anche i conseguenti controlli da
operare (il comma 3 di tale norma ha stabilito, a tale
ultimo riguardo, che “l'orario di lavoro, comunque
articolato, è accertato mediante forme di controllo
obiettivo e di tipo automatizzato”).
A seguito delle riferite disposizioni legislative, la
disciplina dell'orario di servizio e dell'orario di lavoro
nelle Amministrazioni Pubbliche, e dei relativi criteri
organizzativi, è stata illustrata dalla Presidenza del
Consiglio/Dipartimento della Funzione Pubblica con le
Direttive/Circolari n. 8/93 del 09.03.1993 (G.U. n. 60 del
13.03.1993), n. 3/94 del 16.02.1994 (G.U. n. 43 del
22.02.1994), n. 7/95 del 24.02.1995 (Suppl. Ord. n. 36 alla
G.U. n. 73 del 28.03.1995) e n. 21/95 dell'08.11.1995 (G.U.
n. 270 del 18.11.1995), sottolineando più volte -per quello
che interessa in questa sede- che "l'osservanza
dell'orario di lavoro costituisce un obbligo del dipendente
pubblico, anche del personale con qualifica dirigenziale,
quale elemento essenziale della prestazione retribuita dalla
Amministrazione Pubblica” e che “l'orario di lavoro,
comunque articolato, deve essere documentato ed accertato
mediante controlli di tipo automatici ed obiettivi, come
disposto dalle vigenti normative in materia”.
A quest'ultimo riguardo le predette Direttive/Circolari
hanno precisato che “i sistemi
automatizzati di rilevazione dell'orario di lavoro dovranno…
essere utilizzati per determinare direttamente la
retribuzione principale e quella accessoria, da
corrispondere a ciascun dipendente”, per cui “ciò
comporta che ad ogni eventuale assenza, totale o parziale
dal posto di lavoro (che non sia giustificata dalla vigente
normativa in materia) consegue -oltre alla proporzionale
automatica riduzione della retribuzione- anche
l'attivazione, da parte dei Dirigenti responsabili, delle
procedure disciplinari previste dalla normativa vigente”.
In proposito, -sottolineato che anche “i
permessi brevi fruiti dai dipendenti pubblici per esigenze
personali” (tra i quali rientrano certamente anche le
consumazioni al bar fuori dell'edificio presso il quale i
dipendenti pubblici sono in servizio) devono essere
autorizzati e recuperati successivamente secondo modalità
definite dal Dirigente, e sottolineato che, ai sensi delle
Direttive/Circolari più volte citate, “i Dirigenti sono
responsabili dell'osservanza dell'orario di lavoro da parte
del personale dipendente”- va, infine messo in evidenza
che -ai sensi delle medesime Direttive/Circolari- “eventuali
violazioni dei dirigenti responsabili e del personale
dipendente, conseguenti a dolo o colpa grave, che comportano
una mancata prestazione, con relativo danno erariale,
concretano una violazione penale, oltre che responsabilità
disciplinare e contabile”.
In materia di orario di lavoro, -dopo varie ed ulteriori
disposizioni intervenute in sede di contrattazione
collettiva- recentemente è stata emanata la
Direttiva/Circolare n. 8/2005 del 03.03.2005 del Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali (redatta d'intesa con
il Dipartimento della Funzione Pubblica “per le parti
riguardanti anche il personale dipendente dalle Pubbliche
Amministrazioni”), con la quale è stato illustrato il
D.Lgs. 08.04.2003, n. 66, integrato e modificato dal D.Lgs.
19.07.2004, n. 213, adottati ai fini del recepimento pieno
anche nel nostro Ordinamento della Direttiva dell'Unione
Europea n. 93/104/CE del 23.11.1993, e successive
modificazioni ed integrazioni, con l'obiettivo di dare un
assetto organico alla disciplina del tempo di lavoro e dei
riposi, “garantendo un ampio spazio di intervento
all'autonomia collettiva per ciò che riguarda la modulazione
dei tempi di lavoro (orario normale multiperiodale, gestione
degli straordinari, limiti di orario massimo, ecc.) in
rapporto alle esigenze produttive ed organizzative”.
Richiamato quanto sopra, si mette in rilievo che
in presenza di accertata dolosa o colposa
inadempienza nella dovuta prestazione lavorativa da parte
dei pubblici dipendenti, è pacifica e consolidata la
giurisprudenza della Corte dei Conti nel riconoscere la
responsabilità amministrativa contabile dei predetti
dipendenti pubblici, ritenendo che il danno è, in questi
casi, quanto meno pari alla spesa sostenuta
dall'Amministrazione Pubblica datrice di lavoro per la
retribuzione complessivamente erogata a favore dei
dipendenti pubblici in questione nel periodo in cui essi non
hanno reso la dovuta prestazione lavorativa, fatti salvi
comunque gli ulteriori danni che possono essere stati
causati a motivo della assenza arbitraria nella gestione dei
servizi ai quali i predetti dipendenti pubblici erano
addetti o preposti
(cfr., fra le tante, Sez. Giurisd. Reg. Molise, Sent. n. 226
del 22.11.1996; Sez. Giurisd. Reg. Toscana, Sent. n. 275 del
20.05.1996; Sez. Giurisd. Reg. Veneto, Sent. n. 238 del
29.11.2000; Sez. Giurisd. Reg. Marche, Sent. n. 807 del
28.10.2003; Sez. Giurisd. Reg. Sicilia, Sent. n. 2375 del
23.08.2004; Sez. Giurisd. Reg. Liguria, Sent. n. 704 del
19.05.2005; e di questa Sezione Giurisdizionale Regionale
dell'Umbria, tra le varie, Sent. n. 50/E.L./96 del
17.01.1996; Sent. n. 152/R/96 dell'11.03.1996; Sent. n. 290/E.L./97
del 21.07.1997; Sent. n. 831/R/98 del 02.10.1998; Sent. n.
52/R/99 dell'08.02.1999; Sent. n. 379/E.L./99
dell'01.07.1999; Sent. n. 424/R/2000 del 31.07.2000; Sent.
n. 2/E.L./2004 del 09.01.2004, ecc.).
Facendo applicazione al caso di specie del richiamato e
condiviso indirizzo giurisprudenziale, si
deve convenire con la Procura Regionale sulla irregolare ed
eticamente riprovevole condotta tenuta, nella circostanza,
dalla Sig.ra P., la quale -quantomeno il 24.04.2003 (data
del controllo formale)- si è assentata dal suo ufficio
durante l'orario di servizio, senza autorizzazione, senza
timbratura del cartellino magnetico e senza alcuna
giustificazione, per essersi recata a fare colazione al bar
al di fuori dell'edificio comunale.
In sostanza, nella fattispecie che ci occupa,
la convenuta è venuta meno, con colpa grave, ai suoi
precisi obblighi di servizio, allorché -senza la prescritta
autorizzazione, senza timbratura del cartellino magnetico e
senza alcuna giustificazione- si è assentata dal suo ufficio
per i motivi innanzi detti, sottraendo un certo periodo di
tempo all'orario di lavoro ed al tempo di lavoro
contrattualmente definito.
Nella vicenda in esame il danno
patrimoniale sussiste ed è chiaramente da imputare alla
violazione del sinallagma prestazione/retribuzione
contrattualmente definito, non essendo stato recuperato da
parte della convenuta il tempo di lavoro arbitrariamente e
colposamente sottratto all'Amministrazione Pubblica datore
di lavoro, pur in presenza di regolare percezione della
intera retribuzione.
Né, al riguardo, si rende possibile accedere alle
argomentazioni della difesa della convenuta in ordine ad una
eventuale compensazione del tempo di lavoro sottratto, di
cui si discute, con ore di lavoro straordinario prestate e
non retribuite, sia perché non si rinviene in proposito
alcuna possibilità giuridica di pervenire a tale
compensazione, (essendo stata del tutto arbitrario e non
autorizzato l'allontanamento della dipendente pubblica dal
posto di lavoro), e sia perché le ore di lavoro
straordinario alle quali si fa cenno sono del tutto
ipotetiche e non precisate, e senza alcuna traccia negli
atti del fascicolo processuale.
Né può essere condivisa anche l'altra
argomentazione della difesa della convenuta circa
l'abitudine diffusa dei pubblici dipendenti del c.d. “cappuccino”
di metà mattinata, normalmente tollerata e, perciò, non
antigiuridica e non lesiva, considerato che il limitato
periodo di tempo in questione è chiaramente usufruibile con
l'utilizzo dei c.d. “permessi brevi” da recuperare
successivamente con le modalità disposte dal Dirigente.
Il Collegio deve, peraltro, osservare che nel caso di specie
la Procura Regionale non ha fornito una esatta e corretta
quantificazione dell'ipotizzato danno patrimoniale in senso
stretto, in ordine al quale deve dirsi che è certamente
provato il fenomeno, ma non la durata nel tempo né la durata
delle singole assenze.
In sostanza, partendo da una rilevazione di un fatto
accertato (quello dell'assenza arbitraria del 24.04.2003 di
1 ora e 5 minuti rilevata a seguito di formale controllo, in
ordine alla quale si suppone che non tutto l'indicato
periodo di tempo sia stato dedicato alla colazione di metà
mattinata), si deve ritenere che non è certamente
ipotizzabile che possa essere calcolata -ai fini della
quantificazione del danno erariale- “un'assenza di 45
minuti giornalieri a partire da 5 anni antecedenti alla data
del fatto accertato, tenuto, a tal proposito, conto del
termine quinquennale di prescrizione”.
Il metodo utilizzato per la quantificazione del danno
patrimoniale operato dalla Procura Regionale, se non è
propriamente “stravagante” -come è stato definito
dalla difesa della convenuta nella Udienza dibattimentale-,
non è certamente corretto ed affidabile, perché non è
sorretto da alcuna prova, essendo esso soltanto deduttivo e
non basato su alcun atto o rilevazione (tranne quella del
24.04.2003) che possa in qualche modo giustificare la
ipotizzata durata delle singole assenze giornaliere (tutte
di 45 minuti) e la ipotizzata durata nel tempo (tutti i
giorni per 5 anni!).
Ebbene, -considerato che, oltre alla assenza rilevata il
24.04.2003, alcune assenze arbitrarie dal lavoro da parte
della Sig.ra P. per fare colazione al bar al di fuori
dell'edificio comunale si sono certamente verificate (perché
ciò, senza indicarne il numero esatto, è stato ammesso dalla
stessa convenuta, sia nelle Note controdeduttive all'Invito
a dedurre, e sia nella Comparsa di costituzione in
giudizio)- si deve ritenere che sembra più verosimile e più
credibile che le assenze arbitrarie e non autorizzate in
questione si siano verificate con saltuarietà per una durata
di 15/20 minuti, e non risalenti inevitabilmente a 5 anni
addietro, come, peraltro, ammesso dalla stessa convenuta,
sia pure giustificando ciò con una prassi generalizzata
(sconfessata -però- dagli organi ufficiali del Comune di
Gubbio).
Sulla base di tali considerazioni e valutazioni, e tenuto
conto che allo stato degli atti non vi è assoluta certezza
sul numero e sulla durata delle indicate assenze non
autorizzate -che, come sopra detto, si sono certamente
verificate in un numero non definito-, si deve concludere
che la quantificazione del danno patrimoniale in senso
stretto da assenze ingiustificate, di cui al presente
giudizio, non può che essere definita in via equitativa ex
art. 1226 c.c.. Per tali motivi, il Collegio determina il
predetto danno patrimoniale in senso stretto nella somma
globale di 500,00 Euro, comprensiva di interessi legali e
rivalutazione monetaria.
A completamento di quanto sopra argomentato, va anche fatto
presente che ben più grave e diversa sarebbe stata la
valutazione del Collegio nel caso in cui fosse stata provata
e documentata adeguatamente l'assenza arbitraria e non
autorizzata dall'Ufficio o nel caso in cui l'impiegato
assentatosi senza autorizzazione fosse stato adibito a
servizi in diretto contatto con il pubblico, o, comunque, ad
altri servizi e settori più rilevanti, con conseguenti
riflessi anche su altre tipologie di danno (quale, in
particolare, il danno da disservizio).
IIb - DANNO ALL'IMMAGINE ED AL PRESTIGIO
DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
La Procura Regionale ha contestato, inoltre, alla Sig.ra P.
il “danno all'immagine ed al prestigio” del Comune di
Gubbio, quantificando tale partita di danno in via
equitativa ex art. 1226 c.c. in Euro 6.000,00.
La difesa della convenuta ha contrastato anche tale
richiesta attorea, chiedendone il rigetto.
Per quanto attiene il “danno all'immagine ed al prestigio
della P.A.” è ben nota, ormai, la posizione e la
impostazione concettuale assunta in merito a tale forma di
danno erariale da questa Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria (si
citano, tra le tante, Sent. n. 501/E.L./1998; Sent. n.
1087/R/1998; Sent. n. 147/R/1999; Sent. n. 582/E.L./1999;
Sent. n. 622/E.L./1999; Sent. n. 505/R/2000; Sent. n.
557/R/2000; Sent. n. 620/E.L./2000; Sent. n. 98/E.L./2001;
Sent. n. 511/R/2001; Sent. n. 275/E.L./2004; Sent. n. 278/E.L./2004;
Sent. n. 49/E.L./2005; ecc.; tutte perfettamente in linea
con la giurisprudenza prevalente e maggioritaria in materia,
come definita anche in sede di Appello -vedasi al riguardo,
in particolare, Sez. Centr. Giurisd. d'Appello, Sent. n.
78/2003/A e Sent. n. 340/2003/A- e dalle Sezioni Riunite in
sede Giurisd. della Corte dei Conti con la Sentenza n. 10/Q.M./2003).
In questa sede si ritiene, peraltro, di dover ribadire che
il “danno all'immagine ed al prestigio della P.A.”
-contrariamente a quanto fatto presente dalla difesa della
convenuta-
rientra nella connotazione del “danno
patrimoniale in senso ampio” ex art. 2043 c.c., in
collegamento con l'art. 2 Cost., e “non si correla
necessariamente ad un comportamento causativo di reato
penale”, non rientrando nell'ambito di applicabilità
dell'art. 2059 c.c. (fermo restando, in ogni caso, il
principio della separatezza del giudizio per responsabilità
amministrativa contabile rispetto a quello penale, come
rilevabile dal novellato art. 3 c.p.p.), ma può ben
discendere anche “da un comportamento gravemente
illegittimo ovvero gravemente illecito extrapenale”.
A
quest'ultimo riguardo, è stato, inoltre, precisato che -ove
non si tratti di fattispecie derivante da reati penali-
“non
tutti gli atti o comportamenti genericamente illegittimi o
illeciti compiuti da un amministratore, da un dipendente
(anche di fatto), o da un agente pubblico (che pure non
giovano certamente al prestigio ed all'immagine della P.A.)
sono causalmente idonei a determinare una menomazione di
detta immagine e di detto prestigio”, venendo in rilievo
-a questi fini (e, perciò, rilevanti nel giudizio di
responsabilità amministrativa contabile)- “solo i
comportamenti gravemente illegittimi ovvero gravemente
illeciti (anche di carattere extrapenale)”, purché
idonei -nella loro consistenza fenomenica- a produrre quella
“grave perdita di prestigio e della immagine” e quel
“grave detrimento della personalità pubblica”.
Va, inoltre, fatto rilevare che
il “danno all'immagine ed
al prestigio della P.A.” compiuto da parte di un
soggetto legato alla P.A. da un rapporto di lavoro, di
impiego o di servizio (anche di fatto) viene in rilievo
unitamente ad altri fondamentali e necessari concomitanti
elementi, quali il necessario “clamor” e la risonanza
e l'amplificazione della notizia da parte dei vari mezzi di
informazione, che “non integrano (però) la lesione, ma ne
indicano la dimensione”, stando ad evidenziare gli “indici
di dimensione via via maggiori che il medesimo evento lesivo
può assumere a seconda delle circostanze”.
Come indicato anche nelle precedenti citate Sentenze
della Corte dei Conti,
tale forma di danno erariale va inquadrato:
a)
nell'ambito della categoria del “danno patrimoniale
ingiusto per violazione di un diritto fondamentale della
persona giuridica pubblica”, rapportandolo, quindi,
-come già evidenziato- al “danno patrimoniale in senso
ampio” ex art. 2043 c.c. in collegamento con l'art. 2
Cost.;
b)
nell'ambito della fattispecie del “danno esistenziale”,
inteso quale “tutela della propria identità, del proprio
nome, della propria reputazione e credibilità”;
c)
nell'ambito della categoria del “danno/evento” (e non
del “danno/conseguenza”), considerato che, poiché l'“oggetto
del risarcimento non può che essere una perdita cagionata
dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva e la
liquidazione del danno non può riferirsi se non a perdite, a
questi limiti soggiace anche la tutela risarcitoria dei
danni non patrimoniali causati dalla lesione di diritti od
interessi costituzionalmente protetti, quali il diritto
all'immagine, con la peculiarità che essa deve essere
ammessa, per precetto costituzionale, indipendentemente
dalla dimostrazione di perdite patrimoniali, oggetto del
risarcimento, senza la diminuzione o la privazione di valori
inerenti al bene protetto”;
d)
nell'ambito delle fattispecie per le quali -non essendo
richiesta la prova delle spese necessarie al recupero del
bene giuridico leso- si può fare affidamento -per la
concreta determinazione dell'ammontare del danno erariale-
sulla “valutazione equitativa del Giudice”, ai sensi
dell'art. 1226 c.c., sulla base dei “parametri di tipo
oggettivo, soggettivo e sociale” come definiti dalla
giurisprudenza maggioritaria e prevalente della Corte dei
Conti di cui si è detto ed, in particolare, da diverse
Sentenze della Sez. Giurisd. Reg. dell'Umbria;
e)
nell'ambito delle fattispecie per le quali sussiste in ogni
caso “l'onere per l'attore di indicare le presunzioni,
gli indizi e gli altri parametri che intende utilizzare sul
piano probatorio”.
Precisato ciò in termini generali, nella fattispecie
concreta del caso di specie occorre tenere presente che -in
relazione alla ricostruzione dei fatti ed agli elementi
probatori forniti dalla Procura Regionale per tale specifica
partita di danno- non sembra che possa essere concretamente
individuato un “danno all'immagine ed al prestigio del
Comune di Gubbio”, non rinvenendosi negli atti di causa
elementi di prova veramente concreti e veramente efficaci
che possano utilmente dimostrare la sussistenza di tale
danno erariale.
Al riguardo, occorre considerare che la Procura Regionale ha
configurato tale danno soprattutto in ragione del discredito
che avrebbe colpito il Comune di Gubbio a seguito della
diffusione di notizie sulla vicenda in questione ed, in
particolare, a seguito della pubblicazione di due articoli
della stampa locale riguardanti detta vicenda.
Convenendo in ciò con la difesa della convenuta, va
osservato che i due articoli di stampa posti a base della
contestata partita di danno (l'uno sulla “Nazione”
dell'08.06.2003 e l'altro sul “Corriere dell'Umbria”
del 10.06.2003) non attengono ai fatti di cui è causa (solo
in uno, in una parentesi, si accenna al “cappuccino” senza
alcun altro collegamento), e non fanno alcun riferimento
alla convenuta (che non viene mai nominata).
Infatti, il primo brevissimo articolo (dal titolo “Trasferimento
che sa di mobbing”) si occupa del trasferimento di un
dipendente da un Ufficio ad un altro Ufficio del Comune di
Gubbio, che avrebbe procurato un notevole stress al soggetto
interessato (non indicato), “intenzionata a presentare
formale denuncia”, ed il secondo articolo, anche esso
brevissimo, (dal titolo “Due dipendenti puntano i piedi”)
si occupa di due dipendenti (anche essi non indicati) che
avrebbero meditato di far causa per mobbing al Comune di
Gubbio (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Umbria,
sentenza 23.08.2005 n. 313). |
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