dossier SANATORIA
GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi) e SANATORIA SISMICA |
luglio 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il
legislatore ha fissato un duplice limite temporale per la proposizione dell’istanza di sanatoria:
- nelle ipotesi in cui sia adottato l’ordine demolitorio, coincide con
il termine assegnato per la demolizione (ossia, novanta giorni dalla
ricezione dell’ordine di demolire, nei casi di interventi eseguiti in
assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni
essenziali;
- nelle diverse ipotesi in cui sia irrogata una sanzione amministrativa
pecuniaria, invece, l’istanza di sanatoria potrà essere avanzata sino al
momento della stessa adozione della misura sanzionatoria: in questo senso
deve intendersi l’inciso “e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni
amministrative” ex art. 36, comma 1, dpr 380/2001.
La domanda
di sanatoria è ricevibile oltre il termine di novanta giorni dalla notifica
dell’ordine di demolizione, ad esempio,
- dell’ipotesi di cui all’art. 33, co.
2 (“Qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico
comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il
dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari
al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla
realizzazione delle opere …”)
- o di quella prevista dall’art. 34, co. 2
(“Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte
eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica
una sanzione pari al doppio del costo di produzione…”).
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5. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.
5.1. Osserva il Collegio che, ai sensi dell’art. 36, co. 1, del D.P.R. n.
380/2001, “In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di
costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione
certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 23, comma
01, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli
articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino
all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o
l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in
sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al
momento della presentazione della domanda”.
Analoga disposizione era prevista dall’art. 13 della legge 28.02.1985 n. 47
a mente del quale ”Fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 7,
terzo comma, per i casi di opere eseguite in assenza di concessione o in
totale difformità o con variazioni essenziali, o dei termini stabiliti
nell'ordinanza del sindaco di cui al primo comma dell'articolo 9, nonché,
nei casi di parziale difformità, nel termine di cui al primo comma
dell'articolo 12, ovvero nel caso di opere eseguite in assenza di
autorizzazione ai sensi dell'articolo 10 e comunque fino alla irrogazione
delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso può ottenere la
concessione o l'autorizzazione in sanatoria quando l'opera eseguita in
assenza della concessione o l'autorizzazione è conforme agli strumenti
urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli
adottati sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della
presentazione della domanda”.
Come questa Sezione ha già avuto modo di precisare (cfr. TAR Sicilia,
Palermo, Sez. II, 05.11.2021, n. -OMISSIS-), il legislatore ha fissato
un duplice limite temporale per la proposizione dell’istanza di sanatoria;
questo, nelle ipotesi in cui sia adottato l’ordine demolitorio, coincide con
il termine assegnato per la demolizione (ossia, novanta giorni dalla
ricezione dell’ordine di demolire, nei casi di interventi eseguiti in
assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni
essenziali).
Nelle diverse ipotesi in cui sia irrogata una sanzione amministrativa
pecuniaria, invece, l’istanza di sanatoria potrà essere avanzata sino al
momento della stessa adozione della misura sanzionatoria: in questo senso
deve intendersi l’inciso “e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni
amministrative” presente in entrambe le riportate disposizioni.
La domanda
di sanatoria è ricevibile oltre il termine di novanta giorni dalla notifica
dell’ordine di demolizione, ad esempio, dell’ipotesi di cui all’art. 33, co.
2 (“Qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico
comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il
dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari
al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla
realizzazione delle opere …”) o di quella prevista dall’art. 34, co. 2
(“Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte
eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica
una sanzione pari al doppio del costo di produzione…”) (TAR Sicilia-Palermo,
Sez. II,
sentenza 22.07.2022 n. 2365 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Accertamento di conformità condizionato all’esecuzione di
prescrizioni – Divieto – Corollario del principio della
duplice conformità.
Il presupposto espressamente richiesto
dall’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 è la conformità
dell’intervento da sanare alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
Il divieto di contenere prescrizioni è diretto corollario di
tale cornice giuridica, poiché altrimenti si finirebbe per
postulare non già la “doppia conformità” delle opere abusive
richiesta dalla norma, ma una sorta di conformità ex post,
condizionata all’esecuzione delle prescrizioni e quindi non
esistente né al momento della realizzazione delle opere, né
al tempo della presentazione della domanda di sanatoria,
bensì –eventualmente– solo alla data futura e incerta in cui
il ricorrente abbia ottemperato alle stesse
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 08.09.2015, n. 4176) (Consiglio
di Stato, Sez. II,
sentenza 18.07.2022 n. 6180 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Obbligo
di doppia conformità per la sanatoria.
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Edilizia - sanatoria - doppia conformità - principio - disciplina
regionale precedente - abrogazione.
In base alla normativa statale di principio
sopravvenuta, che prevede il principio della doppia conformità, è da
intendersi abrogata la legge regionale Lazio n. 28/1980, là dove, in tema di
illecito edilizio, richiede unicamente la conformità dell’opera al momento
del rilascio del titolo in sanatoria
(Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 13.07.2022 n. 1219 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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Può a questo punto passarsi all’esame del secondo motivo di ricorso,
con il quale viene lamentato: eccesso di potere per difetto di istruttoria,
per contraddittorietà tra atti della medesima amministrazione, illogicità e
sviamento di potere.
In sintesi, la ricorrente lamenta l’illegittimità della disposta ordinanza
di demolizione (n. 9931 del 23.10.2017), in quanto in illogica
contraddizione con la volontà, espressa dal Comune con la delibera di GM n.
13 del 25.01.2018, confermativa di precedente atto di GM n. 111/2015, di
voler recuperare le situazioni di abusivismo esistenti nella località San
Giorgio con la redazione di piani di iniziativa pubblica e, in particolare,
con lo strumento della variante speciale per il recupero urbanistico dei
nuclei edilizi abusivi di cui all’articolo 4 della LR Lazio n. 28 del 1980.
La ingiunta demolizione dei manufatti abusivi evidenzierebbe, pertanto,
illogicità e contraddittorietà dell’azione amministrativa, in quanto in
evidente contrasto con la manifestata volontà di recupero degli immobili
abusivi.
Il motivo non è meritevole di accoglimento.
L’articolo 4 della legge regionale Lazio n. 28 del 1980, recante “Norme
concernenti l’abusivismo edilizio ed il recupero dei nuclei edilizi sorti
spontaneamente”, prevede una “Variante speciale per il recupero
urbanistico dei nuclei edilizi abusivi”, disponendo che “I Comuni del
Lazio, dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione
approvato, nel cui territorio siano individuati nuclei edilizi abusivi in
contrasto con le destinazioni di zona previste dallo strumento urbanistico,
provvedono ad adottare una speciale variante diretta al recupero urbanistico
dei nuclei abusivi…”.
L’adozione della suddetta variante deve essere preceduta da una attività di
rilevamento delle costruzioni e dei nuclei edilizi abusivi, prevedendo il
precedente articolo 1 che “I comuni del Lazio sono tenuti a procedere,
mediante apposite ed organiche iniziative: al rilevamento delle costruzioni
abusive esistenti nel territorio del comune; alla individuazione dei nuclei
edilizi abusivi sorti in contrasto con le destinazioni di zona previste
dagli strumenti urbanistici generali ovvero con le norme di legge nazionali
e regionali comportanti, anteriormente all’approvazione dello strumento
urbanistico generale, limiti di edificabilità; alla individuazione dei
nuclei edilizi abusivi che, ancorché non in contrasto con le destinazioni di
zona previste negli strumenti urbanistici generali, siano sorti senza la
preventiva approvazione dello strumento attuativo ovvero in violazione di
altre norme di attuazione stabilite negli strumenti urbanistici”.
In proposito, l’articolo 2 della legge prevede che “Il Consiglio
comunale…delibera il programma, le iniziative ed i mezzi per il compimento
delle attività di cui al precedente articolo 1, ovvero dà atto della
esistenza nel territorio del Comune delle costruzioni abusive specificamente
indicate ovvero della inesistenza di costruzioni abusive”.
Vi è, dunque, che il recupero delle costruzioni abusive previsto dalla
richiamata legge regionale è la risultante di una complessa attività
amministrativa, la quale vede l’intervento, quale organo comunale
competente, del Consiglio, che deve procedere ad approvare la sopra esposta
perimetrazione dei nuclei abusivi e successivamente ad adottare la variante
urbanistica di recupero.
Attesa la complessità del procedimento e la necessità dell’intervento, quale
organo competente alle relative deliberazioni, del Consiglio comunale, deve
ritenersi che la mera volontà espressa dalla Giunta municipale, mediante
mero atto di indirizzo, di voler procedere al recupero degli insediamenti
abusivi attraverso lo strumento della variante di cui alla richiamata legge
regionale non determini illogicità o contraddittorietà dei provvedimenti di
demolizione adottati dal Comune successivamente alle predette determinazioni
della Giunta municipale.
Vi è, invero, da considerare che il carattere rigidamente doveroso e
vincolato che connota l’attività di repressione degli abusi edilizi esclude
che tale attività, ove posta in essere successivamente agli intenti di
recupero espressi dalla Giunta municipale, possa ritenersi affetta dal vizio
di eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà.
Deve, al riguardo, in primo luogo essere evidenziato che il vizio di eccesso
di potere è configurabile solo per l’attività discrezionale della pubblica
amministrazione e non anche per quella vincolata; con la conseguenza che
tale forma di invalidità non può in radice manifestarsi laddove si verta,
come nella specie, in ipotesi di azione obbligatoria e vincolata, quale è
quella di ordinare la demolizione di opere edilizie realizzate in assenza di
titolo abilitativo.
In tale contesto, infatti, l’attività di repressione degli abusi edilizi
potrebbe essere ritenuta illegittima solo ove vi sia un parametro normativo
certo ed efficace che imponga all’autorità amministrativa di astenersi dal
relativo esercizio, configurandosi in tal caso un obbligo per
l’amministrazione di non adottare provvedimenti sanzionatori e, di
conseguenza, un vizio di violazione di legge nei provvedimenti demolitori
che tale obbligo abbiano violato.
La Sezione ritiene, pertanto, che l’illegittimità dell’ordinanza di
demolizione possa affermarsi solo nel caso in cui la suddetta variante di
recupero degli insediamenti abusivi sia stata adottata dal Consiglio
comunale e l’immobile abusivo in contestazione rientri nelle previsioni
della stessa quale bene concretamente suscettibile di regolarizzazione.
In tal caso, infatti, dalla esistenza e dalla efficacia della predetta
variante può trarsi un obbligo in capo all’ente locale di astenersi dal
reprimere l’abuso in attesa della sua regolarizzazione e, comunque, sarebbe
configurabile, in presenza della stessa, una violazione dei principi di
efficacia, economicità e buon andamento dell’azione amministrativa, in
quanto il Comune reprimerebbe un abuso che è in tutta certezza suscettibile
di essere ricondotto alla legalità.
Al contrario, tale obbligo di astensione dall’azione repressiva non è
certamente sussistente quando vi sia una mera dichiarazione di intenti della
Giunta municipale (senza l’intervento del Consiglio comunale) in ordine al
recupero degli insediamenti abusivi ed all’utilizzo a tale fine dello
strumento della variante di cui alla richiamata legge regionale; non
risultando lo stesso sufficiente, sia in ragione dell’organo che lo ha
espresso sia in relazione allo stato meramente embrionale del procedimento,
a far venir meno il carattere doveroso e vincolato dell’azione sanzionatoria
degli illeciti edilizi, che nell’ordinanza di demolizione trova la sua
espressione.
E tanto a maggior ragione nel caso in cui, come nella vicenda in esame, la
delibera di intenti e di indirizzo ( atto di GM n. 13 del 25.01.2018) sia
stata nelle more revocata, con successiva deliberazione di GM n. 29 del
25.07.2019, con la quale si è disposto “…di revocare l’atto deliberativo
di Giunta comunale del 25.01.2018 n. 13 ‘Indirizzo per la pianificazione
attuativa dei comprensori in località San Giorgio’, non rilevandosi
ragionevoli motivi di condivisione della volontà espressa di applicazione
della LR 28/1980 nell’atto citato e nella considerazione dell’evoluzione del
quadro di riferimento dell’azione amministrativa nel quale la volontà si
inserisce…e di confermare l’indirizzo della pianificazione contenuto nel
Piano Regolatore Generale vigente, relativamente all’attuazione delle
previsioni urbanistiche dei comprensori edificabili in località Poggio della
Birba-San Giorgio secondo quanto regolamentato dalle norme del medesimo PRG
e nel rispetto delle disposizioni e procedure di legge in materia
urbanistica e di tutela del territorio e dell’ambiente”.
Difettano, pertanto, i presupposti per poter considerare il provvedimento
sanzionatorio adottato illogico e contraddittorio rispetto a precedenti atti
della medesima amministrazione, non avendo il solo atto di indirizzo
espresso dalla Giunta alcuna efficacia ostativa sull’attività di repressione
degli abusi edilizi.
Sotto altro profilo, deve poi osservarsi che la concreta operatività della
invocata legge regionale Lazio n. 28 del 1980 deve essere comunque valutata
anche in relazione ai successivi provvedimenti normativi che hanno in via
generale disciplinato le possibilità di recupero alla legalità degli
insediamenti abusivi.
Occorre in proposito considerare che la richiamata legge regionale risale
all’anno 1980 ed essa prevede (articoli 16 e ss.) la possibilità di rilascio
di concessione edilizia in sanatoria, una volta approvata la variante di
recupero ed i conseguenti strumenti attuativi, per quegli immobili che, al
momento del rilascio del titolo, siano “conformi alle previsioni di detti
strumenti ed alle altre norme vigenti”.
La regolarizzazione degli immobili abusivi viene, dunque, consentita sulla
base della mera conformità delle opere edilizie alla variante di recupero
approvata al momento del rilascio della concessione in sanatoria.
Deve, peraltro, essere evidenziato che successivamente all’entrata in vigore
della richiamata legge regionale, il legislatore è espressamente intervenuto
nella materia della regolarizzazione delle opere abusive, sia con strumenti
ordinari che straordinari.
Quanto al primo aspetto, la legge n. 47/1985 prima e successivamente il DPR
n. 380 del 2001 hanno previsto l’istituto dell’accertamento di conformità,
consentendo in via ordinaria la sanatoria dei soli abusi formali e
richiedendo per la regolarizzazione degli stessi il requisito della “doppia
conformità”, dovendo l’opera essere conforme agli strumenti urbanistici ed
alla normativa urbanistica vigenti sia all’atto della realizzazione
dell’illecito sia al momento di presentazione della domanda di sanatoria.
Di poi, il legislatore ha previsto la possibilità di condono edilizio dei
manufatti abusivi in tre distinte occasioni (legge n. 47/1985; legge n.
724/1994; legge n. 326/2003), stabilendo la possibilità di regolarizzazione
degli abusi edilizi, realizzati entro specifici ambiti temporali ed in
presenza di peculiari condizioni limitative ad una indiscriminata
regolarizzazione (limiti di cubatura non derogabili, limiti ulteriori in
relazione alla insistenza delle opere in area sottoposta a vincolo, in
particolare paesaggistico, come nella vicenda oggetto del presente
contenzioso).
Orbene, la successiva normativa statale, sia di carattere generale che
straordinaria, disciplinatrice della sanatoria dei manufatti abusivi ha
determinato l’abrogazione delle previgenti disposizioni della legge
regionale Lazio n. 28/1980, laddove questa, al Capo III (“Rilascio delle
concessioni edilizie”), e, in particolare, all’articolo 16 (“Condizioni
per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria”), consente la
regolarizzazione delle costruzioni abusive “se conformi alle previsioni”
degli strumenti urbanistici attuativi approvati a seguito dell’adozione
della variante speciale di recupero “e delle altre norme vigenti al
momento del rilascio”, richiedendo in tal modo non il requisito della “doppia
conformità” ovvero della esistenza delle medesime condizioni limitative
previste dalla sopravvenuta normativa statale in materia di condono
edilizio, ma unicamente la conformità dell’opera al momento del rilascio del
titolo in sanatoria.
Tanto in virtù del disposto di cui agli articoli 9 e 10 della legge
10.02.1953, n. 62 (cd. “legge Scelba”).
L’articolo 9, rubricato “Condizioni per l’esercizio della potestà
legislativa da parte della Regione”, prevede, al comma 1, che “L’emanazione
di norme legislative da parte delle Regioni nelle materie stabilite
dall’articolo 117 della Costituzione si svolge nei limiti dei principi
fondamentali quali risultano dalle leggi che espressamente li stabiliscono
per le singole materie o quali si desumono dalle leggi vigenti”.
Il successivo articolo 10, rubricato “Adeguamento delle leggi regionali
alle leggi della Repubblica”, dispone, al comma 1, che “Le leggi
della Repubblica che modificano i principi fondamentali di cui al primo
comma dell’articolo precedente abrogano le norme regionali che siano in
contrasto con esse”, aggiungendo, al comma 2, che “I Consigli
regionali dovranno portare alle leggi regionali le conseguenti necessarie
modificazioni entro novanta giorni”.
Alla luce delle richiamate disposizioni, pertanto, la sopravvenienza di una
norma statale di principio in materia di legislazione concorrente (qual è
quella del governo del territorio) determina l’automatica abrogazione della
preesistente norma regionale in contrasto con essa (cfr. Corte Cost.,
25.06.2015, n. 117; 21.06.2007, n. 223; 31.12.1993, n. 498), derivando
l’obbligo della Regione di adeguare la propria legislazione in modo che la
norma statale di principio venga rispettata.
L’effetto abrogativo deve, a giudizio del Collegio, essere nella specie
affermato, in ragione dei principi costantemente affermati in materia dalla
Corte Costituzionale.
La funzione del “governo del territorio”, tipica della disciplina
urbanistica ed edilizia, è rimessa alla potestà legislativa delle Regioni
nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con leggi dello Stato (art.
117, comma 3, Cost.), ed, in particolare di quelli “desumibili” dal
testo unico dell’edilizia (cfr. Corte Cost., sentenze n. 2 del 2019 e n. 77
del 2021).
In generale, in tema di condono edilizio, la giurisprudenza della Corte ha
reiteratamente chiarito che spettano alla legislazione statale, oltre ai
profili penalistici, le scelte di principio e, in particolare, sia quelle
relative all’an, al quando e al quantum, ossia la
decisione sul se disporre un titolo abilitativo edilizio straordinario,
quella relativa all’ambito temporale di efficacia della sanatoria e
l’individuazione delle volumetrie condonabili (cfr. Corte Cost., sentenze n.
77 del 2021, n. 70 del 2020, n. 208 del 2019, n. 68 del 2018 e n. 73 del
2017); evidenziando, altresì, che solo nel rispetto di tali disposizioni di
principio, competono alla legislazione regionale l’articolazione e la
specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale (cfr.
Corte Cost., sentenze n. 70 del 2017 e n. 233 del 2015).
Orbene, la verifica della cd. “doppia conformità” costituisce un
principio fondamentale della materia governo del territorio, trattandosi di
un adempimento “finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della
disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso
tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad
ottenere l’accertamento di conformità” (così Corte Cost., sentenza n.
232 del 2017, nonché sentenze n. 107 del 2017 e n. 101 del 2013).
E’ evidente, quindi, che la sopravvenuta disciplina statale
sull’accertamento di conformità (introdotta con la legge n. 47/1985 e
successivamente mantenuta con il DPR n. 380 del 2001) contiene una normativa
di principio rispetto alla quale le previsioni di sanatoria degli immobili
abusivi recate dalla richiamata legge regionale del 1980 si pongono in
evidente contrasto, determinandosene, dunque, l’abrogazione.
Analoghe considerazioni possono svolgersi anche con riferimento alla
normativa statale specifica sul condono edilizio straordinario, introdotta
dalle richiamate leggi n. 47/1985, n. 724/1994 e n. 326/2003, atteso che
questa, rispetto alla previgente legge regionale del Lazio, contiene
disposizioni di principio di carattere limitativo (relative all’an ed
al quantum della sanatoria) non riscontrabili nella citata normativa
regionale, la quale ricollega la sanatoria al solo presupposto della
conformità alla variante speciale di recupero nelle more adottata.
Di conseguenza, nel sopra indicato contesto abrogativo discendente dalla
sopravvenienza di norme statali di principio incompatibili, deve ritenersi
che nell’attuale sistema normativo la variante speciale di cui alla legge
regionale n. 28/1980 sia diretta alla mera riqualificazione urbanistica
delle aree interessate da insediamenti abusivi, nel senso di prevedere
quegli interventi infrastrutturali e quelle opere di urbanizzazione che
assicurino il corretto inserimento degli immobili abusivi nel tessuto
urbanistico del territorio comunale.
La variante, al contrario, non determina in sé la legittimazione edilizia
delle singole opere abusive, la cui regolarizzazione resta, di conseguenza,
rimessa all’espletamento delle procedure di condono e di sanatoria previste
nell’attualità dall’ordinamento ed al loro favorevole esito.
Le considerazioni innanzi svolte rendono, quindi, adeguata giustificazione
delle conclusioni (pur non perspicuamente motivate, ma comunque
condivisibili per le ragioni sopra esposte) cui è giunta la giurisprudenza
intervenuta in materia (cfr. TAR Lazio, II-quater, 04.02.2019, n. 1372;
04.02.2019, n. 1370; 17.04.2018, n. 4220), secondo cui la variante speciale
“pertiene alla riqualificazione urbanistica delle aree, ma non
direttamente ai profili di stretta legittimazione dei singoli manufatti ivi
edificati, i quali rimangono assoggettati alla normativa statale in materia
di condono ed alla connessa rigorosa verifica, strettamente vincolata, della
sussistenza dei presupposti di legge per il rilascio dell’eventuale
sanatoria”.
Vale, in proposito, altresì sottolineare che la separazione tra la funzione
di recupero ‘urbanistico’ degli insediamenti abusivi affidata
all’istituto della variante (diretta in via esclusiva a consentire
l’inserimento degli stessi in un tessuto urbanistico dotato di
infrastrutture necessarie alla loro coerente inclusione nel contesto
territoriale di riferimento) e la funzione di regolarizzazione dei singoli
manufatti abusivi (affidata, invece, agli istituti dell’accertamento di
conformità e del condono straordinario) trova conferma normativa
nell’impianto della sopravvenuta legislazione statale, laddove la legge n.
47/1985 differenzia espressamente le varianti agli strumenti urbanistici
generali finalizzate al recupero “urbanistico” degli insediamenti
abusivi (articolo 29) dall’accertamento di conformità (articolo 13) e dal
condono edilizio (artt. 31 e segg.); espressamente sancendo, al comma 2
dell’articolo 29, che “gli insediamenti avvenuti in tutto o in parte
abusivamente…possono formare oggetto di apposite varianti… al fine del loro
recupero urbanistico” “salvo restando gli effetti della mancata
presentazione dell’istanza di sanatoria previsti dall’articolo 40” (cioè
la loro sottoposizione alle misure repressive e sanzionatorie).
La variante di recupero, pertanto, non è sufficiente alla regolarizzazione
dei singoli episodi di illecito edilizio, occorrendo necessariamente che
questi siano legittimati dall’esito favorevole di un procedimento di
accertamento di conformità o di condono edilizio, svolto nel rispetto delle
disposizioni di principio stabilite in proposito dalla legge statale.
Anche per tali ragioni, pertanto, deve ritenersi l’infondatezza del
secondo motivo di ricorso (Consiglio
di Stato, Sez. I,
parere 13.07.2022 n. 1219 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Con specifico riguardo ai rapporti tra accertamento di conformità
e ordinanza di demolizione, è stato condivisibilmente affermato che “Il
legislatore ha dunque assegnato un duplice limite temporale per la
proposizione dell’istanza di sanatoria:
- nelle ipotesi in cui sia adottato l’ordine demolitorio,
coincide con il termine assegnato per la demolizione (ossia, novanta giorni
dalla ricezione dell’ordine di demolire, nei casi di interventi eseguiti in
assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni
essenziali, secondo quanto disposto dall’art. art. 31, co. 3; il “congruo
termine” stabilito dal dirigente o del responsabile del competente ufficio
comunale, nei casi di interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di
permesso di costruire o in totale difformità, ai sensi dell’art. 33, co. 1,
e nelle ipotesi di interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso
di costruire, ai sensi dell’art. 34, co. 1);
- nelle diverse ipotesi in cui sia irrogata una sanzione
amministrativa pecuniaria, invece, l’istanza di accertamento di
conformità potrà essere avanzata sino al momento della stessa adozione della
misura sanzionatoria: in questo senso deve intendersi l’inciso “e comunque
fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative” ex art. 36, comma 1, dpr
380/2001.
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4. Il ricorso n. 3251/2015 è parimenti infondato.
4.1. Va, anzitutto, rilevato che l’istanza di accertamento in conformità è
stata avanzata nel giugno 2015, a quasi cinque anni dall’emanazione
dell’ordinanza di demolizione (ottobre 2010), mai sospesa.
Ne discende la tardività dell’istanza, essendo stata proposta una volta
trascorsi i novanta giorni previsti dall’ordinanza di demolizione per
procedere ai relativi adempimenti, alla cui inosservanza consegue ex lege
il passaggio gratuito dell’area alla disponibilità del comune (cfr. art. 31,
co. 3, D.P.R. n. 380/2001).
Come già affermato da questo Tribunale, con statuizione dalla quale il
Collegio non rinviene motivi per discostarsene, “presupposto essenziale
affinché possa configurarsi l’acquisizione gratuita è la mancata
ottemperanza all’ordine di demolizione dell’immobile abusivo entro il
termine di novanta giorni fissato dalla legge, (…) l’effetto traslativo
della proprietà avviene ipso iure e costituisce l’effetto automatico della
mancata ottemperanza all’ingiunzione a demolire” (TAR Sicilia, Palermo,
Sez. II, 7 settembre -OMISSIS-).
Ancora, con specifico riguardo ai rapporti tra accertamento di conformità e
ordinanza di demolizione, è stato condivisibilmente affermato che “Il
legislatore ha dunque assegnato un duplice limite temporale per la
proposizione dell’istanza di sanatoria; questo, nelle ipotesi in cui sia
adottato l’ordine demolitorio, coincide con il termine assegnato per la
demolizione (ossia, novanta giorni dalla ricezione dell’ordine di demolire,
nei casi di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in
totale difformità o con variazioni essenziali, secondo quanto disposto
dall’art. art. 31, co. 3; il “congruo termine” stabilito dal dirigente o del
responsabile del competente ufficio comunale, nei casi di interventi di
ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale
difformità, ai sensi dell’art. 33, co. 1, e nelle ipotesi di interventi
eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, ai sensi
dell’art. 34, co. 1). Nelle diverse ipotesi in cui sia irrogata una sanzione
amministrativa pecuniaria, invece, l’istanza di accertamento di conformità
potrà essere avanzata sino al momento della stessa adozione della misura
sanzionatoria: in questo senso deve intendersi l’inciso “e comunque fino
all’irrogazione delle sanzioni amministrative” (TAR Sicilia, Palermo,
Sez. II, 5 novembre -OMISSIS-) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 31.01.2022 n. 273 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2021 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
legislatore ha assegnato un duplice limite temporale per la
proposizione dell’istanza di sanatoria:
- nelle ipotesi in cui sia adottato l’ordine demolitorio,
coincide con il termine assegnato per la demolizione (ossia, novanta giorni
dalla ricezione dell’ordine di demolire, nei casi di interventi eseguiti in
assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni
essenziali, secondo quanto disposto dall’art. art. 31, co. 3; il “congruo
termine” stabilito dal dirigente o del responsabile del competente ufficio
comunale, nei casi di interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di
permesso di costruire o in totale difformità, ai sensi dell’art. 33, co. 1,
e nelle ipotesi di interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso
di costruire, ai sensi dell’art. 34, co. 1);
- nelle diverse ipotesi in cui sia irrogata una sanzione
amministrativa pecuniaria, invece, l’istanza di accertamento di
conformità potrà essere avanzata sino al momento della stessa adozione della
misura sanzionatoria: in questo senso deve intendersi l’inciso “e comunque
fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative”. Si tratta, ad esempio,
● dell’ipotesi di cui
all’art. 33, co. 2 (“Qualora, sulla base di motivato accertamento
dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia
possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione
pecunaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente
alla realizzazione delle opere …”)
●
o di quella prevista
dall’art. 34, co. 2 (“Quando la demolizione non può avvenire senza
pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il
responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di
produzione…”).
Dunque, non trova applicazione alle istanze ex art. 36 d.P.R. 380/2001
l’orientamento giurisprudenziale per il quale l’acquisizione gratuita ai
beni del Comune di un manufatto abusivo determina una situazione
inconciliabile con la sanatoria soltanto quando all’immissione in possesso
sia seguita una delle due ipotesi previste dall’art. 43, l. 28.02.1985 n. 47
e cioè o la demolizione dell’immobile abusivo ovvero la sua utilizzazione a
fini pubblici.
Si
tratta, piuttosto, di un principio che può trovare applicazione nelle
ipotesi di istanze di condono edilizio; in tali casi, invero, è lo stesso
legislatore che ha stabilito che “l’esistenza di provvedimenti sanzionatori
non ancora eseguiti, ovvero ancora impugnabili o nei cui confronti pende
l’impugnazione, non impedisce il conseguimento della sanatoria” (così l’art.
43, co. 1, l. 47/1985).
Nello stesso senso, sempre in tema di condono, si muove la previsione di cui
all’art. 39, comma 19, della legge n. 724/1994, per il quale “per le opere
abusive divenute sanabili in forza della presente legge, il proprietario che
ha adempiuto agli oneri previsti per la sanatoria ha il diritto di ottenere
l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell’area di sedime
e delle opere sopra questa realizzate disposte in attuazione dell’articolo
7, terzo comma, della legge 28.02.1985, n. 47, e la cancellazione delle
relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare dietro esibizione di
certificazione comunale attestante l’avvenuta presentazione della domanda di
sanatoria”.
Tali disposizioni speciali non trovano, invece, applicazione nelle ipotesi
di sanatoria “a regime”, ossia di accertamento di conformità, disciplinato
dall’art. 36 d.P.R. 380/2001 (e precedentemente dall’art. 13 l. 47/1985),
ove vige il termine di cui al comma 1 del citato art. 36, ossia “fino alla
scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34,
comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative”.
Ove la disposizione appena riportata fosse interpretata diversamente –e
quindi qualora si ritenesse che sino alla materiale demolizione o adibizione
all’uso pubblico del bene sarebbe sempre possibile la proposizione
dell’istanza di sanatoria– si porrebbe nel nulla il più che consolidato
principio per il quale dal mero decorso del termine assegnato per la
demolizione discende l’acquisizione del bene al patrimonio comunale: “la
presentazione della domanda di accertamento di conformità successiva alla
emanazione dell’ordinanza di demolizione comporta che l’Amministrazione non
può che constatare che l’istanza è stata presentata da chi non sia più
proprietario, se essa è stata proposta dopo l’acquisizione ipso iure della
proprietà ai sensi dell’art. 31, comma 3, del T.U. n. 380 del 2001, per il
decorso del termine di novanta giorni dalla notifica dell'ordinanza di
sgombero e demolizione”.
---------------
Le censure sono prive di fondamento.
Ai sensi dell’art. 36, co. 1, d.P.R. 380/2001, “In caso di interventi
realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso,
ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle
ipotesi di cui all'articolo 23, comma 01, o in difformità da essa, fino alla
scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34,
comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il
responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono
ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.
Il legislatore ha dunque assegnato un duplice limite temporale per la
proposizione dell’istanza di sanatoria; questo, nelle ipotesi in cui sia
adottato l’ordine demolitorio, coincide con il termine assegnato per la
demolizione (ossia, novanta giorni dalla ricezione dell’ordine di demolire,
nei casi di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in
totale difformità o con variazioni essenziali, secondo quanto disposto
dall’art. art. 31, co. 3; il “congruo termine” stabilito dal
dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale, nei casi di
interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire
o in totale difformità, ai sensi dell’art. 33, co. 1, e nelle ipotesi di
interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, ai
sensi dell’art. 34, co. 1).
Nelle diverse ipotesi in cui sia irrogata una sanzione amministrativa
pecuniaria, invece, l’istanza di accertamento di conformità potrà essere
avanzata sino al momento della stessa adozione della misura sanzionatoria:
in questo senso deve intendersi l’inciso “e comunque fino all’irrogazione
delle sanzioni amministrative”. Si tratta, ad esempio, dell’ipotesi di
cui all’art. 33, co. 2 (“Qualora, sulla base di motivato accertamento
dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia
possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione
pecunaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente
alla realizzazione delle opere …”) o di quella prevista dall’art. 34,
co. 2 (“Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della
parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio
applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione…”).
Ad avviso del Collegio, dunque, non trova applicazione alle istanze ex art.
36 d.P.R. 380/2001 l’orientamento giurisprudenziale, invocato da parte
ricorrente, per il quale l’acquisizione gratuita ai beni del Comune di un
manufatto abusivo determina una situazione inconciliabile con la sanatoria
soltanto quando all’immissione in possesso sia seguita una delle due ipotesi
previste dall’art. 43, l. 28.02.1985 n. 47 e cioè o la demolizione
dell’immobile abusivo ovvero la sua utilizzazione a fini pubblici.
Si tratta, piuttosto, di un principio che può trovare applicazione nelle
ipotesi di istanze di condono edilizio; in tali casi, invero, è lo stesso
legislatore che ha stabilito che “l’esistenza di provvedimenti
sanzionatori non ancora eseguiti, ovvero ancora impugnabili o nei cui
confronti pende l’impugnazione, non impedisce il conseguimento della
sanatoria” (così l’art. 43, co. 1, l. 47/1985).
Nello stesso senso, sempre in tema di condono, si muove la previsione di cui
all’art. 39, comma 19, della legge n. 724/1994, per il quale “per le
opere abusive divenute sanabili in forza della presente legge, il
proprietario che ha adempiuto agli oneri previsti per la sanatoria ha il
diritto di ottenere l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale
dell’area di sedime e delle opere sopra questa realizzate disposte in
attuazione dell’articolo 7, terzo comma, della legge 28.02.1985, n. 47, e la
cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare
dietro esibizione di certificazione comunale attestante l’avvenuta
presentazione della domanda di sanatoria”.
Tali disposizioni speciali non trovano, invece, applicazione nelle ipotesi
di sanatoria “a regime”, ossia di accertamento di conformità,
disciplinato dall’art. 36 d.P.R. 380/2001 (e precedentemente dall’art. 13 l.
47/1985), ove vige il termine di cui al comma 1 del citato art. 36, ossia “fino
alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34,
comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative”.
Ove la disposizione appena riportata fosse interpretata nel senso proposto
da parte ricorrente –e quindi qualora si ritenesse che sino alla materiale
demolizione o adibizione all’uso pubblico del bene sarebbe sempre possibile
la proposizione dell’istanza di sanatoria– si porrebbe nel nulla il più che
consolidato principio per il quale dal mero decorso del termine assegnato
per la demolizione discende l’acquisizione del bene al patrimonio comunale:
“la presentazione della domanda di accertamento di conformità successiva
alla emanazione dell’ordinanza di demolizione comporta che l’Amministrazione
non può che constatare che l’istanza è stata presentata da chi non sia più
proprietario, se essa è stata proposta dopo l’acquisizione ipso iure della
proprietà ai sensi dell’art. 31, comma 3, del T.U. n. 380 del 2001, per il
decorso del termine di novanta giorni dalla notifica dell'ordinanza di
sgombero e demolizione” (così, ex multis, Consiglio di Stato,
Sez. VI, 04.12.2017, n. 5653) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 05.11.2021 n. 3042 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Non
è consentita la sanatoria parziale di un immobile abusivo, sul presupposto
che il concetto di costruzione deve essere inteso in senso unitario e non in
relazione a singole parti autonomamente considerate.
Pertanto, non è possibile scindere la costruzione tra i vari elementi che la
compongono, per ritenerne sanabili singole porzioni della stessa; è stato
altresì condivisibilmente osservato che "in sede di sanatoria di un immobile
abusivo, le singole parti di un fabbricato possono essere valutate, ai fini
di una sanatoria parziale, soltanto se autonome e scindibili rispetto al
corpo di fabbrica".
Costituisce, invero, principio consolidato quello secondo il quale non è
possibile, scindere la costruzione tra i vari elementi che la compongono ai
fini della sanatoria di singole porzioni di essa.
---------------
16.2. Ciò posto, è dirimente la
circostanza che l’istanza di sanatoria abbia riguardato solo alcune delle
difformità contestate dall’amministrazione comunale con l’ordine demolitorio.
Ritiene, invero, il Collegio di aderire all’orientamento giurisprudenziale
secondo cui "non è consentita la sanatoria parziale di un immobile
abusivo, sul presupposto che il concetto di costruzione deve essere inteso
in senso unitario e non in relazione a singole parti autonomamente
considerate. Pertanto, non è possibile scindere la costruzione tra i vari
elementi che la compongono, per ritenerne sanabili singole porzioni della
stessa (cfr TAR Campania, Napoli, sez. I 08/01/2020 n. 110, TAR Toscana,
sez. III, 18/09/2019, n. 1247); è stato altresì condivisibilmente osservato
che "in sede di sanatoria di un immobile abusivo, le singole parti di un
fabbricato possono essere valutate, ai fini di una sanatoria parziale,
soltanto se autonome e scindibili rispetto al corpo di fabbrica (cfr. TAR
Sardegna, sez. II, 17/09/2019, n. 740)” (TAR Napoli, sez. II, sentenza
n. 1466 del 21.04.2020).
Ciò posto, appare evidente come il Comune abbia correttamente ritenuto non
accoglibile l'istanza in quanto afferente solo ad alcuni degli interventi
eseguiti in difformità. Interventi che, insistendo sull’unico fabbricato del
quale sono contestate, tra l’altro, una maggiore altezza complessiva ed una
traslazione di 3,5 metri verso sinistra, non possono essere ritenuti
autonomi e scindibili rispetto al manufatto nel suo complesso, ai fini di
una parziale sanatoria.
Costituisce, invero, principio consolidato quello secondo il quale non è
possibile, scindere la costruzione tra i vari elementi che la compongono ai
fini della sanatoria di singole porzioni di essa (cfr. Cass., sez. III, n.
4752 del 30.01.2018).
Né, del resto, l’amministrazione deve porsi la questione se una diversa
istanza -in ipotesi- avrebbe potuto avere un esito diverso (Consiglio di
Stato sez. VI, sentenza n. 4033 del 02.07.2018) (TAR
Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 18.10.2021 n. 787 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Conformemente alla ormai univoca
giurisprudenza amministrativa, va esclusa ogni rilevanza alla cosiddetta
sanatoria giurisprudenziale, atteso che il requisito della doppia conformità
deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del
territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l’assoluto
rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco
temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione
dell’istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità.
---------------
Non vi è coincidenza tra precarietà e utilizzo stagionale delle opere
qualora le cicliche esigenze stagionali vadano a trasformare in modo
durevole l’area scoperta preesistente con conseguente impatto sul
territorio.
Ed invero, «i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze
permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi,
con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la
precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e
l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo
o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato
ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto
stagionale».
Ne discende che la realizzazione di interventi non meramente manutentivi, ma
determinanti la creazione di superfici utili o volumi, con conseguente
aumento di carico urbanistico, richiede la previa acquisizione
dell’autorizzazione paesaggistica, che è un titolo autonomo non conseguibile
a sanatoria ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 146 e 167,
commi 4 e 5, del decreto legislativo n. 42/2004.
---------------
Nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (specie dopo
l’entrata in vigore, a regime, dell’art. 146 del D.lgs. 42/2004), il previo
parere della Soprintendenza ha natura vincolante».
In ogni caso, la giurisprudenza amministrativa è costante nell’affermare
che, anche in presenza di un permesso di costruire, l’inizio dei lavori in
zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio anche
dell’autorizzazione paesaggistica, trattandosi di titoli che hanno contenuti
differenti, seppure ambedue relazionati al territorio, e di ambedue i
titoli, sicché il permesso di costruire, in assenza del nulla osta
paesaggistico, è inefficace.
---------------
1. L’odierno appellante ha proposto il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-,
dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la -OMISSIS-, sede
-OMISSIS-, avverso: il provvedimento del Comune di Polignano a Mare prot. n.
-OMISSIS-, avente ad oggetto «diffida all’esercizio dell'attività di
somministrazione di alimenti e bevande in località -OMISSIS-. Diffida al
conferimento di rifiuti ai contenitori ubicati sul territorio comunale»;
dell’ivi richiamato verbale di atti di accertamento del 18.05.2009, prot. n.
-OMISSIS-.; la nota del Comune di Polignano a Mare prot. n. -OMISSIS-,
avente ad oggetto «divieto di prosecuzione dell’esercizio di attività
abusiva di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande» e del
richiamato verbale del 18.05.2009; all’occorrenza, l’ordinanza di
sospensione lavori del Comune di Polignano a Mare n. -OMISSIS-.
...
Il diniego di istanza di permesso di costruire in sanatoria è basato su
plurimi motivi ostativi alla doppia conformità, trattandosi di opere
realizzate su un’area in concessione demaniale e con vincolo paesaggistico
ai sensi del decreto legislativo 42/2004.
Al riguardo, conformemente alla ormai univoca giurisprudenza amministrativa,
va esclusa ogni rilevanza alla cosiddetta sanatoria giurisprudenziale,
atteso che il requisito della doppia conformità deve considerarsi principio
fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento
finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed
edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione
dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l'accertamento
di conformità (ex aliis, Consiglio di Stato, sezione VI, sentenze
17.02.2021, n. 1457, 04.01.2021, n. 43, e 18.07.2016, n. 3194).
Ciò posto, è assorbente quanto precisato nel parere contrario della
Soprintendenza del 13.10.2010 sul riscontrato aumento di volume e superficie
utile del chiosco, trattandosi di struttura chiusa su tre lati, con una
conseguente variazione essenziale rispetto al progetto assentito nel 2003, a
cui non è applicabile “mini-sanatoria” paesaggistica di cui
all’articolo 167, comma 4, del decreto legislativo n. 42/2004.
In proposito va evidenziato che non vi è coincidenza tra precarietà e
utilizzo stagionale delle opere qualora le cicliche esigenze stagionali
vadano a trasformare in modo durevole l’area scoperta preesistente con
conseguente impatto sul territorio. Ed invero, «i manufatti non precari,
ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come
idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico
urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la
rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il
manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso
per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere
reiterato nel tempo in quanto stagionale» (Consiglio di Stato, sezione
VI, sentenza 03.06.2014, n. 2842; nello stesso senso cfr., ex aliis,
Consiglio di Stato, sezione IV, decisione 22.12.2007, n. 6615; Consiglio
Stato, sezione V, decisione 12.12.2009, n. 7789; Consiglio di Stato, sezione
VI, sentenza 01.12.2014, n. 5934).
Ne discende che la realizzazione di interventi non meramente manutentivi, ma
determinanti la creazione di superfici utili o volumi, con conseguente
aumento di carico urbanistico, richiede la previa acquisizione
dell’autorizzazione paesaggistica, che è un titolo autonomo non conseguibile
a sanatoria ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 146 e 167,
commi 4 e 5, del decreto legislativo n. 42/2004.
Nel caso di specie è stata cagionata inoltre un’alterazione dello stato dei
luoghi determinata dallo scavo del banco di roccia per la realizzazione
della fossa di tipo Imhoff, non prevista dalle concessioni demaniali e dal
permesso di costruire, che non autorizzavano alcun tipo di scavo della
roccia, ma soltanto l’installazione di bagni chimici e facendo comunque
salva la necessità di realizzarle nell’ambito dell’area oggetto della
concessione, e non fuori da essa, come, invece, in concreto verificatosi.
Sul punto è inconferente il richiamo all’art. 11 della legge regionale della
-OMISSIS- n. 17/2006 recante l’obbligo in capo al concessionario di
stabilimento demaniale marittimo di garantire i servizi minimi (igienico-sanitari,
docce e chiosco-bar), poiché tale obbligo va ottemperato nel rispetto della
normativa e non autorizza ovviamente la realizzazione di opere abusive.
Con riferimento all’occupazione abusiva del demanio marittimo per la
realizzazione di tali opere, la normativa di settore non prevede la
possibilità di una specifica sanatoria, non avendo peraltro il pagamento
dell’indennità per l’occupazione abusiva alcun effetto sanante; diversamente
opinando, infatti, si darebbe ingresso ad un’illegale sanatoria atipica
demaniale e si aggirerebbe l’obbligo di una procedura di evidenza pubblica
aperta a tutti gli operatori economici interessati propedeutica
all’affidamento della concessione.
Ne deriva che l’amministrazione comunale non avrebbe potuto in alcun modo
accoglier l’istanza di sanatoria edilizia, stante la natura vincolata del
predetto parere negativo di compatibilità paesaggistica poiché, «nel
procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (specie dopo
l’entrata in vigore, a regime, dell’art. 146 del D.lgs. 42/2004), il previo
parere della Soprintendenza ha natura vincolante» (Consiglio di Stato,
sezione VI, 08.08.2018, n. 5770); in ogni caso, la giurisprudenza
amministrativa è costante nell’affermare che, anche in presenza di un
permesso di costruire, l’inizio dei lavori in zona paesaggisticamente
vincolata richiede il rilascio anche dell’autorizzazione paesaggistica,
trattandosi di titoli che hanno contenuti differenti, seppure ambedue
relazionati al territorio, e di ambedue i titoli, sicché il permesso di
costruire, in assenza del nulla osta paesaggistico, è inefficace (cfr.,
ex aliis, Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 14.12.2015, n. 5663,
13.04.2016, n. 1436, e 21.05.2021, n. 3952).
Ne consegue peraltro che ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge
n. 241/1990 qualsivoglia vizio formale e procedimentale verrebbe
sterilizzato dalla natura vincolata e necessitata del diniego di sanatoria
edilizia adottato dal Comune
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 14.10.2021 n. 6912 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Una volta decorso il termine
per provvedere e formatosi il cd. silenzio-rigetto sulla richiesta di
sanatoria ex art. 36 dpr 380/2001, la P.A. non perde la potestà di emettere
un provvedimento espresso.
---------------
La presentazione da parte
del privato di un’istanza di “sanatoria ordinaria”, ossia di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio
pregresso sicché non vi è alcuna necessità per la P.A. di
adottare, se del caso, un nuovo ordine di demolizione.
L’istanza ex art. 36
cit. determina la sospensione temporanea dell’esecuzione del provvedimento demolitorio, ma unicamente per il tempo (60 gg.) necessario alla
definizione, anche solo tacita, del procedimento, con l’avviso che, nel caso
di mancato accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione riacquista la
sua efficacia, senza che vi sia alcuna necessità per la P.A di disporne la
riadozione: ad opinare diversamente, del resto, si consentirebbe al privato,
destinatario del provvedimento demolitorio, il potere di paralizzarlo,
attraverso un sostanziale annullamento, intrinseco nella mera presentazione
di una domanda, finanche pretestuosa, in contrasto con evidenti ragioni di
economicità e coerenza dell’azione amministrativa.
L’inidoneità dell’istanza di sanatoria ex art. 36 cit. a determinare
l’inefficacia –anziché la mera sospensione– dell’ordine di demolizione
comporta vieppiù che tale istanza non incide sull’efficacia del
provvedimento di acquisizione gratuita.
---------------
5.3.1.
Quanto al motivo I D), l’appellante lamenta che il diniego espresso del
03.01.2012, con il quale il Comune di Casoria ha negativamente riscontrato
la sua istanza di accertamento di conformità delle opere abusive, non gli
sarebbe stato mai comunicato; insiste, poi, per l’esistenza delle condizioni
di legge per l’accoglimento di detta istanza. In contrario, tuttavia, si
sottolinea che l’appellante non ha replicato all’affermazione dei giudici di
prime cure secondo cui egli, una volta avuto notizia del provvedimento di
rigetto espresso dell’istanza ex art. 36 del T.U. n. 380/2001, si è limitato
a rivolgere censure allo stesso mediante memoria non notificata depositata
il 23.09.2013, così incorrendo nell’inammissibilità prevista ogni
qual volta si pretenda di ampliare il thema decidendum della causa
attraverso memoria difensiva non notificata (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez.
III, 09.07.2014, n. 3493; Sez. V, 24.10.2013, n. 5156; Sez. IV, 26.03.2013, n. 1715).
5.3.2. È utile precisare come, una volta decorso il termine per provvedere e
formatosi il cd. silenzio-rigetto, la P.A. non perda la potestà di emettere
un provvedimento espresso (cfr., in termini generali, C.d.S., A.P., 24.11.1989, n. 16; v., sull’accertamento di conformità, TAR Campania,
Napoli, Sez. VII, 11.05.2021, n. 3127).
5.4. In merito, poi, al motivo II D), questo Collegio, in adesione
all’indirizzo ormai consolidato della Sezione (cfr., da ultimo, C.d.S., Sez.
II, 06.05.2021, n. 3545, alle cui articolate motivazioni si fa rinvio),
ritiene che la presentazione da parte del privato di un’istanza di
“sanatoria ordinaria”, ossia di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, non renda inefficace il provvedimento sanzionatorio
pregresso, con il corollario che non vi è alcuna necessità per la P.A. di
adottare, se del caso, un nuovo ordine di demolizione. L’istanza ex art. 36
cit. determina la sospensione temporanea dell’esecuzione del provvedimento
demolitorio, ma unicamente per il tempo (60 gg.) necessario alla
definizione, anche solo tacita, del procedimento, con l’avviso che, nel caso
di mancato accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione riacquista la
sua efficacia, senza che vi sia alcuna necessità per la P.A di disporne la
riadozione (C.d.S., Sez. V, 22.01.2021, n. 666; Sez. II, 19.02.2020, n. 1260; id., 13.06.2019, n. 3954; Sez. VI,
01.03.2019, n.
1435): ad opinare diversamente, del resto, si consentirebbe al privato,
destinatario del provvedimento demolitorio, il potere di paralizzarlo,
attraverso un sostanziale annullamento, intrinseco nella mera presentazione
di una domanda, finanche pretestuosa, in contrasto con evidenti ragioni di
economicità e coerenza dell’azione amministrativa (C.d.S., Sez. II, n.
3545/2021, cit.).
5.4.1. L’inidoneità dell’istanza di sanatoria ex art. 36 cit. a determinare
l’inefficacia –anziché la mera sospensione– dell’ordine di demolizione
comporta vieppiù che tale istanza non incide sull’efficacia del
provvedimento di acquisizione gratuita: se ne evince la complessiva
infondatezza della doglianza ora analizzata (Consiglio
di Stato, Sez. II,
sentenza 11.10.2021 n. 6797 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2021 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Effetti e limiti del rilascio di concessione o permesso in
sanatoria – Acquisizione al patrimonio comunale – Art. 36,
d.P.R. n. 380/2001.
Il rilascio di concessione o permesso in
sanatoria ex art. 36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, non
presuppone, quale atto implicito, la rinuncia da parte del
Comune al diritto di proprietà sull’opera abusiva già
acquisita al suo patrimonio a seguito del decorso del
termine di 90 giorni dalla notifica dell’ordine di
demolizione, non essendovi coincidenza, sul piano della
competenza, tra l’organo adottante l’atto presupponente
(permesso in sanatoria) –ufficio tecnico comunale– e
l’organo competente alla adozione dell’atto presupposto
implicito (rinuncia al diritto di proprietà), da
individuarsi in distinti e superiori organi comunali.
...
EDILIZIA – Permesso di costruire in sanatoria – PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE – Acquisizione ipso iure della
proprietà ex art. 31, c. 3, del T.U.E. n. 380/2001 –
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Presentazione della domanda di
accertamento di conformità e spoliazione di diritto della
proprietà – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE – Richiesta di
dissequestro – Legittimazione ad agire in difesa del bene –
Esclusione.
L’art. 36, comma 1, d.P.R. n. 380 del
2001 stabilisce che il permesso di costruire in sanatoria
può essere richiesto fino alla scadenza dei termini di cui
agli artt. 31, comma 3, 33, comma 1, e 34, comma 1, stesso
decreto e, comunque fino all’irrogazione delle sanzioni
amministrative.
La presentazione della domanda di accertamento di conformità
successiva alla emanazione dell’ordinanza di demolizione
comporta che l’Amministrazione non può che constatare che
l’istanza è stata presentata da chi non sia più
proprietario, se essa è stata proposta dopo l’acquisizione
ipso iure della proprietà ai sensi dell’art. 31, comma 3,
del t.u. n. 380 del 2001, per il decorso del termine di
novanta giorni. Una volta acquisita al patrimonio comunale,
solo il Comune può stabilire, con deliberazione consiliare,
l’esistenza di prevalenti interessi pubblici sempre che
l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici ed
ambientali.
La spoliazione di diritto della proprietà del bene sottrae
sostanza giuridica all’interesse vantato nei suoi confronti
dal precedente proprietario degradandolo a mero interesse di
fatto che, privandolo della legittimazione ad agire in
difesa del bene stesso, impedisce persino la restituzione in
suo favore caso di dissequestro.
...
EDILIZIA – Ordine di demolizione dell’opera abusiva e
rimessione in pristino dello stato dei luoghi –
Ingiustificata inottemperanza – Automatica acquisizione
gratuita al patrimonio comunale.
L’ingiustificata inottemperanza
all’ordine di demolizione dell’opera abusiva ed alla
rimessione in pristino dello stato dei luoghi entro novanta
giorni dalla notifica dell’ingiunzione a demolire emessa
dall’Autorità amministrativa determina l’automatica
acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’opera è
dell’area pertinente.
L’effetto acquisitivo si verifica senza che sia necessaria
né la notifica all’interessato dell’accertamento
dell’inottemperanza né la trascrizione, in quanto il primo
atto ha solo funzione certificativa dell’avvenuto
trasferimento del diritto di proprietà, costituendo titolo
per l’immissione in possesso, mentre la trascrizione serve a
rendere opponibile il trasferimento ai terzi a norma
dell’art. 2644 cod. civ..
...
EDILIZIA – Reati edilizi – Condono edilizio – Potere-dovere
di verifica del giudice penale – Accertamento della
sussistenza dei presupposti e requisiti per conseguire la
speciale causa estintiva – C.d. attestazione di congruità
dell’oblazione.
In tema di reati edilizi, il giudice
penale ha il potere-dovere di verificare in via incidentale
la legittimità del permesso di costruire in sanatoria e la
conformità delle opere agli strumenti urbanistici, ai
regolamenti edilizi ed alla disciplina legislativa in
materia urbanistico-edilizia, senza che ciò comporti
l’eventuale “disapplicazione” dell’atto amministrativo ai
sensi dell’art. 5 della legge 20.03.1865 n. 2248, allegato
E, atteso che viene operata una identificazione in concreto
della fattispecie con riferimento all’oggetto della tutela,
da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e
sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici.
Più specificamente, è stato affermato, che l’accertamento
della sussistenza di tutti i presupposti ed i requisiti per
conseguire la speciale causa estintiva prevista dalla
normativa sul condono edilizio, non costituisce
disapplicazione di un atto amministrativo preteso
illegittimo (la c.d. attestazione di congruità
dell’oblazione ovvero, nei casi in cui sia contestato un
reato attinente alla tutela di un vincolo, della concessione
in sanatoria subordinata all’autorizzazione dell’autorità
competente per detta protezione ex art. 39, ottavo comma,
legge n. 724 del 1994), ma rientra tra i compiti del giudice
penale, cui è deferita la dichiarazione di improcedibilità
dell’azione penale per l’applicazione della predetta
specifica causa di estinzione dei reati
(Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 27.09.2021 n. 35484 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Procedimento amministrativo.
Non vi è obbligo da parte del Comune ad inviare la comunicazione di avvio
del procedimento (per un permesso di costruire in sanatoria) a soggetti che
avevano manifestato precedentemente la loro contrarietà al provvedimento in
via di approvazione, potendo gli stessi comunque intervenire nel
procedimento e in ogni caso impugnare l'eventuale provvedimento conclusivo.
---------------
8. Con il primo motivo l’appellante contesta l’affermazione del Tar
secondo cui la mancata comunicazione di avvio del procedimento alla signora
Capicotto non darebbe luogo alla illegittimità del provvedimento in quanto
non sussisterebbero i presupposti, nella specie, della necessaria
comunicazione consistenti nella interferenza dell’atto e nella agevole
identificabilità della stessa quale controinteressata.
Ad avviso dell’appellante, viceversa, il Comune era sicuramente a conoscenza
dell’interesse della signora Capicotto, che aveva presentato un esposto
all’amministrazione prima del rilascio del permesso di costruire in
sanatoria n. 104. Con la sua partecipazione al procedimento l’appellante
avrebbe potuto rappresentare gli effetti negativi prodotti dalle opere
sanate, quali ad esempio gli eccessi di carichi urbanistici e pericoli
statici e la realizzazione di aperture a distanza ravvicinata dal proprio
appartamento.
8.1. Il motivo non è meritevole di accoglimento. A prescindere dalla
identificabilità da parte dell’amministrazione della signora Ca. come
controinteressata, non vi è obbligo da parte del Comune ad inviare la
comunicazione di avvio del procedimento a soggetti che avevano manifestato
precedentemente la loro contrarietà al provvedimento in via di approvazione,
potendo gli stessi comunque intervenire nel procedimento e in ogni caso
impugnare l’eventuale provvedimento conclusivo (cfr. Cons. St., sez II, n.
1766/2020; id., sez. VI, n. 1718/2014)
(Consiglio
di
Stato, Sez. VI,
sentenza 24.09.2021 n. 6458 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il
silenzio serbato dal Comune sull'istanza di accertamento di conformità
urbanistica non ha valore di silenzio-inadempimento, ma di silenzio-rigetto,
con la conseguenza che, una volta decorso il relativo termine, non sussiste
un obbligo di provvedere; ciò comporta altresì il permanere della facoltà di
provvedere espressamente.
---------------
Per quanto poi riguarda il preliminare verificarsi del silenzio-rigetto,
assume rilievo dirimente il principio (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez.
VI, 06.06.2018, n. 3417) per cui il silenzio serbato dal Comune sull'istanza
di accertamento di conformità urbanistica non ha valore di
silenzio-inadempimento, ma di silenzio-rigetto, con la conseguenza che, una
volta decorso il relativo termine, non sussiste un obbligo di provvedere;
ciò comporta altresì il permanere della facoltà di provvedere espressamente,
nella specie esercitata ragionevolmente, anche a fronte del supplemento
istruttorio svolto dall’amministrazione (cfr. istanza di integrazione del
12.02.2013)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 12.07.2021 n. 5251 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'illegittimità
del diniego del permesso di
costruire in sanatoria avente ad oggetto “sanatoria per modifiche al
distributivo interno rispetto alla planimetria catastale del 14.02.1957.
Opere interne di adeguamento igienico-sanitario”.
Il provvedimento impugnato è illegittimo per difetto
d’istruttoria e di motivazione.
La ricorrente ha fornito specifici e circostanziati elementi potenzialmente
atti a superare le risultanze della planimetria catastale del 1939 (avente
valore di mera presunzione relativa), che, sebbene riferita all’unità
immobiliare per cui è causa, sarebbe in realtà afferente all’unità abitativa
attigua, con accesso dal civico 518 e per un mero errore grafico sarebbe
stata indicata con il numero 520.
Al fine di dimostrare l’erroneità della planimetria del 1939 e che il terzo
piano esisteva prima del 1939 la ricorrente ha profuso un notevole (o
comunque adeguato) sforzo istruttorio, allegando foto, disegni, relazioni,
confronti con altri progetti e in particolare evidenziando che:
- la planimetria del 1939 non trova diretto riscontro con la
tipologia A1;
- la tipologia A1 può essere di tre piani;
- la larghezza dell'edificio rappresentata nel 1939 è più piccola
di circa 1 m (4,84 nel 1939 contro i 5,95 attuali) e quindi il ripristino
dello stato del 1939 comporterebbe la creazione di una calle di cui però non
vi è nessuna traccia agli atti. Nella rappresentazione planimetrica del 1939
l’edificio in questione, infatti, è più stretto di un metro rispetto a
quello reale; ciò significa che a fianco dell’edificio avrebbe dovuto
esistere nel 1939 una calle, peraltro della larghezza di solo un metro, che
però non trova riscontro né formale (sulle planimetrie) né sostanziale
(nell’ampliamento dei muri);
- mancanza di omogeneità dei prospetti della planimetria del 1939;
ancora oggi si vede che il civ. 520 è nella "finestra" centrale e non nella
porta a lato, il che dimostrerebbe la mancata corrispondenza con la
tipologia A1;
- le finestre risultano tutte traslate, ma nel muro non risulta
nessun taglio o modifica che possa dare prova concreta di questa
traslazione. Se fosse reale e corretta la rappresentazione delle finestre
del 1939 e quella conseguente del 1957, nel muro oggi esistente si dovrebbe
vedere la chiusura e la modifica delle finestre stesse (che hanno sempre
bisogno di un architrave per non crollare). Ma questa chiusura e questa
modifica non c’è.
Orbene, in una situazione di questo tipo in cui la ricorrente ha fatto tutto
quanto in suo potere (ad impossibilia nemo tenetur) per dimostrare
l’erroneità delle risultanze catastali del 1939, il Comune avrebbe dovuto
approfondire, in sede istruttoria, i temi d’indagine sottoposti al suo
vaglio -procedendo, se del caso, anche ad un sopralluogo– per verificare la
situazione di fatto ed accertare se la differenza tra le planimetrie
catastali del 1939, del 1957 e del 1991 (quest’ultimo corrispondente allo
stato attuale) sia dovuta ad un intervento abusivo ovvero ad un erronea
rappresentazione dello stato dei luoghi operata in sede di redazione grafica
delle tavole catastali.
Non risulta che tali approfondimenti istruttori siano stati svolti, il che
comporta un difetto d’istruttoria.
Anche la motivazione del provvedimento impugnato deve ritenersi
insufficiente poiché non dà conto delle concrete ragioni per le quali la
ricostruzione dei fatti prospettata dalla ricorrente non possa trovare
accoglimento, limitandosi il diniego a richiamare le risultanze catastali,
la cui tenuta –nel particolare caso di specie– deve, tuttavia, essere
vagliata alla luce degli specifici e circostanziati elementi forniti dalla
ricorrente e potenzialmente volti ad infimarne l’attendibilità.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento prot. id 153221/2018 del 27.03.2018 (Rif. Prat. N. 2016 590635 PG) di diniego del permesso di
costruire in sanatoria avente ad oggetto “sanatoria per modifiche al
distributivo interno rispetto alla planimetria catastale del 14.02.1957.
Opere interne di adeguamento igienico-sanitario”;
...
La ricorrente espone di aver acquistato nel settembre 2014 un immobile ad
uso residenziale sito in Venezia, Dorsoduro, Calle ..., e di
aver successivamente richiesto al Comune il rilascio di un permesso di
costruire in sanatoria per sanare le difformità tra la planimetria del 1957
e lo stato attuale e per effettuare modesti interventi di adeguamento al
piano terra (“sanatoria per modifiche al distributivo interno rispetto alla
planimetria catastale del 14.02.1957. Opere interne di adeguamento igienico
sanitario”).
Nella relazione tecnica allegata all’istanza il consulente di parte esponeva
che l’immobile è “conforme a quanto rappresentato nella planimetria
catastale del 1991, ma difforme a quanto rappresentato dalla planimetria del
1957”, precisando che risultava presente anche una planimetria del 1939
difforme per “errori di natura grafica, se non addirittura relativi
all’individuazione dell’immobile in oggetto”, trattandosi “presumibilmente
della planimetria catastale del civ. 518” come da foto allegata.
Nell’ambito dell’istruttoria procedimentale, i tecnici di fiducia della
ricorrente fornivano ulteriori chiarimenti ed integrazioni al Comune per
evidenziare l’erroneità delle planimetrie, in particolare quella del 1939, e
spiegare le ragioni per le quali nella planimetria del 1939 vengono
rappresentati solo due piani invece degli attuali tre, compreso il fatto che
verosimilmente l’ultimo piano veniva utilizzato come soffitta.
Il Comune denegava il permesso di costruire in sanatoria, rilevando che “la
documentazione prodotta non è sufficiente a dimostrare che le difformità
riscontrate rispetto alla planimetria catastale del 1939 siano riconducibili
ad errori grafici della stessa” e ritenendo che non sarebbe stata dimostrata
“la legittimità urbanistica-edilizia dello stato dei luoghi rappresentato
nella planimetria catastale del 1957”.
La ricorrente ha impugnato il surriferito diniego del permesso di costruire
in sanatoria oppostole dal Comune, deducendone l’illegittimità per
violazione di legge ed eccesso di potere.
Si è costituito in giudizio l’Ente Civico contrastando le avverse pretese.
All’udienza pubblica in epigrafe indicata la causa è passata in decisione.
Il ricorso merita accoglimento nei limiti di seguito indicati.
Il provvedimento impugnato è illegittimo per difetto d’istruttoria e di
motivazione.
La ricorrente ha fornito specifici e circostanziati elementi potenzialmente
atti a superare le risultanze della planimetria catastale del 1939 (avente
valore di mera presunzione relativa), che, sebbene riferita all’unità
immobiliare per cui è causa, civico 520, secondo l’odierna istante, sarebbe
in realtà afferente all’unità abitativa attigua, con accesso dal civico 518
e per un mero errore grafico sarebbe stata indicata con il numero 520.
Al fine di dimostrare l’erroneità della planimetria del 1939 e che il terzo
piano esisteva prima del 1939 la ricorrente ha profuso un notevole (o
comunque adeguato) sforzo istruttorio, allegando foto, disegni, relazioni,
confronti con altri progetti e in particolare evidenziando che:
- la planimetria del 1939 non trova diretto riscontro con la
tipologia A1;
- la tipologia A1 può essere di tre piani;
- la larghezza dell'edificio rappresentata nel 1939 è più piccola
di circa 1 m (4,84 nel 1939 contro i 5,95 attuali) e quindi il ripristino
dello stato del 1939 comporterebbe la creazione di una calle di cui però non
vi è nessuna traccia agli atti. Nella rappresentazione planimetrica del 1939
l’edificio in questione, infatti, è più stretto di un metro rispetto a
quello reale; ciò significa che a fianco dell’edificio avrebbe dovuto
esistere nel 1939 una calle, peraltro della larghezza di solo un metro, che
però non trova riscontro né formale (sulle planimetrie) né sostanziale
(nell’ampliamento dei muri);
- mancanza di omogeneità dei prospetti della planimetria del 1939;
ancora oggi si vede che il civ. 520 è nella "finestra" centrale e non nella
porta a lato, il che dimostrerebbe la mancata corrispondenza con la
tipologia A1;
- le finestre risultano tutte traslate, ma nel muro non risulta
nessun taglio o modifica che possa dare prova concreta di questa
traslazione. Se fosse reale e corretta la rappresentazione delle finestre
del 1939 e quella conseguente del 1957, nel muro oggi esistente si dovrebbe
vedere la chiusura e la modifica delle finestre stesse (che hanno sempre
bisogno di un architrave per non crollare). Ma questa chiusura e questa
modifica non c’è.
Orbene, in una situazione di questo tipo in cui la ricorrente ha fatto tutto
quanto in suo potere (ad impossibilia nemo tenetur) per dimostrare
l’erroneità delle risultanze catastali del 1939, il Comune avrebbe dovuto
approfondire, in sede istruttoria, i temi d’indagine sottoposti al suo
vaglio -procedendo, se del caso, anche ad un sopralluogo– per verificare
la situazione di fatto ed accertare se la differenza tra le planimetrie
catastali del 1939, del 1957 e del 1991 (quest’ultimo corrispondente allo
stato attuale) sia dovuta ad un intervento abusivo ovvero ad un erronea
rappresentazione dello stato dei luoghi operata in sede di redazione grafica
delle tavole catastali.
Non risulta che tali approfondimenti istruttori siano stati svolti, il che
comporta un difetto d’istruttoria.
Anche la motivazione del provvedimento impugnato deve ritenersi
insufficiente poiché non dà conto delle concrete ragioni per le quali la
ricostruzione dei fatti prospettata dalla ricorrente non possa trovare
accoglimento, limitandosi il diniego a richiamare le risultanze catastali,
la cui tenuta –nel particolare caso di specie– deve, tuttavia, essere
vagliata alla luce degli specifici e circostanziati elementi forniti dalla
ricorrente e potenzialmente volti ad infimarne l’attendibilità.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto, risultando fondate le
censure con cui l’istante lamenta il difetto d’istruttoria e di motivazione
del contestato diniego di permesso di costruire in sanatoria
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 09.07.2021 n. 911 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
AREE PROTETTE – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA –
Inammissibilità della sanatoria urbanistico edilizia in area
perimetrata a parco – Abuso edilizio – Permesso di costruire
in sanatoria – Art. 36 del d.P.R. 380/2001 – Nulla-osta –
Art. 13, l. 394/1991 – Illegittimità del nulla-osta postumo.
Il legislatore, stante la prioritaria
esigenza di salvaguardia e tutela di valori
costituzionalmente rilevanti quali l’ambiente e la natura
oggetto di protezione integrale nell’ambito delimitato dal
Parco, ha costruito il nulla-osta come atto necessariamente
destinato a precedere il rilascio di provvedimenti
abilitativi puntuali che riguardino un singolo, specifico
intervento da valutarsi preventivamente.
Si tratta infatti di evitare che l’antropizzazione del Parco
segua una logica casuale e connotata dalla creazione di
stati di fatto quale quella che connota talvolta
inevitabilmente lo sviluppo urbano, una volta introdotta la
regola generale di ammissibilità delle valutazioni postume (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.07.2021 n. 5152 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Accertamento
di conformità (c.d. sanatoria ordinaria) di manufatti abusivi costruiti nei
parchi.
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Edilizia – Abusi - Accertamento di conformità – Manufatti realizzati nei
parchi – Inammissibilità.
E’ inammissibile l’accertamento di conformità (c.d.
sanatoria ordinaria) di manufatti abusivi costruiti nei parchi, e ciò perché
le costruzioni ammissibili nel Regolamento del Parco pur sempre come forme
di antropizzazione derogatoria alle esigenze di protezione integrale
ammettono solo l’autorizzazione preventiva (1).
---------------
(1) Ha ricordato la Sezione che l’Adunanza
Plenaria n. 17 del 2016, nel salvare il silenzio-assenso di cui
all'art. 13 della legge quadro n. 13 del 1991 ha sottolineato la “specialità”
della disciplina sui parchi come aree di protezione integrale della natura
nelle quali vale il principio della c.d. ecologia profonda che implica la
conservazione integrale della natura e limitati interventi di
antropizzazione conformi alla pianificazione del Parco.
La Plenaria ha evidenziato che il nulla-osta dell’art. 13, l. n. 394 del
1991 ha ad oggetto la previa verifica di conformità dell’intervento con le
disposizioni del piano per il parco (che -a norma dell’art. 12- persegue la
tutela dei valori naturali ed ambientali affidata all’Ente parco) e del
regolamento del parco (che -a norma dell’art. 11- disciplina l’esercizio
delle attività consentite entro il territorio del parco).
Quegli atti generali rappresentano gli strumenti essenziali e indefettibili
della cura dell’interesse naturalistico e ambientale in ragione della quale
è istituito il parco con il suo «speciale regime di tutela e di gestione».
Essi disciplinano in dettaglio e per tutto il territorio del parco gli
interventi e le attività vietati e quelli solo parzialmente consentiti, le
loro ubicazioni, destinazioni, modalità di esplicazione e così via, secondo
un disegno organico inteso a «la conservazione e la valorizzazione del
patrimonio naturale».
A differenza di una valutazione di compatibilità, la detta verifica di
conformità -che solo accerta la conformità degli interventi concretamente
prospettati alle figure astrattamente consentite- non comporta un giudizio
tecnico-discrezionale autonomo e distinto da quello già dettagliatamente
fatto e reso noto, seppure in via generale, mediante i rammentati strumenti
del Piano per il parco e del Regolamento del parco.
Il citato art. 13 della legge quadro subordina il rilascio di concessioni o
autorizzazioni relative ad interventi, impianti od opere al nulla-osta
dell’Ente parco che ne verifica la compatibilità con la tutela dell’area
naturale protetta (art. 13, comma 1).
Ma non riguarda opere in sanatoria. E ciò si spiega.
Si tratta infatti di evitare che l’antropizzazione del Parco segua una
logica casuale e connotata dalla creazione di stati di fatto quale quella
che connota talvolta inevitabilmente lo sviluppo urbano, una volta
introdotta la regola generale di ammissibilità delle valutazioni postume
(art. 36 del t.u. edilizia).
Ha aggiunto che il legislatore, stante la prioritaria esigenza di
salvaguardia e tutela di valori costituzionalmente rilevanti quali
l’ambiente e la natura oggetto di protezione integrale nell’ambito
delimitato dal Parco, ha costruito il nulla-osta come atto necessariamente
destinato a precedere il rilascio di provvedimenti abilitativi puntuali che
riguardino un singolo, specifico intervento da valutarsi preventivamente.
La differenza tra immobili o aree oggetto di puntuale tutela paesaggistica e
le aree integralmente protette, rimesse alla tutela tramite specifici Enti
Parco, e le finalità di tutela, in funzione all’antropizzazione del
territorio, non consentono quindi un’applicazione della sanatoria prevista
nell’art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.07.2021 n. 5152 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
... per la riforma della
sentenza 16.04.2019 n. 2160 del Tribunale Amministrativo
Regionale per la Campania (Sezione Terza), resa tra le parti.
...
La questione principale della causa nel merito è relativa
all’interpretazione dell’art. 13 della legge quadro sulle aree protette ed
all’ammissibilità di sanatorie urbanistico edilizie in aree perimetrate a
parco.
L’Adunanza Plenaria n. 17 del 2016, nel salvare il silenzio assenso di cui
al predetto art. 13 della legge quadro n. 13 del 1991 ha sottolineato la “specialità”
della disciplina sui parchi come aree di protezione integrale della natura
nelle quali vale il principio della c.d. ecologia profonda che implica la
conservazione integrale della natura e limitati interventi di
antropizzazione conformi alla pianificazione del Parco.
La Plenaria ha evidenziato che il nulla osta dell’art. 13, legge n. 394 del
1991 ha ad oggetto la previa verifica di conformità dell’intervento con le
disposizioni del piano per il parco (che -a norma dell’art. 12- persegue la
tutela dei valori naturali ed ambientali affidata all’Ente parco) e del
regolamento del parco (che -a norma dell’art. 11- disciplina l’esercizio
delle attività consentite entro il territorio del parco).
Quegli atti generali rappresentano gli strumenti essenziali e indefettibili
della cura dell’interesse naturalistico e ambientale in ragione della quale
è istituito il parco con il suo «speciale regime di tutela e di gestione».
Essi disciplinano in dettaglio e per tutto il territorio del parco gli
interventi e le attività vietati e quelli solo parzialmente consentiti, le
loro ubicazioni, destinazioni, modalità di esplicazione e così via, secondo
un disegno organico inteso a «la conservazione e la valorizzazione del
patrimonio naturale».
A differenza di una valutazione di compatibilità, la detta verifica di
conformità -che solo accerta la conformità degli interventi concretamente
prospettati alle figure astrattamente consentite- non comporta un giudizio
tecnico-discrezionale autonomo e distinto da quello già dettagliatamente
fatto e reso noto, seppure in via generale, mediante i rammentati strumenti
del Piano per il parco e del Regolamento del parco.
L’interpretazione dell’Adunanza Plenaria è puntuale: “Questi strumenti,
dettando i parametri di riferimento per la valutazione dei vari interventi,
inverano l’indispensabile e doverosa cura degli interessi
naturalistico-ambientali.
I limiti di cui si tratta sono del resto intesi essenzialmente alla
preservazione del dato naturalistico e si esplicano per lo più in
valutazioni generali di tipo negativo con l’indicazione di opere reputate
comunque incompatibili con quella salvaguardia. Sicché detti strumenti
assorbono in sé le valutazioni possibili e le traducono in precetti per lo
più negativi (divieti o restrizioni quantitative), rispetto ai quali resta
in concreto da compiere una mera verifica di conformità senza residui
margini di apprezzamento. Il che è reso ontologicamente possibile
dall’assenza, rispetto all’interesse naturalistico, di spazi per valutazioni
di tipo qualitativo circa l’intervento immaginato: si tratta qui infatti,
secondo una distinzione di base ripetutamente presente in dottrina a
proposito delle varie declinazioni della tutela ambientale, di salvaguardare
l’«ambiente-quantità», il che tecnicamente consente questo assorbimento,
negli atti generali e pianificatori, della cura dell’interesse generale.
Questi strumenti così definiscono ex ante le inaccettabilità o limiti di
accettabilità delle trasformazioni che altrimenti caratterizzerebbero un
congruo giudizio di compatibilità rispetto a quella salvaguardia.”
Il citato art. 13 della legge quadro subordina il rilascio di concessioni o
autorizzazioni relative ad interventi, impianti od opere al nulla-osta
dell’Ente parco che ne verifica la compatibilità con la tutela dell’area
naturale protetta (art. 13, comma 1).
Ma non riguarda opere in sanatoria. E ciò si spiega.
Si tratta infatti di evitare che l’antropizzazione del Parco segua una
logica casuale e connotata dalla creazione di stati di fatto quale quella
che connota talvolta inevitabilmente lo sviluppo urbano, una volta
introdotta la regola generale di ammissibilità delle valutazioni postume
(art. 36 del t.u. edilizia ).
Con specifico riguardo alla natura del nulla-osta in argomento si evidenzia
come esso sia, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, “atto
diverso dall’autorizzazione paesaggistica agli interventi, agli impianti e
alle opere da realizzare, in quanto atto endoprocedimentale prodromico
rispetto al rilascio dell’autorizzazione stessa” (Corte cost., sentenza
29.12.2004, n. 429) dotato di una sua autonomia essendo l’interesse
naturalistico ambientale diverso da quello paesaggistico.
Infatti la valutazione paesaggistica postuma, entro certi limiti, dall’art.
167, comma 4, del Codice dei beni culturali e del paesaggio che recita: “L'autorità
amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le
procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità
dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di
superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione
paesaggistica;
c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto
del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380.”
Nulla di analogo è prescritto per il nulla-osta ad interventi nell’ambito
dei parchi.
Se ne deve desumere la radicale inammissibilità dei pareri postumi dell’Ente
Parco e la natura preventiva dell’autorizzazione di cui all’art. 13 della
legge quadro sulle aree protette.
Il nulla-osta si inserisce, nella trama normativa della legge quadro, come
punto terminale di contatto, come elemento di congiunzione tra le esigenze
superiori della protezione naturalistica e le attività economiche e sociali
e va letto coordinandolo con le altre previsioni di meccanismi
operativo-funzionali. In un’area integralmente protetta, infatti, sono
vietate tutte quelle attività che non siano espressamente consentite dal
piano e dettagliatamente disciplinate nel relativo regolamento.
Ne deriva che il legislatore, stante la prioritaria esigenza di salvaguardia
e tutela di valori costituzionalmente rilevanti quali l’ambiente e la natura
oggetto di protezione integrale nell’ambito delimitato dal Parco, ha
costruito il nulla-osta come atto necessariamente destinato a precedere il
rilascio di provvedimenti abilitativi puntuali che riguardino un singolo,
specifico intervento da valutarsi preventivamente.
Queste utili precisazioni sulla scorta della ritenuta specialità della
disciplina dei parchi già evocata nella citata sentenza dell’Adunanza
Plenaria, vanno poste alla base della ricostruzione dell’istituto in esame e
ne chiariscono la peculiarità, portando il Collegio a non poter seguire il
ragionamento del TAR Campania.
La differenza tra immobili o aree oggetto di puntuale tutela paesaggistica e
le aree integralmente protette, rimesse alla tutela tramite specifici Enti
Parco, e le finalità di tutela, in funzione all’antropizzazione del
territorio, non consentono quindi un’applicazione della sanatoria prevista
nell’art. 36 del DPR 380/2001.
Va ricordato che i ricorrenti in primo grado avevano ottenuto, in data
12.06.2015, (prot. n. 7862) il parere di conformità paesaggistica della
Soprintendenza delle B.A. e Paesaggio di Napoli atteso che l'intervento non
è in contrasto con i caratteri paesaggistici del contesto, inserendosi
nell’ambiente circostante senza alterazioni rilevanti.
Ma le prescrizioni di NTA del vigente PTP nelle Zone di “protezione
integrale” (in combinato disposto artt. 11 e 9 NTA) vietano qualsivoglia
incremento volumetrico e consentono solamente interventi di recupero del
patrimonio edilizio esistente.
Qui siamo però di fronte ad interventi nuovi, come prospetta l’appellante:
- recinzione per circa 10 mt. di lunghezza ed alta circa 2 mt. con
inferriata e cancello in ferro;
- costruzione di muretti completi di intonaco e pitturazione;
- costruzione di piccola rampa di scala per il dislivello di due
ambienti;
- realizzazione di un impianto sanitario;
- realizzazione di alcune rampe di scale in calcestruzzo allo stato
grezzo;
- costruzione di due colonne in muratura aventi dimensioni circa m
0.30 x 0.30 ed altezza circa m. 2.40;
- realizzazione al primo piano di un ampliamento in muratura sul
prospetto est di circa mq. 9,50 altezza circa m 2.70, completo di
pitturazione, pavimentazione e infisso esterno. In adiacenza a detto
ampliamento, risulta essere presente un altro vano in muratura in
ampliamento;
- sostituzione della copertura della tettoia in legno posta sul
terrazzo ad est del primo piano, con tavole in legno con soprastante
materiale impermeabilizzante, e realizzazione anche dei pilastrini in
muratura di appoggio delle travi orizzontali e muretti di collegamento
completi di intonaco, mattonelle in cotto;
- nell’area di pertinenza dei fabbricati, movimenti di terra,
riempimento e sbancamento di aree, rampe di accesso per il collegamento del
dislivello di varie quote, ed il percorso veicolare formato da stradina in
terra battuta.
Né depone in senso contrario la giurisprudenza della Sezione che qualche
volta ha ammesso valutazioni postume di manufatti edificati nei parchi.
Tali valutazioni restano ammissibili a fronte di sopravvenienze dei vincoli
del parco.
Si ricordi quanto affermato in analoga fattispecie relativa però a manufatti
preesistenti il piano del Parco “in altri termini, il diniego dell’Ente
parco non avrebbe potuto far perno esclusivamente sulla contrarietà
dell’intervento edilizio realizzato rispetto alle nuove previsioni del piano
del parco, che evidentemente hanno valenza vincolante pro futuro senza
incidere, in senso draconianamente ostativo, in ordine alle costruzioni già
realizzate e già oggetto di domanda di sanatoria straordinaria. Sotto tale
profilo, appare apprezzabile e meritevole di accoglimento il motivo di
ricorso di primo grado che ha stigmatizzato il carattere irragionevole ed
insufficiente della motivazione addotta dall’Ente parco, esclusivamente su
tale questione, a sostegno del diniego di nulla-osta” (Cons. Stato, sez.
VI, n. 231/2014 in senso analogo ma più generico C. Stato, sez. VI,
2833/2009, e Cons. Stato, sez. VI, n 5646/2008).
Appare più che sostenibile e non illogica l’esegesi che differenzia i beni
oggetto della tutela (ambiente ed edilizia) piuttosto che quella che
generalizza le valutazioni postume sulla base del combinato disposto della
norma contenuta nell’art. 36 del D.P.R. 380/2001 con l’art. 13 della legge
quadro sulle aree protette (legge n. 394/1991).
Tale differenziazione di ambiti porta l’amministrazione appellante a
chiedere la riforma della sentenza sulla base della ritenuta legittimità del
diniego da parte dell’Ente Parco che non avrebbe quindi sconfinato
nell’ambito dei poteri comunali ma solo difeso le proprie prerogative a
fronte di una impropria richiesta di parere.
Dispone l’art. 13 che è l’unica disposizione applicabile al caso di specie:
“Il rilascio di concessioni ed autorizzazioni relative ad interventi,
impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla
osta dell’Ente parco. Il nulla-osta verifica la conformità tra le
disposizioni del piano e del regolamento e l’intervento ed è reso entro
sessanta giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente tale termine il
nulla-osta si intende rilasciato.”
Non rileva in alcun modo l’istituto dell’accertamento di conformità che
rimane di applicazione generale anche per le aree soggette a vincoli ma non
oggetto di protezione integrale.
7.4 Non si può quindi sostenere un difetto di motivazione del provvedimento
dell’E.P.N.V. e richiamare l’Ente pubblico ad attenersi alla normativa
speciale afferente alla tutela dell’area protetta del cui rispetto ne
rappresenta il garante, quando ragioni di tutela così ampie -come nel caso
di aree integralmente protette- non ammettono sanatorie su opere realizzate
senza titolo.
Per i titoli paesaggistici specifici esiste una disciplina che ammette
pareri postumi, ma solo per interventi di lieve entità (art. 167 del d.lgs.
42 del 2004); e succede che anche la normativa regionale (cfr. Regione
Lazio, legge regionale 29/1997, art. 28) esclude espressamente tali pareri
postumi. In assenza di leggi regionali permissive in materia di parchi (che
sarebbero comunque da sottoporre a vaglio costituzionale, perché la tutela
dell’ambiente spetta allo Stato e che nella specie non sono state invocate),
si ritiene corretta l’interpretazione rigorosa dell’art. 13 della legge
sulle aree protette, che ammette solo nulla-osta preventivi.
L’appello va dunque accolto
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.07.2021 n. 5152 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA: E'
illegittimo il diniego di sanatoria ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001 per la
conservazione di abbaini realizzati in difformità rispetto alla denuncia di
inizio attività perché l’assemblea condominiale non ha approvato
l’intervento con le maggioranze previste dalla legge.
Per giurisprudenza costante costituisce facoltà del
singolo condomino eseguire opere che, ancorché incidano su parti comuni
dell'edificio, siano strettamente pertinenti alla sua unità immobiliare,
sotto i profili funzionale e spaziale, in virtù del combinato disposto degli
artt. 1102 c.c. (facoltà del comunista di servirsi delle cose comuni), 1105
c.c. (concorso di tutti i condomini alla cosa comune) e 1122 c.c. (divieto
al condomino di realizzare opere che danneggino le cose comuni), con la
conseguenza che egli va considerato come soggetto avente titolo per ottenere
a nome proprio l'autorizzazione relativa a tali opere.
Con specifico riferimento all’apertura di abbaini da parte del proprietario
del piano sottostante al tetto comune, la Corte di Cassazione ha affermato
che essa -ove sia eseguita a regola d'arte e sia tale da non pregiudicare la
funzione di copertura propria del tetto né da impedire l'esercizio da parte
degli altri condomini dei propri diritti sulla cosa comune- costituisce
soltanto modifica e non innovazione della cosa comune e pertanto non
necessita, come invece le innovazioni vere e proprie, della previa
approvazione dell'assemblea dell'edificio in condominio ex artt. 1120 e 1336
c.c..
Né l’applicazione di questi principi può ritenersi esclusa per la natura
abusiva delle opere (legata alla difformità degli abbaini realizzati, quanto
all’allineamento con le aperture sottostanti e alla larghezza, rispetto al
progetto presentato con la DIA).
In particolare, è priva di rilievo la sussistenza di un contrasto con l’art.
33 del regolamento edilizio comunale (che esclude l’ammissibilità di
interventi “casuali o sporadici”), invocata dalla difesa
dell’amministrazione comunale nelle proprie memorie: un tale contrasto -che
oltretutto non ha costituito motivo di diniego- non incide, invero, sulla
natura dell’opere le quali, pur con le difformità realizzate, restano pur
sempre degli abbaini.
In conclusione, poiché gli abbaini in questione, pur incidendo su parti
comuni dell'edificio, hanno un'innegabile natura pertinenziale rispetto
all'appartamento di proprietà della ricorrente e non determinano, per la
loro oggettiva consistenza, alcuna deminutio dell'uso comune, l’assenso
dell’assemblea condominiale è stato illegittimamente richiesto.
---------------
... per l'annullamento:
- della nota a firma del Dirigente della Direzione Territorio e
Ambiente, Area Edilizia Privata, Servizio Permessi di Costruire ed Attività
Edilizia Segnalata, prat. edilizia n. 2013-1-11347 del 13.08.2015 con cui la
Città di Torino ha respinto l'istanza della ricorrente ex art. 36 del DPR n.
380/2001 e smi per la conservazione di un abbaino verso strada;
...
Con il provvedimento indicato in epigrafe il Comune di Torino ha respinto
l’istanza di sanatoria presentata dalla sig.ra Ma.Re.Ca. ai sensi dell’art.
36 D.P.R. n. 380/2001 -per la conservazione di abbaini realizzati in
difformità rispetto alla denuncia di inizio attività presentata il
20.05.2010– poiché l’assemblea condominiale non ha approvato l’intervento
con le maggioranze previste dalla legge.
La sig.ra Ca. ha impugnato il provvedimento per i seguenti motivi:
violazione di legge con riferimento agli artt. 11, 12 e 36 del D.P.R. n.
380/2001 e s.m.i., con riferimento agli artt. 1102, 1120 e 1136 Cod. Civ.;
nonché ancora con riferimento all’art. 3 della L. 241/1990 e s.m.i.. Eccesso
di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti;
difetto di istruttoria e di motivazione; ingiustizia grave e manifesta.
Si è costituito in giudizio il Comune di Torino, chiedendo il rigetto nel
merito del ricorso.
All’udienza dell’08.06.2021 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
La parte ricorrente ha contestato la necessità dell’assenso, da parte
dell’assemblea condominiale, alla sanatoria degli abbaini, affermando che:
- il Comune non avrebbe titolo ad ingerirsi in rapporti
privatistici;
- le opere oggetto della domanda di sanatoria sarebbero
riconducibili alla previsione di cui all’art. 1102 c.c. e non sarebbero
invece qualificabili quali innovazioni di parti comuni ex art. 1120, c. 1,
c.c.; pertanto, come affermato dalla Corte di Cassazione, la trasformazione
del tetto comune, da parte del condomino proprietario del sottotetto,
sarebbe ammessa senza necessità di autorizzazioni;
- l’amministrazione non avrebbe valutato quanto previsto dal
regolamento di condominio che consentirebbe al condomino proprietario del
piano sottostante al tetto comune di aprire su di esso degli abbaini senza
necessità di autorizzazione condominiale e non avrebbe considerato che,
nella seduta del 23/04/2015, l’Assemblea straordinaria ha autorizzato la
conservazione delle opere, con una maggioranza di 600 millesimi. D’altra
parte, il Comune non aveva mosso rilievi alla DIA, allorché in fase di
integrazione documentale veniva prodotta la delibera dell’Assemblea
straordinaria del Condominio in data 18/06/2010, adottata con una
maggioranza di (soli) 608 millesimi.
Il ricorso è fondato.
Per giurisprudenza costante costituisce facoltà del singolo condomino
eseguire opere che, ancorché incidano su parti comuni dell'edificio, siano
strettamente pertinenti alla sua unità immobiliare, sotto i profili
funzionale e spaziale, in virtù del combinato disposto degli artt. 1102 c.c.
(facoltà del comunista di servirsi delle cose comuni), 1105 c.c. (concorso
di tutti i condomini alla cosa comune) e 1122 c.c. (divieto al condomino di
realizzare opere che danneggino le cose comuni), con la conseguenza che egli
va considerato come soggetto avente titolo per ottenere a nome proprio
l'autorizzazione relativa a tali opere (cfr. Cons. Stato, sez. Consiglio
Stato, sez. V, 09.11.1998, n. 1583; TAR Napoli, sez. II, 14/03/2018, n.
1590; sez. VIII, 26/02/2016, n. 1077; TAR Torino, sez. II, 15/11/2013, n.
1193).
Con specifico riferimento all’apertura di abbaini da parte del proprietario
del piano sottostante al tetto comune, la Corte di Cassazione ha affermato
che essa -ove sia eseguita a regola d'arte e sia tale da non pregiudicare la
funzione di copertura propria del tetto né da impedire l'esercizio da parte
degli altri condomini dei propri diritti sulla cosa comune- costituisce
soltanto modifica e non innovazione della cosa comune e pertanto non
necessita, come invece le innovazioni vere e proprie, della previa
approvazione dell'assemblea dell'edificio in condominio ex artt. 1120 e 1336
c.c. (Cassazione civile sez. II, 27/07/2006, n. 17099).
Né –contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’amministrazione
resistente- l’applicazione di questi principi può ritenersi esclusa per la
natura abusiva delle opere (legata alla difformità degli abbaini realizzati,
quanto all’allineamento con le aperture sottostanti e alla larghezza,
rispetto al progetto presentato con la DIA).
In particolare, è priva di rilievo la sussistenza di un contrasto con l’art.
33 del regolamento edilizio comunale (che esclude l’ammissibilità di
interventi “casuali o sporadici”), invocata dalla difesa
dell’amministrazione comunale nelle proprie memorie: un tale contrasto -che
oltretutto non ha costituito motivo di diniego- non incide, invero, sulla
natura dell’opere le quali, pur con le difformità realizzate, restano pur
sempre degli abbaini.
In conclusione, poiché gli abbaini in questione, pur incidendo su parti
comuni dell'edificio, hanno un'innegabile natura pertinenziale rispetto
all'appartamento di proprietà della ricorrente e non determinano, per la
loro oggettiva consistenza, alcuna deminutio dell'uso comune,
l’assenso dell’assemblea condominiale è stato illegittimamente richiesto.
Per le ragioni esposte il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto, con
assorbimento delle ulteriori censure dedotte
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 02.07.2021 n. 688 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Col
termine “sanatoria” vengono tradizionalmente
intesi due istituti completamente diversi per presupposti e finalità, il cui
unico tratto comune è dato dalla circostanza che entrambi si risolvono nella
legittimazione di un intervento successiva alla sua realizzazione.
L’accertamento di conformità, o “sanatoria ordinaria” consiste dunque
nella regolarizzazione di abusi “formali”, in quanto l’opera è stata
sì effettuata senza il preventivo titolo o in difformità dallo stesso, ma
senza violare la disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua
realizzazione che a quello di presentazione della domanda (c.d. “doppia
conformità”).
La parola “condono”, invece, seppure entrata nell’uso comune, a
stretto rigore non figura in alcun testo legislativo, complice una certa
ritrosia linguistica ad utilizzare un termine evidentemente evocativo della
portata sanante di situazioni “sostanzialmente” illecite, previo
pagamento di una sanzione pecuniaria che produce l’effetto di estinguere
anche la fattispecie penale identificabile nella relativa costruzione.
---------------
Circa la c.d. sanatoria giurisprudenziale si è in passato ritenuta dirimente la conformità delle
opere alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione
dell’istanza, sull’assunto che sarebbe diseconomico far demolire ciò che il
privato ha facoltà di ricostruire giusta il regime giuridico sopravvenuto.
Tale istituto non trova, tuttavia, fondamento alcuno nell’ordinamento
positivo, contrassegnato invece dai principi di legalità dell’azione
amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla
pubblica amministrazione, come già affermato anche dalla Sezione.
Il rigore insito in tali principi trova la propria ratio ispiratrice nella “natura
preventiva e deterrente” della sanatoria, finalizzata a frenare
l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture “sostanzialiste” della
norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con
la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro
realizzazione ovvero con essa conformi solo al momento della presentazione
dell’istanza per l’accertamento di conformità.
---------------
7. Come anche di recente ricordato dalla Sezione (v. Cons. Stato, sez. II,
06.05.2021, n. 3545) col termine “sanatoria” vengono tradizionalmente
intesi due istituti completamente diversi per presupposti e finalità, il cui
unico tratto comune è dato dalla circostanza che entrambi si risolvono nella
legittimazione di un intervento successiva alla sua realizzazione.
L’accertamento di conformità, o “sanatoria ordinaria” consiste dunque
nella regolarizzazione di abusi “formali”, in quanto l’opera è stata
sì effettuata senza il preventivo titolo o in difformità dallo stesso, ma
senza violare la disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua
realizzazione che a quello di presentazione della domanda (c.d. “doppia
conformità”).
La parola “condono”, invece, seppure entrata nell’uso comune, a
stretto rigore non figura in alcun testo legislativo, complice una certa
ritrosia linguistica ad utilizzare un termine evidentemente evocativo della
portata sanante di situazioni “sostanzialmente” illecite, previo
pagamento di una sanzione pecuniaria che produce l’effetto di estinguere
anche la fattispecie penale identificabile nella relativa costruzione.
8. Nel caso di specie l’appellante ha avanzato istanza di condono, invocando
l’art. 1 della L.R. 05.01.2011, n. 1, ma anche di sanatoria ordinaria ex
art. 36 del T.u.e., per le opere realizzate in difformità dai permessi di
costruire originari, oggetto di ingiunzione a demolire n. 5663 del
24.03.2009. Con una sostanziale promiscuità descrittiva, dunque, non ha
ritenuto di disgiungere l’uno aspetto dall’altro, nella consapevolezza che
il cambio di destinazione, da rurale ad abitativo, quale che fosse la
consistenza del manufatto, non era consentita dalla vigente disciplina
urbanistica.
Ciò ha indotto il primo giudice a disgiungere il contenuto del
provvedimento, interpretato quale una reiezione solo parziale della
richiesta sanatoria, ovvero circoscritto alla tematica del cambio di
destinazione d’uso. Pur essendo, cioè, ridetto cambio di destinazione d’uso
conseguito (anche) agli ampliamenti e modifiche rispetto al fabbricato
realizzato con permesso di costruire n. 987 del 09.05.2005, e successiva
variante n. 1078 del 17.01.2006, si è evidentemente voluto riconoscere agli
stessi una qualche autonomia, purché ricondotti alla destinazione d’uso
agricola dell’immobile preesistente agli stessi.
La ricostruzione, seppure di dubbia coerenza, esula dal perimetro
dell’odierna decisione in quanto non fatta oggetto di impugnativa.
Ne consegue che nel caso di specie resta da valutare esclusivamente la
correttezza del diniego di condono, avanzato ai sensi della l.r. n. 19 del
2009, c.d. “Piano casa” regionale, espressamente invocata allo scopo
nella relativa istanza. In particolare, occorre richiamare il comma 7
dell’art. 12 della l.r. n. 19/2009, inserito dall’art. 1, comma 1, lettera
rrr), della l.r. 05.01.2011, n. 1, ed abrogato a distanza di pochi mesi
dalla l.r. 15.03.2011, n. 4.
La disposizione, comunque inapplicabile al caso di specie ratione
temporis, prevedeva dunque che «Ai soli fini amministrativi, gli
interventi previsti dagli articoli 4, 5 e 8, comma 2, della presente legge
realizzati alla data di entrata in vigore delle presenti disposizioni e ad
esse conformi possono essere autorizzati». Di fatto, si consentiva così
una retroazione dell’art. 6-bis, introdotto nel testo originario dalla
medesima l.r. n. 1 del 2011 per consentire (pro futuro) di realizzare nelle
zone agricole «i mutamenti di destinazione d’uso di immobili o di loro
parti, regolarmente assentiti, per uso residenziale del nucleo familiare del
proprietario del fondo agricolo o per attività connesse allo sviluppo
integrato dell’azienda agricola» (comma 1), stante che lo stesso a sua
volta richiamava la disciplina degli artt. 4 e 5, seppure «con l’obbligo
di destinare non meno del venti per cento della volumetria esistente ad uso
agricolo».
9. Il Collegio ritiene dunque di condividere la richiamata ricostruzione del
primo giudice, laddove ha ritenuto le doglianze di parte volte ad integrare
in maniera postuma la richiesta di contenuto e portata del tutto chiari nel
senso sopra precisati, avanzata al Comune di Sarno. A tutto concedere
peraltro alla tesi dell’appellante, quand’anche si volesse sussumere la
domanda avanzata sub specie di sanatoria ordinaria ex art. 36 del d.P.R. n.
380/2001, ne mancherebbero i presupposti per assenza del richiamato
requisito della doppia conformità.
L’evidente commistione di piani tra i due tipi di sanatoria emerge a tale
riguardo anche in sede di formulazione letterale della relativa domanda, ove
si richiama il principio, ribadito nell’odierno appello, che «sarebbe […]
assurdo procedere allo svellimento di tutto quanto realizzato per
ripristinare la destinazione agricola e poi, sempre ai sensi della legge
Piano Casa, richiedere di nuovo il Permesso per ricostruire tutto quello che
si è già demolito» (v. frase finale della relazione tecnica al progetto
allegato alla domanda di sanatoria).
Appare già chiaro il riferimento alla c.d. sanatoria giurisprudenziale, in
forza della quale si è in passato ritenuta dirimente la conformità delle
opere alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione
dell’istanza, sull’assunto che sarebbe diseconomico far demolire ciò che il
privato ha facoltà di ricostruire giusta il regime giuridico sopravvenuto.
Tale istituto non trova, tuttavia, fondamento alcuno nell’ordinamento
positivo, contrassegnato invece dai principi di legalità dell’azione
amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla
pubblica amministrazione, come già affermato anche dalla Sezione (Cons.
Stato, sez. II, 18.02.2020, n. 1240).
Il rigore insito in tali principi trova la propria ratio ispiratrice nella “natura
preventiva e deterrente” della sanatoria, finalizzata a frenare
l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture “sostanzialiste”
della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in
contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della
loro realizzazione ovvero con essa conformi solo al momento della
presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 17.05.2021 n. 3835 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
risulta condivisibile il nettamente minoritario orientamento
giurisprudenziale della cd. sanatoria giurisprudenziale, secondo cui la
doppia conformità può essere derogata, per evitare un’inutile dissipazione
di risorse, in quanto verrebbero demoliti manufatti edilizi, che, previa
istanza di permesso di costruire, possono essere nuovamente ricostruiti, atteso
che l’art. 36, comma 1, DPR n. 380/2001
statuisce espressamente che la sanatoria edilizia ordinaria (quella
straordinaria si riferisce alle Leggi statali in materia di condono
edilizio) può essere autorizzata soltanto se sussiste il citato requisito
della doppia conformità, cioè la conformità sia alla normativa vigente al
momento della realizzazione dell’abuso, sia alla normativa vigente al
momento della presentazione dell’istanza di sanatoria, e tale norma risulta
conforme ai principi costituzionali di legalità e di buon andamento
dell’azione amministrativa ex art. 97, comma 1, Cost., in quanto
diversamente verrebbe premiato il comportamento illecito di coloro che hanno
costruito abusivamente.
---------------
Il ricorso è infondato, atteso che:
1) il Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Vietri di Potenza
nell’impugnato provvedimento prot. n. 9235 del 02.11.2018 ha espressamente
richiamato la memoria endoprocedimentale dell’08.10.2018, spiegando le
ragioni di non condivisione di quanto in essa dedotto;
2) come già statuito con la Sentenza TAR Basilicata n. 402 del 21.04.2016:
A)
l’autorizzazione regionale ex L.R. n. 12/1979 risulta finalizzata alla
tutela degli interessi pubblici di natura geologica, ambientale ed economica
e perciò risulta completamente estranea alla funzione comunale del controllo
edilizio e/o urbanistico del territorio;
B) gli abusi edilizi di cui è causa
di cui è causa non sono di tipo precario, in quanto verranno rimossi e/o
demoliti soltanto al termine della coltivazione mineraria, avente una durata pluridecennale;
3) nella specie, non sussiste il presupposto della cd. doppia conformità
urbanistica ex art. 36, comma 1, DPR n. 380/2001, in quanto con la Sentenza
TAR Basilicata n. 696 del 05.12.2007, passata in giudicato, perché confermata
dalla IV Sezione del Consiglio di Stato con la Sentenza n. 4016 del
18.06.2009, è stata statuita la legittimità della motivazione della prima
Ordinanza di demolizione n. 2354 del 23.6.2005 e del successivo diniego di
sanatoria, nella parte in cui veniva specificato che gli abusi edilizi
realizzati violavano l’art. 13, commi 1 e 2, delle Norme Tecniche di
Attuazione del PRG, secondo cui sui predetti terreni, aventi destinazione
agricola, potevano essere costruite abitazioni per i manuali coltivatori
della terra, edifici per allevamenti, serbatoi e magazzini per i prodotti
del suolo, ricoveri per macchine agricole ed impianti di tipo artigianale e
di ristorazione, cioè attività produttive legate all’agricoltura,
evidenziando anche che l’attività esercitata dalla ditta An.Fa. & C.
S.n.c. non poteva essere qualificata di tipo artigianale, sia perché, oltre
all’estrazione di inerti, svolgeva anche le attività di impianto di
betonaggio e di impresa edile, sia perché non possedeva i requisiti previsti
dagli artt. 2, 3 e 4 L. n. 443/1985.
In ogni caso, va precisato, che non risulta condivisibile il nettamente
minoritario orientamento giurisprudenziale della cd. sanatoria
giurisprudenziale, secondo cui la doppia conformità può essere derogata, per
evitare un’inutile dissipazione di risorse, in quanto verrebbero demoliti
manufatti edilizi, che, previa istanza di permesso di costruire, possono
essere nuovamente ricostruiti, atteso che l’art. 36, comma 1, DPR n. 380/2001
statuisce espressamente che la sanatoria edilizia ordinaria (quella
straordinaria si riferisce alle Leggi statali in materia di condono
edilizio) può essere autorizzata soltanto se sussiste il citato requisito
della doppia conformità, cioè la conformità sia alla normativa vigente al
momento della realizzazione dell’abuso, sia alla normativa vigente al
momento della presentazione dell’istanza di sanatoria, e tale norma risulta
conforme ai principi costituzionali di legalità e di buon andamento
dell’azione amministrativa ex art. 97, comma 1, Cost., in quanto
diversamente verrebbe premiato il comportamento illecito di coloro che hanno
costruito abusivamente
(TAR Basilicata,
sentenza 15.05.2021 n. 388 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale”,
in virtù della quale può sanarsi un'opera, anche se abusivamente realizzata,
qualora ne risulti la conformità alla disciplina urbanistica vigente al
momento del rilascio del titolo abilitativo, non trova fondamento nelle
norme positive, non essendo ammissibile un atto atipico con effetti
provvedimentali al di fuori di ogni previsione normativa.
L’ordinamento
vigente, infatti, è caratterizzato dal principio di legalità dell’azione
amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati
dall’Amministrazione.
Invero, non può prestarsi ad equivoci
il chiaro tenore dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001 secondo cui è possibile
«ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della
domanda». Ciò in linea con il pacifico orientamento della giurisprudenza
amministrativa, «secondo cui presupposto indefettibile per il rilascio del
permesso di costruire in sanatoria è la c.d. doppia conformità, vale a dire
la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente
sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione
dell'istanza di sanatoria».
Trattasi di giurisprudenza definitivamente confermata dalla sentenza della
Corte Costituzionale n. 232 dell’08.11.2017, che ha ribadito che il «principio
dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del t.u. edilizia
costituisce “principio fondamentale nella materia governo del territorio”
[…], “finalizzato a garantire
l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto
l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione
dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità”.
Tale istituto si distingue dal condono edilizio, in quanto fa
riferimento alla possibilità di sanare opere che, sebbene sostanzialmente
conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia, sono state realizzate in
assenza del titolo stesso, ovvero con varianti essenziali, “laddove il
condono edilizio “ha quale effetto la sanatoria non solo formale ma anche
sostanziale dell’abuso, a prescindere dalla conformità delle opere
realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia”».
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7. L’appello è infondato.
7.1. Il primo motivo inerente la cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale”,
in virtù della quale può sanarsi un'opera, anche se abusivamente realizzata,
qualora ne risulti la conformità alla disciplina urbanistica vigente al
momento del rilascio del titolo abilitativo, non trova fondamento nelle
norme positive, non essendo ammissibile un atto atipico con effetti
provvedimentali al di fuori di ogni previsione normativa. L’ordinamento
vigente, infatti, è caratterizzato dal principio di legalità dell’azione
amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati
dall’Amministrazione.
Ad avviso del Collegio non può prestarsi ad equivoci
il chiaro tenore dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001 secondo cui è possibile
«ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della
domanda». Ciò in linea con il pacifico orientamento della giurisprudenza
amministrativa, «secondo cui presupposto indefettibile per il rilascio del
permesso di costruire in sanatoria è la c.d. doppia conformità, vale a dire
la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente
sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione
dell'istanza di sanatoria» (Cons. di Stato, IV, 05.05.2017, n. 2063).
Trattasi di giurisprudenza definitivamente confermata dalla sentenza della
Corte Costituzionale n. 232 dell’08.11.2017, che, con riferimento
proprio all’art. 14 della l.r. 16/2016, che aveva tradotto in norma positiva
la cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale”, ha ribadito che il «principio
dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del t.u. edilizia
costituisce “principio fondamentale nella materia governo del territorio”
(da ultimo, sentenza n. 107 del 2017) […], “finalizzato a garantire
l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto
l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione
dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità” (sentenza n.
101 del 2013).
Tale istituto si distingue dal condono edilizio, in quanto fa
riferimento alla possibilità di sanare opere che, sebbene sostanzialmente
conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia, sono state realizzate in
assenza del titolo stesso, ovvero con varianti essenziali, “laddove il
condono edilizio “ha quale effetto la sanatoria non solo formale ma anche
sostanziale dell’abuso, a prescindere dalla conformità delle opere
realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia” (sentenza n. 50 del
2017)»
(CGARS,
sentenza 11.05.2021 n. 418 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Costituisce
principio fondamentale della materia governo del territorio la verifica
della cosiddetta <doppia conformità> di cui al menzionato art. 36 t.u.
edilizia, in base al quale <il responsabile dell’abuso, o l’attuale
proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se
l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda>.
Si tratta, infatti, di un adempimento <finalizzato a garantire l’assoluto
rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco
temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione
dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità>.
---------------
Le doglianze non possono essere condivise e, al riguardo, il
Collegio ritiene opportuno richiamare i principi ribaditi, anche di recente,
dalla Corte Costituzionale (cfr. sent. n. 77/2021 - par. 2.5) secondo cui
“costituisce principio fondamentale della materia governo del territorio la
verifica della cosiddetta <doppia conformità> di cui al menzionato art. 36
t.u. edilizia, in base al quale <il responsabile dell’abuso, o l’attuale
proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se
l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda>. Si tratta, infatti, di un adempimento
<finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed
edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione
dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento
di conformità> (sentenza n. 232 del 2017; nello stesso senso, sentenze n.
107 del 2017 e n. 101 del 2013)”
(TAR Marche,
sentenza 06.05.2021 n. 389 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Regolarità
sismica quale presupposto per la sanatoria urbanistica.
Il rilascio di un permesso in sanatoria con
prescrizioni, con le quali si subordina l'efficacia dell'accertamento alla
realizzazione di lavori che consentano di rendere il manufatto conforme alla
disciplina urbanistica vigente al momento della domanda o al momento della
decisione, contraddice, innanzitutto sul piano logico, la rigida direttiva
normativa poiché la previsione di condizioni o prescrizioni smentisce
qualsiasi asserzione circa la doppia conformità dell'opera, dimostrando che
tale conformità non sussiste se non attraverso l'esecuzione di modifiche
ulteriori e postume (rispetto alla stessa presentazione della domanda di
accertamento in sanatoria).
---------------
La disciplina antisismica considera la regolarità
sismica del progetto (da intendersi come effettiva conformità del progetto
alle prescrizioni tecniche di sicurezza sismica) come un requisito
indefettibile per la realizzazione delle opere e per l’ottenimento di un
valido titolo edilizio, e dunque anche ai fini del rilascio del permesso di
costruire in sanatoria ex articolo 36 del TUED.
Se nel sistema dei principi delineati dalla normativa statale, sia gli
interventi edilizi soggetti a permesso di costruire, sia quelli consentiti a
seguito di denuncia, presuppongono sempre la previa verifica del rispetto
delle norme sismiche, non pare possa dubitarsi che la verifica della doppia
conformità, alla quale l’art. 36 del testo unico subordina il rilascio
dell’accertamento di conformità in sanatoria, debba riferirsi anche al
rispetto delle norme sismiche, da comprendersi nelle norme per l’edilizia,
sia al momento della realizzazione dell’intervento che al momento di
presentazione della domanda di sanatoria.
Deve pertanto ritenersi che l’accertamento del rispetto delle specifiche
norme tecniche antisismiche è sempre un presupposto necessario per
conseguire il titolo che consente di edificare, al quale si riferisce il
criterio della doppia conformità.
---------------
Sugli atti di motivi aggiunti.
10. Lo scrutinio delle censure introdotte con il primo atto di motivi
aggiunti richiede di soffermarsi prima brevemente sui fatti di causa seguiti
all’adozione del permesso di costruire in sanatoria n. 1/2016.
10.1. Il sig. Pa. D’Al., dopo aver ottenuto tale permesso di costruire, ha
presentato allo sportello unico edilizia il c.d. deposito sismico.
La Commissione tecnica regionale, dopo aver chiesto delle integrazioni alla
documentazione del predetto istante nella seduta del 12.09.2016, nella
successiva data del 20.09.2016 rilasciava il proprio parere favorevole, ma
con prescrizioni, sul progetto presentato.
A fronte del citato parere il sig. Pa. D’Al. presentava indi al Comune una
domanda di permesso di costruire teso alla realizzazione degli occorrenti
lavori di adeguamento sismico. E il Comune rilasciava anche il chiesto
permesso di costruire con atto n. 1296 (VII/2016) del 15.10.2016, impugnato
con il presente atto di motivi aggiunti.
10.2. Orbene, nel nuovo permesso di costruire così rilasciato si legge:
“(…) A seguito di presentazione del deposito sismico presso i competenti
uffici regionali e delle successive integrazioni richieste in data
20/09/2016 la commissione tecnica regionale rilasciava con esito positivo il
parere definitivo sulla base delle seguenti premesse;
- Dato atto che è necessario effettuare lavori di adeguamento sismico al
fabbricato a seguito delle prescrizioni della Commissione Tecnica Regionale
e i lavori da eseguire consistono;
- Nel prolungamento del setto murario al piano terra adiacente alla porta
d’ingresso;
- Nel prolungamento del setto murario al piano terra adiacente la finestra
del bagno;
- Nell’adeguamento dei due pilastri in c.a. posti tra il piano di fondazione
ed il balcone del primo piano con aumento della sezione da cm 25x25 a cm
30x30 dei sei pilastri in c.a. posti al piano portico;
- Nell’adeguamento con la posa in opera di tubolari verticali ed orizzontali
delle dimensioni di cm. 80x80x del portico in ferro e legno esistente al
piano terra;
- Visto l’esito dell’istruttoria del progetto;
- Acquisita la comunicazione da parte della Regione Molise Servizio Tecnico
Sismico e Gerologico, dalla quale si evince che la Commissione tecnica
regionale ha rilasciato con esito positivo il parere definitivo in data
20/09/2016 con prescrizione (…)”.
10.3. Fatte queste premesse, il Collegio rileva che ragioni di opportunità
inducono a trattare prioritariamente il quinto mezzo dell’atto di motivi
aggiunti, con cui si è tornati a denunciare, ma da una nuova prospettiva, la
violazione del principio di doppia conformità di cui all’art. 36 del TUED.
Sostiene parte ricorrente che il Comune, una volta conosciuti gli esiti
dell’iter tecnico specialistico, avrebbe dovuto prendere atto delle
criticità sostanziali emerse in occasione dell’accertamento di compatibilità
sismica, al cui esito positivo aveva condizionato le sorti del permesso di
costruire n. 1/2016. E, pertanto, avrebbe dovuto ritirare in autotutela la
sanatoria del 07.01.2016, invece di rilasciare un nuovo titolo edilizio che
presupponeva la validità e permanente efficacia del precedente.
Da questa angolazione la ricorrente deduce dunque nuovamente la violazione
del principio di doppia conformità di cui all’articolo 36 del TUED e la
conseguente illegittimità del permesso di costruire in sanatoria n. 1 del
2016; essa afferma inoltre, di riflesso, l’illegittimità (anche derivata)
del successivo permesso n. VII del 2016, che aveva autorizzato i lavori di
adeguamento sismico sull’erroneo presupposto della validità e perdurante
efficacia del citato permesso di sanatoria.
Questa censura è fondata.
Dagli atti di causa emerge chiaramente, invero, che l’intervento sanato con
il permesso di costruire n. 1 del 16 non fosse conforme alle norme tecniche
costruttive di cui al DM 14.01.2008 (tant’è che si è ravvisata la necessità
di procedere ad interventi di messa in sicurezza sismica del fabbricato),
con conseguente violazione dell’articolo 36 del TUED, il quale subordina il
rilascio della sanatoria alla condizione che l’opera fosse conforme alle
norme edilizie sia al tempo della realizzazione dell’intervento, sia a
quello della richiesta dell’accertamento sanante.
10.4. Né può assumere rilievo la circostanza che una conformità alle norme
antisismiche sia stata comunque conseguita, di fatto, a seguito
dell’esecuzione degli interventi richiesti dalla Regione.
Il principio della doppia conformità di cui all’articolo 36 del TUED,
infatti, non consente delle sanatorie sottoposte a condizioni di modifica
dell’immobile (cfr., tra le molte, Consiglio di Stato, sez. VI, 04.07.2014,
n. 3410, pronuncia la quale puntualizza che "il rilascio di un permesso
in sanatoria con prescrizioni, con le quali si subordina l'efficacia
dell'accertamento alla realizzazione di lavori che consentano di rendere il
manufatto conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della
domanda o al momento della decisione, contraddice, innanzitutto sul piano
logico, la rigida direttiva normativa poiché la previsione di condizioni o
prescrizioni smentisce qualsiasi asserzione circa la doppia conformità
dell'opera, dimostrando che tale conformità non sussiste se non attraverso
l'esecuzione di modifiche ulteriori e postume (rispetto alla stessa
presentazione della domanda di accertamento in sanatoria”; si veda anche
TAR Campania, Napoli, sezione III, sentenza n. 696 del 2021).
10.5. Nemmeno è persuasiva la linea argomentativa del Comune e del
controinteressato che si richiama alla specificità della disciplina
regionale del Molise di cui agli artt. 7 e 8 della L.R. n. 20 del 1996.
Le resistenti sottolineano, in sintesi, che le norme regionali subordinano
solo l’inizio dei lavori, e non anche il rilascio del titolo edilizio, al
c.d. deposito sismico, di tal ché la conformità del progetto di opera alle
prescrizioni sismiche non potrebbe considerarsi un presupposto per il
rilascio del titolo edilizio: e, dunque, si sostiene, nemmeno del titolo in
sanatoria.
A tanto è tuttavia immediato obiettare che il titolo edilizio in sanatoria,
proprio per la sua specifica natura, diversamente dal comune permesso di
costruire è senz’altro posteriore all’inizio dei lavori, momento cui non può
più essere fatto rinvio. Sicché l’automatico parallelismo che le resistenti
tentano d’instaurare tra i due titoli non si presenta convincente.
L’impostazione delle resistenti appare, inoltre, incompatibile con la ratio
della disciplina antisismica, la quale considera la regolarità sismica del
progetto (da intendersi come effettiva conformità del progetto alle
prescrizioni tecniche di sicurezza sismica) come un requisito indefettibile
per la realizzazione delle opere e per l’ottenimento di un valido titolo
edilizio, e dunque anche ai fini del rilascio del permesso di costruire in
sanatoria ex articolo 36 del TUED.
Questa interpretazione trova conferma in una recente pronuncia della Corte
costituzionale (sent. n. 101 del 2013) la quale, dopo aver ricostruito il
quadro normativo di riferimento in materia, ha affermato dei principi di
carattere generale che risultano applicabili anche al caso di specie, e che,
anche per la loro chiarezza, meritano di essere richiamati.
“Se nel sistema dei principi delineati dalla normativa statale, sia gli
interventi edilizi soggetti a permesso di costruire, sia quelli consentiti a
seguito di denuncia, presuppongono sempre la previa verifica del rispetto
delle norme sismiche, non pare possa dubitarsi che la verifica della doppia
conformità, alla quale l’art. 36 del testo unico subordina il rilascio
dell’accertamento di conformità in sanatoria, debba riferirsi anche al
rispetto delle norme sismiche, da comprendersi nelle norme per l’edilizia,
sia al momento della realizzazione dell’intervento che al momento di
presentazione della domanda di sanatoria.
(…) Deve pertanto ritenersi che l’accertamento del rispetto delle specifiche
norme tecniche antisismiche è sempre un presupposto necessario per
conseguire il titolo che consente di edificare, al quale si riferisce il
criterio della doppia conformità” (con tale pronuncia la Corte ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’articolo 117,
comma 3 Cost., dell’articolo 5 della legge regionale toscana n. 1 del 2005,
nella parte in cui prevedeva la possibilità di ottenere il permesso in
sanatoria per le opere edilizie che risultassero conformi alla normativa
tecnico-sismica vigente soltanto al momento della loro realizzazione, e non
anche al momento della presentazione dell’istanza di accertamento di
conformità, nonché per le opere realizzate in difformità dalla normativa
tecnica vigente al momento della loro realizzazione, purché le stesse
venissero adeguate alle norme vigenti: secondo la Corte attraverso tale
previsione la Regione, eccedendo le sue competenze in materia, ha violato la
norma statale di principio sulla doppia conformità di cui all’articolo 36
del TUED).
10.6. Fermo l’accoglimento del motivo di censura da ultimo vagliato, giova
infine evidenziare che il permesso di costruire n. 1 del 2016, dato il
mancato perfezionamento favorevole della verifica sostanziale del rispetto
della normativa antisismica (esito che il Comune aveva fatto oggetto di
apposita condizione), avrebbe perso di validità già ex se.
Da qui la dubbia permanenza di un interesse a ricorrere alla base del terzo
profilo del secondo motivo del ricorso introduttivo (v. supra, paragr.
8.2.3.), con cui il ricorrente poneva in discussione la legittimità della
previsione di un siffatto meccanismo condizionale.
Quel che qui più importa notare, tuttavia, è che tale originario profilo di
censura risulta superato dall’avvento, appunto, del quinto mezzo dell’atto
di motivi aggiunti, la cui accertata fondatezza induce a considerarlo
recessivo e passibile di assorbimento.
11. L’accertata illegittimità del permesso in sanatoria n. 1/16 per
violazione dell’articolo 36 del TUED comporta per via d’illegittimità
derivata l’annullamento non solo del permesso n. 1296 (VII/2016), ma anche
dell’ulteriore permesso edilizio n. 1303 del 14.04.2018 di mutamento di
destinazione d’uso del locale sottotetto, titolo che è stato qui avversato
con il secondo atto di motivi aggiunti.
Non pare dubbio, infatti, che l’assentimento del mutamento di destinazione
d’uso di cui si tratta risenta della sorte dei provvedimenti edilizi a monte
riguardanti la struttura del fabbricato interessato
(TAR Molise,
sentenza 05.05.2021 n. 169 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Abusi
edilizi – Rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato –
Effetti – Presupposti – Doppia conformità – Necessità – Sanatoria
condizionata – Inammissibilità – C.d. sanatoria “giurisprudenziale” o
“impropria” – Artt. 36, 44 d.P.R. n. 380/2001.
Reati edilizi – Caso di non macroscopica illegittimità del titolo
abilitativo – Presenza di un atto autorizzativo della Pubblica
Amministrazione – Buona fede e affidamento incolpevole – Poteri del giudice
dell’esecuzione – Verifica dell’elemento soggettivo del reato.
Deve
considerarsi illegittimo, e non determina
l'estinzione del reato edilizio di cui all'art. 44, lett. b), del d.P.R. 06.06.2001, n.
380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato
all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto
abusivo
nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta
subordinazione
contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già
avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla
disciplina urbanistica.
Infatti la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di
cui
all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non ammettendo termini o condizioni,
deve
riguardare l'intervento edilizio nel suo complesso e può essere conseguita
solo
qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall'art. 36 d.P.R. cit. e, precisamente, la doppia conformità delle opere alla
disciplina urbanistica
vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento
della
presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi la possibilità
di
una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo
successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria
"giurisprudenziale" o
"impropria", siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli
strumenti di pianificazione urbanistica.
---------------
In tema di reati edilizi, in caso di non macroscopica illegittimità del
titolo abilitativo il giudice deve procedere, stante la presenza di un atto
autorizzativo della Pubblica Amministrazione, ad un accertamento più
approfondito dell'elemento soggettivo del reato, dandone conto adeguatamente
in motivazione, soprattutto nel caso in cui l'imputato alleghi circostanze
dirette a rivendicare la propria buona fede e un affidamento incolpevole.
---------------
5. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
5.1. Vero è, in proposito, che deve considerarsi illegittimo, e non
determina
l'estinzione del reato edilizio di cui all'art. 44, lett. b), del d.P.R. 06.06.2001, n.
380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato
all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto
abusivo
nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta
subordinazione
contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già
avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla
disciplina
urbanistica (Sez. 3, n. 51013 del 05/11/2015, Carratù e altro, Rv. 266034;
da
ult. Sez. 3, n. 28666 del 07/07/2020, Murra, Rv. 280281).
Infatti la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di
cui
all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, non ammettendo termini o condizioni,
deve
riguardare l'intervento edilizio nel suo complesso e può essere conseguita
solo
qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall'art. 36 d.P.R. cit. e, precisamente, la doppia conformità delle opere alla
disciplina urbanistica
vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento
della
presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi la possibilità
di
una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo
successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria
"giurisprudenziale" o
"impropria", siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli
strumenti di
pianificazione urbanistica (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro,
Rv.
260973).
5.1.1. Ciò posto, in fatto (cfr. perizia disposta in sede di incidente di
esecuzione e chiarimenti del perito resi all'udienza nel contraddittorio
delle parti)
risultava rilasciato agli odierni ricorrenti permesso di costruire in
sanatoria n.
1/15 del 14.01.2015, contenenti particolari prescrizioni. Sempre in
fatto, da
un lato il sopralluogo del 05.01.2016 dava conto della realizzazione dei
lavori
prescritti, circostanza confermata anche dal perito officiato dal Giudice
dell'esecuzione; dall'altro, l'ordinanza impugnata ha dato atto (cfr. pag.
4) che il
Pubblico ministero d'udienza non aveva insistito nella revoca del beneficio
della
sospensione condizionale.
5.1.2. Al riguardo, i ricorrenti hanno allegato le dichiarazioni del perito
d'ufficio, che ha dato conto dell'esistenza di una generale "consuetudine"
locale
di emanare provvedimenti siffatti, nel medesimo periodo di tempo nel quale
anche gli interessati si erano rivolti all'Amministrazione comunale per
conseguire
la sanatoria urbanistica degli abusi commessi. Allo stesso tempo lo stesso
perito,
in risposta a specifica domanda, ha sostenuto l'avvenuta fattuale rimessione
in
pristino dei luoghi, con eliminazione delle difformità in esecuzione del
rilasciato
permesso di costruire e senza l'intervento di ulteriore istanza in
sanatoria.
In definitiva il perito ha attestato la conformità dei luoghi alla
disciplina
urbanistica, laddove il titolo del 2015 risultava effettivamente viziato per
carenza
dell'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 d.P.R. 380 del 2001
cit.. Il
vizio è stato ritenuto sanabile e non ostativo all'ottenimento di nuovo
permesso
di costruire in sanatoria.
5.1.3. Alla stregua dei rilievi che precedono, ed anche a prescindere dalla
richiamata non chiara condotta processuale del Pubblico ministero
procedente,
non risulta esservi stato formale adempimento in sanatoria (quanto alle
conseguenze, cfr. Sez. 3, n. 14186 del 13/12/2006, dep. 2007, Bennardo, Rv.
236322), ancorché in fatto sia stato dato puntuale seguito al permesso
emanato
nel 2015 dalla competente Amministrazione.
5.1.4. Vero è che, in tema di reati edilizi, in caso di non macroscopica
illegittimità del titolo abilitativo il giudice deve procedere, stante la
presenza di
un atto autorizzativo della Pubblica Amministrazione, ad un accertamento più
approfondito dell'elemento soggettivo del reato, dandone conto adeguatamente
in motivazione, soprattutto nel caso in cui l'imputato alleghi circostanze
dirette a
rivendicare la propria buona fede e un affidamento incolpevole (cfr. Sez. 3,
n.
3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Cerra srl, Rv. 275850).
In specie è
addirittura
l'ausiliario tecnico del Giudice dell'esecuzione a dare conto di ciò,
rammentando
l'esistenza di -non corretta- locale prassi generalizzata in tal senso,
all'epoca
del rilascio del titolo agli interessati.
5.1.5. In considerazione dei pregressi rilievi, da valutare nel loro
complesso,
l'oggettivo adempimento della rimessione in pristino delle opere non
regolarizzabili impone altresì di riconsiderare -ai fini dell'invocata
sospensione
condizionale- le conoscenze e le informazioni assunte, ovvero le eventuali
assicurazioni fornite dagli uffici competenti circa la prassi esistente
nella realtà
territoriale di riferimento quanto ai contenuti del titolo edilizio sanante
(cfr. Sez.
3, n. 8410 del 25/10/2017, dep. 2018, Venturi, Rv. 272572) (Corte d
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 30.04.2021 n.
16498). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’assenza del requisito della doppia conformità, ossia della
conformità dell’intervento edilizio realizzato senza titolo sia alla
disciplina urbanistica vigente all’atto della sua realizzazione che a quella
vigente al momento della richiesta di sanatoria, determina l’impossibilità
di ottenere un permesso in sanatoria.
In senso contrario, non è neppure invocabile l’istituto della c.d.
“sanatoria giurisprudenziale”.
Invero, «tale
istituto non trova, infatti, fondamento alcuno nell’ordinamento positivo,
contrassegnato invece dai principi di legalità dell’azione amministrativa e
di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica
amministrazione, con la conseguenza che detti poteri, in assenza di espressa
previsione legislativa, non possono essere creati in via giurisprudenziale,
pena la violazione di quello di separazione dei poteri e l’invasione di
sfere proprie di attribuzioni riservate alla pubblica amministrazione.
Anche
la Corte Costituzionale, peraltro, ha più volte ribadito al riguardo la
natura di principio, tra l’altro vincolante per la legislazione regionale,
della previsione della “doppia conformità” seppur con precipuo
riferimento inizialmente ai soli profili penalistici.
Il giudice delle leggi
ha, dunque, affermato che il rigore insito in tale principio trova la propria
ratio ispiratrice nella “natura preventiva e deterrente” della sanatoria,
finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture
“sostanzialiste” della norma che consentano la possibilità di regolarizzare
opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al
momento della loro realizzazione ovvero con essa conformi solo al momento
della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità».
---------------
4.2. L’avvenuto cambio della destinazione d’uso dell’immobile di proprietà
della ricorrente in contrasto con lo strumento urbanistico vigente (P.R.G.
del 1980) rende del tutto irrilevante la circostanza che, successivamente al
richiamato abusivo mutamento, sia stata modificata la disciplina
pianificatoria di riferimento in senso favorevole alla insediabilità delle
funzioni residenziali nella zona, visto che non sussisterebbe comunque il
requisito della doppia conformità delle opere al fine di una loro sanatoria
ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001; difatti, l’assenza del
requisito della doppia conformità, ossia della conformità dell’intervento
edilizio realizzato senza titolo sia alla disciplina urbanistica vigente
all’atto della sua realizzazione che a quella vigente al momento della
richiesta di sanatoria, determina l’impossibilità di ottenere un permesso in
sanatoria (cfr. TAR Lombardia, Milano, II, 04.11.2020, n. 2061; 24.06.2020, n. 1172; 27.05.2019, n. 1199;
08.01.2019, n. 31).
In senso contrario, non è neppure invocabile l’istituto della c.d.
“sanatoria giurisprudenziale” (cfr. Consiglio di Stato, VI, 24.04.2018,
n. 2496; 20.02.2018, n. 1087).
Secondo la giurisprudenza, «tale
istituto non trova, infatti, fondamento alcuno nell’ordinamento positivo,
contrassegnato invece dai principi di legalità dell’azione amministrativa e
di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica
amministrazione, con la conseguenza che detti poteri, in assenza di espressa
previsione legislativa, non possono essere creati in via giurisprudenziale,
pena la violazione di quello di separazione dei poteri e l’invasione di
sfere proprie di attribuzioni riservate alla pubblica amministrazione.
Anche
la Corte Costituzionale, peraltro, ha più volte ribadito al riguardo la
natura di principio, tra l’altro vincolante per la legislazione regionale,
della previsione della “doppia conformità” (Corte Cost., 31.03.1998, n.
370; 13.05.1993, n. 231; 27.02.2013, n. 101) seppur con precipuo
riferimento inizialmente ai soli profili penalistici. Il giudice delle leggi
ha dunque affermato che il rigore insito in tale principio trova la propria
ratio ispiratrice nella “natura preventiva e deterrente” della sanatoria,
finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture
“sostanzialiste” della norma che consentano la possibilità di regolarizzare
opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al
momento della loro realizzazione ovvero con essa conformi solo al momento
della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità»
(Consiglio di Stato, II, 15.02.2021, n. 1403; 18.02.2020, n.
1240; anche VI, 17.02.2021, n. 1457).
Da quanto in precedenza evidenziato, discende la correttezza dell’operato
degli Uffici comunali e l’assenza dei presupposti per accogliere le
prospettazioni della parte ricorrente.
4.3. Ciò determina il rigetto delle suesposte censure
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.04.2021 n. 1040 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
36 del D.P.R. n. 380/2001, nel disciplinare l'accertamento di conformità,
ossia quello strumento attraverso cui si consente la sanatoria di opere
realizzate in assenza di titolo edilizio, ma conformi alla normativa
applicabile, richiede che gli interventi abusivi siano conformi alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione
dell’opera, sia al momento della presentazione della istanza di sanatoria
«non potendosi affatto accogliere l'istituto della c.d. sanatoria
giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata da tempo esclusa
dalla giurisprudenza.
Tale approdo che richiede la verifica della "doppia conformità" deve
considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del
territorio, in quanto adempimento "finalizzato a garantire l'assoluto
rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l'arco
temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione
dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità"».
---------------
§4.1. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Deve ribadirsi come l'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, nel disciplinare
l'accertamento di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si
consente la sanatoria di opere realizzate in assenza di titolo edilizio, ma
conformi alla normativa applicabile, richiede che gli interventi abusivi
siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo
della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della
istanza di sanatoria «non potendosi affatto accogliere l'istituto della
c.d. sanatoria giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata da
tempo esclusa dalla giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. VI, 3194/2016;
Cons. St., sez VI, 05.06.2015 n. 2784; Cons. St., sez IV, 26.04.2006,
n. 2306; Corte Cost., 29.05.2013, n. 101).
Tale approdo che richiede la verifica della "doppia conformità" deve
considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del
territorio, in quanto adempimento "finalizzato a garantire l'assoluto
rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l'arco
temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione
dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità" (cfr. Corte
Cost. n. 232 del 2017)» (Cons. Stato, Sez. VI, 04.01.2021, n. 43)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 22.04.2021 n. 1301 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Costituisce
principio fondamentale della materia governo del territorio la verifica
della cosiddetta “doppia conformità” di cui al menzionato art. 36 t.u.
edilizia, in base al quale «il responsabile dell’abuso, o l’attuale
proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se
l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda».
Si tratta, infatti, di un adempimento «finalizzato a garantire l’assoluto
rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco
temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione
dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità».
Anche nei casi in cui l’attività sia subordinata alla presentazione di SCIA,
la normativa statale di principio impone il duplice accertamento di
conformità, e ciò sia per l’ipotesi in cui la segnalazione riguardi opere
già compiute dal soggetto interessato, sia per l’ipotesi di opere in corso
di esecuzione (art. 37, commi 4 e 5, t.u. edilizia): anche in relazione a
tutti gli interventi oggetto di SCIA in sanatoria, pertanto, dev’essere
attestata la conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia al momento
della realizzazione e a quello della successiva segnalazione.
---------------
2.5. Le norme impugnate esorbitano da tale ambito di competenza.
Circa la possibilità che una legge regionale intervenga con una propria
disciplina in materia, questa Corte ha infatti rilevato che si tratta di
scelta «espressiva della funzione di “governo del territorio” tipica
della disciplina urbanistica ed edilizia, rimessa alla potestà legislativa
delle Regioni nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con leggi
dello Stato (art. 117, terzo comma, Cost.), ed in particolare di quelli
“desumibili” dal t.u. edilizia, come sancito dall’art. 1 dello stesso»
(sentenza n. 2 del 2019).
A tale ultimo proposito, tuttavia, questa Corte ha anche precisato che
costituisce principio fondamentale della materia governo del territorio la
verifica della cosiddetta “doppia conformità” di cui al menzionato
art. 36 t.u. edilizia, in base al quale «il responsabile dell’abuso, o
l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in
sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al
momento della presentazione della domanda».
Si tratta, infatti, di un adempimento «finalizzato a garantire l’assoluto
rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco
temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione
dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità» (sentenza
n. 232 del 2017; nello stesso senso, sentenze n. 107 del 2017 e n. 101 del
2013).
Anche nei casi in cui l’attività sia subordinata alla presentazione di SCIA,
la normativa statale di principio impone il duplice accertamento di
conformità, e ciò sia per l’ipotesi in cui la segnalazione riguardi opere
già compiute dal soggetto interessato, sia per l’ipotesi di opere in corso
di esecuzione (art. 37, commi 4 e 5, t.u. edilizia): anche in relazione a
tutti gli interventi oggetto di SCIA in sanatoria, pertanto, dev’essere
attestata la conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia al momento
della realizzazione e a quello della successiva segnalazione
(Corte Costituzionale,
sentenza 21.04.2021 n. 77). |
EDILIZIA PRIVATA: L’ordinamento
opera una netta distinzione tra la situazione:
- di chi abbia realizzato
un’opera edilizia divenuta abusiva per effetto dell’annullamento del
relativo permesso di costruire e quella
- di chi abbia viceversa realizzato
un’opera abusiva in quanto priva ab origine del prescritto permesso di
costruire o realizzata in difformità da esso.
La prima fattispecie è disciplinata, a livello nazionale, dall’art. 38,
comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo il quale, in caso di
annullamento (giurisdizionale o in autotutela) del permesso di costruire,
“qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei
vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il
dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una
sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti
abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla
base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale.
...”. Precisa il susseguente comma 2 che l’integrale corresponsione della
sanzione pecuniaria irrogata ai sensi del comma precedente “produce i
medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo
36”.
Come da ultimo autorevolmente ribadito dalla giurisprudenza, «il pacifico effetto della
disposizione in commento è quello di tutelare, al ricorrere di determinati
presupposti e condizioni, l’affidamento ingeneratosi in capo al titolare del
permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta
edificazione conseguente al rilascio del titolo, equiparando il pagamento
della sanzione pecuniaria al rilascio del permesso in sanatoria», fermo
restando che tale equiparazione «è solo quoad effectum, costituendo un
eccezionale temperamento al generale principio secondo il quale la
costruzione abusiva deve essere sempre demolita; temperamento in ragione,
non già della sostanziale conformità urbanistica (passata e presente) della
stessa (oggetto del diversa fattispecie prevista dall’art. 36 cit.), ma
della presenza di un permesso di costruire che ab origine ha giustificato
l’edificazione e dato corpo all’affidamento del privato alla luce della
generale presunzione di legittimità degli atti amministrativi»; dunque,
posto che trattasi di un’eccezionale deroga al principio della necessaria
repressione a mezzo demolizione degli abusi edilizi, «la disposizione è
presidiata da due condizioni:
a) la prima è la motivata valutazione circa
l’impossibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative;
b)
la seconda è la motivata valutazione circa l’impossibilità di restituzione
in pristino»,
condizioni che risultano però eterogenee tra loro, «poiché la
prima attiene alla sfera dell’amministrazione e presuppone che l’attività di
convalida del provvedimento amministrativo (sub specie del permesso di
costruire), ex art. 21-nonies comma 2, mediante rimozione del vizio della
relativa procedura, non sia oggettivamente possibile; la seconda attiene
alla sfera del privato e concerne la concreta possibilità di procedere alla
restituzione dei luoghi in pristino stato».
Quanto all’ambito applicativo dell’istituto,
l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato -nel presupposto che la tutela dell’affidamento, attraverso
l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può giungere
«sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla
valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione
urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del
principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio,
ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente
al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del
privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di
quanto assentito»- ha affermato il principio di diritto secondo il quale «i
vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano
forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata
dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione».
La seconda fattispecie è disciplinata, a livello nazionale, dall’art. 36,
comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo il quale, in caso di interventi
realizzati in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso, nei
termini previsti dallo stesso articolo “il responsabile dell’abuso, o
l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in
sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al
momento della presentazione della domanda”.
Precisa il comma 2 del medesimo
art. 36 che il rilascio del permesso in sanatoria “è subordinato al
pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura
doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a
quella prevista dall’articolo 16”, fermo restando che, nell’ipotesi di
intervento realizzato in parziale difformità, “l’oblazione è calcolata con
riferimento alla parte di opera difforme dal permesso”.
Tanto premesso, giova evidenziare che
- nella fattispecie disciplinata
dall’art. 38, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 è previsto l’esercizio, da parte
dell’Amministrazione, di un potere discrezionale (perché la fiscalizzazione
dell’abuso presuppone, come già evidenziato, che l’attività di convalida del
permesso di costruire, mediante la rimozione del vizio della relativa
procedura amministrativa, non sia oggettivamente possibile) e
tecnico-discrezionale (perché la fiscalizzazione dell’abuso presuppone
altresì l’accertamento che è impossibile la rimessione in pristino);
viceversa,
- nella fattispecie disciplinata dall’art. 36, comma 1, del d.P.R.
380 del 2001 non è previsto l’esercizio di alcun potere discrezionale
da parte dell’Amministrazione, la quale è in tal senso tenuta soltanto a
verificare la conformità dell’opera abusiva con le previsioni urbanistiche,
ragion per cui il rilascio del permesso di costruire in sanatoria è un atto
dovuto, laddove sussistano i presupposti richiesti dalle predette
disposizioni.
---------------
1. Ai fini dell’inquadramento della fattispecie per cui è causa
giova preliminarmente rammentare che l’ordinamento, statuale e provinciale,
opera una netta distinzione tra la situazione di chi abbia realizzato
un’opera edilizia divenuta abusiva per effetto dell’annullamento del
relativo permesso di costruire e quella di chi abbia viceversa realizzato
un’opera abusiva in quanto priva ab origine del prescritto permesso di
costruire o realizzata in difformità da esso.
2. La prima fattispecie è disciplinata, a livello nazionale, dall’art. 38,
comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo il quale, in caso di
annullamento (giurisdizionale o in autotutela) del permesso di costruire,
“qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei
vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il
dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una
sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti
abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla
base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale.
...”. Precisa il susseguente comma 2 che l’integrale corresponsione della
sanzione pecuniaria irrogata ai sensi del comma precedente “produce i
medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo
36”.
Come da ultimo autorevolmente ribadito dalla giurisprudenza (Consiglio di
Stato, Ad. plen., 07.09.2020, n. 17), «il pacifico effetto della
disposizione in commento è quello di tutelare, al ricorrere di determinati
presupposti e condizioni, l’affidamento ingeneratosi in capo al titolare del
permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta
edificazione conseguente al rilascio del titolo, equiparando il pagamento
della sanzione pecuniaria al rilascio del permesso in sanatoria», fermo
restando che tale equiparazione «è solo quoad effectum, costituendo un
eccezionale temperamento al generale principio secondo il quale la
costruzione abusiva deve essere sempre demolita; temperamento in ragione,
non già della sostanziale conformità urbanistica (passata e presente) della
stessa (oggetto del diversa fattispecie prevista dall’art. 36 cit.), ma
della presenza di un permesso di costruire che ab origine ha giustificato
l’edificazione e dato corpo all’affidamento del privato alla luce della
generale presunzione di legittimità degli atti amministrativi»; dunque,
posto che trattasi di un’eccezionale deroga al principio della necessaria
repressione a mezzo demolizione degli abusi edilizi, «la disposizione è
presidiata da due condizioni: a) la prima è la motivata valutazione circa
l’impossibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative; b)
la seconda è la motivata valutazione circa l’impossibilità di restituzione
in pristino», condizioni che risultano però eterogenee tra loro, «poiché la
prima attiene alla sfera dell’amministrazione e presuppone che l’attività di
convalida del provvedimento amministrativo (sub specie del permesso di
costruire), ex art. 21-nonies comma 2, mediante rimozione del vizio della
relativa procedura, non sia oggettivamente possibile; la seconda attiene
alla sfera del privato e concerne la concreta possibilità di procedere alla
restituzione dei luoghi in pristino stato».
Come già evidenziato da questo Tribunale (T.R.G.A Trentino Alto Adige,
Trento, 11.08.2020, n. 136), l’istituto disciplinato dal menzionato art.
38 -correntemente denominato “fiscalizzazione dell’abuso”- nella Provincia
autonoma di Trento è disciplinato dall’art. 129, comma 11, della legge
provinciale n. 1 del 2008, secondo il quale, “Se il comune, in seguito
all’accertamento che è impossibile rimuovere i vizi delle procedure
amministrative e rimettere in pristino, annulla la concessione, applica una
sanzione pecuniaria pari al valore delle opere o delle parti abusivamente
eseguite e comunque non inferiore a 1.500 euro”, e trova applicazione non
solo in caso di annullamento in autotutela del permesso di costruire, ma
anche in caso di annullamento giurisdizionale. Anche in questo caso, ai
sensi del comma 12 dell’art. 129, “L’integrale corresponsione della sanzione
pecuniaria e il pagamento del contributo di concessione producono gli
effetti della concessione”.
Quanto all’ambito applicativo dell’istituto, nel recente passato questo
Tribunale (T.R.G.A Trentino Alto Adige, Trento, 18.02.2020 n. 27; id.,
11.08.2020, n. 136, cit.) ha invero aderito all’orientamento
giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.07.2019, n. 5089)
secondo il quale una disposizione come l’art. 129, comma 11, della legge
provinciale 1/2008 può trovare applicazione per ogni tipologia dell’abuso
stesso, ossia a prescindere dal tipo, formale ovvero sostanziale, dei vizi
che hanno portato all’annullamento dell’originario titolo.
Tuttavia
l’Adunanza plenaria (Consiglio di Stato, Ad. plen., 07.09.2020, n. 17, cit.) -nel presupposto che la tutela dell’affidamento, attraverso
l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può giungere
«sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla
valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione
urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del
principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio,
ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente
al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del
privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di
quanto assentito»- ha affermato il principio di diritto secondo il quale «i
vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano
forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata
dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione».
3. La seconda fattispecie è disciplinata, a livello nazionale, dall’art. 36,
comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo il quale, in caso di interventi
realizzati in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso, nei
termini previsti dallo stesso articolo “il responsabile dell’abuso, o
l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in
sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al
momento della presentazione della domanda”.
Precisa il comma 2 del medesimo
art. 36 che il rilascio del permesso in sanatoria “è subordinato al
pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura
doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a
quella prevista dall’articolo 16”, fermo restando che, nell’ipotesi di
intervento realizzato in parziale difformità, “l’oblazione è calcolata con
riferimento alla parte di opera difforme dal permesso”.
Anche l’istituto disciplinato dall’art. 36 -denominato accertamento della
conformità urbanistica- si rinviene nell’ordinamento della Provincia
autonoma di Trento, che però si caratterizza in quanto, accanto al caso in
cui la sanatoria è subordinata all’accertamento della c.d. doppia
conformità, è stata tipizzata e disciplinata anche la c.d. sanatoria
giurisprudenziale degli abusi edilizi.
In particolare l’art. 135, comma 1, della legge provinciale n. 1/2008
dispone -in conformità a quanto previsto dall’art. 36, comma 1, del d.P.R.
n. 380 del 2001- che, fino alla scadenza dei termini per l’esecuzione
dell’ingiunzione prevista dall’articolo 129, comma 1, della stessa legge
provinciale n. 1 del 2008, “il responsabile dell’abuso o altro soggetto
avente titolo possono chiedere la concessione in sanatoria se l’opera è
conforme agli strumenti urbanistici in vigore e non in contrasto con quelli
adottati sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della
presentazione della domanda”.
Parimenti il comma 4 dell’art. 135 dispone che
il rilascio della concessione in sanatoria “è subordinato al pagamento del
contributo di concessione e di una sanzione pecuniaria pari al valore del
contributo”, precisando che nei casi di esenzione o di riduzione del
contributo “la sanzione pecuniaria è pari al contributo dovuto negli altri
casi” e nei casi di difformità “il contributo e la relativa sanzione sono
calcolati con riferimento alla parte di opera difforme dalla concessione”,
fermo altresì restando che “la sanzione non può essere inferiore a 1.500
euro”.
Peraltro la sopradescritta disciplina di fonte provinciale si discosta
sensibilmente da quella statuale perché il comma 7 dell’art. 135 dispone che
-fermo restando quanto previsto dal comma 1- “resta salvo il potere, ai
soli fini amministrativi, di rilasciare la concessione edilizia quando è
regolarmente richiesta e conforme, al momento della presentazione della
domanda, alle norme urbanistiche vigenti e non in contrasto con quelle
adottate, anche se l’opera per la quale è richiesta è già stata realizzata
abusivamente. In tal caso le sanzioni pecuniarie previste dai commi 4 e 5
sono aumentate del 20 per cento”.
Come già evidenziato da questo Tribunale
in altra occasione (T.R.G.A Trentino Alto Adige, Trento, 11.08.2020, n.
136), con tale disposizione il Legislatore provinciale, nell’esercizio della
competenza legislativa primaria in materia di urbanistica, prevista
dell’art. 8, comma 1, n. 5, dello Statuto speciale di autonomia della
Regione Trentino Alto Adige/Südtirol approvato con d.P.R. 31.08.1972,
n. 670, ha codificato la c.d. sanatoria giurisprudenziale, così ampliando
(seppure “ai soli fini amministrativi”, ossia fatte salve eventuali
responsabilità di natura penale) la possibilità di richiedere l’accertamento
della conformità urbanistica dell’opera realizzata in assenza di permesso di
costruire o in difformità da esso, purché l’opera stessa sia “conforme, al
momento della presentazione della domanda, alle norme urbanistiche vigenti e
non in contrasto con quelle adottate”.
Tanto premesso, giova evidenziare che nella fattispecie disciplinata
dall’art. 38, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’art. 129, comma 11,
della legge provinciale n. 1 del 2008 è previsto l’esercizio, da parte
dell’Amministrazione, di un potere discrezionale (perché la fiscalizzazione
dell’abuso presuppone, come già evidenziato, che l’attività di convalida del
permesso di costruire, mediante la rimozione del vizio della relativa
procedura amministrativa, non sia oggettivamente possibile) e
tecnico-discrezionale (perché la fiscalizzazione dell’abuso presuppone
altresì l’accertamento che è impossibile la rimessione in pristino);
viceversa, nella fattispecie disciplinata dall’art. 36, comma 1, del d.P.R.
380 del 2001 e dall’art. 135, comma 1, della legge provinciale n. 1 del
2008, quanto in quella disciplinata dall’art. 135, comma 7, della medesima
legge provinciale non è previsto l’esercizio di alcun potere discrezionale
da parte dell’Amministrazione, la quale è in tal senso tenuta soltanto a
verificare la conformità dell’opera abusiva con le previsioni urbanistiche,
ragion per cui il rilascio del permesso di costruire in sanatoria è un atto
dovuto, laddove sussistano i presupposti richiesti dalle predette
disposizioni
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 20.04.2021 n. 60 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Questo Tribunale ha già avuto
modo di porre in rilievo «la progressiva evoluzione del processo
amministrativo avente ad oggetto provvedimenti autoritativi di natura
vincolata nella direzione del giudizio sul rapporto, desumibile
- non solo
dalla disposizione dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della legge
n. 241/1990 (secondo il quale “non è annullabile il provvedimento adottato
in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora,
per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”),
- ma anche dalla disposizione dell’art. 31, comma 3, cod. proc.
amm. (secondo il quale “il giudice può pronunciare sulla fondatezza della
pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o
quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della
discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano
essere compiuti dall’amministrazione”).
Da tali disposizioni si desume che,
nei casi di attività vincolata, il giudice amministrativo può ben operare un
sindacato teso ad accertare l’effettiva spettanza del bene della vita, ossia
non limitato all’accertamento dei vizi di legittimità dedotti con il ricorso
..., perché in tali casi non si verifica un’indebita sostituzione del
giudice all’amministrazione, essendo la spettanza del bene della vita già
predeterminata a livello normativo.
Di converso nei casi di attività
discrezionale il giudice amministrativo, se chiamato ad operare un sindacato
di legittimità sulla discrezionalità (pura o tecnica) dell’amministrazione,
non può sostituirsi ad essa, ma deve limitarsi a svolgere il sindacato
dall’esterno, ossia verificando se il potere sia stato correttamente
esercitato o meno».
---------------
La giurisprudenza ha da tempo
chiarito -seppure con riferimento alla disposizione (vigente ratione
temporis) dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 (secondo la quale “il
responsabile dell’abuso può ottenere la concessione o l’autorizzazione in
sanatoria quando l’opera eseguita in assenza della concessione o
autorizzazione è conforme agli strumenti urbanistici generali e di
attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento
della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della
domanda”)- che i presupposti di fatto per il rilascio della concessione in
sanatoria devono sussistere alla data di adozione del provvedimento di
sanatoria, e non alla data della presentazione della domanda.
---------------
Da tempo la giurisprudenza ha ammesso la possibilità di condizionare il rilascio di una
concessione edilizia, il cui progetto risulti eseguibile esclusivamente in
caso di approvazione di una variante al piano regolatore generale, all’esito
positivo del procedimento in itinere, ma ciò solo per la connessione fra i
diversi procedimenti amministrativi; ciò in quanto le clausole accidentali
possono essere apposte anche all’atto amministrativo a condizione che non
risultino alterate la struttura e la funzione tipica dell’atto stesso e
comprese le situazioni giuridiche dei destinatari.
Maggiori difficoltà teoriche ha invero incontrato l’ipotesi -da ritenersi
eccezionale in quanto riferita alla peculiare sanabilità di una condotta
abusiva e, quindi, sanzionata- del permesso di costruire in sanatoria, nel
qual caso l’apposizione di condizioni potrebbe alterare la struttura e la
funzione dell’atto stesso, legato ad un puntuale accertamento delle
condizioni poste dalla legge per la sanatoria.
Ciononostante la
giurisprudenza, anche di recente, ha affermato che -mentre una condizione in senso
proprio non può essere apposta, laddove non prevista dalla legge, in quanto
contrasterebbe con l’essenza stessa del permesso di costruire in sanatoria,
che è atto di accertamento a carattere non negoziale- diverso è il caso in
cui l’elemento accidentale sia più correttamente identificabile in termini
di prescrizione, quale modalità esecutiva; prescrizione che, se non
ottemperata, non invalida comunque l’atto autorizzativo e non ne impedisce
gli effetti, con la conseguenza che sussisterà una semplice violazione della
prescrizione stessa, come tale autonomamente sanzionata.
Dunque, secondo
questo condivisibile orientamento, «il permesso di costruire in sanatoria,
se per un verso non può certo essere soggetto a condizioni modificative di
quanto realizzato abusivamente, può legittimamente introdurre o recepire
limitate prescrizioni intese ad imporre correttivi esecutivi sull’esistente,
ad esempio al fine di mitigare l’impatto paesaggistico del manufatto, in
termini tali da renderlo più coerente con il contesto ambientale, qualora si tratti di
integrazioni minime, aventi carattere di mere modalità esecutive, tali da
agevolare il rilascio di una sanatoria in termini di adeguatezza al contesto regolatorio e fattuale
proprio del singolo territorio di riferimento».
---------------
Secondo una consolidata giurisprudenza, in base al
principio tempus regit actum la legittimità di un atto amministrativo deve
essere accertata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente
al momento della sua adozione, e ciò comporta che, in caso di modifiche
normative sopravvenute nel corso del procedimento, l’Amministrazione
procedente deve sempre tenere conto di tali modifiche.
In definitiva -fermo restando che, in ossequio al principio tempus regit
actum, la verifica della sussistenza dei presupposti per il rilascio del
permesso di costruire in sanatoria (ossia la conformità urbanistica) deve
essere verificata alla data di adozione del provvedimento di sanatoria, e
non alla data della presentazione della relativa domanda- il riferimento
“al momento della presentazione della domanda” si spiega tenendo conto della
possibilità che dopo la presentazione della domanda di sanatoria
intervengano previsioni urbanistiche che rendono impossibile la sanatoria;
Dunque tale riferimento deve essere inteso nel senso che il Legislatore ha
inteso derogare parzialmente al principio tempus regit actum, escludendo che
eventuali sopravvenute modifiche in peius delle previsioni urbanistiche
possano ostare all’accoglimento della domanda di sanatoria e, quindi, ha
imposto all’Amministrazione di tenere conto solo delle previsioni
urbanistiche che “al momento della presentazione della domanda” sono già in
vigore e di quelle che a tale momento risultano adottate, ma non ancora
approvate.
---------------
4. Passando alla controversia oggetto del presente giudizio, il Collegio
ritiene che si possa prescindere dall’esame delle eccezioni processuali
sollevate dalla controinteressata perché nessuna delle suesposte censure può
essere accolta, alla luce delle seguenti considerazioni.
5. Come già evidenziato, la società Al.Ho. -a seguito della nota prot. n. 6855 del 28.11.2018, con cui il Comune di Molveno ha
comunicato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza per la
regolarizzazione, ai sensi dell’art. 129, comma 11, della legge provinciale
n. 1 del 2008, delle opere oggetto del permesso di costruire in deroga n.
3033 del 2017, annullato da questo Tribunale con la sentenza n. 126 del 2018- in data 15.04.2019 ha presentato un’ulteriore istanza, volta al
rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art. 135,
comma 7, della legge provinciale n. 1 del 2008, sulla quale il Comune di Molveno si è espresso positivamente rilasciando l’impugnato permesso di
costruire in sanatoria n. 3076, in data 04.06.2020.
Ciò posto, il Collegio -nel rammentare che, secondo una consolidata
giurisprudenza, anche di questo Tribunale (da ultimo, T.R.G.A Trentino Alto
Adige, Trento, 18.03.2021, n. 39), la qualificazione giuridica del
provvedimento impugnato è un’operazione che compete al Giudice
amministrativo in ossequio al principio iura novit curia, analogamente a
quanto avviene nel processo civile con riferimento alla qualificazione del
tipo negoziale entro il quale vanno sussunti gli atti di autonomia privata
di cui si controverte- concorda senz’altro con il Comune di Molveno quando
nelle proprie difese osserva che l’erroneo riferimento all’art. 38 del
d.P.R. 380 del 2001, contenuto nella motivazione del provvedimento
impugnato, non può comunque inficiare la legittimità di tale provvedimento.
Tale riferimento è invero senz’altro erroneo perché, come già detto,
l’impugnato permesso di costruire è stato adottato ai sensi dell’art. 135,
comma 7, della legge provinciale n. 1 del 2008; ma il riferimento stesso è
totalmente ininfluente ai fini del presente giudizio, stante la c.d.
dequotazione della motivazione del provvedimento amministrativo nei giudizi
aventi ad oggetto l’esercizio di poteri vincolati (come quello previsto
dell’art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1 del 2008).
Difatti
questo stesso Tribunale in altre occasioni (T.R.G.A. Trentino Alto Adige,
Trento, 19.10.2020, n. 177; id. 13.04.2017, n. 136) ha già avuto
modo di porre in rilievo «la progressiva evoluzione del processo
amministrativo avente ad oggetto provvedimenti autoritativi di natura
vincolata nella direzione del giudizio sul rapporto, desumibile non solo
dalla disposizione dell’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della legge
n. 241/1990 (secondo il quale “non è annullabile il provvedimento adottato
in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora,
per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”), ma anche dalla disposizione dell’art. 31, comma 3, cod. proc.
amm. (secondo il quale “il giudice può pronunciare sulla fondatezza della
pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o
quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della
discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano
essere compiuti dall’amministrazione”). Da tali disposizioni si desume che,
nei casi di attività vincolata, il giudice amministrativo può ben operare un
sindacato teso ad accertare l’effettiva spettanza del bene della vita, ossia
non limitato all’accertamento dei vizi di legittimità dedotti con il ricorso
..., perché in tali casi non si verifica un’indebita sostituzione del
giudice all’amministrazione, essendo la spettanza del bene della vita già
predeterminata a livello normativo. Di converso nei casi di attività
discrezionale il giudice amministrativo, se chiamato ad operare un sindacato
di legittimità sulla discrezionalità (pura o tecnica) dell’amministrazione,
non può sostituirsi ad essa, ma deve limitarsi a svolgere il sindacato
dall’esterno, ossia verificando se il potere sia stato correttamente
esercitato o meno».
Dunque -posto che la parte ricorrente non contesta affatto che «le opere
realizzate ed in parte minima ripristinate dall’interessato a seguito della
comunicazione del preavviso di diniego risultano rispettose della disciplina
urbanistica vigente e non vi è neppure la necessità di accordare la deroga»
(così la motivazione del provvedimento impugnato)- ai fini della decisione
sulla presente controversia assume decisivo rilievo stabilire come vada
interpretato l’art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1 del 2008
laddove dispone che, ai fini della sanatoria, l’Amministrazione deve
accertare se l’opera abusiva sia, o meno, “conforme, al momento della
presentazione della domanda, alle norme urbanistiche vigenti e non in
contrasto con quelle adottate”.
Emergono infatti dagli atti di causa due
tesi contrapposte.
6. Secondo la parte ricorrente l’espresso riferimento al momento della
“presentazione” della domanda di sanatoria, contenuto nell’art. 135, comma
7, starebbe a significare che la presentazione della domanda determina una
sorta di cristallizzazione del rapporto, nel senso che l’Amministrazione non
potrebbe tener conto di alcun tipo di sopravvenienza intervenuta durante il
procedimento, ossia né di modifiche alla disciplina urbanistica, né di
modifiche dell’opera da sanare sopravvenute rispetto al momento della
presentazione della domanda.
Pertanto nel caso in esame il Comune avrebbe
dovuto senz’altro rigettare la domanda di sanatoria in quanto -come
evidenziato nel preavviso di rigetto di cui alla nota prot. n. 5044 del 07.08.2019- le opere realizzate in forza del permesso di costruire
annullato risultavano, al momento della presentazione della domanda stessa,
incompatibili con le previsioni dello strumento urbanistico relative al
parametro della superficie coperta, previsioni il cui superamento aveva in
precedenza imposto l’attivazione del procedimento per il rilascio di un
permesso di costruire in deroga.
In altri termini, secondo la tesi della parte ricorrente, la demolizione di
parte del solaio, eseguita dopo l’attivazione del procedimento in sanatoria,
era «totalmente neutra ai fini del riscontro della sussistenza dei
presupposti di compatibilità urbanistica dell’opera abusiva», dovendo tale
riscontro essere effettuato con riferimento all’intero abuso, come accertato
ed esistente al momento della presentazione della domanda di sanatoria e
decritto nella domanda stessa. Del resto, diversamente opinando, si
finirebbe per ammettere il rilascio di un titolo edilizio in sanatoria
parziale, limitato cioè ad una sola parte delle opere abusive.
A questa tesi si contrappone quella del Comune e della controinteressata,
secondo la quale -a dispetto della lettera dell’anzidetto art. 135, comma 7- i presupposti per il rilascio del permesso di costruire in di sanatoria
devono sussistere alla data di adozione del provvedimento, e non alla data
della presentazione della domanda; dunque nel caso in esame
l’Amministrazione avrebbe correttamente tenuto conto del fatto che la controinteressata -avuta notizia del preavviso di rigetto- aveva
provveduto a ridurre spontaneamente l’estensione del solaio (sul punto non
vi è contestazione), sì da rendere la superficie del manufatto compatibile
con il relativo parametro urbanistico.
A corredo di tale tesi, e in replica all’argomento della parte ricorrente
secondo il quale non sarebbe ammissibile il rilascio di un titolo edilizio
che riguardi solo una parte dell’abuso oggetto della domanda di sanatoria,
la controinteressata osserva che -sebbene nel caso in esame non si tratti
di un permesso di costruire in sanatoria rilasciato con prescrizioni, ovvero
condizionato a modifiche dell’oggetto della sanatoria- tuttavia la
giurisprudenza ammette che il permesso in sanatoria possa eccezionalmente
introdurre prescrizioni, purché si tratti di integrazioni minime o,
comunque, tali da agevolare una sanatoria altrimenti non concedibile; dunque
a maggior ragione deve ammettersi che l’interessato, in pendenza del
procedimento avviato a seguito della presentazione di un’istanza ai sensi
dell’art. 135, comma 7, possa comunque apportare al manufatto abusivo le
modifiche necessarie per renderlo sanabile.
7. La tesi della parte ricorrente è ancorata essenzialmente ad
un’interpretazione letterale dell’art. 135, comma 7, della legge provinciale
n. 1 del 2008; difatti tale disposizione -secondo la quale ai fini della
sanatoria l’amministrazione è tenuta ad accertare che l’opera abusiva sia
“conforme, al momento della presentazione della domanda, alle norme
urbanistiche vigenti e non in contrasto con quelle adottate”-
effettivamente può prestarsi ad essere letta nel senso che la presentazione
della domanda determina una sorta di cristallizzazione del rapporto, sia per
quanto riguarda l’opera da sanare, sia per quanto riguarda i parametri
urbanistici in base ai quali deve essere verificata la sanabilità
dell’opera.
Tuttavia il Collegio ritiene che tale tesi non possa essere accolta non solo
perché non tiene conto del consolidato orientamento giurisprudenziale
formatosi sull’art. 13 della legge 28.02.1985, n. 47, di seguito
esaminata, ma soprattutto perché si pone in radicale contrasto con i
principi generali del procedimento amministrativo e, in particolare, con il
principio della partecipazione al procedimento, del quale sono espressione
l’istituto del preavviso di rigetto, disciplinato (a livello statuale)
dall’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 e (a livello provinciale)
dall’art. 27-bis della legge provinciale 30.11.1992, n. 23, e con il
principio di economicità dell’azione amministrativa, sancito (a livello
statuale) dall’art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990 e (a livello
provinciale) dall’art. 2, comma 1, della legge provinciale n. 23 del 1992.
8. Come ricordato dal Comune e dalla controinteressata, la giurisprudenza
(ex multis, Consiglio Stato, Sez. V, 29.05.2006, n. 3236) ha da tempo
chiarito -seppure con riferimento alla disposizione (vigente ratione
temporis) dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 (secondo la quale “il
responsabile dell’abuso può ottenere la concessione o l’autorizzazione in
sanatoria quando l’opera eseguita in assenza della concessione o
autorizzazione è conforme agli strumenti urbanistici generali e di
attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento
della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della
domanda”)- che i presupposti di fatto per il rilascio della concessione in
sanatoria devono sussistere alla data di adozione del provvedimento di
sanatoria, e non alla data della presentazione della domanda.
Per le ragioni di seguito indicate non vi è ragione per discostarsi da tale
opzione ermeneutica, essendo il riferimento “al momento della presentazione
della domanda” presente tanto nella disposizione dell’art. 36, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 e nella corrispondente disposizione dell’art. 135,
comma 1, della legge provinciale n. 1 del 2008, quanto nella disposizione
dell’art. 135, comma 7, della legge provinciale medesima.
Si rende però
necessario precisare il fondamento di tale opzione ermeneutica e,
soprattutto, cosa essa comporti.
9. Innanzi tutto tale opzione ermeneutica è coerente con il principio di
partecipazione al procedimento amministrativo.
La dottrina ha da tempo posto in rilievo che la legittimità del
provvedimento è il risultato non solo del corretto uso del potere da parte
dell’amministrazione procedente, ma anche del contributo degli interessati
all’esercizio della funzione amministrativa. Dunque la partecipazione al
procedimento non ha solo lo scopo di garantire gli interessati nei riguardi
dell’azione del pubblico potere, bensì quello di consentire a costoro di
contribuire alla formazione della decisione amministrativa, come
plasticamente dimostra, ad esempio, la tipizzazione degli accordi
integrativi o sostitutivi del provvedimento. In tal senso il procedimento è
stato efficacemente definito dalla dottrina come la forma della funzione
amministrativa.
Ritiene allora il Collegio che il principio della partecipazione al
procedimento e gli istituti che ad esso si ispirano, come la comunicazione
dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza -da ritenersi applicabile
anche nei procedimenti attraverso i quali vengono esercitati poteri
vincolati (come nel caso in esame)- debbano essere intesi nell’accezione
più ampia possibile.
In particolare deve ritenersi che nei procedimenti ad
istanza di parte (come quello per cui è causa) l’interessato attraverso il
preavviso di rigetto viene posto in condizione di incidere sul concreto
esercizio del potere non solo esercitando il diritto di presentare
osservazioni scritte, che l’Amministrazione è tenuta a prendere in
considerazione, con conseguente obbligo di specificare, nella motivazione
del provvedimento finale, le ragioni dell’eventuale mancato accoglimento
delle osservazioni stesse (come espressamente previsto dall’art. 10-bis
della legge n. 241 del 1990 e dall’art. 27-bis della legge provinciale n. 23
del 1992), ma anche esercitando il diritto di superare i motivi ostativi
comunicati con il preavviso di rigetto attraverso la conformazione della
situazione di fatto ai parametri normativi in base ai quali l’istanza deve
essere esaminata.
Ciò è quanto è avvenuto nel caso in esame, nel quale la controinteressata, a
fronte dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di sanatoria,
comunicati dal Comune con la con nota prot. n. 5044 del 07.08.2019, ha
posto in essere un intervento di demolizione parziale volto a ridurre
l’estensione del solaio realizzato in forza del permesso annullato, sì da
rendere il manufatto divenuto abusivo suscettibile di sanatoria.
10. Inoltre la tesi della società ricorrente si pone in palese contrasto con
il principio di economicità dell’azione amministrativa, di cui costituisce
espressione l’orientamento giurisprudenziale -invocato dalla controinteressata- in base al quale il permesso di costruire in sanatoria
può eccezionalmente essere rilasciato con prescrizioni.
Da tempo la giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. V, 13.10.1993, n.
1031) ha ammesso la possibilità di condizionare il rilascio di una
concessione edilizia, il cui progetto risulti eseguibile esclusivamente in
caso di approvazione di una variante al piano regolatore generale, all’esito
positivo del procedimento in itinere, ma ciò solo per la connessione fra i
diversi procedimenti amministrativi; ciò in quanto le clausole accidentali
possono essere apposte anche all’atto amministrativo a condizione che non
risultino alterate la struttura e la funzione tipica dell’atto stesso e
comprese le situazioni giuridiche dei destinatari.
Maggiori difficoltà teoriche ha invero incontrato l’ipotesi -da ritenersi
eccezionale in quanto riferita alla peculiare sanabilità di una condotta
abusiva e, quindi, sanzionata- del permesso di costruire in sanatoria, nel
qual caso l’apposizione di condizioni potrebbe alterare la struttura e la
funzione dell’atto stesso, legato ad un puntuale accertamento delle
condizioni poste dalla legge per la sanatoria.
Ciononostante la
giurisprudenza, anche di recente (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 28.09.2020, n. 5683), ha affermato che -mentre una condizione in senso
proprio non può essere apposta, laddove non prevista dalla legge, in quanto
contrasterebbe con l’essenza stessa del permesso di costruire in sanatoria,
che è atto di accertamento a carattere non negoziale- diverso è il caso in
cui l’elemento accidentale sia più correttamente identificabile in termini
di prescrizione, quale modalità esecutiva; prescrizione che, se non
ottemperata, non invalida comunque l’atto autorizzativo e non ne impedisce
gli effetti, con la conseguenza che sussisterà una semplice violazione della
prescrizione stessa, come tale autonomamente sanzionata.
Dunque, secondo
questo condivisibile orientamento, «il permesso di costruire in sanatoria,
se per un verso non può certo essere soggetto a condizioni modificative di
quanto realizzato abusivamente, può legittimamente introdurre o recepire
limitate prescrizioni intese ad imporre correttivi esecutivi sull’esistente,
ad esempio al fine di mitigare l’impatto paesaggistico del manufatto, in
termini tali da renderlo più coerente con il contesto ambientale (cfr. in
termini Cons. St., VI, 28.06.2016, n. 2860), qualora si tratti di
integrazioni minime, aventi carattere di mere modalità esecutive, tali da
agevolare il rilascio di una sanatoria in termini di adeguatezza al contesto regolatorio e fattuale proprio del singolo territorio di riferimento (cfr.
ad es. Cons. St., IV, 08.09.2015 n. 4176)» (così Consiglio di Stato, Sez. VI, 28.09.2020, n. 5683, cit.).
Coglie allora nel segno la controinteressata quando afferma che, se può
ammettersi la possibilità che il permesso di costruire in sanatoria contenga
«limitate prescrizioni intese ad imporre correttivi esecutivi
sull’esistente» -e tale sarebbe stata l’eventuale prescrizione con la quale
il Comune avrebbe potuto imporre alla controinteressata di ridurre la
superficie del solaio, che non era sanabile in quanto eccedeva il parametro
urbanistico, seppure in misura inferiore al 2% (sul punto non vi è
contestazione)- a maggior ragione deve ammettersi che la controinteressata
medesima ben potesse (come in effetti è avvenuto), in pendenza del
procedimento avviato a seguito della presentazione della domanda di
sanatoria, apportare al manufatto abusivo le modifiche necessarie per
renderlo sanabile.
Del resto, anche a voler seguire la tesi della ricorrente, non può certo
escludersi che -se il Comune, nonostante la riduzione della superficie del
solaio, avesse respinto la domanda di sanatoria, confermando i motivi
ostativi all’accoglimento della stessa già rappresentati con il preavviso di
rigetto- la controinteressata avrebbe potuto presentare una nuova domanda
di sanatoria, con il conseguente avvio di un nuovo procedimento
amministrativo destinato a concludersi con il rilascio del provvedimento
richiesto, ma con un evidente, inutile aggravio dell’azione amministrativa.
11. Resta a questo punto soltanto da spiegare perché il legislatore nel
testo delle disposizioni che prevedono e disciplinano l’accertamento di
conformità -ivi compresa quella dell’art. 135, comma 7, della legge
provinciale n. 1 del 2008- abbia fatto espresso riferimento “al momento
della presentazione della domanda”.
A tal fine giova rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III,
04.02.2021, n. 1045), in base al
principio tempus regit actum la legittimità di un atto amministrativo deve
essere accertata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente
al momento della sua adozione, e ciò comporta che, in caso di modifiche
normative sopravvenute nel corso del procedimento, l’Amministrazione
procedente deve sempre tenere conto di tali modifiche.
Invece il legislatore
provinciale, prevedendo nell’art. 135, comma 7, che è possibile “rilasciare
la concessione edilizia quando è regolarmente richiesta e conforme, al
momento della presentazione della domanda, alle norme urbanistiche vigenti e
non in contrasto con quelle adottate, anche se l’opera per la quale è
richiesta è già stata realizzata abusivamente”, ha inteso derogare
parzialmente al principio tempus regit actum, nel senso che la disciplina
urbanistica da prendere in considerazione per verificare la sanabilità
dell’abuso è costituita solo dalle previsioni in vigore al momento della
presentazione della domanda di sanatoria e dalle previsioni contenute
all’interno di un nuovo strumento urbanistico (o di uno strumento in
variante) solo adottato, le quali, come noto, determinano l’operatività
delle c.d. misure di salvaguardia (cfr. l’art. 47 della legge provinciale n.
15 del 2015).
In definitiva -fermo restando che, in ossequio al principio tempus regit
actum, la verifica della sussistenza dei presupposti per il rilascio del
permesso di costruire in sanatoria (ossia la conformità urbanistica) deve
essere verificata alla data di adozione del provvedimento di sanatoria, e
non alla data della presentazione della relativa domanda- il riferimento
“al momento della presentazione della domanda” si spiega tenendo conto della
possibilità che dopo la presentazione della domanda di sanatoria
intervengano previsioni urbanistiche che rendono impossibile la sanatoria;
dunque tale riferimento deve essere inteso nel senso che il Legislatore ha
inteso derogare parzialmente al principio tempus regit actum, escludendo che
eventuali sopravvenute modifiche in peius delle previsioni urbanistiche
possano ostare all’accoglimento della domanda di sanatoria e, quindi, ha
imposto all’Amministrazione di tenere conto solo delle previsioni
urbanistiche che “al momento della presentazione della domanda” sono
già in vigore e di quelle che a tale momento risultano adottate, ma non
ancora approvate
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 20.04.2021 n. 60 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
la sanatoria a regime di abusi edilizi, la legge statale richiede la doppia
conformità come si evince dal chiaro disposto dell’art. 36 t.u. n. 380/2001.
La c.d. sanatoria giurisprudenziale evocata da parte ricorrente, secondo cui
sarebbe sufficiente la conformità alle norme urbanistico-edilizie al momento
dell’istanza di condono, non trova fondamento nelle norme positive.
---------------
8. E’ infondato il primo motivo di appello.
Per la sanatoria a regime di abusi edilizi, la legge statale richiede la
doppia conformità come si evince dal chiaro disposto dell’art. 36 t.u. n.
380/2001 (Con. St., IV n. 2063/2017; Id., VI, nn. 2123/2015 e 3194/2016).
La c.d. sanatoria giurisprudenziale evocata da parte ricorrente, secondo cui
sarebbe sufficiente la conformità alle norme urbanistico-edilizie al momento
dell’istanza di condono, non trova fondamento nelle norme positive.
Proprio la l.r. siciliana n. 16/2016, che aveva tradotto in norma positiva
la c.d. sanatoria giurisprudenziale (art. 14), è stata in parte qua
dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 232/2017),
per cui deve ritenersi inapplicabile l’istituto invocato dall’appellante
della sanatoria giurisprudenziale, e opera invece il principio della doppia
conformità sancito dalla legge e ribadito dalla Corte costituzionale
(CGARS,
sentenza 15.04.2021 n. 307 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’accertamento di conformità ex artt. 36 D.P.R. n. 380/2001 postula –come è noto- la conformità dell’intervento alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda
(cosiddetta “doppia conformità”).
Benché non siano mancate, in passato, pronunce che hanno adottato un
criterio interpretativo più largo, la giurisprudenza più recente del
Consiglio di Stato è giunta a ritenere che “l'istituto pretorio della
sanatoria giurisprudenziale [che, ai fini della sanatoria, postula la sola
conformità delle opere alla disciplina vigente al momento della richiesta, n.d.r.] è da considerarsi oramai superato, in quanto privo di base
nell'ordinamento positivo e non rispettoso dei principi di legalità
dell'azione amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri
esercitati dalla pubblica amministrazione, i quali, in assenza di espressa
previsione legislativa, non possono certo essere creati dal giudice".
In coerenza rispetto ad una rigorosa interpretazione -letterale e
sistematica- della normativa sulla sanatoria per doppia conformità, la
giurisprudenza amministrativa ha anche affermato che l'art. 36 del D.P.R. n.
380/2001 non prevede sanatorie parziali o condizionate: e ciò, in quanto il
rilascio di un permesso in sanatoria con prescrizioni, con le quali si
subordina l'efficacia dell'accertamento alla realizzazione di lavori che
consentano di rendere il manufatto conforme alla disciplina urbanistica
vigente al momento della domanda o al momento della decisione, contraddice,
innanzitutto sul piano logico, la rigida direttiva normativa, poiché la
previsione di condizioni o prescrizioni smentisce qualsiasi asserzione circa
la doppia conformità dell'opera, dimostrando che tale conformità non
sussiste, se non attraverso l'esecuzione di modifiche ulteriori e postume
rispetto alla stessa presentazione della domanda di accertamento in
sanatoria.
---------------
Il ricorso è infondato.
L’accertamento di conformità ex artt. 36 D.P.R. n. 380/2001 e 49 L.R. n.
16/2008 postula –come è noto- la conformità dell’intervento alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda
(cosiddetta “doppia conformità”).
Benché non siano mancate, in passato, pronunce che hanno adottato un
criterio interpretativo più largo, la giurisprudenza più recente del
Consiglio di Stato è giunta a ritenere che “l'istituto pretorio della
sanatoria giurisprudenziale [che, ai fini della sanatoria, postula la sola
conformità delle opere alla disciplina vigente al momento della richiesta, n.d.r.] è da considerarsi oramai superato, in quanto privo di base
nell'ordinamento positivo e non rispettoso dei principi di legalità
dell'azione amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri
esercitati dalla pubblica amministrazione, i quali, in assenza di espressa
previsione legislativa, non possono certo essere creati dal giudice” (così,
da ultimo, Cons. di St., VI, 04.01.2021, n. 43; nello stesso senso cfr. id.,
II, 25.05.2020, n. 3314; id., 21.03.2019, n. 1874).
In coerenza rispetto ad una rigorosa interpretazione -letterale e
sistematica- della normativa sulla sanatoria per doppia conformità, la
giurisprudenza amministrativa ha anche affermato che l'art. 36 del D.P.R. n.
380/2001 non prevede sanatorie parziali o condizionate: e ciò, in quanto il
rilascio di un permesso in sanatoria con prescrizioni, con le quali si
subordina l'efficacia dell'accertamento alla realizzazione di lavori che
consentano di rendere il manufatto conforme alla disciplina urbanistica
vigente al momento della domanda o al momento della decisione, contraddice,
innanzitutto sul piano logico, la rigida direttiva normativa, poiché la
previsione di condizioni o prescrizioni smentisce qualsiasi asserzione circa
la doppia conformità dell'opera, dimostrando che tale conformità non
sussiste, se non attraverso l'esecuzione di modifiche ulteriori e postume
rispetto alla stessa presentazione della domanda di accertamento in
sanatoria (così, da ultimo, Cons. di St., VI, 13.01.2021, n. 423; nello
stesso senso cfr. TAR Campania; II, 16.10.2020, n. 4537).
Nel caso di specie, è pacifico e non contestato che le opere oggetto della
domanda di sanatoria 18.06.2010 ai sensi dell’art. 49 della L.R. n. 16/2008
siano state realizzate in difformità dal permesso di costruire n. 93/2006, e
che la conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento
della presentazione della domanda sia conseguibile soltanto
condizionatamente all’esecuzione di ulteriori modifiche.
Donde la legittimità del diniego di sanatoria, difettando il requisito della
doppia conformità
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 03.04.2021 n. 292 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: E'
legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria di opere
eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse non risultino conformi
tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della loro realizzazione
quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria".
Infatti, "solo il legislatore
statale (con preclusione non solo per il potere giurisdizionale, ma anche
per il legislatore regionale: Corte Cost., 29.05.2013, n. 101) può
prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo edilizio in
sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva del reato già commesso) e
risulta del tutto ragionevole il divieto legale di rilasciare una
concessione (o il permesso) in sanatoria, anche quando dopo la commissione
dell'abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico".
La c.d. "doppia conformità" costituisce, perciò, un requisito dal quale non
può prescindersi ai fini del rilascio della sanatoria di opere edilizie,
mentre la c.d. "sanatoria giurisprudenziale" -consistente nel rilascio del
titolo edilizio sulla base della sola conformità dell'opera abusiva rispetto
alla pianificazione urbanistica vigente- finirebbe per dare luogo a "un
atto atipico con effetti provvedimentali che si colloca al di fuori di
qualsiasi previsione normativa e che pertanto non può ritenersi ammesso nel
nostro ordinamento, contrassegnato dal principio di legalità dell'azione
amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati
dall'Amministrazione, alla stregua del principio di nominatività, poteri che
non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio
di separazione dei poteri e l'invasione di sfere di attribuzioni riservate
all'Amministrazione".
Del resto, secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, la ragionevolezza
della regola posta dall'articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 discende
dall'esigenza, presa in considerazione dal legislatore, di evitare che il
potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere
lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile) e,
inoltre, di dissuadere dall'intenzione di commettere abusi, poiché chi
costruisce sine titulo è consapevole di essere tenuto alla demolizione,
anche in presenza di una sopraggiunta modificazione favorevole dello
strumento urbanistico.
---------------
Con il primo motivo viene contestata la ragione di diniego legata
al ricadere dei manufatti oggetto dell’istanza in classe IIIa1 “settori inedificati a media pericolosità geologica”, per la quale le NTA vietano la
realizzazione di nuove costruzioni ed insediamenti.
La ricorrente ha invocato la sanatoria giurisprudenziale: a suo avviso, il
Comune avrebbe dovuto recepire gli esiti della relazione geologica
presentata dall’istante o, al più sospendere l’attività di repressione
dell’abuso edilizio e l’istruttoria sull’istanza, in attesa della
riclassificazione dell’area in classe II, chiesta unitamente alla domanda di
sanatoria.
La censura è infondata.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, al quale la
Sezione aderisce pienamente, "è legittimo il doveroso diniego della
concessione in sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora
le stesse non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica vigente al
momento della loro realizzazione quanto a quella vigente al momento della
domanda di sanatoria" (Consiglio di Stato, sez. V, 17.03.2014, n. 1324; Id., sez. V, 11.06.2013, n. 3235; Id., sez. V, 17.09.2012, n.
4914; Id., sez. V, 25.02.2009, n. 1126; Id., sez. IV, 26.04.2006,
n. 2306; Tar Piemonte, sent. n. 851/2019).
Infatti, "solo il legislatore
statale (con preclusione non solo per il potere giurisdizionale, ma anche
per il legislatore regionale: Corte Cost., 29.05.2013, n. 101) può
prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo edilizio in
sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva del reato già commesso) e
risulta del tutto ragionevole il divieto legale di rilasciare una
concessione (o il permesso) in sanatoria, anche quando dopo la commissione
dell'abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico"
(Consiglio di Stato, Sez. V, 27.05.2014, n. 2755).
La c.d. "doppia conformità" costituisce, perciò, un requisito dal quale non
può prescindersi ai fini del rilascio della sanatoria di opere edilizie,
mentre la c.d. "sanatoria giurisprudenziale" -consistente nel rilascio del
titolo edilizio sulla base della sola conformità dell'opera abusiva rispetto
alla pianificazione urbanistica vigente- finirebbe per dare luogo a "un
atto atipico con effetti provvedimentali che si colloca al di fuori di
qualsiasi previsione normativa e che pertanto non può ritenersi ammesso nel
nostro ordinamento, contrassegnato dal principio di legalità dell'azione
amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati
dall'Amministrazione, alla stregua del principio di nominatività, poteri che
non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio
di separazione dei poteri e l'invasione di sfere di attribuzioni riservate
all'Amministrazione" (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 17.05.2018, n.
1298; Consiglio di Stato, sez. VI, 18.07.2016, n. 3194).
Del resto, secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, la ragionevolezza
della regola posta dall'articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 discende
dall'esigenza, presa in considerazione dal legislatore, di evitare che il
potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere
lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile) e,
inoltre, di dissuadere dall'intenzione di commettere abusi, poiché chi
costruisce sine titulo è consapevole di essere tenuto alla demolizione,
anche in presenza di una sopraggiunta modificazione favorevole dello
strumento urbanistico (Consiglio di Stato, Sez. V, 17.03.2014, n. 1324, e Id., n. 2755 del 2014, cit.).
Nel caso di specie, a fronte del contrasto tra le opere realizzate e le
previsioni dettate dalle NTA -riconosciuto dalla stessa sig. Domina, la
quale ha presentato di un’istanza di modifica dello strumento urbanistico-
il Comune non era tenuto a esprimere alcuna valutazione sulla relazione
geologica presentata dall’istante è né a sospendere l’attività di
repressione dell’abuso, essendo, al contrario, vincolato ad adottare il
provvedimento di diniego.
Il motivo secondo cui il divieto previsto dalle NTA non troverebbe
applicazione essendo limitato alle nuove costruzioni, mentre entrambe le
opere per cui è causa -avendo natura accessoria all'attività agricola, non
esprimendo volume, o comunque un volume limitato rispetto a quello espresso
dall'agriturismo della signora Do.- non costituirebbero nuove
costruzioni è inammissibile: si tratta, invero, di una censura nuova,
introdotta tardivamente con memoria non notificata.
Stante la legittimità della ragione di diniego legata al ricadere dei
manufatti oggetto dell’istanza in classe IIIa1 “settori inedificati a media
pericolosità geologica”, viene meno l’interesse all’esame del secondo motivo
di ricorso, con cui viene contestata la seconda ragione addotta dal Comune a
sostegno del diniego, relativa al mancato rispetto della distanza di 20 mt.
dalla Strada Trinità: anche ove fondato non porterebbe, difatti,
all’annullamento del provvedimento impugnato
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 15.03.2021 n. 273 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Come
è noto, il permesso in sanatoria, previsto dall'art. 36 del
D.P.R. 380/2001, può essere concesso solo nel caso in cui l'intervento
realizzato abusivamente risulti conforme sia alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente al momento della realizzazione del manufatto, che alla
disciplina vigente al momento della presentazione della domanda.
La doppia conformità è conditio sine qua non della sanatoria, e
l'Amministrazione è dunque tenuta ad accertare i requisiti di assentibilità
dell'intervento edilizio, sulla base della normativa urbanistica ed edilizia
vigente in relazione ad entrambi i segmenti temporali considerati dalla
legge, dovendo condurre, a tal fine, una valutazione rigidamente ancorata
alle prescrizioni normative fissate dalla strumentazione urbanistica
applicabile.
Il provvedimento con il quale viene scrutinata un’istanza di sanatoria,
possiede quindi un carattere oggettivo e vincolato, risultando del tutto
scevro da apprezzamenti discrezionali.
---------------
Proprio in ragione della ripetuta natura vincolata della verifica circa la
conformità della richiesta di sanatoria alla normativa urbanistica ed
edilizia vigente, il provvedimento in questione non necessita di altra
motivazione oltre quella relativa alla rispondenza della istanza alle
ripetute prescrizioni urbanistiche ed edilizie vigenti al momento dell'esame
della domanda e al momento di realizzazione delle opere.
---------------
L'accertamento dell'illecito
penale, anche se distinto da quello amministrativo, in pendenza dell'ordine
di demolizione scaturente dal giudicato penale, è da solo ostativo al
rilascio della sanatoria.
---------------
Appare in sintesi (e per quanto in questa sede di interesse)
definitivamente accertato che parte ricorrente abbia realizzato opere in
totale difformità rispetto ai titoli edilizi assentiti; che la cubatura
realizzabile era di 1970,54 metri cubi, mentre il provvedimento di condono
poi annullato ha riguardato un manufatto avente la volumetria di 3324,35
metri cubi, con la conseguente violazione della regola (di cui al comma 25
dell'art. 32, del D.L. 30.09.2003 n. 269, convertito in l. n. 326 del
2003), per cui non è ammissibile la sanatoria se vi è un eccesso di oltre
750 metri cubi di volumetria; che le risultanze della CTU disposta dalla
Sezione con l’ordinanza n. 235/2014 sono irrilevanti.
10.1. Con riferimento all’istanza di sanatoria respinta dal Comune di
Brancaleone con il provvedimento impugnato va poi ulteriormente evidenziato
che, come è noto (in termini, da ultimo, Consiglio di Stato sez. IV
07/09/2018 n. 5274), il permesso in sanatoria, previsto dall'art. 36 del
D.P.R. 380/2001, può essere concesso solo nel caso in cui l'intervento
realizzato abusivamente risulti conforme sia alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente al momento della realizzazione del manufatto, che alla
disciplina vigente al momento della presentazione della domanda.
La doppia conformità è conditio sine qua non della sanatoria, e
l'Amministrazione è dunque tenuta ad accertare i requisiti di assentibilità
dell'intervento edilizio, sulla base della normativa urbanistica ed edilizia
vigente in relazione ad entrambi i segmenti temporali considerati dalla
legge, dovendo condurre, a tal fine, una valutazione rigidamente ancorata
alle prescrizioni normative fissate dalla strumentazione urbanistica
applicabile.
Il provvedimento con il quale viene scrutinata un’istanza di sanatoria,
possiede quindi un carattere oggettivo e vincolato, risultando del tutto
scevro da apprezzamenti discrezionali.
Tanto premesso, proprio in ragione della ripetuta natura vincolata della
verifica circa la conformità della richiesta di sanatoria alla normativa
urbanistica ed edilizia vigente, il provvedimento in questione non necessita
di altra motivazione oltre quella relativa alla rispondenza della istanza
alle ripetute prescrizioni urbanistiche ed edilizie vigenti al momento
dell'esame della domanda e al momento di realizzazione delle opere (in
termini, da ultimo, Cons. Stato Sez. II, 06.03.2020 n. 1643 e 13.06.2019, n. 3972).
10.2. Alla luce delle esposte considerazioni appare evidente che il
provvedimento di sanatoria a cui parte ricorrente aspira non potrebbe
comunque essere assentito in ragione delle descritte circostanze, coperte
dal giudicato penale e da quello amministrativo, che escludono il prescritto
requisito della doppia conformità, dovendo escludersi la possibilità che gli
effetti da essa derivanti possano essere attribuiti alla cd. “sanatoria
giurisprudenziale" o “impropria”, che consiste nel riconoscimento della
legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro
realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli
strumenti di pianificazione urbanistica.
A ciò va aggiunto che secondo una parte della giurisprudenza amministrativa,
alle cui conclusioni nel caso di specie il Collegio reputa di dover aderire,
in tema di abusi edilizi, l'accertamento dell'illecito penale, anche se
distinto da quello amministrativo, in pendenza dell'ordine di demolizione
scaturente dal giudicato penale, è da solo ostativo al rilascio della
sanatoria (in termini, Consiglio di Stato sez. VI - 20/06/2019, n. 4205)
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 03.03.2021 n. 164 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, nel disciplinare l'accertamento
di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si consente la
sanatoria di opere realizzate in assenza di titolo edilizio, ma conformi
alla normativa applicabile, richiede che gli interventi abusivi siano
conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della
realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della istanza
di sanatoria, con conseguente inaccoglibilità dell'istituto della c.d.
sanatoria giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata da tempo
esclusa dalla medesima giurisprudenza.
Tale approdo, che richiede la verifica della cd. “doppia conformità”, deve
considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del
territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l'assoluto
rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l'arco
temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione
dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità.
---------------
Nel merito, il ricorso è infondato e va respinto.
Il Collegio osserva che la determinazione negativa assunta dal Comune di
Napoli, con il provvedimento impugnato sub 1) dell’epigrafe, è coerente con
i presupposti e l’ambito applicativo dell’istituto dell’accertamento di
conformità, ora disciplinato dall’art. 36 del T.U. edilizia (d.p.r. n.
380/2001), da tempo fissati dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. ex plurimis, da ultimo, Consiglio di Stato sez. VI, 04/01/2021, n. 43), secondo
cui l'art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, nel disciplinare l'accertamento
di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si consente la
sanatoria di opere realizzate in assenza di titolo edilizio, ma conformi
alla normativa applicabile, richiede che gli interventi abusivi siano
conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della
realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della istanza
di sanatoria, con conseguente inaccoglibilità dell'istituto della c.d.
sanatoria giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata da tempo
esclusa dalla medesima giurisprudenza.
Tale approdo, che richiede la verifica della cd. “doppia conformità”, deve
considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del
territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l'assoluto
rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l'arco
temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione
dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 02.03.2021 n. 1384 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull’annullamento
in autotutela di autorizzazione sismica.
Occorre muovere dall’art. 94, comma 1, del d.P.R. n. 380
del 2001 che, riprendendo l’art. 18 della Legge n. 64 del 1974, stabilisce
che “1. Fermo restando l’obbligo del titolo abilitativo all’intervento
edilizio, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità
all’uopo indicate nei decreti di cui all’articolo 83, non si possono
iniziare lavori senza preventiva autorizzazione del competente ufficio
tecnico della regione”.
Sul punto è stato chiarito che l’intento unificatore
del citato art. 94 è “palesemente orientato ad eseguire una vigilanza assidua
sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene
protetto, che trascende anche l’ambito della disciplina del territorio, per
attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla
materia della protezione civile”, materia in cui peraltro, come per il
governo del territorio, compete sempre allo Stato la determinazione dei
principi fondamentali.
In
questa ottica l’art. 94, che esprime il fondamentale principio della
preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico regionale
per l’inizio dei lavori nelle località dichiarate sismiche, è stato così
ritenuto espressione di un “principio fondamentale in materia di governo del
territorio e protezione civile”.
La giurisprudenza maggioritaria è consolidata nel ritenere, alla stregua del
citato art. 94, che l’autorizzazione sismica, sebbene non costituisca
presupposto per il rilascio del permesso di costruire (o per la
presentazione della SCIA), è pur sempre condizione di efficacia dello stesso
e, quindi, è necessaria per l’inizio dei lavori; la Sezione ha anche rimarcato
come la stessa incompletezza dell'autorizzazione sismica in sanatoria sia un
profilo rilevante ai fini del rigetto dell'istanza.
Comunque una esplicita
previsione a livello di legislazione statale della sua possibilità di
rilascio in sanatoria sarebbe stata necessaria, analogamente a quanto, del
resto, è previsto in materia edilizia in generale dall’art. 36 del d.P.R. n. 380
cit., ovvero dalla legislazione condonistica speciale.
Peraltro va considerato che anche disposizioni in materia di vigilanza
sulle costruzioni in zone sismiche, come l’art. 96 del d.P.R. n. 380 cit.
secondo cui
“1. I funzionari, gli ufficiali ed agenti indicati all’articolo
103, appena accertato un fatto costituente violazione delle presenti norme,
compilano processo verbale trasmettendolo immediatamente al competente
ufficio tecnico della regione. 2. Il dirigente dell’ufficio tecnico
regionale, previ, occorrendo, ulteriori accertamenti di carattere tecnico,
trasmette il processo verbale all’autorità giudiziaria competente con le sue
deduzioni”,
sono norme relative all’accertamento in sede penale delle
violazioni sismiche, che in alcun modo possono essere interpretate come
volte a consentire il rilascio di un’autorizzazione postuma rispetto a
interventi già posti in essere.
Egualmente è a dirsi per i successivi artt.
98, 99 e 100, che consentono:
a) al giudice penale di impartire con il
decreto o la sentenza di condanna le “prescrizioni necessarie per rendere le
opere conformi alle norme […], fissando il relativo termine” che, in caso di
irrevocabilità della sentenza o di esecutività del decreto, possono essere
eseguite dal competente ufficio tecnico regionale, “se del caso con
l’assistenza della forza pubblica, a spese del condannato”;
b) alla Regione,
qualora il reato sia estinto per qualsiasi causa, di ordinare con
provvedimento definitivo, adottato sentito l’organo tecnico consultivo della
Regione, “l’esecuzione di modifiche idonee a renderle conformi alle norme
stesse”. È di ogni evidenza che le disposizioni da ultimo citate, quali
applicabili ratione temporis, non danno in alcun modo vita a un procedimento
amministrativo di autorizzazione in sanatoria su istanza del privato,
limitandosi a consentire la conservazione del manufatto eretto in difetto di
autorizzazione sismica preventiva, una volta che la vicenda penale sia stata
comunque definita.
---------------
3.1 Il presente giudizio ha ad oggetto l’annullamento in autotutela
di autorizzazione sismica in ragione di interventi edilizi già esaminati da
questo Tribunale (III, 17.04.2015, n. 2197) con sentenza appellata al
Consiglio di Stato, sezione VI, con giudizio Rg. n. 9256/15 mai fissato.
Conseguentemente non è meritevole di accoglimento la richiesta formulata dal
controinteressato di riunione con detto separato giudizio, per come ormai
definito.
3.2 In via preliminare occorre muovere dall’art. 94, comma 1, del d.P.R. n. 380
del 2001 che, riprendendo l’art. 18 della Legge n. 64 del 1974, stabilisce
che “1. Fermo restando l’obbligo del titolo abilitativo all’intervento
edilizio, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità
all’uopo indicate nei decreti di cui all’articolo 83, non si possono
iniziare lavori senza preventiva autorizzazione del competente ufficio
tecnico della regione”.
Sul punto è stato chiarito che l’intento unificatore
del citato art. 94 è “palesemente orientato ad eseguire una vigilanza assidua
sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene
protetto, che trascende anche l’ambito della disciplina del territorio, per
attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla
materia della protezione civile”, materia in cui peraltro, come per il
governo del territorio, compete sempre allo Stato la determinazione dei
principi fondamentali (Corte cost., 20.07.2012, n. 201; 05.05.2006, n. 182).
In
questa ottica l’art. 94, che esprime il fondamentale principio della
preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico regionale
per l’inizio dei lavori nelle località dichiarate sismiche, è stato così
ritenuto espressione di un “principio fondamentale in materia di governo del
territorio e protezione civile” (Corte cost., 12.04.2013, n. 64; 05.11.2010, n. 312).
La giurisprudenza maggioritaria è consolidata nel ritenere, alla stregua del
citato art. 94, che l’autorizzazione sismica, sebbene non costituisca
presupposto per il rilascio del permesso di costruire (o per la
presentazione della SCIA), è pur sempre condizione di efficacia dello stesso
e, quindi, è necessaria per l’inizio dei lavori (questa Sezione, 30.10.2020,
n. 4949; 07.05.2013, n. 2356; TAR Lazio, Latina, 07.02.2018, n. 243; Cass. Pen.,
III, 09.07.2008, n. 38405); la Sezione (01.06.2020, n. 2104) ha anche rimarcato
come la stessa incompletezza dell'autorizzazione sismica in sanatoria sia un
profilo rilevante ai fini del rigetto dell'istanza. Comunque una esplicita
previsione a livello di legislazione statale della sua possibilità di
rilascio in sanatoria sarebbe stata necessaria, analogamente a quanto, del
resto, è previsto in materia edilizia in generale dall’art. 36 del d.P.R. n. 380
cit., ovvero dalla legislazione condonistica speciale.
3.3 Peraltro va considerato che anche disposizioni in materia di vigilanza
sulle costruzioni in zone sismiche, come l’art. 96 del d.P.R. n. 380 cit.
secondo cui “1. I funzionari, gli ufficiali ed agenti indicati all’articolo
103, appena accertato un fatto costituente violazione delle presenti norme,
compilano processo verbale trasmettendolo immediatamente al competente
ufficio tecnico della regione. 2. Il dirigente dell’ufficio tecnico
regionale, previ, occorrendo, ulteriori accertamenti di carattere tecnico,
trasmette il processo verbale all’autorità giudiziaria competente con le sue
deduzioni”, sono norme relative all’accertamento in sede penale delle
violazioni sismiche, che in alcun modo possono essere interpretate come
volte a consentire il rilascio di un’autorizzazione postuma rispetto a
interventi già posti in essere.
Egualmente è a dirsi per i successivi artt.
98, 99 e 100, che consentono:
a) al giudice penale di impartire con il
decreto o la sentenza di condanna le “prescrizioni necessarie per rendere le
opere conformi alle norme […], fissando il relativo termine” che, in caso di
irrevocabilità della sentenza o di esecutività del decreto, possono essere
eseguite dal competente ufficio tecnico regionale, “se del caso con
l’assistenza della forza pubblica, a spese del condannato”;
b) alla Regione,
qualora il reato sia estinto per qualsiasi causa, di ordinare con
provvedimento definitivo, adottato sentito l’organo tecnico consultivo della
Regione, “l’esecuzione di modifiche idonee a renderle conformi alle norme
stesse”.
È di ogni evidenza che le disposizioni da ultimo citate, quali
applicabili ratione temporis, non danno in alcun modo vita a un
procedimento amministrativo di autorizzazione in sanatoria su istanza del
privato, limitandosi a consentire la conservazione del manufatto eretto in
difetto di autorizzazione sismica preventiva, una volta che la vicenda
penale sia stata comunque definita
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 01.03.2021 n. 1347 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non esiste nell'ordinamento il rilascio dell’autorizzazione sismica in
sanatoria su istanza del privato per opere edili già eseguite ed
assoggettate a controllo preventivo.
Non è invocabile l’art. 36 del d.P.R.
n. 380 cit., dal momento che l’applicazione dell’istituto dell’accertamento
di conformità non può che essere armonizzata con i successivi artt. 96, 98,
99 e 100, che delineano le uniche modalità attraverso le quali la legge
rende possibile pervenire all’effetto utile di conservare un manufatto
realizzato ab origine in carenza di autorizzazione sismica.
Mancando una
puntuale disciplina positiva dell’autorizzazione sismica in sanatoria, va
evitato il rischio di introdurre in una materia così delicata per
l’incolumità delle persone –peraltro neppure pienamente disponibile da
parte del legislatore regionale– una sorta di sanatoria giurisprudenziale
fondata sull’accertamento postumo della conformità dell’opera comunque
edificata alle norme tecniche per la costruzione in zone sismiche al momento
della richiesta.
Una simile sanatoria evocherebbe l’omologo controverso istituto riconosciuto
privo di valore qualificante in molte pronunce del giudice amministrativo ed espressamente escluso dall’art.
36 del d.P.R. n. 380 cit.
In definitiva, può ritenersi che nel sistema introdotto dagli artt. 94 ss.
del d.P.R. n. 380, si ribadisce come applicabile ratione temporis, non sia
stato previsto il rilascio dell’autorizzazione sismica in sanatoria su
istanza del privato per opere edili già eseguite ed assoggettate a controllo
preventivo, a nulla rilevando che il fatto sia accertato dagli uffici
amministrativi o dagli organi di polizia giudiziaria, ovvero che sia portato
a conoscenza dell’ufficio tecnico regionale per effetto di una auto-denuncia
di chi ne sia stato l’autore.
---------------
4.2 Peraltro non sarebbe in ipotesi neanche invocabile l’art. 36 del d.P.R.
n. 380 cit., dal momento che l’applicazione dell’istituto dell’accertamento
di conformità non può che essere armonizzata con i successivi artt. 96, 98,
99 e 100, che delineano le uniche modalità attraverso le quali la legge
rende possibile pervenire all’effetto utile di conservare un manufatto
realizzato ab origine in carenza di autorizzazione sismica.
Mancando una
puntuale disciplina positiva dell’autorizzazione sismica in sanatoria, va
evitato il rischio di introdurre in una materia così delicata per
l’incolumità delle persone –peraltro neppure pienamente disponibile da
parte del legislatore regionale– una sorta di sanatoria giurisprudenziale
fondata sull’accertamento postumo della conformità dell’opera comunque
edificata alle norme tecniche per la costruzione in zone sismiche al momento
della richiesta.
Una simile sanatoria evocherebbe l’omologo controverso
istituto riconosciuto privo di valore qualificante in molte pronunce del
giudice amministrativo (cfr. TAR Lazio, Latina, 13.10.2020, n. 376; Cons.
Stato, VI, 18.01.2019, n. 470; VI, 04.06.2018, n. 3363; VI, 18.07.2016, n. 3194;
VI, 18.09.2015, n. 4359; V, 17.09.2012, n. 4914; IV, 26.03.2010, n. 1763; VI,
07.05.2009, n. 2835; IV, 26.04.2006, n. 2306) ed espressamente escluso dall’art.
36 del d.P.R. n. 380 cit.
In definitiva, può ritenersi che nel sistema introdotto dagli artt. 94 ss.
del d.P.R. n. 380, si ribadisce come applicabile ratione temporis, non sia
stato previsto il rilascio dell’autorizzazione sismica in sanatoria su
istanza del privato per opere edili già eseguite ed assoggettate a controllo
preventivo, a nulla rilevando che il fatto sia accertato dagli uffici
amministrativi o dagli organi di polizia giudiziaria, ovvero che sia portato
a conoscenza dell’ufficio tecnico regionale per effetto di una auto-denuncia
di chi ne sia stato l’autore
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 01.03.2021 n. 1347 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
Si legga, al riguardo, anche:
● M. Grisanti,
Non esiste l’autorizzazione sismica a sanatoria. Alias: Dopo la semina c’è
il raccolto (commento a TAR Campania-Napoli, 01.03.2021 n. 1347)
(11.03.2021 - link a https://lexambiente.it). |
febbraio 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: L’istituto
giurisprudenziale della sanatoria impropria è stato definitivamente
abbandonato dalla giurisprudenza, sia amministrativa, sia della Corte
Costituzionale.
Invero, è stato affermato che le sopravvenienze positive
non consentono di sanare gli abusi pregressi, condonabili nel lasso
temporale previsto dalla Legge 326/2003. Diversamente opinando, si
incentiverebbe l’abusivismo e si premierebbe la condotta del soggetto che ha
trasgredito le norme.
Le sopravvenienze, anche positive, minerebbero la
certezza e la sicurezza dei rapporti giuridici, oltre che il buon andamento
della Pubblica Amministrazione.
---------------
La ricorrente invoca, infine l’istituto della sanatoria
giurisprudenziale, ritenendo che la costruzione abusiva (garage) possa essere
oggetto della sanatoria di natura pretoria, in quanto il manufatto,
contrastante con il Piano Regolatore Generale esistente all’epoca
dell’illecito, sarebbe tuttavia conforme al P.R.G. ora vigente.
Anche tale motivo di doglianza è infondato.
L’istituto giurisprudenziale della sanatoria impropria è stato
definitivamente abbandonato dalla giurisprudenza, sia amministrativa, sia
della Corte Costituzionale (C.d.S. sez. VI, 09/09/2019, n. 6107; C.d.S., sez.
VI, 07.09.2018, n. 5274; C.d.S., sez. VI, 05.03.2018, n. 1389; Corte
Cost. n. 101/2013).
Invero, è stato affermato che le sopravvenienze positive
non consentono di sanare gli abusi pregressi, condonabili nel lasso
temporale previsto dalla Legge 326/2003. Diversamente opinando, si
incentiverebbe l’abusivismo e si premierebbe la condotta del soggetto che ha
trasgredito le norme. Le sopravvenienze, anche positive, minerebbero la
certezza e la sicurezza dei rapporti giuridici, oltre che il buon andamento
della Pubblica Amministrazione
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 23.02.2021 n. 252 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un
ormai consolidato orientamento giurisprudenziale nega cittadinanza
all'istituto
della c.d. “sanatoria giurisprudenziale”
rilevando che il requisito della doppia conformità deve considerarsi
principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto
adempimento finalizzato a garantire l'assoluto rispetto della disciplina
urbanistica ed edilizia durante tutto l'arco temporale compreso tra la
realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere
l'accertamento di conformità.
---------------
L’appellato
chiede in via subordinata il rigetto dell’appello in applicazione
dell’istituto della c.d. “sanatoria giurisprudenziale”.
Sennonché, un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il
Collegio non intende discostarsi, nega cittadinanza al detto istituto
rilevando che il requisito della doppia conformità, deve considerarsi
principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto
adempimento finalizzato a garantire l'assoluto rispetto della disciplina
urbanistica ed edilizia durante tutto l'arco temporale compreso tra la
realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere
l'accertamento di conformità (Cons. Stato, Sez. VI, 04/01/2021, n. 43;
09/09/2019, n. 6107; 11/09/2018, n. 5319; 18/07/2016, n. 3194; 05/06/2015 n.
2784; Sez. II, 25/05/2020, n. 3314; Sez. IV, 26/04/2006, n. 2306)
(Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 17.02.2021 n. 1457 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’accertamento di
conformità, a differenza del condono dal quale si diversifica per
presupposti e procedura, richiede il requisito della c.d. “doppia
conformità”, ovvero la rispondenza dell’opera alle regole urbanistiche
vigenti sia al momento di realizzazione dell’intervento che a quello di
presentazione della relativa istanza. Essa costituisce condicio sine qua non
della sanatoria, ed investe entrambi i ricordati segmenti temporali.
Le invocate esigenze di economia procedimentale, tali da imporre una
valutazione di tipo sostanzialistico di -futura, ma imminente- conformità
urbanistica dell’opera, sono già state escluse con riferimento all’istituto,
affine sotto il profilo finalistico, della c.d. “sanatoria
giurisprudenziale”.
Secondo l’ormai consolidato orientamento di questo
Consiglio Stato, infatti, essa non trova fondamento
alcuno nell’ordinamento positivo, contrassegnato invece dai principi di
legalità dell’azione amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri
esercitati dalla pubblica amministrazione, con la conseguenza che detti
poteri, in assenza di espressa previsione legislativa, non possono essere
creati in via giurisprudenziale, pena la violazione di quello di separazione
dei poteri e l’invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate alla
pubblica amministrazione.
Anche la Corte Costituzionale, peraltro, ha più
volte ribadito al riguardo la natura di principio, tra l’altro vincolante
per la legislazione regionale, della previsione della “doppia conformità”
seppur con precipuo riferimento inizialmente ai soli profili penalistici.
Il giudice delle leggi ha, dunque, affermato che il rigore insito
in tale principio trova la propria ratio ispiratrice nella “natura
preventiva e deterrente” della sanatoria, finalizzata a frenare l’abusivismo
edilizio, in modo da escludere letture “sostanzialiste” della norma che
consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la
disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro
realizzazione ovvero con essa conformi solo al momento della presentazione
dell’istanza per l’accertamento di conformità.
---------------
11.
Quanto alla asserita illegittimità del rigetto della istanza di sanatoria
ordinaria ovvero di concessione “postuma”, la prospettazione della parte è
egualmente infondata.
Il Collegio ritiene innanzi tutto opportuno evidenziare la peculiarità -a
tacere della intrinseca contraddittorietà- della richiesta avanzata
dall’appellante al Comune di Villanova nelle more della definizione del
giudizio di primo grado: a fronte, infatti, dell’avvenuta revoca del
condono, seppure ancora sub iudice, si cerca di recuperare gli effetti del
titolo edilizio ritirato “commutandolo” in altra tipologia di sanatoria,
ovvero, addirittura, in una non meglio qualificata concessione postuma (che
proprio in quanto tale, peraltro, non può che costituire essa stessa una
sanatoria). In sintesi, da un lato si rivendica la legittimità del titolo
edilizio originario; dall’altro si motiva la richiesta di quello alternativo
con l’avvenuto annullamento dello stesso, proponendone una sorta di
“variante”, quasi a mo’ di impropria convalida.
Ora, seppure astrattamente, non essendo ancora spirati i termini del
procedimento sanzionatorio, mai portato ad esecuzione, la parte ben poteva
aspirare ad una “sanatoria ordinaria”, è evidente la mancanza dei
presupposti normativi per potere accedere alla stessa. L’accertamento di
conformità, infatti, a differenza del condono, dal quale si diversifica per
presupposti e procedura, richiede il requisito della c.d. “doppia
conformità”, ovvero la rispondenza dell’opera alle regole urbanistiche
vigenti sia al momento di realizzazione dell’intervento che a quello di
presentazione della relativa istanza. Essa costituisce condicio sine qua non
della sanatoria, ed investe entrambi i ricordati segmenti temporali.
Le invocate esigenze di economia procedimentale, tali da imporre una
valutazione di tipo sostanzialistico di -futura, ma imminente- conformità
urbanistica dell’opera, sono già state escluse con riferimento all’istituto,
affine sotto il profilo finalistico, della c.d. “sanatoria
giurisprudenziale”.
Secondo l’ormai consolidato orientamento di questo
Consiglio Stato, infatti (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 24.04.2018, n. 2496, e 20.02.2018, n. 1087), essa non trova fondamento
alcuno nell’ordinamento positivo, contrassegnato invece dai principi di
legalità dell’azione amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri
esercitati dalla pubblica amministrazione, con la conseguenza che detti
poteri, in assenza di espressa previsione legislativa, non possono essere
creati in via giurisprudenziale, pena la violazione di quello di separazione
dei poteri e l’invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate alla
pubblica amministrazione.
Anche la Corte Costituzionale, peraltro, ha più
volte ribadito al riguardo la natura di principio, tra l’altro vincolante
per la legislazione regionale, della previsione della “doppia conformità”
(Corte Cost., 31.03.1998, n. 370; 13.05.1993, n. 231; 27.02.2013, n. 101) seppur con precipuo riferimento inizialmente ai soli profili penalistici.
Il giudice delle leggi ha dunque affermato che il rigore insito
in tale principio trova la propria ratio ispiratrice nella “natura
preventiva e deterrente” della sanatoria, finalizzata a frenare l’abusivismo
edilizio, in modo da escludere letture “sostanzialiste” della norma che
consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la
disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro
realizzazione ovvero con essa conformi solo al momento della presentazione
dell’istanza per l’accertamento di conformità (cfr. Cons. Stato, sez. II,
18.02.2020, n. 1240)
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 15.02.2021 n.
1403 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi
idonea ad estinguere il reato di cui all'art. 44 d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
a precludere l'irrogazione dell'ordine di demolizione dell'opera abusiva
previsto dall'art. 31, comma 9, del medesimo d.P.R. e a determinare, se
eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della
sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle
condizioni espressamente indicate dall'art. 36 del decreto stesso citato,
che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica
vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento
della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo
escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla
cd. "sanatoria giurisprudenziale" o "impropria", che consiste nel
riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo
dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie
ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica.
---------------
7. Il secondo motivo è
inammissibile.
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto non idonea la documentazione
prodotta, sul presupposto che non risultano oggetto di sanatoria le opere di
cui al primo e al secondo livello, e, in ogni caso, la configurabilità
dell'ipotesi delittuosa di cui all'art. 181, comma 1-bis, d.lgs. n. 42 del
2004, rende irrilevante la sanatoria.
La Corte ha fatto perciò corretta applicazione del principio, che il
Collegio intende ribadire, secondo cui, in tema di reati urbanistici, la
sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all'art.
44 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, a precludere l'irrogazione dell'ordine di
demolizione dell'opera abusiva previsto dall'art. 31, comma 9, del medesimo
d.P.R. e a determinare, se
eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della
sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle
condizioni espressamente indicate dall'art. 36 del decreto stesso citato,
che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica
vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento
della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo
escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla
cd. "sanatoria giurisprudenziale" o "impropria", che consiste
nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che,
solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie
ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (da ultimo, cfr. Sez. 3,
n. 45845 del 19/09/2019, dep. 12/11/2019, Caprio, Rv. 277265)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.01.2021 n. 1732). |
EDILIZIA PRIVATA: Si
osserva che la sanatoria cd. “giurisprudenziale”, ossia volta a considerare
la sanabilità rispetto alla sola normativa sussistente al momento della
domanda di sanatoria, non è ammissibile, stante il frontale contrasto con il
principio di legalità.
La sanatoria di un abuso edilizio è infatti ammissibile solo al ricorrere
della cd. doppia conformità, ossia la conformità dell’opera sia con riguardo
alla normativa sussistente al momento della realizzazione che a quella
vigente al momento di presentazione dell’istanza.
---------------
5. Con il motivo di ricorso sub 3.2, la ricorrente invoca la possibilità di
applicazione del meccanismo cd. della “sanatoria giurisprudenziale”, per il
tramite dell’art. 3 lr. Campania n. 15/2000 e s.m.i., in tema di recupero dei
sottotetti esistenti, con contestuale mutamento di destinazione d’uso, da
stenditoio ad abitazione, posto che i lavori per la realizzazione del
sottotetto sarebbero stati realizzati nel 1999 e, solo dopo l’entrata in
vigore della Legge sul Piano casa, il sottotetto sarebbe stato trasformato
in locale con destinazione abitativa. La ricorrente sottolinea la modesta
difformità dell’altezza media (mt. 2,20 contro quella assentita di mt. 2,00),
nonché la circostanza per cui l’immobile è collocato, dal punto di vista
urbanistico, in contesto centrale urbanizzato, privo di vincoli.
Anche doglianza non può essere accolta, a ciò ostando molteplici ragioni:
- in primo luogo, si osserva che la sanatoria cd. “giurisprudenziale”, ossia
volta a considerare la sanabilità rispetto alla sola normativa sussistente
al momento della domanda di sanatoria, non è ammissibile, stante il frontale
contrasto con il principio di legalità (v., in tal senso, tar Napoli,
01.06.2020, n. 2104). La sanatoria di un abuso edilizio è infatti ammissibile
solo al ricorrere della cd. doppia conformità, ossia la conformità
dell’opera sia con riguardo alla normativa sussistente al momento della
realizzazione che a quella vigente al momento di presentazione dell’istanza;
- in secondo luogo, come risulta anche dalla nota prot. n. 24216
dell’11.10.2017, versata in atti dal Comune in data 24.10.2017, non risulta
depositata, da parte della ricorrente, alcuna istanza di sanatoria, né ai
sensi del D.p.r. n. 380/2001, e tanto meno secondo le previsioni della l.r.
Campania n. 15/2000 e s.m.i..
Esula pertanto dalla cognizione della presente controversia il tema della
sanabilità delle opere, né la valutazione circa la possibilità di
conseguire, eventualmente, la sanatoria potrebbe inficiare la legittimità
dell’ingiunzione demolitoria, la quale costituisce, come detto, l’ordinario
rimedio repressivo a fronte di abusi comportanti difformità dal permesso di
costruire
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 07.01.2021 n. 62 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di sanatoria ex art. 36 dpr 380/2001, «pur dopo la scadenza del
termine procedimentale, e anche in casi di c.d. silenzio-rigetto,
l'amministrazione non perde il potere di provvedere, essendo il silenzio-rigetto esplicitamente previsto solo per consentire all'interessato di adire
il giudice; in particolare, la ricostruzione del silenzio, di cui all'art.
36 T.U. dell'edilizia, in termini di silenzio-rifiuto non impedisce
all'amministrazione di pronunciarsi tardivamente».
---------------
Non è ravvisabile la
denunciata violazione delle garanzie di contraddittorio procedimentale
laddove risulti in atti che l'istante ha adeguatamente interloquito
col Comune mediante apposite controdeduzioni e che
l’amministrazione stessa, dopo averle nominativamente richiamate, ha
puntualmente replicato a queste ultime.
Di talché, le garanzie partecipative e gli
obblighi motivazionali ex artt. 3 e 10-bis della l. n. 241/1990 non
avrebbero potuto, infatti, tradursi –a discapito dei principi procedimentali di efficacia e celerità– in un interminabile confronto
dialettico con l’interessata e in un’analitica confutazione degli elementi
da quest’ultima forniti nelle cennate controdeduzioni, essendo sufficienti, per la loro osservanza, il compiuto
apprezzamento e la perspicua esplicazione dei presupposti fattuali e delle
ragioni giuridiche che, in positivo, ossia in logica e insuperata antitesi
alle ridette controdeduzioni, hanno giustificato la preannunciata
determinazione sfavorevole.
---------------
L'’operatività della c.d. sanatoria giurisprudenziale è ripudiata dall’ormai
granitico indirizzo pretorio in subiecta materia, siccome ritenuta normativamente
superata, nonché confliggente con i generali principi di legalità, di
imparzialità, di buon andamento ed efficacia, di proporzionalità e
ragionevolezza dell’azione amministrativa.
---------------
4. Previamente allo scrutinio di tale gravame, il Collegio rammenta
–a ripudio dell’assunto attoreo secondo cui illegittimamente
l’amministrazione comunale intimata avrebbe comunicato i motivi ostativi
all’accoglimento all’istanza di accertamento di conformità prot. n. 1091 del
05.12.2017, dopo che su quest’ultima si sarebbe già formato il silenzio-rigetto (cfr. retro, in narrativa, sub n. 9.a)– che –come già osservato
dalla Sezione nell’ord. coll. n. 877/2019– «pur dopo la scadenza del
termine procedimentale, e anche in casi di c.d. silenzio-rigetto,
l'amministrazione non perde il potere di provvedere, essendo il silenzio-rigetto esplicitamente previsto solo per consentire all'interessato di adire
il giudice; in particolare, la ricostruzione del silenzio, di cui all'art.
36 T.U. dell'edilizia, in termini di silenzio-rifiuto non impedisce
all'amministrazione di pronunciarsi tardivamente» (TAR Sicilia, Catania,
sez. I, 11.07.2013, n. 2059).
5. Con riferimento, poi, alla contestazione di violazione dei principi di
leale collaborazione e di partecipazione procedimentale, il Comune di San
Valentino Torio non avendo asseritamente fornito alcuna effettiva
esplicazione in merito al divisato avviso sfavorevole alla richiesta
sanatoria, senza tenere in debito conto le deduzioni formulate al riguardo
dall’interessata (cfr. retro, in narrativa, sub n. 12), deve obiettarsi che
la Sezione, con l’ord. coll. n. 877/2019, ha richiesto all’ente locale
intimato la formulazione di «circostanziati chiarimenti in merito» non già
ai contenuti –ex se sufficientemente dettagliati– del preavviso di rigetto prot. n. 2249 del
07.03.2018, bensì soltanto «alla conclusione del
procedimento amministrativo di cui al preavviso di rigetto prot. n. 2249 del
07.03.2018», ossia in merito agli eventuali sviluppi provvedimentali a
quest’ultimo susseguiti e, in effetti, concretizzatisi, nell’adozione del
provvedimento del 26.06.2019, prot. n. 1091, senza, quindi, onerare
l’amministrazione di ulteriori attività informativo-istruttorie.
Tanto chiarito, non è ravvisabile, nella specie, la denunciata violazione
delle garanzie di contraddittorio procedimentale.
Fermo restando che la C., resa destinataria del preavviso di rigetto prot.
n. 2249 del 07.03.2018, ha adeguatamente interloquito mediante apposite controdeduzioni in data 20.03.2018, prot. n. 2699 (nominativamente
richiamate nel provvedimento del 26.06.2019, prot. n. 1091) e che
l’amministrazione comunale, dopo averle nominativamente richiamate, ha
puntualmente replicato a queste ultime, le garanzie partecipative e gli
obblighi motivazionali ex artt. 3 e 10-bis della l. n. 241/1990, non
avrebbero potuto, infatti, tradursi –a discapito dei principi procedimentali di efficacia e celerità– in un interminabile confronto
dialettico con l’interessata e in un’analitica confutazione degli elementi
da quest’ultima forniti nelle cennate controdeduzioni del 20.03.2018, prot. n. 2699, essendo sufficienti, per la loro osservanza, il compiuto
apprezzamento e la perspicua esplicazione dei presupposti fattuali e delle
ragioni giuridiche che, in positivo, ossia in logica e insuperata antitesi
alle ridette controdeduzioni, hanno giustificato la preannunciata
determinazione sfavorevole (cfr. TAR Abruzzo, L'Aquila, 26.07.2004, n.
836; sez. I, 06.06.2007, n. 285; TAR Friuli Venezia Giulia, 14.05.2005, n. 459; TAR Liguria, sez. II,
07.07.2005, n. 1022;
TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 07.04.2006, n. 772; TAR Lazio, Roma, sez.
I, 04.08.2006, n. 6950; 14.09.2007, n. 8951; TAR Campania, Napoli,
sez. VIII, 16.10.2009, n. 5817; 21.09.2010, n. 17489; 23.07.2014, n. 4131; 21.01.2015, n. 374; 26.08.2015, n. 4269; Salerno,
sez. II, 12.07.2018, n. 1067).
6. Fuori sesto si rivela, altresì, l’ordine di doglianze inteso a far valere
la recuperabilità degli illeciti edilizi accertati, in base all’assunto
della loro natura di difformità parziali sanzionabili in via pecuniaria, e
non di variazioni essenziali assoggettate alla misura demolitoria (cfr.
retro, in narrativa sub n. 9.bb e 11).
In effetti, dalla puntuale descrizione degli abusi in parola, così come
compiuta nell’ordinanza di demolizione prot. n. 10884 del 14.11.2017
sulla scorta della prodromica relazione di sopralluogo prot. n. 10814 del 13.11.2017 (cfr. retro, in narrativa, sub n. 2), emerge in termini
perspicui come essi, per le relative caratteristiche dimensionali,
morfologiche e funzionali, integrino non già gli estremi delle difformità
parziali, sanzionabili ai sensi dell’art. 34 del d.p.r. n. 380/2001, bensì
gli estremi, se non proprio dell’organismo edilizio totalmente difforme,
almeno delle variazioni essenziali rispetto al fabbricato assentito col PdC
n. 23/2008.
6.1. In tale prospettiva, non coglie, di certo, nel segno la C.,
allorquando, onde sottrarsi all’applicazione degli artt. 31 e 32, comma 1,
lett. b), del d.p.r. n. 380/2001, deduce che negli ampliamenti contestati non
avrebbero potuto e dovuto computarsi i volumi accessori in eccedenza (in
corrispondenza, segnatamente, del piano interrato) insieme a quelli
principali gravanti sul carico urbanistico.
E ciò, per un duplice ordine di considerazioni.
a) Innanzitutto, perché già l’ampliamento al livello terraneo (non inferiore
a mq 76,88 ed a mc 61,86 per ammissione della C., alla stregua della
relazione tecnica dalla stessa esibita in giudizio) e l’acclarata modifica
di sagoma dell’edificio non presentano, di per sé (e cioè a prescindere
dagli incrementi plano-volumetrici al livello interrato), una incidenza
quali-quantitativa tanto marginale da poter essere declassati dal rango di
variazioni essenziali a quello di variazioni minime (ossia di difformità
parziali) (sul punto, cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. II, 11.12.2019, n. 8414; TAR Puglia, Bari, sez. III, 16.09.2015, n. 1241; TAR
Abruzzo, Pescara, 24.03.2016, n. 99).
b) Poi, perché, ai fini della valutazione di cui agli artt. 32, comma 1,
lett. b), e 34 del d.p.r. n. 380/2001, l’incremento di cubatura e/o di
superficie di solaio realizzato (nel complesso, quantificato dal
provvedimento del 26.06.2019, prot. n. 1091, nella misura,
rispettivamente, di mc 452,93 e di mq 244,43, nonché, addirittura,
quantificato dalla relazione tecnica esibita da parte ricorrente nella
misura, rispettivamente, di mc 61,86 + 1.000,88 = 1.062,74 e di mq 76,88 +
209,95 = 286,83) andava rapportato non tanto alla destinazione riservata dal
progetto assentito ai locali ampliati (con precipuo riferimento al piano
interrato, in termini di autorimessa), quanto, piuttosto, alla destinazione
(sempre con precipuo riferimento al piano interrato, in termini di deposito
commerciale) da questi in concreto conseguita, e cioè alla circostanza che
l’attuata trasformazione sia materiale sia funzionale di un cespite
immobiliare assentito in via derogatoria come parcheggio interrato ai sensi
dell’art. 6 della l.r. Campania n. 19/2001 (articolato in: «- zona di
carico e scarico di dimensioni in pianta pari a circa 25 mq e altezza pari a
3,95 m circa, posizionata in prossimità dell'ingresso delimitata con pareti
in alluminio; - zona di deposito su scaffalatura di dimensioni in pianta
pari a circa 140 mq e altezza pari a 3,95 m circa posizionata tra la zona di
carico e scarico e la zona soppalcata; - zona soppalcata di dimensioni in
pianta pari a circa 100 mq e altezza pari a 3,95 m circa (il soppalco è
posizionato ad un’altezza di cima 2.00 m) posta in sequenza alla zona di
deposito su scaffalatura; - zona filtro di dimensioni in pianta pari a circa
31 mq e altezza pari a 3,95 posizionata nel pressi del wc e dell'impianto di
sollevamento; - zona destinata a: wc, piccolo locale, celle frigo e deposito
su bancali localizzata su tutto il lato est fuori dalla sagoma del corpo dl
fabbrica in elevazione di dimensioni in pianta pari a circa 130 mq e altezza
pari a 2,95») ha portato, nella sostanza, l’interessata a lucrare
indebitamente uno spazio commerciale utile ed aggiuntivo –sia pure con la
destinazione accessoria di deposito– avente notevole estensione.
6.2. Subito dopo, occorre rimarcare che, in ogni caso, –come rilevato nel
preavviso di diniego prot. n. 2249 del 07.03.2018, confermato nel
definitivo provvedimento declinatorio del 26.06.2019, prot. n. 1091, e
non smentito efficacemente per tabulas da parte ricorrente– al piano terra
si è determinato «un incremento della superficie commerciale di 50 mq
corrispondente ad un incremento di circa il 16% rispetto a quanto assentito
con il PdC n. 23/2008» e, più in generale, che la volumetria fuori terra,
incidente, come tale, sui parametri urbanistici (indice di fabbricabilità
fondiaria) risulta aumentata dai mc 1.259 assentiti col PdC n. 23/2008 ai mc
1.597,41 effettivamente realizzati (valori, questi, tendenzialmente
convergenti con quelli desumibili dall’ordinanza di demolizione prot. n.
10884 del 14.11.2017), con conseguente incremento pari a circa il 26%.
Di qui, dunque, a dispetto delle proposizioni attoree, l’indubbia
alterazione dei parametri urbanistico-edilizi progettuali di cui all’art.
32, comma 1, lett. c), del d.p.r. n. 380/2001.
7. Tanto, al punto da rendere, a ripudio proposte censure di deficit
motivazionale (cfr. retro, in narrativa, sub n. 9.ba, 9.c e 11), del tutto
perspicuo e congruente il triplice rilievo –costituente il nucleo argomentativo nevralgico del gravato provvedimento declinatorio del 26.06.2019, prot. n. 1091– che:
a) le acclarate variazioni
plano-volumetriche e funzionali hanno finito per stravolgere il progetto
approvato col PdC n. 23/2008, sino ad attrarre l’originario contenuto di
ristrutturazione mediante demo-ricostruzione all’orbita della nuova
costruzione, e quindi, a integrare (anche) gli estremi della variazione
essenziale ex art. 32, comma 1, lett. d, del d.p.r. n. 380/2001;
b) la reale
attuazione (sine titulo) di quest’ultima tipologia di intervento è risultata
infrangersi irrimediabilmente contro il divieto per essa sancito dalle NTA
del PRG di San Valentino Torio in zona “di rispetto e tutela stradale”, e
quindi, contro il requisito della doppia conformità urbanistico-edilizia ex
art. 36 del d.p.r. n. 380/2001;
c) comunque, anche a voler reputare le opere
in contestazione non debordanti dall’alveo della ristrutturazione mediante demo-ricostruzione, le trasformazioni apportate al progetto approvato col
PdC n. 23/2008 non risponderebbero al requisito della conformità all’epoca
(2010) della loro realizzazione, allorquando l’art. 3, comma 1, lett. d), del
d.p.r. n. 380/2001 (nella versione vigente ratione temporis, anteriore alla
modifica introdotta dall’art. 30, comma 1, del d.l. n. 69/2013, conv. in l.
n. 98/2013) prescriveva quella identità della volumetria e della sagoma
originaria, che, invece, le opere anzidette non risultano aver assicurato.
8. La C. non riesce, poi, a sottrarsi a quest’ultimo rilievo in base
all’assunto che, nella specie, si sarebbe trattato di una trasformazione
edilizia ripristinatorio-sostitutiva senza demolizione del fabbricato
preesistente e, quindi, senza connesso vincolo di fedeltà di sagoma (cfr.
retro, in narrativa, sub n. 9.d e 11).
Tale assunto si si rivela, infatti, essere puramente apodittico ed
esplorativo, in quanto destituito di concreto supporto probatorio.
Tanto meno riesce a sottrarsi a detto rilievo evocando l’operatività della
c.d. sanatoria giurisprudenziale, la quale è ripudiata dall’ormai granitico
indirizzo pretorio in subiecta materia, siccome ritenuta normativamente
superata, nonché confliggente con i generali principi di legalità, di
imparzialità, di buon andamento ed efficacia, di proporzionalità e
ragionevolezza dell’azione amministrativa (cfr., ex multis, Cons. Stato,
sez. VI, n. 3194/2016; n. 5319/2018; n. 6107/2019; sez. II, n. 3314/2020;
TAR Campania, Napoli, sez. VIII, n. 4717/2015; Salerno, sez. I, n.
2474/2016; Napoli, sez. II, n. 5160/2017; sez. IV, n. 3076/2019; sez. VIII,
n. 2104/2020; TAR Veneto, Venezia, sez. I, n. 1239/2015; TAR Lombardia,
Milano, sez. II, n. 31/2019)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 05.01.2021 n. 27 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Deve
ricordarsi che l’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, nel disciplinare
l’accertamento di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si
consente la sanatoria di opere realizzate in assenza di titolo edilizio, ma
conformi alla normativa applicabile, richiede che gli interventi abusivi
siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo
della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della
istanza di sanatoria, non potendosi affatto accogliere l’istituto della c.d.
sanatoria giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata da tempo
esclusa dalla giurisprudenza.
Tale approdo che richiede la verifica della “doppia conformità” deve
considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del
territorio, in quanto adempimento “finalizzato a garantire l’assoluto
rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco
temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione
dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità”.
---------------
5.3 – Infine, seppur ogni profilo circa la conformità sostanziale degli
interventi alla disciplina urbanistica applicabile esuli del presente
giudizio, che non ha ad oggetto la sanatoria delle opere, contrariamente
alla tesi di parte appellante, deve ricordarsi che l’art. 36 del D.P.R. n.
380/2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità, ossia quello
strumento attraverso cui si consente la sanatoria di opere realizzate in
assenza di titolo edilizio, ma conformi alla normativa applicabile, richiede
che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento
della presentazione della istanza di sanatoria (cfr. Cons. St., sez. VI,
3194/2016; Cons. St., sez VI, 05.06.2015 n. 2784; Cons. St., sez. IV, 26.04.2006, n. 2306; Corte Cost., 29.05.2013, n. 101), non potendosi
affatto accogliere l’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale, la cui
attuale praticabilità è stata da tempo esclusa dalla giurisprudenza (cfr.
Cons. St., sez. VI, 3194/2016; Cons. St., sez VI, 05.06.2015 n. 2784; Cons. St., sez. IV, 26.04.2006, n. 2306; Corte Cost., 29.05.2013, n.
101).
Tale approdo che richiede la verifica della “doppia conformità” deve
considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del
territorio, in quanto adempimento “finalizzato a garantire l’assoluto
rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco
temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione
dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità” (cfr. Corte
Cost. n. 232 del 2017) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.01.2021 n. 43 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Inapplicabilità
della sanatoria in materia antisismica.
Nel sistema introdotto dagli artt. 94 ss., d.P.R.
06.06.2001 n. 380, 27, l.reg. Lazio 11.08.2009 n. 21 e dal r.reg. Lazio
13.07.2016 n. 14, non è previsto il rilascio dell’autorizzazione sismica in
sanatoria su istanza del privato per opere edili già eseguite ed
assoggettate a controllo preventivo, a nulla rilevando che il fatto sia
accertato dagli uffici amministrativi o dagli organi di polizia giudiziaria
ovvero che sia portato a conoscenza dell’ufficio tecnico regionale per
effetto di una auto-denuncia di chi ne sia stato l’autore
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 13.10.2020 n. 376 - massima tratta da https://lexambiente.it).
---------------
... per l’annullamento:
1) della determinazione dirigenziale dell’Area genio civile Lazio
Sud della Regione Lazio prot. n. -OMISSIS-, notificata in pari data, con la
quale è stata respinta l’istanza di autorizzazione sismica in sanatoria,
presentata dalla ricorrente con istanza prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-;
...
3. – Il ricorso è infondato.
3.1 La disamina del primo mezzo di impugnazione richiede una breve
ricostruzione del quadro normativo di riferimento in materia di rilascio
dell’autorizzazione sismica.
A tal riguardo viene in primo luogo in questione l’art. 94, comma 1, d.P.R.
n. 380 cit. (Autorizzazione per l’inizio dei lavori) che, riprendendo l’art.
18, l. 02.02.1974 n. 64, stabilisce: “1. Fermo restando l’obbligo del
titolo abilitativo all’intervento edilizio, nelle località sismiche, ad
eccezione di quelle a bassa sismicità all’uopo indicate nei decreti di cui
all’articolo 83, non si possono iniziare lavori senza preventiva
autorizzazione del competente ufficio tecnico della regione”.
Sul punto è stato chiarito che l’intento unificatore dell’art. 94, d.P.R. n.
380 cit., è “palesemente orientato ad eseguire una vigilanza assidua
sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene
protetto, che trascende anche l’ambito della disciplina del territorio, per
attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla
materia della protezione civile”, materia in cui peraltro, come per il
governo del territorio, compete sempre allo Stato la determinazione dei
principi fondamentali (Corte cost. 05.05.2006 n. 182; conf. Corte cost.
20.07.2012 n. 201).
In questa ottica, l’art. 94, d.P.R. n. 380 cit., che esprime il fondamentale
principio della preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio
tecnico regionale per l’inizio dei lavori nelle località dichiarate
sismiche, è stato così ritenuto espressione di un “principio fondamentale
in materia di governo del territorio e protezione civile” (Corte cost.
05.11.2010 n. 312; conf. Corte cost. 12.04.2013 n. 64).
Fermo, quindi, il valore di principio fondamentale nella materia de qua
della natura preventiva dell’autorizzazione sismica, l’art. 27, l.reg. Lazio
11.08.2009 n. 21 (Misure straordinarie per il settore edilizio ed interventi
per l’edilizia residenziale sociale), ha demandato a un regolamento c.d.
autorizzato, adottato dalla Giunta ai sensi dell’art. 47, comma 2, lett. c),
St. reg., “in conformità alla normativa statale vigente in materia di
prevenzione del rischio sismico […]”, la definizione dei criteri e delle
modalità, tra l’altro, per il rilascio dell’autorizzazione sismica. In tal
senso, l’art. 1, comma 1, lett. c), r.reg. n. 14 del 2016, conferma proprio
che le disposizioni in esso contenute sono adottate “in conformità a
quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n.
380”.
Ebbene, con riferimento al quadro giuridico sopra delineato, la tesi
sostenuta da parte ricorrente appare destituita di fondamento ove si
consideri che né la legislazione statale né quella regionale, adottata in
conformità ai principi fondamentali della materia dalla prima evincibili,
prevedono l’istituto dell’autorizzazione sismica in sanatoria. Al contrario,
stante la ricordata rilevanza di principio fondamentale della materia
rivestita dalla natura esclusivamente preventiva del titolo abilitativo de
quo, una esplicita previsione a livello di legislazione statale della sua
possibilità di rilascio in sanatoria sarebbe stata necessaria, analogamente
a quanto, del resto, è previsto in materia edilizia in generale dall’art.
36, d.P.R. n. 380 cit., ovvero dalla legislazione condonistica speciale.
Né a conclusioni diverse può indurre la considerazione di altre disposizioni
statali in materia di vigilanza sulle costruzioni in zone sismiche, come
l’art. 96, d.P.R. n. 380 cit., evocato da parte ricorrente, per il quale: “1.
I funzionari, gli ufficiali ed agenti indicati all’articolo 103, appena
accertato un fatto costituente violazione delle presenti norme, compilano
processo verbale trasmettendolo immediatamente al competente ufficio tecnico
della regione. 2. Il dirigente dell’ufficio tecnico regionale, previ,
occorrendo, ulteriori accertamenti di carattere tecnico, trasmette il
processo verbale all’autorità giudiziaria competente con le sue deduzioni”;
infatti, si tratta di norme relative all’accertamento in sede penale delle
violazioni sismiche, che in alcun modo possono essere interpretate come
volte a consentire il rilascio di un’autorizzazione postuma rispetto a
interventi già posti in essere.
Egualmente è a dirsi per i successivi artt. 98, 99 e 100, che consentono:
a) al giudice penale di impartire con il decreto o la sentenza di
condanna le “prescrizioni necessarie per rendere le opere conformi alle
norme […], fissando il relativo termine” che, in caso di irrevocabilità
della sentenza o di esecutività del decreto, possono essere eseguite dal
competente ufficio tecnico regionale, “se del caso con l’assistenza della
forza pubblica, a spese del condannato”;
b) alla Regione, qualora il reato sia estinto per qualsiasi causa,
di ordinare con provvedimento definitivo, adottato sentito l’organo tecnico
consultivo della Regione, “l’esecuzione di modifiche idonee a renderle
conformi alle norme stesse”.
È di ogni evidenza che le disposizioni da ultimo citate non danno in alcun
modo vita a un procedimento amministrativo di autorizzazione in sanatoria su
istanza del privato, limitandosi a consentire la conservazione del manufatto
eretto in difetto di autorizzazione sismica preventiva, una volta che la
vicenda penale sia stata comunque definita, cosa che peraltro, nella specie,
non risulta essere ancora avvenuta.
Alle ragioni di parte ricorrente, poi, non giova neppure invocare l’art. 36,
d.P.R. n. 380 cit., dal momento che l’applicazione dell’istituto
dell’accertamento di conformità non può che essere armonizzata con i
successivi artt. 96, 98, 99 e 100, che delineano le uniche modalità
attraverso le quali la legge rende possibile pervenire all’effetto utile di
conservare un manufatto realizzato ab origine in carenza di
autorizzazione sismica.
Peraltro, ove si accedesse alla tesi della società ricorrente, mancando una
puntuale disciplina positiva dell’autorizzazione sismica in sanatoria, si
finirebbe con l’introdurre in una materia così delicata per l’incolumità
delle persone –peraltro neppure pienamente disponibile da parte del
legislatore regionale– una sorta di sanatoria giurisprudenziale fondata
sull’accertamento postumo della conformità dell’opera comunque edificata
alle norme tecniche per la costruzione in zone sismiche al momento della
richiesta.
Una simile sanatoria evocherebbe l’omologo controverso istituto
riconosciuto privo di valore qualificante in molte pronunce del giudice
amministrativo (cfr.: Cons. Stato, sez. VI, 18.01.2019 n. 470; sez. VI,
04.06.2018 n. 3363; sez. VI, 18.07.2016 n. 3194; sez. VI, 18.09.2015 n.
4359; sez. V, 17.09.2012 n. 4914; sez. IV, 26.03.2010 n. 1763; sez. VI,
07.05.2009 n. 2835; sez. IV, 26.04.2006 n. 2306) ed espressamente escluso
dall’art. 36, d.P.R. n. 380 cit.
In definitiva, può ritenersi nel sistema introdotto dagli artt. 94 ss.,
d.P.R. 06.06.2001 n. 380, 27, l.reg. Lazio 11.08.2009 n. 21 e dal r.reg.
Lazio 13.07.2016 n. 14, non è previsto il rilascio dell’autorizzazione
sismica in sanatoria su istanza del privato per opere edili già eseguite ed
assoggettate a controllo preventivo, a nulla rilevando che il fatto sia
accertato dagli uffici amministrativi o dagli organi di polizia giudiziaria
ovvero che sia portato a conoscenza dell’ufficio tecnico regionale per
effetto di una auto-denuncia di chi ne sia stato l’autore.
---------------
Si legga, al riguardo, acnhe:
● M Grisanti,
Inesistenza di disciplina in tema di sanatoria sismica (commento a TAR
Lazio-Latina, sentenza 13.10.2020 n. 376) (20.10.2020 -
link a https://lexambiente.it). |
gennaio 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sullo
svolgimento del procedimento per accertamento di conformità, giova
rammentare l’avviso di questo Consiglio anche sotto la vigenza dell’art. 13,
II co. della l. 28.02.1985 n. 47, secondo cui, per un verso,
l'inerzia serbata sulla relativa domanda era ritenuta atto tacito di rigetto
di essa in base proprio al tenore letterale della norma («la richiesta si
intende respinta» ... onde il silenzio onera l’interessato a contestarlo in
via d’azione nell'ordinario termine di sessanta giorni, a pena di decadenza)
e, per altro verso, le altre vicende, specie quelle sulla
compatibilità paesaggistica (ma anche quelle penali), non interferiscono con
la formazione del silenzio stesso.
Nell’ordinamento vigente, il principio testé visto è parimenti fermo in
giurisprudenza, nel senso che, in generale, nessuna norma di legge, del DPR
380/2001 o di altre fonti, prevede l’irrilevanza o la definitiva inefficacia
dei precedenti ordini di demolizione e gli altri atti sanzionatori emessi
con riguardo all'abuso per il quale è proposta istanza per l’accertamento
della relativa conformità urbanistico-edilizia o per il sol fatto di tal
presentazione, a differenza di ciò che accade in base alle norme sul condono
ex l. 47/1985 (che hanno natura eccezionale e non sono suscettibili
d’applicazione analogica).
Pertanto, l’inutile decorso del termine ex art. 36, co. 3, del DPR 380/2001
non impone più, in capo alla P.A. alcun obbligo di provvedere ex novo,
essendosi già perfezionata una statuizione tacita e negativa, se del caso da
impugnare nel termine ordinario di decadenza, di talché, in pendenza di tal
termine, non è inibita la funzione repressiva degli abusi edilizi, ma
l'esecuzione delle sanzioni resta sospesa in via temporanea e, in mancanza
di tempestiva impugnazione del diniego, l'ingiunzione di demolizione è
eseguibile e non occorre l'emanazione di ulteriori atti sanzionatori.
---------------
Considerato in diritto che:
– con ordinanza n. 2626 del 07.06.2018, la Sezione ha accolto la
domanda cautelare attorea e ha sospeso la sentenza appellata, in quanto «…
l’esito della verificazione e lo svolgimento del procedimento d’accertamento
di conformità… sembrano dare fondamento all’appello cautelare e… l’ulteriore
esecuzione del procedimento sanzionatorio determina danno grave…»;
– sullo svolgimento del procedimento per accertamento di
conformità, giova rammentare l’avviso di questo Consiglio anche sotto la
vigenza dell’art. 13, II co. della l. 28.02.1985 n. 47, secondo cui, per un
verso, l'inerzia serbata sulla relativa domanda era ritenuta atto tacito di
rigetto di essa in base proprio al tenore letterale della norma («la
richiesta si intende respinta»: cfr., per tutti, Cons. St., IV,
03.02.2006 n. 401; id., V, 27.10.2014 n. 5307, onde il silenzio onera
l’interessato a contestarlo in via d’azione nell'ordinario termine di
sessanta giorni, a pena di decadenza) e, per altro verso, le altre vicende,
specie quelle sulla compatibilità paesaggistica (ma anche quelle penali),
non interferiscono con la formazione del silenzio stesso;
– nell’ordinamento vigente, il principio testé visto è parimenti
fermo in giurisprudenza, nel senso che, in generale, nessuna norma di legge,
del DPR 380/2001 o di altre fonti, prevede l’irrilevanza o la definitiva
inefficacia dei precedenti ordini di demolizione e gli altri atti
sanzionatori emessi con riguardo all'abuso per il quale è proposta istanza
per l’accertamento della relativa conformità urbanistico-edilizia o per il
sol fatto di tal presentazione (cfr., in questi termini e per tutti, Cons.
St., VI, 09.04.2013, n. 1909; id., 02.02.2015 n. 466; id., 04.04.2017 n.
1565; id., 04.12.2017 n. 5653), a differenza di ciò che accade in base alle
norme sul condono ex l. 47/1985 (che hanno natura eccezionale e non sono
suscettibili d’applicazione analogica);
– pertanto, l’inutile decorso del termine ex art. 36, co. 3, del
DPR 380/2001 non impone più, in capo alla P.A. alcun obbligo di provvedere
ex novo, essendosi già perfezionata una statuizione tacita e
negativa, se del caso da impugnare nel termine ordinario di decadenza, di
talché, in pendenza di tal termine, non è inibita la funzione repressiva
degli abusi edilizi, ma l'esecuzione delle sanzioni resta sospesa in via
temporanea e, in mancanza di tempestiva impugnazione del diniego,
l'ingiunzione di demolizione è eseguibile e non occorre l'emanazione di
ulteriori atti sanzionatori (cfr. Cons. St., VI, 17.10.2017 n. 4802; id.,
06.06.2018 n. 3417; id., 01.03.2019 n. 1435)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.04.2020 n. 2742 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La sanatoria per così dire “ordinaria”, ossia quella disciplinata
all’epoca dei fatti di causa dall’anzidetto art. 13 della l. n. 47 del 1985
e, attualmente, dall’art. 36 del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001
(e che in tal senso si distingue quindi da quella “straordinaria”,
viceversa applicabile entro ben definiti spazi temporali per effetto delle
disposizioni speciali introdotte in prosieguo di tempo dall’art. 31 e ss.
della l. n. 47 del 1985, dall’art. 39 della l. 23.12.1994, n. 724 e
dall’art. 32 del d.l. 30.09.2003, n. 269, convertito con modificazioni in l.
24.11.2003, n. 326) costituisce lo strumento tipico per
ordinariamente ricondurre alla legalità gli abusi edilizi, e la sua
utilizzazione non può che essere consentita a chiunque abbia edificato
sine titulo, anche a prescindere dalla pregressa sua mancata
impugnazione di provvedimenti di diniego a costruire l’opera abusiva, purché
ovviamente seguitino a sussistere al riguardo le condizioni inderogabilmente
chieste dalla disciplina medesima, ossia
- sotto il profilo sostanziale la
c.d. “doppia conformità” (e cioè la rispondenza di quanto edificato alla
strumentazione urbanistica vigente sia al momento della presentazione della
domanda di sanatoria, sia al momento della realizzazione dell’abuso nonché
- sotto il profilo procedimentale -e per quanto qui segnatamente
interessa, anche con riguardo a quanto testualmente disposto sia dal
predetto art. 13 della l. n. 47 del 1985, sia, ora, dall’art. 36 del t.u.
approvato con d.P.R. n. 380 del 2001- la non ancora intervenuta irrogazione
delle sanzioni amministrative previste per la realizzazione dell’abuso.
---------------
3.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.
3.2. La sentenza resa dal giudice di primo grado va innanzitutto confermata
nel capo in cui è respinta l’eccezione di inammissibilità sollevata dal
Comune in ordine all’impugnazione proposta avverso il provvedimento n.
-OMISSIS- recante il diniego dell’accertamento di conformità del ballatoio,
richiesto a’ sensi dell’art. 13 della l. n. 47 del 1985, a quel tempo
vigente e ad oggi sostituito dall’omologa disciplina contenuta nell’art. 36
del t.u. approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Invero mediante la propria prospettazione l’Amministrazione comunale
sostiene un principio alquanto paradossale, ossia che se è in passato
intervenuto un provvedimento di diniego di costruire un determinato
manufatto e se tale atto non è stato impugnato, risulterebbe tout court
precluso l’accertamento di conformità per chi successivamente, e malgrado il
diniego, abbia realizzato abusivamente lo stesso manufatto.
La sanatoria per così dire “ordinaria”, ossia quella disciplinata
all’epoca dei fatti di causa dall’anzidetto art. 13 della l. n. 47 del 1985
e, attualmente, dall’art. 36 del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001
(e che in tal senso si distingue quindi da quella “straordinaria”,
viceversa applicabile entro ben definiti spazi temporali per effetto delle
disposizioni speciali introdotte in prosieguo di tempo dall’art. 31 e ss.
della l. n. 47 del 1985, dall’art. 39 della l. 23.12.1994, n. 724 e
dall’art. 32 del d.l. 30.09.2003, n. 269, convertito con modificazioni in l.
24.11.2003, n. 326) costituisce, infatti, lo strumento tipico per
ordinariamente ricondurre alla legalità gli abusi edilizi, e la sua
utilizzazione non può che essere consentita a chiunque abbia edificato
sine titulo, anche a prescindere dalla pregressa sua mancata
impugnazione di provvedimenti di diniego a costruire l’opera abusiva, purché
ovviamente seguitino a sussistere al riguardo le condizioni inderogabilmente
chieste dalla disciplina medesima, ossia sotto il profilo sostanziale la
c.d. “doppia conformità” (e cioè la rispondenza di quanto edificato
alla strumentazione urbanistica vigente sia al momento della presentazione
della domanda di sanatoria, sia al momento della realizzazione dell’abuso:
cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. II, 13.06.2019, n.
3958) nonché sotto il profilo procedimentale -e per quanto qui segnatamente
interessa, anche con riguardo a quanto testualmente disposto sia dal
predetto art. 13 della l. n. 47 del 1985, sia, ora, dall’art. 36 del t.u.
approvato con d.P.R. n. 380 del 2001- la non ancora intervenuta irrogazione
delle sanzioni amministrative previste per la realizzazione dell’abuso;
condizione, quest’ultima, sicuramente sussistente nel caso di specie e che
pertanto abilita la parte interessata a proporre l’istanza che in ogni caso
obbliga l’Amministrazione comunale a esprimersi verificando la sussistenza
dell’anzidetta “doppia conformità”, nonché l’osservanza di tutte le
altre ulteriori disposizioni applicabili in proposito (Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 14.01.2020 n. 355 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione della domanda di permesso in sanatoria ai sensi dell’art. 36
del D.P.R. n. 380/2001 -a differenza di quanto avviene per la domanda di
condono in senso stretto- non influisce sul provvedimento emanato, né
(essendo successiva allo stesso) determina l’improduttività di effetti di
quest’ultimo per un periodo di tempo di 60 giorni, in quanto, decorso
siffatto termine, la legge espressamente vi riconnette la formazione del
provvedimento di rigetto, che è onere della parte tempestivamente impugnare,
senza, quindi, poter addurre che dalla mera presentazione dell’istanza
discenda la paralisi degli effetti del provvedimento sanzionatorio (la cui
esecuzione resta solo temporaneamente sospesa, sino alla scadenza del
termine suddetto).
Per un’applicazione si segnala la sentenza di questa
Sezione, 03.10.2011, n. 4608, con la quale si rileva che: <<Ai sensi
dell'art. 167, d.lgs. n. 42 del 2004 è comunque precluso l'accertamento di
compatibilità paesaggistica ex post ma, considerato lo spirare del termine
di sessanta giorni previsto dall'art. 36, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001
per la formazione del silenzio-rigetto, l'istanza di sanatoria proposta dal
ricorrente deve ritenersi comunque respinta>>.
In tema, pertinente ed attuale è il richiamo alle sentenze per le quali
<<L'art. 36 comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001 (già art. 13, l. n. 47 del 1985)
configura a tutti gli effetti un'ipotesi di tipizzazione legale del silenzio
serbato dall'Amministrazione. Pertanto, una volta decorsi inutilmente i
richiamati sessanta giorni, sulla domanda di accertamento di conformità si
forma a tutti gli effetti un atto tacito di diniego, con conseguente onere a
carico dell'interessato di impugnarlo, nel termine processuale di legge,
anch'esso pari a sessanta giorni, decorrente dalla data di formazione
dell'atto negativo tacito, con la conseguenza che la presentazione della
domanda di accertamento di conformità, successiva all'ordine di demolire gli
abusi, non paralizza la prosecuzione dell’attività sanzionatoria del Comune,
preposto alla tutela del governo del territorio. In sostanza, la domanda non
determina altresì alcuna inefficacia sopravvenuta o caducazione ovvero
invalidità dell'ingiunzione di demolire ma provoca esclusivamente uno stato
di quiescenza e di temporanea non esecutività del provvedimento, finché
perduri il termine di decisione previsto dalla legge e non si sia formato
l'eventuale atto tacito di diniego. Pertanto, una volta decorso tale termine
e in mancanza di impugnazione giurisdizionale tempestiva del diniego tacito,
l'ingiunzione di demolizione riprende ipso facto vigore e non occorre in
nessun caso una riedizione del potere sanzionatorio da parte
dell'Amministrazione procedente>>.
In ogni caso, decorsi sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza di
sanatoria senza l’emanazione di alcun provvedimento espresso, si forma
senz’altro il silenzio-rifiuto, senza che -però- risulti impugnato, con la
conseguenza che l’impugnata ordinanza di demolizione si consolida
riprendendo piena efficacia.
---------------
Anche questa Sezione con indirizzo ormai consolidatosi ritiene che la
presentazione della domanda di permesso in sanatoria ai sensi dell’art. 36
del D.P.R. n. 380/2001 -a differenza di quanto avviene per la domanda di
condono in senso stretto- non influisce sul provvedimento emanato, né
(essendo successiva allo stesso) determina l’improduttività di effetti di
quest’ultimo per un periodo di tempo di 60 giorni, in quanto, decorso
siffatto termine, la legge espressamente vi riconnette la formazione del
provvedimento di rigetto, che è onere della parte tempestivamente impugnare,
senza, quindi, poter addurre che dalla mera presentazione dell’istanza
discenda la paralisi degli effetti del provvedimento sanzionatorio (la cui
esecuzione resta solo temporaneamente sospesa, sino alla scadenza del
termine suddetto); per un’applicazione si segnala la sentenza di questa
Sezione, 03.10.2011, n. 4608, con la quale si rileva che: <<Ai sensi
dell'art. 167, d.lgs. n. 42 del 2004 è comunque precluso l'accertamento di
compatibilità paesaggistica ex post ma, considerato lo spirare del termine
di sessanta giorni previsto dall'art. 36, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001
per la formazione del silenzio-rigetto, l'istanza di sanatoria proposta dal
ricorrente deve ritenersi comunque respinta>>.
In tema, considerati ormai superati gli indirizzi giurisprudenziali
richiamati in gravame, pertinente ed attuale è il richiamo alle sentenze per
le quali <<L'art. 36 comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001 (già art. 13, l. n.
47 del 1985) configura a tutti gli effetti un'ipotesi di tipizzazione legale
del silenzio serbato dall'Amministrazione. Pertanto, una volta decorsi
inutilmente i richiamati sessanta giorni, sulla domanda di accertamento di
conformità si forma a tutti gli effetti un atto tacito di diniego, con
conseguente onere a carico dell'interessato di impugnarlo, nel termine
processuale di legge, anch'esso pari a sessanta giorni, decorrente dalla
data di formazione dell'atto negativo tacito, con la conseguenza che la
presentazione della domanda di accertamento di conformità, successiva
all'ordine di demolire gli abusi, non paralizza la prosecuzione
dell’attività sanzionatoria del Comune, preposto alla tutela del governo del
territorio. In sostanza, la domanda non determina altresì alcuna inefficacia
sopravvenuta o caducazione ovvero invalidità dell'ingiunzione di demolire ma
provoca esclusivamente uno stato di quiescenza e di temporanea non
esecutività del provvedimento, finché perduri il termine di decisione
previsto dalla legge e non si sia formato l'eventuale atto tacito di
diniego. Pertanto, una volta decorso tale termine e in mancanza di
impugnazione giurisdizionale tempestiva del diniego tacito, l'ingiunzione di
demolizione riprende ipso facto vigore e non occorre in nessun caso una
riedizione del potere sanzionatorio da parte dell'Amministrazione procedente>>
(TAR Napoli sez. III, 02/04/2015, n. 1982 e TAR Napoli sez. III, 02/12/2014,
n. 6302).
In ogni caso -contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente che, in
proposito, invoca l’emanazione di un provvedimento espresso, unitamente alla
rinnovazione dell’ordine di demolizione- decorsi sessanta giorni dalla
presentazione dell’istanza di sanatoria senza l’emanazione di alcun
provvedimento espresso, si forma senz’altro il silenzio-rifiuto, senza che
-però- risulti impugnato, con la conseguenza che l’impugnata ordinanza di
demolizione si consolida riprendendo piena efficacia (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V, 16/04/2014, n. 1951).
Infine la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente, relativamente al
superamento dei pregressi provvedimenti sanzionatori, ritiene che ciò
consegue unicamente alla presentazione di un’istanza di condono (c.d.
sanatoria straordinaria in senso stretto), la cui presentazione comporta
effettivamente ed ogni caso l’adozione di nuovi provvedimenti sanzionatori
(TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 03.01.2020 n. 34 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
dicembre 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Costruzioni
in zona sismica: l'omessa denuncia non si può sanare a posteriori.
Cassazione: il deposito allo sportello unico, dopo la
realizzazione delle opere, cioè "a sanatoria" della comunicazione richiesta
dall'art. 93 Testo Unico Edilizia e degli elaborati progettuali non estingue
la contravvenzione antisismica.
Un'omessa denuncia amministrativa per la realizzazione di un'opera in zona a
rischio sismico non si può sanare 'a posteriori'.
Lo ha chiaramente affermato la Corte di Cassazione, Sez. III penale, nella
sentenza
23.12.2019 n. 51652, che ha confermato
la condanna dell'imputato alle pene di legge in ordine ai reati di cui agli
artt. 44, comma 1, lett. b), 71, 72 e 95 del dpr 380/2001 per aver
realizzato opere in totale difformità dalla concessione edilizia ottenuta e
senza osservare le disposizioni previste dalla disciplina sulle costruzioni
in conglomerato cementizio armato ed in zona sismica.
Antitismisca: no alla comunicazione ex post
La difesa sostiene che sussista una violazione dell'art. 546 coc. proc. pen.
e la mancanza assoluta di motivazione rispetto alla documentazione che
attestava la idoneità sismica delle opere, prodotta sin dal primo grado, e
che avrebbe dovuto condurre alla declaratoria di estinzione dei reati
edilizi diversi da quello urbanistico strettamente inteso.
Ma la Cassazione smonta questa tesi chiarendo subito che la Corte d'Appello
aveva già esaminato la doglianza circa l'omessa valutazione, da parte del
giudice di primo grado, della documentazione che attestava la compatibilità
delle opere con la disciplina tecnica prevista per le costruzioni in cemento
armato ed in zona sismica, correttamente escludendo che la stessa potesse
spiegare l'effetto estintivo dei relativi reati, posto che le comunicazioni
erano state effettuate successivamente alla realizzazione delle opere, al
fine di ottenerne la regolarizzazione sul piano amministrativo.
Insomma: il deposito allo sportello unico, dopo la realizzazione delle opere
e, quindi, "a sanatoria", della comunicazione richiesta dall'art. 93
del dpr 380 e degli elaborati progettuali non estingue la contravvenzione
antisismica, che punisce l'omesso deposito preventivo di detti elaborati, in
quanto l'effetto estintivo è limitato dall'art. 45 del medesimo dpr alle
sole contravvenzioni urbanistiche (Sez. 3, n. 19196 del 26/02/2019, Greco,
Rv. 275757; Sez. 3, n. 11271 del 17/02/2010, Braccolino e aa., Rv. 246462).
La sanatoria vale per le contravvenzioni urbanistiche, non
per quelle sismiche
Questo principio, sottolinea la Corte suprema, è certamente estensibile
anche ai reati previsti dagli artt. 71 ss. del dpr 380 per la violazione
della disciplina delle opere in conglomerato cementizio armato, normale e
precompresso ed a struttura metallica. Diversamente dalla previsione di cui
all'art. 45, comma 3, non v'è, di fatti, alcuna disposizione che preveda
l'estinzione di detti reati nel caso di tardivo adempimento degli obblighi
omessi, o, più in generale, di "sanatoria" amministrativa delle
violazioni e, in forza della citata disposizione, lo stesso accertamento di
conformità ai sensi dell'art. 36 comporta l'estinzione dei reati
contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, ma non di
quelli previsti dalla normativa antisismica e sulle opere di conglomerato
cementizio (Sez. 3, n n. 54707 del 13/11/2018, Cardella, Rv. 274212; Sez. 3,
n. 38953 del 04/07/2017, Rizzo, Rv. 270792; Sez. F, n. 44015 del 04/09/2014,
Conforti, Rv. 261099).
Denuncia e autorizzazione sismica sono due cose diverse:
chiarimenti
A scopo informativo, chiariamo che:
• la denuncia di lavori in zona sismica è normata dall'art. 93 del
TUE, il quale dispone che, nelle zone sismiche, chiunque intenda procedere a
costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni, è tenuto a darne preavviso
scritto allo sportello unico, che provvede a trasmetterne copia al
competente ufficio tecnico della regione, indicando il proprio domicilio, il
nome e la residenza del progettista, del direttore dei lavori e
dell'appaltatore. Alla domanda deve essere allegato il progetto, in doppio
esemplare e debitamente firmato da un ingegnere, architetto, geometra o
perito edile iscritto nell'albo, nei limiti delle rispettive competenze,
nonché dal direttore dei lavori.
I progetti relativi ai lavori in zona sismica sono accompagnati da una
dichiarazione del progettista che asseveri il rispetto delle norme tecniche
per le costruzioni e la coerenza tra il progetto esecutivo riguardante le
strutture e quello architettonico, nonché il rispetto delle eventuali
prescrizioni sismiche contenute negli strumenti di pianificazione
urbanistica. Per tutti gli interventi il preavviso scritto con il
contestuale deposito del progetto e dell'asseverazione è valido anche agli
effetti della denuncia dei lavori di cui all'art. 65;
• l'autorizzazione sismica è invece normata dall'art. 94, il quale
dispone che nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa
sismicità all'uopo indicate nei decreti di cui all'art. 83, non si possono
iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente
ufficio tecnico della regione. L'autorizzazione è rilasciata entro sessanta
giorni dalla richiesta e viene comunicata al comune, subito dopo il
rilascio, per i provvedimenti di sua competenza (tratto da e link a
www.ingenio-web.it).
---------------
SENTENZA
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta
infondatezza.
Diversamente da quanto si sostiene in ricorso, la sentenza impugnata (pag.
2) ha esaminato la doglianza circa l'omessa valutazione, da parte del
giudice di primo grado, della documentazione che attestava la compatibilità
delle opere con la disciplina tecnica prevista per le costruzioni in cemento
armato ed in zona sismica, correttamente escludendo che la stessa potesse
spiegare l'effetto estintivo dei relativi reati, posto che le comunicazioni
erano state effettuate successivamente alla realizzazione delle opere, al
fine di ottenerne la regolarizzazione sul piano amministrativo.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del consolidato
principio,
anche di recente ribadito, secondo cui il deposito allo sportello unico,
dopo la
realizzazione delle opere e, quindi, "a sanatoria", della comunicazione
richiesta
dall'art. 93 d.P.R. 06.06.2001, n. 380 e degli elaborati progettuali non
estingue la contravvenzione antisismica, che punisce l'omesso deposito
preventivo di detti elaborati, in quanto l'effetto estintivo è limitato
dall'art. 45 del
medesimo d.P.R. alle sole contravvenzioni urbanistiche (Sez. 3, n. 19196 del
26/02/2019, Greco, Rv. 275757; Sez. 3, n. 11271 del 17/02/2010, Braccolino e
aa., Rv. 246462).
Tale principio è certamente estensibile anche ai reati previsti
dagli artt. 71 ss. T.U.E. per la violazione della disciplina delle opere in
conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura
metallica. Diversamente dalla previsione di cui all'art. 45, comma 3, d.P.R.
380
del 2001, non v'è, di fatti, alcuna disposizione che preveda l'estinzione di
detti
reati nel caso di tardivo adempimento degli obblighi omessi, o, più in
generale,
di "sanatoria" amministrativa delle violazioni e, in forza della citata
disposizione,
lo stesso accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 comporta l'estinzione dei reati contravvenzionali previsti
dalle
norme urbanistiche vigenti, ma non di quelli previsti dalla normativa
antisismica
e sulle opere di conglomerato cementizio (Sez. 3, n n. 54707 del 13/11/2018,
Cardella, Rv. 274212; Sez. 3, n. 38953 del 04/07/2017, Rizzo, Rv. 270792; Sez.
F, n. 44015 del 04/09/2014, Conforti, Rv. 261099) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale, nella
sentenza
23.12.2019 n. 51652). |
ottobre 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione da parte dei ricorrenti di un’istanza di “permesso di
costruire” in sanatoria postuma rispetto agli interventi contestati, implica
acquiescenza rispetto alla necessità del titolo abilitativo edilizio e
smentisce pertanto la sostenibilità dell’assunto circa la riconducibilità
del manufatto contestato ad una delle tipologie di c.d. edilizia libera.
---------------
Il permesso in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380
è ottenibile solo a condizione che l'intervento risulti completo ed
ultimato, e non anche per la sanatoria di opere a farsi, dal momento che la
doppia conformità deve sussistere oltre che con riguardo alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della
domanda, anche a quella vigente al momento della realizzazione del manufatto
che deve quindi necessariamente precedere e non seguire la domanda di
sanatoria.
Come più volte affermato dalla giurisprudenza, salvo che il progetto
edilizio non sia scindibile in parti autonome, la sua parziale difformità
non può essere oggetto di una sanatoria in parte qua poiché ciò
significherebbe imporre al richiedente un'opera diversa dal progetto sul
quale ha chiesto il permesso di costruire.
---------------
2.1 Il ricorso è infondato e va respinto come di seguito argomentato.
Preliminarmente, quanto all’assoggettabilità degli interventi al previo
rilascio del permesso di costruire, la presentazione da parte dei medesimi
ricorrenti di un’istanza di “permesso di costruire” in sanatoria
postuma rispetto agli interventi contestati, implica acquiescenza rispetto
alla necessità del titolo abilitativo edilizio e smentisce pertanto la
sostenibilità dell’assunto circa la riconducibilità del manufatto contestato
ad una delle tipologie di c.d. edilizia libera.
In ogni caso parte ricorrente, nel riconoscere la non conformità del
manufatto alla normativa urbanistico edilizia vigente nel Comune di
Fossacesia, ha dichiarato, inammissibilmente, di voler ottenere una
sanatoria ai sensi dell’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 condizionata alla “riconduzione
a conformità” dell’intervento abusivo con caratteristiche diverse sì da
renderlo assentibile ai sensi della locale disciplina urbanistica ed
edilizia.
Una tale domanda non è all’evidenza riconducibile allo schema legale tipico
della sanatoria di cui all’art. 36 d.p.r. n. 38072001 che presuppone il
completamento e l’ultimazione dell’intervento in tutte le sue componenti sì
da renderne verificabile la doppia conformità prima della definizione della
istanza e non successivamente.
Ed infatti, il permesso in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del D.P.R.
06.06.2001 n. 380, è ottenibile solo a condizione che l'intervento risulti
completo ed ultimato, e non anche per la sanatoria di opere a farsi, dal
momento che la doppia conformità deve sussistere oltre che con riguardo alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione
della domanda, anche a quella vigente al momento della realizzazione del
manufatto che deve quindi necessariamente precedere e non seguire la domanda
di sanatoria.
Come più volte affermato dalla giurisprudenza, salvo che il progetto
edilizio non sia scindibile in parti autonome, la sua parziale difformità
non può essere oggetto di una sanatoria in parte qua poiché ciò
significherebbe imporre al richiedente un'opera diversa dal progetto sul
quale ha chiesto il permesso di costruire (Consiglio di Stato, Sez. V,
11.10.2005, n. 5495)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 04.10.2019 n. 233 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Permesso
di costruire in sanatoria condizionato alla
realizzazione di interventi volti a
eliminare gli abusi.
Un provvedimento di
accertamento di conformità in sanatoria
condizionato all’eliminazione degli abusi si
palesa abnorme in quanto la previsione che
l’immobile sia accertato conforme a
condizione che in futuro siano eliminati gli
abusi rilevati (nella fattispecie tra
l’altro già accertati definitivamente con
una sentenza) si pone in contrasto con la
stessa natura dell’atto di accertamento di
conformità.
Invero, la giurisprudenza ha chiarito che la
sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 può
essere rilasciata solo previa verifica della
doppia conformità dell’intervento edilizio
alla disciplina urbanistica vigente sia al
momento della realizzazione dell’intervento
abusivo, sia al momento della presentazione
della domanda; essa presuppone quindi la già
avvenuta esecuzione delle opere e il
permesso di costruire in sanatoria non può
pertanto essere subordinato alla
realizzazione di ulteriori interventi, sia
pur finalizzati a ricondurre l'immobile
abusivo nell'alveo di conformità degli
strumenti urbanistici o compatibili con il
paesaggio: la conformità agli strumenti
urbanistici deve già sussistere
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.10.2019 n. 2088 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
B.1 Venendo all’esame del primo ricorso
per motivi aggiunti, diretto contro il
provvedimento dei SUAP Associato Lomazzo
prot. 1520 del 06.03.2017 (recante
l’annullamento in autotutela del permesso di
costruire in sanatoria prot. 7212 del
10.11.2015) e contro la conseguente
ordinanza di demolizione del Comune di
Cermenate n. 1/17 dell’11.04.2017, il motivo
6.a), con il quale la ricorrente fa valere
vizi di illegittimità derivata dagli atti
impugnati in via principale, è infondato in
quanto quegli atti sono venuti meno e i
nuovi provvedimenti si reggono su profili
autonomi, oggetto delle doglianze che ora
verranno esaminate.
B.2 Il motivo 6.b è infondato.
In primo luogo occorre precisare che
l’atto
di autotutela impugnato ha per oggetto un
provvedimento di accertamento di conformità
in sanatoria condizionato all’eliminazione
degli abusi.
L’atto annullato si palesa abnorme in quanto
la previsione che l’immobile sia accertato
conforme a condizione che in futuro siano
eliminati gli abusi rilevati (e già
accertati definitivamente con una sentenza)
si pone in contrasto con la stessa natura
dell’atto di accertamento di conformità.
Infatti la giurisprudenza ha chiarito che “la
sanatoria ex art. 36, d.P.R. n. 380/2001 può
essere rilasciata solo previa verifica della
doppia conformità dell’intervento edilizio,
alla disciplina urbanistica vigente sia al
momento della realizzazione dell’intervento
abusivo, sia al momento della presentazione
della domanda. Essa presuppone quindi la già
avvenuta esecuzione delle opere. Il permesso
di costruire in sanatoria non può pertanto
essere subordinato alla realizzazione di
ulteriori interventi, sia pur finalizzati a
ricondurre l'immobile abusivo nell'alveo di
conformità degli strumenti urbanistici o
compatibili con il paesaggio: la conformità
agli strumenti urbanistici deve già
sussistere” (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 20.11.2015 n. 1239; Cons. Giust.
Amm. Regione Siciliana, 15.10.2009, n. 941;
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 22.11.2010,
n. 7311; TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
22.10.2014, n. 2523; 13.08.2015, n. 1900).
Si tratta quindi di un atto con sviamento
dalla causa tipica e che correttamente
l’Amministrazione comunale ha ritenuto di
dover rimuovere in autotutela, in quanto non
conforme allo schema legale tipico; il
deposito, poi, da parte della ricorrente, di
una perizia rivelatrice dell’impossibilità
di demolizione delle opere abusive,
successiva ad altri atti con i quali la
ricorrente si era invece impegnata a
demolire dette opere, è solo un motivo
ulteriore che ha reso palese
all’amministrazione che la ricorrente non
aveva intenzione di ricondurre lo stato di
fatto allo stato di diritto.
Neppure a tale atto di autotutela è
possibile applicare le regole dettate
dall'art. 15 del DPR 380/2001 per la
dichiarazione di decadenza del permesso di
costruire per mancata esecuzione dei lavori
nei termini, in quanto l’atto di
accertamento di conformità non abbisogna,
per sua natura, di termini di esecuzione dei
lavori.
Venendo poi all’affermazione secondo la
quale l’amministrazione avrebbe effettuato
con il suddetto atto una nuova valutazione
della situazione di fatto e di diritto
dell’immobile tale da superare quanto
stabilito nella sentenza del TAR Lombardia,
Milano, sez. II 19/02/2015 n. 514, deve
escludersi che questa sia stata l’intenzione
dell’amministrazione, che nell’atto
ribadisce più volte l’intenzione di dare
esecuzione alla sentenza.
Per quanto riguarda le ulteriori
contestazioni di merito relative alla
legittimità della realizzazione del
fabbricato posto sul mappale n. 651 e 829,
occorre in linea generale precisare che il
giudizio di impugnazione dell’atto di
annullamento dell’accertamento di conformità
e del conseguente ordine di demolizione, non
può estendersi all’accertamento della
legittimità o dell’idoneità del Permesso di
Costruire a Sanatoria n. 2015- CER/104 del
10.11.2015 prot. n. 7212 annullato, a
ripristinare la situazione quo ante, né
tanto meno può essere utilizzato per
contestare il provvedimento prot. n.
5782/2012 del 19.11.2012, con il quale è
stata respinta la prima richiesta di
accertamento di conformità e l’ordinanza di
demolizione prot. n. 3688 del 22.02.2013 del
Comune di Cermenate, ormai divenuti
inoppugnabili. Osta a tale conclusione la
natura impugnatoria del giudizio
amministrativo ed il principio di
autosufficienza dei motivi sulla base dei
quali l’amministrazione ha adottato l’atto
impugnato.
Così relativamente alle distanze legali tra
le costruzioni e dalla strada, occorre
precisare che la ricorrente intende
conservare le “prescrizioni imposte dal
titolo edilizio che, ora, si intende
illegittimamente rimuovere”. In merito
il profilo di impugnazione è inammissibile
in quanto non è indicato alcuna ragione
giuridica in base alla quale tali distanze
debbano essere confermate.
Per quanto riguarda, invece, “la
questione della fascia di rispetto stradale”,
come dice la ricorrente, il motivo è
inammissibile. Infatti il provvedimento
impugnato si limita ad affermare che
sussiste un interesse pubblico ad evitare “una
riduzione della fascia di rispetto della
strada”, mentre la ricorrente contesta
la mancata applicazione dell’art. 6.3 delle
NTA in una situazione specifica senza
indicare di quale situazione si tratti e
senza che l’atto contesti l’abuso. E’
intuibile che la ricorrente faccia
riferimento ai vizi individuati negli atti
precedenti che però sono ormai divenuti
definitivi.
Anche la questione relativa
all’insussistenza della dedotta violazione
delle distanze legali ex art. 9 del DM
LL.PP. 1444/1968 è inammissibile in quanto
la questione dell’idoneità dell’arretramento
della parete finestrata a rimuovere il vizio
è superata dall’affermata impossibilità di
demolizione per danno alla parte conforme,
accertata dai tecnici della ricorrente.
A ciò si aggiunge che, secondo
l’orientamento di questo Tribunale in
materia di distanze tra costruzioni (TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 26/06/2019 n.
1484), l’adozione di misure alternative alla
demolizione al fine di ricondurre la
situazione di fatto a quella di diritto si
scontra con l’art. 36 del DPR 380/2001, il
quale dispone che il permesso in sanatoria
può essere ottenuto se l’intervento abusivo
risulti conforme alla disciplina urbanistica
ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda (cd.
doppia conformità). L’accertamento della
doppia conformità costituisce quindi
condicio sine qua non per il rilascio del
permesso di costruire in sanatoria (ex
multis: Cons. Stato, VI, 02.01.2018, n.
2; 20.11.2017, n. 5327; 13.10.2017, n. 4759;
18.07.2016, n. 3194; Cons. Stato, IV,
05.05.2017, n. 2063).
Per quanto riguarda poi il profilo della
dedotta violazione del principio di
proporzionalità nella sanzione, in quanto
l’amministrazione vorrebbe “far demolire
un intiero fabbricato per la quasi totalità
regolare per il solo fatto che non sia
tecnicamente possibile demolire la porzione
irregolare”, occorre rammentare quanto
stabilito dalla sentenza TAR Lombardia,
Milano, sez. II 19/02/2015 n. 514 passata in
giudicato.
La sentenza, al punto 42, afferma che "Per
quanto concerne infine l’argomentazione che
lamenta la mancata valutazione della
possibilità di applicazione della sanzione
pecuniaria, si rileva che, come detto sopra,
il manufatto oggetto di causa è stato
realizzato in totale assenza di titolo; e
che, quindi, trova applicazione nel caso di
specie l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001
il quale disciplina specificante il
trattamento sanzionatorio riservato a questa
tipologia di abusi, prevedendo, quale unica
misura, la demolizione".
L’istanza redatta dalla ricorrente in data
07.10.2016 è supportata dalla perizia
dell’ing. Vi. (doc. 7 e 8 della ricorrente)
secondo la quale alla fattispecie è
applicabile l’art. 34 del DPR 380/2001,
relativo agli interventi eseguiti in
parziale difformità dal permesso di
costruire, in quanto la rimozione delle
strutture portanti verticali non
permetterebbe alle travi che sorreggono le
porzioni rimanenti delle solette di avere
appoggio.
Tale tesi tuttavia si pone in
contrasto con quanto già affermato dalla
sentenza citata, che ha già espressamente
specificato che l’abuso oggetto del giudizio
rientra nell’ambito di applicazione
dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 e
non nell’art. 34 del medesimo corpo
normativo, con la conseguenza che su tale
questione si è già formato il giudicato
esplicito che impedisce di riproporre la
questione in un nuovo giudizio.
Alla stessa conclusione della sentenza, e
ponendo essa a fondamento del suo
ragionamento, è giunto il Comune di
Cermenate nel parere pervenuto allo
Sportello Unico di Lomazzo in data
16.11.2016 prot. 8237 (doc. 2 e 3 della
ricorrente) il quale evidenzia come l’art.
34, c. 2, del DPR 380/2001 non sia
applicabile alla diversa fattispecie di
edificio realizzato in assenza di titolo
abilitativo.
B.3 Anche il motivo 6c) è infondato.
Quanto all’esercizio del potere di
autotutela, occorre precisare che il decorso
di un certo tempo tra l’emanazione dell’atto
di accertamento di conformità condizionato
alla demolizione degli abusi, avvenuta in
data 10.11.2015, ed il suo annullamento del
06/03/2017 è stato determinato anche dal
fatto che la ricorrente prima si è impegnata
a realizzare le demolizioni e poi ha
dichiarato, con perizia depositata in data
31.01.2017, che la demolizione del capannone
non poteva essere eseguita senza danno per
la parte conforme.
Quindi il mutamento della posizione comunale
e dello Sportello unico di Lomazzo è dipeso
dalla modifica dell’atteggiamento della
parte ricorrente la quale, chiamata a
giustificare l’inadempimento ai termini
delle demolizioni, ha sorprendentemente
cambiato la sua posizione, rendendosi
indisponibile all’eliminazione dell’abuso
relativo alla distanza legale.
A ciò si aggiunge che, come chiarito nel
ricorso per motivi aggiunti, l’istanza di
accertamento di conformità presentata dalla
ricorrente era volta proprio a superare gli
effetti della pronuncia del TAR adito resa
tra le parti.
Non è quindi possibile ritenere che sussista
un affidamento meritevole di tutela nella
ricorrente.
B.4 Anche il motivo 7.a), che ha per oggetto
l'ordinanza comunale di demolizione n. 1/17
emanata a seguito dell’annullamento in
autotutela dell’atto di accertamento di
conformità in sanatoria condizionato, è
infondato.
L'art. 2, comma 1, del DPR 160/2010
stabilisce, tra l'altro, che "è
individuato il SUAP quale unico soggetto
pubblico di riferimento territoriale per
tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto
l'esercizio di attività produttive e di
prestazione di servizi, e quelli relativi
alle azioni di localizzazione,
realizzazione, trasformazione,
ristrutturazione o riconversione,
ampliamento o trasferimento, nonché
cessazione o riattivazione delle suddette
attività".
L'art. 4, poi, prevede che "i
comuni possono esercitare le funzioni
inerenti al SUAP in forma singola o
associata tra loro" (comma 5), nonché "salva
diversa disposizione dei comuni interessati
e ferma restando l'unicità del canale di
comunicazione telematico con le imprese da
parte del SUAP, sono attribuite al SUAP le
competenze dello sportello unico per
l'edilizia produttiva" (comma 6).
La giurisprudenza (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 06.11.2009 n. 1585), seppur in
epoca anteriore alla su indicata disciplina
ma con considerazioni che appaiono comunque
coerenti con la normativa in esame, ha
chiarito che
la trasmissione della pratica
al SUAP non implica recesso del Comune dalle
proprie prerogative e responsabilità,
giacché lo Sportello Unico non rappresenta
un nuovo centro di competenze, ma, com’è
noto, un modulo organizzativo e
procedimentale composito, una sorta di “procedimento
di procedimenti” nel quale confluiscono
gli atti e gli adempimenti facenti capo a
diverse competenze, e richiesti dalle norme
in vigore perché l'insediamento produttivo
possa legittimamente essere realizzato; in
questo senso, quelli che erano, in
precedenza, autonomi provvedimenti, ciascuno
dei quali veniva adottato sulla base di un
procedimento a sé stante, diventano “atti
istruttori” al fine dell'adozione
dell'unico provvedimento conclusivo, titolo
per la realizzazione dell'intervento
richiesto.
In sostanza
la legge attribuisce al SUAP una
competenza ad adottare i provvedimenti di
amministrazione attiva relativi alle
imprese, realizzando un ufficio comune a più
amministrazioni che costituisce un centro
unico di riferimento per i titolari di
impresa. Tra di essi rientra anche la
cessazione dell’attività d’impresa, nel
senso che lo sportello è il punto unico per
la presentazione delle comunicazioni
relative alla chiusura dell’impresa.
Negli
atti relativi alla cessazione dell’attività,
a differenza di quanto afferma la
ricorrente, non rientra l’adozione di un
provvedimento repressivo di abusi edilizi,
trattandosi di un procedimento ad iniziativa
d’ufficio, i cui effetti sull’attività
economica sono del tutto eventuali ed
indiretti. |
settembre 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
permesso di costruire in sanatoria.
DOMANDA:
E' stata presentata una richiesta di permesso di costruire in sanatoria per
opere realizzate in difformità rispetto una concessione edilizia del 1985.
La difformità consiste nell’allargamento planimetrico dell’abitazione pari a
50 cm. per tutta la lunghezza dell’edificio.
Su tale sanatoria però non sussiste il requisito della c.d. doppia
conformità di cui all’art. 36 del DPR 380/2001 (sia al momento della
realizzazione dello stesso che al momento della presentazione della
domanda), in quanto non sono rispettati gli attuali indici parametrici del
PRG (non sono rispettati né la superficie coperta massima e né il volume
massimo) e pertanto la richiesta dovrebbe essere negata.
Essendo già presente nell'istanza una perizia giurata di un tecnico
abilitato con la quale viene asseverato che la demolizione della parte “difforme”
pregiudicherebbe la stabilità statica della parte conforme, le cui
considerazioni sono più che veritiere, si dovrebbe applicare l’art. 34 del
DPR 380/2001 con l’emissione della sanzione pari al doppio del costo di
produzione, stabilito in base alla legge 27.07.1978, n. 392, della parte
dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire.
Al fine di seguire un corretto iter procedimentale si chiede quanto segue:
- alla luce della mancata “doppia conformità” la richiesta
di permesso di costruire di sanatoria dovrebbe essere formalmente negata.
Dopo aver negato il pdc, deve seguire l’emissione della sanzione pecuniaria
sostitutiva alla sanzione demolitoria? Il procedimento si conclude con il
versamento della sanzione pecuniaria da parte del richiedente? Necessitano
ulteriori adempimenti da parte del comune? L’iter così come sopra
prospettato risulta corretto?
RISPOSTA:
In ordine all'iter procedimentale da seguire qualora la richiesta di
permesso di costruire in sanatoria debba essere negata per mancanza del
requisito della “doppia conformità” e si possano valutare i
presupposti di applicabilità, in luogo della demolizione conseguente al
rigetto dell’istanza di sanatoria, della sanzione di cui all'art. 34, comma
2, del D.P.R. n. 380/2001 per impossibilità di eseguire la demolizione senza
pregiudicare la parte eseguita in conformità, la giurisprudenza, richiamata
anche nella recente sentenza del Tar Liguria-Genova, Sez. I, n. 470 del
22.05.2019, ha affermato che “con riguardo agli interventi e alle opere
realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, la possibilità
di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, disciplinata
dall'art. 34, del D.P.R. n. 380 del 2001, deve essere valutata
dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento,
successiva e autonoma rispetto all'ordine di demolizione. In quella sede, le
parti ben possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità
del fabbricato asseritamente derivante dall'esecuzione della demolizione del
muro di contenimento del terrapieno” (C. Stato, sez. VI, 09/07/2018, n.
4169) ed ha altresì precisato che “l'eventuale impossibilità tecnica di
demolire il manufatto, senza arrecare un grave pregiudizio per le parti
legittime dell'edificio, non produce alcun effetto sulla legittimità del
provvedimento sanzionatorio, dunque la possibilità di non procedere alla
rimozione delle parti abusive costituisce solo un'eventualità della fase
esecutiva, subordinata alla circostanza dell'impossibilità del ripristino
dello stato dei luoghi” (TAR Campania, sez. VIII, 31/07/2018, n. 5122;
TAR Puglia, sez. dist. Lecce, sez. III, 27/02/2015, n. 717).
Pertanto, stando al suddetto indirizzo giurisprudenziale, il Comune
generalmente, qualora in sede di esame di una richiesta di permesso di
costruire in sanatoria ritenga che la stessa debba essere negata per
mancanza del requisito della “doppia conformità”, dovrebbe emettere
un provvedimento di diniego dell’istanza di sanatoria con contestuale ordine
di demolizione, rimandando alla successiva fase esecutiva del predetto
provvedimento la valutazione circa l'eventuale impossibilità tecnica di
demolire il manufatto, senza arrecare un grave pregiudizio per le parti
legittime dell'edificio e dunque circa l’applicabilità della sanzione di cui
all’art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001.
Ciò in quanto, generalmente i presupposti di applicabilità della sanzione di
cui all’art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001 vengono invocati dalla
parte interessata, normalmente mediante la presentazione di apposita e
specifica istanza, proprio in fase esecutiva, successivamente alla notifica
alla stessa dell’ordine di demolizione, la cui legittimità, stando alla
giurisprudenza sopra citata, permane anche qualora emergano in fase
esecutiva i presupposti di applicabilità della sanzione di cui all’art. 34,
comma 2, del D.P.R. n. 380/2001. Questo è l’iter che dovrebbe dunque essere
normalmente seguito.
Tuttavia, nulla vieta alla parte istante di formulare, eventualmente in via
subordinata, già nell’ambito dell’istanza di rilascio di un permesso di
costruire in sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001, la richiesta di
applicazione della sanzione di cui all’art. 34, comma 2, del D.P.R. n.
380/2001 nell’ipotesi in cui la richiesta principale venisse rigettata
dall’Amministrazione comunale per mancanza del requisito della doppia
conformità urbanistica, adducendo e/o fornendo all’Amministrazione comunale,
già in tale sede, elementi istruttori volti a far accertare la sussistenza
dei presupposti di applicabilità della sanzione di cui all’art. 34, comma 2,
del D.P.R. n. 380/2001.
In tal caso, si ritiene che il Comune, esaminando entrambe le domande
(quella principale e, in caso di suo rigetto, quella subordinata), potrebbe
-anche in ossequio ai principi del divieto di aggravio del procedimento,
dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità sanciti dalla L. n.
241/1990 e qualora reputi di avere già sufficienti e/o idonei elementi
istruttori per compiere la valutazione richiesta dall’art. 34, comma 2 del
D.P.R. n. 380/2001 ai fini dell’applicabilità della sanzione ivi prevista–
valutare se pronunciarsi con un unico provvedimento su entrambe le istanze,
rigettando la domanda principale di sanatoria per verificata mancanza del
requisito della “doppia conformità” ed eventualmente, se sussistono
-come pare evincersi dal quesito stesso- i presupposti (di cui occorrerebbe
ovviamente dare atto nel provvedimento stesso), accogliendo la domanda
subordinata di applicazione della sanzione di cui all’art. 34, comma 2, del
D.P.R. n. 380/2001.
Nel quesito posto non viene specificato se l’istante abbia o meno già
formulato (anche eventualmente in via subordinata) l’istanza di applicazione
della sanzione di cui all’art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001
nell’ipotesi di rigetto della domanda principale di sanatoria, ma la
circostanza -emergente dal quesito- che sia stata già prodotta dall’istante
una perizia giurata di un tecnico abilitato con la quale viene asseverato
che la demolizione della parte “difforme” pregiudicherebbe la
stabilità statica della parte conforme, porta a ritenere che tale richiesta
subordinata sia stata effettivamente già presentata o comunque potrebbe
sottintenderla ed implicarla implicitamente.
Qualora il Comune avesse dubbi al riguardo, potrebbe acquisire chiarimenti
in merito dalla parte interessata anche eventualmente a seguito di un
preavviso di rigetto dell’istanza principale di sanatoria ai sensi dell’art.
10-bis della L. n. 241/1990 o a seguito di una richiesta specifica di
chiarimenti. Ai fini del perfezionamento dell’iter, si ritiene necessario il
versamento della sanzione di cui all’art. 34, comma 2, del D.P.R. n.
380/2001 da parte del richiedente
(link a www.ancirisponde.ancitel.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Domanda di sanatoria – Doppia conformità – Verifica di
conformità delle opere abusive agli strumenti urbanistici –
Rilascio del permesso in sanatoria – PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE – Attività vincolata della P.A. – Necessità
di motivazione del pubblico funzionario – Art. 36 D.P.R.
380/2001 – Giurisprudenza.
L’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 si
riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati e
stabilisce come la doppia conformità debba sussistere sia al
momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della
presentazione della domanda di sanatoria.
Inoltre, il rilascio del provvedimento consegue ad
un’attività vincolata della P.A., consistente
nell’applicazione alla fattispecie concreta di previsioni
legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non
elastica, che non lasciano all’Amministrazione medesima
spazi per valutazioni di ordine discrezionale.
Pertanto, costituendo la verifica della “doppia conformità”
il fulcro di tale potere in ordine all’atto adottato ex art.
36 DPR 380/2001, consegue che del relativo accertamento deve
darsi conto in motivazione come dimostrazione della avvenuta
effettuazione della funzione affidata al pubblico
funzionario e quale strumento di controllo del corretto
esercizio della medesima.
...
Sussistenza o meno del requisito della “doppia conformità” –
Verifica affidata al giudice penale – Responsabile del
procedimento amministrativo – Motivazione dell’atto
scrutinato – Effetti.
In materia urbanistica, la verifica
affidata al giudice penale, diretta a stabilire la
sussistenza o meno del requisito della “doppia conformità”,
passa per il previo accertamento di una motivazione che dia
conto dell’avvenuto, positivo esercizio della funzione di
sanatoria dell’atto adottato ex art. 36 DPR 380/2001,
incentrata sulla verifica di conformità delle opere abusive
agli strumenti urbanistici vigenti al momento della loro
realizzazione e della presentazione della richiesta di
sanatoria.
Cosicché, l’eventuale esito negativo della verifica, sul
piano motivazionale dell’atto scrutinato, dell’avvenuto
espletamento di tale attività, portando all’esclusione del
controllo “tipico” dell’atto di sanatoria ex art. 36 DPR
380/2001, consente al giudice penale già di escludere
qualsivoglia estinzione sopravvenuta del reato edilizio.
Di converso invece, in caso di verifica positiva del profilo
motivazionale dell’atto di sanatoria nei termini anzidetti,
non può escludersi che il giudice penale approfondisca
ulteriormente, ove ritenuto opportuno, il tema della
sussistenza del requisito della “doppia conformità”
attraverso una verifica “in concreto” dell’avvenuto rispetto
degli strumenti urbanistici nel predetto intervallo
temporale, in grado in tal modo di confermare o meno la
correttezza del giudizio di doppia conformità sostenuto in
motivazione (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.09.2019 n. 37050 - link a www.ambientediritto.it). |
giugno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA:
E’ noto, che l’istituto noto come “sanatoria
giurisprudenziale” deve considerarsi normativamente
superato, nonché recessivo rispetto al chiaro disposto
normativo vigente e ai principi connessi al perseguimento
dell'abusiva trasformazione del territorio, nel senso che il
permesso in sanatoria è ottenibile soltanto in presenza dei
presupposti espressamente delineati dall'art. 36 d.P.R. n.
380/2001, ossia a condizione che l'intervento risulti
conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al
momento sia della realizzazione del manufatto, sia della
presentazione della domanda, mentre con la invocata
‘sanatoria giurisprudenziale' verrebbe in rilievo un atto
atipico con effetti provvedimentali praeter legem, i quali
si collocherebbero al di fuori d'ogni previsione normativa.
Tale istituto non trova, pertanto, fondamento alcuno
nell'ordinamento positivo, contrassegnato invece dai
principi di legalità dell'azione amministrativa e di
tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica
amministrazione, con la conseguenza che detti poteri, in
assenza di espressa previsione legislativa, non possono
essere creati in via giurisprudenziale, pena la violazione
del principio di separazione dei poteri e l'invasione di
sfere proprie di attribuzioni riservate alla pubblica
amministrazione.
---------------
L’irrilevanza della sopravvenuta normativa urbanistica vale
a confutare anche il secondo motivo di doglianza
prospettato dalla difesa di parte ricorrente nel ricorso per
motivi aggiunti, laddove ha lamentato l’irragionevolezza di
un diniego di sanatoria, relativo ad manufatto attualmente,
però, realizzabile in maniera del tutto legittima, alla luce
della sopravvenuta e attualmente vigente disciplina
urbanistica dell’area. In tal modo, la difesa attorea ha
inteso richiamarsi ad un istituto giuridico frutto di un
risalente orientamento giurisprudenziale, noto come “sanatoria
giurisprudenziale”.
E’ noto, infatti, che l’istituto in parola deve considerarsi
normativamente superato, nonché recessivo rispetto al chiaro
disposto normativo vigente e ai principi connessi al
perseguimento dell'abusiva trasformazione del territorio,
nel senso che il permesso in sanatoria è ottenibile soltanto
in presenza dei presupposti espressamente delineati
dall'art. 36 d.P.R. n. 380/2001, ossia a condizione che
l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente al momento sia della realizzazione del
manufatto, sia della presentazione della domanda, mentre con
la invocata ‘sanatoria giurisprudenziale' verrebbe in
rilievo un atto atipico con effetti provvedimentali
praeter legem, i quali si collocherebbero al di fuori
d'ogni previsione normativa.
Tale istituto non trova, pertanto, fondamento alcuno
nell'ordinamento positivo, contrassegnato invece dai
principi di legalità dell'azione amministrativa e di
tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica
amministrazione, con la conseguenza che detti poteri, in
assenza di espressa previsione legislativa, non possono
essere creati in via giurisprudenziale, pena la violazione
del principio di separazione dei poteri e l'invasione di
sfere proprie di attribuzioni riservate alla pubblica
amministrazione (cfr., ex multis, da ultimo Consiglio
di Stato sez. VI, 11/09/2018, n. 5319) (TAR Campania-Napoli,
Sez. IV,
sentenza 06.06.2019 n. 3076 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'istituto della cd "sanatoria giurisprudenziale" deve
considerarsi normativamente superato, nonché recessivo rispetto al chiaro
disposto normativo vigente e ai principi connessi al perseguimento
dell'abusiva trasformazione del territorio, nel senso che il permesso in
sanatoria è ottenibile soltanto in presenza dei presupposti espressamente
delineati dall'art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001, ossia a condizione che
l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente al momento sia della realizzazione del manufatto, sia della
presentazione della domanda, mentre con la invocata 'sanatoria
giurisprudenziale' verrebbe in rilievo un atto atipico con effetti
provvedimentali praeter legem, i quali si collocherebbero al di fuori d'ogni
previsione normativa.
Tale istituto non trova, pertanto, fondamento alcuno nell'ordinamento
positivo, contrassegnato invece dai principi di legalità dell'azione
amministrativa e di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla
pubblica amministrazione, con la conseguenza che detti poteri, in assenza di
espressa previsione legislativa, non possono essere creati in via
giurisprudenziale, pena la violazione del principio di separazione.
---------------
Non può neppure condividersi la tesi tendente ad attribuire rilievo alla
c.d. “sanatoria giurisprudenziale”, dato che, secondo recente
orientamento giurisprudenziale, tale istituto “deve considerarsi
normativamente superato, nonché recessivo rispetto al chiaro disposto
normativo vigente e ai principi connessi al perseguimento dell'abusiva
trasformazione del territorio, nel senso che il permesso in sanatoria è
ottenibile soltanto in presenza dei presupposti espressamente delineati
dall'art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001, ossia a condizione che l'intervento
risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento
sia della realizzazione del manufatto, sia della presentazione della
domanda, mentre con la invocata 'sanatoria giurisprudenziale' verrebbe in
rilievo un atto atipico con effetti provvedimentali praeter legem, i quali
si collocherebbero al di fuori d'ogni previsione normativa. Tale istituto
non trova, pertanto, fondamento alcuno nell'ordinamento positivo,
contrassegnato invece dai principi di legalità dell'azione amministrativa e
di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica
amministrazione, con la conseguenza che detti poteri, in assenza di espressa
previsione legislativa, non possono essere creati in via giurisprudenziale,
pena la violazione del principio di separazione" (Cons. Stato Sez. IV,
21/03/2019, n. 1874)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 05.06.2019 n. 940 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’istituto della c.d. "sanatoria
giurisprudenziale" deve considerarsi normativamente superato
nonché recessivo rispetto al chiaro disposto normativo
vigente ed ai principi connessi al perseguimento
dell'abusiva trasformazione del territorio.
Come ha messo in evidenza il Consiglio di Stato, <<il
permesso in sanatoria è quindi ottenibile soltanto ex art.
36, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, a condizione che l'intervento
risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente al momento sia della realizzazione del manufatto,
sia della presentazione della domanda; viceversa, con la
invocata "sanatoria giurisprudenziale" viene in rilievo un
atto atipico con effetti provvedimentali praeter legem che
si colloca fuori d'ogni previsione normativa e, pertanto, la
stessa non è ammessa nell'ordinamento positivo,
contrassegnato invece dal principio di legalità dell'azione
amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati
dalla P.A., alla stregua del principio di nominatività,
poteri, tutti questi, che non sono surrogabili da questo
giudice, pena la violazione del principio di separazione dei
poteri e l'invasione di sfere proprie di attribuzioni
riservate alla P.A. stessa. A questo riguardo pare poi il
caso di rammentare che a favore della incompatibilità della
c.d. "sanatoria giurisprudenziale" con il dettato normativo
di cui all'art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 militano anche
argomenti interpretativi letterali e logico-sistematici,
oltre che attinenti ai lavori preparatori. La Corte
Costituzionale, poi, ha più volte ribadito al riguardo la
natura di principio, tra l'altro vincolante per la
legislazione regionale, della previsione della "doppia
conformità" seppur con precipuo riferimento inizialmente ai
soli profili penalistici>>.
Del resto, secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, la
ragionevolezza della regola posta dall'articolo 36 del
D.P.R. n. 380 del 2001 discende dall'esigenza, presa in
considerazione dal legislatore, di evitare che il potere di
pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di
rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta
illecito (e punibile) e, inoltre, di dissuadere
dall'intenzione di commettere abusi, poiché chi costruisce
sine titulo è consapevole di essere tenuto alla demolizione,
anche in presenza di una sopraggiunta modificazione
favorevole dello strumento urbanistico.
---------------
4. Non sono condivisibili le ulteriori riflessioni
sviluppate dalla parte ricorrente, in quanto:
- la previsione dettata dall'art. 3, comma 1, lett. e.6), del DPR
380/2001 considera “interventi di nuova costruzione ...
gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli
strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al
pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino
come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino
la realizzazione di un volume superiore al 20% (percento)
del volume dell'edificio principale”; ciò non significa
che automaticamente– un’opera che occupa un volume e
una superficie di misura inferiore sia ascrivibile al
genus delle pertinenze, dovendo essere riscontrati i
plurimi indici dei quali si è già dato conto;
- l’invocato art. 41 delle NTA legittima conclusioni opposte a
quelle cui addiviene la parte ricorrente, poiché “l’esclusione
dal computo della superficie coperta di pensiline e aggetti
aperti” è limitata ai manufatti dotati di “sporto non
superiore a metri 4” e dunque con dimensioni ben più
ridotte di quelle accertate nella fattispecie;
- la nuova regolamentazione degli edifici aventi destinazione
industriale e artigianale D1 intervenuta nelle more del
giudizio (cfr. memoria finale di parte ricorrente) –che
ammetterebbe l’ampliamento degli edifici esistenti– non
esclude comunque la necessità di munirsi del titolo
abilitativo;
- l’invocato istituto della c.d. "sanatoria giurisprudenziale"
deve considerarsi normativamente superato nonché recessivo
rispetto al chiaro disposto normativo vigente ed ai principi
connessi al perseguimento dell'abusiva trasformazione del
territorio: come ha messo in evidenza il Consiglio di Stato,
sez. VI – 24/04/2018 n. 2496, <<il permesso in sanatoria
è quindi ottenibile soltanto ex art. 36, D.P.R. 06.06.2001,
n. 380, a condizione che l'intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia
della realizzazione del manufatto, sia della presentazione
della domanda; viceversa, con la invocata "sanatoria
giurisprudenziale" viene in rilievo un atto atipico con
effetti provvedimentali praeter legem che si colloca fuori
d'ogni previsione normativa e, pertanto, la stessa non è
ammessa nell'ordinamento positivo, contrassegnato invece dal
principio di legalità dell'azione amministrativa e dal
carattere tipico dei poteri esercitati dalla P.A., alla
stregua del principio di nominatività, poteri, tutti questi,
che non sono surrogabili da questo giudice, pena la
violazione del principio di separazione dei poteri e
l'invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate alla
P.A. stessa. A questo riguardo pare poi il caso di
rammentare che a favore della incompatibilità della c.d.
"sanatoria giurisprudenziale" con il dettato normativo di
cui all'art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 militano anche
argomenti interpretativi letterali e logico-sistematici,
oltre che attinenti ai lavori preparatori. La Corte
Costituzionale, poi, ha più volte ribadito al riguardo la
natura di principio, tra l'altro vincolante per la
legislazione regionale, della previsione della "doppia
conformità" (sent. nn. 31.03.1998 n. 370; 13.05.1993 n. 231;
27.02.2013, n. 101) seppur con precipuo riferimento
inizialmente ai soli profili penalistici (sent. nn. 370/1998
e 231/93) … >> (si vedano anche Consiglio di Stato, sez.
VI – 07/09/2018 n. 5274 e TAR Lombardia Milano, sez. II –
17/05/2018 n. 1297, secondo il quale “Del resto, secondo
quanto rilevato dalla giurisprudenza, la ragionevolezza
della regola posta dall'articolo 36 del D.P.R. n. 380 del
2001 discende dall'esigenza, presa in considerazione dal
legislatore, di evitare che il potere di pianificazione
possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex
post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile)
e, inoltre, di dissuadere dall'intenzione di commettere
abusi, poiché chi costruisce sine titulo è consapevole di
essere tenuto alla demolizione, anche in presenza di una
sopraggiunta modificazione favorevole dello strumento
urbanistico (Cons. Stato, Sez. V, 17.03.2014, n. 1324, e Id.,
n. 2755 del 2014, cit.)” (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 05.06.2019 n. 546 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La teoria della sanatoria giurisprudenziale
risulta da tempo superata, con la conseguenza che un
manufatto contrastante con la disciplina urbanistica vigente
al momento della sua costruzione è e resta un’opera abusiva.
---------------
7.4. Infine, è irrilevante che l’intervento realizzato dal
ricorrente sia oggi assentibile.
Invero, la teoria della sanatoria giurisprudenziale risulta
da tempo superata (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez.
VI, sentenza n. 5319/2018), con la conseguenza che un
manufatto contrastante con la disciplina urbanistica vigente
al momento della sua costruzione è e resta un’opera abusiva (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 16.05.2019 n. 1117 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Permesso
di costruire in sanatoria e normativa antisismica: nuovo intervento della
Cassazione.
Il conseguimento del permesso di costruire in sanatoria
comporta l'estinzione dei reati contravvenzionali previsti dalle norme
urbanistiche vigenti ma non di quelli previsti dalla normativa antisismica e
sulle opere di conglomerato cementizio.
Lo ha chiarito la Suprema Corte di Cassazione con la
sentenza 07.05.2019 n. 19221
con la quale ha rigettato il ricorso presentato avverso una sentenza di
primo grado che aveva condannato il ricorrente per il reato di abuso
edilizio previsto dagli articoli 64, 65, 71, 72, 93 e 95 del DPR n. 380/2001
(c.d. Testo Unico Edilizia).
In particolare, il Tribunale di primo grado aveva condannato l'attuale
ricorrente per i suddetti reati, dichiarando di non doversi procedere per il
reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. b), del Testo Unico Edilizia perché
estinto per il rilascio del permesso a costruire in sanatoria. In appello,
il ricorrente ha fatto presente che il rilascio del permesso di costruire in
sanatoria da parte dell'Amministrazione ai sensi dell'art. 36 del DPR n.
380/2001 implicherebbe l'estinzione di tutti i reati essendo stata
verificata la doppia conformità urbanistica.
Gli ermellini, rigettando il ricorso, hanno confermato che sull'argomento
esiste ormai una pacifica giurisprudenza che in tema di reati edilizi
afferma che il conseguimento del permesso di costruire in sanatoria ai sensi
dell'art. 36 del Testo Unico Edilizia comporta l'estinzione dei reati
contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, ma non di
quelli previsti dalla normativa antisismica e sulle opere di conglomerato
cementizio. Nel caso in esame, il Tribunale si è attenuto al principio ora
evocato, correttamente limitando gli effetti del rilascio del permesso in
sanatoria al solo reato edilizio, con esclusione degli ulteriori reati di
cui agli artt. 64, 65, 71, 72, 93 e 95 del DPR n. 380/2001 (commento tratto
da www.lavoripubblici.it).
---------------
SENTENZA
5. Ciò premesso, il ricorso è inammissibile.
Invero, per pacifica giurisprudenza, in tema di reati edilizi, il
conseguimento del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 36
del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, comporta l'estinzione dei reati
contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, ma non di
quelli previsti dalla normativa antisismica e sulle opere di conglomerato
cementizio (Sez. 3, n. 38953 del 04/07/2017 - dep. 07/08/2017, Rizzo, Rv.
270792; Sez. F, n. 44015 del 04/09/2014 - dep. 22/10/2014, Conforti, Rv.
261099).
Nel caso in esame, il Tribunale si è attenuto al principio ora evocato,
correttamente limitando gli effetti del rilascio del permesso in sanatoria
al solo reato edilizio, con esclusione degli ulteriori reati di cui agli
artt. 64, 65, 71, 72, 93 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.05.2019 n. 19221). |
marzo 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L’istituto della c.d. ‘sanatoria
giurisprudenziale’ deve considerarsi normativamente
superato, nonché recessivo rispetto al chiaro disposto
normativo vigente e ai principi connessi al perseguimento
dell’abusiva trasformazione del territorio, nel senso che il
permesso in sanatoria è ottenibile soltanto in presenza dei
presupposti espressamente delineati dall’art. 36 d.P.R. n.
380/2001, ossia a condizione che l’intervento risulti
conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al
momento sia della realizzazione del manufatto, sia della
presentazione della domanda, mentre con la invocata
‘sanatoria giurisprudenziale’ verrebbe in rilievo un atto
atipico con effetti provvedimentali praeter legem, i quali
si collocherebbero al di fuori d’ogni previsione normativa.
Tale istituto non trova, pertanto, fondamento alcuno
nell’ordinamento positivo, contrassegnato invece dai
principi di legalità dell’azione amministrativa e di
tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica
amministrazione, con la conseguenza che detti poteri, in
assenza di espressa previsione legislativa, non possono
essere creati in via giurisprudenziale, pena la violazione
del principio di separazione.
---------------
La sanatoria di cui all’art. 36, d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
si fonda sul rilascio di un provvedimento abilitativo
sanante da parte della competente Amministrazione, sempre
possibile previo accertamento di conformità o di non
contrasto delle opere abusive non assentite agli strumenti
urbanistici vigenti nel momento della realizzazione e in
quello della richiesta, previo accertamento di compatibilità
paesaggistica nelle ipotesi in cui l’area sia assoggettata a
vincolo paesaggistico e che è tassativamente limitato alle
sole fattispecie contemplate dall’art. 167 comma 4, d.lgs.
22.01.2004, n. 42, come da ultimo sostituito per effetto
dell’art. 27, d.lgs. 24.03.2006, n. 157.
Orbene, è la stessa qualificazione in termini di sanatoria
del provvedimento scolpito dall’art. 36 che importa
l’esclusione dal suo ambito di quelle opere progettate al
fine di ricondurre l’opus nel perimento di ciò che risulti
conforme alla disciplina urbanistica e quindi assentibile.
Questo Consiglio ha quindi rilevato che il rilascio di un
permesso in sanatoria con prescrizioni, con le quali si
subordina l’efficacia dell’accertamento alla realizzazione
di lavori che consentano di rendere il manufatto conforme
alla disciplina urbanistica vigente al momento della domanda
o al momento della decisione, contraddice, innanzitutto sul
piano logico, la rigida statuizione normativa poiché si
farebbe a meno della doppia conformità dell’opera richiesta
dalla norma se si ammettesse l’esecuzione di modifiche
postume rispetto alla presentazione della domanda di
sanatoria.
---------------
8.4. Non resta quindi che esaminare la critica, avente
rilievo centrale nell’economia dell’appello de quo,
afferente alla individuazione dei confini applicativi
dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, che, secondo la
linea interpretativa auspicata dall’appellante, sarebbe in
grado di abbracciare anche le opere in progetto e pertanto
non ancora eseguite.
La tesi sostenuta dall’appellante non può essere condivisa,
avendo questo Consiglio più volte optato per una
interpretazione restrittiva della norma che, nel consentire
la sanatoria degli abusi formali, ha natura senz’altro
eccezionale rispetto al principio del necessario previo
ottenimento dell’assentimento edilizio ovverosia da
conseguire prima e non dopo l’esecuzione delle opere.
Si è, quindi, di recente osservato che “l’istituto della
c.d. ‘sanatoria giurisprudenziale’ deve considerarsi
normativamente superato, nonché recessivo rispetto al chiaro
disposto normativo vigente e ai principi connessi al
perseguimento dell’abusiva trasformazione del territorio,
nel senso che il permesso in sanatoria è ottenibile soltanto
in presenza dei presupposti espressamente delineati
dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, ossia a condizione che
l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente al momento sia della realizzazione del
manufatto, sia della presentazione della domanda, mentre con
la invocata ‘sanatoria giurisprudenziale’ verrebbe in
rilievo un atto atipico con effetti provvedimentali praeter
legem, i quali si collocherebbero al di fuori d’ogni
previsione normativa. Tale istituto non trova, pertanto,
fondamento alcuno nell’ordinamento positivo, contrassegnato
invece dai principi di legalità dell’azione amministrativa e
di tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla
pubblica amministrazione, con la conseguenza che detti
poteri, in assenza di espressa previsione legislativa, non
possono essere creati in via giurisprudenziale, pena la
violazione del principio di separazione” (cfr. Cons.
Stato, sez. VI, 11.09.2018, n. 5319).
Invero, la sanatoria di cui all’art. 36, d.P.R. 06.06.2001,
n. 380, si fonda sul rilascio di un provvedimento
abilitativo sanante da parte della competente
Amministrazione, sempre possibile previo accertamento di
conformità o di non contrasto delle opere abusive non
assentite agli strumenti urbanistici vigenti nel momento
della realizzazione e in quello della richiesta, previo
accertamento di compatibilità paesaggistica nelle ipotesi in
cui l’area sia assoggettata a vincolo paesaggistico e che è
tassativamente limitato alle sole fattispecie contemplate
dall’art. 167 comma 4, d.lgs. 22.01.2004, n. 42, come da
ultimo sostituito per effetto dell’art. 27, d.lgs.
24.03.2006, n. 157. Orbene, è la stessa qualificazione in
termini di sanatoria del provvedimento scolpito dall’art. 36
che importa l’esclusione dal suo ambito di quelle opere
progettate al fine di ricondurre l’opus nel perimento
di ciò che risulti conforme alla disciplina urbanistica e
quindi assentibile.
Questo Consiglio (Cons. Stato, sez. VI, 04.07.2014, n. 3410)
ha quindi rilevato che il rilascio di un permesso in
sanatoria con prescrizioni, con le quali si subordina
l’efficacia dell’accertamento alla realizzazione di lavori
che consentano di rendere il manufatto conforme alla
disciplina urbanistica vigente al momento della domanda o al
momento della decisione, contraddice, innanzitutto sul piano
logico, la rigida statuizione normativa poiché si farebbe a
meno della doppia conformità dell’opera richiesta dalla
norma se si ammettesse l’esecuzione di modifiche postume
rispetto alla presentazione della domanda di sanatoria (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.03.2019 n. 1874 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In materia di <sanatoria giurisprudenziale>
il Consiglio di Stato è ormai pervenuto con recenti sentenze
a negare la possibilità di ammetterla, affermando il
seguente principio:
- “L'ISTITUTO DELLA C.D. ‘SANATORIA GIURISPRUDENZIALE' DEVE
CONSIDERARSI NORMATIVAMENTE SUPERATO, nonché recessivo
rispetto al chiaro disposto normativo vigente e ai principi
connessi al perseguimento dell'abusiva trasformazione del
territorio, nel senso che il permesso in sanatoria è
ottenibile SOLTANTO in presenza dei presupposti
espressamente delineati dall' art. 36 d.P.R. n. 380/2001 ,
ossia a condizione che l'intervento RISULTI CONFORME ALLA
DISCIPLINA URBANISTICA ED EDILIZIA VIGENTE AL MOMENTO SIA
DELLA REALIZZAZIONE DEL MANUFATTO, SIA DELLA PRESENTAZIONE
DELLA DOMANDA, mentre con la invocata ‘sanatoria
giurisprudenziale' verrebbe in rilievo UN ATTO ATIPICO CON
EFFETTI PROVVEDIMENTALI PRAETER LEGEM, I QUALI SI
COLLOCHEREBBERO AL DI FUORI D'OGNI PREVISIONE NORMATIVA.
TALE ISTITUTO NON TROVA, PERTANTO, FONDAMENTO ALCUNO
NELL'ORDINAMENTO POSITIVO, CONTRASSEGNATO INVECE DAI
PRINCIPI DI LEGALITÀ DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA E DI
TIPICITÀ E NOMINATIVITÀ DEI POTERI ESERCITATI DALLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE, con la conseguenza che detti poteri, in
assenza di espressa previsione legislativa, NON POSSONO
ESSERE CREATI IN VIA GIURISPRUDENZIALE, pena la violazione
del principio di separazione dei poteri e l'invasione di
sfere proprie di attribuzioni riservate alla pubblica
amministrazione”.
Anche il TAR Lombardia ha recentemente affermato la
persistenza del principio anche in caso di sopravvenuta
modifica favorevole dello strumento urbanistico:
- “E' legittimo il doveroso diniego della concessione in
sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora
le stesse non risultino conformi tanto alla normativa
urbanistica vigente al momento della loro realizzazione
quanto a quella vigente al momento della domanda di
sanatoria.
Infatti, solo il legislatore statale (con preclusione non
solo per il potere giurisdizionale, ma anche per il
legislatore regionale) può prevedere i casi in cui può
essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria (avente
anche una rilevanza estintiva del reato già commesso) e
<RISULTA DEL TUTTO RAGIONEVOLE IL DIVIETO LEGALE DI
RILASCIARE UNA CONCESSIONE (O IL PERMESSO) IN SANATORIA,
ANCHE QUANDO DOPO LA COMMISSIONE DELL'ABUSO VI SIA UNA
MODIFICA FAVOREVOLE DELLO STRUMENTO URBANISTICO>.
La c.d. doppia conformità costituisce, perciò, un requisito
dal quale non può prescindersi ai fini del rilascio della
sanatoria di opere edilizie, mentre la c.d. sanatoria
giurisprudenziale -consistente nel rilascio del titolo
edilizio sulla base della solo conformità dell'opera abusiva
rispetto alla pianificazione urbanistica vigente- finirebbe
per dare luogo a un <ATTO ATIPICO CON EFFETTI
PROVVEDIMENTALI CHE SI COLLOCA AL DI FUORI DI QUALSIASI
PREVISIONE NORMATIVA E CHE, PERTANTO, NON PUÒ RITENERSI
AMMESSO NEL NOSTRO ORDINAMENTO, CONTRASSEGNATO DAL PRINCIPIO
DI LEGALITÀ DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA E DAL CARATTERE
TIPICO DEI POTERI ESERCITATI DALL'AMMINISTRAZIONE, ALLA
STREGUA DEL PRINCIPIO DI NOMINATIVITÀ>; poteri che non
possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del
principio di separazione dei poteri e l'invasione di sfere
di attribuzione riservate all'Amministrazione".
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Si consideri che, in materia di <sanatoria
giurisprudenziale> (ipotesi che potrebbe risultare
rilevante anche per il caso di specie), il Consiglio di
Stato è ormai pervenuto con recenti sentenze (cfr. da ultimo
Consiglio di Stato , sez. VI , 11/09/2018 n. 5319) a negare
la possibilità di ammetterla, affermando il seguente
principio:
- “L'ISTITUTO DELLA C.D. ‘SANATORIA GIURISPRUDENZIALE' DEVE
CONSIDERARSI NORMATIVAMENTE SUPERATO, nonché recessivo
rispetto al chiaro disposto normativo vigente e ai principi
connessi al perseguimento dell'abusiva trasformazione del
territorio, nel senso che il permesso in sanatoria è
ottenibile SOLTANTO in presenza dei presupposti
espressamente delineati dall' art. 36 d.P.R. n. 380/2001 ,
ossia a condizione che l'intervento RISULTI CONFORME ALLA
DISCIPLINA URBANISTICA ED EDILIZIA VIGENTE AL MOMENTO SIA
DELLA REALIZZAZIONE DEL MANUFATTO, SIA DELLA PRESENTAZIONE
DELLA DOMANDA, mentre con la invocata ‘sanatoria
giurisprudenziale' verrebbe in rilievo UN ATTO ATIPICO CON
EFFETTI PROVVEDIMENTALI PRAETER LEGEM, I QUALI SI
COLLOCHEREBBERO AL DI FUORI D'OGNI PREVISIONE NORMATIVA.
TALE ISTITUTO NON TROVA, PERTANTO, FONDAMENTO ALCUNO
NELL'ORDINAMENTO POSITIVO, CONTRASSEGNATO INVECE DAI
PRINCIPI DI LEGALITÀ DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA E DI
TIPICITÀ E NOMINATIVITÀ DEI POTERI ESERCITATI DALLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE, con la conseguenza che detti poteri, in
assenza di espressa previsione legislativa, NON POSSONO
ESSERE CREATI IN VIA GIURISPRUDENZIALE, pena la violazione
del principio di separazione dei poteri e l'invasione di
sfere proprie di attribuzioni riservate alla pubblica
amministrazione”.
Anche il TAR Lombardia, sez. II, con sentenza 17/05/2018 n.
1298, ha recentemente affermato la persistenza del principio
anche in caso di sopravvenuta modifica favorevole dello
strumento urbanistico:
- “E' legittimo il doveroso diniego della concessione in
sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora
le stesse non risultino conformi tanto alla normativa
urbanistica vigente al momento della loro realizzazione
quanto a quella vigente al momento della domanda di
sanatoria. Infatti, solo il legislatore statale (con
preclusione non solo per il potere giurisdizionale, ma anche
per il legislatore regionale) può prevedere i casi in cui
può essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria
(avente anche una rilevanza estintiva del reato già
commesso) e <RISULTA DEL TUTTO RAGIONEVOLE IL DIVIETO LEGALE
DI RILASCIARE UNA CONCESSIONE (O IL PERMESSO) IN SANATORIA,
ANCHE QUANDO DOPO LA COMMISSIONE DELL'ABUSO VI SIA UNA
MODIFICA FAVOREVOLE DELLO STRUMENTO URBANISTICO>. La c.d.
doppia conformità costituisce, perciò, un requisito dal
quale non può prescindersi ai fini del rilascio della
sanatoria di opere edilizie, mentre la c.d. sanatoria
giurisprudenziale -consistente nel rilascio del titolo
edilizio sulla base della solo conformità dell'opera abusiva
rispetto alla pianificazione urbanistica vigente- finirebbe
per dare luogo a un <ATTO ATIPICO CON EFFETTI
PROVVEDIMENTALI CHE SI COLLOCA AL DI FUORI DI QUALSIASI
PREVISIONE NORMATIVA E CHE, PERTANTO, NON PUÒ RITENERSI
AMMESSO NEL NOSTRO ORDINAMENTO, CONTRASSEGNATO DAL PRINCIPIO
DI LEGALITÀ DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA E DAL CARATTERE
TIPICO DEI POTERI ESERCITATI DALL'AMMINISTRAZIONE, ALLA
STREGUA DEL PRINCIPIO DI NOMINATIVITÀ>; poteri che non
possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del
principio di separazione dei poteri e l'invasione di sfere
di attribuzione riservate all'Amministrazione" (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 09.02.2019 n. 105 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
sanatoria giurisprudenziale è “istituto di origine pretoria, la cui
praticabilità è stata, da tempo, esclusa dalla Giurisprudenza, in quanto,
essendo il nostro ordinamento giuridico caratterizzato dai principi di
legalità dell’azione amministrativa e di tipicità dei poteri esercitati
dalla P.A., nessuna forma di “sanatoria atipica” è ammessa dall’ordinamento
positivo”.
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2.8 Con ultimo motivo formulato, la società No. S.r.l. Ge.Im.
contesta la legittimità dei provvedimenti impugnati e la conseguente
sanabilità degli interventi realizzati in base all’istituto
giurisprudenziale della “sanatoria giurisprudenziale”, istituto
secondo cui le opere sarebbero comunque assentibili in assenza della doppia
conformità bastando la sola conformità agli strumenti urbanistici al momento
del rilascio del titolo sanante.
2.8.1 Il motivo è infondato.
A tal proposito, il Collegio rileva come tale istituto sia da tempo escluso
dal sistema giuridico e, sul punto, ritiene dunque condivisibili le
deduzioni di parte resistente secondo cui la sanatoria giurisprudenziale è “istituto
di origine pretoria, la cui praticabilità è stata, da tempo, esclusa dalla
Giurisprudenza (Cons. St., sez. VI, 21/06/2017, n. 3018; Cons. St., sez. VI,
18.07.2016, n. 3194; Cons. St., sez VI, 05.06.2015 n. 2784; Cons. St., sez
IV, 26.04.2006, n. 2306; Corte Cost., 29.05.2013, n. 101), in quanto,
essendo il nostro ordinamento giuridico caratterizzato dai principi di
legalità dell’azione amministrativa e di tipicità dei poteri esercitati
dalla P.A., nessuna forma di “sanatoria atipica” è ammessa dall’ordinamento
positivo”
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 28.01.2019 n. 153 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La configurabilità della c.d. “sanatoria
giurisprudenziale” è costantemente esclusa dalla prevalente
giurisprudenza amministrativa, trattandosi di istituto di
origine giurisprudenziale, che si pone in contrasto con i
principi di tipicità e legalità dell’azione amministrativa.
Invero, “Non è invocabile la c.d. "sanatoria
giurisprudenziale", giacché il permesso in sanatoria ex art.
36 del D.P.R. n. 380 del 2001 è ottenibile solo alla
condizione che l'intervento risulti conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della
realizzazione del manufatto, sia della presentazione della
domanda, venendo viceversa in questione, con la "sanatoria
giurisprudenziale", un atto atipico con effetti
provvedimentali praeter legem e che si colloca fuori d'ogni
previsione normativa e che, pertanto, non è ammessa
nell'ordinamento positivo, contrassegnato invece dal
principio di legalità dell'azione amministrativa e dal
carattere tipico dei poteri esercitati dalla P.A., alla
stregua del principio di nominatività, poteri, tutti questi,
che non sono surrogabili da questo Giudice, pena la
violazione del principio di separazione dei poteri e
l'invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate”.
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5. La configurabilità della c.d. “sanatoria
giurisprudenziale” è costantemente esclusa dalla
prevalente giurisprudenza amministrativa, trattandosi di
istituto di origine giurisprudenziale, che si pone in
contrasto con i principi di tipicità e legalità dell’azione
amministrativa (Cons. Stato Sez. VI, 07/09/2018, n. 5274: “Non
è invocabile la c.d. "sanatoria giurisprudenziale", giacché
il permesso in sanatoria ex art. 36 del D.P.R. n. 380 del
2001 è ottenibile solo alla condizione che l'intervento
risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente al momento sia della realizzazione del manufatto,
sia della presentazione della domanda, venendo viceversa in
questione, con la "sanatoria giurisprudenziale", un atto
atipico con effetti provvedimentali praeter legem e che si
colloca fuori d'ogni previsione normativa e che, pertanto,
non è ammessa nell'ordinamento positivo, contrassegnato
invece dal principio di legalità dell'azione amministrativa
e dal carattere tipico dei poteri esercitati dalla P.A.,
alla stregua del principio di nominatività, poteri, tutti
questi, che non sono surrogabili da questo Giudice, pena la
violazione del principio di separazione dei poteri e
l'invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate”)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 21.01.2019 n. 65 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Parere in merito alla natura del silenzio ex art. 37, comma 4,
del d.P.R. 380/2001 e dell'art. 22 della l.r. 15/2008 – Area Vigilanza
urbanistico-edilizia e contrasto all'abusivismo (Regione Lazio,
nota 09.11.2018 n. 705439 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Parere in merito all'annullamento in autotutela di una licenza
edilizia in sanatoria, rilasciata ai sensi della legge 47/1985, ottenuta
sulla base di una falsa dichiarazione dell'epoca dell'abuso – Comune di
Mazzano Romano (Regione Lazio,
nota 06.11.2018 n. 693050 di prot.). |
ottobre 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Vale osservare come anche
il permesso di costruire in sanatoria (emesso a seguito di
istanza di accertamento di conformità) abbia carattere
vincolato, dal momento che, ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, esso
può essere rilasciato solo laddove sia constatata la
conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione della domanda
(cd. requisito della doppia conformità urbanistico-edilizia).
Ebbene, sulla scorta dell’enunciato di cui all’art.
21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990 e del principio
dei cosiddetti vizi non invalidanti, la violazione delle
norme sul procedimento nei provvedimenti vincolati assume
una connotazione di tipo sostanziale e sussiste ogni
qualvolta l’amministrazione possa effettivamente beneficiare
degli apporti procedimentali mediante l’acquisizione di un
contributo rappresentativo degli interessi contrapposti, e
non anche nelle ipotesi in cui il
provvedimento sarebbe stato in ogni caso emanato in quanto
atto in concreto necessitato.
Infatti, l’eventuale intermediazione del preavviso di
rigetto ex art. 10-bis della legge n. 241/1990 comunque non
avrebbe fatto sortire all’istanza di accertamento di
conformità in questione un esito diverso, atteso il suo
innegabile contrasto con la disciplina urbanistica comunale.
---------------
5.1 Infine, quanto alla lamentata violazione delle garanzie
procedimentali, vale osservare come anche il permesso di
costruire in sanatoria (emesso a seguito di istanza di
accertamento di conformità) abbia carattere vincolato, dal
momento che, ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, esso
può essere rilasciato solo laddove sia constatata la
conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione della domanda
(cd. requisito della doppia conformità urbanistico-edilizia).
Ebbene, sulla scorta dell’enunciato di cui all’art.
21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990 e del principio
dei cosiddetti vizi non invalidanti, la violazione delle
norme sul procedimento nei provvedimenti vincolati assume
una connotazione di tipo sostanziale e sussiste ogni
qualvolta l’amministrazione possa effettivamente beneficiare
degli apporti procedimentali mediante l’acquisizione di un
contributo rappresentativo degli interessi contrapposti, e
non anche nelle ipotesi, come quella di specie, in cui il
provvedimento sarebbe stato in ogni caso emanato in quanto
atto in concreto necessitato (orientamento consolidato: cfr.
per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.01.2011 n. 609);
infatti, l’eventuale intermediazione del preavviso di
rigetto ex art. 10-bis della legge n. 241/1990 comunque non
avrebbe fatto sortire all’istanza di accertamento di
conformità in questione un esito diverso, atteso il suo
innegabile contrasto con la disciplina urbanistica comunale,
come già rimarcato al precedente paragrafo 3 (TAR Campania-Napoli, Sez.
II,
sentenza 12.10.2018 n. 5900 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Accertamento
di conformità utilizzando volumetria non
sfruttata o acquistando la volumetria
mancante da altri soggetti.
(a) la conformità prevista dall’art. 36 del
DPR 06.06.2001 n. 380 per la
regolarizzazione degli abusi edilizi può
essere ottenuta anche individuando
volumetria residenziale non sfruttata in
precedenti edificazioni o ristrutturazioni,
o acquistando la volumetria mancante da
altri soggetti che ne siano titolari. Si
tratta di residui di diritti edificatori che
rimangono latenti finché non si presenta
l’opportunità di impiegarli per integrare la
volumetria già insediata;
---------------
(b) l’art. 2, comma 1-ter, della LR 26/1995,
in vigore all’epoca della ristrutturazione
(v. ora l’art. 4 della LR 28.11.2014
n. 31), aveva la finalità di incentivare gli
interventi edilizi in grado di migliorare
l’efficienza energetica degli edifici. Lo
strumento incentivante scelto dal
legislatore consisteva (e consiste tuttora)
nell’attribuire agli interventi energeticamente virtuosi una minore capacità
di consumazione dei diritti edificatori
grazie allo scomputo dei muri perimetrali e
delle solette di copertura;
(c) la diversa modalità di calcolo si
traduce in un risparmio sulla volumetria
disponibile, ossia in un bonus edificatorio,
che può essere utilizzato immediatamente
nella stessa edificazione, ma può anche
essere impiegato in un secondo momento per
effettuare degli ampliamenti. Come tutti i
diritti edificatori, questo bonus è
liberamente negoziabile e cedibile, in
mancanza di disposizioni in senso contrario
nella disciplina urbanistica comunale;
(d) una serra solare bioclimatica è tale
proprio perché consente l’irraggiamento
solare, e dunque l’inserimento di una
schermatura fissa è un chiaro indizio della
trasformazione in volume residenziale, a
maggior ragione se si accompagna ad altre
opere coerenti con l’uso residenziale, come
quelle realizzate dal ricorrente. Di
conseguenza, per evitare la rimessione in
pristino è necessario verificare se la
volumetria risparmiata nel corso
dell’intervento di ristrutturazione del 2009
sia sufficiente, applicando i criteri
dell’art. 2, comma 1-ter, della LR 26/1995, a
sanare la volumetria residenziale abusiva;
(e) poiché la quota di
volumetria risparmiata attribuibile
all’unità abitativa del ricorrente appare
inferiore alla volumetria abusiva, il
permesso di costruire in sanatoria può
essere rilasciato solo qualora i proprietari
confinanti, all’epoca coinvolti nella
ristrutturazione, cedano la volumetria di
rispettiva pertinenza fino alla concorrenza
della volumetria da regolarizzare. Occorre
precisare che deve trattarsi di vera e
propria cessione di volumetria, e non di
semplice costituzione di servitù sulla
volumetria. L’atto di cessione dovrà essere
trascritto, in modo che non si formino
aspettative nei terzi circa la possibilità
di utilizzare nuovamente questi diritti
edificatori in futuro.
---------------
1. Il ricorrente, proprietario di un’unità
abitativa in un edificio situato nel Comune
di Salò, in via del Seminario, ha ottenuto
nel 2013 il permesso di costruire per
realizzare una serra solare bioclimatica in
corrispondenza della terrazza dell’ultimo
piano. Il risultato dell’edificazione (v.
relazione paesistica e documentazione
fotografica) è costituito da una torretta
dove era prevista la posa di una copertura
in vetro e di pareti ugualmente in vetro.
Con queste caratteristiche, il locale non
era computabile nella volumetria
residenziale dell’edificio.
2. Nel corso dei lavori il ricorrente ha
invece abusivamente trasformato la serra in
un volume residenziale (113,06 mc),
collocando un assito in legno al di sotto
della copertura in vetro, realizzando un
vano tecnico e una vasca a uso fioriera, e
installando una pompa di calore per la
climatizzazione.
3. In data 08.06.2016 il ricorrente ha
chiesto il rilascio di un permesso di
costruire in sanatoria, per consolidare la
destinazione residenziale, anche allo scopo
di collegare la ex serra solare bioclimatica
al piano inferiore mediante una scala
interna. Secondo il ricorrente, la
volumetria a disposizione per l’ampliamento
residenziale deriverebbe dal risparmio di
volumetria realizzato nell’intervento di
ristrutturazione ultimato nel 2009. Più
precisamente, il risparmio sarebbe dovuto
all’art. 2, comma 1-ter, della LR 20.04.1995 n. 26 (disciplina regionale sull’efficientamento
energetico degli edifici), che consente lo
scomputo dei muri perimetrali e delle
solette di copertura quando siano raggiunti
determinati obiettivi di risparmio
energetico.
4. Il Comune, con provvedimento del
responsabile dell’Area Tecnica del 29.11.2016, ha respinto la richiesta del
ricorrente, in quanto (come chiarito nel
preavviso di diniego del 10.10.2016) le
modalità di calcolo più favorevoli
potrebbero essere applicate solo agli
interventi edilizi non ancora realizzati.
5. Contro i suddetti provvedimenti il
ricorrente ha presentato impugnazione,
riproponendo la tesi della scomputabilità
dei muri perimetrali e delle solette di
copertura, da cui deriverebbe volumetria
aggiuntiva utilizzabile per sanare
l’ampliamento residenziale dell’edificio. I
proprietari confinanti, parimenti
interessati dalla ristrutturazione del 2009,
sarebbero disposti a cedere la loro quota di
volumetria da efficientamento energetico.
6. Il Comune si è costituito in giudizio,
chiedendo la reiezione del ricorso.
7. Questo TAR, con ordinanza n. 77 del 02.02.2017, ha accolto la domanda
cautelare, vincolando il Comune a ripronunciarsi dopo aver verificato sia la
volumetria recuperabile grazie alle norme
sull’efficientamento energetico, sia la
cessione di volumetria da parte dei
proprietari confinanti. Nell’appello
cautelare, il Consiglio di Stato Sez. VI,
con ordinanza n. 1708 del 24.04.2017, ha
sollevato il Comune dall’obbligo di adottare
un nuovo provvedimento espresso, ma ha
confermato gli adempimenti istruttori.
8. In seguito, il ricorrente (v. deposito di
data 30.04.2018) ha trasmesso agli
uffici comunali la tabella con il calcolo
della volumetria recuperata, nonché il
preliminare per la costituzione di una
servitù di utilizzo esclusivo della suddetta
volumetria. Gli uffici comunali non hanno
finora dato il loro assenso, avendo rilevato
incongruenze nelle quote rispetto agli
elaborati di progetto, e un eccesso di
scomputo relativamente alle porzioni di
muratura non costituenti involucro esterno.
L’interlocuzione è ancora in corso.
9. Così sintetizzata la vicenda contenziosa,
sulle questioni rilevanti ai fini della
decisione si possono svolgere le seguenti
considerazioni, riprendendo quanto
anticipato in sede cautelare:
(a) la conformità prevista dall’art. 36 del
DPR 06.06.2001 n. 380 per la
regolarizzazione degli abusi edilizi può
essere ottenuta anche individuando
volumetria residenziale non sfruttata in
precedenti edificazioni o ristrutturazioni,
o acquistando la volumetria mancante da
altri soggetti che ne siano titolari. Si
tratta di residui di diritti edificatori che
rimangono latenti finché non si presenta
l’opportunità di impiegarli per integrare la
volumetria già insediata;
(b) l’art. 2, comma 1-ter, della LR 26/1995,
in vigore all’epoca della ristrutturazione
(v. ora l’art. 4 della LR 28.11.2014
n. 31), aveva la finalità di incentivare gli
interventi edilizi in grado di migliorare
l’efficienza energetica degli edifici. Lo
strumento incentivante scelto dal
legislatore consisteva (e consiste tuttora)
nell’attribuire agli interventi energeticamente virtuosi una minore capacità
di consumazione dei diritti edificatori
grazie allo scomputo dei muri perimetrali e
delle solette di copertura;
(c) la diversa modalità di calcolo si
traduce in un risparmio sulla volumetria
disponibile, ossia in un bonus edificatorio,
che può essere utilizzato immediatamente
nella stessa edificazione, ma può anche
essere impiegato in un secondo momento per
effettuare degli ampliamenti. Come tutti i
diritti edificatori, questo bonus è
liberamente negoziabile e cedibile, in
mancanza di disposizioni in senso contrario
nella disciplina urbanistica comunale;
(d) una serra solare bioclimatica è tale
proprio perché consente l’irraggiamento
solare, e dunque l’inserimento di una
schermatura fissa è un chiaro indizio della
trasformazione in volume residenziale, a
maggior ragione se si accompagna ad altre
opere coerenti con l’uso residenziale, come
quelle realizzate dal ricorrente. Di
conseguenza, per evitare la rimessione in
pristino è necessario verificare se la
volumetria risparmiata nel corso
dell’intervento di ristrutturazione del 2009
sia sufficiente, applicando i criteri
dell’art. 2, comma 1-ter, della LR 26/1995, a
sanare la volumetria residenziale abusiva;
(e) poiché la quota di volumetria
risparmiata attribuibile all’unità abitativa
del ricorrente appare inferiore alla
volumetria abusiva, il permesso di costruire
in sanatoria può essere rilasciato solo
qualora i proprietari confinanti, all’epoca
coinvolti nella ristrutturazione, cedano la
volumetria di rispettiva pertinenza fino
alla concorrenza della volumetria da
regolarizzare. Occorre precisare che deve
trattarsi di vera e propria cessione di
volumetria, e non di semplice costituzione
di servitù sulla volumetria. L’atto di
cessione dovrà essere trascritto, in modo
che non si formino aspettative nei terzi
circa la possibilità di utilizzare
nuovamente questi diritti edificatori in
futuro.
10. Il ricorso deve quindi essere accolto,
con il conseguente annullamento degli atti
impugnati.
11. L’effetto conformativo della pronuncia
vincola il Comune a ultimare le verifiche
tecniche sopra descritte, e a chiudere la
procedura con un provvedimento espresso, nel
termine di 60 giorni dal deposito della
presente sentenza. Qualora le verifiche
tecniche diano esito favorevole al
ricorrente, il rilascio del permesso di
costruire in sanatoria potrà essere
condizionato alla trascrizione dell’atto di
cessione della volumetria, attribuendo per
tale adempimento un termine non inferiore a
30 giorni
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 10.10.2018 n. 970 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Individuazione del momento in cui comincia ad applicarsi
l’istituto del silenzio-assenso.
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Silenzio della P.A. – Silenzio assenso – Ambito temporale
di applicazione – Individuazione.
Il silenzio–assenso, quale speciale
effetto attribuito dalla legge alla fattispecie complessa
costituita dalla proposizione dell’istanza, corredata dalla
necessaria documentazione, e dal decorso del termine
normativamente previsto, non può farsi retroagire alle
istanze avanzate prima dell’entrata in vigore della
normativa che tale fattispecie disciplini, atteso che solo
un'istanza posteriore a tale momento può ritenersi
qualificata come elemento della relativa fattispecie.
E' necessario, cioè, che sia stata avanzata sotto il vigore
della norma che prevede il prodursi di quel particolare
effetto, che impone ex novo uno speciale e pregnante obbligo
dell'amministrazione, in precedenza non configurabile, di
attivarsi tempestivamente.
L’effetto del silenzio-assenso
non può prodursi neppure nell’ipotesi in cui l’istanza sia
stata avanzata dopo la pubblicazione della legge di nuova
introduzione ma prima della sua entrata in vigore,
successiva al periodo di vacatio legis, poiché non può
attribuirsi all’inerzia dell’amministrazione un effetto che
non era previsto nel momento in cui tale inerzia, anche solo
in parte, ha avuto luogo (1).
---------------
(1) Ha ricordato il Tar che in Sicilia il silenzio-assenso
sull’istanza di accertamento di conformità è stato
introdotto con la legge regionale n. 16 del 10.08.2016, che,
all’art. 14, comma 3, ha stabilito che “In presenza della
documentazione e dei pareri previsti, sulla richiesta di
permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata
motivazione, entro novanta giorni decorsi i quali la
richiesta si intende assentita”.
Tale regime, dunque, è andato a sostituire –per un breve
periodo, ossia fino all’intervento della Corte
Costituzionale– l’opposto regime del silenzio-rigetto,
dettato dall’art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001. Ai sensi del
comma 3 di tale articolo, “Sulla richiesta di permesso in
sanatoria il dirigente o il responsabile del competente
ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione,
entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si
intende rifiutata”.
Il Tar ha quindi stabilito, in assenza di disposizione
transitoria, quale dei due regimi normativi sia applicabile
al procedimento sottoposto al suo esame, avviato con istanza
avanzata il 30.08.2016.
Ha chiarito che la legge regionale n. 16 del 2016 è stata
pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta ufficiale
della Regione Siciliana n. 36 del 19.08.2016 e, pertanto, ai
sensi dell’art. 13 dello Statuto regionale, che prevede un
periodo di vacatio legis di 15 giorni, è entrata in
vigore il 03.09.2016.
Alla data di proposizione della domanda, dunque, la
normativa di nuova introduzione, disciplinante l’istituto
del silenzio-assenso, non era entrata in vigore. Tale
circostanza impedisce che alla stessa possa applicarsi la
nuova disciplina.
Lo speciale effetto attribuito dalla legge alla fattispecie
complessa costituita dalla proposizione dell’istanza,
corredata dalla necessaria documentazione, e dal decorso del
termine normativamente previsto non può infatti farsi
retroagire alle istanze avanzate prima dell’entrata in
vigore della normativa che tale fattispecie disciplini
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 28.08.2018 n. 1741 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
SENTENZA
Preliminarmente, occorre rilevare l’infondatezza delle
eccezioni di inammissibilità e di irricevibilità sollevate
dal Comune.
La mancata impugnazione dell’ingiunzione di demolizione non
preclude, infatti, l’impugnazione del provvedimento relativo
all’istanza di accertamento di conformità.
Né può dirsi che sia stata prestata acquiescenza alla nota
prot. 14404 del 04.05.2017, atteso che i ricorrenti hanno
impugnato tale atto con il ricorso in esame, notificato il
13.10.2017 e quindi tempestivamente, posto che gli stessi
ricorrenti hanno dichiarato di avere conosciuto la citata
nota solo in occasione della notifica della nota prot. n.
23242 del 14.07.2017, spedita con raccomandata del
19.07.2017; circostanza, questa, non contestata dal comune.
Ciò premesso, deve passarsi all’esame del ricorso,
valutando, preliminarmente, la natura degli atti impugnati,
anche tenuto conto della proposizione, da parte dei
ricorrenti, di una pluralità di doglianze, graduate in
ragione di ciò che questo Collegio riterrà essere il
contenuto di tali atti.
La nota prot. n. 14404/2017, infatti, è stata contestata:
quale semplice atto con cui, nel presupposto che
sull’istanza di accertamento di conformità non si sia
formato un provvedimento tacito di assenso, si è
preannunciata l’adozione di un provvedimento di diniego
(primo motivo); quale atto di ritiro del provvedimento di
assenso (secondo motivo) e quale provvedimento di rigetto
dell’istanza di accertamento di conformità (terzo motivo).
Orbene, ritiene il Collegio che non possa prescindersi dal
dato testuale (“questo ufficio … provvederà ad emettere
il provvedimento definitivo di diniego”), che non
consente di attribuire natura provvedimentale alla nota, che
preavvisa dell’adozione di un successivo provvedimento di
diniego.
Benché tale atto contenga l’indicazione delle ragioni per le
quali l’ufficio “ritiene di non accogliere la richiesta
di accertamento di conformità”, la manifestazione di
tale intendimento deve ritenersi abbia la natura di avviso
ex art. 10-bis l. 241/1990, più che di provvedimento
sull’istanza e ciò nonostante un primo preavviso di rigetto
fosse stato adottato con nota del 24.12.2016.
L’atto, dunque, è stato adottato nel presupposto della
pendenza del procedimento e, quindi, della mancata
formazione di un provvedimento tacito di assenso; benché si
tratti di atto endoprocedimentale, esso presenta autonoma
lesività nella misura in cui implicitamente nega che si sia
formato il silenzio-assenso e, sotto tale profilo, ne va
vagliata la legittimità.
Va, in altre parole, scrutinata la questione dell’avvenuta
formazione, nel caso in esame, del provvedimento tacito di
assenso.
Il silenzio-assenso sull’istanza di accertamento di
conformità è stato introdotto con la legge regionale n. 16
del 10.08.2016, che, all’art. 14, co. 3, ha così stabilito:
“In presenza della documentazione e dei pareri previsti,
sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il
responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia
con adeguata motivazione, entro novanta giorni decorsi i
quali la richiesta si intende assentita”.
Tale regime, dunque, è andato a sostituire –per un breve
periodo, ossia fino all’intervento della Corte
Costituzionale– l’opposto regime del silenzio-rigetto,
dettato dall’art. 36, D.P.R. 380/2001.
Ai sensi del terzo comma di tale articolo, “Sulla
richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il
responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia
con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i
quali la richiesta si intende rifiutata”.
Occorre stabilire, in assenza di disposizione transitoria,
quale dei due regimi normativi sia applicabile al
procedimento in esame, avviato con istanza avanzata il
30.08.2016.
Deve rilevarsi, a tale proposito, che la legge regionale n.
16/2016 è stata pubblicata nel supplemento ordinario alla
gazzetta ufficiale della Regione Siciliana n. 36 del
19.08.2016 e, pertanto, ai sensi dell’art. 13 dello Statuto
regionale, che prevede un periodo di vacatio legis di
15 giorni, è entrata in vigore il 03.09.2016.
Alla data di proposizione della domanda, dunque, la
normativa di nuova introduzione, disciplinante l’istituto
del silenzio-assenso, non era entrata in vigore. Tale
circostanza impedisce che alla stessa possa applicarsi la
nuova disciplina.
Lo speciale effetto attribuito dalla legge alla fattispecie
complessa costituita dalla proposizione dell’istanza,
corredata dalla necessaria documentazione, e dal decorso del
termine normativamente previsto non può infatti farsi
retroagire alle istanze avanzate prima dell’entrata in
vigore della normativa che tale fattispecie disciplini.
Ha affermato, in proposito, il Consiglio di Stato: “La
procedura di silenzio-assenso è applicabile soltanto alle
istanze presentate successivamente all'entrata in vigore
delle norme che la istituiscono, atteso che solo un'istanza
posteriore a tale momento può ritenersi qualificata come
elemento della relativa fattispecie, cioè posta in essere
quando è previsto il prodursi di quel particolare effetto di
pendenza che impone ex novo uno speciale e pregnante obbligo
dell'amministrazione, in precedenza non configurabile, di
attivarsi tempestivamente o, in alternativa, l'operare di un
effetto abilitativo/permissivo favorevole all'istante,
connesso all'inerzia dell'amministrazione oltre il limite
temporale indicato dalla norma” (sez. V, 02.10.2008, n.
4755; nello stesso senso, sez. VI, 31.01.2006, n. 327).
La peculiarità della presente fattispecie –che la distingue
dai casi esaminati nei precedenti appena citati- sta nel
fatto che la nuova normativa è entrata in vigore in pendenza
del termine per provvedere e non dopo il suo decorso. Tale
circostanza, tuttavia, non consente di pervenire a
conclusioni diverse, atteso che, comunque, non potrebbe
attribuirsi all’inerzia dell’amministrazione un effetto che
non era previsto nel momento in cui tale inerzia, anche solo
in parte, ha avuto luogo; ciò anche in considerazione del
particolare effetto ad essa connesso, che è quello di “un
surrettizio condono edilizio” (così Corte Cost. n.
232/2017).
In altri termini, anche in considerazione della necessità di
fissare la regola da applicare al procedimento, non sembra
logico che l’esito dello stesso e, soprattutto, la
conseguenza della condotta (silenziosa) da parte
dell’Amministrazione possa essere mutevole in ragione di una
normativa sopravvenuta, venendo meno, così, la certezza del
significato del comportamento che quest’ultima deve tenere.
Invero, si ribadisce con la previgente normativa, il mancato
esito all’istanza avrebbe manifestato il diniego, mentre,
con quella successiva, l’assenso e, quindi, la necessità di
attivarsi (in virtù di una norma sopravvenuta), al fine di
evitare l’eventuale diniego ritenuto legittimo.
Consegue il rigetto del ricorso. |
EDILIZIA PRIVATA:
Circa il diniego di sanatoria edilizia ordinaria
(ex art. 13 l. 47/1985, ora art. 36 d.p.r. n. 380/2001) con
riguardo ai due locali deposito realizzati mediante
edificazione di un solaio intermedio, non presentando tali
locali, aventi un’altezza interna netta di mt. 1,95, i
requisiti di altezza minima prescritti dalla normativa
vigente, essi non possono essere oggetto di sanatoria
mediante l’invocato istituto dell’accertamento di conformità
ex art. 13 l. 47/1985, il quale, come è noto e costantemente
affermato dalla giurisprudenza amministrativa, è diretto a
sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite
senza il previo rilascio del titolo, ma conformi nella
sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l'area
su cui sorgono, vigente sia al momento della loro
realizzazione che al momento della presentazione
dell'istanza di sanatoria (cd. doppia conformità).
---------------
Parte ricorrente impugna la disposizione dirigenziale n. 75
del 22/01/2001 con la quale veniva respinta, da un lato,
l'istanza di concessione edilizia in sanatoria ai sensi
dell'art. 13 l. 47/1985, in relazione alle opere abusive
eseguite in Napoli, alla Piazza ... n. 6, e consistenti
nella realizzazione di un solaio intermedio nel locale a
piano terra e frazionamento dell'appartamento al primo piano
con accorpamento dei nuovi vani realizzati, determinando
così una nuova unità abitativa autonoma del fabbricato sito
in Napoli, alla via Piazza ... n. 6 e, dall’altro, veniva
ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
...
Il ricorso è solo in parte fondato e va accolto per quanto
di ragione.
La attività istruttoria svolta in corso di giudizio ha
accertato l’inesistenza di un volume realizzato in assenza
di titolo sul ballatoio, di tal che per questa parte l’atto
impugnato va considerato illegittimo sotto il profilo della
carenza istruttoria.
Il provvedimento resiste, però, alle censure attoree nella
parte in cui reca il diniego di sanatoria edilizia ordinaria
(ex art. 13 l. 47/1985, ora art. 36 d.p.r. n. 380/2001) con
riguardo ai due locali deposito realizzati mediante
edificazione di un solaio intermedio: non presentando tali
locali, aventi un’altezza interna netta di mt. 1,95, i
requisiti di altezza minima prescritti dalla normativa
vigente, essi non possono essere oggetto di sanatoria
mediante l’invocato istituto dell’accertamento di conformità
ex art. 13 l. 47/1985, il quale, come è noto e costantemente
affermato dalla giurisprudenza amministrativa, è diretto a
sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite
senza il previo rilascio del titolo, ma conformi nella
sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l'area
su cui sorgono, vigente sia al momento della loro
realizzazione che al momento della presentazione
dell'istanza di sanatoria (cd. doppia conformità; cfr. ex
multis, TAR Campania, sez. IV, 31/01/2018 n. 695).
Il rilievo esposto consente, dunque, di ritenere superato il
primo motivo di doglianza (TAR Campania-Napoli, Sez.
IV,
sentenza 02.08.2018 n. 5171 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: immobile edificato a distanza inferiore dai limiti di legge -
rilascio del permesso di costruire in sanatoria - doppia conformità –
necessità assenso del confinante – parere (Legali Associati per Celva,
nota 12.06.2018 - tratto da www.celva.it). |
maggio 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza, al quale la Sezione pienamente aderisce, “è
legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria
di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse
non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica
vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella
vigente al momento della domanda di sanatoria.
Infatti, solo il legislatore statale (con preclusione non
solo per il potere giurisdizionale, ma anche per il
legislatore regionale)
può prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo
edilizio in sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva
del reato già commesso) e risulta del tutto ragionevole il
divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso)
in sanatoria, anche quando dopo la commissione dell’abuso vi
sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico”.
La c.d. “doppia conformità” costituisce, perciò, un
requisito dal quale non può prescindersi ai fini del
rilascio della sanatoria di opere edilizie, mentre la c.d.
“sanatoria giurisprudenziale” –consistente nel rilascio del
titolo edilizio sulla base della sola conformità dell’opera
abusiva rispetto alla pianificazione urbanistica vigente–
finirebbe per dare luogo a “un atto atipico con effetti provvedimentali che si colloca al di fuori di qualsiasi
previsione normativa e che pertanto non può ritenersi
ammesso nel nostro ordinamento, contrassegnato dal principio
di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere
tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, alla
stregua del principio di nominatività, poteri che non
possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del
principio di separazione dei poteri e l’invasione di sfere
di attribuzioni riservate all’Amministrazione”.
Del resto, secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, la
ragionevolezza della regola posta dall’articolo 36 del
d.P.R. n. 380 del 2001 discende dall’esigenza, presa in
considerazione dal legislatore, di evitare che il potere di
pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di
rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta
illecito (e punibile) e, inoltre, di dissuadere
dall’intenzione di commettere abusi, poiché chi costruisce sine titulo
è consapevole di essere tenuto alla demolizione, anche in
presenza di una sopraggiunta modificazione favorevole dello
strumento urbanistico.
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14. Non può, poi, darsi rilievo all’allegata conformità
delle opere rispetto al vigente PGT, dedotta con il quarto
motivo di ricorso.
14.1 Al riguardo, deve anzitutto rilevarsi che il PGT è
entrato in vigore in un momento successivo non solo alla
realizzazione dell’abuso, ma anche della presentazione della
domanda di sanatoria.
14.2 Ciò posto, deve escludersi la possibilità che l’opera
abusivamente realizzata possa essere sanata sulla base del
solo riscontro della conformità agli strumenti urbanistici
vigenti.
E invero, secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza, al quale la Sezione pienamente aderisce, “è
legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria
di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse
non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica
vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella
vigente al momento della domanda di sanatoria (Cons. St.,
Sez. V, 17.03.2014, n. 1324; Sez. V, 11.06.2013, n.
3235; Sez. V, 17.09.2012, n. 4914; Sez. V, 25.02.2009, n. 1126; Sez. IV, 26.04.2006, n. 2306).
Infatti, solo il legislatore statale (con preclusione non
solo per il potere giurisdizionale, ma anche per il
legislatore regionale: Corte Cost., 29.05.2013, n. 101)
può prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo
edilizio in sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva
del reato già commesso) e risulta del tutto ragionevole il
divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso)
in sanatoria, anche quando dopo la commissione dell’abuso vi
sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico”
(così Cons. Stato, Sez. V, 27.05.2014, n. 2755).
La c.d. “doppia conformità” costituisce, perciò, un
requisito dal quale non può prescindersi ai fini del
rilascio della sanatoria di opere edilizie, mentre la c.d.
“sanatoria giurisprudenziale” –consistente nel rilascio del
titolo edilizio sulla base della sola conformità dell’opera
abusiva rispetto alla pianificazione urbanistica vigente–
finirebbe per dare luogo a “un atto atipico con effetti provvedimentali che si colloca al di fuori di qualsiasi
previsione normativa e che pertanto non può ritenersi
ammesso nel nostro ordinamento, contrassegnato dal principio
di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere
tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, alla
stregua del principio di nominatività, poteri che non
possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del
principio di separazione dei poteri e l’invasione di sfere
di attribuzioni riservate all’Amministrazione” (Cons. Stato,
Sez. VI, 18.07.2016, n. 3194).
Del resto, secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, la
ragionevolezza della regola posta dall’articolo 36 del
d.P.R. n. 380 del 2001 discende dall’esigenza, presa in
considerazione dal legislatore, di evitare che il potere di
pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di
rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta
illecito (e punibile) e, inoltre, di dissuadere
dall’intenzione di commettere abusi, poiché chi costruisce
sine titulo è consapevole di essere tenuto alla demolizione,
anche in presenza di una sopraggiunta modificazione
favorevole dello strumento urbanistico (Cons. Stato, Sez. V,
17.03.2014, n. 1324, e Id., n. 2755 del 2014, cit.).
14.3 Anche il quarto motivo di ricorso va, perciò, rigettato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.05.2018 n. 1298 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’istanza presentata al Comune ha
ad oggetto il rilascio di un permesso di costruire a
parziale sanatoria.
Conseguentemente, la disciplina applicabile alla suddetta
istanza non è quella relativa al rilascio dell’ordinario
permesso di costruire, dettata dall’articolo 20 del d.P.R.
n. 380 del 2001 e dall’articolo 38 della legge regionale n.
12 del 2005, bensì quella dell’accertamento di conformità di
cui all’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Previsione, quest’ultima, che interviene, peraltro, in un
ambito sottratto alla legislazione regionale, in quanto è
finalizzata alla sanatoria di opere abusive.
---------------
L'arti. 36
dpr 380/2001 stabilisce espressamente che “Sulla richiesta di permesso in
sanatoria il dirigente o il responsabile del competente
ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione,
entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si
intende rifiutata”. E, al riguardo, la giurisprudenza ha da
tempo chiarito che la previsione normativa determina la
formazione legale e automatica di un provvedimento di
diniego una volta decorso il termine stabilito.
Nessun ritardo è, perciò, configurabile, atteso che la parte
istante avrebbe potuto impugnare il provvedimento di diniego
formatosi per silentium dopo sessanta giorni dalla
presentazione dell’istanza.
In ogni caso, deve pure tenersi presente che anche a
volere –in ipotesi– ritenere applicabili le diverse norme procedimentali invocate dai ricorrenti, non sarebbe comunque
ravvisabile un vizio del provvedimento a causa del mancato
rispetto dei termini da essi allegati. E ciò in quanto, in
base ai principi, “in assenza di una specifica disposizione
che espressamente preveda il termine come perentorio,
comminando la perdita della possibilità di azione da parte
dell’Amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione
della decadenza, il termine stesso deve intendersi come
meramente sollecitatorio o ordinatorio ed il suo superamento
non determina l’illegittimità dell’atto, ma una semplice
irregolarità non viziante”.
---------------
15. Con il quinto motivo di impugnazione, i ricorrenti
deducono la violazione del termine per provvedere,
richiamando la disciplina del rilascio del permesso di
costruire di cui all’articolo 38 della legge regionale n. 12
del 2005.
15.1 Al riguardo, deve anzitutto osservarsi che, nel caso
oggetto del presente giudizio, il superamento del termine
per provvedere è ontologicamente inconfigurabile.
L’istanza presentata al Comune, e che ha condotto
all’emanazione del provvedimento impugnato, aveva, infatti,
ad oggetto il rilascio di un permesso di costruire a
parziale sanatoria.
Conseguentemente, la disciplina applicabile alla suddetta
istanza non è quella relativa al rilascio dell’ordinario
permesso di costruire, dettata dall’articolo 20 del d.P.R.
n. 380 del 2001 e dall’articolo 38 della legge regionale n.
12 del 2005, bensì quella dell’accertamento di conformità di
cui all’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001. Previsione,
quest’ultima, che interviene, peraltro, in un ambito
sottratto alla legislazione regionale, in quanto è
finalizzata alla sanatoria di opere abusive (cfr. C. cost.
n. 232 del 2017).
Ciò posto, deve rilevarsi che il predetto articolo 36
stabilisce espressamente che “Sulla richiesta di permesso in
sanatoria il dirigente o il responsabile del competente
ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione,
entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si
intende rifiutata”. E, al riguardo, la giurisprudenza ha da
tempo chiarito che la previsione normativa determina la
formazione legale e automatica di un provvedimento di
diniego una volta decorso il termine stabilito (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV,
06.06.2008, n. 2681).
Nessun ritardo è, perciò, configurabile, atteso che la parte
istante avrebbe potuto impugnare il provvedimento di diniego
formatosi per silentium dopo sessanta giorni dalla
presentazione dell’istanza e che è stato poi superato dalla
nuova determinazione negativa assunta espressamente
dall’Amministrazione in esito all’istruttoria svolta.
15.2 In ogni caso, deve pure tenersi presente che anche a
volere –in ipotesi– ritenere applicabili le diverse norme
procedimentali invocate dai ricorrenti, non sarebbe comunque
ravvisabile un vizio del provvedimento a causa del mancato
rispetto dei termini da essi allegati. E ciò in quanto, in
base ai principi, “in assenza di una specifica disposizione
che espressamente preveda il termine come perentorio,
comminando la perdita della possibilità di azione da parte
dell’Amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione
della decadenza, il termine stesso deve intendersi come
meramente sollecitatorio o ordinatorio ed il suo superamento
non determina l’illegittimità dell’atto, ma una semplice
irregolarità non viziante” (Cons. Stato, Sez. VI, 27.02.2012, n. 1084).
15.3 Anche il quinto e ultimo motivo di impugnazione va,
perciò, rigettato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.05.2018 n. 1298 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L. Vergine,
EFFETTI DELLA DOMANDA IN SANATORIA EX ART. 36 DEL DPR
380/2001 IN CASO DI PREGRESSA ADOZIONE DELL’ORDINANZA DI
DEMOLIZIONE. Breve nota alla sentenza
22.03.2018 n. 468
del TAR Puglia–Lecce.
...
La
sentenza 22.03.2018 n. 468 del TAR Puglia –Sez.
I di Lecce–
esamina il caso del ricorso proposto avverso l’ordinanza di
demolizione con l’unico motivo della presentazione della
domanda di sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001.
Tale disposizione espressamente prevede che decorsi 60
giorni dall’istanza senza che l’amministrazione si pronunci
si formi il silenzio-rigetto (III comma), che, se non
impugnato, rende definitivo il provvedimento implicito di
diniego.
La novità dell’arresto giurisprudenziale del Tar è
rappresentato dal principio secondo cui anche nel caso in
cui la P.A. adotti, ai sensi dell’art. 10-bis della L. n.
241/1990, il preavviso di rigetto, rappresentando le ragioni
ostative all’accoglimento dell’istanza in sanatoria, alla
quale il privato non ha dato seguito, il termine per il
perfezionamento del silenzio-rigetto continua decorrere fino
alla formazione del silenzio-rigetto.
In questo caso, il provvedimento implicito di rigetto non ha
l’effetto di riavviare il procedimento sanzionatorio
(ordinanza di demolizione) in quanto –precisa il TAR– la
mancata impugnazione conduce a ”…consolidare l’ordine
demolitorio inizialmente impartito, senza la necessità che
l’Ente emetta una nuova ordinanza di demolizione”.
Questo indirizzo è conforme alla più recente giurisprudenza
del Consiglio di Stato secondo cui “La presentazione di
una nuova istanza ex art. 36, d.P.R. 06.06.2001, n. 380 non
rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso e,
quindi, non determina l'improcedibilità, per sopravvenuta
carenza d'interesse, dell'impugnazione proposta avverso
l'ordinanza di demolizione, ma comporta, tutt'al più, un
arresto temporaneo dell'efficacia della misura repressiva
che riacquista la sua efficacia nel caso di rigetto della
domanda di sanatoria. Sostenere che, nell'ipotesi di
rigetto, esplicito o implicito, dell'istanza di accertamento
di conformità, l'Amministrazione debba riadottare
l'ordinanza di demolizione, equivarrebbe a riconoscere in
capo a un soggetto privato, destinatario di un provvedimento
sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un
sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento”
(Cons. di Stato, sez. VI, 04.04.2017 n. 1565) (22.03.2018 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche nel caso in cui la P.A. adotti, ai sensi
dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990, il preavviso di
rigetto, rappresentando le ragioni ostative all’accoglimento
dell’istanza in sanatoria, alla quale il privato non ha dato
seguito, il termine per il perfezionamento del
silenzio-rigetto continua decorrere fino alla formazione del
silenzio-rigetto.
In questo caso, il provvedimento implicito di rigetto non ha
l’effetto di riavviare il procedimento sanzionatorio
(ordinanza di demolizione) in quanto la mancata impugnazione
conduce a ”…consolidare l’ordine demolitorio inizialmente
impartito, senza la necessità che l’Ente emetta una nuova
ordinanza di demolizione”.
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La ricorrente ha impugnato l'ordinanza n. 25 del 25.11.2016
con la quale il Comune di Seclì le ha intimato la
demolizione di un fabbricato in muratura della superficie di
mq. 83,67, realizzato in assenza del previo rilascio del
necessario titolo edilizio.
Nell’atto introduttivo la ricorrente ha allegato di avere
presentato, in data 24.02.2017, istanza di accertamento di
conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001 ed ha
eccepito, come unico motivo di ricorso, la conseguente
illegittimità sopravvenuta dell’atto impugnato.
Il Comune di Seclì si è costituito in giudizio e con memoria
depositata in data 19.01.2018 ha evidenziato il formarsi del
silenzio-rifiuto ex art. 36, comma 3°, D.P.R. n. 380 del
2001 sull’istanza presentata dalla ricorrente, essendo
decorsi sessanta giorni dal deposito senza che l’Ente si sia
espresso favorevolmente e non avendo, peraltro, la signora
Mo. articolato alcuna osservazione dopo l’invio da parte del
Comune del preavviso di diniego ex art. 10-bis della Legge
n. 241 del 1990, né prodotto l’ulteriore documentazione
preannunciata con mail del 18.05.2017.
Il Collegio all’esito del giudizio, sulla base delle difese
assunte dalle parti, degli atti prodotti e dei principi
applicabili alla materia, ritiene il ricorso infondato.
Invero, la ricorrente ha articolato quale unica doglianza
l’illegittimità sopravvenuta del provvedimento impugnato,
per effetto della presentazione della domanda ex art. 36
D.P.R. n. 380 del 2001in relazione al fabbricato abusivo, ma
su tale domanda, come dimostrato dall’Ente convenuto, si è
formato il silenzio-rifiuto ex art. 36, comma 3°, D.P.R. n.
380 del 2001, provvedimento implicito che la signora Mo. non
ha impugnato nei termini di legge, con conseguente
consolidamento dell’ordine demolitorio inizialmente
impartito, senza necessità che l’Ente emetta una nuova
ordinanza di demolizione (Consiglio di Stato, sentenza n.
1565 del 2017) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 22.03.2018 n. 468 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il silenzio-rigetto tipizzato dall’art. 36, comma 3, del DPR
n. 380 del 2001 esonera la Pubblica Amministrazione dal
fornire una risposta esplicita sull’istanza e, dunque, non è
configurabile a suo carico un’omissione di pronuncia.
L'Amministrazione, secondo la
giurisprudenza maggioritaria, è tenuta a riscontrare le
istanze dei privati soltanto laddove vi sia un obbligo di
avvio del procedimento, che deve essere previsto
dall’ordinamento, anche implicitamente.
---------------
Nella fattispecie de qua, l’unica norma che può fondare un
tale obbligo di avvio (e correlata conclusione) del
procedimento risulta essere il citato art. 36 del D.P.R. n.
380 del 2001, che riguarda l’accertamento di conformità;
tuttavia, il comma 3 stabilisce che “sulla richiesta di
permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata
motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la
richiesta si intende rifiutata”.
Da ciò discende che “il silenzio serbato
dall’Amministrazione comunale sull’istanza di accertamento
di conformità urbanistica non ha valore di
silenzio-inadempimento, ma di silenzio-rigetto. Con la
conseguenza che, all’atto della sua formazione per inutile
decorso del relativo termine, non sussiste un obbligo di
provvedere, dovendosi già ritenere costituito il
provvedimento negativo tacito da impugnare (…). Pertanto, a
fronte di un’istanza di accertamento postumo di conformità,
l’inerzia dell’amministrazione costituisce un’ipotesi tipica
di silenzio-significativo, i cui effetti si identificano con
un provvedimento (tacito) di rigetto dell’istanza. In quanto
tacito, tale provvedimento impone all’interessato l’onere di
tempestiva impugnazione (…)”.
---------------
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Come eccepito dalla difesa comunale, i ricorrenti hanno
chiesto al Comune, attraverso le due istanze trasmesse il
14.07.2017, di accertare nella sostanza la conformità
edilizia di una serie di manufatti realizzati sia prima
dell’anno 1977, sia successivamente.
Il contenuto concreto delle istanze appare del tutto
evidente, nonostante nelle stesse si utilizzino i termini ‘validazione’
e ‘fiscalizzazione dell’abuso edilizio’, trattandosi
dell’istituto disciplinato dall’art. 36 del D.P.R. n. 380
del 2001, ossia dell’accertamento di conformità, attraverso
il quale “il responsabile dell’abuso, o l’attuale
proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in
sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”.
Difatti, il presupposto normativo posto a fondamento delle
istanze è le legge sul procedimento amministrativo (legge n.
241 del 1990) e, soltanto nella istanza relativa alle opere
realizzate dopo il 1977, è stato richiamato anche il D.P.R.
n. 380 del 2001 (cfr. all. 3 al ricorso); inoltre,
l’Amministrazione, secondo la giurisprudenza maggioritaria,
è tenuta a riscontrare le istanze dei privati soltanto
laddove vi sia un obbligo di avvio del procedimento, che
deve essere previsto dall’ordinamento, anche implicitamente
(cfr. Consiglio di Stato, VI, 08.05.2017, n. 2099; altresì
V, 09.03.2015, n. 1182).
Nella fattispecie de qua, l’unica norma che può
fondare un tale obbligo di avvio (e correlata conclusione)
del procedimento risulta essere il citato art. 36 del D.P.R.
n. 380 del 2001, che riguarda l’accertamento di conformità;
tuttavia, il comma 3 stabilisce che “sulla richiesta di
permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata
motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la
richiesta si intende rifiutata”.
Da ciò discende che “il silenzio serbato
dall’Amministrazione comunale sull’istanza di accertamento
di conformità urbanistica non ha valore di
silenzio-inadempimento, ma di silenzio-rigetto. Con la
conseguenza che, all’atto della sua formazione per inutile
decorso del relativo termine, non sussiste un obbligo di
provvedere, dovendosi già ritenere costituito il
provvedimento negativo tacito da impugnare (…). Pertanto, a
fronte di un’istanza di accertamento postumo di conformità,
l’inerzia dell’amministrazione costituisce un’ipotesi tipica
di silenzio-significativo, i cui effetti si identificano con
un provvedimento (tacito) di rigetto dell’istanza. In quanto
tacito, tale provvedimento impone all’interessato l’onere di
tempestiva impugnazione (…)” (TAR Calabria, Catanzaro,
II, 22.08.2016, n. 1633; più di recente, TAR Puglia, Lecce,
II, 12.01.2018, n. 30).
In conclusione, l’impugnativa in epigrafe, proposta nelle
forme del ricorso avverso il silenzio-inadempimento, è
inammissibile, in quanto il silenzio rigetto tipizzato
dall’art. 36, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001 esonera la
Pubblica Amministrazione dal fornire una risposta esplicita
sull’istanza, e dunque non è configurabile a suo carico
un’omissione di pronuncia (cfr. TAR Campania, Napoli, III,
05.10.2017, n. 4683; TAR Toscana, III, 15.07.2011, n. 1223).
3. Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso deve
essere dichiarato inammissibile (TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2018 n. 179 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costituisce ius receptum la regola secondo cui
alla richiesta di sanatoria e agli adempimenti relativi
possono provvedere non solo coloro che hanno a titolo
richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione ex
art. 11 t.u. edilizia ma anche, «salvo rivalsa nei confronti
del proprietario, ogni altro soggetto interessato al
conseguimento della sanatoria medesima»: la sanatoria,
quindi, è fungibile ratione personarum, ma a condizione che
sia acquisito in modo univoco il consenso comunque
manifestato dal proprietario.
E’ vero che in materia di sanatoria la normativa di
riferimento (art. 36 T.U. edilizia) ammette la proposizione
dell'istanza da parte non solo del proprietario ma anche del
responsabile dell’abuso, ma tale ultima qualità non è di per
sé sufficiente a radicare il titolo per la proposizione
della relativa istanza, occorrendo comunque il consenso del
soggetto titolare del bene interessato il quale, ove
estraneo all'illecito, può astrattamente avere un interesse
contrario alla definitiva regolarizzazione.
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L’art. 36 del d. P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che «in
caso di interventi realizzati in assenza di permesso di
costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di
segnalazione certificata di inizio attività […] o in
difformità da essa […] il responsabile dell’abuso, o
l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il
permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda».
La predetta disposizione contiene talune differenze rispetto
a quella omologa previgente contenuta nell’art. 13 della l.
n. 47 del 1985, previsione quest’ultima che ammetteva il
rilascio del titolo in sanatoria in presenza della
conformità delle opere «agli strumenti urbanistici generali
e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli
adottati sia al momento della realizzazione dell'opera, sia
al momento della presentazione della domanda».
Sul punto ritiene il Collegio che la predetta differenza
semantica sia da giudicarsi del tutto irrilevante ai fini
del rilascio del titolo in sanatoria, sul rilievo che ove si
ammettesse quale limite e presupposto dell’accertamento di
cui trattasi la conformità delle opere abusive allo
strumento urbanistico soltanto approvato si finirebbe per
assentire, con lo strumento della sanatoria, opere che in
realtà non potrebbero essere autorizzate per il tramite di
un ordinario permesso di costruire.
La Corte di Cassazione, sul punto, ha nitidamente affermato
che «il mutamento lessicale della formulazione normativa (di
cui si è dato conto dianzi) deve considerarsi irrilevante,
in quanto la conformità alla “disciplina urbanistica
vigente” si riferisce sicuramente pure al rispetto delle
norme di salvaguardia connesse alle prescrizioni dello
strumento urbanistico adottato».
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7.- Il ricorso, poiché infondato, deve essere rigettato.
8.- È indubbio che il Comune di San Pietro in Casale,
allorché tra i motivi posti alla base della sospensione
della D.I.A. ha identificato la carenza di titolo alla
presentazione della medesima D.I.A. abbia inteso riferirsi,
seppur implicitamente, alla carenza del titolo di proprietà
che avrebbe legittimato l’intervento sanante di cui
trattasi.
In tal senso, ad avviso del Collegio, non ci si trova al
cospetto di un’integrazione postuma della motivazione del
provvedimento quanto di un’indicazione che, seppur in modo
sintetico, ha rilevato la carenza di presupposti per
avvalersi della possibilità di ottenere un titolo postumo
idoneo a sanare le opere abusivamente realizzate.
Sul punto, costituisce, invero, ius receptum la
regola secondo cui alla richiesta di sanatoria e agli
adempimenti relativi possono provvedere, non solo coloro che
hanno a titolo richiedere la concessione edilizia o
l’autorizzazione ex art. 11 t.u. edilizia, ma anche, «salvo
rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto
interessato al conseguimento della sanatoria medesima»:
la sanatoria, quindi, è fungibile ratione personarum,
ma a condizione che sia acquisito in modo univoco il
consenso comunque manifestato dal proprietario.
E’ vero che in materia di sanatoria la normativa di
riferimento (art. 36 T.U. edilizia ed anche la l.r. Em. Rom.
n. 23 del 2004, art. 17) ammette la proposizione
dell'istanza da parte non solo del proprietario ma anche del
responsabile dell’abuso, ma tale ultima qualità non è di per
sé sufficiente a radicare il titolo per la proposizione
della relativa istanza, occorrendo comunque il consenso del
soggetto titolare del bene interessato il quale, ove
estraneo all'illecito, può astrattamente avere un interesse
contrario alla definitiva regolarizzazione.
Nel caso di specie, la mancata acquisizione del consenso da
parte del Condominio «Il Mu», odierno proprietario del bene,
non può giustificarsi sulla base della asserita qualità di
cointeressato che lo stesso Condominio rivestirebbe,
dovendosi, al contrario, ritenere che il medesimo soggetto
giuridico potrebbe astrattamente serbare un interesse alla
rimessione in pristino dei luoghi e non già alla
conservazione delle opere realizzate in difformità dal
titolo abilitativo.
9.- Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta
l’inapplicabilità delle misure di salvaguardia al caso di
specie poiché non viene in rilievo una D.I.A. ordinaria
bensì una D.I.A. in sanatoria volta ad ottenere
l’accertamento di conformità previsto dall’art. 36 del
d.P.R. n. 380 del 2001.
La questione si porrebbe, ad avviso del ricorrente, poiché è
vero che il R.U.E ha introdotto, anche per gli interventi di
ristrutturazione edilizia, la separazione acque
bianche/acque nere ma lo stesso R.U.E., seppur adottato
anteriormente alla presentazione della D.I.A. in sanatoria,
è stato approvato in un momento successivo ad essa.
Tale circostanza deporrebbe, ad avviso della Er. s.r.l., per
l’applicazione alla vicenda per cui è causa del pregresso
assetto normativo comunale, ossia dell’art. 24 del
previgente regolamento per il servizio di fognatura e
depurazione approvato nel 1986.
9.1.- Il motivo non è meritevole di pregio.
9.2.- L’art. 36 del d. P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che «in
caso di interventi realizzati in assenza di permesso di
costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di
segnalazione certificata di inizio attività […] o in
difformità da essa […] il responsabile dell’abuso, o
l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il
permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda».
La predetta disposizione contiene talune differenze rispetto
a quella omologa previgente contenuta nell’art. 13 della l.
n. 47 del 1985, previsione quest’ultima che ammetteva il
rilascio del titolo in sanatoria in presenza della
conformità delle opere «agli strumenti urbanistici
generali e di attuazione approvati e non in contrasto con
quelli adottati sia al momento della realizzazione
dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda».
Sul punto ritiene il Collegio che la predetta differenza
semantica sia da giudicarsi del tutto irrilevante ai fini
del rilascio del titolo in sanatoria, sul rilievo che ove si
ammettesse quale limite e presupposto dell’accertamento di
cui trattasi la conformità delle opere abusive allo
strumento urbanistico soltanto approvato si finirebbe per
assentire, con lo strumento della sanatoria, opere che in
realtà non potrebbero essere autorizzate per il tramite di
un ordinario permesso di costruire.
La Corte di Cassazione, sul punto, ha nitidamente affermato
che «il mutamento lessicale della formulazione normativa
(di cui si è dato conto dianzi) deve considerarsi
irrilevante, in quanto la conformità alla “disciplina
urbanistica vigente” si riferisce sicuramente pure al
rispetto delle norme di salvaguardia connesse alle
prescrizioni dello strumento urbanistico adottato»
(Cass. pen. Sez. III, n. 21781 del 2011; sul punto già
Cass., sez. III, n. 291 del 2004).
...
11.- Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso,
poiché infondato, deve essere rigettato (TAR Emilia
Romagna-Bolgna, Sez. II,
sentenza 10.01.2018 n. 17 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Al fine del rilascio del permesso in sanatoria,
la norma statale prescrive che gli interventi abusivi siano
conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia
al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento
della presentazione della istanza di cui all’art. 36
(cosiddetta doppia conformità).
Come confermato dalla giurisprudenza di legittimità e dalla
recente giurisprudenza amministrativa, il rilascio del
permesso in sanatoria estingue il reato di cui all’art. 44
del Testo unico dell’edilizia, sempre che «ricorrano tutte
le condizioni espressamente indicate dall'art. 36 della
normativa e precisamente, la doppia conformità delle opere
alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della
realizzazione del manufatto, sia al momento della
presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi
la possibilità di una legittimazione postuma di opere
originariamente abusive che, solo successivamente, in
applicazione della c.d. sanatoria giurisprudenziale, o
impropria, siano divenute conformi alle norme edilizie
ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica».
L’art. 36 del t.u. edilizia stabilisce, inoltre, che,
trascorsi 60 giorni dalla presentazione dell’istanza senza
che l’ufficio competente si sia pronunciato, si formi il
cosiddetto silenzio-rigetto, che pertanto esclude l’effetto
estintivo del reato.
Questa Corte si è più volte occupata del principio
dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36 t.u.
edilizia e ha affermato che esso, che costituisce «principio
fondamentale nella materia governo del territorio», è
«finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della
disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco
temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la
presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento
di conformità».
Tale istituto si distingue dal condono edilizio, in quanto
«fa riferimento alla possibilità di sanare opere che,
sebbene sostanzialmente conformi alla disciplina urbanistica
ed edilizia, sono state realizzate in assenza del titolo
stesso, ovvero con varianti essenziali», laddove il condono
edilizio «ha quale effetto la sanatoria non solo formale ma
anche sostanziale dell’abuso, a prescindere dalla conformità
delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed
edilizia».
Anche a prescindere da tali classificazioni, occorre
ricordare che, sebbene questa Corte abbia riconosciuto che
la disciplina dell’accertamento di conformità attiene al
governo del territorio, ha comunque precisato che spetta al
legislatore statale la scelta sull’an, sul quando e sul
quantum della sanatoria, potendo il legislatore regionale
intervenire solo per quanto riguarda l’articolazione e la
specificazione di tali disposizioni.
Quanto alle Regioni ad autonomia speciale, ove nei
rispettivi statuti si prevedano competenze legislative di
tipo primario, si è puntualizzato che esse devono, in ogni
caso, rispettare il limite della materia penale e di «quanto
è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento
eccezionale di grande riforma», come nel caso del titolo
abilitativo edilizio in sanatoria.
---------------
4.– Viene, poi, impugnato l’art. 14 della medesima legge
regionale n. 16 del 2016, in specie là dove, recependo
nell’ordinamento regionale l’art. 36 del t.u. edilizia in
materia di “accertamento di conformità”, stabilisce,
al comma 1, che «[…] il responsabile dell’abuso, o
l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il
permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della
presentazione della domanda» e, al comma 3, che «[i]n
presenza della documentazione e dei pareri previsti, sulla
richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il
responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia
con adeguata motivazione, entro novanta giorni decorsi i
quali la richiesta si intende assentita».
Tali previsioni sarebbero entrambe costituzionalmente
illegittime per violazione dell’art. 14, primo comma,
lettera f), dello statuto speciale e dell’art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost. Infatti, la prima (il comma 1)
introdurrebbe una surrettizia forma di condono edilizio e
con ciò eccederebbe dalla competenza legislativa esclusiva
attribuita alla Regione in materia di urbanistica dall’art.
14, primo comma, lettera f), dello statuto, con conseguente
invasione della sfera di competenza esclusiva statale in
materia di «ordinamento penale» di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost.
Quanto alla seconda (il comma 3 del medesimo art. 14), essa,
nella parte in cui introduce un meccanismo di
silenzio-assenso ai fini del rilascio del permesso in
sanatoria, che discende dal mero decorso del termine di
novanta giorni, in contrasto con la normativa statale,
determinerebbe un effetto estintivo delle contravvenzioni
contemplate dall’art. 44 del t.u. edilizia, incidendo, anche
in tal caso, sulla competenza esclusiva del legislatore
statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost.
L’art. 14, commi 1 e 3, si porrebbe in contrasto anche con
l’art. 3 Cost. in quanto, secondo il ricorrente,
introdurrebbe una discriminazione ingiustificata fra
soggetti operanti in diverse Regioni, a parità di
comportamento tenuto.
4.1.–
Le questioni promosse nei confronti dell’art. 14,
commi 1 e 3, della legge regionale n. 16 del 2016, in
riferimento agli artt. 14, primo comma, lettera f ), dello
statuto speciale e 117, secondo comma, lettera l ), Cost.,
sono fondate.
Le disposizioni impugnate sono contenute nell’art. 14 della
legge regionale n. 16 del 2016, intitolato «Recepimento
con modifiche dell’articolo 36 “Accertamento di conformità”
del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n.
380».
Come si evince dalla stessa intitolazione, l’art. 36 del
d.P.R. n. 380 del 2001 disciplina l’accertamento di
conformità e cioè quello strumento attraverso cui si
consente la sanatoria di manufatti o opere, realizzati in
assenza di titolo edilizio.
Al fine del rilascio del permesso in sanatoria, la norma
statale prescrive che gli interventi abusivi siano conformi
alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo
della realizzazione dell’opera, sia al momento della
presentazione della istanza di cui all’art. 36 (cosiddetta
doppia conformità).
Come confermato dalla giurisprudenza di legittimità (di
recente Cass., sez. terza, n. 26425 del 2016; Cass., sez.
terza, n. 35872 del 2016) e dalla recente giurisprudenza
amministrativa (Consiglio di Stato, sez. sesta, n. 3194 del
2016), il rilascio del permesso in sanatoria estingue il
reato di cui all’art. 44 del Testo unico dell’edilizia,
sempre che «ricorrano tutte le condizioni espressamente
indicate dall'art. 36 della normativa e precisamente, la
doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica
vigente sia al momento della realizzazione del manufatto,
sia al momento della presentazione della domanda di
sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una
legittimazione postuma di opere originariamente abusive che,
solo successivamente, in applicazione della c.d. sanatoria
giurisprudenziale, o impropria, siano divenute conformi alle
norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione
urbanistica» (Cass., sez. terza, n. 26425 del 2016).
L’art. 36 del t.u. edilizia stabilisce, inoltre, che,
trascorsi 60 giorni dalla presentazione dell’istanza senza
che l’ufficio competente si sia pronunciato, si formi il
cosiddetto silenzio-rigetto, che pertanto esclude l’effetto
estintivo del reato.
Questa Corte si è più volte occupata del principio
dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36 t.u.
edilizia e ha affermato che esso, che costituisce «principio
fondamentale nella materia governo del territorio» (da
ultimo, sentenza n. 107 del 2017), è «finalizzato a
garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica
ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la
realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza
volta ad ottenere l’accertamento di conformità»
(sentenza n. 101 del 2013).
Tale istituto si distingue dal condono edilizio, in quanto «fa
riferimento alla possibilità di sanare opere che, sebbene
sostanzialmente conformi alla disciplina urbanistica ed
edilizia, sono state realizzate in assenza del titolo
stesso, ovvero con varianti essenziali», laddove il
condono edilizio «ha quale effetto la sanatoria non solo
formale ma anche sostanziale dell’abuso, a prescindere dalla
conformità delle opere realizzate alla disciplina
urbanistica ed edilizia» (sentenza n. 50 del 2017).
Anche a prescindere da tali classificazioni, occorre
ricordare che, sebbene questa Corte abbia riconosciuto che
la disciplina dell’accertamento di conformità attiene al
governo del territorio, ha comunque precisato che spetta al
legislatore statale la scelta sull’an, sul quando e
sul quantum della sanatoria, potendo il legislatore
regionale intervenire solo per quanto riguarda
l’articolazione e la specificazione di tali disposizioni
(sentenza n. 233 del 2015).
Quanto alle Regioni ad autonomia speciale, ove nei
rispettivi statuti si prevedano competenze legislative di
tipo primario, si è puntualizzato che esse devono, in ogni
caso, rispettare il limite della materia penale e di «quanto
è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento
eccezionale di grande riforma», come nel caso del titolo
abilitativo edilizio in sanatoria (sentenza n. 196 del
2004).
Nel caso di specie, la norma regionale impugnata consente il
rilascio del permesso in sanatoria nel caso di intervento
edilizio di cui sia attestata la conformità alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente al solo momento della
presentazione della domanda e non anche a quello della
realizzazione dello stesso, in difformità dall’art. 36 del
t.u. edilizia (comma 1). La stessa norma (comma 3) introduce
anche l’istituto del silenzio-assenso, in luogo di quello
del silenzio-rigetto, previsto dal citato art. 36.
Sennonché la scelta della qualificazione giuridica del
comportamento omissivo dell’amministrazione costituisce
espressione di una norma di principio, condizionando –come
nel caso di specie– fra l’altro l’effetto estintivo delle
contravvenzioni contemplate dall’art. 44 del tu. edilizia.
Queste disposizioni finiscono con il configurare un
surrettizio condono edilizio e comunque travalicano la
competenza legislativa esclusiva attribuita alla Regione in
materia di urbanistica dall’art. 14, comma 1, lettera f),
dello statuto speciale, invadendo la competenza esclusiva
statale in materia di «ordinamento penale» di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con riguardo
alla sanatoria di abusi edilizi.
Né alcun rilievo assume la presunta coerenza delle
disposizioni impugnate con gli approdi di una parte della
giurisprudenza amministrativa (sulla cosiddetta sanatoria
giurisprudenziale), peraltro contraddetta da orientamenti
consolidati, espressi anche di recente (Consiglio di Stato,
sez. sesta, n. 3194 del 2016), «perché un suo eventuale
riconoscimento normativo non potrebbe che provenire dal
legislatore statale» (sentenza n. 233 del 2015).
Deve, pertanto, essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 3,
nella parte in cui, rispettivamente, prevedono che «[…]
il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario
dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se
l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente al momento della presentazione della
domanda» (comma 1) e non anche a quella vigente al
momento della realizzazione dell’intervento; e nella parte
in cui si pone «un meccanismo di silenzio-assenso che
discende dal mero decorso del termine di novanta giorni»
(comma 3) dalla presentazione dell’istanza al fine del
rilascio del permesso in sanatoria.
4.2.– Resta assorbita l’ulteriore censura rivolta alle
stesse disposizioni in riferimento all’art. 3 Cost.
...
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
...
2) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 14, commi 1 e 3, della legge della Regione
siciliana n. 16 del 2016, nella parte in cui,
rispettivamente, prevedono che «[…] il responsabile
dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono
ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti
conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al
momento della presentazione della domanda» (comma 1) e
non anche a quella vigente al momento della realizzazione
dell’intervento; e nella parte in cui si pone «un
meccanismo di silenzio-assenso che discende dal mero decorso
del termine di novanta giorni» (comma 3) dalla
presentazione dell’istanza al fine del rilascio del permesso
in sanatoria
(Corte Costituzionale,
sentenza 08.11.2017 n. 232). |
ottobre 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA: L’Adunanza
plenaria pronuncia sulla motivazione del
provvedimento di annullamento della concessione
edilizia in sanatoria adottato a distanza di anni
dal rilascio del titolo.
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Edilizia – Concessione edilizia in sanatoria –
Annullamento d’ufficio – Disposto a distanza di anni
dal rilascio della sanatoria – Motivazione in ordine
all’interesse pubblico comparato con quello del
privato – Necessità – Limiti
Nella vigenza dell’articolo
21-nonies della l. 241 del 1990 –per come introdotto
dalla l. 15 del 2005– l’annullamento d’ufficio di un
titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una
distanza temporale considerevole dal provvedimento
annullato, deve essere motivato in relazione alla
sussistenza di un interesse pubblico concreto e
attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche
tenuto conto degli interessi dei privati destinatari
del provvedimento sfavorevole.
In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi:
i) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il
potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e
che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole’ per la
sua adozione decorra soltanto dal momento della
scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e
delle circostanze posti a fondamento dell’atto di
ritiro;
ii) che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione
risulterà attenuato in ragione della rilevanza e
autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al
punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso
potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle
pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle
disposizioni di tutela che risultano in concreto
violate, che normalmente possano integrare, ove
necessario, le ragioni di interesse pubblico che
depongano nel senso dell’esercizio del ius
poenitendi);
iii) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle
circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento
dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente
di configurare in capo a lui una posizione di
affidamento legittimo, con la conseguenza per cui
l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione
potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato
richiamo alla non veritiera prospettazione di parte.
(1)
---------------
(1) I.- Con
ordinanza 19.04.2017 n. 1830 (oggetto
della
News US in data 26.04.2017, cui si rinvia
per ogni approfondimento), la quarta sezione del
Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza plenaria,
ai sensi dell’art. 99 c.p.a., la questione
concernente l’ambito della motivazione
dell’annullamento di ufficio di una concessione in
sanatoria intervenuto a considerevole distanza di
tempo dal rilascio del titolo, nella vigenza
dell’originaria versione della norma generale
sull’annullamento d’ufficio, come introdotta nel
corpo della legge 241 del 1990 con la riforma del
2005.
La rimessione è stata adottata nell’ambito di un
giudizio di appello proposto per la riforma di una
sentenza di primo grado che aveva respinto
l’originaria impugnativa dell’annullamento d’ufficio
di titoli edilizi rilasciati in sanatoria alcuni
anni prima.
La sentenza di primo grado aveva fondato il rigetto
del gravame sul principio tradizionale a mente del
quale l’interesse pubblico al ripristino della
legalità violata negli abusi edilizi è in re ipsa
e non richiede una particolare motivazione, essendo
prevalente rispetto all’interesse dei ricorrenti al
mantenimento del manufatto abusivo.
In sede di appello, richiamando la questione
sollevata da
Cons. Stato, Sez. VI, ordinanza 24.03.2017 n. 1337
(concernente la consistenza della motivazione
dell’ordine di demolizione adottato a distanza di
tempo dalla realizzazione dell’abuso), la quarta
Sezione ha rilevato il sorgere di un contrasto fra
due orientamenti, uno più recente ed uno
tradizionale, fatto proprio dal giudice di prime
cure. Il primo, sulla base del testo dell’art.
21-nonies cit., e anche in considerazione delle
recenti modifiche dello stesso, ritiene necessaria
una valutazione dell’interesse pubblico in concreto
in rapporto agli interessi dei destinatari (e dei
controinteressati) degli originari provvedimenti, in
un tempo ragionevole; con la conseguenza che il
lungo decorso del tempo agisce a favore
dell’affidamento ingenerato nel privato e incide
anche sulla valutazione del pubblico interesse in
concreto. Il secondo, sino ad ora maggioritario, pur
nella vigenza del citato articolo, esclude la
necessità della valutazione dell’interesse pubblico
in concreto, essendo esso insito nella restaurazione
della legalità violata, quantomeno, tutte le volte
che la illegittimità sia dipesa dalle prospettazioni
non veritiere del privato.
II.- L’Adunanza Plenaria, dopo aver richiamato in modo analitico le
argomentazioni dei due contrapposti indirizzi
giurisprudenziali, opera una complessiva ed
innovativa rilettura dello statuto del potere di
autotutela in materia edilizia alla luce delle norme
sancite dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del
1990, come modificata dalla legge n. 15 del 2015,
affermando i seguenti principi:
a) poiché la vicenda contenziosa è governata dalle
disposizioni in tema di annullamento d’ufficio di
cui all’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990
nell’originario testo introdotto dall’articolo 14
della l. 15 del 2005, non rilevano, ai fini della
decisione, le modifiche apportate al medesimo art.
21-nonies dall’articolo 6 della l. n. 124 del 2015,
disposizione quest’ultima dalla quale non possono
trarsi elementi o spunti interpretativi ai fini
della soluzione di questioni ricadenti sotto la
disciplina del previgente quadro normativo;
b) l’autotutela in materia edilizia, in mancanza di
una disciplina speciale (prevista ad esempio per
disciplinare le conseguenze dell’annullamento del
titolo edilizio dall’art. 38 del DPR 380/2001), è, a
tutti gli effetti, attività di amministrazione
attiva in senso proprio, implicante l’esercizio di
un potere di valutazione comparativa degli
interessi, con la conseguenza che di regola –e salva
l’ipotesi di mala fede del privato- grava
sull’amministrazione l’onere di motivare
puntualmente in ordine alla sussistenza di un
interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione
dell’atto, tenendo altresì conto dell’interesse del
destinatario al mantenimento dei relativi effetti,
con ciò dovendosi escludere la possibilità di
postulare in via generale e indifferenziata un
interesse pubblico in re ipsa alla rimozione
di titoli edilizi in sanatoria illegittimamente
rilasciati. Ciò anche in applicazione del generale
principio del clare loqui, dell’obbligo di
motivazione e della progressiva dequotazione dei
vizi meramente formali dei provvedimenti in favore
delle c.d. illegittimità praticabili desumibile da
precisi indici normativi (cfr. in tal senso la
modifica al comma 2 dell’articolo 21-nonies, cit.,
disposta dall’articolo 25, comma 2, lettera b-quater)
del decreto-legge 12.09.2014, n. 133 nonché il comma
2 dell’articolo 36 della l. 07.08.2015, n. 124 che
ha espressamente abrogato il comma 136 dell’articolo
1 della l. 30.12.2004, n. 311);
c) la teorica dell’interesse pubblico in re ipsa
implica la rimozione in via ermeneutica di due
elementi normativamente indefettibili quali la
ragionevolezza del termine e la motivata valutazione
dei diversi interessi in gioco (espressamente
contemplati dall’art. 21-octies della legge n. 241
del 1990), si fonda sul principio di inesauribilità
del potere che, tuttavia, nell’attuale fase storica,
deve conciliarsi con il valore della certezza delle
situazioni giuridiche soggettive e di prevedibilità
delle decisioni e si pone anche in contrasto con la
natura discrezionale del potere di autotutela
rendendo, di fatto, vincolata una decisione solo
eventuale;
d) la locuzione ‘termine ragionevole’ deve
essere interpretata nel senso che il termine in
questione decorre soltanto dal momento in cui
l’amministrazione è venuta concretamente a
conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto,
con la conseguenza che in caso di titoli abilitativi
rilasciati sulla base di dichiarazioni
oggettivamente non veritiere, laddove la fallace
prospettazione abbia sortito un effetto rilevante ai
fini del rilascio del titolo, è parimenti congruo
che il termine ‘ragionevole’ decorra solo dal
momento in cui l’amministrazione ha appreso della
richiamata non veridicità;
e) l’onere motivazionale, comunque gravante
sull’amministrazione nel caso di annullamento in
autotutela del titolo edilizio in precedenza
adottato, deve ritenersi comunque attenuato in
ragione della rilevanza degli interessi pubblici
tutelati. Pertanto laddove venga in rilievo la
tutela di preminenti valori pubblici di carattere ‘autoevidente’,
l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione
potrà dirsi soddisfatto attraverso il richiamo alle
pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle
disposizioni di tutela che risultano in concreto
violate le quali normalmente possano integrare le
ragioni di interesse pubblico che depongono nel
senso dell’esercizio del ius poenitendi;
f) nelle ipotesi in cui la non veritiera
prospettazione dei fatti rilevanti da parte del
soggetto interessato abbia sortito un rilievo
determinante per l’adozione dell’atto illegittimo,
l’amministrazione potrà legittimamente fondare
l’annullamento in autotutela sulla rilevata non
veridicità delle circostanze a suo tempo prospettate
dall’istante, in capo al quale non sarà
configurabile una posizione di affidamento legittimo
da valutare in relazione al concomitante interesse
pubblico, neppure qualora intercorra un
considerevole lasso di tempo fra l’abuso e
l’intervento repressivo dell’amministrazione (cfr.
Cons. Stato, IV, 12.12.2016, n. 5198;
id.,
V, 13.05.2014, n. 2451 citate in
motivazione);
g) poiché la errata prospettazione da parte del
privato delle circostanze in fatto e in diritto
sottese all’adozione dell’iniziale provvedimento
favorevole escludono la possibilità di configurare
in capo al medesimo una posizione di affidamento
incolpevole, l’amministrazione può adeguatamente
motivare l’adozione dell’atto di annullamento sul
mero dato dell’originaria, inveritiera
prospettazione.
III.- Per completezza si segnala quanto segue:
h) in tema di autotutela in materia di urbanistica
ed edilizia possono richiamarsi diversi orientamenti
giurisprudenziali su temi specifici, fra cui:
I) in relazione alla inesigibilità di particolari
garanzie partecipative in vista dell’autotutela in
presenza di un titolo edilizio rilasciato in base ad
una errata rappresentazione della realtà giuridica e
fattuale,
Cons. Stato, Sez. IV, 14.06.2017, n. 2885;
II) in relazione alla differenza fra annullamento
in autotutela del titolo edilizio da parte del
comune e annullamento regionale ex art. 39 t.u.
edilizia (pure presa in considerazione dalla
Adunanza plenaria onde evidenziarne la non
riconducibilità al medesimo genus e regime
giuridico),
Cons. Stato, Sez. IV, 16.08.2017, n. 4008
(che si segnala per la completezza della trattazione
dell’istituto; si è precisato, invero, che è ben
possibile che l’Amministrazione, in presenza di una
norma specifica come quella dell’art. 39 cit.
disponga l’annullamento del titolo edilizio anche
dopo un considerevole lasso di tempo dall’adozione
del titolo medesimo, fermo restando che in relazione
a tale norma, però, l’annullamento appare
espressione della titolarità e cogestione,
rispettivamente del potere e dell’interesse,
inerenti alla pianificazione urbanistica da parte
della regione);
III) in relazione all’estensione dell’obbligo di
motivazione,
Cons. Stato, Sez. VI, 28.06.2016, n. 2842,
secondo cui “l’amministrazione, soprattutto
quando interviene a distanza di anni dalla
formazione di un titolo abilitativo astrattamente
idoneo alla realizzazione di alcuni lavori, deve
illustrare in maniera diffusa le ragioni, anche di
interesse pubblico, che giustificano il ritiro
dell'abilitazione, ovvero le altre ragioni che
impongono il provvedimento sanzionatorio con
l'ordine di riduzione in pristino” (in Rivista
Giuridica dell'Edilizia, 2016, 4, I, 523; la
sentenza richiama, a sostegno delle tesi sostenute,
Corte cost., 09.03.2016 n. 49 – ibidem, 1-2, I, 8
con nota di STRAZZA, Giur. it., 2016, 2233, con nota
di VIPIANA PERPETUA- che ha dichiarato
incostituzionale una norma di una legge della
Regione Toscana che consentiva all'Amministrazione
di esercitare poteri sanzionatori per la repressione
degli abusi edilizi, anche oltre il termine di
trenta giorni dalla presentazione della s.c.i.a., in
un numero di ipotesi più ampio rispetto a quello
previsto dai commi 3 e 4, dell'art. 19, della l. n.
241 del 1990);
IV) in relazione all’annullamento di atto
pianificatorio,
Tar per il Lazio-Roma, Sez. II-ter, 19.07.2016, n.
8277: “Dal momento che l'approvazione
di uno strumento urbanistico dipende da un
procedimento complesso al quale concorrono il Comune
(cui è demandata la potestà di iniziativa) e la
Regione (cui compete la fase di controllo), laddove
l'Ente locale territoriale intenda perseguire
l'annullamento dell'atto di pianificazione
definitivo per ragioni di grave illegittimità deve
rispettare il medesimo procedimento previsto per la
formazione dello strumento urbanistico che si
intende annullare, secondo il principio del
“contrarius actus”, dal momento che l'autotutela non
può che essere esercitata congiuntamente ed in
concerto tra le Amministrazioni che sono competenti
all'esercizio del potere di primo grado, nei
rispettivi limiti e ruoli: a diversamente ritenere,
infatti, si perverrebbe alla conseguenza che, in
sede di autotutela, il Comune eserciterebbe un
potere di maggiore ampiezza rispetto a quello di cui
è titolare in fase di formazione dello strumento
urbanistico”;
V) in relazione alle distanze,
Tar per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma,
09.05.2016, n. 152: “L'annullamento in
autotutela di una concessione edilizia rilasciata in
violazione delle distanze minime tra fabbricati non
necessita di specifica motivazione né dell'espressa
comparazione tra l'interesse pubblico
all'annullamento e quello del privato alla
conservazione dell'atto illegittimo, essendo le
norme sulla distanza tra fabbricati inderogabili ed
esse stesse tese al rispetto di principi
fondamentali in termini di salubrità, con la
conseguenza che l'attività posta in essere dal
Comune è vincolata”;
VI) in relazione alla s.c.i.a.,
Tar per la Liguria, Sez. I, 03.10.2016 n. 970:
“nell'atto di annullamento degli effetti della
s.c.i.a, l'Amministrazione deve dare conto delle
prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e
attuali, diverse da quelle al mero ripristino della
legalità violata, che depongono per la sua adozione,
tenendo in considerazione gli interessi dei
destinatari e degli eventuali controinteressati”;
i) in dottrina, per una accurata ricostruzione degli
istituti dell’annullamento dei titoli edilizi da
parte del comune e dell’annullamento regionale, v.
da ultimo, R. LEONARDI – M. OCCHIENA, in Testo unico
dell’edilizia, a cura di M.A. SANDULLI, Milano,
2015, 896 ss.; P. PORTALURI, ibidem, 925 ss.
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 17.10.2017 n. 8 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Motivazione
dell'annullamento d'ufficio dell'ordinanza
edilizia in sanatoria disposto a distanza di
anni dal suo rilascio.
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Edilizia – Concessione edilizia in
sanatoria – Annullamento d’ufficio –
Disposto a distanza di anni dal rilascio
della sanatoria – Motivazione in ordine
all’interesse pubblico comparato con quello
del privato - Necessità - Limiti.
Nella vigenza
dell’art. 21-nonies, l. 07.08.1990, n. 241
–introdotto dalla l. 11.02.2005, n. 15-
l’annullamento d’ufficio di un titolo
edilizio in sanatoria, intervenuto ad una
distanza temporale considerevole dal
provvedimento annullato, deve essere
motivato in relazione alla sussistenza di un
interesse pubblico concreto e attuale
all’adozione dell’atto di ritiro anche
tenuto conto degli interessi dei privati
destinatari del provvedimento sfavorevole.
In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi:
a) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il
potere di adozione dell’annullamento
d’ufficio e che, in ogni caso, il termine
‘ragionevole’ per la sua adozione decorra
soltanto dal momento della scoperta, da
parte dell’amministrazione, dei fatti e
delle circostanze posti a fondamento
dell’atto di ritiro;
b) che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione
risulterà attenuato in ragione della
rilevanza e autoevidenza degli interessi
pubblici tutelati (al punto che, nelle
ipotesi di maggior rilievo, esso potrà
essere soddisfatto attraverso il richiamo
alle pertinenti circostanze in fatto e il
rinvio alle disposizioni di tutela che
risultano in concreto violate, che
normalmente possano integrare, ove
necessario, le ragioni di interesse pubblico
che depongano nel senso dell’esercizio del
ius poenitendi);
c) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle
circostanze in fatto e in diritto poste a
fondamento dell’atto illegittimo a lui
favorevole non consente di configurare in
capo a lui una posizione di affidamento
legittimo, con la conseguenza per cui
l’onere motivazionale gravante
sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto
attraverso il documentato richiamo alla non
veritiera prospettazione di parte (1).
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(1) La questione era stata sollevata dalla
sez. IV con ord. 19.04.2017, n. 1830.
Ha ricordato l’Adunanza plenaria che sulla
questione si sono formati due
orientamenti.
In base a un primo, maggioritario,
orientamento (Cons.
St., sez. IV, 19.08.2016, n. 3660;
id.,
sez. V, 08.11.2012, n. 5691),
l’annullamento d’ufficio di un titolo
edilizio illegittimo (in specie se
rilasciato in sanatoria) risulta in re
ipsa correlato alla necessità di curare
l’interesse pubblico concreto e attuale al
ripristino della legalità violata. Ciò, in
quanto il rilascio stesso di un titolo
illegittimo determina la sussistenza di una
permanente situazione contra ius, in
tal modo ingenerando in capo
all’amministrazione il potere-dovere di
annullare in ogni tempo il titolo edilizio
illegittimamente rilasciato.
I fautori di tale tesi ritengono in
particolare che non gravi in capo
all’amministrazione un particolare onere
motivazionale –ovvero l’obbligo di valutare
i diversi interessi in campo– laddove
l’illegittimità del titolo in sanatoria sia
stata determinata da una falsa
rappresentazione dei fatti e dello stato dei
luoghi imputabile al beneficiario del titolo
in sanatoria (Cons.
St., sez. IV, 27.08.2012, n. 4619).
In base a tale prospettazione, uno specifico
onere motivazionale a sostegno
dell’autotutela può essere imposto
all’amministrazione soltanto laddove
l’esercizio dell’autotutela discenda da
errori di valutazione imputabili alla stessa
amministrazione (Cons.
St., sez. V, 08.11.2012, n. 5691).
In base a un secondo orientamento
(più recente e allo stato minoritario),
anche nel caso di annullamento ex officio di
titoli edilizi in sanatoria dovrebbero
trovare integrale applicazione i generali
presupposti legali di cui all’art.
21-nonies, l. 241 del 1990, non potendo
l’amministrazione fondare l’adozione
dell’atto di ritiro sul mero intento di
ripristinare la legalità violata (Cons.
St., sez. VI, 29.01.2016, n. 351 del 2016;
id.,
sez. IV, 15.02.2013, n. 915).
Ne consegue che l’esercizio del potere di
annullamento d’ufficio postula
l’apprezzamento di un presupposto –per così
dire– ‘rigido’ (l’illegittimità
dell’atto da annullare) e di due ulteriori
presupposti riferiti a concetti
indeterminati, da apprezzare
discrezionalmente dall’amministrazione (si
tratta della ragionevolezza del termine di
esercizio del potere di ritiro e
dell’interesse pubblico alla rimozione,
unitamente alla considerazione
dell’interesse dei destinatari:
Cons. St., sez. VI, 27.01.2017, n. 341).
In base a tale orientamento, il fondamento
di tali ulteriori presupposti va individuato
nella garanzia della tutela dell’affidamento
dei destinatari circa la certezza e la
stabilità degli effetti giuridici prodotti
dal provvedimento illegittimo, mediante una
valutazione discrezionale volta alla ricerca
del giusto equilibrio tra il ripristino
della legalità violata e la conservazione
dell’assetto regolativo impresso dal
provvedimento viziato.
L’amministrazione che intende procedere
all’annullamento ex officio di un
provvedimento di sanatoria di opere abusive
di operare un motivato bilanciamento fra (da
un lato) l’interesse pubblico al ripristino
della legalità violata e (dall’altro)
l’interesse dei destinatari al mantenimento
dello status quo ante (interesse viepiù
rafforzato dall’affidamento legittimo
determinato dall’adozione dell’atto e dal
decorso del tempo). La motivata ponderazione
fra i diversi interessi in gioco risulta
tanto più necessaria nel caso di atti di
ritiro di titoli edilizi, i quali sono
destinati ad esaurirsi con l’adozione
dell’atto ampliativo, palesando una scelta
legislativa volta a riconoscere maggiore
rilevanza all’interesse dei privati
destinatari dell’atto e minore rilevanza
all’interesse pubblico alla rimozione
dell’atto i cui effetti si sono ormai
prodotti in via definitiva.
L’Adunanza plenaria ha affermato che le
generali categorie in tema di annullamento
ex officio di atti amministrativi
illegittimi trovino applicazione (in assenza
di indici normativi in senso contrario)
anche nel caso di ritiro di titoli edilizi
in sanatoria illegittimamente rilasciati,
non potendosi postulare in via generale e
indifferenziata un interesse pubblico in
re ipsa alla rimozione di tali atti.
Conseguentemente, grava in via di principio
sull’amministrazione (e salvo quanto di
seguito si preciserà) l’onere di motivare
puntualmente in ordine alla sussistenza di
un interesse pubblico concreto e attuale
alla rimozione dell’atto, tenendo altresì
conto dell’interesse del destinatario al
mantenimento dei relativi effetti.
Ha aggiunto che la giurisprudenza del
Consiglio di Stato ha condivisibilmente
stabilito al riguardo che non sussiste
l’esigenza di tutelare l’affidamento di chi
abbia ottenuto un titolo edilizio –anche in
sanatoria– rappresentando elementi non
veritieri, e ciò anche qualora intercorra un
considerevole lasso di tempo fra l’abuso e
l’intervento repressivo dell’amministrazione
(Cons.
St., sez. IV, 12.12.2016, n. 5198;
id.,
sez. V, 13.05.2014, n. 2451).
La stessa giurisprudenza ha inoltre
stabilito (in modo parimenti condivisibile)
che non può essere configurato alcun
affidamento legittimo, in specie ai fini
risarcitori, il quale risulti fondato su un
provvedimento illegittimo. Si è osservato al
riguardo che può essere non più opportuno
far luogo all’annullamento in autotutela, in
considerazione del tempo trascorso e degli
interessi dei destinatari e dei
controinteressati; ma quando tali condizioni
sono rispettate non vi è spazio per la
tutela patrimoniale (Cons.
St., sez. VI, 27.09.2016, n. 3975).
Ebbene, se le acquisizioni in parola
risultano valide ai fini risarcitori e a
fronte di illegittimità imputabili
all’amministrazione, esse risulteranno tanto
più condivisibili nel caso in cui
l’illegittimità dell’atto sia stata
determinata dalla non veritiera
prospettazione dei fatti rinveniente dal
soggetto che si sarebbe in seguito
avvantaggiato dell’errore
dell’amministrazione. In tali ipotesi
l’amministrazione potrà adeguatamente
motivare l’adozione dell’atto di
annullamento sul mero dato dell’originaria,
non veritiera prospettazione.
Nelle medesime ipotesi, infatti (e anche a
prescindere dai profili di rilevanza
penale), l’oggettiva falsità della
prospettazione dei fatti rilevanti e la sua
incidenza ai fini dell’adozione dell’atto
illegittimo non consentiranno di configurare
una posizione di affidamento legittimo e
consentiranno all’amministrazione di
limitare l’onere motivazionale alla dedotta
falsità, non sussistendo un interesse
privato meritevole di tutela da porre in
comparazione con quello pubblico (comunque
sussistente) al ripristino della legalità
violata
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
sentenza 17.10.2017 n. 8 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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MASSIMA
1. Giunge alla decisione di questa
Adunanza Plenaria il ricorso in appello
proposto dai signori No. e De Ga. (i quali
hanno acquistato un compendio immobiliare
nel Comune di Giovinazzo (BA) comprendente,
fra l’altro un ex capannone industriale in
seguito adibito a cinema e un immobile
pertinenziale poi adibito a bar/rosticceria)
avverso la sentenza del Tribunale
amministrativo regionale della Puglia con
cui è stato respinto il ricorso avverso il
provvedimento con cui il Comune ha annullato
in autotutela il titolo in sanatoria
rilasciato circa nove anni prima per il
medesimo immobile, ordinandone altresì la
demolizione.
2. Come si è anticipato in narrativa,
l’ordinanza di rimessione n.
1830/2017,
dopo aver premesso che la vicenda di causa
risulta governata dalla previsione
dell’articolo 21-nonies della l. 07.08.1990,
n. 241 nel testo introdotto dall’articolo 14
della l. 11.02.2005, n. 15,
chiede in sostanza a questa Adunanza
plenaria di chiarire:
i) se l’annullamento ex officio di un
titolo edilizio in sanatoria intervenuto a
notevole distanza di tempo dal provvedimento
originario debba comunque essere motivato in
relazione a un interesse pubblico concreto e
attuale alla rimozione e ai contrapposti
interessi dei soggetti incisi;
ii) se, ai fini di tale comparazione, rilevi che il privato abbia
indotto in errore l’amministrazione
attraverso l’allegazione di circostanze non
veritiere idonee a determinare l’adozione
dell’originario provvedimento favorevole.
3. Il Collegio ritiene che evidenti ragioni
di ordine sistematico ed espositivo inducano
in primo luogo ad individuare in modo
puntuale il quadro normativo applicabile e a
delimitare altresì il thema decidendum,
anche al fine di evitare che la vastità
della materia trattata induca ad esulare dai
confini tracciati dall’ordinanza di
rimessione.
4. Va in primo luogo osservato che la
vicenda per cui è causa resta pacificamente
governata dalle disposizioni in tema di
annullamento d’ufficio di cui all’articolo
21-nonies della l. 241 del 1990
nell’originario testo introdotto
dall’articolo 14 della l. 15 del 2005.
Non rilevano, quindi, ai fini della presente
decisione, le modifiche apportate al
medesimo art. 21-nonies dall’articolo 6
della l. n. 124 del 2015.
Tale disposizione non provvede che per il
futuro, sicché dalla stessa non possono
essere tratti elementi o spunti
interpretativi ai fini della soluzione di
questioni ricadenti sotto la disciplina del
previgente quadro normativo.
Giova, d’altra parte, rilevare che, la
novella del 2015 mira, attraverso la
fissazione di un termine di diciotto mesi,
alla predeterminazione legale della nozione
di ragionevolezza del termine per
l'annullamento in autotutela; nessuno
specifico e novativo riferimento la nuova
disciplina contiene, invece, in relazione
alla questione della motivazione del
provvedimento di autotutela, limitandosi la
novella a richiamare, come già la disciplina
previgente, la necessità di tener conto
degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati del provvedimento oggetto
del potere di autotutela.
5. Si osserva in secondo luogo (e al
fine di sgombrare preventivamente il campo
da possibili profili di confusione) che la
presente decisione –per come delimitata nel
suo ambito oggettivo dall’ordinanza di
rimessione– attiene in particolare alla
determinazione del quantum di onere
motivazionale che grava sull’amministrazione
al fine di rappresentare correttamente la
sussistenza dei presupposti e delle
condizioni per il legittimo esercizio del
potere di autotutela.
6. Si osserva in terzo luogo che non
viene qui in rilievo, l’ipotesi in cui
l’amministrazione abbia (doverosamente, sia
pure tardivamente) adottato un ordine di
demolizione di fabbricati privi ab
origine di un qualunque titolo
legittimante e giammai ammessi a sanatoria.
E’ evidente infatti che in tale ipotesi non
vengano in rilievo neppure ai fini
motivazionali, le categorie tipiche
dell’autotutela decisoria, quanto
–piuttosto– il diverso tema del tardivo
esercizio di un’attività repressiva che è e
resta doverosa indipendentemente dal decorso
del tempo e dalla valutazione dei diversi
interessi in gioco.
Ciò che qui viene in rilievo è invece la
diversa ipotesi in cui l’amministrazione
dapprima rilasci un titolo in sanatoria a
fronte di un’edificazione abusiva e poi,
decorso un apprezzabile lasso di tempo, si
avveda dell’illegittimità del titolo in
sanatoria a suo tempo rilasciato e ravvisi i
presupposti per disporne l’annullamento
d’ufficio.
7. Tanto premesso in via generale, si
osserva che l’ordinanza di rimessione ha
richiamato in modo sintetico ma puntuale gli
argomenti essenziali che sostengono le
due principali tesi attualmente in campo.
7.1. In base a un primo orientamento,
allo stato maggioritario,
l’annullamento d’ufficio di un titolo
edilizio illegittimo (in specie se
rilasciato in sanatoria) risulta in re
ipsa correlato alla necessità di curare
l’interesse pubblico concreto e attuale al
ripristino della legalità violata. Ciò, in
quanto il rilascio stesso di un titolo
illegittimo determina la sussistenza di una
permanente situazione contra ius, in
tal modo ingenerando in capo
all’amministrazione il potere-dovere di
annullare in ogni tempo il titolo edilizio
illegittimamente rilasciato
(in tal senso –ex multis-: Cons.
Stato, IV, 19.08.2016, n. 3660; id., V,
08.11.2012, n. 5691).
I fautori di tale tesi ritengono in
particolare che non gravi
in capo all’amministrazione un particolare
onere motivazionale –ovvero l’obbligo di
valutare i diversi interessi in campo–
laddove l’illegittimità del titolo in
sanatoria sia stata determinata da una falsa
rappresentazione dei fatti e dello stato dei
luoghi imputabile al beneficiario del titolo
in sanatoria
(in tal senso –ex multis-: Cons.
Stato, IV, 27.08.2012, n. 4619).
In tali ipotesi
risulterebbe anzi inconferente lo stesso
richiamo alla disciplina di cui agli
articoli 21-octies e 21-nonies della l. 241
del 1990 poiché è proprio la falsa
rappresentazione dei fatti rilevanti a
rendere vincolata l’adozione del
provvedimento di annullamento in autotutela,
il cui contenuto non avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato
(ivi).
In base a tale prospettazione,
uno specifico onere motivazionale a
sostegno dell’autotutela può essere imposto
all’amministrazione soltanto laddove
l’esercizio dell’autotutela discenda da
errori di valutazione imputabili alla stessa
amministrazione
(in tal senso: Cons. Stato, sent. 5691 del
2012, cit.).
7.2. In base a un secondo orientamento
(più recente e allo stato minoritario),
anche nel caso di annullamento ex
officio di titoli edilizi in sanatoria
dovrebbero trovare integrale applicazione i
generali presupposti legali di cui
all’articolo 21-nonies della l. 241 del
1990, non potendo l’amministrazione fondare
l’adozione dell’atto di ritiro sul mero
intento di ripristinare la legalità violata
(in tal senso –ex multis-: Cons.
Stato, VI, 29.01.2016, n. 351 del 2016; id.,
IV, 15.02.2013, n. 915).
Ne consegue che l’esercizio
del potere di annullamento d’ufficio postula
l’apprezzamento di un presupposto –per così
dire– ‘rigido’ (l’illegittimità
dell’atto da annullare) e di due ulteriori
presupposti riferiti a concetti
indeterminati, da apprezzare
discrezionalmente dall’amministrazione (si
tratta della ragionevolezza del termine di
esercizio del potere di ritiro e
dell’interesse pubblico alla rimozione,
unitamente alla considerazione
dell’interesse dei destinatari
–Cons. Stato, VI, 27.01.2017, n. 341-).
In base all’orientamento in parola,
il fondamento di tali ulteriori
presupposti va individuato nella garanzia
della tutela dell’affidamento dei
destinatari circa la certezza e la stabilità
degli effetti giuridici prodotti dal
provvedimento illegittimo, mediante una
valutazione discrezionale volta alla ricerca
del giusto equilibrio tra il ripristino
della legalità violata e la conservazione
dell’assetto regolativo impresso dal
provvedimento viziato.
La richiamata sentenza n. 341 del 2017
ha altresì affermato il generale
obbligo per l’amministrazione la quale
intenda procedere all’annullamento ex
officio di un provvedimento di sanatoria di
opere abusive di operare un motivato
bilanciamento fra (da un lato) l’interesse
pubblico al ripristino della legalità
violata e (dall’altro) l’interesse dei
destinatari al mantenimento dello status
quo ante (interesse viepiù rafforzato
dall’affidamento legittimo determinato
dall’adozione dell’atto e dal decorso del
tempo).
La decisione in parola ha inoltre stabilito
che la motivata
ponderazione fra i diversi interessi in
gioco risulti tanto più necessaria nel caso
di atti di ritiro di titoli edilizi, i quali
sono destinati ad esaurirsi con l’adozione
dell’atto ampliativo, palesando una scelta
legislativa volta a riconoscere maggiore
rilevanza all’interesse dei privati
destinatari dell’atto e minore rilevanza
all’interesse pubblico alla rimozione
dell’atto i cui effetti si sono ormai
prodotti in via definitiva.
8.
Tanto premesso dal punto di vista generale,
il Collegio ritiene di esaminare la
questione sottoposta secondo una precisa
sequenza logico-sistematica:
- in primo luogo occorrerà domandarsi se l’annullamento
ex officio di un titolo edilizio in
sanatoria presupponga –sulla base di
generali principi trasfusi nella previsione
dell’articolo 21-nonies, cit.– la motivata
valutazione dell’interesse pubblico al
ripristino della legalità violata, anche
alla luce degli interessi dei destinatari
alla permanenza di effetti di tale titolo,
ovvero se in tale particolare materia possa
affermarsi la non necessità di un siffatto
onere motivazionale, sussistendo un
interesse pubblico in re ipsa al
ripristino dell’ordine giuridico violato;
- in secondo luogo (e laddove si considerino applicabili al
caso che ne occupa le generali categorie di
cui all’articolo 21-nonies, cit.) ci si
domanderà se il decorso di un considerevole
lasso di tempo possa incidere in radice sul
potere di annullamento d’ufficio e quale sia
il corretto dies a quo per
l’individuazione del termine ‘ragionevole’
di esercizio di tale potere;
- in terzo luogo (e sempre laddove si considerino
applicabili al caso in esame le richiamate,
generali categorie) ci si domanderà se
l’onere motivazionale comunque gravante
sull’amministrazione possa restare in
qualche misura attenuato in ragione della
rilevanza degli interessi pubblici tutelati;
- in quarto luogo ci si domanderà se la non veritiera
prospettazione da parte del privato delle
circostanze in fatto e in diritto sottese
all’adozione dell’iniziale provvedimento
favorevole consenta comunque di configurare
in capo a lui una posizione di affidamento
incolpevole e se (in caso negativo)
l’amministrazione possa adeguatamente
motivare l’adozione dell’atto di
annullamento in base al mero dato
dell’originaria, inveritiera prospettazione.
9. Ebbene, prendendo le mosse dal primo dei
richiamati quesiti, questa
Adunanza plenaria ritiene che le generali
categorie in tema di annullamento ex
officio di atti amministrativi
illegittimi trovino applicazione (in assenza
di indici normativi in senso contrario)
anche nel caso di ritiro di titoli edilizi
in sanatoria illegittimamente rilasciati,
non potendosi postulare in via generale e
indifferenziata un interesse pubblico in
re ipsa alla rimozione di tali atti.
Conseguentemente, grava in
via di principio sull’amministrazione (e
salvo quanto di seguito si preciserà)
l’onere di motivare puntualmente in ordine
alla sussistenza di un interesse pubblico
concreto e attuale alla rimozione dell’atto,
tenendo altresì conto dell’interesse del
destinatario al mantenimento dei relativi
effetti.
9.1. Non si tratta qui di negare l’evidente
esigenza di un deciso contrasto al grave e
diffuso fenomeno dell’abusivismo edilizio,
che deve essere fronteggiato con strumenti
efficaci e tempestivi e con la piena
consapevolezza delle gravi implicazioni che
esso presenta in relazione a svariati
interessi di rilievo costituzionale (quali
la salvaguardia del territorio e del
paesaggio, nonché la tutela della pubblica
incolumità).
Occorre tuttavia responsabilizzare le
amministrazioni all’adozione di un contegno
chiaro e lineare, tendenzialmente fondato
sullo scrupoloso esame delle pratiche di
sanatoria o comunque di permesso di
costruire già rilasciato, e sul diniego
ex ante di istanze che si rivelino
infondate, nonché sull’obbligo di serbare
–in caso di provvedimenti di sanatoria già
rilasciati– un atteggiamento basato sul
generale principio di clare loqui.
Se infatti è certamente condivisibile
l’intento di agevolare le amministrazioni
nel contrastare anche ex post
l’abusivismo edilizio (consentendo loro di
motivare anche in modo sintetico in ordine
alla prevalenza delle ragioni di interesse
pubblico sottese all’annullamento dei
provvedimenti di sanatoria illegittimamente
concessi), non emergono invece argomenti che
legittimino la sostanziale
de-responsabilizzazione delle
amministrazioni stesse attraverso una
radicale e indistinta esenzione dal generale
obbligo di motivazione.
Si osserva al riguardo che l’incondizionata
adesione alla (pur suggestiva) formula
dell’interesse pubblico in re ipsa
può produrre effetti distorsivi, consentendo
in ipotesi-limite all’amministrazione -la
quale abbia comunque errato nel rilascio di
una sanatoria illegittima– dapprima di
restare inerte anche per un lungo lasso di
tempo e poi di adottare un provvedimento di
ritiro privo di alcuna motivazione, in tal
modo restando pienamente
de-responsabilizzata nonostante una triplice
violazione dei principi di corretta gestione
della cosa pubblica.
Si osserva inoltre che, nel corso del tempo,
la richiamata formula dell’interesse
pubblico in re ipsa ha assunto talora
una connotazione assiologica, inducendo ad
annettere un valore in sé all’annullamento
del titolo in sanatoria illegittimo, perfino
se fondato su profili di illegittimità di
carattere meramente formale o
procedimentale.
Ma il punto è che, in siffatte ipotesi, non
è predicabile un effettivo ed immanente
interesse pubblico alla rimozione di un atto
(la sanatoria illegittima) che non si pone
in contrasto in termini sostanziali con la
pertinente disciplina edilizia e urbanistica
(e quindi con il complesso di valori cui
tale disciplina presiede), ma risulta
viziato soltanto in relazione ad aspetti
formali o procedimentali, non giustificando
in definitiva –e pure in presenza di un atto
illegittimo– il riconoscimento di un
interesse pubblico in re ipsa
all’adozione dell’atto di ritiro.
Si tratta, del resto, di un aspetto che è
stato in tempi recenti puntualmente preso in
considerazione dal Legislatore il quale ha
escluso che l’annullamento ex officio di un
atto illegittimo possa essere disposto nel
caso delle illegittimità cc.dd. non
invalidanti di cui al comma 2 dell’articolo
21-octies della l. 241 del 1990 (in tal
senso la modifica al comma 2 dell’articolo
21-nonies, cit., disposta dall’articolo 25 ,
comma 2, lettera b-quater), del
decreto-legge 12.09.2014, n. 133).
9.2. Sempre restando sugli argomenti
desumibili dal diritto positivo, è rilevante
osservare che il legislatore ha in tempi
recenti espunto dall’ordinamento la
disposizione che rappresentava il più
evidente richiamo alla nozione di interesse
pubblico in re ipsa.
In particolare, è noto che il comma 2
dell’articolo 36 della l. 07.08.2015, n. 124
ha espressamente abrogato il comma 136
dell’articolo 1 della l. 30.12.2004, n. 311
(il quale consentiva in ogni tempo alle
amministrazioni pubbliche di disporre
l’annullamento d’ufficio di provvedimenti
amministrativi illegittimi, anche se
l'esecuzione degli stessi fosse ancora in
corso, a condizione che tale annullamento
mirasse “al fine di conseguire risparmi o
minori oneri finanziari”).
9.3. Si osserva poi che il riconoscimento di
un interesse pubblico al ripristino della
legalità violata (la cui sussistenza è di
intuitiva evidenza, anche a notevole
distanza di tempo dall’originaria adozione
dell’atto) non sta necessariamente a
significare che tale interesse sia l’unico
fattore idoneo a orientare le scelte
discrezionali dell’amministrazione in caso
di risalenti violazioni in materia
urbanistica, sì da esonerare in radice
l’amministrazione da qualunque motivata
valutazione in ordine ad ulteriori fattori e
circostanze rilevanti.
Si intende con ciò rappresentare che la
sussistenza di un interesse pubblico alla
rimozione di un atto amministrativo
illegittimo (anche a prescindere dal ricorso
alla formula dell’interesse in re ipsa)
è oggettivamente connaturata alla rilevata
sussistenza di una situazione antigiuridica.
Ma ciò non sta a significare che il
riconoscimento di un tale interesse
(peraltro, espressamente richiamato dal
comma 1 del più volte richiamato articolo
21-nonies) comporti di per sé la
pretermissione di ogni altra circostanza
rilevante (come gli interessi dei
destinatari dell’atto, di cui la
disposizione chiede espressamente di tener
conto) ed esoneri l’amministrazione da
qualunque –seppur succintamente motivata-
valutazione sul punto.
Una cosa è infatti la tendenziale prevalenza
dell’interesse pubblico al ripristino
dell’ordine giuridico rispetto agli altri
interessi rilevanti; ben altra cosa è la
radicale pretermissione, anche ai fini
motivazionali, di tali ulteriori circostanze
attraverso una loro innaturale espunzione
dalla fattispecie (e tanto, in distonia con
la generale previsione di cui all’articolo
21-nonies, cit. il quale –con previsione
applicabile anche al settore che ne occupa-
impone al contrario una considerazione degli
elementi sopra indicati).
9.4. Si osserva ancora che la tesi
dell’interesse pubblico in re ipsa
all’annullamento in autotutela del titolo
edilizio illegittimo presenta rilevanti
quanto evidenti aspetti di contiguità
sistematica con la teorica dell’inconsumabilità
del potere (o di quella che un risalente
orientamento ebbe a definire “la
perennità della potestà amministrativa di
annullare in via di autotutela gli atti
invalidi” –in tal senso: Cons. Stato, II,
07.06.1995, n. 2917/94-).
Ma è altresì evidente che quella teorica
(predicabile senza riserve in periodi
caratterizzati dalla prevalenza del momento
autoritativo nei rapporti fra
amministrazione e cittadino e dal
sostanziale privilegio riconosciuto
all’amministrazione in sede di esercizio
dell’autotutela) debba essere almeno in
parte rimeditata nell’attuale fase di
evoluzione di sistema, che postula una
sempre maggiore attenzione al valore della
certezza delle situazioni giuridiche e alla
tendenziale attenuazione dei privilegi
riconosciuti all’amministrazione, anche
quando agisce con poteri squisitamente
autoritativi e nel perseguimento di primarie
finalità di interesse pubblico.
Si osserva inoltre che, laddove si aderisse
senza riserve alla tesi dell’interesse
pubblico in re ipsa (e
conseguentemente alla teorica dell’inconsumabilità
del relativo potere), si finirebbe per
legittimare nel settore che qui rileva –e in
assenza di un solido fondamento normativo–
un assetto in tema di presupposti per
l’esercizio dell’autotutela decisoria tale
da espungere in via ermeneutica due elementi
normativamente indefettibili quali la
ragionevolezza del termine e la motivata
valutazione dei diversi interessi in gioco.
Si osserva infine che, a ben vedere, la
teorica dell’interesse in re ipsa
all’annullamento in autotutela del titolo
edilizio illegittimo, laddove condivisa,
finirebbe per rendere nei fatti vincolato
l’esercizio del potere di autotutela che un
consolidato orientamento giurisprudenziale
(prima) e un’espressa previsione di legge
(poi) hanno delineato come tipico potere
discrezionale dell’amministrazione.
Ed infatti, una volta affermata la
sussistenza di un interesse pubblico in
re ipsa al ripristino della legittimità
violata, non residuerebbero in alcun caso
effettivi spazi per l’amministrazione per
non esercitare il proprio ius poenitendi
attraverso l’annullamento d’ufficio.
L’amministrazione non potrebbe valutare a
tal fine né il decorso del tempo (inidoneo,
nell’ottica in esame, ad attenuare la
prevalenza dell’interesse pubblico al
ripristino), né la sussistenza di un
interesse pubblico in senso contrario (il
quale sarebbe per definizione insussistente,
a meno di voler determinare un vero e
proprio ossimoro), né –infine– l’interesse
del privato destinatario dell’atto, che non
potrebbe in alcun caso essere valorizzato
neppure nell’ottica del legittimo
affidamento.
9.5. E’ necessario riconoscere che il
Legislatore (pur consapevole della gravità e
diffusività del fenomeno dell’abusivismo
edilizio e della frequente inadeguatezza
delle risorse messe in campo dalle
amministrazioni locali per fronteggiarlo)
non ha tutt’oggi approntato una speciale
disciplina in tema di presupposti e
condizioni per l’adozione dell’annullamento
ex officio di titoli edilizi, in tal
modo giustificando un orientamento volto a
riconoscere anche in tali ipotesi la
generale valenza dell’articolo 21-nonies
della l. 241 del 1990.
Invero, il Legislatore ha talora
disciplinato in modo peculiare le ipotesi di
c.d. ‘illegittimità sopravvenuta’
dell’intervento edilizio (in particolare,
nel caso di annullamento ex officio o
in sede giurisdizionale di un titolo
edilizio ab origine sussistente),
fissando peraltro un apparato sanzionatorio
tendenzialmente meno afflittivo di quello
previsto per le ipotesi di interventi ab
origine abusivi (in tal senso l’articolo
38 del d.P.R. 06.062001, n. 380, il quale
corrisponde in larga parte alle pregresse
previsioni dell’articolo 15 della l.
28.01.1977, n. 10 e dell’articolo 11 della
l. 28.02.1985, n. 47).
Tuttavia, anche in tali ipotesi il
Legislatore si è limitato a disciplinare in
modo puntuale le sole conseguenze
dell’annullamento del titolo edilizio, ma
non anche i relativi presupposti, condizioni
e modalità, che restano quindi assoggettati
(per quanto riguarda l’annullamento
d’ufficio) alla disciplina generale di cui
all’articolo 21-nonies della l. 241 del
1990, ivi compresi i profili motivazionali.
9.6. Concludendo sul punto, si osserva che,
per le vicende sorte nella vigenza
dell’articolo 21-nonies della l. 241 del
1990 –per come introdotto dalla l. 15 del
2005-, l’annullamento d’ufficio di un titolo
edilizio anche in sanatoria, intervenuto ad
una distanza temporale considerevole dal
titolo medesimo, deve essere motivato in
relazione alla sussistenza di un interesse
pubblico concreto e attuale all’adozione
dell’atto di ritiro, tenuto conto degli
interessi dei privati destinatari del
provvedimento sfavorevole, non potendosi
predicare in via generale la sussistenza di
un interesse pubblico in re ipsa alla
rimozione in autotutela di tale atto.
10. E’ ora possibile passare alla disamina
del secondo dei quesiti
sub 8 al fine di stabilire se, pur in
assenza di puntuali prescrizioni di legge
che dispongano in tal senso, il decorso di
un considerevole lasso di tempo possa
incidere significativamente sul potere di
annullamento d’ufficio e quale sia il
corretto dies a quo per
l’individuazione del termine ‘ragionevole’
di esercizio di tale potere.
10.1. Esaminando la questione nei suoi
aspetti generali e sistematici, è innegabile
che, anche nel diritto amministrativo, il
tempo venga in rilievo -tanto nelle sue
singole frazioni, tanto nel suo continuo
trascorrere– determinando la costituzione,
la modificazione e l’estinzione di
situazioni giuridiche.
Secondo un consolidato orientamento,
infatti, il tempo rientra nella categoria
dei fatti giuridici oggettivi ed è idoneo a
sortire i propri effetti sui rapporti
giuridici (anche di matrice pubblicistica)
indipendentemente dall’atteggiamento
psicologico dei soggetti interessati.
L’incidenza del decorso del tempo nei
rapporti di diritto pubblico opera tanto sul
versante dei poteri esercitabili
dall’amministrazione, quanto su quello delle
posizioni giuridiche riconosciute ai
privati.
Per quanto riguarda il primo aspetto ci si
limiterà qui a richiamare le previsioni
normative che connettono a carico
dell’amministrazione un effetto decadenziale
quale conseguenza del mancato esercizio del
potere entro un torno temporale
normativamente stabilito: si pensi ai
termini –perentori– per l’avvio e la
conclusione dei procedimenti sanzionatori
amministrativi.
Si pensi altresì al rilievo che il decorso
del tempo sortisce sul potere di provvedere
nelle ipotesi legali di silenzio
significativo e all’invalidità che colpisce
il provvedimento tardivamente adottato
rispetto ai termini in parola.
Per quanto riguarda poi l’incidenza del
decorso del tempo sulle posizioni giuridiche
dei privati nei rapporti di diritto pubblico
basterà qui richiamare la tradizionale
ipotesi della decadenza per decorso del
tempo quale conseguenza del mancato
esercizio delle facoltà inerenti ad un
rapporto derivante da un provvedimento
amministrativo (si pensi al caso della
decadenza del permesso di costruire per
mancato rispetto dei termini legali per
l’inizio dei lavori e per il completamento
dell’opera).
Si pensi inoltre alla previsione di cui
all’articolo 2934, primo comma del cod. civ.
(secondo cui “ogni diritto si estingue
per prescrizione, quando il titolare non lo
esercita per il tempo determinato dalla
legge”), la quale trova applicazione
anche nei rapporti con la pubblica
amministrazione.
D’altro canto, è innegabile che la
particolare configurazione dell’ordinamento
pubblicistico nazionale riconosca taluni
temperamenti al generale principio della
consumabilità delle posizioni giuridiche per
effetto del decorso del tempo.
Basti richiamare al riguardo la previsione,
in ambito pubblicistico, di numerosi diritti
indisponibili, ai quali è connesso il
carattere della imprescrittibilità ai sensi
dell’articolo 2934, cpv. cod. civ. (si pensi
al carattere di imprescrittibilità dei
diritti sui beni sottoposti al regime
demaniale).
10.2. Occorre a questo punto esaminare in
che modo il principio della modificabilità
delle posizioni giuridiche per effetto del
decorso del tempo (e i relativi temperamenti
in ambito amministrativo) siano stati
declinati nel settore –che qui viene in
rilievo– dell’esercizio dell’autotutela
decisoria da parte dell’amministrazione.
10.3. Si è già ricordato al riguardo che un
pregresso quanto risalente orientamento
predicava la sostanziale perennità della
potestà amministrativa di annullare in
autotutela gli atti invalidi.
La successiva evoluzione dell’ordinamento
pubblicistico si è mossa in chiave di
maggiore protezione per i soggetti incisi
dall’esplicazione del potere di autotutela
e, prima ancora che la l. 15 del 2005
legificasse le principali acquisizioni in
materia, la giurisprudenza amministrativa
aveva già temperato il richiamato principio
di perennità predicando invece la necessità
che l’annullamento e la revoca
intervenissero entro un termine ragionevole
(sul punto –ex multis-: Cons. Stato,
VI, 15.11.1999, n. 1812; id., V, 20.08.1996,
n. 939).
Il richiamo alla ragionevolezza del termine,
tuttavia, non stava a significare che il
decorso di un lasso temporale
particolarmente ampio consumasse in via
definitiva il potere di riesame da parte
dell’amministrazione, quanto –piuttosto– che
tale circostanza imponesse una valutazione
via via più accorta fra l’interesse pubblico
al ritiro dell’atto illegittimo e il
complesso delle altre circostanze e
interessi rilevanti (e, in primis,
quello del destinatario del provvedimento
illegittimo – in ipotesi a lui favorevole il
quale maturava, per effetto del decorso del
tempo, un affidamento legittimo alla
permanenza dell’assetto di interessi
delineato dal provvedimento medesimo).
In definitiva, l’evoluzione dell’ordinamento
pubblicistico ha comportato che il decorso
del tempo condizioni in modo rilevante le
modalità di esercizio del potere di
autotutela.
10.4. Ciò non esclude, proprio nella materia
che ne occupa, che esistano disposizioni che
testimoniano la possibilità per
l’amministrazione di disporre l’annullamento
del titolo edilizio anche dopo un
apprezzabile lasso di tempo dall’adozione
del titolo medesimo.
Ci si riferisce in particolare all’articolo
39 del d.P.R. 380 del 2001 che consente alla
Regione di annullare entro dieci anni “le
deliberazioni ed i provvedimenti comunali
che autorizzano interventi non conformi a
prescrizioni degli strumenti urbanistici o
dei regolamenti edilizi o comunque in
contrasto con la normativa
urbanistico-edilizia vigente al momento
della loro adozione” (è qui appena il
caso di osservare che il più risalente
antecedente storico di tale previsione
–l’articolo 27 della l. 17.08.1942, n. 1150–
riconosceva tale potere di annullamento “in
qualunque tempo”).
Un condiviso orientamento ha al riguardo
peraltro chiarito che il potere in questione
non è ascrivibile al novero delle attività
di controllo, rappresentando –piuttosto–
puntuale espressione del ruolo partecipativo
della Regione nella complessiva azione di
governo del territorio.
10.5. Deve quindi concludersi nel senso che,
in relazione alle vicende sorte nella
vigenza della l. 15 del 2005, il decorso di
un considerevole lasso di tempo dal rilascio
del titolo edilizio non incide in radice sul
potere di annullare in autotutela il titolo
medesimo, ma onera l’amministrazione del
compito di valutare motivatamente se
l’annullamento risponda ancora a un
effettivo e prevalente interesse pubblico di
carattere concreto e attuale.
10.6. La locuzione ‘termine ragionevole’
richiama evidentemente un concetto non
parametrico ma relazionale, riferito al
complesso delle circostanze rilevanti nel
caso di specie.
Si intende con ciò rappresentare che la
nozione di ragionevolezza del termine è
strettamente connessa a quella di
esigibilità in capo all’amministrazione,
ragione per cui è del tutto congruo che il
termine in questione (nella sua dimensione ‘ragionevole’)
decorra soltanto dal momento in cui
l’amministrazione è venuta concretamente a
conoscenza dei profili di illegittimità
dell’atto.
In particolare, in caso di
titoli abilitativi rilasciati sulla base di
dichiarazioni oggettivamente non veritiere
(e a prescindere dagli eventuali risvolti di
ordine penale), laddove la fallace
prospettazione abbia sortito un effetto
rilevante ai fini del rilascio del titolo, è
parimenti congruo che il termine ‘ragionevole’
decorra solo dal momento in cui
l’amministrazione ha appreso della
richiamata non veridicità.
Si tratta del resto (e ai limitati fini che
qui rilevano) di un’impostazione del tutto
coerente con il nuovo comma 2-bis
dell’articolo 21-nonies, cit. (per come
introdotto con la novella del 2015), secondo
cui “i provvedimenti amministrativi
conseguiti sulla base di false
rappresentazioni dei fatti o di
dichiarazioni sostitutive di certificazione
e dell'atto di notorietà false o mendaci per
effetto di condotte costituenti reato,
accertate con sentenza passata in giudicato,
possono essere annullati
dall'amministrazione anche dopo la scadenza
del termine di diciotto mesi di cui al comma
1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni
penali nonché delle sanzioni previste dal
capo VI del testo unico di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 28.12.2000,
n. 445” (si osserva anzi che la nuova
disposizione neppure richiama per tali
ipotesi la nozione di ragionevolezza del
termine, limitandosi a stabilire che in tali
casi l’annullamento possa essere disposto
dopo la scadenza del generale termine di
diciotto mesi).
11. E’ ora possibile passare all’esame del
terzo dei quesiti dinanzi
richiamati
sub 8 e domandarsi se l’onere motivazionale
comunque gravante sull’amministrazione nel
caso di annullamento in autotutela del
titolo edilizio in precedenza adottato possa
restare in qualche misura attenuato in
ragione della rilevanza degli interessi
pubblici tutelati.
Al quesito deve essere fornita risposta in
senso affermativo alla luce della pregnanza
degli interessi pubblici sottesi alla
disciplina in materia edilizia e alla
prevalenza che deve essere riconosciuta ai
valori che essa mira a tutelare.
Vero è infatti che –per le ragioni dinanzi
esposte– il decorso del tempo onera
l’amministrazione che intenda procedere
all’annullamento in autotutela di un titolo
edilizio illegittimo di motivare
puntualmente in ordine alle ragioni di
interesse pubblico sottese all’annullamento
e alla valutazione degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati. E’
parimenti vero, però, che tale onere
motivazionale non muta il rilievo relativo
da riconoscere all’interesse pubblico e la
preminenza che deve essere riconosciuta al
complesso di interessi e valori sottesi alla
disciplina edilizia e urbanistica.
Si pensi (e solo a mo’ di esempio) al titolo
edilizio illegittimamente rilasciato in area
interessata da un vincolo di inedificabilità
assoluta o caratterizzata da un grave
rischio sismico: in tali ipotesi la
motivazione dell’atto di ritiro potrà essere
legittimamente fondata sul richiamo
all’inderogabile disciplina vincolistica
oggetto di violazione, ben potendo tale
richiamo assumere un rilievo preminente in
ordine al complesso di interessi e di valori
sottesi alla fattispecie.
Nelle ipotesi di maggiore rilievo, quindi (e
laddove venga in rilievo la tutela di
preminenti valori pubblici di carattere –per
così dire– ‘autoevidente’), l’onere
motivazionale gravante sull’amministrazione
potrà dirsi soddisfatto attraverso il
richiamo alle pertinenti circostanze in
fatto e il rinvio alle disposizioni di
tutela che risultano in concreto violate le
quali normalmente possano integrare le
ragioni di interesse pubblico che depongono
nel senso dell’esercizio del ius
poenitendi.
Non pare quindi condivisibile la tesi
(talora affermata dalla giurisprudenza anche
di questo Consiglio) secondo cui, anche in
sede di motivazione dell’annullamento in
autotutela di titoli edilizi illegittimi,
occorrerebbe riconoscere maggiore rilevanza
all’interesse dei privati destinatari
dell’atto ampliativo e minore rilevanza
all’interesse pubblico alla rimozione
dell’atto, i cui effetti si sarebbero ormai
prodotti in via definitiva.
11.1. Si osserva inoltre che
l’onere motivazionale richiesto
all’amministrazione in sede di adozione
dell’atto di ritiro risulterà altresì
agevolato nelle ipotesi in cui la non
veritiera prospettazione dei fatti rilevanti
da parte del soggetto interessato abbia
sortito un rilievo determinante per
l’adozione dell’atto illegittimo
Se infatti è vero in via generale che il
potere della P.A. di annullare in via di
autotutela un atto amministrativo
illegittimo incontra un limite generale nel
rispetto dei principi di buona fede,
correttezza e tutela dell’affidamento
comunque ingenerato dall’iniziale adozione
dell’atto (i quali plasmano il conseguente
obbligo motivazionale), è parimenti vero che
le medesime esigenze di tutela non possono
dirsi sussistenti qualora il contegno del
privato abbia consapevolmente determinato
una situazione di affidamento non legittimo.
In tali casi l’amministrazione potrà
legittimamente fondare l’annullamento in
autotutela sulla rilevata non veridicità
delle circostanze a suo tempo prospettate
dal soggetto interessato, in capo al quale
non sarà configurabile una posizione di
affidamento legittimo da valutare in
relazione al concomitante interesse
pubblico.
12. Le considerazioni appena svolte
consentono di passare all’esame della
quarta delle questioni dinanzi
richiamate
(se, cioè, la non veritiera prospettazione
da parte del privato delle circostanze in
fatto e in diritto sottese all’adozione
dell’iniziale provvedimento favorevole
consentano comunque di configurare in capo a
lui una posizione di affidamento incolpevole
e se -in caso negativo- l’amministrazione
possa adeguatamente motivare l’adozione
dell’atto di annullamento sul mero dato
dell’originaria, inveritiera prospettazione).
Al primo di tali quesiti deve essere fornita
risposta negativa, non potendosi affermare
(per le ragioni già esposte sub 11.1) la
sussistenza di un affidamento legittimo e
incolpevole al mantenimento dello status quo
ante in capo al soggetto il quale abbia
determinato, attraverso la non veritiera
prospettazione delle circostanze rilevanti,
l’adozione di un atto illegittimo a lui
favorevole.
Né può deporre in favore del maturare di uno
stato di affidamento incolpevole il contegno
negligente ed erroneo dell’amministrazione
la quale non abbia tempestivamente rilevato
l’oggettiva falsità delle circostanze
rappresentate.
12.1. La giurisprudenza di questo Consiglio
ha condivisibilmente stabilito al riguardo
che non sussiste l’esigenza di tutelare
l’affidamento di chi abbia ottenuto un
titolo edilizio –anche in sanatoria–
rappresentando elementi non veritieri, e ciò
anche qualora intercorra un considerevole
lasso di tempo fra l’abuso e l’intervento
repressivo dell’amministrazione (in tal
senso: Cons. Stato, IV, 12.12.2016, n. 5198;
id., V, 13.05.2014, n. 2451).
12.2. La giurisprudenza di questo Consiglio
ha inoltre stabilito (in modo parimenti
condivisibile) che non può essere
configurato alcun affidamento legittimo, in
specie ai fini risarcitori, il quale risulti
fondato su un provvedimento illegittimo. Si
è osservato al riguardo che può essere non
più opportuno far luogo all’annullamento in
autotutela, in considerazione del tempo
trascorso e degli interessi dei destinatari
e dei controinteressati; ma quando tali
condizioni sono rispettate non vi è spazio
per la tutela patrimoniale (in tal senso –ex
multis -: Cons. Stato, VI, 27.09.2016,
n. 3975).
Ebbene, se le acquisizioni in parola
risultano valide ai fini risarcitori e a
fronte di illegittimità imputabili
all’amministrazione, esse risulteranno tanto
più condivisibili nel caso in cui
l’illegittimità dell’atto sia stata
determinata dalla non veritiera
prospettazione dei fatti rinveniente dal
soggetto che si sarebbe in seguito
avvantaggiato dell’errore
dell’amministrazione.
In tali ipotesi (e per le ragioni già
esposte retro, sub 11 e 11.1)
l’amministrazione potrà adeguatamente
motivare l’adozione dell’atto di
annullamento sul mero dato dell’originaria,
non veritiera prospettazione.
Nelle medesime ipotesi, infatti (e anche a
prescindere dai profili di rilevanza
penale), l’oggettiva
falsità della prospettazione dei fatti
rilevanti e la sua incidenza ai fini
dell’adozione dell’atto illegittimo non
consentiranno di configurare una posizione
di affidamento legittimo e consentiranno
all’amministrazione di limitare l’onere
motivazionale alla dedotta falsità, non
sussistendo un interesse privato meritevole
di tutela da porre in comparazione con
quello pubblico (comunque sussistente) al
ripristino della legalità violata.
13. In conclusione l’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato enuncia il seguente
principio di diritto: “nella
vigenza dell’articolo 21-nonies della l. 241
del 1990 –per come introdotto dalla l. 15
del 2005- l’annullamento d’ufficio di un
titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad
una distanza temporale considerevole dal
provvedimento annullato, deve essere
motivato in relazione alla sussistenza di un
interesse pubblico concreto e attuale
all’adozione dell’atto di ritiro anche
tenuto conto degli interessi dei privati
destinatari del provvedimento sfavorevole.
In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi:
i) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il
potere di adozione dell’annullamento
d’ufficio e che, in ogni caso, il termine
‘ragionevole’ per la sua adozione decorra
soltanto dal momento della scoperta, da
parte dell’amministrazione, dei fatti e
delle circostanze posti a fondamento
dell’atto di ritiro;
ii) che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione
risulterà attenuato in ragione della
rilevanza e autoevidenza degli interessi
pubblici tutelati (al punto che, nelle
ipotesi di maggior rilievo, esso potrà
essere soddisfatto attraverso il richiamo
alle pertinenti circostanze in fatto e il
rinvio alle disposizioni di tutela che
risultano in concreto violate, che
normalmente possano integrare, ove
necessario, le ragioni di interesse pubblico
che depongano nel senso dell’esercizio del
ius poenitendi);
iii) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle
circostanze in fatto e in diritto poste a
fondamento dell’atto illegittimo a lui
favorevole non consente di configurare in
capo a lui una posizione di affidamento
legittimo, con la conseguenza per cui
l’onere motivazionale gravante
sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto
attraverso il documentato richiamo alla non
veritiera prospettazione di parte”. |
settembre 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Questa Corte ha
in passato, per un verso, ritenuto che fosse soggetta
a permesso di costruire l'esecuzione di interventi
finalizzati a realizzare un piazzale mediante livellamento
del terreno, in quanto tale attività avesse determinato una
modificazione permanente dello stato materiale e della
conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso
da quello che gli era proprio e, per altro verso, che
la realizzazione di un muro di recinzione necessitasse del
previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui,
avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area
relativa, lo stesso fosse tale da modificare, come avvenuto
nel caso di specie, l'assetto urbanistico del territorio.
Pertanto, una volta esclusa la possibilità di ricondurre il
descritto intervento edilizio alla nozione di
"ristrutturazione edilizia" deve, altresì, escludersi che il
medesimo potesse essere assentito mediante Super D.I.A. (e a
fortiori mediante semplice D.I.A.), essendo al contrario
necessario il preventivo rilascio del permesso di costruire;
sicché deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia
correttamente configurato, nel caso di specie, la
contravvenzione prevista dall'art. 44, comma 1, lett. c),
del d.P.R. n. 380 del 2001.
Va, infatti, ribadito che in tema di violazioni
urbanistico-edilizie, la responsabilità per abuso edilizio
del committente, del titolare del permesso di
costruire, del direttore dei lavori e del
costruttore, individuata ai sensi dell'art. 29 del
d.P.R. n. 380 del 2001, non è esclusa nell'ipotesi di
intervento realizzato direttamente in base ad una D.I.A.
illegittima.
---------------
La legittimità di una procedura di rilascio di un titolo
abilitativo non può essere ricavata, neanche sul piano
indiziario, dalla valutazione che di essa abbia fatto
l'organo amministrativo competente, spettando pacificamente
al giudice penale verificare se siano state effettivamente
rispettate la disposizioni stabilite dalla legge al fine di
assentire un determinato intervento edilizio.
---------------
Gli interventi edilizi soggetti al permesso di costruire non
sono sanabili -pur se realizzati dall'interessato con una
denuncia di inizio attività alternativa al permesso di
costruire ex art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001,
mediante la presentazione di una D.I.A. in sanatoria ai
sensi dell'art. 37 del medesimo decreto, la quale può essere
richiesta unicamente per gli interventi edilizi, realizzati
in assenza o in difformità della denuncia di inizio
attività, previsti dall'art. 22, commi 1 e 2, del d.P.R.
citato- ma richiedono la procedura di accertamento di
conformità prevista per la sanatoria edilizia dall'art. 36
del citato decreto.
Ciò in quanto l'art. 36 stabilisce che i manufatti abusivi
già realizzati possano essere successivamente assentiti
soltanto mediante il rilascio del permesso di costruire in
sanatoria e non anche mediante D.I.A., in considerazione del
più pregnante controllo richiesto alla pubblica
amministrazione nell'ipotesi di sanatoria di costruzioni
originariamente abusive, evidenziato dalla necessità che si
proceda ad una valutazione di doppia conformità agli
strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito
della richiesta di sanatoria nell'ipotesi di mancato
accoglimento entro il termine di sessanta giorni.
---------------
E' illegittimo e non determina l'estinzione del reato
edilizio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e
45 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, il rilascio di un permesso
di costruire in sanatoria condizionato all'esecuzione di
specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto
abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici,
in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con
la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta
esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza
alla disciplina urbanistica.
---------------
1. I ricorsi sono manifestamente infondati.
2. Osserva, in primo luogo, il Collegio come la Corte
territoriale abbia adeguatamente dato conto del fatto che le
opere realizzate -consistenti in una pavimentazione eseguita
previa spianatura del terreno esistente e con posa in opera
di erborelle amovibili, in un'area dell'ampiezza di 700
metri quadri, parzialmente destinata a viabilità secondo la
variante al P.R.G., in due muri divisori di metri 5,90 per
1,80 per 0,20 e di metri 18,20 per 1,60 per 0,30 metri,
nonché in un muro di cinta in calcestruzzo delle dimensioni
di metri 56,80 per 2,20 per 0,30- avessero
significativamente inciso sull'assetto urbanistico della
zona de qua attraverso una trasformazione permanente del
suolo; e che, come tali, esse fossero qualificabili come "nuova
costruzione", tanto da richiedere il preventivo rilascio
di un permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1,
del d.P.R. n. 380 del 2001.
Sul punto, il ricorso introduttivo argomenta nel senso che
l'intervento dovesse essere qualificato come "ristrutturazione
edilizia", realizzata a servizio del fabbricato. E da
tale qualificazione sarebbe derivato che le opere avrebbero
potuto essere assentite con permesso di costruire ai sensi
dell'art. 10, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001
ovvero con la D.I.A. sostitutiva o Super-D.I.A. che ai sensi
dell'art. 22, comma 3, lett. a), del predetto decreto, nella
versione all'epoca vigente, poteva essere adottata, in luogo
del permesso di costruire, proprio in relazione agli
"interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10,
comma 1, lettera c)".
2.1. La tesi difensiva è, però, manifestamente infondata.
In primo luogo è opportuno osservare che la stessa D.I.A.
presentata dalle due imputate aveva qualificato l'intervento
edificatorio non come "ristrutturazione edilizia",
quanto piuttosto come "manutenzione straordinaria";
ciò a riprova del fatto che la denominazione prospettata in
ricorso configuri, all'evidenza, un tentativo di
giustificare ex post il ricorso allo strumento della
D.I.A. in luogo del permesso di costruire. Tanto è vero che
la sentenza di secondo grado non si è in alcun modo
confrontata, sia pure criticamente, con tale tesi, mai
avanzata nel corso del giudizio di appello.
Al di là di tale osservazione preliminare, rileva il
Collegio che la illegittimità della D.I.A. presentata dalle
ricorrenti fosse stata correttamente riscontrata dai giudici
di appello sulla base di una serie di concreti elementi, che
le argomentazioni critiche sviluppate nel ricorso
introduttivo non sono riuscite a confutare.
Secondo la previsione dell'art. 10, comma 1, del d.P.R. n.
380 del 2001, infatti, costituiscono interventi di
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono
subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di
nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione
urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia
che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente e che comportino aumento di unità
immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei
prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli
immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino
mutamenti della destinazione d'uso. E secondo l'art. 3,
comma 1, lett. d), del medesimo d.P.R. sono qualificati come
"interventi di ristrutturazione edilizia", gli
interventi "rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme sistematico di opere che possono portare
ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio,
l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le
sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica".
In questa prospettiva, deve risolutamente escludersi che
l'intervento edilizio contestato a Ma. e Ti. Di Re. potesse
essere qualificato come "ristrutturazione edilizia".
Secondo quanto, infatti, emerso in sede istruttoria, in
luogo dell'originaria corte costituente pertinenza del
fabbricato circostante, era stata realizzata, mediante
livellamento e successiva pavimentazione, una vasta area
destinata a parcheggio, con l'erezione di due muri divisori
di metri 5,90 per 1,80 per 0,20 e di metri 18,20 per 1,60
per 0,30 metri, nonché di un muro di cinta in calcestruzzo
delle dimensioni di metri 56,80 per 2,20 per 0,30.
Un intervento complessivo, quello appena descritto,
pacificamente riconducibile, secondo la consolidata
interpretazione della giurisprudenza di legittimità, alla
nozione di "nuova costruzione", secondo quanto
ricavabile dal combinato disposto dell'art. 3, comma 1,
lett. d) ed e), del citato d.P.R., avuto riguardo alla
significativa incidenza delle opere sull'assetto urbanistico
del territorio, riscontrata dai giudici di appello anche
alla stregua della documentazione fotografica in atti.
In passato, del resto, questa Corte ha, per un verso,
ritenuto che fosse soggetta a permesso di costruire
l'esecuzione di interventi finalizzati a realizzare un
piazzale mediante livellamento del terreno, in quanto tale
attività avesse determinato una modificazione permanente
dello stato materiale e della conformazione del suolo per
adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli era
proprio (Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016, dep. 12/01/2017,
Palma, Rv. 268847) e, per altro verso, che la
realizzazione di un muro di recinzione necessitasse del
previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui,
avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area
relativa, lo stesso fosse tale da modificare, come avvenuto
nel caso di specie, l'assetto urbanistico del territorio (Sez.
3, n. 52040 del 11/11/2014, dep. 15/12/2014, Langella e
altro, Rv. 261521).
Pertanto, una volta esclusa la possibilità di ricondurre il
descritto intervento edilizio alla nozione di "ristrutturazione
edilizia" deve, altresì, escludersi che il medesimo
potesse essere assentito mediante Super D.I.A. (e a
fortiori mediante semplice D.I.A.), essendo al contrario
necessario il preventivo rilascio del permesso di costruire;
sicché deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia
correttamente configurato, nel caso di specie, la
contravvenzione prevista dall'art. 44, comma 1, lett. c),
del d.P.R. n. 380 del 2001. Va, infatti, ribadito che in
tema di violazioni urbanistico-edilizie, la responsabilità
per abuso edilizio del committente, del titolare del
permesso di costruire, del direttore dei lavori e del
costruttore, individuata ai sensi dell'art. 29 del d.P.R. n.
380 del 2001, non è esclusa nell'ipotesi di intervento
realizzato direttamente in base ad una D.I.A. illegittima (Sez.
3, n. 10106 del 21/01/2016, dep. 11/03/2016, Torzini, Rv.
266291).
2.2. Né potrebbe argomentarsi, in contrario, seguendo il
percorso ricostruttivo svolto dalle ricorrenti che la
legittimità del ricorso alla D.I.A. possa ritenersi
dimostrata dal fatto che il comune di Chieri aveva assentito
la presentazione della D.I.A. in sanatoria, ancorché
subordinatamente al rilascio del menzionato atto d'obbligo.
In proposito, è appena il caso di rilevare che la
legittimità di una procedura di rilascio di un titolo
abilitativo non può essere ricavata, neanche sul piano
indiziario, dalla valutazione che di essa abbia fatto
l'organo amministrativo competente, spettando pacificamente
al giudice penale verificare se siano state effettivamente
rispettate la disposizioni stabilite dalla legge al fine di
assentire un determinato intervento edilizio.
3. Parimenti infondato è, poi, il secondo profilo di
doglianza, con il quale le ricorrenti deducono che in
ogni caso l'approvazione della D.I.A. in sanatoria avrebbe
realizzato sostanzialmente un accertamento di conformità.
Secondo quanto può ricavarsi dalla lettura della sentenza e
dai motivi di ricorso, infatti, Ma. e Ti. Di Re. avevano
presentato una D.I.A. in sanatoria secondo la procedura
stabilita dall'art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, a norma
del quale "la realizzazione di interventi edilizi di cui
all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in
difformità dalla denuncia di inizio attività" consente
al responsabile dell'abuso o al proprietario dell'immobile
di "ottenere la sanatoria dell'intervento versando la
somma, non superiore a 5164 euro e non inferiore a 516 euro
stabilita dal responsabile del procedimento in relazione
all'aumento di valore dell'immobile valutato dall'agenzia
del territorio", sempre che l'intervento realizzato
risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione dell'intervento,
sia al momento della presentazione della domanda (comma 4).
Tale disciplina, invero, si presenta del tutto distinta da
quella dettata dall'art. 36 dello stesso decreto, a mente
del quale "in caso di interventi realizzati in assenza di
permesso di costruire, o in difformità da esso ovvero in
assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui
all'articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla
scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33,
comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle
sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o
l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il
permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda" (comma 1).
Permesso in sanatoria il cui rilascio "è subordinato al
pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di
costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a
norma di legge, in misura pari a quella prevista
dall'articolo 16".
Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale
difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla
parte di opera difforme dal permesso (comma 2). Sulla
richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il
responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia
con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i
quali la richiesta si intende rifiutata (comma 3).
Ed anzi, secondo il consolidato orientamento di questa
Corte, cui deve essere data assoluta continuità, gli
interventi edilizi soggetti al permesso di costruire non
sono sanabili -pur se realizzati dall'interessato con una
denuncia di inizio attività alternativa al permesso di
costruire ex art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001,
mediante la presentazione di una D.I.A. in sanatoria ai
sensi dell'art. 37 del medesimo decreto, la quale può essere
richiesta unicamente per gli interventi edilizi, realizzati
in assenza o in difformità della denuncia di inizio
attività, previsti dall'art. 22, commi 1 e 2, del d.P.R.
citato- ma richiedono la procedura di accertamento di
conformità prevista per la sanatoria edilizia dall'art. 36
del citato decreto (Sez. 3, n. 41425 del 29/09/2011, dep.
14/11/2011, Eramo, Rv. 251327; Sez. 3, n. 28048 del
19/05/2009, dep. 09/07/2009, Barbarossa, Rv. 244580; Sez. 3,
n. 9894 del 20/01/2009, dep. 05/03/2009, Tarallo, Rv.
243099; Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, dep. 20/12/2006,
Cariello, Rv. 235413).
Ciò in quanto l'art. 36 stabilisce che i manufatti abusivi
già realizzati possano essere successivamente assentiti
soltanto mediante il rilascio del permesso di costruire in
sanatoria e non anche mediante D.I.A., in considerazione del
più pregnante controllo richiesto alla pubblica
amministrazione nell'ipotesi di sanatoria di costruzioni
originariamente abusive, evidenziato dalla necessità che si
proceda ad una valutazione di doppia conformità agli
strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito
della richiesta di sanatoria nell'ipotesi di mancato
accoglimento entro il termine di sessanta giorni.
Sotto altro profilo, deve altresì osservarsi, con
riferimento all'atto d'obbligo sottoscritto dalla legale
rappresentante della società committente, il quale, secondo
le ricorrenti avrebbe concorso al perfezionamento della
fattispecie sanante, che anche con riferimento tale aspetto
il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte
ritiene che sia illegittimo e non determini l'estinzione del
reato edilizio, ai sensi del combinato disposto degli artt.
36 e 45 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, il rilascio di un
permesso di costruire in sanatoria condizionato
all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a
ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità
agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione
contrasta ontologicamente con la ratio della
sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle
opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina
urbanistica (Sez. 3, n. 51013 del 05/11/2015, dep.
29/12/2015, Carratù e altro, Rv. 266034; Sez. 3, n. 19587
del 27/04/2011, dep. 18/05/2011, Montini e altro, Rv.
250477; Sez. 3, n. 291 del 26/11/2003, dep. 09/01/2004, P.M.
in proc. Fannmiano, Rv. 226871).
Ne consegue la mancata integrazione della fattispecie
sanante, anche a prescindere dal fatto che l'intervento
edilizio incidesse su un'area parzialmente destinata a
tratti di viabilità e che, per tale motivo, le opere
realizzate si ponessero in conflitto con la disciplina della
relativa macrozona del Piano di edilizia economica popolare;
ciò che avrebbe, comunque, impedito, anche sotto tale
concorrente profilo, l'accertamento di conformità,
richiedendo l'art. 36 del d.P.R. citato la piena conformità
alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al
momento della realizzazione dell'intervento, sia al momento
della presentazione della domanda (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 21.09.2017 n. 43155). |
EDILIZIA PRIVATA: L'istanza di accertamento di conformità (c.d.
sanatoria) non incide sulla legittimità della previa
ordinanza di demolizione pregiudicandone definitivamente
l'efficacia ma soltanto sospendendone gli effetti fino alla
definizione, espressa o tacita, dell'istanza, con il
risultato che essa potrà essere portata ad esecuzione se
l'istanza è rigettata decorrendo il relativo termine di
adempimento dalla conoscenza del diniego.
---------------
Va premessa la differente natura
dell’istanza di sanatoria (anche detta richiesta di
accertamento della cd. doppia conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001) rispetto alla
domanda di condono
edilizio di cui alle leggi n. 47 del 1985, n. 724 del 1994 e
n. 326 del 2003 (quest’ultima è quella ratione temporis
applicabile al caso che ci occupa) e che, nella
prospettazione del ricorrente, appaiono assimilate a
sostegno dell’asserzione della conseguente inefficacia del
procedimento in atto per la sanzione dell'opera abusiva.
Al riguardo la giurisprudenza ha chiarito che “dalla presentazione della
domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R.
n. 380 del 2001 non possono trarsi le medesime conseguenze
della domanda di condono poiché "...i presupposti dei due
procedimenti di sanatoria -quello di condono edilizio e
quello di accertamento di conformità urbanistica- sono non
solo diversi ma anche antitetici, atteso che l'uno (condono
edilizio) concerne il perdono ex lege per la realizzazione
sine titulo abilitativo di un manufatto in contrasto con le
prescrizioni urbanistiche (violazione sostanziale) l'altro
(sanatoria ex art. 13 legge 47/1985 oggi art. 36 DPR n.
380/2001) l'accertamento ex post della conformità
dell'intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo
abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione
formale)".
Per tali osservazioni alla fattispecie
dell'accertamento di conformità non può applicarsi la
sospensione dei procedimenti sanzionatori prevista per i
condoni a partire dall’art. 44 della legge n. 47 del 1985,
come richiamato dalle successive disposizioni di cui
all'art. 39 della legge n. 724 del 1994 e dell'art. 32 della
legge n. 326 del 2003", poiché, come anche precisato, "A
seguito della presentazione della domanda di sanatoria ex
art. 13 l. 28.02.1985 n. 47" (attuale art. 36 del d.P.R.
n. 380 del 2001) "...non perde efficacia l'ingiunzione di
demolizione precedentemente emanata, poiché a tal fine
occorrerebbe una specifica previsione normativa, come quella
contenuta negli art. 38 e 44 l. n. 47 del 1985 con
riferimento alle domande di condono edilizio; ...".
Si correla a questo quadro quanto affermato dalla Sezione sull'erroneità
della ricostruzione per cui la presentazione dell'istanza di
sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 successivamente
alla ordinanza di demolizione, comporterebbe la necessaria
formazione, anche sub specie di silenzio-rigetto, di un
nuovo provvedimento idoneo a superare il provvedimento
sanzionatorio oggetto dell'impugnativa, cosicché
l'Amministrazione sarebbe tenuta, in ogni caso, ad adottare
un nuovo provvedimento sanzionatorio, assegnando un nuovo
termine per adempiere, poiché questa giurisprudenza "si è
formata in tema di condono edilizio, ossia di richiesta che trova il suo
fondamento in una norma di carattere legislativo, che,
innovando alla disciplina urbanistica vigente, consente, a
determinate condizioni e per un limitato periodo di tempo,
la sanatoria degli abusi commessi", non potendo trovare
applicazione tali principi "al caso di specie, in cui il
ricorrente ha formulato istanza ai sensi dell'art. 36 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380, ossia ai sensi di una norma
che, prevedendo quella che, sinteticamente, si definisce
doppia conformità, limita la valutazione dell'opera sulla
base di una disciplina preesistente", per cui
"Sostenere...che, nell'ipotesi di rigetto, esplicito o
implicito, dell'istanza di accertamento di conformità,
l'amministrazione debba riadottare l'ordinanza di
demolizione, equivale al riconoscimento in capo a un
soggetto privato, destinatario di un provvedimento
sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un
sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento".
Da tutto ciò consegue la correttezza della sentenza di primo
grado nella parte in cui si richiama la giurisprudenza per
cui l'istanza di accertamento di conformità non incide sulla
legittimità della previa ordinanza di demolizione
pregiudicandone definitivamente l'efficacia ma soltanto
sospendendone gli effetti fino alla definizione, espressa o
tacita, dell'istanza, con il risultato che essa potrà essere
portata ad esecuzione se l'istanza è rigettata decorrendo il
relativo termine di adempimento dalla conoscenza del
diniego”.
---------------
6.2. Del pari infondato è il secondo motivo di
gravame.
Il Collegio intende aderire all’orientamento, anche di
recente riaffermato da questo Consiglio di Stato, secondo
cui “L'istanza di accertamento di conformità (c.d.
sanatoria) non incide sulla legittimità della previa
ordinanza di demolizione pregiudicandone definitivamente
l'efficacia ma soltanto sospendendone gli effetti fino alla
definizione, espressa o tacita, dell'istanza, con il
risultato che essa potrà essere portata ad esecuzione se
l'istanza è rigettata decorrendo il relativo termine di
adempimento dalla conoscenza del diniego” (Consiglio di
Stato, sez. VI, 02.02.2015, n. 466).
Va premessa, a tal riguardo, la differente natura
dell’istanza di sanatoria (anche detta richiesta di
accertamento della cd. doppia conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001) rispetto alla
domanda di condono
edilizio di cui alle leggi n. 47 del 1985, n. 724 del 1994 e
n. 326 del 2003 (quest’ultima è quella ratione temporis
applicabile al caso che ci occupa) e che, nella
prospettazione del ricorrente, appaiono assimilate a
sostegno dell’asserzione della conseguente inefficacia del
procedimento in atto per la sanzione dell'opera abusiva.
Al riguardo la giurisprudenza, con valutazione che il
Collegio condivide e da cui non vi è qui motivo per
discostarsi, ha chiarito che “dalla presentazione della
domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R.
n. 380 del 2001 non possono trarsi le medesime conseguenze
della domanda di condono poiché "...i presupposti dei due
procedimenti di sanatoria -quello di condono edilizio e
quello di accertamento di conformità urbanistica- sono non
solo diversi ma anche antitetici, atteso che l'uno (condono
edilizio) concerne il perdono ex lege per la realizzazione
sine titulo abilitativo di un manufatto in contrasto con le
prescrizioni urbanistiche (violazione sostanziale) l'altro
(sanatoria ex art. 13 legge 47/1985 oggi art. 36 DPR n.
380/2001) l'accertamento ex post della conformità
dell'intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo
abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione
formale)" (TAR Lazio, sez. I-quater, 11.01.2011, n.
124 e 22.12.2010, n. 38207 e la sentenza del TAR
Campania Napoli, sez. VI, 03.09.2010, n. 17282 in
quest'ultima citata).
Per tali osservazioni alla fattispecie
dell'accertamento di conformità non può applicarsi la
sospensione dei procedimenti sanzionatori prevista per i
condoni a partire dall’art. 44 della legge n. 47 del 1985,
come richiamato dalle successive disposizioni di cui
all'art. 39 della legge n. 724 del 1994 e dell'art. 32 della
legge n. 326 del 2003" (Tar Lazio, sez. I-quater, 02.03.2012, n. 2165), poiché, come anche precisato, "A
seguito della presentazione della domanda di sanatoria ex
art. 13 l. 28.02.1985 n. 47" (attuale art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001) "...non perde efficacia
l'ingiunzione di demolizione precedentemente emanata, poiché
a tal fine occorrerebbe una specifica previsione normativa,
come quella contenuta negli art. 38 e 44 l. n. 47 del 1985
con riferimento alle domande di condono edilizio; ..." (Tar
Lazio, sez. I-quater, 24.01.2011, n. 693).
Si correla a questo quadro quanto affermato dalla Sezione,
con la sentenza del 06.05.2014, n. 2307, sull'erroneità
della ricostruzione per cui la presentazione dell'istanza di
sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 successivamente
alla ordinanza di demolizione, comporterebbe la necessaria
formazione, anche sub specie di silenzio-rigetto, di un
nuovo provvedimento idoneo a superare il provvedimento
sanzionatorio oggetto dell'impugnativa, cosicché
l'Amministrazione sarebbe tenuta, in ogni caso, ad adottare
un nuovo provvedimento sanzionatorio, assegnando un nuovo
termine per adempiere, poiché questa giurisprudenza "si è
formata in tema di condono edilizio (Cons. Stato VI, 26.03.2010, n. 1750), ossia di richiesta che trova il suo
fondamento in una norma di carattere legislativo, che,
innovando alla disciplina urbanistica vigente, consente, a
determinate condizioni e per un limitato periodo di tempo,
la sanatoria degli abusi commessi", non potendo trovare
applicazione tali principi "al caso di specie, in cui il
ricorrente ha formulato istanza ai sensi dell'art. 36 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380, ossia ai sensi di una norma
che, prevedendo quella che, sinteticamente, si definisce
doppia conformità, limita la valutazione dell'opera sulla
base di una disciplina preesistente", per cui
"Sostenere...che, nell'ipotesi di rigetto, esplicito o
implicito, dell'istanza di accertamento di conformità,
l'amministrazione debba riadottare l'ordinanza di
demolizione, equivale al riconoscimento in capo a un
soggetto privato, destinatario di un provvedimento
sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un
sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento".
Da tutto ciò consegue la correttezza della sentenza di primo
grado nella parte in cui si richiama la giurisprudenza per
cui l'istanza di accertamento di conformità non incide sulla
legittimità della previa ordinanza di demolizione
pregiudicandone definitivamente l'efficacia ma soltanto
sospendendone gli effetti fino alla definizione, espressa o
tacita, dell'istanza, con il risultato che essa potrà essere
portata ad esecuzione se l'istanza è rigettata decorrendo il
relativo termine di adempimento dalla conoscenza del
diniego” (Consiglio di Stato, sez. VI, 02.02.2015, n.
466).
Ciò premesso, nella vicenda in esame si rileva che:
l'ordinanza di demolizione è stata impugnata anteriormente
alla presentazione dell'istanza di accertamento di
conformità; nel corso del giudizio si è formato il
silenzio-rigetto sull'istanza di sanatoria, di cui non
risulta –o almeno di ciò l’appellante non ha fornito la
prova– esservi stata impugnazione; all’esito di tutto ciò
l'ordinanza di demolizione ha riacquistato piena efficacia (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 11.09.2017 n. 4269 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Opere realizzate in violazione della disciplina
antisismica e sulle opere in cemento armato - Efficacia
estintiva del permesso di costruire in sanatoria -
Esclusione - Artt. 44, lett. b), 64, 65, 71, 72, 93, 94, 95
d.P.R. n. 380/2001 - Giurisprudenza.
L'efficacia estintiva del permesso di costruire in
sanatoria, deve escludersi per le opere realizzate in
violazione della disciplina antisismica e sulle opere in
cemento armato. Sul punto la giurisprudenza (Cass. Sez. 3,
n. 11271 del 17/02/2010; Braccolino; Sez. 3, n. 19256 del
13/04/2005, Cupelli; Sez. 3, n. 1658 del 01/12/1997 (dep.
1998), Agnesse) (Corte Cost. sent. 149 del 30/04/1999). Tali
esclusioni riguardano anche la disciplina delle opere in
cemento armato (Cass. Sez. 3, n. 11511 del 15/02/2002, Menna
A.; Sez. 3, n. 50 del 07/11/1997 (dep. 1998), Casà G. ed
altre prec. conf.).
Intervento abusivo - Violazioni edilizie
e paesaggistiche - Valutazione della particolare tenuità.
Ai fini della valutazione della particolare tenuità del
fatto in tema di violazioni edilizie e paesaggistiche la
consistenza dell'intervento abusivo (tipologia di
intervento, dimensioni e caratteristiche costruttive)
costituisce solo uno dei parametri di valutazione, perché,
per ciò che riguarda gli aspetti urbanistici, in
particolare, assumono rilievo anche altri elementi, quali,
ad esempio, la destinazione dell'immobile, l'incidenza sul
carico urbanistico.
Inoltre, altro indice sintomatico della non particolare
tenuità del fatto è rappresentato dalla contestuale
violazione di più disposizioni quale conseguenza
dell'intervento abusivo, come nel caso in cui siano
contestualmente violate, mediante la realizzazione
dell'opera, anche altre disposizioni finalizzate alla tutela
di interessi diversi (norme in materia di costruzioni in
zone sismiche, di opere in cemento armato, di tutela del
paesaggio e dell'ambiente, a quelle relative alla fruizione
delle aree demaniali) (Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, P.M.
in proc. Derossi; Conf. Sez. 3, n. 19111 del 10/03/2016,
Mancuso) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.08.2017 n. 38953
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
la uniforme giurisprudenza di questa Corte, deve escludersi l'efficacia
estintiva del permesso di costruire in sanatoria per le opere realizzate in
violazione della disciplina antisismica.
E tale esclusione riguarda anche la disciplina delle opere in cemento
armato.
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3. Del tutto errata risulta, al contrario, l'affermazione, contenuta nel
motivo di ricorso in esame, secondo la quale la sanatoria conseguita
dall'imputato avrebbe comportato anche l'estinzione della violazione della
disciplina antisismica.
Va detto, peraltro, che anche sul punto la sentenza impugnata offre una
confusa descrizione della sequenza procedimentale che avrebbe preceduto il
rilascio del titolo abilitativo sanante, facendo peraltro riferimento a
titoli diversi (concessione, autorizzazione, denuncia attività), ad attività
di demolizione di opere in difformità e ad altra procedura di sanatoria
pendente per l'abuso di cui al capo a) punto 5 per il quale è intervenuta
comunque l'assoluzione.
Ciò nonostante, va comunque osservato che, secondo la uniforme
giurisprudenza di questa Corte, deve escludersi l'efficacia estintiva del
permesso di costruire in sanatoria per le opere realizzate in violazione
della disciplina antisismica.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è uniforme (v., ex pl., Sez. 3,
n. 11271 del 17/02/2010; Braccolino, Rv. 246462; Sez. 3, n. 19256 del
13/04/2005, Cupelli, Rv. 231850; Sez. 3, n. 1658 del 01/12/1997 (dep. 1998),
Agnesse, Rv. 209571) e le esclusioni individuate dalla condivisibile lettura
della norma in esame, hanno superato anche il vaglio della Corte
Costituzionale (Corte Cost. sent. 149 del 30.04.1999).
Va per inciso rilevato che tali esclusioni riguardano anche la disciplina
delle opere in cemento armato, la sanabilità delle quali il Tribunale ha
invece erroneamente ammesso (v. Sez. 3, n. 11511 del 15/02/2002, Menna A, Rv.
22143901: Sez. 3, n. 50 del 07/11/1997 (dep. 1998), Casà G, Rv. 20966201 ed
altre prec. conf.)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.08.2017 n. 38953). |
giugno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Costruzioni da eseguirsi nelle zone sismiche -
Violazioni della disciplina antisismica - Inefficacia della
sanatoria - Ultimazione dei lavori - Criteri -
Giurisprudenza - Artt. 36, 65-72, 93-95 del D.P.R. n.
380/2001.
Il conseguimento del permesso di costruire in sanatoria ai
sensi dell'art. 36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, comporta
l'estinzione dei soli reati contravvenzionali previsti dalle
norme urbanistiche vigenti, nella cui nozione non rientra la
disciplina per le costruzioni da eseguirsi nelle zone
sismiche, che ha una oggettività giuridica diversa da quella
riguardante il corretto assetto del territorio.
Inoltre, l'ultimazione dei lavori, coincide con la
conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni,
quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3, n. 39733 del
18/10/2011, Ventura), di modo che anche il suo utilizzo
effettivo, ancorché accompagnato dall'attivazione delle
utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è
sufficiente per ritenere sussistente l'ultimazione
dell'immobile abusivamente realizzato (Sez. 3, n. 48002 del
17/09/2014, Surano) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 20.06.2017 n. 30654
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il conseguimento del permesso di costruire
in sanatoria ai sensi dell'art. 36 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380, comporta l'estinzione dei soli
reati contravvenzionali previsti dalle norme
urbanistiche vigenti, nella cui nozione non rientra
la disciplina per le costruzioni da eseguirsi nelle
zone sismiche, che ha una oggettività giuridica
diversa da quella riguardante il corretto assetto
del territorio.
---------------
4. Il terzo motivo è manifestamente
infondato, considerata l'autonomia delle fattispecie
contestate ai capi B), C), e D) dell'imputazione
rispetto al reato di cui al capo A) e la assoluta
irrilevanza, rispetto alle predette fattispecie
contravvenzionali, del rilascio del permesso a
costruire in sanatoria.
Costituisce principio consolidato, infatti, che il conseguimento del permesso di costruire
in sanatoria ai sensi dell'art. 36 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380, comporta l'estinzione dei soli
reati contravvenzionali previsti dalle norme
urbanistiche vigenti, nella cui nozione non rientra
la disciplina per le costruzioni da eseguirsi nelle
zone sismiche, che ha una oggettività giuridica
diversa da quella riguardante il corretto assetto
del territorio
(Sez. F, n. 44015 del 04/09/2014, dep. 22/10/2014,
Conforti, Rv. 261099; nonché Sez. 3, n. 7764 del
04/05/1999, dep. 16/06/1999, P.M. in proc. Cosentino
A ed altro, Rv. 214165 e Sez. 3, n. 2114 del
26/11/2002, dep. 17/01/2003, PG in proc. Frascani e
altro, Rv. 223145, pronunciate con riferimento alla
omologa disposizione, ratione temporis
vigente, di cui all'art. 22 della legge 28.02.1985
n. 47) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 20.06.2017 n. 30654). |
aprile 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La presentazione di una nuova istanza ex art. 36,
d.p.r. 06.06.2001, n. 380, recante il «Testo Unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia», non rende inefficace il provvedimento
sanzionatorio pregresso e, quindi, non determina
l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza d’interesse,
dell’impugnazione proposta avverso l’ordinanza di
demolizione, ma comporta, tuttalpiù, un arresto temporaneo
dell’efficacia della misura repressiva che riacquista la sua
efficacia nel caso di rigetto della domanda di sanatoria.
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I principi affermati in tema di condono edilizio non possono
trovare applicazione al caso di specie, in cui il ricorrente
ha formulato istanza ai sensi dell’art. 36 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380, ossia ai sensi di una norma che,
prevedendo quella che, sinteticamente, si definisce doppia
conformità, limita la valutazione dell’opera sulla base di
una disciplina preesistente.
Sostenere, come affermato dalla sentenza impugnata, che,
nell’ipotesi di rigetto, esplicito o implicito, dell’istanza
di accertamento di conformità, l’amministrazione debba
riadottare l’ordinanza di demolizione, equivale al
riconoscimento in capo a un soggetto privato, destinatario
di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare,
attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo
provvedimento.
La ricostruzione dell’intero procedimento nei termini
suddetti non può essere effettuata in via meramente
interpretativa, ponendosi essa al di fuori di ogni
concezione sull’esercizio del potere, e richiede
un’esplicita scansione legislativa, allo stato assente, in
ordine ai tempi e ai modi della partecipazione dei soggetti
del rapporto.
---------------
5. Questo Collegio, sebbene la questione non sia
strettamente rilevante per la decisione del ricorso in
appello, non può non rilevare che l’affermazione contenuta
nella sentenza appellata (secondo la quale l’istanza di
permesso di costruire in sanatoria, presentata
successivamente all’impugnazione dell’ordinanza di
demolizione, produce l’effetto di rendere improcedibile
l’impugnazione stessa per sopravvenuto difetto di interesse)
non può essere condivisa.
Questo Consiglio ha, al contrario, affermato: “La
presentazione di una nuova istanza ex art. 36, d.p.r.
06.06.2001, n. 380, recante il « Testo Unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia », non rende inefficace il provvedimento
sanzionatorio pregresso e, quindi, non determina
l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza d’interesse,
dell’impugnazione proposta avverso l’ordinanza di
demolizione, ma comporta, tutt'al più, un arresto temporaneo
dell’efficacia della misura repressiva che riacquista la sua
efficacia nel caso di rigetto della domanda di sanatoria”
(Consiglio di Stato, sez. VI, 08.04.2016, n. 1393).
“I principi affermati in tema di condono edilizio non
possono trovare applicazione al caso di specie, in cui il
ricorrente ha formulato istanza ai sensi dell’art. 36 del
d.P.R. 06.06.2001, n. 380, ossia ai sensi di una norma che,
prevedendo quella che, sinteticamente, si definisce doppia
conformità, limita la valutazione dell’opera sulla base di
una disciplina preesistente.
Sostenere, come affermato dalla sentenza impugnata, che,
nell’ipotesi di rigetto, esplicito o implicito, dell’istanza
di accertamento di conformità, l’amministrazione debba
riadottare l’ordinanza di demolizione, equivale al
riconoscimento in capo a un soggetto privato, destinatario
di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare,
attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo
provvedimento.
La ricostruzione dell’intero procedimento nei termini
suddetti non può essere effettuata in via meramente
interpretativa, ponendosi essa al di fuori di ogni
concezione sull’esercizio del potere, e richiede
un’esplicita scansione legislativa, allo stato assente, in
ordine ai tempi e ai modi della partecipazione dei soggetti
del rapporto” (Consiglio di Stato, VI, 06.05.2014, n.
2307).
6. La censura dedotta è fondata e, consequenzialmente, va
accolto il ricorso in appello e annullati i provvedimenti
impugnati in primo grado in quanto viziati da eccesso di
potere per difetto di istruttoria (Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 04.04.2017 n. 1565 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La cd. "soglia di tolleranza" di cui all'art. 34,
comma 2-ter, d.P.R. n. 380 del 2001, si applica
esclusivamente all'intervento e alle opere così come
realizzati e costituisce unità di misura percentuale della
eventuale variazione tra ciò che è stato assentito (che
normalmente corrisponde allo "stato di progetto") e quel che
è stato realizzato; tale criterio non si applica anche al
modo con cui deve essere confezionato lo "stato di fatto" di
progetto.
Lo "stato di fatto" deve rappresentare fedelmente la realtà
che prevale sempre sulle (eventualmente) diverse risultanze
catastali, ciò perché oggetto di valutazione, in sede
urbanistico-edilizia, è l'immobile nella sua consistenza
effettiva, non in quella catastale.
E' perciò del tutto errata la tesi difensiva secondo cui la
corrispondenza deve sussistere tra lo "stato di fatto" di
progetto e le planimetrie catastali che, come noto, non sono
fidefacenti e proprio per questo sono soggette a continue
revisioni e aggiornamenti.
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In materia urbanistica-edilizia, la
necessità dell'accertamento della cd. "doppia conformità"
dell'opera agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento
della realizzazione dell'opera stessa che a quello della
presentazione della domanda, rende ancora più stringente la
necessità che lo "stato di fatto" del progetto rappresenti
in modo assolutamente fedele la reale consistenza
dell'immobile.
---------------
3. Il primo motivo è infondato.
3.1. Le ipotizzate falsità riguardano gli elaborati tecnici
redatti dall'imputato e trasmessi al Comune di Spormaggiore
con la richiesta di rilascio di permesso di costruire in
sanatoria (sanatoria effettivamente rilasciata).
Risulta dal testo della sentenza impugnata e di quella di
primo grado che la reale situazione di fatto non
corrispondeva a quella rappresentata nei grafici. Tale
diversità aveva indotto il promissario acquirente
dell'immobile a pretendere il rilascio di un secondo
permesso di costruire in sanatoria avente ad oggetto
l'immobile nella sua reale consistenza.
3.2. Tanto premesso, osserva innanzitutto questa Corte che
la questione posta con il primo motivo di ricorso dà
per scontato il mancato superamento della soglia di
tolleranza di cui all'art. 34, comma 2-ter, d.P.R. n. 380
del 2001, argomento che non solo non trova alcun riscontro
fattuale nella sentenza impugnata ma che sottende la
possibilità di estendere tale soglia anche alla fase della
progettazione.
3.3. La cd. "soglia di tolleranza"
di cui all'art. 34, comma 2-ter, d.P.R. n. 380 del 2001, si
applica esclusivamente all'intervento e alle opere così come
realizzati e costituisce unità di misura percentuale della
eventuale variazione tra ciò che è stato assentito (che
normalmente corrisponde allo "stato di progetto") e
quel che è stato realizzato; tale criterio non si applica
anche al modo con cui deve essere confezionato lo "stato
di fatto" di progetto.
Lo "stato di fatto" deve rappresentare fedelmente la
realtà che prevale sempre sulle (eventualmente) diverse
risultanze catastali, ciò perché oggetto di valutazione, in
sede urbanistico-edilizia, è l'immobile nella sua
consistenza effettiva, non in quella catastale.
E' perciò del tutto errata la tesi difensiva secondo cui la
corrispondenza deve sussistere tra lo "stato di fatto"
di progetto e le planimetrie catastali che, come noto, non
sono fidefacenti e proprio per questo sono soggette a
continue revisioni e aggiornamenti.
Non a caso, con d.l. 31.05.2010, n. 78, convertito con
modificazioni dalla legge 30.07.2010, n. 122 (art. 19, comma
14), è stato espressamente previsto che
«Gli
atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi
aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo
scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già
esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia,
devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di
nullità, oltre all'identificazione catastale, il riferimento
alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione,
resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato
di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base
delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta
dichiarazione può essere sostituita da un'attestazione di
conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla
presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima
della stipula dei predetti atti il notaio individua gli
intestatari catastali e verifica la loro conformità con le
risultanze dei registri immobiliari».
3.4. Sicché è del tutto inconferente l'argomento secondo cui
le piccole modifiche dell'immobile che, non incidendo sulla
rendita catastale, non necessitano di apposita variazione,
consentono al progettista di non riportarle nello "stato
di fatto" del progetto presentato a fini
urbanistico-edilizi. L'eterogeneità dei fini (tributario il
primo, conformità dell'opera agli strumenti urbanistici, il
secondo) è evidente e non necessita ulteriori spiegazioni.
3.5. V'è piuttosto da aggiungere che,
in materia
urbanistica-edilizia, la necessità dell'accertamento della
cd. "doppia conformità" dell'opera agli strumenti
urbanistici vigenti sia al momento della realizzazione
dell'opera stessa che a quello della presentazione della
domanda, rende ancora più stringente la necessità che lo "stato
di fatto" del progetto rappresenti in modo assolutamente
fedele la reale consistenza dell'immobile
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.03.2017 n. 15228). |
dicembre 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Comune di Ferno (VA). Richiesta di parere in merito al
procedimento di permesso di costruire in sanatoria per opere realizzate in
assenza di autorizzazione paesaggistica prima dell'apposizione del vincolo
paesaggistico. Protocollo di riferimento regionale n. T1.2016.0051211 del
10/10/2016. COMUNICAZIONE
(Regione Lombardia,
nota 01.12.2016 n. 62321 di prot.). |
luglio 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: Si
deve escludere –sulla
base di un costante insegnamento giurisprudenziale- la compatibilità della
c.d. regola pretoria della ‘sanatoria giurisprudenziale’
con il dettato normativo dell’art. 36, comma 1, del D.P.R.
380/2001.
L’operatività della regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’, con consentita legittimazione postuma di
opere originariamente e sostanzialmente abusive, viene a
porsi in contrasto:
- con il principio di legalità, in quanto si svuoterebbe
della sua portata precettiva, certa e vincolante, la
disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento della
commissione degli illeciti, e in quanto, estendendosi
l’ambito oggettivo di applicazione del permesso di costruire
in sanatoria, se ne violerebbe la tipicità provvedimentale,
ancorata dalla norma primaria che lo prevede (art. 36 del
D.P.R. 380/2001) alle sole violazioni di ordine formale;
- con il principio di imparzialità, in quanto si finirebbe
per premiare gli autori di abusi edilizi sostanziali, a
discapito di tutti coloro che abbiano correttamente eseguito
attività edificatorie, nel doveroso convincimento di
rispettare prescrizioni da altri, invece, impunemente
violate;
- con i principi di buon andamento e di efficacia, in
quanto, premiando –come detto– gli autori degli abusi
edilizi sostanziali, risulterebbe attenuata, se non
addirittura neutralizzata, la forza deterrente dell’apparato
sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo
del territorio;
- con i principi di proporzionalità e di ragionevolezza, in
quanto si estenderebbe l’ambito oggettivo di applicazione di
un istituto (permesso di costruire in sanatoria) al di là
della fenomenologia (abusi edilizi meramente formali) in
rapporto alla quale lo stesso è stato enucleato e
commisurato dal legislatore.
---------------
Quanto, da ultimo, alla richiamata distinzione fra “abuso
formale” ed “abuso sostanziale”, si osserva che, se
l’attuale conformità urbanistico-edilizia degli interventi
come sopra repressi è, dalla parte ricorrente, concretamente
indimostrata, ritiene il Collegio di dover escludere –sulla
base di un costante insegnamento giurisprudenziale che si
intende, in questa sede, confermare– la compatibilità della
c.d. regola pretoria della ‘sanatoria giurisprudenziale’ con
il dettato normativo dell’art. 36, comma 1, del D.P.R.
380/2001, tanto da trovare ingresso nell’ordinamento (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 26.04.2006, n. 2306; 17.09.2007, n. 4838; sez. V, 25.02.2009, n. 1126; sez. IV,
02.11.2009, n. 6784; TAR Lombardia, Brescia, 23.06.2003, n. 870; Milano, sez. II,
09.06.2006, n. 1352; sez.
I, 24.05.2013, n. 1371; TAR Emilia Romagna, Bologna,
sez. II, 15.01.2004, n. 16; Parma, 13.12.2007, n.
620; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 18.10.2004, n. 2506;
20.04.2005, n. 1094; TAR Liguria, Genova, sez. I, 23.02.2007, n. 364; TAR Sicilia, Catania, sez. I,
09.01.2009, n. 5; TAR Campania, Napoli, sez, VII, 07.05.2008, n. 3501; sez. VI,
04.08.2008, n. 9723; sez. III, 19.11.2008, n. 19875; sez. VIII, 10.09.2010, n.
17398; 03.07.2012, n. 3153; TAR Puglia, Lecce, sez. III,
09.12.2010, n. 2816; TAR Toscana, Firenze, sez. III, 11.02.2011, n. 263; 13.05.2011, n. 837; 27.03.2013, n. 497; Cass. pen., sez. III, 26.04.2007, n.
24451; 21.10.2008, n. 42526; 21.09.2009, n.
36350; 21.01.2010, n. 9446).
Nel senso di una rigorosa applicazione del canone della c.d.
doppia conformità degli interventi abusivi rispetto alla
disciplina urbanistico-edilizia vigente sia al momento della
loro esecuzione sia al momento della presentazione della
domanda di sanatoria, militano i seguenti argomenti
interpretativi, già illustrati da TAR Campania, Napoli,
sez. VII, nelle sentenze nn. 08.10.2015 n. 4718, 10.09.2010 n. 17398,
03.07.2012 n. 3153 e 20.03.2014 n. 1690, che di seguito si riportano:
a) Argomento letterale.
Ai sensi dell’art. 36, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, “in
caso di interventi realizzati in assenza di permesso di
costruire, o in difformità da esso, fino alla scadenza dei
termini di cui agli artt. 31, comma 3, 33, comma 1, 34,
comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni
amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale
proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in
sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”.
Il tenore letterale della norma è del tutto perspicuo e
inequivoco nel riferire il requisito della conformità
urbanistico-edilizia dell’opera (formalmente abusiva) “sia”
al momento della sua realizzazione “sia” al momento della
presentazione della domanda di sanatoria.
Di fronte a siffatto dettato normativo, non appare al
Collegio condivisibile l’approccio ermeneutico elaborato da
Cons. Stato, sez. VI, 07.05.2009, n. 2835.
Stando a tale pronuncia, il canone della doppia conformità
sarebbe preordinato a garantire il richiedente dalla
possibile variazione in pejus della disciplina
urbanistico-edilizia, a seguito di emanazione di strumenti
che riducano o escludano, appunto, lo jus aedificandi
sussistente al momento dell'istanza, mentre non potrebbe
ritenersi diretto a disciplinare l'ipotesi inversa dello jus
superveniens favorevole, rispetto al momento ultimativo
della proposizione dell'istanza.
Una simile interpretazione si rivela inammissibilmente
abrogatrice dell’inciso “sia al momento della realizzazione
dello stesso” (e cioè dell’immobile abusivo) e, quindi,
contra legem: se, infatti, l’art. 36, comma 1, cit. fosse
unicamente volto a salvaguardare il privato istante dalle
conseguenze sfavorevoli (nel senso di una sopravvenuta
modifica in pejus dello jus aedificandi) dell’inerzia
dell’amministrazione nel concludere l’avviato procedimento
di sanatoria, sarebbe stato sufficiente il riferimento
testuale “al momento della presentazione della domanda”.
In realtà, il legislatore, con l’espressione “sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”, ha individuato l’intero arco
temporale lungo il quale si sia protratto l’abuso edilizio
commesso, senza che il relativo responsabile si sia attivato
per regolarizzarlo, ed entro il quale gli effetti
peggiorativi dello jus superveniens non possono non ricadere
su costui, ma anche oltre il quale gli stessi effetti
restano imputabili all’inerzia dell’amministrazione nel
provvedere e non sono più su di lui riversabili.
b) Argomento storico.
Nell’emanare il nuovo art. 36, comma 1, del d.p.r. n.
380/2001, in luogo del previgente art. 13, comma 1, della l.
28.02.1985, n. 47, il legislatore delegato,
discostandosi dalla linea suggerita di Cons. Stato, ad.
gen., sez. atti norm., 29.03.2001, n. 52, nel senso di
codificare la regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’, ha preferito “non inserire una tale
previsione, sia perché la giurisprudenza sul punto non è
pacifica (sicché non può dirsi formato quel diritto vivente
che avrebbe consentito la modifica del dato testuale), sia,
soprattutto, per le considerazioni in senso nettamente
contrario contenute nel parere espresso dalla Camera”
(relazione illustrativa al testo unico dell’edilizia).
Un simile antefatto storico dell’iter legislativo denota,
viepiù, la resistenza dell’ordinamento al recepimento della
regola pretoria della ‘sanatoria giurisprudenziale’.
c) Argomento logico-sistematico.
L'istituto dell’accertamento di conformità è stato
introdotto, nell'ambito di una revisione complessiva del
regime sanzionatorio degli illeciti edilizi, orientata nel
senso di una maggiore severità, con l'intento di consentire
la sanatoria dei soli abusi meramente formali, vale a dire
di quelle costruzioni per le quali, sussistendo ogni altro
requisito di legge e regolamento, manchi soltanto il
necessario titolo abilitativo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29.05.2006, n. 3267). Il rilascio di quest’ultimo in esito
ad accertamento di conformità presuppone, pertanto, in capo
al responsabile dell'abuso, una situazione giuridica del
tutto equiparabile a quella di chi richieda un ordinario
permesso di costruire, ivi compresa la sussistenza ab
origine della conformità urbanistico-edilizia dell’opera.
Del resto, alla sanabilità degli abusi sostanziali è
dedicato non già l’istituto dell'accertamento di conformità,
bensì quello diverso del condono edilizio (cfr. TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352), nei
limiti, segnatamente temporali, in cui quest'ultimo sia
applicabile alla fattispecie concreta considerata.
Ciò posto, ammettere la ‘sanatoria giurisprudenziale’
significherebbe anche introdurre surrettiziamente
nell’ordinamento una sorta di condono atipico, affrancato
dai predetti limiti, mediante il quale il responsabile di un
abuso sostanziale potrebbe trovarsi a beneficiare degli
effetti indirettamente sananti di un più favorevole jus
superveniens, anziché di un’apposita disciplina legislativa
condonistica.
Nel delineato contesto sistematico, l’art. 36 del d.p.r. n.
380/2001, in quanto norma, da un lato, circoscritta alle
ipotesi di abusi meramente formali e, d’altro lato,
derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati
sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure
ripristinatorie e sanzionatorie, non è, dunque, suscettibile
di applicazione analogica né di una interpretazione
riduttiva, secondo cui, in contrasto col suo tenore
letterale, basterebbe la conformità delle opere con lo
strumento urbanistico vigente all’epoca in cui sia proposta
l’istanza di accertamento.
Viceversa, stante l’evidenziata portata speciale e
derogatoria della norma in esame, la sanabilità da essa
prevista postula sempre la conformità urbanistico-edilizia
dell'intervento sine titulo alla disciplina urbanistica
vigente sia al momento della sua realizzazione sia alla data
della presentazione della domanda (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
17.09.2007, n. 4838; 02.11.2009, n. 6784).
d) Argomento teleologico.
Il denominatore comune delle argomentazioni addotte in
favore della regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’ è precipuamente rappresentato dalla
pretesa esigenza di ispirare l'esercizio del potere di
controllo sull'attività edificatoria dei privati al buon
andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.
Tale canone costituzionale imporrebbe, in sede di
accertamento di conformità ex art. 36 del d.p.r. n.
380/2001, di accogliere l'istanza di sanatoria per quei
manufatti che potrebbero ben essere realizzati sulla base
della disciplina urbanistica vigente al momento della
proposizione della predetta istanza, sebbene non conformi
alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione.
Si eviterebbe, così, uno spreco di attività inutili, sia
dell'amministrazione (il successivo procedimento
amministrativo preordinato alla demolizione dell'opera
abusiva), sia del privato (la nuova edificazione), sia
ancora dell'amministrazione (il rilascio del titolo per la
nuova edificazione).
A ben vedere, invece, quella sorta di antinomia adombrata
nel propugnare la ‘sanatoria giurisprudenziale’ –e, quindi,
nel ripudiare l'esigenza della doppia conformità– tra i
principi di legalità e di buon andamento della pubblica
amministrazione, con assegnazione della prevalenza a
quest'ultimo, in nome di una presunta logica
‘efficientista’, si rivela artificiosa (cfr. TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352).
Va, innanzitutto, rimarcato che l'agire della pubblica
amministrazione deve essere in ogni sua fase retto dal
principio di legalità, inteso quale regola fondamentale cui
è informata l'attività amministrativa e che trova un
fondamento positivo in varie disposizioni costituzionali
(artt. 23, 24, 97, 101 e 113 Cost.). In altri termini, lungi
dall'esservi antinomia fra efficienza e legalità, non può
esservi rispetto del buon andamento della pubblica
amministrazione ex art. 97 Cost., se non vi è, nel contempo,
rispetto del principio di legalità.
Il punto di equilibrio
fra efficienza e legalità, è stato, nella materia de qua,
individuato dal legislatore nel consentire –come già detto– la sanatoria dei c.d. abusi formali, sottraendo alla
demolizione le opere che risultino rispettose della
disciplina sostanziale sull'utilizzo del territorio, e non
solo di quella vigente al momento dell'istanza di sanatoria,
ma anche di quella vigente all'epoca della loro
realizzazione (e ciò in applicazione del principio di
legalità), e quindi evitando un sacrificio degli interessi
dei privati che abbiano violato soltanto le sole norme
disciplinanti il procedimento da osservare nell'attività
edificatoria (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 09.06.2006,
n. 1352; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 09.01.2009, n.
5).
La vera insanabile contraddizione risiederebbe, da un lato,
nell'imporre alle autorità comunali di reprimere e
sanzionare gli abusi edilizi, dall'altro, nel consentire
violazioni sostanziali della normativa del settore, quali
rimangono –sul piano urbanistico– quelle connesse ad opere
per cui non esista la doppia conformità, dovendosi aver
riguardo al momento della realizzazione dell'opera per
valutare la sussistenza dell'abuso (cfr. TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352).
Ciò, in quanto sarebbe davvero contrario al principio di
buon andamento ex art. 97 Cost., ammettere che
l'amministrazione, una volta emanata la disciplina sull'uso
del territorio, di fronte ad interventi difformi dalla
stessa, sia indotta –anziché a provvedere a sanzionarli– a
modificare la disciplina stessa. Si finirebbe, così, per
incoraggiare, anziché impedire, gli abusi, perché ogni
interessato si sentirebbe incitato alla realizzazione di
manufatti difformi, confidando sulla loro acquisizione di
conformità ex post, a mezzo di modifiche della disciplina
del settore. E si finirebbe per alterare l’essenza stessa
dell’accertamento di (doppia) conformità, che risiede
(anche) nello sterilizzare e nel disancorare l’attività pianificatoria degli enti locali dalla tentazione di
‘legalizzare’ surrettiziamente l’illecita trasformazione del
territorio da parte dei privati tramite varianti ‘pilotate’
agli strumenti urbanistici.
L’operatività della regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’, con consentita legittimazione postuma di
opere originariamente e sostanzialmente abusive, viene,
dunque, a porsi in contrasto:
- con il principio di legalità, in quanto si svuoterebbe
della sua portata precettiva, certa e vincolante, la
disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento della
commissione degli illeciti, e in quanto, estendendosi
l’ambito oggettivo di applicazione del permesso di costruire
in sanatoria, se ne violerebbe la tipicità provvedimentale,
ancorata dalla norma primaria che lo prevede (art. 36 del
D.P.R. 380/2001) alle sole violazioni di ordine formale;
- con il principio di imparzialità, in quanto si finirebbe
per premiare gli autori di abusi edilizi sostanziali, a
discapito di tutti coloro che abbiano correttamente eseguito
attività edificatorie, nel doveroso convincimento di
rispettare prescrizioni da altri, invece, impunemente
violate;
- con i principi di buon andamento e di efficacia, in
quanto, premiando –come detto– gli autori degli abusi
edilizi sostanziali, risulterebbe attenuata, se non
addirittura neutralizzata, la forza deterrente dell’apparato
sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo
del territorio;
- con i principi di proporzionalità e di ragionevolezza, in
quanto si estenderebbe l’ambito oggettivo di applicazione di
un istituto (permesso di costruire in sanatoria) al di là
della fenomenologia (abusi edilizi meramente formali) in
rapporto alla quale lo stesso è stato enucleato e
commisurato dal legislatore.
Le considerazioni precedentemente rassegnate escludono la
condivisibilità delle argomentazioni dedotte con il presente
mezzo di tutela: che deve, conseguentemente, essere respinto
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 21.07.2016 n. 789 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Paletti ai permessi in sanatoria.
Interventi solo se conformi alla disciplina urbanistica.
Lo hanno ribadito in una sentenza i
giudici della sesta sezione del Consiglio di stato.
Il permesso in sanatoria ex art. 36 del dpr n. 380 del 2001
è ottenibile solo a condizione che l'intervento risulti
conforme alla disciplina urbanistica e edilizia vigente al
momento sia della realizzazione del manufatto e sia della
presentazione della domanda.
Lo hanno ribadito i giudici della VI Sez. del Consiglio di
Stato con la
sentenza 18.07.2016 n. 3194.
I supremi giudici amministrativi hanno, altresì, evidenziato
come inoltre la cosiddetta «sanatoria giurisprudenziale»
vada a generare un atto atipico con effetti provvedimentali
e tale atto va a collocarsi al di fuori di qualsiasi
previsione normativa e che pertanto non può assolutamente
ritenersi ammesso nel nostro ordinamento.
Infatti, lo stesso ordinamento è contrassegnato dal
principio di legalità dell'azione amministrativa e dal
carattere tipico dei poteri esercitati dall'amministrazione,
alla stregua del principio di nominatività, poteri che non
possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del
principio di separazione dei poteri e l'invasione di sfere
di attribuzioni riservate all'amministrazione.
E inoltre, a favore della incompatibilità tra la cosiddetta
«sanatoria giurisprudenziale» e il dettato normativo di cui
all'art. 36 del T.u. n. 380 del 2001 secondo i giudici è
possibile trovare adeguato riscontro in argomenti
interpretativi letterali e logico-sistematici, oltre che
attinenti ai lavori preparatori.
Anche se lo stesso Consiglio di stato, adunanza generale,
sezione atti normativi, 29.03.2001, protocollo n. 52/2001,
segnala come «in via generale va sottolineato come
l'accertamento di conformità sia ancora riferito, come
prevedeva l'originaria disposizione dell'art. 13 della lr
47/1985, alla sola concessione, mentre, dopo l'evoluzione
normativa successiva alla legge n. 47, esso deve essere
esteso anche alla denuncia d'inizio attività. Si rileva
inoltre che, pur non potendosi, in astratto, contestare la
necessità del duplice accertamento di conformità, nella
prassi l'applicazione del principio viene disattesa,
ritenendosi illogico ordinare la demolizione di un quid che,
allo stato attuale, risulta conforme alla disciplina
urbanistica vigente e che pertanto, potrebbe ottenere, a
demolizione avvenuta, una nuova concessione».
Nella stessa sentenza in commento, poi, i giudici di palazzo
Spada hanno osservato come in caso di provvedimento
plurimotivato il rigetto della doglianza tesa a contestare
una delle ragioni giustificatrici dell'atto lesivo comporta
la carenza di interesse della parte ricorrente all'esame
delle censure ulteriori volte a contestare le altre ragioni
giustificatrici dell'atto medesimo, atteso che, seppur tali
ulteriori censure si rivelassero fondate, il loro
accoglimento non sarebbe comunque idoneo a soddisfare
l'interesse del ricorrente a ottenere l'annullamento del
provvedimento lesivo, che resterebbe supportato
dall'autonomo motivo riconosciuto sussistente e legittimo (articolo
ItaliaOggi Sette dell'08.08.2016). |
aprile 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Sanatoria e prescrizione del reato urbanistico.
Il periodo di sospensione del processo disposto dal giudice
nelle ipotesi di presentazione di istanza per la concessione
in sanatoria, ex art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, deve
essere considerato ai fini del computo dei termini di
prescrizione del reato edilizio, e, in caso di successive
istanze di rinvio del processo dinanzi al giudice penale ed
all’esito negativo della domanda amministrativa di rilascio
della concessione edilizia in sanatoria, si applicano le
disposizioni previste dall’art. 159, comma 1, par. 3), del
codice penale per effetto di richieste di rinvio su istanze
del privato.
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1. Le questioni di diritto per le quali il ricorso è stato rimesso alle
Sezioni
Unite sono le seguenti:
- "se la sospensione del processo, prevista nel caso di
presentazione della
istanza di 'accertamento di conformità', ex art. 36 d.P.R.
n. 380 del 2001 (già
art. 13 legge n. 47 del 1985), debba essere considerata ai
fini del computo dei
termini di prescrizione del reato edilizio";
- "se, in caso di sospensione del processo disposta su
richiesta dell'imputato
o del suo difensore oltre il termine previsto per la
formazione del silenzio-rifiuto
ex art. 36 d.P.R. cit., operi la sospensione del corso della
prescrizione a norma
dell'art. 159, primo comma, n. 3, cod. pen.".
2. Occorre preliminarmente richiamare l'attenzione sulle
differenze
intercorrenti tra la disciplina del "condono edilizio", di
cui alle leggi 28.02.1985, n. 47, 23.12.1994, n. 724, e 24.11.2003,
n. 326
(quest'ultima di conversione, con modificazioni, del
decreto-legge 30.09.2003, n. 269), e quella della "sanatoria" conseguente ad
accertamento di
conformità, disciplinata dall'art. 36 del Testo Unico
dell'edilizia (d.P.R. 06.06.2001, n. 380), specificamente riguardante la questione
sottoposta all'attenzione
delle Sezioni Unite.
Come è noto, con la legge 28.02.1985, n. 47, si è
individuata, per la
prima volta, una disciplina organica dell'attività edilizia,
sulla quale era in
precedenza intervenuta la legge 28.01.1977, n. 10,
operandosi una
consistente revisione della normativa previgente.
L'entrata in vigore della legge n. 47/1985 venne accompagnata
dalla
previsione del primo condono edilizio, che aveva lo scopo di
dare un netto taglio
al passato, recuperando le opere abusive fino ad allora
realizzate.
Tale scelta legislativa, venne poi replicata, per ragioni di
razionalizzazione
della finanza pubblica, con la legge 23.12.1994, n.
724, e,
successivamente, con la legge 24.11.2003, n. 326, la
quale convertiva,
con modificazioni, il decreto-legge 30.09.2003, n.
269.
La legge n. 724/1994 e la successiva legge n. 326/2003, pur
prevedendo,
per la definizione degli illeciti edilizi presi in
considerazione, requisiti e formalità
differenti, fanno comunque riferimento alle disposizioni di
cui ai capi IV e V della
legge n. 47 del 1985, alle quali hanno anche apportato
modifiche.
3. Come si rileva, dunque, dalla lettura delle menzionate
disposizioni, il condono edilizio si caratterizza per l'efficacia limitata
nel tempo, poiché è
finalizzato alla regolarizzazione di determinati abusi
edilizi realizzati entro un
limite temporale individuato dalla norma.
Il suo effetto estintivo, inoltre, consegue al pagamento di
un'oblazione,
formalizzato attraverso l'attestazione, da parte
dell'autorità comunale, della
congruità di quanto corrisposto a tale titolo.
Esso opera, peraltro, anche con riferimento ad interventi in
contrasto con gli
strumenti urbanistici e produce effetti estintivi anche
verso reati conseguenti alla
violazione delle norme antisismiche e sulle costruzioni in
cemento armato.
La sanatoria disciplinata dagli articoli 36 e 45 d.P.R. n.
380/2001 (e, in
precedenza, dagli artt. 13 e 22 legge n. 47 del 1985)
opera,
al contrario, su un
piano del tutto diverso, in quanto destinata, in via
generale, al recupero degli
interventi abusivi previo accertamento della conformità
degli stessi agli strumenti
urbanistici generali e di attuazione, nonché alla verifica
della sussistenza di altri
requisiti di legge specificamente individuati.
In base al menzionato articolo 36, la sanatoria può essere
ottenuta quando
l'opera eseguita in assenza del permesso sia conforme agli
strumenti urbanistici
generali e di attuazione approvati o non in contrasto con
quelli adottati, tanto al
momento della realizzazione dell'opera, quanto al momento
della presentazione
della domanda, che può avvenire fino alla scadenza dei
termini di cui agli articoli
31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e, comunque, fino
all'irrogazione
delle sanzioni amministrative.
Sulla richiesta di sanatoria il dirigente o il responsabile
del competente
ufficio comunale deve pronunciarsi -con adeguata
motivazione- entro sessanta
giorni, trascorsi inutilmente i quali la domanda si intende
respinta. L'istanza è
subordinata, inoltre, al pagamento di una somma a titolo di
oblazione, secondo
le modalità descritte nello stesso articolo.
In base a quanto espressamente disposto dall'articolo 45, il
rilascio della
sanatoria «estingue i reati contravvenzionali previsti dalle
norme urbanistiche
vigenti», con esclusione, quindi, di altri reati
eventualmente concorrenti.
4. Si tratta, dunque, di istituti che hanno finalità ed
ambito di applicazione
del tutto differenti e che non possono essere confusi, come
ha già rilevato la
giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 6331 del
20/12/2007, dep. 2008,
Latteri, Rv. 238822; Sez. 3, n. 10307 del 28/09/1988, Serra, Rv. 179501; Sez. 3,
n. 9797 del 22/06/1987, Scarcella, Rv. 176643),
riconoscendo,
tra l'altro, la
specialità della disciplina del condono edilizio rispetto a
quella della sanatoria
conseguente all'accertamento di conformità (Sez. 3, n. 23996
del 12/5/2011, De
Crescenzo, Rv. 250607).
A conclusioni analoghe è peraltro pervenuta anche la
giurisprudenza
amministrativa, rilevando l'antiteticità dei presupposti dei
due procedimenti di
sanatoria, per il fatto che il condono edilizio concerne il
perdono ex lege per la
realizzazione, senza titolo abilitativo, di un manufatto in
contrasto con le
prescrizioni urbanistiche, comportante una violazione
sostanziale, mentre la sanatoria riguarda l'accertamento postumo della conformità
dell'intervento
edilizio realizzato senza permesso di costruire agli
strumenti urbanistici e
riguarda una violazione formale (così, Cons. Stato, sez. 6,
n. 466 del
02/02/2015).
5. Entrambe le procedure, tuttavia, presuppongono periodi di
sospensione,
diversamente disciplinati, che assumono specifico rilievo
riguardo al computo del
termine massimo di prescrizione del reato.
In particolare, per ciò che concerne il condono edilizio,
sono state
individuate due distinte cause di sospensione del processo.
La prima, prevista dall'art. 44 legge n. 47/1985, definita
"automatica", in
quanto applicabile a tutti i procedimenti in cui risulti
contestato un reato
urbanistico o commessa una violazione di detta normativa,
indipendentemente
dalla presentazione o meno di una domanda di condono e
quantificata in 223
giorni.
Detta quantificazione veniva effettuata dalle Sezioni Unite
(sent. n. 1283 del
03/12/1996, dep. 1997, Sellitto, Rv. 206849), chiamate a
risolvere il contrasto
venutosi a creare in ordine al calcolo dei termini
complessivi di sospensione del
decorso della prescrizione in conseguenza della mancata
conversione di vari
decreti legge, succedutisi nel tempo prima della
approvazione della legge n.
724/1994.
La seconda causa di sospensione, prevista dall'art. 38 della
stessa legge,
indicata come "obbligatoria" -ma subordinata
all'accertamento di determinati
presupposti, quali la presentazione di una domanda di
condono relativa
all'immobile abusivo oggetto del processo realizzato nei
limiti temporali stabiliti
ed il versamento della prima rata di oblazione
autodeterminata- che non può
superare i due anni.
Sull'applicabilità in concreto delle sospensioni previste
dalle disposizioni sul condono edilizio si contrapponevano, tuttavia, opposti
indirizzi giurisprudenziali,
in quanto, secondo un primo orientamento, maggioritario,
tanto la sospensione
"automatica", quanto quella "obbligatoria" erano applicabili
a tutti i procedimenti
riguardanti i reati edilizi indicati agli artt. 38, comma 2,
legge n. 47/1985 e 39,
comma 8, legge n. 724/1994; e ciò indipendentemente dall'epoca
di commissione
degli illeciti (considerato il requisito temporale previsto
per la condonabilità delle
opere) e dall'effettiva sospensione disposta con
provvedimento del giudice.
L'altro indirizzo, invece, escludeva l'applicabilità della
sospensione ai reati la
cui consumazione risultava, sulla base della contestazione e
degli atti del
procedimento, proseguita dopo il 31.12.1993, data
individuata dalla legge
n. 724/1994 quale termine ultimo per il completamento delle
opere, che ne
consentiva la condonabilità.
Le Sezioni Unite (sent. n. 22 del 24/11/1999, Sadini, Rv.
214792), chiamate
a risolvere il contrasto, hanno ritenuto preferibile
quest'ultimo indirizzo
interpretativo, sulla base del dato letterale dell'art. 39,
comma 1, legge n.
724/1994, il quale richiama, tra l'altro, il capo IV della
legge n. 47/1985 -nel
quale sono compresi gli artt. 44 e 38, che riguardano le due
ipotesi di
sospensione dei procedimenti penali e che fanno, a loro
volta, riferimento agli
artt. 35 e 31, concernenti la presentazione della domanda di
condono-
osservando come esso non sembri consentire una
interpretazione diversa da
quella secondo la quale la data del 31.12.1993
costituisce uno dei
presupposti per la condonabilità e per la sospensione dei
procedimenti penali.
Veniva ulteriormente rilevato che l'inesistenza di detto
presupposto
impediva non soltanto il condono delle opere abusive, ma
anche la sospensione
del procedimento penale e ciò indipendentemente dal fatto
che il giudice avesse
disposto o negato la sospensione del procedimento,
dovendosi, nel primo caso,
ritenere la sospensione inesistente per assenza, appunto,
del suo fondamentale
presupposto.
Analoga lettura delle richiamate disposizioni veniva
successivamente offerta
dalla Terza Sezione penale (Sez. 3, n. 21679 del 06/04/2004, Paparusso, Rv.
229319. V. anche Sez. 3, n. 47342 del 15/11/2007,
Maffongelli, Rv. 238619;
nonché Sez. 3, n. 40434 del 13/07/2006, Gambino, Rv. 236270,
non massimata sul punto), osservandosi che, mentre l'art. 31
legge n. 47/1985, nella sua
formulazione testuale, prevedeva una serie di requisiti
esclusivamente in
relazione alla possibilità di conseguire la concessione o la
autorizzazione in
sanatoria, l'art. 32, comma 25, decreto legge n. 269/2003,
poi convertito dalla
legge n. 326/2003 (come già l'art. 39 legge n. 724/1994),
subordinava
l'applicazione degli interi capi 4 e 5 della legge n.
47/1985 all'esistenza di
determinati requisiti di condonabilità dell'opera.
6. Conseguentemente, l'art. 44 legge n. 47/1985 veniva
ritenuto applicabile
nei soli casi di oggettiva presenza di detti requisiti, in
assenza dei quali era
esclusa anche l'applicabilità dell'art. 39 della legge
medesima (il quale prevede
l'estinzione dei reati conseguente alla mera effettuazione
dell'oblazione, «qualora
le opere non possano conseguire la sanatoria»), osservandosi
che risulterebbe
incongruo argomentare che la sospensione possa essere
comunque finalizzata a
conseguire il beneficio già previsto da tale ultima norma.
Va anche ricordato che, in relazione al difetto dei
requisiti di condonabilità,
la possibilità di sospensione del processo era stata esclusa
in caso di richiesta di
condono presentata per violazioni edilizie relative a nuove
costruzioni non
residenziali, in quanto l'art. 32 legge n. 326/2003 limita
l'applicabilità del condono
edilizio alle sole nuove costruzioni residenziali (Sez. 3,
n. 8067 del 19/01/2007,
Zenti, Rv. 236084; Sez. 3, n. 14436 del 17/02/2004, Longo, Rv. 227959; Sez.
3, n. 3358 del 18/11/2003, dep. 2004, Gentile, Rv. 227178);
in relazione a
interventi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico,
rientranti tra quelli esclusi
dal condono dall'art. 32, comma 26, lett. a), legge n.
326/2003 (Sez. 3, n. 9670
del 26/01/2011, Rizzo, Rv. 249606; Sez. 3, n. 38113 del
03/10/2006, De Giorgi,
Rv. 235033; Sez. 4, n. 12577 del 12/01/2005, Ricci, Rv.
231315 ed altre
conformi) o, più in generale, in caso di presentazione di
domanda di sanatoria
strumentale o dilatoria e inerente a un fabbricato non
ultimato entro il termine
stabilito (Sez. 3, n. 5452 del 17/03/1999, Somma G, Rv.
213369).
La
sospensione è stata inoltre esclusa anche con riferimento al
c.d. "condono
paesaggistico" di cui all'art. 37 legge n. 308/2004,
mancando una espressa
previsione normativa ed in assenza di qualsivoglia
correlazione con le
disposizioni in tema di condono edilizio (Sez. 3, n. 16471
del 17/02/2010,
Giardina, Rv. 246759, non rnassimata sul punto; Sez. 3, n.
32529 del
19/04/2006, Martella, Rv. 234934).
Si è chiarito, inoltre, che la sospensione riguarda soltanto
la fase del giudizio
e non anche quella delle indagini preliminari (Sez. 3, n.
48986 del 09/11/2004,
Cerasoli, Rv. 230475).
In altre decisioni si è poi affermato che l'omessa
sospensione del
procedimento da parte del giudice non può essere dedotta
quale vizio della
decisione eventualmente presa, non determinandosi alcuna
nullità, stante
l'assenza di una previsione di legge in tal senso (Sez. 3,
n. 19235 del
15/02/2005, Benzo, Rv. 231848; Sez. 3, n. 7847 del
27/05/1998, Todesco, Rv.
211354; Sez. 3, n. 11422 del 29/09/1997, Onolfo, Rv. 210101
ed altre
conformi), osservandosi, tra l'altro, che la sospensione del
processo opera
indipendentemente dalla pronuncia del giudice, avente natura
meramente
dichiarativa, purché sussistano i presupposti di legge e può
essere accertata
anche in sede di giudizio finale (Sez. 3, n. 3871 del
22/10/2010, dep. 2011, Pisa,
Rv. 249151, non massimata sul punto; Sez. 3, n. 22921 del
06/04/2006,
Guercio, Rv. 234475; Sez. 3, n. 6054 del 12/03/1999,
Bartaloni, Rv. 213763 ed
altre conformi)
Inoltre, qualora applicata, la sospensione deve riguardare
l'intero
procedimento quando il giudice di merito, riconoscendo il
vincolo della
continuazione, abbia proceduto unitariamente per varie
ipotesi di reato, delle
quali alcune soltanto siano divenute estinguibili a seguito
di condono (v. per
tutte Sez. U, n. 9080 del 09/06/1995, Luongo, Rv. 201861).
La possibilità di sospendere il procedimento a seguito della
presentazione
della domanda di condono edilizio (nella specie, ai sensi
della legge n. 326/2003) è
stata anche esclusa in caso di inammissibilità del ricorso
per cassazione per
manifesta infondatezza dei motivi, sul presupposto che la
sospensione deve
essere disposta con riferimento ai procedimenti in corso,
mentre, impedendo
l'inammissibilità del ricorso la formazione di un valido
rapporto di impugnazione,
non può ritenersi che tale condizione si sia verificata
(Sez. 3, n. 35084 del
25/03/2004, Barreca, Rv. 229652, non massimata sul punto;
Sez. 3, n. 9536 del
20/01/2004, Mancuso, Rv. 227404; Sez. 3, n. 979 del
27/11/2003, dep. 2004,
Nappo, Rv. 227950; Sez. 3, n. 5309 del 13/11/2003, dep.2004, Sciaccovelli, Rv.
227556).
7. Alla luce di quanto affermato dalla sentenza Sadini delle
Sezioni Unite, si
è ricavato -considerando la formulazione "speculare"
dell'art. 32, comma 25,
d.l. n. 269/2003 rispetto all'art. 39 legge n. 724/1994,
preso in esame nella
menzionata decisione- un ulteriore principio generale,
secondo il quale il
giudice, già prima di sospendere il processo in forza
dell'art. 44 legge n.
47/1985, deve effettuare un controllo in ordine alla
sussistenza dei requisiti
richiesti per la concedibilità in astratto del condono,
perché, diversamente
opinandosi, si allungherebbero «inevitabilmente ed
inutilmente i tempi del
processo» e, nel caso in cui il giudice sospenda il processo
in assenza dei presupposti di legge, la sospensione deve
ritenersi inesistente (Sez. 3, n. 9670
del 26/01/2011, Rizzo, cit.; Sez. 3, n. 563 del 17/11/2005,
dep. 2006, Martinico,
Rv. 233011; Sez. 3, n. 35084 del 25/03/2004, Barreca, Rv.
229652, cit.; Sez. 3,
n. 3350 del 13/11/2003, dep. 2004, Lasí, Rv. 227217).
L'ambito del controllo relativo alle condizioni legittimanti
l'accesso alla
procedura di sanatoria riguarda, secondo altra pronuncia, la
data di esecuzione
delle opere; lo stato di ultimazione delle stesse secondo la
nozione fornita
dall'art. 31 della legge n. 47/1985; il rispetto dei limiti
volumetrici; eventuali
esclusioni oggettive della tipologia d'intervento dalla
sanatoria, nonché la
tempestività della presentazione, da parte di soggetti
legittimati, di una
domanda di sanatoria riferita alle opere abusive contestate
nel capo di
imputazione (Sez. 3, n. 38071 del 19/09/2007, Termíniello,
Rv. 237824; Sez. 3,
n. 28517 del 29/05/2007, Marzano, Rv. 237140, non massímata
sul punto).
Il successivo accertamento dell'inesistenza dei presupposti
per l'applicazione
del condono, tuttavia, non determina inevitabilmente
l'inesistenza della
sospensione, perché, a tal fine, deve ovviamente prendersi
in considerazione la
situazione prospettatasi al giudice nel momento in cui ha
pronunciato la relativa
ordinanza.
Sempre tenendo conto di quanto affermato nella sentenza
Sadíní, si è del
tutto correttamente rilevato come, in tale pronuncia, venga
affermato che, in
tema di condono edilizio, le cause di sospensione del
processo penale sono
soltanto quelle previste dalla legge, che richiedono
determinati presupposti, in
difetto dei quali la sospensione eventualmente disposta non
può produrre
risultati efficaci.
Ciò implica, tuttavia, che l'inesistenza di una valida causa
di sospensione
risulti dagli atti processuali o dalla stessa contestazione
del reato e sia,
conseguentemente, immediatamente rilevabile dal giudice,
perché, altrimenti, il
successivo accertamento della inesistenza dei requisiti per
l'applicazione della
causa estintiva della contravvenzione non farebbe venir meno
la correttezza
dell'iniziale ordinanza sospensiva (e, quindi, gli effetti
ad essa connessi, della
conseguente sospensione della prescrizione), avendo il
giudice proceduto nella
esatta osservanza di quanto previsto dalla legge (Sez. 3, n.
8536 del
18/05/2000, Zarbo, Rv. 217754; conf. Sez. 3, n. 29253 del
24/06/2005, Di
Maio, Rv. 231951).
È di tutta evidenza che le argomentazioni sviluppate nelle
richiamate
decisioni assumono particolare rilievo per ciò che concerne
il computo dei termini
di prescrizione, sulla decorrenza dei quali incide, in
maniera significativa, la
sospensione del procedimento.
8. Per ciò che riguarda, invece, il diverso istituto della
sanatoria
conseguente ad accertamento di conformità, va osservato come
il già
menzionato art. 45 d.P.R. n. 380/2001 stabilisca, al comma 1,
che l'azione penale
relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finché non
siano stati esauriti i
procedimenti amministrativi di sanatoria di cui all'art. 36.
Tale articolo dispone, all'ultimo comma, che sulla richiesta
di sanatoria il
dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale
deve pronunciarsi
entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda,
poiché, decorso tale
termine, la domanda si intende rifiutata.
Tale ultima evenienza configura, secondo un consolidato
orientamento, una
ipotesi di silenzio-rifiuto (Sez. 3, n. 17954 del
26/02/2008, Termini, Rv. 240234;
Sez. 3, n. 33292 del 28/04/2005, Pescara, Rv. 232181; Sez.
3, n. 16706 del
18/02/2004, Brilla, Rv. 227960; Sez. 3, n. 10640 del
30/01/2003, Petrillo, Rv.
224353), al quale vengono collegati gli effetti di un
provvedimento esplicito di
diniego.
Pur verificandosi tale evenienza, tuttavia,
l'Amministrazione non perde il
potere di provvedere, in quanto il silenzio-rigetto è
esplicitamente previsto al
solo fine di consentire all'interessato di adire il giudice
(ex plurimis Sez. 3, n.
17954 del 26/02/2008, Termini, Rv. 240233. V. anche Sez. 3,
n. 11604 del
11/11/1993, Schiavazzi, Rv. 196069; Sez. 3, n. 16245 del
10/10/1989, Allegrini,
Rv. 182627), sebbene l'eventuale instaurazione di un
procedimento
amministrativo avviato mediante ricorso avverso il diniego
di sanatoria non
comporti alcuna estensione della durata della sospensione
fino alla sua
definizione (Sez. 3, n. 36902 del 13/05/2015, Milito, Rv.
265085; Sez. 3, n.
24245 del 24/03/2010, Chiarello, Rv. 247692; Sez. 3, n.
48523 del 18/11/2009,
Righetti, Rv. 245418, non massimata sul punto; Sez. 6, n.
4614 del 13/01/1994,
Cammariere, Rv. 197767; Sez. 3, n. 12779 del 02/12/1991,
Leggio, Rv.
188743), come rilevato anche dalla Corte costituzionale nel
dichiarare la
manifesta infondatezza della questione di legittimità
dell'art. 22, primo comma,
della legge 28.02.1985, n. 47 (ord. n. 247 del 2000,
la quale richiama
anche la sentenza n. 85 del 1998 e l'ordinanza n. 309 del
1998).
Il provvedimento con il quale il giudice dispone la
sospensione richiede,
peraltro, il previo accertamento della effettiva sussistenza
dei presupposti
necessari per il conseguimento della sanatoria e, inoltre,
la mancata sospensione
-in assenza di espressa previsione normativa e non
configurandosi pregiudizi al
diritto di difesa dell'imputato, potendo questi far valere
l'esistenza o la
sopravvenienza della causa estintiva nei successivi gradi di
giudizio- non
determina alcuna nullità (Sez. 3, n. 33292 del 28/04/2005,
Pescara, cit.).
La sospensione, inoltre, non opera con riferimento ai reati
esclusi dagli
effetti estintivi determinati dal rilascio della concessione
in sanatoria,
diversamente da quanto previsto in materia di condono (Sez.
3, n. 50 del
07/11/1997, dep. 1998, Casà, Rv. 209662).
9. Il richiamo, effettuato espressamente dall'art. 45 d.P.R.
n. 380/2001 all'art.
36 dello stesso decreto, il quale prevede, all'ultimo comma,
il termine di
sessanta giorni entro il quale il dirigente o il
responsabile del competente ufficio
comunale deve pronunciarsi sulla domanda di sanatoria,
limita -evidentemente- la durata della sospensione a tale determinato lasso
temporale. In tal senso si
è, peraltro, più volte espressa anche la Corte
costituzionale (ordd. nn. 304 e 201
del 1990; n. 423 del 1989).
Sebbene in precedenza (Sez. U, n. 10849 del 01/10/1991,
Mapelli, Rv.
188579) si sia affermato che, in mancanza di impugnazione,
la sospensione del
procedimento, ai sensi dell'allora vigente art. 22 legge n.
47/1985, anche se
disposta fuori dei limiti consentiti, produce i suoi effetti
propri, tra cui la
sospensione del corso della prescrizione, in una successiva
pronuncia delle
Sezioni Unite (n. 4154 del 27/03/1992, Passerotti, Rv.
190245), si è osservato
come la sospensione dipenda direttamente dalla richiesta del
titolo abilitativo in
sanatoria e la sua durata corrisponda al tempo stabilito
dalla legge per la
definizione del procedimento, cioè per sessanta giorni dalla
richiesta, con la
conseguenza che il provvedimento del giudice, avente natura
meramente
dichiarativa, non può svolgere alcun ruolo preclusivo,
cosicché non potrà
assumere rilievo una sospensione disposta in mancanza delle
condizioni stabilite,
né un periodo di sospensione superiore a quello fissato
dalla legge.
A tali principi si sono adeguate successive pronunce, le
quali hanno
considerato limitato il periodo di sospensione a soli
sessanta giorni (Sez. 3, n.
16706 del 18/02/2004, Brilla, cit.; Sez. 3, n. 10640 del
30/01/2003, Petrillo, Rv.
224353; Sez. 3, n. 2220 del 26/01/1999, Sasso, Rv. 212717),
evidenziando
anche la preclusione, per il giudice penale, a sindacare la
legittimità del
provvedimento della competente autorità amministrativa di
diniego di rilascio del
permesso di costruire in sanatoria (Sez. 3, n. 36902 del
13/05/2015, Milito, cit.;
Sez. 3, n. 48523 del 18/11/2009, Righetti, cit.).
10. Anche riguardo alla disciplina della sanatoria per
accertamento di
conformità, come già osservato con riferimento al condono
edilizio, la prevista
sospensione assume rilievo determinante ai fini del calcolo
dei termini di
prescrizione del reato e proprio con riferimento ad essa è
stato rilevato il
contrasto che ha portato alla rimessione della questione
alle Sezioni Unite.
Si è infatti ritenuta, in una prima pronuncia (Sez. F, n.
34938 del
09/08/2013 Bombaci, Rv. 256714), l'illegittimità
dell'ordinanza di sospensione
dei termini di prescrizione per un tempo superiore alla
durata della procedura
amministrativa per la definizione della sanatoria e
conseguente al differimento
del procedimento penale, disposto su richiesta della difesa
proprio in ragione
della pendenza della procedura medesima.
La sospensione è stata infatti considerata in contrasto con
il disposto degli
artt. 36 e 45 d.P.R. n. 380/2001 e, segnatamente, con il
limite temporale massimo
di sessanta giorni fissato dalla legge per la definizione
del procedimento
finalizzato al rilascio del titolo abilitativo sanante,
trascorso il quale la domanda
si intende respinta.
A tale indirizzo interpretativo si è successivamente
contrapposta altra
decisione (Sez. 3, n. 41349 del 28/05/2014, Zappalorti, Rv.
260753), nella
quale, in presenza di un rinvio disposto su richiesta della
difesa e giustificato
dalla pendenza del procedimento amministrativo,
successivamente non
perfezionatosi, di sanatoria edilizia di un immobile
abusivo, l'operatività della
sospensione ai fini del computo dei termini di prescrizione
è stata estesa per
l'intera durata del differimento.
Dichiarando di non condividere il diverso orientamento
espresso dalla
menzionata sentenza Bombaci, la Terza Sezione ricorda come
le Sezioni Unite
(n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220509),
sostanzialmente
anticipando quanto poi espressamente stabilito dal
legislatore con le modifiche
apportate, nel 2005, all'art. 159 cod. pen., abbiano
affermato che «oggi il
processo vive prevalentemente delle iniziative non solo
istruttorie delle parti
anche private, che hanno il potere di contribuire
autonomamente a determinare
tempi, modalità e contenuti delle attività processuali. Le
parti non hanno più solo
poteri limitativi dell'autorità del giudice, ma condividono
con il giudice la
responsabilità dell'andamento del processo. E debbono
assumersi
conseguentemente gli oneri connessi all'esercizio dei loro
poteri».
La sentenza Zappalorti
ritiene, dunque, del tutto incongrua
un'interpretazione della norma «che consenta alla stessa
parte che ha chiesto ed
ottenuto il rinvio della udienza, pur in mancanza dei
presupposti legittimanti, di
lamentare la correlata considerazione della sospensione
della prescrizione
proprio da tale rinvio derivante» (analoghe considerazioni
erano state svolte, in
precedenza, in Sez. 3, n. 26409 del 08/05/2013, C., Rv.
255579), pur
distinguendo le diverse ipotesi in cui il rinvio sia stato
invece disposto per
impedimento della parte o del difensore, ovvero, in pendenza
di sanatoria e oltre
il sessantesimo giorno dall'avvio del relativo procedimento
amministrativo, sia disposto d'ufficio dal giudice, in
mancanza di richiesta di parte, riconoscendo, in
tali casi, una operatività del rinvio limitata a soli
sessanta giorni.
11. Tale ultimo indirizzo interpretativo risulta pienamente
condivisibile.
Invero, la sentenza Bombaci, pur partendo da un presupposto
corretto e,
cioè, che la sospensione ex lege del procedimento, in
pendenza della domanda di
sanatoria, è limitato, come si è precisato in precedenza, a
soli sessanta giorni,
giunge a conclusioni errate laddove sembra fondare la
riconosciuta illegittimità
del differimento oltre il sessantesimo giorno sul
presupposto che la decorrenza di
detto termine comporti il silenzio-rigetto, considerando
quindi ogni ulteriore
rinvio (e la conseguente sospensione dei termini di
prescrizione), anche se
espressamente richiesto al giudice, come ingiustificato.
Una simile affermazione non tiene conto del fatto che,
nonostante il decorso
del termine ed il significativo silenzio
dell'amministrazione competente, questa
non perde il potere di rilasciare comunque, in presenza dei
presupposti di legge,
il permesso di costruire in sanatoria, cosicché una
eventuale richiesta di rinvio in
previsione dell'accoglimento della domanda già presentata
risulterebbe
pienamente giustificato, considerato, peraltro, i
vantaggiosi effetti per l'imputato
che conseguono al rilascio del titolo abilitativo postumo.
Al contrario, del tutto irragionevoli risulterebbero le
conseguenze di una
diversa lettura delle disposizioni richiamate che
considerino non superabile, in
ogni caso, il termine di sospensione di sessanta giorni.
Invero, detto termine di definizione del procedimento
amministrativo di
sanatoria non viene, in pratica, quasi mai rispettato per
diverse ragioni, e gli
effetti, decisamente negativi per il richiedente,
conseguenti al fatto che dopo il
decorso del temine la domanda si intende rifiutata, sono
sostanzialmente
compensati dalla più volte ricordata possibilità, per
l'amministrazione
competente, di rilasciare comunque la sanatoria anche oltre
il sessantesimo
giorno dalla presentazione della richiesta.
Ebbene, accedendo all'orientamento secondo il quale ogni
ulteriore
sospensione del procedimento, comunque disposta, sarebbe
illegittima, si
verrebbe a configurare una singolare situazione, nella
quale, al fine di evitare il
decorso dei termini di prescrizione, il giudice si vedrebbe
costretto a proseguire
comunque nella trattazione del processo, anche in presenza
di una espressa
richiesta in tale senso della parte.
Ciò detto, va chiarito che devono comunque tenersi distinte
l'ipotesi della
sospensione ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e
45 d.P.R. n. 380/2001
e quella della sospensione conseguente al rinvio su istanza
di parte.
Nel primo caso, infatti, vanno applicati i principi,
richiamati in precedenza e
sviluppati con riferimento tanto alla disciplina del condono
che a quella sulla
sanatoria per accertamento di conformità, i quali
presuppongono, ai fini della
legittimità della sospensione, la previa verifica, da parte
del giudice, della
oggettiva sussistenza dei presupposti di legge.
L'analisi effettuata dalla giurisprudenza è stata
particolarmente
approfondita, come si è visto, riguardo alla più ampia
casistica sviluppatasi in
relazione al condono, sebbene conclusioni non dissimili
siano state tratte anche
con riferimento alla sanatoria per accertamento di
conformità.
Ne consegue che, a fronte di una situazione, risultante
chiaramente dagli
atti o dall'imputazione, che evidenzi, pacificamente e senza
necessità di specifici
accertamenti, l'assenza dei requisiti per l'accoglimento
della domanda, come, ad
esempio, in caso di plateale contrasto delle opere con le
previsioni degli
strumenti urbanistici, la sospensione, per il periodo di
sessanta giorni indicato
dalla legge per la definizione del procedimento
amministrativo (o per quello,
superiore, eventualmente indicato nel provvedimento che la
dispone), non potrà
operare e, se disposta comunque dal giudice, autonomamente e
senza richiesta
di parte, non potrà produrre effetti di sospensione dei
termini di prescrizione.
Per contro, avranno in ogni caso effetti sospensivi del
corso della
sospensione i rinvii disposti in accoglimento di una
richiesta dell'imputato o del
suo difensore, dovendosi al riguardo condividere le
osservazioni svolte dalla
citata sentenza Zappalorti.
Ricorda infatti tale pronuncia che la giurisprudenza
formatasi in tema teneva
necessariamente conto di quanto stabilito dall'art. 159 cod. pen. prima degli
interventi modificativi ad opera della legge 05.12.2005, n. 251 («Il corso
della prescrizione rimane sospeso nei casi di autorizzazione
a procedere o di
questione deferita ad altro giudizio, e in ogni caso in cui
la sospensione del
procedimento penale o dei termini di custodia cautelare è
imposta da una
particolare disposizione di legge»), la quale, con l'art. 6,
ne ha sostituito il testo
che, come è noto, stabilisce ora, al primo comma, n. 3, che
il corso della
prescrizione rimane, tra l'altro, sospeso in caso di
sospensione del procedimento
o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti
e dei difensori,
ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore,
disponendo che, nella
prima ipotesi, l'udienza non può essere differita oltre il
sessantesimo giorno
successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento,
dovendosi avere
riguardo, in caso contrario, al tempo dell'impedimento
aumentato di sessanta
giorni.
La disposizione è stata sempre interpretata nel senso che il
rinvio
dell'udienza, accordato su richiesta del difensore,
determina la sospensione dei termini di prescrizione del
reato, ritenendosi, peraltro, manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale dell'art. 159
cod. pen., sollevata per
contrasto con l'art. 3 Cost., nella parte in cui non indica
il termine massimo di
sospensione della prescrizione conseguente alla richiesta
della difesa
dell'imputato di un differimento dell'udienza, osservandosi
che la previsione di
rinvii del dibattimento su richiesta di parte è finalizzata
al soddisfacimento di
esigenze diverse da quelle costituenti legittimo impedimento
e tiene conto della
libera scelta del difensore di chiedere il rinvio, sicché è
stato ritenuto logico, in
tal caso, contemperare l'aggravio per l'ufficio giudiziario
derivante dal
soddisfacimento di esigenze di parte, rimettendo alla sua
determinazione la
durata del rinvio in modo da tener conto delle esigenze
dell'ufficio medesimo
(Sez. 3, n. 45968 del 27/10/2011, Diso, Rv. 251629).
Si è inoltre osservato (Sez. 3, n. 29885 del 15/04/2015, Vuolo, Rv 264433)
come, in tali casi, la durata del differimento sia
discrezionalmente determinata
dal giudice in considerazione delle esigenze organizzative
dell'ufficio giudiziario,
dei diritti e delle facoltà delle parti coinvolte nel
processo, nonché dei principi
costituzionali di ragionevole durata del processo e di
efficienza della
giurisdizione, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite
(n. 4909 del
18/12/2014, dep. 2015, Torchio, Rv. 262914) con riferimento
a tutti i casi in cui
il giudice, su richiesta del difensore, accordi un rinvio
della udienza, pur in
mancanza delle condizioni che integrano un legittimo
impedimento per
concorrente impegno professionale del difensore.
12. In caso di rinvio su richiesta dell'imputato o del suo
difensore, dunque,
ai fini della sospensione dei termini di prescrizione
operano i principi generali
stabiliti dal codice di rito, i quali, peraltro, avranno
effetto, a differenza di quanto
avviene con riguardo alla sospensione prevista dal combinato
disposto degli artt.
36 e 45 d.P.R. n. 380/2001, anche con riferimento ai reati
eventualmente
concorrenti con la contravvenzione di cui all'art. 44 del
medesimo decreto.
13. Ne consegue che ai quesiti posti in apertura della
presente parte motiva,
al § 1, deve rispondersi affermativamente.
...
15. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche con
riferimento al
secondo e al terzo motivo di ricorso, perché le opere, come
descritte nel capo di
imputazione, necessitavano, per essere eseguite, del
preventivo rilascio del
permesso di costruire.
Si tratta di un intervento edilizio che deve essere
unitariamente considerato,
diversamente da quanto affermato in ricorso, ove viene
effettuata la disamina
delle singole opere al fine di sostenere la soggezione delle
stesse ad un diverso
regime autorizzatorio, ponendosi così in contrasto con il
principio, ripetutamente
affermato, secondo il quale il regime dei titoli abilitativi
edilizi non può essere
eluso attraverso la suddivisione dell'attività edificatoria
finale nelle singole opere
che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di
forme di controllo
preventivo più limitate per la loro più modesta incisività
sull'assetto territoriale.
L'opera deve essere infatti considerata unitariamente nel
suo complesso, senza
che sia consentito scindere e considerare separatamente i
suoi singoli
componenti e ciò ancor più nel caso di interventi su
preesistente opera abusiva
(Sez. 3, n. 16622 del 08/04/2015, Casciato, Rv. 263473; Sez.
3, n. 15442 del
26/11/2014, dep. 2015, Prevosto, Rv. 263339; Sez. 3, n. 5618
del 17/11/2011,
dep.2012, Forte, Rv. 252125; Sez. 3 n. 34585 del 22/04/2010,
Tulipani, non
massimata, ed altre conformi).
Corretta risulta pertanto la soluzione adottata dalla Corte
territoriale, la
quale ha puntualmente analizzato la natura e consistenza
dell'intervento
realizzato, qualificando correttamente la condotta oggetto
di contestazione, con
motivazione adeguata, del tutto immune da salti logici o
manifeste contraddizioni, che il ricorso denuncia senza
ulteriori specificazioni, evidenziando,
così, un'assoluta genericità (Corte
di Cassazione, Sezz. Unite penali,
sentenza 13.04.2016 n. 15427 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
sanatoria è caratterizzata, invero, dalla materiale
esistenza dell'opera ammessa, per l’appunto, a sanatoria.
Non è ammissibile il rilascio di una concessione in
sanatoria subordinata alla esecuzione di opere edilizie,
anche se tali interventi sono finalizzati a ricondurre il
manufatto nell'alveo della legalità … tanto, infatti,
contrasterebbe ontologicamente con gli elementi essenziali
dell'accertamento di conformità, i quali presuppongono la
già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale
conformità alla disciplina urbanistica.
E' "principio generale” che la Pubblica amministrazione
“deve verificare prima del rilascio del titolo in sanatoria
la compatibilità dello stesso con le norme vigenti”,
“assentendo la domanda in caso positivo e negandola nella
diversa ipotesi”, e che non è pertanto ipotizzabile
convenire con una domanda di sanatoria apponendo delle
condizioni, cosa che evidentemente significherebbe
l'accertamento di una solo parziale conformità del progetto
al piano regolatore e alla normativa edilizia comunale.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento del Dirigente il
Servizio sportello imprese e cittadini del Comune di Trento
di data 18.08.2015, prot. n. 155623/2015, con il quale è
stata respinta la richiesta di concessione edilizia in
sanatoria per opere abusive in p.ed. 1149, p.m. 10, sub 42,
in C.C. Cognola, via degli ...;
...
In punto di diritto, poi, il Collegio rammenta che la
giurisprudenza amministrativa, qui condivisa, afferma che:
- la sanatoria è caratterizzata, invero, dalla materiale
esistenza dell'opera ammessa, per l’appunto, a sanatoria
(cfr. C.d.S., Ad.Pl., 08.01.1986, n. 1);
- “non è ammissibile il rilascio di una concessione in
sanatoria subordinata alla esecuzione di opere edilizie,
anche se tali interventi sono finalizzati a ricondurre il
manufatto nell'alveo della legalità … tanto, infatti,
contrasterebbe ontologicamente con gli elementi essenziali
dell'accertamento di conformità, i quali presuppongono la
già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale
conformità alla disciplina urbanistica” (cfr. C.d.S.,
sez. IV, 08.09.2015, n. 4176, che testualmente dissente da
pronunce di primo grado, citate, che avevano affermato che
la “concessione edilizia in sanatoria può introdurre o
recepire prescrizioni tese ad imporre correttivi
sull'esistente, qualora si tratti di integrazioni minime, di
esigua entità” -quali, peraltro, non sarebbero quelle
oggetto della vicenda di causa);
- è “principio generale” che la Pubblica
amministrazione “deve verificare prima del rilascio del
titolo in sanatoria la compatibilità dello stesso con le
norme vigenti”, “assentendo la domanda in caso
positivo e negandola nella diversa ipotesi”, e che non è
pertanto ipotizzabile convenire con una domanda di sanatoria
apponendo delle condizioni, cosa che evidentemente
significherebbe l'accertamento di una solo parziale
conformità del progetto al piano regolatore e alla normativa
edilizia comunale (cfr. TAR Liguria, sez. I, 15.01.2016, n.
45; TAR Veneto, sez. I, 20.11.2015, n. 1239; TAR Campania,
Napoli, sez. VII, 04.06.2014, n. 3066)
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 13.04.2016 n. 204 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
36 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001,
n. 380 dispone che il permesso in sanatoria è ottenibile
soltanto «se l'intervento risulti conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda».
La domanda di sanatoria presuppone che la parte dimostri la
conformità delle opere alle prescrizioni urbanistiche
vigenti al momento della presentazione della domanda e al
momento della realizzazione dell’opera. L’amministrazione
valuta, poi, se la dichiarazione è conforme a legge.
---------------
4.– Con un ulteriore motivo si assume l’erroneità della
sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il terzo
motivo del ricorso. A tale proposito, si deduce come il
Tribunale amministrativo avrebbe “travisato” il contenuto
del provvedimento impugnato, in quanto il Comune non ha
accertato la mancanza della doppia conformità per contrasto
con il nuovo piano adottato. Si aggiunge come sarebbe
illegittimo il provvedimento impugnato nella parte in cui ha
ritenuto necessario dimostrare la doppia conformità.
Il motivo non è fondato.
L’art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia) dispone che
il permesso in sanatoria è ottenibile soltanto «se
l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione della domanda».
L’amministrazione ha, pertanto, correttamente ritenuto
necessario che, al fine di potere considerare la domanda
come variante in sanatoria, fosse necessario la
dimostrazione della doppia conformità. Né varrebbe rilevare
che tale regola non sarebbe applicabile in presenza di
“varianti proprie” né che fosse onere dell’amministrazione
dimostrare la doppia conformità.
In relazione al primo aspetto, l’art. 36 non pone
limitazioni di sorta con riferimento all’ambito applicativo
della regola della doppia conformità.
In relazione al secondo aspetto, la domanda di sanatoria
presuppone che la parte dimostri la conformità delle opere
alle prescrizioni urbanistiche vigenti al momento della
presentazione della domanda e al momento della realizzazione
dell’opera. L’amministrazione valuta, poi, se la
dichiarazione è conforme a legge.
In questo contesto, dimostrata la legittimità della
valutazione amministrativa basata su quanto esposto, il
denunciato “travisamento” da parte del primo giudice del
contenuto del provvedimento impugnato non assume rilievo
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.03.2016 n. 936 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il reato di
omessa denuncia lavori in zona sismica (art. 93,
d.P.R. 06.06.2001, n. 380) è configurabile anche in
caso di esecuzione di lavori in zona inclusa tra
quelle a basso indice sismico (in motivazione la
Corte ha precisato che l'art. 83, comma secondo, del
citato decreto, non pone alcuna distinzione in
merito alle categorie delle zone medesime).
---------------
In tema di reati edilizi, il conseguimento
del permesso di costruire in sanatoria ai sensi
dell'art. 36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, comporta
l'estinzione dei soli reati contravvenzionali
previsti dalle norme urbanistiche vigenti, nella cui
nozione non rientra la disciplina per le costruzioni
da eseguirsi nelle zone sismiche, che ha una
oggettività giuridica diversa da quella riguardante
il corretto assetto del territorio.
---------------
3. Il ricorso è infondato e deve rigettarsi.
In tema di contestazione dell'accusa, si deve avere
riguardo alla specificazione del fatto più che
all'indicazione delle norme di legge violate, per
cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la
mancata individuazione degli articoli di legge
violati è irrilevante e non determina nullità, salvo
che non si traduca in una compressione
dell'esercizio del diritto di difesa (Sez. 3, n.
5469 del 05/12/2013 - dep. 04/02/2014, Russo, Rv.
258920; Sez. 6, n. 45289 del 08/11/2011 - dep.
05/12/2011, Floridia, Rv. 250991; Sez. 5, n. 44707
del 09/11/2005 - dep. 07/12/2005, Bombagi, Rv.
233069).
L'imputazione, quindi, deve leggersi nella sua
esatta descrizione del fatto, ovvero le norme che
vengono in considerazione sono l'art. 93 e l'art. 65
del d.P.R. n. 380 del 2001. Infatti nella
descrizione della condotta si individua l'assenza
dell'attestato di avvenuto deposito di cui all'art.
65, comma 5, del d.P.R. citato, e l'omessa denuncia
dei lavori in zona sismica, ex art 93 del d.P.R.
citato. Non è contestata pertanto la condotta
prevista dall'art. 94 del d. P.R. n. 380 del 2001,
inizio dei lavori senza preventiva autorizzazione.
Per queste fattispecie dì reato, quindi, non opera
la previsione dell'art. 94 del d.P.R. n. 380 del
2001, espressamente riferita alla sola preventiva
autorizzazione. Prevede infatti la norma: "Fermo
restando l'obbligo del titolo abilitativo
all'intervento edilizio, nelle località sismiche, ad
eccezione di quelle a bassa sismicità all'uopo
indicate nei decreti di cui all'art. 83, non si
possono iniziare i lavori senza preventiva
autorizzazione scritta del competente ufficio
tecnico della regione".
Per la fattispecie dell'art. 93 infatti la Corte di
Cassazione ha sempre ritenuto irrilevante il grado
di sismicità: "Il reato di
omessa denuncia lavori in zona sismica (art. 93,
d.P.R. 06.06.2001, n. 380) è configurabile anche in
caso di esecuzione di lavori in zona inclusa tra
quelle a basso indice sismico (in motivazione la
Corte ha precisato che l'art. 83, comma secondo, del
citato decreto, non pone alcuna distinzione in
merito alle categorie delle zone medesime)"
(Sez. 3, n. 22312 del 15/02/2011 - dep. 06/06/2011,
Morini, Rv. 250369; nello stesso senso vedi anche
Cassazione, sez. 3, n. 37385 del 2013, Cosmo).
Irrilevante, quindi, risulta il grado dì sismicità
del Comune di Roseto degli Abruzzi.
Infondato è anche il motivo relativo alla sanatoria
della Provincia di Teramo (attestato in sanatoria n.
225811 del 19.11.2011).
In tema di reati edilizi, il conseguimento
del permesso di costruire in sanatoria ai sensi
dell'art. 36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, comporta
l'estinzione dei soli reati contravvenzionali
previsti dalle norme urbanistiche vigenti, nella cui
nozione non rientra la disciplina per le costruzioni
da eseguirsi nelle zone sismiche, che ha una
oggettività giuridica diversa da quella riguardante
il corretto assetto del territorio
(Sez. F, n. 44015 del 04/09/2014 - dep. 22/10/2014,
Conforti, Rv. 261099) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 29.02.2016 n.
8175). |
EDILIZIA PRIVATA:
La presentazione da parte del ricorrente della
domanda di rilascio del permesso in sanatoria comporta il
venir meno dell'interesse alla decisione sul ricorso avverso
l'ordinanza di demolizione e tutti gli atti intervenuti in
funzione della repressione dell'abuso edilizio.
Ciò, tenuto conto della necessaria pronuncia su detta
istanza, e considerato che, da un lato, il rilascio
della sanatoria produce evidentemente l'improcedibilità del
ricorso, dall'altro, uguale effetto si produce in
caso di diniego di sanatoria, concentrandosi l'interesse nel
contestare, con ricorso, l'eventuale provvedimento di
diniego della sanatoria, nei termini e nei limiti in cui
essa è stata richiesta.
---------------
Il Comune non potrebbe non tener conto, nelle successive
determinazioni, delle vicende conseguenti all’istanza di
sanatoria edilizia, sicché sarebbe costretto, anche
nell’eventualità di un diniego di sanatoria, a reiterare i
provvedimenti sanzionatori, demolitori e ripristinatori.
Tale circostanza risulta viepiù vera nel caso di specie in
cui la Regione e la Soprintendenza coinvolte nel
procedimento di sanatoria hanno già espresso il loro assenso
all’intervento, rendendo un’eventuale esecuzione dell’ordine
di demolizione non più pienamente rispondente allo stesso
interesse pubblico, quanto meno fino alla conclusione di
quel procedimento.
Tale semplice considerazione induce a disattendere
l’orientamento giurisprudenziale, a tenore del quale, in
materia di abusivismo edilizio, la presentazione
dell'istanza ai sensi dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001
(T.U. Edilizia) non costituirebbe fatto idoneo a rendere
inefficace il provvedimento sanzionatorio originario,
quindi, non determinerebbe, di per sé, l'improcedibilità per
sopravvenuta carenza di interesse dell'impugnazione
originariamente proposta avverso l'ordinanza di demolizione,
ma solo un arresto temporaneo dell'efficacia delle misure
ripristinatorie, che dunque riacquisterebbero efficacia in
caso di eventuale rigetto della sanatoria.
La ragione che ha indotto la menzionata, peraltro
autorevole, giurisprudenza a ritenere la sopravvivenza
dell’interesse alla decisione del ricorso, anche dopo la
presentazione della domanda di sanatoria edilizia è che, in
caso di riesame negativo circa l'abusività dell'opera,
conseguente all'istanza di sanatoria, si addiverrebbe alla
formazione di un provvedimento di rigetto che non darebbe
luogo ad alcuna modificazione sostanziale della preesistente
realtà giuridica, quindi costituirebbe un mero atto
confermativo del precedente provvedimento sanzionatorio.
Viceversa, le ragioni che militano per l’orientamento
contrario, deponendo per l’improcedibilità del ricorso
avverso l’ordinanza comunale demolitoria, a seguito
dell’istanza di sanatoria edilizia, sono le seguenti:
1) il rigetto della sanatoria edilizia non è un atto meramente
confermativo dell’ordinanza di demolizione del manufatto
abusivo, avendo i due atti natura e qualità affatto
dissimili (uno è un provvedimento autorizzatorio negativo,
l’altro è un provvedimento sanzionatorio);
2) qualsiasi decisione assuma il Comune sull’istanza di sanatoria
–ivi compreso il silenzio-rigetto– modifica strutturalmente
l’interesse del ricorrente alla conservazione del bene della
vita (nella specie, l’edificio o il manufatto di proprietà),
producendo una nuova situazione di fatto, della quale il
Comune non può non tener conto nelle sue ulteriori
determinazioni;
3) il riesame dell'abusività dell'opera provocato da tale istanza,
sia pure al fine di verificare l'eventuale sanabilità di
quanto costruito, comporta la necessaria formazione di un
nuovo provvedimento (di accoglimento o di rigetto) che vale
comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto
dell'impugnativa;
4) l’ordinanza demolitoria, comunque e sempre, precede e postula
ulteriori provvedimenti di esecuzione della demolizione e di
acquisizione al suolo comunale dell’area di sedime, sicché
delle due l’una: in caso di diniego della sanatoria
edilizia, i provvedimenti ulteriori possono essere adottati
legittimamente e sono impugnabili solo per vizi propri; in
caso di concessione del permesso di costruire in sanatoria,
il Comune non potrà eseguire in alcun modo la demolizione,
né applicare altre sanzioni.
Né potrebbe sostenersi che una tale soluzione accorderebbe
ai destinatari di un ordine di demolizione la possibilità di
reiterare all’infinito le istanze di sanatoria per impedire
l’esecuzione della demolizione, atteso che la pendenza della
domanda di sanatoria inibisce la demolizione solo finché il
procedimento non è definito, ma una volta negata la
sanatoria nulla osta alla demolizione del manufatto.
---------------
... per l'annullamento, previa sospensione cautelare,
dell’ordinanza n. 2 del 27.11.2014 (prot. n. 3864),
notificata in data 18.12.2014, con la quale il Comune di
Busso ha ordinato al ricorrente la demolizione di un
manufatto realizzato nella parte retrostante il fabbricato
di civile abitazione, contenente un serbatoio di acqua
potabile avente struttura portante in muratura di mattoni e
soprastante terrazzo.
...
Il ricorso è improcedibile.
La presentazione da parte del ricorrente della domanda di
rilascio del permesso in sanatoria comporta il venir meno
dell'interesse alla decisione sul ricorso avverso
l'ordinanza di demolizione e tutti gli atti intervenuti in
funzione della repressione dell'abuso edilizio. Ciò, tenuto
conto della necessaria pronuncia su detta istanza, e
considerato che, da un lato, il rilascio della
sanatoria produce evidentemente l'improcedibilità del
ricorso, dall'altro, uguale effetto si produce in
caso di diniego di sanatoria, concentrandosi l'interesse nel
contestare, con ricorso, l'eventuale provvedimento di
diniego della sanatoria, nei termini e nei limiti in cui
essa è stata richiesta (cfr.: Tar Campania Napoli III,
02.11.2015 n. 5083; Tar Campania Salerno I, 07.04.2015 n.
735; Tar Liguria Genova II, 03.09.2014 n. 1334).
Nel caso di specie, poi, il ricorrente ha prodotto il parere
positivo espresso dalla Regione nell’ambito del procedimento
di autorizzazione paesaggistica ex art. 167 d.lgs. n.
42/2004.
Ad ogni buon conto, il Comune non potrebbe non tener conto,
nelle successive determinazioni, delle vicende conseguenti
all’istanza di sanatoria edilizia, sicché sarebbe costretto,
anche nell’eventualità di un diniego di sanatoria, a
reiterare i provvedimenti sanzionatori, demolitori e
ripristinatori.
Tale circostanza risulta viepiù vera nel caso di specie in
cui la Regione e la Soprintendenza coinvolte nel
procedimento di sanatoria hanno già espresso il loro assenso
all’intervento, rendendo un’eventuale esecuzione dell’ordine
di demolizione non più pienamente rispondente allo stesso
interesse pubblico, quanto meno fino alla conclusione di
quel procedimento.
Tale semplice considerazione, come di recente rilevato da
questo Tribunale in un caso analogo (sentenza 20.11.2015, n.
441), induce a disattendere l’orientamento
giurisprudenziale, a tenore del quale, in materia di
abusivismo edilizio, la presentazione dell'istanza ai sensi
dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia) non
costituirebbe fatto idoneo a rendere inefficace il
provvedimento sanzionatorio originario, quindi, non
determinerebbe, di per sé, l'improcedibilità per
sopravvenuta carenza di interesse dell'impugnazione
originariamente proposta avverso l'ordinanza di demolizione,
ma solo un arresto temporaneo dell'efficacia delle misure
ripristinatorie, che dunque riacquisterebbero efficacia in
caso di eventuale rigetto della sanatoria (cfr.: Cons. Stato
VI, 14.03.2014 n. 1292).
La ragione che ha indotto la menzionata, peraltro
autorevole, giurisprudenza a ritenere la sopravvivenza
dell’interesse alla decisione del ricorso, anche dopo la
presentazione della domanda di sanatoria edilizia è che, in
caso di riesame negativo circa l'abusività dell'opera,
conseguente all'istanza di sanatoria, si addiverrebbe alla
formazione di un provvedimento di rigetto che non darebbe
luogo ad alcuna modificazione sostanziale della preesistente
realtà giuridica, quindi costituirebbe un mero atto
confermativo del precedente provvedimento sanzionatorio.
Viceversa, le ragioni che militano per l’orientamento
contrario, deponendo per l’improcedibilità del ricorso
avverso l’ordinanza comunale demolitoria, a seguito
dell’istanza di sanatoria edilizia, sono le seguenti:
1) il rigetto della sanatoria edilizia non è un atto
meramente confermativo dell’ordinanza di demolizione del
manufatto abusivo, avendo i due atti natura e qualità
affatto dissimili (uno è un provvedimento autorizzatorio
negativo, l’altro è un provvedimento sanzionatorio);
2) qualsiasi decisione assuma il Comune sull’istanza di
sanatoria –ivi compreso il silenzio-rigetto– modifica
strutturalmente l’interesse del ricorrente alla
conservazione del bene della vita (nella specie, l’edificio
o il manufatto di proprietà), producendo una nuova
situazione di fatto, della quale il Comune non può non tener
conto nelle sue ulteriori determinazioni;
3) il riesame dell'abusività dell'opera provocato da tale
istanza, sia pure al fine di verificare l'eventuale
sanabilità di quanto costruito, comporta la necessaria
formazione di un nuovo provvedimento (di accoglimento o di
rigetto) che vale comunque a superare il provvedimento
sanzionatorio oggetto dell'impugnativa (cfr.: TAR Umbria
Perugia I, 04.09.2015 n. 362);
4) l’ordinanza demolitoria, comunque e sempre, precede e
postula ulteriori provvedimenti di esecuzione della
demolizione e di acquisizione al suolo comunale dell’area di
sedime, sicché delle due l’una: in caso di diniego della
sanatoria edilizia, i provvedimenti ulteriori possono essere
adottati legittimamente e sono impugnabili solo per vizi
propri; in caso di concessione del permesso di costruire in
sanatoria, il Comune non potrà eseguire in alcun modo la
demolizione, né applicare altre sanzioni.
Né potrebbe sostenersi che una tale soluzione accorderebbe
ai destinatari di un ordine di demolizione la possibilità di
reiterare all’infinito le istanze di sanatoria per impedire
l’esecuzione della demolizione, atteso che la pendenza della
domanda di sanatoria inibisce la demolizione solo finché il
procedimento non è definito, ma una volta negata la
sanatoria nulla osta alla demolizione del manufatto.
In conclusione, il ricorso è da ritenersi improcedibile (TAR
Molise,
sentenza 26.02.2016 n. 105 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
ragioni che militano per l’orientamento che depone per
l’improcedibilità del ricorso avverso l’ordinanza comunale
demolitoria, a seguito dell’istanza di sanatoria edilizia,
sono le seguenti:
1) il rigetto della sanatoria edilizia non è un atto meramente
confermativo dell’ordinanza di demolizione del manufatto
abusivo, avendo i due atti natura e qualità affatto
dissimili (uno è un provvedimento autorizzatorio negativo,
l’altro è un provvedimento sanzionatorio);
2) qualsiasi decisione assuma il Comune sull’istanza di sanatoria
–ivi compreso il silenzio-rigetto– modifica strutturalmente
l’interesse del ricorrente alla conservazione del bene della
vita (nella specie, l’edificio o il manufatto di proprietà),
producendo una nuova situazione di fatto, della quale il
Comune non può non tener conto nelle sue ulteriori
determinazioni;
3) il riesame dell'abusività dell'opera provocato da tale istanza,
sia pure al fine di verificare l'eventuale sanabilità di
quanto costruito, comporta la necessaria formazione di un
nuovo provvedimento (di accoglimento o di rigetto) che vale
comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto
dell'impugnativa;
4) l’ordinanza demolitoria, comunque e sempre, precede e postula
ulteriori provvedimenti di esecuzione della demolizione e di
acquisizione al suolo comunale dell’area di sedime, sicché
delle due l’una: in caso di diniego della sanatoria
edilizia, i provvedimenti ulteriori possono essere adottati
legittimamente e sono impugnabili solo per vizi propri; in
caso di concessione del permesso di costruire in sanatoria,
il Comune non potrà eseguire in alcun modo la demolizione,
né applicare altre sanzioni;
5) appare ultronea ed eccessiva la preoccupazione del giudice
amministrativo di evitare che la dichiarata improcedibilità
del ricorso avverso l’ordinanza demolitoria inneschi una
nuova sequenza di ricorsi avverso i provvedimenti demolitori
successivi al diniego di sanatoria edilizia, con un
paventato pericolo di abuso del processo; infatti, un ordine
di demolizione fondato su un diniego di sanatoria edilizia
divenuto incontestabile, sarebbe a sua volta un
provvedimento incontestabile, almeno per i profili
riferibili all’assenza del titolo edilizio, definitivamente
accertata e non più ovviabile.
---------------
... per l'annullamento dei seguenti atti: 1) l’ordinanza di
demolizione di opere abusive prot. n. 2/2015, emessa dal
Comune di Rocchetta al Volturno in data 08.01.2015,
notificata al ricorrente in data 16.02.2015, con la quale è
stata ordinata la demolizione delle dette opere a propria
cura e spese; 2) ogni atto presupposto, connesso e
conseguente;
...
III - La presentazione da parte del ricorrente della domanda di sanatoria
edilizia comporta il venir meno dell'interesse alla
decisione sul ricorso avverso l'ordinanza di demolizione e
tutti gli atti intervenuti, in funzione della repressione
dell'abuso edilizio. Ciò, tenuto conto della necessaria
pronuncia del Comune su detta istanza, e considerato che, da
un lato, il rilascio della sanatoria produce evidentemente
l'improcedibilità del ricorso, dall'altro, uguale effetto si
produce in caso di diniego di sanatoria, concentrandosi
l'interesse nel contestare, con ricorso, l'eventuale
provvedimento di diniego della sanatoria, nei termini e nei
limiti in cui essa è stata richiesta (cfr.: Tar Campania
Napoli III, 02.11.2015 n. 5083; Tar Campania Salerno I,
07.04.2015 n. 735; T.a.r. Liguria Genova II, 03.09.2014 n.
1334).
Ad ogni buon conto, il Comune non potrebbe non tener
conto, nelle successive determinazioni, delle vicende
conseguenti all’istanza di sanatoria edilizia, sicché
sarebbe costretto, anche nell’eventualità di un diniego di
sanatoria, a reiterare i provvedimenti sanzionatori,
demolitori e ripristinatori.
Tale semplice considerazione induce a disattendere
l’orientamento giurisprudenziale, a tenore del quale, in
materia di abusivismo edilizio, la presentazione
dell'istanza ai sensi dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001
(T.U. Edilizia) non costituirebbe fatto idoneo a rendere
inefficace il provvedimento sanzionatorio originario,
quindi, non determinerebbe, di per sé, l'improcedibilità per
sopravvenuta carenza di interesse dell'impugnazione
originariamente proposta avverso l'ordinanza di demolizione,
ma solo un arresto temporaneo dell'efficacia delle misure
ripristinatorie, che dunque riacquisterebbero efficacia in
caso di eventuale rigetto della sanatoria (cfr.: Cons. Stato
VI, 14.03.2014 n. 1292).
La ragione che ha indotto la
menzionata, peraltro autorevole, giurisprudenza a ritenere
la sopravvivenza dell’interesse alla decisione del ricorso,
anche dopo la presentazione della domanda di sanatoria
edilizia è che, in caso di riesame negativo circa
l'abusività dell'opera, conseguente all'istanza di
sanatoria, si addiverrebbe alla formazione di un
provvedimento di rigetto che non darebbe luogo ad alcuna
modificazione sostanziale della preesistente realtà
giuridica, quindi costituirebbe un mero atto confermativo
del precedente provvedimento sanzionatorio.
Viceversa, le ragioni che militano per l’orientamento
contrario, deponendo per l’improcedibilità del ricorso
avverso l’ordinanza comunale demolitoria, a seguito
dell’istanza di sanatoria edilizia, sono le seguenti:
1) il
rigetto della sanatoria edilizia non è un atto meramente
confermativo dell’ordinanza di demolizione del manufatto
abusivo, avendo i due atti natura e qualità affatto
dissimili (uno è un provvedimento autorizzatorio negativo,
l’altro è un provvedimento sanzionatorio);
2) qualsiasi
decisione assuma il Comune sull’istanza di sanatoria –ivi
compreso il silenzio-rigetto– modifica strutturalmente
l’interesse del ricorrente alla conservazione del bene della
vita (nella specie, l’edificio o il manufatto di proprietà),
producendo una nuova situazione di fatto, della quale il
Comune non può non tener conto nelle sue ulteriori
determinazioni;
3) il riesame dell'abusività dell'opera
provocato da tale istanza, sia pure al fine di verificare
l'eventuale sanabilità di quanto costruito, comporta la
necessaria formazione di un nuovo provvedimento (di
accoglimento o di rigetto) che vale comunque a superare il
provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa (cfr.: Tar Umbria Perugia I,
04.09.2015 n. 362);
4) l’ordinanza demolitoria, comunque e sempre, precede e postula ulteriori
provvedimenti di esecuzione della demolizione e di
acquisizione al suolo comunale dell’area di sedime, sicché
delle due l’una: in caso di diniego della sanatoria
edilizia, i provvedimenti ulteriori possono essere adottati
legittimamente e sono impugnabili solo per vizi propri; in
caso di concessione del permesso di costruire in sanatoria,
il Comune non potrà eseguire in alcun modo la demolizione,
né applicare altre sanzioni;
5) appare ultronea ed eccessiva
la preoccupazione del giudice amministrativo di evitare che
la dichiarata improcedibilità del ricorso avverso
l’ordinanza demolitoria inneschi una nuova sequenza di
ricorsi avverso i provvedimenti demolitori successivi al
diniego di sanatoria edilizia, con un paventato pericolo di
abuso del processo; infatti, un ordine di demolizione
fondato su un diniego di sanatoria edilizia divenuto
incontestabile, sarebbe a sua volta un provvedimento
incontestabile, almeno per i profili riferibili all’assenza
del titolo edilizio, definitivamente accertata e non più
ovviabile (TAR Molise,
sentenza 26.02.2016 n. 86 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La validità ovvero l'efficacia dell'ordine di demolizione
non risultano pregiudicate dalla successiva presentazione di
un'istanza ex art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001, posto che nel
sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa
desumersi un tale effetto, sicché, se da un lato la
presentazione dell'istanza ex art. 36 determina
inevitabilmente un arresto dell'efficacia dell'ordine di
demolizione all'evidente fine di evitare, in caso di
accoglimento dell'istanza, la demolizione di un'opera che,
pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di
costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica
vigente, dall'altro, occorre ritenere che l'efficacia
dell'atto sanzionatorio sia soltanto sospesa, cioè che
l'atto sia posto in uno stato di temporanea quiescenza.
All'esito del procedimento di sanatoria, in caso di
accoglimento dell'istanza, l'ordine di demolizione rimarrà
privo di effetti in ragione dell'accertata conformità
dell'intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia
al momento della presentazione della domanda, con
conseguente venir meno dell'originario carattere abusivo
dell'opera realizzata. Di contro, in caso di rigetto
dell'istanza, l'ordine di demolizione riacquisterà la sua
efficacia.
La proposizione di un'istanza di accertamento di conformità,
ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, in tempo
successivo all'emissione dell'ordinanza di demolizione,
incide, in definitiva, unicamente sulla possibilità
dell'Amministrazione di portare ad esecuzione la sanzione,
ma non si riverbera sulla legittimità del precedente
provvedimento di demolizione.
---------------
In aderenza ad un diffuso orientamento giurisprudenziale,
più volte fatto proprio da questo Tribunale, il silenzio
dell'Amministrazione sulla richiesta di concessione in
sanatoria (ora sulla richiesta di permesso di costruire in
sanatoria) ha un valore legale tipico di rigetto, vale a
dire costituisce un'ipotesi di silenzio-significativo al
quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento
esplicito di diniego.
Pertanto, il silenzio-diniego formatosi a seguito del
decorso del termine di 60 giorni può essere impugnato nel
prescritto termine decadenziale, senza però la possibilità
di dedurre vizi formali propri degli atti, quali difetti di
procedura o mancanza di motivazione, non sussistendo
l'obbligo di emanare un atto scritto, ripetitivo degli
effetti di reiezione della istanza, disposti dal sopra
richiamato art. 36.
Il diritto di difesa dell'interessato, tuttavia, non viene
ad essere vulnerato dall'anzidetta limitazione all'attività
assertiva, ben potendo egli dedurre (e validamente provare)
che l'istanza di sanatoria sia meritevole di accoglimento
per la sussistenza della prescritta doppia conformità
urbanistica delle opere abusivamente realizzate: operazione
del tutto scevra da valutazioni discrezionali e
riconducibile a mero accertamento comparativo.
---------------
Infondata è poi, per come prospettata, la censura secondo
cui l'ordine demolitorio perderebbe tout-court efficacia per
effetto della successiva presentazione, in data 19.05.2011, dell'istanza di accertamento di conformità, tenuto
conto che "in tema di opere abusive, non può incidere sulla
legittimità del provvedimento di demolizione il mancato
esame di un'istanza di accertamento di conformità ex art. 36
del D.P.R. n. 380 del 2001 presentata successivamente i cui
effetti l'amministrazione dovrà autonomamente valutare"
(così, C.d.S., Sez. IV, 19.02.2008, n. 849).
La validità ovvero l'efficacia dell'ordine di demolizione
non risultano pregiudicate dalla successiva presentazione di
un'istanza ex art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001, posto che nel
sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa
desumersi un tale effetto, sicché, se da un lato la
presentazione dell'istanza ex art. 36 determina
inevitabilmente un arresto dell'efficacia dell'ordine di
demolizione all'evidente fine di evitare, in caso di
accoglimento dell'istanza, la demolizione di un'opera che,
pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di
costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica
vigente, dall'altro, occorre ritenere che l'efficacia
dell'atto sanzionatorio sia soltanto sospesa, cioè che
l'atto sia posto in uno stato di temporanea quiescenza.
All'esito del procedimento di sanatoria, in caso di
accoglimento dell'istanza, l'ordine di demolizione rimarrà
privo di effetti in ragione dell'accertata conformità
dell'intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia
al momento della presentazione della domanda, con
conseguente venir meno dell'originario carattere abusivo
dell'opera realizzata. Di contro, in caso di rigetto
dell'istanza, l'ordine di demolizione riacquisterà la sua
efficacia.
La proposizione di un'istanza di accertamento di conformità,
ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, in tempo
successivo all'emissione dell'ordinanza di demolizione,
incide, in definitiva, unicamente sulla possibilità
dell'Amministrazione di portare ad esecuzione la sanzione,
ma non si riverbera sulla legittimità del precedente
provvedimento di demolizione (cfr. TAR Campania, VI Sezione,
24.09.2009 n. 5071).
A maggior ragione inconferente, attesa l'autonomia dei
relativi procedimenti, deve ritenersi la dedotta pendenza
della domanda di compatibilità paesaggistica ex artt. 167 e
181 e del d.lgs. n. 42 del 2004, inidonea a refluire sulla
legittimità della sanzione qui avversata, comminata ai sensi
e per gli effetti di cui all'articolo 27 del testo unico
sull'edilizia.
Le considerazioni fin qui svolte esplicano una diretta
incidenza anche in relazione agli ulteriori motivi di
censura articolati in via aggiuntiva con atto depositato in
data 26.11.2011 e riferiti al provvedimento di
reiezione implicita dell'istanza di accertamento di
conformità inoltrata, ai sensi e per gli effetti di cui agli
artt. 36 e/o 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, in data 19.05.2011.
Ed, invero, la ricorrente ripropone qui il proprio
costrutto, sopra già disatteso, secondo cui l'intervento
eseguito, riconducibile alla tipologia del risanamento
conservativo e/o ristrutturazione edilizia non valutabile in
termini di volumi, non sarebbe soggetto a permesso di
costruire. Proprio muovendo da siffatta premessa, assume,
infatti, che il procedimento di sanatoria attivato con la
citata istanza del 19.05.2011 dovrebbe essere ricondotto alla
distinta fattispecie di cui all'articolo 37 del D.P.R. n.
380 del 2001, che non contemplerebbe ipotesi di silenzio-significativo, di talché l'inerzia serbata
dall'Amministrazione intimata andrebbe qualificata come
silenzio inadempimento. Ove il Comune avesse, pertanto,
inteso avvalersi del disposto di cui all'articolo 36 cit.,
tale atto legale implicito dovrebbe ritenersi, per ciò solo,
illegittimo.
Sul punto, in disparte l'articolazione in forma ipotetica
della domanda impugnatoria qui in rilievo, è sufficiente
fare rinvio alle considerazioni già sopra svolte, da
intendersi integralmente richiamate, in ordine alla
insussistenza di conferenti argomenti (e soprattutto di
pertinenti elementi probatori) a sostegno di tale assunto ed
alla conseguente necessità di qualificare l'opera in
addebito come nuova costruzione soggetta a permesso di
costruire, con conseguente sussunzione del procedimento di
sanatoria attivato dalla ricorrente sotto l'egida
dell'articolo 36 del D.P.R. n. 380 del 2001.
In aderenza ad un diffuso orientamento giurisprudenziale,
più volte fatto proprio da questo Tribunale, occorre
soggiungere che il silenzio dell'Amministrazione sulla
richiesta di concessione in sanatoria (ora sulla richiesta
di permesso di costruire in sanatoria) ha un valore legale
tipico di rigetto, vale a dire costituisce un'ipotesi di
silenzio-significativo al quale vengono collegati gli
effetti di un provvedimento esplicito di diniego (cfr., ex multis, Cons. Stato, sezione quarta,
06.06.2008, n. 2691,
03.04.2006, n. 1710 e 14.02.2006 n. 598; sezione
quinta, 11.02.2003, n. 706; Tar Campania-Napoli,
questa sesta sezione, sentenze 06.09.2010, n. 17306,
15.07.2010, n. 16805, 25.05.2010, n. 8779, 17.03.2008, n. 1364 e
07.09.2007, n. 7958; sezione settima,
24.06.2008, n. 6118 e 07.05.2008, n. 3501; sezione
ottava, 15.04.2010, n. 1981; Sezione staccata di
Salerno, sezione seconda, 04.04.2008, n. 478; Tar
Liguria, sezione prima, 24.06.2007, n. 1114; Tar
Lombardia, Milano, sezione seconda, 21.03.2006, n. 642;
Tar Piemonte-Torino, sezione prima, 08.03.2006, n. 1173;
Tar Sicilia-Catania, sezione prima, 17.10.2005, n.
1723).
Natura provvedimentale che non è smentita dalla
qualificazione operata dall'art. 43 della L.R. Campania n.
16 del 2004 (peraltro successivamente abrogato dall'art. 4,
comma 1, lettera n), della L.R. 05.01.2011, n. 1, a
decorrere dal 150° giorno successivo a quello della sua
pubblicazione) in ordine al silenzio serbato dalle
amministrazioni comunali (sulle ripetute domande di
accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380 del
2001) che "non può riverberare sulla disciplina processuale,
di esclusiva competenza statale, posta per la tutela
giurisdizionale contro il silenzio della pubblica
amministrazione", fermo che "la previsione di cui alla norma
regionale si limita, di fatto, a prevedere e disciplinare un
rimedio alternativo, meramente amministrativo (attivabile
d'ufficio o a cura di parte), avverso la mancata pronuncia
delle amministrazioni comunali sulle richieste di
accertamento di conformità, senza con ciò interferire sulla
qualificazione giuridica del silenzio impugnabile in sede
giurisdizionale e sul relativo rito azionabile" (cfr., in
tali espliciti sensi, sempre questa Sezione n. 8779 del 25.05.2010 e, per implicito, Cons. Stato n. 598 del 2006
cit.).
Pertanto, il silenzio-diniego formatosi a seguito del
decorso del termine di 60 giorni può essere impugnato nel
prescritto termine decadenziale, senza però la possibilità
di dedurre vizi formali propri degli atti, quali difetti di
procedura o mancanza di motivazione, non sussistendo
l'obbligo di emanare un atto scritto, ripetitivo degli
effetti di reiezione della istanza, disposti dal sopra
richiamato art. 36.
Il diritto di difesa dell'interessato, tuttavia, non viene
ad essere vulnerato dall'anzidetta limitazione all'attività
assertiva, ben potendo egli dedurre (e validamente provare)
che l'istanza di sanatoria sia meritevole di accoglimento
per la sussistenza della prescritta doppia conformità
urbanistica delle opere abusivamente realizzate: operazione
del tutto scevra da valutazioni discrezionali e
riconducibile a mero accertamento comparativo.
In ossequio alle divisate coordinate di riferimento il
ricorso per motivi aggiunti non può, dunque, essere accolto
siccome imperniato sul presunto obbligo di provvedere e sul
difetto di motivazione del silenzio rigetto; inoltre, sotto
diverso profilo, non può essere condivisa l’affermazione
della conformità dell'opera realizzata alle prescrizioni
dello strumento urbanistico e del P.T.P. vigenti anche in
ragione del fatto -più volte evidenziato- che viene qui in
rilievo l'esecuzione di abusivi interventi di nuova
costruzione in zona vincolata e non già di un intervento di
risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia (al
riguardo, è sufficiente rammentare che le disposizioni del
codice dei beni culturali –d.lgs. n. 42/2004 cfr. artt. 146
e 167– precludono il rilascio di autorizzazioni
paesaggistiche in sanatoria quando siano stati realizzati
nuovi volumi).
Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni il
ricorso, per come integrato dai motivi aggiunti, va respinto
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 18.02.2016 n. 932 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cani, il box non si sana.
Niente sanatoria per il box dei cani sorto a ridosso del
confine con la villetta del vicino. E ciò perché è la stessa
natura del titolo edilizio concesso ex articolo 36 del testo
unico a escludere che il rilascio possa essere subordinato
alla realizzazione di altre opere edilizie: l'accertamento
di conformità, infatti, presuppone che il manufatto sia già
diventato conforme alla disciplina urbanistica con i lavori
realizzati nelle more.
È quanto emerge dalla
sentenza
09.02.2016 n. 163, pubblicata dalla
I Sez. del TAR Emilia Romagna-Bologna.
Condizioni igieniche
Accolto il ricorso del confinante che blocca il ricovero per
animali domestici «condonato» dal vicino. È lo stesso Comune
a riconoscere che le distanze legali previste dal codice
civile siano state fatte proprie dal piano regolatore
generale dell'ente locale.
Il proprietario del box ammette
di aver costruito a meno di mezzo metro dal confine e
s'impegna a far arretrare il manufatto nella domanda del
titolo edilizio necessario a mettersi in regola. Ma ormai è
troppo tardi: una volta emersa l'irregolarità,
l'amministrazione non poteva non tenerne conto in sede di
sanatoria.
Il Comune, poi, non accerta se il box è adeguato dal punta
di vista delle condizioni igienico-sanitarie, visto che deve
ospitare animali domestici. E non risulta acquisito dal
proprietario il necessario studio di inserimento ambientale:
è ragionevole ritenere che il latrato dei cani possa
disturbare i vicini. Che infatti bloccano il progetto e si
fanno pagare le spese di giudizio dal Comune
(articolo ItaliaOggi del 06.04.2016).
---------------
MASSIMA
Osserva il Collegio come una prima questione si incentri
sulla compatibilità dell’intervento edilizio con le
prescrizioni di cui all’art. 28 delle n.t.a. del piano
regolatore comunale.
La «relazione tecnica» allegata
all’istanza di sanatoria aveva evidenziato che “…L’aspetto
urbanistico della presente sanatoria è caratterizzato dalla
possibilità di sanare il box per cani utilizzando la quota
di edifìcabiltà “una tantum” prevista nelle “zone
residenziali edificate B1” in cui, come nella fattispecie,
la superficie costruita alla data di adozione dello
strumento urbanistico vigente era maggiore
dell’edificabilità ammessa dall’indice di utilizzazione
fondiaria …” e che “…Tale possibilità oltre che per gli
ampliamenti della superficie utile abitabile è ammessa anche
per la creazione di servizi alle unità immobiliari
esistenti. Nella fattispecie si ritiene che il box per il
ricovero e la detenzione dei cani di proprietà del sig. Ca.It. sia una superficie di vero e proprio servizio
…”, indicazioni poi fatte proprie dal titolo edilizio
impugnato (“…Accertata la conformità urbanistica di cui
all’art. 28 delle NTA, che ammette la creazione di opere
pertinenziali, che concede, per tutti i fabbricati esistenti
alla data dell’adozione del PRG vigente, un incremento di
superficie utile per il miglioramento dell’abitabilità e per
la creazione di servizi delle singole unità immobiliari.
Verificato che dal conteggio presentato dal tecnico risulta
un incremento di superficie spettante di diritto sull’intero
fabbricato pari al 15% […] il manufatto risulta essere stato
realizzato in aderenza ad un fabbricato già esistente ed
autorizzato da regolare Concessione Edilizia …”).
Le
ricorrenti, tuttavia, assumono non ammissibile l’opera in
questione perché fonte di rumore ed esalazioni maleodoranti,
produttiva di incremento di «superficie non residenziale»
anziché di «superficie utile», localizzata in aderenza ad un
fabbricato accessorio e non al fabbricato principale,
assentita senza il prescritto studio di inserimento
ambientale e indebitamente giustificata dall’addotta
esigenza di assicurare un idoneo ricovero agli animali
domestici del proprietario.
La questione è fondata nei limiti che si indicheranno.
L’art. 28 delle n.t.a. del piano regolatore comunale
disciplina le «zone residenziali edificate (B1)» e prevede
al loro interno le «sottozone B1», stabilendo che vi sono
ammessi “…tutti gli usi esistenti, compatibilmente con le
prescrizioni del Piano Comunale per il Commercio, a
condizione che quelli non residenziali non presentino
inconvenienti tali da contrastare con il carattere
dell’edificio o degli edifici circostanti o da impedire il
normale svolgimento delle funzioni abitative (ad esempio:
fonti di rumore, esalazioni nocive o maleodoranti ...) come
previsto per le zone A …”, con la possibilità di un
“…ampliamento “una tantum”, da realizzare in aderenza al
fabbricato esistente, per il quale è richiesto uno studio di
inserimento ambientale, da estendere alla strada, alla
piazza o comunque alla zona in cui è localizzato l’edificio
(per un raggio di 50 m. almeno), che dimostri la sua
compatibilità ambientale. L’incremento una tantum è previsto
per il miglioramento dell’abitabilità delle singole unità
immobiliari o per la creazione di servizi nella misura di:
20% per unità immobiliari fino ad 80 mq di Su …”.
Orbene, la
circostanza che venga espressamente consentita la “creazione
di servizi” rende evidente che l’ampliamento una tantum non
è inderogabilmente circoscritto alla «superficie utile» ma
può riguardare anche la «superficie non residenziale»,
benché il parametro di incremento venga commisurato, nella
sua misura massima, alle dimensioni della parte abitabile;
correttamente, dunque, si è ritenuta realizzabile la
struttura destinata al ricovero di animali domestici.
Né il
vincolo della costruzione in “aderenza al fabbricato
esistente” può intendersi nella fattispecie violato, giacché
la ratio di evitare la disordinata collocazione sul
territorio di nuovi manufatti viene salvaguardata dallo
stretto contatto di dette opere con strutture preesistenti,
quantunque connotate da funzione accessoria (in questo caso
si tratta di autorimesse).
Illegittimamente, invece, si è
concessa la sanatoria nonostante l’istanza del sig. Ca. si
fosse limitata a dichiarare soddisfatte le necessarie
esigenze sanitarie, ambientali e di benessere, omettendo la
produzione del prescritto “studio di inserimento ambientale,
da estendere alla strada, alla piazza o comunque alla zona
in cui è localizzato l’edificio”, indagine che avrebbe anche
consentito di verificare la concreta adozione delle misure
utili a garantire l’insussistenza di condizioni
incompatibili con l’ordinario svolgimento delle funzioni
abitative, in relazione –come prevede l’art. 28 n.t.a.– a
possibili fonti di rumore o di esalazioni maleodoranti;
sotto questo profilo, relativo ad una carenza di carattere
istruttorio, si presenta di conseguenza fondata la censura
delle ricorrenti, le quali imputano all’Amministrazione
comunale di avere acriticamente condiviso le generiche
conclusioni del sig. Ca., nonostante la disciplina
urbanistica imponesse in parte qua un accertamento puntuale
e determinasse anche la sfera territoriale (non meno di 50
metri) interessata dalla verifica.
Né una deroga a detta
prescrizione poteva naturalmente derivare dalla normativa a
tutela del benessere animale (legge reg. n. 5/2005), in sé
inidonea ad esonerare dall’osservanza delle regole che
attengono al governo del territorio.
E’ fondata anche la censura con cui le ricorrenti adducono
che la sanatoria avrebbe dovuto essere negata a fronte
dell’ammissione del privato di avere edificato in violazione
del limite di distanza legale dal confine di proprietà e del
dichiarato impegno a rimediare a tale irregolarità (dalla
«relazione tecnica» risulta che “…Il box in oggetto è
realizzato a circa 34 cm. dalla recinzione che definisce il
confine catastale di proprietà; non avendo l’autorizzazione
della proprietà confinante per costruire a tale distanza si
prevede di arretrare la copertura del manufatto fino a mt.
1,50 da detta recinzione (vedi elaborato grafico). In tal
modo si ritiene soddisfatta e rispettata la distanza minima
dal confine del nuovo manufatto da sanare imposta dal Codice
Civile (Art. 873) …”).
Per costante giurisprudenza, invero,
non è ammissibile il rilascio di un titolo abilitativo in
sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 che venga
subordinato alla esecuzione di opere edilizie, anche se gli
ulteriori interventi sono finalizzati a ricondurre
l’immobile abusivo nell’alveo della compatibilità con gli
strumenti urbanistici, giacché ciò contrasta ontologicamente
con gli elementi essenziali dell’accertamento di conformità,
i quali presuppongono la già avvenuta esecuzione delle opere
e la loro integrale conciliabilità con la disciplina
urbanistica (v., tra le altre, TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
04.06.2014 n. 3066); del resto, la stessa
Amministrazione comunale ha riconosciuto come le distanze
legali previste dal codice civile siano state fatte proprie
dal piano regolatore locale (v. nota prot. n. 16186 del 21.12.2009), sì che –una volta emersa l’irregolarità–
non se ne poteva sicuramente prescindere in sede di rilascio
del titolo edilizio in sanatoria.
Né induce a diverse
conclusioni l’obiezione secondo cui il precedente
proprietario dell’area delle ricorrenti avrebbe a suo tempo
acconsentito (nel 1979) a che il confinante edificasse in
deroga alle distanze legali, in quanto –a tacer d’altro–
quella autorizzazione privata si riferiva unicamente a garages, non a ricoveri per animali domestici.
Quanto, poi, al denunciato silenzio degli atti progettuali
allegati all’istanza di sanatoria circa le necessarie misure
di tutela igienico-sanitaria –in relazione anche al
disposto dell’art. 34 del Regolamento comunale di Polizia
urbana e rurale (“…I proprietari di cani e di altri animali
o coloro che li abbiano ricevuti in custodia sono
responsabili degli insudiciamenti cagionati … Gli stessi
devono, inoltre, garantire le condizioni igienico-sanitarie
del luogo in cui vivono gli animali e di chi vive nelle
vicinanze …”)–, il Collegio rileva in effetti la genericità
delle indicazioni in tal senso contenute nella «relazione
tecnica» del 15.09.2009.
Oltre all’affermazione
secondo cui “…Le acque della copertura sono raccolte da una lattoneria in lamiera d’acciaio e canalizzate verso la
fognatura bianca esistente …”, nulla viene specificato circa
le modalità di smaltimento delle deiezioni degli animali e
delle sostanze liquide legate alla pulizia; profili, questi,
che non possono essere rimessi unicamente ad una verifica da
effettuare nell’uso quotidiano della struttura di ricovero e
alla responsabilità che grava sul proprietario dei cani, ma
che necessariamente assumono rilievo in sede di rilascio del
titolo edilizio relativo al manufatto a tale funzione
destinato.
Né, d’altra parte, l’Amministrazione risulta
avere operato in sede istruttoria per accertare
l’adeguatezza delle misure eventualmente predisposte dal
privato.
Non persuade, invece, la doglianza imperniata sul divieto di
cui all’art. 37 del Regolamento comunale di Polizia urbana e
rurale (“Nel centro abitato è vietato costruire ricoveri
per animali quali pollai, stalle, canili, porcili e simili.
E’ altresì vietato l’allevamento di animali da stalla e da
cortile”).
Si tratta di prescrizione necessariamente
riferita ad allevamenti e ricoveri relativi all’esercizio di
attività di impresa, non ai box che, senza fini di lucro e
per le sole finalità del proprietario, ospitino animali
domestici o di compagnia, tanto più che le disposizioni
contenute negli artt. 36 e 36-bis recano norme in materia di
custodia dei cani che sottintendono la loro presenza in
luoghi di residenza non isolati.
Circa, infine, la lamentata incoerenza dell’azione
amministrativa del Comune di Vergato, che dopo l’ingiunzione
di demolizione del precedente manufatto avrebbe omesso di
sanzionare il nuovo abuso del sig. Ca. e avrebbe
ingiustificatamente tollerato la presenza del manufatto
sine titulo fino alla presentazione della relativa
istanza di sanatoria, il Collegio osserva come il protrarsi
dell’inerzia dell’Amministrazione non vizi ex se il
successivo permesso di costruire in sanatoria, il cui
presupposto è costituito unicamente dalla conformità
dell’intervento alla disciplina urbanistico-edilizia (oltre
al versamento di contributi vari). Il tardivo agire
dell’ente locale, insomma, non incide sulla legittimità di
un atto il cui rilascio non è soggetto a scadenza, neppure
quando si sarebbe potuto da tempo ingiungere al proprietario
la demolizione delle opere edilizie eseguite in assenza di
titolo abilitativo.
In conclusione, il ricorso va accolto per la mancata
acquisizione del prescritto “studio di inserimento
ambientale”, per la violazione della distanza legale ex
art. 873 cod. civ. (fatta propria dal piano regolatore
comunale) e per l’omesso accertamento dell’adeguatezza del
manufatto quanto alle condizioni igienico-sanitarie da
assicurare per una simile destinazione d’uso. Dal che
l’annullamento del permesso di costruire in sanatoria n.
445/A - prot. n. 16010 del 17.12.2009. |
gennaio 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Stabilisce l’art. 36, secondo comma, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 che <<Il rilascio del
permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo
di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia
[…]. Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale
difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla
parte di opera difforme dal permesso>>.
Come si vede, la norma, in relazione agli interventi
eseguiti in parziale difformità da un titolo già rilasciato,
correla l’oblazione alla parte di opera difforme dal titolo
stesso.
E’ opinione del Collegio che per <<parte di opera
difforme>> si debba intendere quella porzione di
intervento, concretamente esistente, non corrispondente alle
previsioni del progetto assentito.
Non è dunque possibile pretendere il pagamento
dell’oblazione per parti non realizzate.
Ne consegue che se la difformità consiste semplicemente
nella mancata realizzazione di una parte dell’intervento
assentito, l’oblazione non è dovuta.
---------------
La domanda di condanna alla restituzione della somma versata
a titolo di oblazione (non dovuta) non può che essere
accolta.
Di conseguenza, l’Amministrazione deve essere condannata, ai
sensi dell’art. 2033 cod. civ., alla restituzione della
somma indebitamente percepita a titolo di oblazione oltre
interessi sino all’effettivo soddisfo, da calcolarsi, non
essendo stata provata la sua malafede, a decorrere dal
giorno della domanda e, quindi, dal giorno di notificazione
dell’atto introduttivo del presente giudizio.
Trattandosi di debito di valuta, e non essendo stata
dimostrata la sussistenza del maggior danno ai sensi
dell’art. 1224, secondo comma, cod. civ., non è invece
dovuta la rivalutazione monetaria.
---------------
1. Con concessione edilizia n. 73 del 1999 rilasciata dal
Comune di Arcore, la società Dalmine s.p.a., odierna
ricorrente, è stata autorizzata a realizzare un intervento
di ristrutturazione edilizia su un immobile di sua proprietà
situato nel territorio del predetto Comune ed adibito a sede
di attività produttiva.
2. L’intervento avrebbe dovuto comportare la realizzazione
di nuova superficie pari a mq. 1.152,95.
3. I lavori effettivamente eseguiti hanno però comportato la
realizzazione di una superficie inferiore pari a mq. 856,80.
La ricorrente riferisce che la contrazione di superficie
dipende dal fatto che parte delle opere assentite non
sarebbero state nel concreto realizzate.
4. Al fine di conseguire la conformità fra assentito e
realizzato, la stessa ricorrente, in data 31.10.2006,
ha presentato al Comune di Arcore una domanda di
accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R.
n. 380 del 2001.
5. L’Amministrazione, con provvedimento del 15.05.2009,
ha accolto l’istanza, richiedendo tuttavia il pagamento, a
titolo di oblazione, di una somma pari ad Euro 88.039,94.
6. La ricorrente ritiene che tale somma non sia dovuta. Per
questa ragione, con il ricorso in esame, chiede
l’annullamento in parte qua dell’atto di cui sopra. Chiede
inoltre che il Comune di Arcore venga condannato alla
restituzione della suddetta somma (nel frattempo versata),
oltre che alla restituzione di quella parte del contributo
di costruzione -versato a seguito del rilascio della
concessione edilizia n. 73 del 1999– relativa alle opere
non effettivamente eseguite, oltre rivalutazione ed
interessi.
7. Si è costituito in giudizio, per opporsi all’accoglimento
delle domande avverse, il Comune di Arcore.
8. Dopo la proposizione del ricorso, la ricorrente è venuta
in possesso di alcuni atti endoprocedimentali, e
precisamente: del parere favorevole della Commissione
edilizia del Comune di Arcore del 09.03.2009; del parere
favorevole dell’Azienda Sanitaria Locale dell’08.04.2005;
del parere favorevole dell’Ufficio Tecnico del Comune di
Arcore del 12.05.2009.
9. L’esame di questi atti ha consentito all’interessata di
dedurre nuove censure mediante la proposizione di motivi
aggiunti. Con i motivi aggiunti viene anche impugnata la
delibera di Giunta Comunale n. 70 del 05.05.2009, con la
quale sono state dettate disposizione in materia di
quantificazione del costo di costruzione.
...
12. Con il primo motivo di ricorso, l’interessata
sostiene che oggetto dell’atto di sanatoria sarebbe, in
sostanza, una parte del medesimo intervento già assentito
con la concessione edilizia n. 73 del 1999, per il quale il
contributo di costruzione è già stato interamente versato.
Pertanto, a dire della stessa parte, non sarebbe neppure
configurabile un’ipotesi di abuso ed, in ogni caso, sarebbe
del tutto illegittimo pretendere il versamento di
un’oblazione correlata alla superficie in concreto non
realizzata. La ricorrente deduce anche il vizio di eccesso
di potere per sviamento, in quanto, a suo dire, con l’atto
impugnato, l’Amministrazione avrebbe inteso perseguire la
finalità di assicurarsi un indebito introito finanziario.
13. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce il
difetto motivazionale del provvedimento impugnato, non
avendo l’Amministrazione illustrato le modalità di calcolo
della somma pretesa a titolo di oblazione.
14. Le Argomentazioni dedotte nel ricorso introduttivo sono
state riprese e sviluppate nei motivi aggiunti, nei quali si
ribadisce l’assurdità di calcolare l’oblazione facendo
riferimento alla superficie non realizzata. Sempre nei
motivi aggiunti, la ricorrente rileva che le modalità di
calcolo del costo di costruzione stabilite dalla delibera di
Giunta Comunale n. 70 del 2009 non sarebbero, nel concreto,
applicabili, posto che tale delibera individua dei valori
parametrici utilizzabili in caso di mancata produzione, da
parte del richiedente, di un preventivo di spesa idoneo a
dimostrare il reale costo dei lavori, e che il Comune di
Arcore non le ha mai richiesto la produzione di tale
preventivo. Peraltro, secondo la ricorrente, anche questa
delibera sarebbe stata approvata al solo fine di assicurare
all’Amministrazione la percezione di una consistente
introito finanziario; sarebbe pertanto sussistente il vizio
di eccesso di potere per sviamento.
15. Ritiene il Collegio che le censure siano fondate nei
termini e nei limiti di seguito esposti.
16. Stabilisce l’art. 36, secondo comma, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia) che <<Il rilascio del
permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo
di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia
[…]. Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale
difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla
parte di opera difforme dal permesso>>.
17. Come si vede, la norma, in relazione agli interventi
eseguiti in parziale difformità da un titolo già rilasciato,
correla l’oblazione alla parte di opera difforme dal titolo
stesso.
18. E’ opinione del Collegio che per <<parte di opera
difforme>> si debba intendere quella porzione di
intervento, concretamente esistente, non corrispondente alle
previsioni del progetto assentito.
19. Non è dunque possibile pretendere il pagamento
dell’oblazione per parti non realizzate.
20. Ne consegue che se la difformità consiste semplicemente
nella mancata realizzazione di una parte dell’intervento
assentito, l’oblazione non è dovuta.
21. E’ dunque fondata la censura prospettata dalla parte la
quale, come visto, lamenta proprio che il Comune di Arcore
ha preteso il pagamento di un’oblazione correlata a quella
porzione di opere assentite con la concessione del 1999 ma
non concretamente eseguite.
22. Il Comune di Arcore eccepisce che, in realtà, nel caso
concreto, la difformità non sarebbe solo dovuta alla
semplice mancata realizzazione di una parte delle opere
assentite, ma anche al fatto che, a seguito dell’intervento,
il fabbricato avrebbe assunto una struttura parzialmente
diversa rispetto a quella assentita, anche se,
effettivamente, di superficie inferiore.
23. Va però osservato che non è in ogni caso contestato che
l’oblazione è stata in concreto calcolata facendo
riferimento alla minore superficie realizzata; e ciò, per le
motivazioni sopra illustrate, non può considerarsi corretto.
24. Il Comune, in applicazione del ridetto art. 36, secondo
comma, del d.P.R. n. 380 del 2001, ai fini della
quantificazione dell’oblazione, avrebbe tutt’al più dovuto
quantificare la superficie della porzione di fabbricato
difforme rispetto all’assentito, e calcolare quindi
l’oblazione stessa in funzione di tale superficie.
25. Va pertanto ribadita la fondatezza delle doglianze
esaminate il cui accoglimento determina il pieno
soddisfacimento dell’interesse dedotto nel giudizio e
consente, conseguentemente, l’assorbimento delle censure non
espressamente scrutinate.
26. Come anticipato, oltre alla domanda di annullamento,
viene proposta una domanda di condanna alla restituzione
della somma versata a titolo di oblazione nonché della somma
relativa a quella parte del contributo di costruzione -versato a seguito del rilascio della concessione edilizia n.
73 del 1999– correlato alle opere non effettivamente
eseguite.
27. Per quanto riguarda il primo profilo, a seguito
dell’annullamento in parte qua del provvedimento
impugnato, la domanda non può che essere accolta.
28. Di conseguenza, l’Amministrazione deve essere
condannata, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., alla
restituzione della somma indebitamente percepita a titolo di
oblazione, pari ad euro 88.039,94, oltre interessi sino
all’effettivo soddisfo, da calcolarsi, non essendo stata
provata la sua malafede, a decorrere dal giorno della
domanda e, quindi, dal giorno di notificazione dell’atto
introduttivo del presente giudizio.
29. Trattandosi di debito di valuta (cfr. Cassazione civile,
sez. lav., 20.12.1996, n. 11440), e non essendo stata
dimostrata la sussistenza del maggior danno ai sensi
dell’art. 1224, secondo comma, cod. civ. (TAR Campania
Napoli, sez. IV, 02.04.2015, n. 1907), non è invece
dovuta la rivalutazione monetaria.
30. Rimane ovviamente salva la possibilità per il Comune,
ove ne ricorrano i presupposti, di ricalcolare correttamente
l’ammontare dell’oblazione e pretenderne, dopodiché, il
versamento (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.01.2016 n. 12 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Inammissibilità della sanatoria condizionata.
Deve escludersi la possibilità della
cosiddetta sanatoria condizionata, caratterizzata dal fatto
che i suoi effetti vengono subordinati alla esecuzione di
specifici interventi aventi lo scopo di far acquisire alle
opere il requisito della conformità alla disciplina
urbanistica ed edilizia che non posseggono, poiché tali
provvedimenti devono ritenersi illegittimi, in quanto
l'articolo 36 d.P.R. 380/2001 si riferisce esplicitamente ad
interventi già ultimati e stabilisce come la doppia
conformità debba sussistere sia al momento della
realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione
della domanda di sanatoria.
Inoltre, il rilascio del provvedimento consegue ad
un'attività vincolata della P.A., consistente
nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni
legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non
elastica, che non lasciano all'Amministrazione medesima
spazi per valutazioni di ordine discrezionale.
---------------
4. Invero, come
questa Corte ha già avuto modo di affermare, deve escludersi
la possibilità della cosiddetta sanatoria condizionata,
caratterizzata dal fatto che i suoi effetti vengono
subordinati alla esecuzione di specifici interventi aventi
lo scopo di far acquisire alle opere il requisito della
conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia che non
posseggono, poiché tali provvedimenti devono ritenersi
illegittimi, in quanto l'articolo 36 d.P.R. 380/2001 si
riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati e
stabilisce come la doppia conformità debba sussistere sia al
momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della
presentazione della domanda di sanatoria.
Inoltre, il rilascio del provvedimento consegue ad
un'attività vincolata della P.A., consistente
nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni
legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non
elastica, che non lasciano all'Amministrazione medesima
spazi per valutazioni di ordine discrezionale (v. Sez. 3, n.
7405 del 15/01/2015, Bonarota, Rv. 262422; Sez. 3, n. 47402
del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260973; Sez. 3, n. 19587
del 27/04/2011, Montini e altro, Rv. 250477; Sez. 3 n. 23726
del 24/02/2009, Peoloso, non massimata; Sez. 3, n. 41567 del
04/10/2007, P.M. in proc. Rubechi e altro, Rv. 238020; Sez.
3, n. 48499 del 13/11/2003, P.M. in proc. Dall'Oro, Rv.
226897 ed altre prec. conf.).
Tali principi, pienamente condivisi dal Collegio, devono
pertanto essere ribaditi
(tratto da
www.lexambiente.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.12.2015 n. 51013). |
novembre 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Condizione imprescindibile per l’applicabilità
dell’istituto di sanatoria ex art. 36 dpr 380/2001 è la
sussistenza della cosiddetta “doppia conformità”: l’opera
eseguita deve essere, cioè, conforme sia alle norme vigenti
al momento della sua realizzazione, sia a quelle vigenti
alla presentazione della domanda.
----------------
Vale, tuttavia,
precisare che, ai sensi dell’art. 36 del d.lgs. 06.06.2001
n. 380 “in caso di interventi realizzati in assenza di
permesso di costruire, o in difformità da esso … il
responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario
dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se
l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.
Condizione imprescindibile per l’applicabilità dell’istituto
in questione, dunque, è la sussistenza della cosiddetta “doppia
conformità”: l’opera eseguita deve essere, cioè,
conforme sia alle norme vigenti al momento della sua
realizzazione, sia a quelle vigenti alla presentazione della
domanda.
Pur dando atto della sussistenza di diversi orientamenti
giurisprudenziali, ritiene, infatti, il Collegio di aderire
alla scelta ermeneutica più rigorosa, deponendo in tale
senso la stessa lettera della norma, come sopra specificato
(cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 26.04.2006 n. 2306; Sez. V,
25.02.2009 n. 1126; Sez. IV, 02.11.2009 n. 6784; TAR Reggio
Calabria, n. 861 del 2015; TAR Lombardia, Brescia 23.06.2003
n. 870; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 09.06.2006 n. 1352;
TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 15.01.2004 n. 16; TAR
Emilia-Romagna, Parma 13.12.2007 n. 620; TAR Piemonte, Sez.
I, 18.10.2004 n. 2506; 20.04.2005 n. 1094; TAR Liguria, Sez.
I, 23.02.2007 n. 364; TAR Catania, Sez. I, 09.01.2009 n. 5;
TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 07.05.2008 n. 3501; Sez. VI,
04.08.2008 n. 9723 e Sez. III 19.11.2008 n. 19875; Cass. pen.,
Sez. III, 26.04.2007 n. 24451, 21.10.2008 n. 42526,
21.09.2009 n. 36350 e 21.01.2010 n. 9446)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 24.11.2015 n. 13283 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il sistema delineato con l'art. 36 dpr
380/2001 consente la sanatoria dei soli c.d. abusi formali,
ovvero degli interventi edilizi realizzati senza titolo
abilitativo, ma sostanzialmente conformi alla disciplina
edilizia-urbanistica vigente all’epoca della loro esecuzione
e a quella operante al momento in cui l’interessato avanza
istanza di sanatoria.
---------------
Con la richiesta di permesso di costruire in sanatoria in
esame, si intende ricondurre a conformità (con riferimento
al rispetto delle distanze dai confini) alcuni dei manufatti
in questione attraverso una serie di interventi di
demolizione parziale o di demolizione e ricostruzione; in
altri termini, nelle intenzioni della ricorrente, il
rispetto della "doppia conformità" viene subordinato
all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a fare
acquisire ai manufatti la doppia conformità di cui sopra.
Ebbene, tale prospettata rimodulazione degli interventi già
di per sé attesta la mancanza del requisito della doppia
conformità (al momento della presentazione della domanda) ed
anche la giurisprudenza chiamata ad affrontare casi analoghi
ha adottato la medesima soluzione, affermando che:
- laddove un’istanza di sanatoria preveda la realizzazione
di ulteriori interventi per rendere l’opera conforme alle
norme vigenti, è palese l’insussistenza del requisito della
conformità al momento della richiesta di rilascio del titolo
in sanatoria;
- la sanatoria ex art. 36, d.P.R. n. 380/2001 può essere
rilasciata solo previa verifica della doppia conformità
dell’intervento edilizio, alla disciplina urbanistica
vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento
abusivo, sia al momento della presentazione della domanda.
Essa presuppone quindi la già avvenuta esecuzione delle
opere. Il permesso di costruire in sanatoria non può
pertanto essere subordinato alla realizzazione di ulteriori
interventi, sia pur finalizzati a ricondurre l'immobile
abusivo nell'alveo di conformità degli strumenti urbanistici
o compatibili con il paesaggio: la conformità agli strumenti
urbanistici deve già sussistere.
---------------
La cosiddetta sanatoria giurisprudenziale elude il principio
di legalità perché svuota la portata precettiva e vincolante
della disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento
della commissione degli illeciti, vìola la tipicità
provvedimentale, ancorata dall'articolo 36 del d.P.R. n.
380/2001 alle sole violazioni di ordine formale, così
neutralizzando la deterrenza sanzionatoria nei confronti
degli autori degli illeciti edilizi.
---------------
...
per l'annullamento del provvedimento prot. n. 2727 del
15.03.2013, con il quale il responsabile del servizio Area
Tecnica del Comune di Grisignano di Zocco comunicava il
diniego del rilascio del permesso di costruire in sanatoria
P.E. n. 12P/25.
...
1. Deve rilevarsi, in via preliminare, come l’atto oggetto di impugnativa
debba intendersi come atto plurimotivato, alla stregua di
quanto sopra rappresentato.
E’ noto che nel caso in cui il provvedimento impugnato sia
fondato su di una pluralità di autonomi motivi, il rigetto
della doglianza volta a contestare una delle sue ragioni
giustificatrici comporta la carenza di interesse della parte
ricorrente all'esame delle ulteriori doglianze volte a
contestare le altre ragioni giustificatrici atteso che,
seppure tali ulteriori censure si rivelassero fondate, il
loro accoglimento non sarebbe comunque idoneo a soddisfare
l'interesse del ricorrente ad ottenere l'annullamento del
provvedimento impugnato, che resterebbe supportato
dall'autonomo motivo riconosciuto sussistente.
2. Nel caso in esame, il principale profilo ostativo posto
dal Comune a base della propria valutazione negativa, verte
sulla mancanza del requisito della doppia conformità di cui
all’art. 36 D.P.R. 380/2001.
3. A riguardo giova ricordare che il sistema delineato con
il citato art. 36 consente la sanatoria dei soli c.d. abusi
formali, ovvero degli interventi edilizi realizzati senza
titolo abilitativo, ma sostanzialmente conformi alla
disciplina edilizia-urbanistica vigente all’epoca della loro
esecuzione e a quella operante al momento in cui
l’interessato avanza istanza di sanatoria.
4. Ciò premesso, vi è da osservare, in via preliminare, che
la società agricola Argo, con la richiesta di permesso di
costruire in sanatoria in esame, intende ricondurre a
conformità (con riferimento al rispetto delle distanze dai
confini) alcuni dei manufatti in questione attraverso una
serie di interventi di demolizione parziale o di demolizione
e ricostruzione; in altri termini, nelle intenzioni della
ricorrente, il rispetto della "doppia conformità" viene
subordinato all'esecuzione di specifici interventi
finalizzati a fare acquisire ai manufatti la doppia
conformità di cui sopra.
Ebbene, tale prospettata
rimodulazione degli interventi già di per sé attesta la
mancanza del requisito della doppia conformità (al momento
della presentazione della domanda).
Anche la giurisprudenza
chiamata ad affrontare casi analoghi ha adottato la medesima
soluzione, affermando che: “laddove un’istanza di sanatoria
preveda la realizzazione di ulteriori interventi per rendere
l’opera conforme alle norme vigenti, è palese
l’insussistenza del requisito della conformità al momento
della richiesta di rilascio del titolo in sanatoria”.
Ed
ancora che “La sanatoria ex art. 36, d.P.R. n. 380/2001 può
essere rilasciata solo previa verifica della doppia
conformità dell’intervento edilizio, alla disciplina
urbanistica vigente sia al momento della realizzazione
dell’intervento abusivo, sia al momento della presentazione
della domanda. Essa presuppone quindi la già avvenuta
esecuzione delle opere. Il permesso di costruire in
sanatoria non può pertanto essere subordinato alla
realizzazione di ulteriori interventi, sia pur finalizzati a
ricondurre l'immobile abusivo nell'alveo di conformità degli
strumenti urbanistici o compatibili con il paesaggio: la
conformità agli strumenti urbanistici deve già sussistere”
(Cons. Giust. Amm. Regione Siciliana, 15.10.2009, n.
941; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 22.11.2010, n.
7311; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 22.10.2014, n.
2523; 13.08.2015, n. 1900).
...
6. Né,
infine, anche a prescindere da quanto esposto al punto 4)
della presente motivazione, ha pregio l'ulteriore doglianza
secondo cui il Comune avrebbe omesso ogni valutazione sulla
eventuale conformità sopraggiunta dell'immobile, ovvero
sulla pretesa assentibilità dell'opera al momento della
presentazione della nuova domanda di sanatoria.
La
cosiddetta sanatoria giurisprudenziale elude, infatti, il
principio di legalità perché svuota la portata precettiva e
vincolante della disciplina urbanistica ed edilizia vigente
al momento della commissione degli illeciti, vìola la
tipicità provvedimentale, ancorata dall'articolo 36 del
d.P.R. n. 380/2001 alle sole violazioni di ordine formale,
così neutralizzando la deterrenza sanzionatoria nei
confronti degli autori degli illeciti edilizi (cfr., per
tutte, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 20.03.2014, n.
1689)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 20.11.2015 n. 1239 -
link a www.giustizia-amministratva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 36 del Dpr 380/2001, al comma 3, prevede
che: <<Sulla richiesta di permesso di costruire in sanatoria
il dirigente o il responsabile del competente ufficio
comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro
sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende
rifiutata>> ed, in sede applicativa, secondo condivisa
giurisprudenza: <<Pur nel nuovo sistema introdotto dagli
artt. 2 e 3 L. n. 241 del 1990, il silenzio serbato
dall’amministrazione sull’istanza di accertamento di
conformità urbanistica di cui all’art. 36, D.P.R. n. 380 del
2001, ha natura di atto tacito di reiezione dell’istanza (e
quindi di silenzio-significativo e non di silenzio-rifiuto).
Pertanto, una volta decorso il termine di 60 giorni, si
forma il silenzio-diniego, che può essere impugnato
dall’interessato in sede giurisdizionale nel prescritto
termine decadenziale di sessanta giorni, alla stessa stregua
di un comune provvedimento, senza che però possano
ravvisarsi in esso i vizi formali propri degli atti, quali,
i difetti di procedura o la mancanza di motivazione>>.
Pertanto l’ordinamento, a seguito della presentazione
dell’istanza di accertamento di conformità, ai sensi
dell’art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001, non prevede alcun
obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi un
provvedimento espresso, qualificando il silenzio serbato
sulla predetta istanza già come rigetto della stessa.
----------------
Secondo giurisprudenza condivisa dal Collegio, la
presentazione della domanda di permesso in sanatoria, ai
sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, nessun effetto
dispiega sui provvedimenti repressivi dell’abuso edilizio in
precedenza adottati, né tantomeno sul giudizio instaurato
per la loro impugnazione in quanto, decorso il termine di
sessanta giorni, la legge espressamente vi riconnette la
formazione del provvedimento di rigetto, che è onere della
parte impugnare, senza poter addurre che dalla mera
presentazione dell’istanza discenda la paralisi degli
effetti del provvedimento sanzionatorio (la cui esecuzione
resta solo temporaneamente sospesa, sino alla scadenza del
termine suddetto).
---------------
La censura è infondata.
L’art. 36 del Dpr 06.06.2001, n. 380, al comma 3,
prevede che: <<Sulla richiesta di permesso di costruire in
sanatoria il dirigente o il responsabile del competente
ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione,
entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si
intende rifiutata>> ed, in sede applicativa, secondo
condivisa giurisprudenza: <<Pur nel nuovo sistema
introdotto dagli artt. 2 e 3 L. n. 241 del 1990, il silenzio
serbato dall’amministrazione sull’istanza di accertamento di
conformità urbanistica di cui all’art. 36, D.P.R. n. 380 del
2001, ha natura di atto tacito di reiezione dell’istanza (e
quindi di silenzio-significativo e non di silenzio-rifiuto).
Pertanto, una volta decorso il termine di 60 giorni, si
forma il silenzio-diniego, che può essere impugnato
dall’interessato in sede giurisdizionale nel prescritto
termine decadenziale di sessanta giorni, alla stessa stregua
di un comune provvedimento, senza che però possano
ravvisarsi in esso i vizi formali propri degli atti, quali,
i difetti di procedura o la mancanza di motivazione>>
(TAR Campania, Sez. II, 12.07.2013, n. 3644).
Pertanto l’ordinamento, a seguito della presentazione
dell’istanza di accertamento di conformità, ai sensi
dell’art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001, non prevede alcun
obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi un
provvedimento espresso, qualificando il silenzio serbato
sulla predetta istanza già come rigetto della stessa.
Pertanto, preso atto dell’insussistenza di alcun obbligo
dell’Amministrazione di provvedere con un provvedimento
espresso sull’istanza di accertamento di conformità e della
correlata legittimità del silenzio serbato sulla predetta
istanza, valutato come significativo (nonostante, per
definizione, risulti privo di motivazione), la tesi della
ricorrente per la quale la presentazione di una istanza di
sanatoria paralizzerebbe il potere repressivo del Comune
sino alla definizione della predetta istanza non è
condivisibile.
Sul punto, secondo giurisprudenza condivisa dal Collegio, la
presentazione della domanda di permesso in sanatoria, ai
sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, nessun effetto
dispiega sui provvedimenti repressivi dell’abuso edilizio in
precedenza adottati, né tantomeno sul giudizio instaurato
per la loro impugnazione in quanto, decorso il termine di
sessanta giorni, la legge espressamente vi riconnette la
formazione del provvedimento di rigetto, che è onere della
parte impugnare, senza poter addurre che dalla mera
presentazione dell’istanza discenda la paralisi degli
effetti del provvedimento sanzionatorio (la cui esecuzione
resta solo temporaneamente sospesa, sino alla scadenza del
termine suddetto).
Pertanto le argomentazioni di parte ricorrente nel senso da
ultimo precisato, non tengono conto che, ai sensi dell’art.
36, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001, decorso il termine
di settanta giorni dalla presentazione dell’istanza di
accertamento di conformità, si forma il silenzio-diniego ed,
in tal caso, è onere del ricorrente impugnare tale silenzio
-che a tutti gli effetti costituisce un provvedimento
tacito- a pena di inammissibilità o improcedibilità del
ricorso proposto avverso i successivi provvedimenti
repressivi adottati dall’Autorità comunale (ordinanza di
demolizione e/o l’atto di acquisizione al patrimonio
comunale, a seconda dello stato di avanzamento del
procedimento).
D’altronde, nella fattispecie in esame, l’affermazione della
ricorrente secondo cui l’istanza di autorizzazione in
sanatoria per i lavori oggetto dell’impugnato provvedimento
demolitorio e del successivo accertamento, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 36 e 37, D.P.R. 380/2001
sarebbe meritevole di accoglimento (con il conseguente
diritto ad ottenere il permesso di costruire in sanatoria),
in considerazione del fatto che l’immobile insisterebbe in
una zona completamente mutata da un punto di vista
urbanistico e sarebbe risalente nel tempo risulta poi stata
smentita per tabulas dai sopravvenuti provvedimenti
di diniego, dalla ricorrente ritualmente impugnati con i
primi ed i secondi motivi aggiunti
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 06.11.2015 n. 5199 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Se con il termine "sanatoria impropria" vuolsi
ammettere la possibilità di ritenere sanabile un’opera
conforme allo strumento urbanistico generale anche se tale
non lo era all’atto della sua realizzazione, la Suprema
Corte ha precisato che è da escludere, in base all’art. 36
del d.P.R. n. 380 del 2001, la possibilità di una
legittimazione postuma di opere originariamente abusive che
solo successivamente siano divenute conformi alle norme
edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione
urbanistica.
Infatti, “l'attuale disposto legislativo non lascia più
spazio alla cosiddetta sanatoria impropria: tale istituto,
elaborato dalla giurisprudenza nella vigenza della l. n. 10
del 1977, in mancanza di una regolamentazione positiva
compiuta della materia, non ha difatti più ragione di
esistere nel vigente ordinamento, caratterizzato da una
disciplina puntuale delle ipotesi di sanatoria edilizia”.
Inoltre se con la c.d. “sanatoria impropria” si intendesse
ritenere un piano regolatore generale per la circostanza di
risalire a molti anni addietro “ormai superato e caducato e,
soprattutto, non più attento ed ubbidiente alle esigenze
della popolazione”, non più attuale e vigente.
Ancora, parte ricorrente, richiamandosi alla c.d. doppia
conformità urbanistica prevista dall’art. 36, D.P.R. n. 380
del 2001, per la quale la sanatoria di un’opera abusiva
richiederebbe la conformità della stessa alla strumentazione
urbanistica, sia con riferimento al momento della
realizzazione dell’opera che al momento della presentazione
dell’istanza di accertamento di conformità, asserisce che la
giurisprudenza avrebbe accolto un concetto di sanatoria
impropria.
Al riguardo nota il Collegio che, se con tale termine vuolsi
ammettere la possibilità di ritenere sanabile un’opera
conforme allo strumento urbanistico generale anche se tale
non lo era all’atto della sua realizzazione, la Suprema
Corte ha precisato che è da escludere, in base all’art. 36
del d.P.R. n. 380 del 2001, la possibilità di una
legittimazione postuma di opere originariamente abusive che
solo successivamente siano divenute conformi alle norme
edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica
(cfr. Cass. pen., sez. III, 21/10/2014, n. 47402).
Infatti,
“l'attuale disposto legislativo non lascia più spazio alla
cosiddetta sanatoria impropria: tale istituto, elaborato
dalla giurisprudenza nella vigenza della l. n. 10 del 1977,
in mancanza di una regolamentazione positiva compiuta della
materia, non ha difatti più ragione di esistere nel vigente
ordinamento, caratterizzato da una disciplina puntuale delle
ipotesi di sanatoria edilizia” (cfr. TAR Salerno, sez. II,
27/09/2012, n. 1699).
Inoltre se con la c.d. “sanatoria impropria” si intendesse
ritenere un piano regolatore generale per la circostanza di
risalire a molti anni addietro “ormai superato e caducato e,
soprattutto, non più attento ed ubbidiente alle esigenze
della popolazione”, non più attuale e vigente.
Sotto tale profilo irrilevante (e non può invocarsi un
concetto di “sanatoria giurisprudenziale impropria”),
l’argomento addotto da parte ricorrente per il quale,
risalendo il P.R.G. del Comune di San Giuseppe Vesuviano
agli anni ‘80 esso dovrebbe considerarsi quasi abrogato per
desuetudine, atteso che le previsioni dei piani regolatori
generali che abbiano carattere pianificatorio, ossia di mera
conformazione del territorio, sono destinati a durare a
tempo indeterminato, salvo ovviamente le varianti in corso
di vigenza
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 06.11.2015 n. 5199 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Collegio ritiene di dover escludere che
l’invocata regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’ sia compatibile col dettato normativo
dell’art. 36, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, tanto da
trovare ingresso nell’ordinamento.
Nel senso di una rigorosa
applicazione del canone della c.d. doppia conformità degli
interventi abusivi rispetto alla disciplina
urbanistico-edilizia vigente sia al momento della loro
esecuzione sia al momento della presentazione della domanda
di sanatoria, militano i seguenti argomenti interpretativi:
a) Argomento letterale.
Ai sensi dell’art. 36, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, “in
caso di interventi realizzati in assenza di permesso di
costruire, o in difformità da esso, fino alla scadenza dei
termini di cui agli artt. 31, comma 3, 33, comma 1, 34,
comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni
amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale
proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in
sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”.
Il tenore letterale della norma è del tutto perspicuo e
inequivoco nel riferire il requisito della conformità
urbanistico-edilizia dell’opera (formalmente abusiva) “sia”
al momento della sua realizzazione “sia” al momento della
presentazione della domanda di sanatoria.
Di fronte a siffatto dettato normativo, non appare al
Collegio condivisibile l’approccio ermeneutico elaborato da
Cons. Stato, sez. VI, 07.05.2009, n. 2835.
Stando a tale pronuncia, il canone della doppia conformità
sarebbe preordinato a garantire il richiedente dalla
possibile variazione in peius della disciplina
urbanistico-edilizia, a seguito di emanazione di strumenti
che riducano o escludano, appunto, il ius aedificandi
sussistente al momento dell'istanza, mentre non potrebbe
ritenersi diretto a disciplinare l'ipotesi inversa del ius
superveniens favorevole, rispetto al momento ultimativo
della proposizione dell'istanza.
Una simile interpretazione si rivela inammissibilmente
abrogatrice dell’inciso “sia al momento della realizzazione
dello stesso” (e cioè dell’immobile abusivo) e, quindi,
contra legem: se, infatti, l’art. 36, comma 1, cit. fosse
unicamente volto a salvaguardare il privato istante dalle
conseguenze sfavorevoli (nel senso di una sopravvenuta
modifica in peius del ius aedificandi) dell’inerzia
dell’amministrazione nel concludere l’avviato procedimento
di sanatoria, sarebbe stato sufficiente il riferimento
testuale “al momento della presentazione della domanda”.
In realtà, il legislatore, con l’espressione “sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”, ha individuato l’intero arco
temporale lungo il quale si sia protratto l’abuso edilizio
commesso, senza che il relativo responsabile si sia attivato
per regolarizzarlo, ed entro il quale gli effetti
peggiorativi del ius superveniens non possono non ricadere
su costui, ma anche oltre il quale gli stessi effetti
restano imputabili all’inerzia dell’amministrazione nel
provvedere e non sono più su di lui riversabili.
b) Argomento storico.
Nell’emanare il nuovo art. 36, comma 1, del d.p.r. n.
380/2001, in luogo del previgente art. 13, comma 1, della l.
28.02.1985, n. 47, il legislatore delegato, discostandosi
dalla linea suggerita di Cons. Stato, ad. gen., sez. atti
norm., 29.03.2001, n. 52, nel senso di codificare la regola
pretoria della ‘sanatoria giurisprudenziale’, ha preferito
“non inserire una tale previsione, sia perché la
giurisprudenza sul punto non è pacifica (sicché non può
dirsi formato quel diritto vivente che avrebbe consentito la
modifica del dato testuale), sia, soprattutto, per le
considerazioni in senso nettamente contrario contenute nel
parere espresso dalla Camera” (relazione illustrativa al
testo unico dell’edilizia).
Un simile antefatto storico dell’iter legislativo denota,
vieppiù, la resistenza dell’ordinamento al recepimento della
regola pretoria della ‘sanatoria giurisprudenziale’.
c) Argomento logico-sistematico.
L'istituto dell’accertamento di conformità è stato
introdotto, nell'ambito di una revisione complessiva del
regime sanzionatorio degli illeciti edilizi, orientata nel
senso di una maggiore severità, con l'intento di consentire
la sanatoria dei soli abusi meramente formali, vale a dire
di quelle costruzioni per le quali, sussistendo ogni altro
requisito di legge e regolamento, manchi soltanto il
necessario titolo abilitativo. Il rilascio di quest’ultimo
in esito ad accertamento di conformità presuppone, pertanto,
in capo al responsabile dell'abuso, una situazione giuridica
del tutto equiparabile a quella di chi richieda un ordinario
permesso di costruire, ivi compresa la sussistenza ab
origine della conformità urbanistico-edilizia dell’opera.
Del resto, alla sanabilità degli abusi sostanziali è
dedicato non già l’istituto dell'accertamento di conformità,
bensì quello diverso del condono edilizio, nei limiti,
segnatamente temporali, in cui quest'ultimo sia applicabile
alla fattispecie concreta considerata.
Ciò posto, ammettere la ‘sanatoria giurisprudenziale’
significherebbe anche introdurre surrettiziamente
nell’ordinamento una sorta di condono atipico, affrancato
dai predetti limiti, mediante il quale il responsabile di un
abuso sostanziale potrebbe trovarsi a beneficiare degli
effetti indirettamente sananti di un più favorevole ius
superveniens, anziché di un’apposita disciplina legislativa
condonistica.
Nel delineato contesto sistematico, l’art. 36 del d.p.r. n.
380/2001, in quanto norma, da un lato, circoscritta alle
ipotesi di abusi meramente formali e, d’altro lato,
derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati
sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure
ripristinatorie e sanzionatorie, non è, dunque, suscettibile
di applicazione analogica né di una interpretazione
riduttiva, secondo cui, in contrasto col suo tenore
letterale, basterebbe la conformità delle opere con lo
strumento urbanistico vigente all’epoca in cui sia proposta
l’istanza di accertamento.
Viceversa, stante l’evidenziata portata speciale e
derogatoria della norma in esame, la sanabilità da essa
prevista postula sempre la conformità urbanistico-edilizia
dell'intervento sine titulo alla disciplina urbanistica
vigente sia al momento della sua realizzazione sia alla data
della presentazione della domanda.
d) Argomento teleologico.
Il denominatore comune delle argomentazioni addotte in
favore della regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’ è precipuamente rappresentato dalla
pretesa esigenza di ispirare l'esercizio del potere di
controllo sull'attività edificatoria dei privati al buon
andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.
Tale canone costituzionale imporrebbe, in sede di
accertamento di conformità ex art. 36 del d.p.r. n.
380/2001, di accogliere l'istanza di sanatoria per quei
manufatti che potrebbero ben essere realizzati sulla base
della disciplina urbanistica vigente al momento della
proposizione della predetta istanza, sebbene non conformi
alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione.
Si eviterebbe, così, uno spreco di attività inutili, sia
dell'amministrazione (il successivo procedimento
amministrativo preordinato alla demolizione dell'opera
abusiva), sia del privato (la nuova edificazione), sia
ancora dell'amministrazione (il rilascio del titolo per la
nuova edificazione).
A ben vedere, invece, quella sorta di antinomia adombrata
nel propugnare la ‘sanatoria giurisprudenziale’ –e, quindi,
nel ripudiare l'esigenza della doppia conformità– tra i
principi di legalità e di buon andamento della pubblica
amministrazione, con assegnazione della prevalenza a
quest'ultimo, in nome di una presunta logica
‘efficientista’, si rivela artificiosa.
Va, innanzitutto, rimarcato che l'agire della pubblica
amministrazione deve essere in ogni sua fase retto dal
principio di legalità, inteso quale regola fondamentale cui
è informata l'attività amministrativa e che trova un
fondamento positivo in varie disposizioni costituzionali
(artt. 23, 24, 97, 101 e 113 Cost.). In altri termini, lungi
dall'esservi antinomia fra efficienza e legalità, non può
esservi rispetto del buon andamento della pubblica
amministrazione ex art. 97 Cost., se non vi è, nel contempo,
rispetto del principio di legalità.
Il punto di equilibrio fra efficienza e legalità, è stato,
nella materia de qua, individuato dal legislatore nel
consentire –come già detto– la sanatoria dei c.d. abusi
formali, sottraendo alla demolizione le opere che risultino
rispettose della disciplina sostanziale sull'utilizzo del
territorio, e non solo di quella vigente al momento
dell'istanza di sanatoria, ma anche di quella vigente
all'epoca della loro realizzazione (e ciò in applicazione
del principio di legalità), e quindi evitando un sacrificio
degli interessi dei privati che abbiano violato soltanto le
sole norme disciplinanti il procedimento da osservare
nell'attività edificatoria.
La vera insanabile contraddizione risiederebbe, da un lato,
nell'imporre alle autorità comunali di reprimere e
sanzionare gli abusi edilizi, dall'altro, nel consentire
violazioni sostanziali della normativa del settore, quali
rimangono – sul piano urbanistico – quelle connesse ad opere
per cui non esista la doppia conformità, dovendosi aver
riguardo al momento della realizzazione dell'opera per
valutare la sussistenza dell'abuso.
Ciò, in quanto sarebbe davvero contrario al principio di
buon andamento ex art. 97 Cost. ammettere che
l'amministrazione, una volta emanata la disciplina sull'uso
del territorio, di fronte ad interventi difformi dalla
stessa, sia indotta –anziché a provvedere a sanzionarli– a
modificare la disciplina stessa. Si finirebbe, così, per
incoraggiare, anziché impedire, gli abusi, perché ogni
interessato si sentirebbe incitato alla realizzazione di
manufatti difformi, confidando sulla loro acquisizione di
conformità ex post, a mezzo di modifiche della disciplina
del settore.
E si finirebbe per alterare l’essenza stessa
dell’accertamento di (doppia) conformità, che risiede
(anche) nello sterilizzare e nel disancorare l’attività
pianificatoria degli enti locali dalla tentazione di
‘legalizzare’ surrettiziamente l’illecita trasformazione del
territorio da parte dei privati tramite varianti ‘pilotate’
agli strumenti urbanistici.
---------------
In definitiva, predicare l’operatività della regola pretoria
della ‘sanatoria giurisprudenziale’, e cioè consentire la
legittimazione postuma di opere originariamente e
sostanzialmente abusive, significherebbe tradire:
- il principio di legalità, sia in quanto si svuoterebbe
della sua portata precettiva, certa e vincolante la
disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento della
commissione degli illeciti, sia in quanto, estendendosi
l’ambito oggettivo di applicazione del permesso di costruire
in sanatoria, se ne violerebbe la tipicità provvedimentale,
ancorata dalla norma primaria che lo prevede (art. 36 del
d.p.r. n. 380/2001) alle sole violazioni di ordine formale;
- il principio di imparzialità, in quanto si finirebbe per
premiare gli autori di abusi edilizi sostanziali, a
discapito di tutti coloro che abbiano correttamente eseguito
attività edificatorie, nel doveroso convincimento di
rispettare prescrizioni da altri, invece, impunemente
violate;
- i principi di buon andamento e di efficacia, in quanto,
premiando –come detto– gli autori degli abusi edilizi
sostanziali, risulterebbe attenuata, se non addirittura
neutralizzata, la forza deterrente dell’apparato
sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo
del territorio;
- i principi di proporzionalità e di ragionevolezza, in
quanto si estenderebbe l’ambito oggettivo di applicazione di
un istituto (permesso di costruire in sanatoria) al di là
della fenomenologia (abusi edilizi meramente formali) in
rapporto alla quale lo stesso è stato enucleato e
commisurato dal legislatore.
---------------
4.3. La pretesa applicabilità dei principi sottesi alla c.d.
sanatoria giurisprudenziale non soccorre, infine, alla tesi
propugnata da parte ricorrente nel senso della presunta
conformità urbanistico-edilizia delle opere controverse
rispetto alla sopravvenuta disciplina del vigente piano
urbanistico comunale di Orta di Atella.
In proposito, fermo restando che l’attuale conformità
urbanistico-edilizia dedotta dai nominati in epigrafe è
rimasta concretamente indimostrata, e ribadita
l’insussistenza di apposita domanda di sanatoria (cfr.
retro, sub n. 4.1), il Collegio ritiene di dover escludere
che l’invocata regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’ sia compatibile col dettato normativo
dell’art. 36, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, tanto da
trovare ingresso nell’ordinamento (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
26.04.2006, n. 2306; 17.09.2007, n. 4838; sez. V,
25.02.2009, n. 1126; sez. IV, 02.11.2009, n. 6784; TAR
Lombardia, Brescia, 23.06.2003, n. 870; Milano, sez. II,
09.06.2006, n. 1352; sez. I, 24.05.2013, n. 1371; TAR Emilia
Romagna, Bologna, sez. II, 15.01.2004, n. 16; Parma,
13.12.2007, n. 620; TAR Piemonte, Torino, sez. I,
18.10.2004, n. 2506; 20.04.2005, n. 1094; TAR Liguria,
Genova, sez. I, 23.02.2007, n. 364; TAR Sicilia, Catania,
sez. I, 09.01.2009, n. 5; TAR Campania, Napoli, sez, VII,
07.05.2008, n. 3501; sez. VI, 04.08.2008, n. 9723; sez. III,
19.11.2008, n. 19875; sez. VIII, 10.09.2010, n. 17398;
03.07.2012, n. 3153; TAR Puglia, Lecce, sez. III,
09.12.2010, n. 2816; TAR Toscana, Firenze, sez. III,
11.02.2011, n. 263; 13.05.2011, n. 837; 27.03.2013, n. 497;
Cass. pen., sez. III, 26.04.2007, n. 24451; 21.10.2008, n.
42526; 21.09.2009, n. 36350; 21.01.2010, n. 9446).
Nel senso di una rigorosa applicazione del canone della c.d.
doppia conformità degli interventi abusivi rispetto alla
disciplina urbanistico-edilizia vigente sia al momento della
loro esecuzione sia al momento della presentazione della
domanda di sanatoria, militano i seguenti argomenti
interpretativi, già illustrati dalla Sezione nelle sentenze
n. 17398 del 10.09.2010, n. 3153 del 03.07.2012 e n. 1690
del 20.03.2014.
a) Argomento letterale.
Ai sensi dell’art. 36, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, “in
caso di interventi realizzati in assenza di permesso di
costruire, o in difformità da esso, fino alla scadenza dei
termini di cui agli artt. 31, comma 3, 33, comma 1, 34,
comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni
amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale
proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in
sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”.
Il tenore letterale della norma è del tutto perspicuo e
inequivoco nel riferire il requisito della conformità
urbanistico-edilizia dell’opera (formalmente abusiva) “sia”
al momento della sua realizzazione “sia” al momento
della presentazione della domanda di sanatoria.
Di fronte a siffatto dettato normativo, non appare al
Collegio condivisibile l’approccio ermeneutico elaborato da
Cons. Stato, sez. VI, 07.05.2009, n. 2835.
Stando a tale pronuncia, il canone della doppia conformità
sarebbe preordinato a garantire il richiedente dalla
possibile variazione in peius della disciplina
urbanistico-edilizia, a seguito di emanazione di strumenti
che riducano o escludano, appunto, il ius aedificandi
sussistente al momento dell'istanza, mentre non potrebbe
ritenersi diretto a disciplinare l'ipotesi inversa del
ius superveniens favorevole, rispetto al momento
ultimativo della proposizione dell'istanza.
Una simile interpretazione si rivela inammissibilmente
abrogatrice dell’inciso “sia al momento della
realizzazione dello stesso” (e cioè dell’immobile
abusivo) e, quindi, contra legem: se, infatti, l’art.
36, comma 1, cit. fosse unicamente volto a salvaguardare il
privato istante dalle conseguenze sfavorevoli (nel senso di
una sopravvenuta modifica in peius del ius
aedificandi) dell’inerzia dell’amministrazione nel
concludere l’avviato procedimento di sanatoria, sarebbe
stato sufficiente il riferimento testuale “al momento
della presentazione della domanda”.
In realtà, il legislatore, con l’espressione “sia al
momento della realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda”, ha individuato
l’intero arco temporale lungo il quale si sia protratto
l’abuso edilizio commesso, senza che il relativo
responsabile si sia attivato per regolarizzarlo, ed entro il
quale gli effetti peggiorativi del ius superveniens
non possono non ricadere su costui, ma anche oltre il quale
gli stessi effetti restano imputabili all’inerzia
dell’amministrazione nel provvedere e non sono più su di lui
riversabili.
b) Argomento storico.
Nell’emanare il nuovo art. 36, comma 1, del d.p.r. n.
380/2001, in luogo del previgente art. 13, comma 1, della l.
28.02.1985, n. 47, il legislatore delegato, discostandosi
dalla linea suggerita di Cons. Stato, ad. gen., sez. atti
norm., 29.03.2001, n. 52, nel senso di codificare la regola
pretoria della ‘sanatoria giurisprudenziale’, ha
preferito “non inserire una tale previsione, sia perché
la giurisprudenza sul punto non è pacifica (sicché non può
dirsi formato quel diritto vivente che avrebbe consentito la
modifica del dato testuale), sia, soprattutto, per le
considerazioni in senso nettamente contrario contenute nel
parere espresso dalla Camera” (relazione illustrativa al
testo unico dell’edilizia).
Un simile antefatto storico dell’iter legislativo denota,
vieppiù, la resistenza dell’ordinamento al recepimento della
regola pretoria della ‘sanatoria giurisprudenziale’.
c) Argomento logico-sistematico.
L'istituto dell’accertamento di conformità è stato
introdotto, nell'ambito di una revisione complessiva del
regime sanzionatorio degli illeciti edilizi, orientata nel
senso di una maggiore severità, con l'intento di consentire
la sanatoria dei soli abusi meramente formali, vale a dire
di quelle costruzioni per le quali, sussistendo ogni altro
requisito di legge e regolamento, manchi soltanto il
necessario titolo abilitativo (cfr. Cons. Stato, sez. V,
29.05.2006, n. 3267). Il rilascio di quest’ultimo in esito
ad accertamento di conformità presuppone, pertanto, in capo
al responsabile dell'abuso, una situazione giuridica del
tutto equiparabile a quella di chi richieda un ordinario
permesso di costruire, ivi compresa la sussistenza ab
origine della conformità urbanistico-edilizia
dell’opera.
Del resto, alla sanabilità degli abusi sostanziali è
dedicato non già l’istituto dell'accertamento di conformità,
bensì quello diverso del condono edilizio (cfr. TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352), nei
limiti, segnatamente temporali, in cui quest'ultimo sia
applicabile alla fattispecie concreta considerata.
Ciò posto, ammettere la ‘sanatoria giurisprudenziale’
significherebbe anche introdurre surrettiziamente
nell’ordinamento una sorta di condono atipico, affrancato
dai predetti limiti, mediante il quale il responsabile di un
abuso sostanziale potrebbe trovarsi a beneficiare degli
effetti indirettamente sananti di un più favorevole ius
superveniens, anziché di un’apposita disciplina
legislativa condonistica.
Nel delineato contesto sistematico, l’art. 36 del d.p.r. n.
380/2001, in quanto norma, da un lato, circoscritta alle
ipotesi di abusi meramente formali e, d’altro lato,
derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati
sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure
ripristinatorie e sanzionatorie, non è, dunque, suscettibile
di applicazione analogica né di una interpretazione
riduttiva, secondo cui, in contrasto col suo tenore
letterale, basterebbe la conformità delle opere con lo
strumento urbanistico vigente all’epoca in cui sia proposta
l’istanza di accertamento.
Viceversa, stante l’evidenziata portata speciale e
derogatoria della norma in esame, la sanabilità da essa
prevista postula sempre la conformità urbanistico-edilizia
dell'intervento sine titulo alla disciplina
urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione
sia alla data della presentazione della domanda (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 17.09.2007, n. 4838; 02.11.2009, n. 6784).
d) Argomento teleologico.
Il denominatore comune delle argomentazioni addotte in
favore della regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’ è precipuamente rappresentato dalla
pretesa esigenza di ispirare l'esercizio del potere di
controllo sull'attività edificatoria dei privati al buon
andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.
Tale canone costituzionale imporrebbe, in sede di
accertamento di conformità ex art. 36 del d.p.r. n.
380/2001, di accogliere l'istanza di sanatoria per quei
manufatti che potrebbero ben essere realizzati sulla base
della disciplina urbanistica vigente al momento della
proposizione della predetta istanza, sebbene non conformi
alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione.
Si eviterebbe, così, uno spreco di attività inutili, sia
dell'amministrazione (il successivo procedimento
amministrativo preordinato alla demolizione dell'opera
abusiva), sia del privato (la nuova edificazione), sia
ancora dell'amministrazione (il rilascio del titolo per la
nuova edificazione).
A ben vedere, invece, quella sorta di antinomia adombrata
nel propugnare la ‘sanatoria giurisprudenziale’ –e,
quindi, nel ripudiare l'esigenza della doppia conformità–
tra i principi di legalità e di buon andamento della
pubblica amministrazione, con assegnazione della prevalenza
a quest'ultimo, in nome di una presunta logica ‘efficientista’,
si rivela artificiosa (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II,
09.06.2006, n. 1352).
Va, innanzitutto, rimarcato che l'agire della pubblica
amministrazione deve essere in ogni sua fase retto dal
principio di legalità, inteso quale regola fondamentale cui
è informata l'attività amministrativa e che trova un
fondamento positivo in varie disposizioni costituzionali
(artt. 23, 24, 97, 101 e 113 Cost.). In altri termini, lungi
dall'esservi antinomia fra efficienza e legalità, non può
esservi rispetto del buon andamento della pubblica
amministrazione ex art. 97 Cost., se non vi è, nel contempo,
rispetto del principio di legalità.
Il punto di equilibrio fra efficienza e legalità, è stato,
nella materia de qua, individuato dal legislatore nel
consentire –come già detto– la sanatoria dei c.d. abusi
formali, sottraendo alla demolizione le opere che risultino
rispettose della disciplina sostanziale sull'utilizzo del
territorio, e non solo di quella vigente al momento
dell'istanza di sanatoria, ma anche di quella vigente
all'epoca della loro realizzazione (e ciò in applicazione
del principio di legalità), e quindi evitando un sacrificio
degli interessi dei privati che abbiano violato soltanto le
sole norme disciplinanti il procedimento da osservare
nell'attività edificatoria (TAR Lombardia, Milano, sez. II,
09.06.2006, n. 1352; TAR Sicilia, Catania, sez. I,
09.01.2009, n. 5).
La vera insanabile contraddizione risiederebbe, da un lato,
nell'imporre alle autorità comunali di reprimere e
sanzionare gli abusi edilizi, dall'altro, nel consentire
violazioni sostanziali della normativa del settore, quali
rimangono – sul piano urbanistico – quelle connesse ad opere
per cui non esista la doppia conformità, dovendosi aver
riguardo al momento della realizzazione dell'opera per
valutare la sussistenza dell'abuso (cfr. TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352).
Ciò, in quanto sarebbe davvero contrario al principio di
buon andamento ex art. 97 Cost. ammettere che
l'amministrazione, una volta emanata la disciplina sull'uso
del territorio, di fronte ad interventi difformi dalla
stessa, sia indotta –anziché a provvedere a sanzionarli– a
modificare la disciplina stessa. Si finirebbe, così, per
incoraggiare, anziché impedire, gli abusi, perché ogni
interessato si sentirebbe incitato alla realizzazione di
manufatti difformi, confidando sulla loro acquisizione di
conformità ex post, a mezzo di modifiche della
disciplina del settore. E si finirebbe per alterare
l’essenza stessa dell’accertamento di (doppia) conformità,
che risiede (anche) nello sterilizzare e nel disancorare
l’attività pianificatoria degli enti locali dalla tentazione
di ‘legalizzare’ surrettiziamente l’illecita
trasformazione del territorio da parte dei privati tramite
varianti ‘pilotate’ agli strumenti urbanistici.
In definitiva, predicare l’operatività della regola pretoria
della ‘sanatoria giurisprudenziale’, e cioè
consentire la legittimazione postuma di opere
originariamente e sostanzialmente abusive, significherebbe
tradire:
- il principio di legalità, sia in quanto si svuoterebbe
della sua portata precettiva, certa e vincolante la
disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento della
commissione degli illeciti, sia in quanto, estendendosi
l’ambito oggettivo di applicazione del permesso di costruire
in sanatoria, se ne violerebbe la tipicità provvedimentale,
ancorata dalla norma primaria che lo prevede (art. 36 del
d.p.r. n. 380/2001) alle sole violazioni di ordine formale;
- il principio di imparzialità, in quanto si finirebbe per
premiare gli autori di abusi edilizi sostanziali, a
discapito di tutti coloro che abbiano correttamente eseguito
attività edificatorie, nel doveroso convincimento di
rispettare prescrizioni da altri, invece, impunemente
violate;
- i principi di buon andamento e di efficacia, in quanto,
premiando –come detto– gli autori degli abusi edilizi
sostanziali, risulterebbe attenuata, se non addirittura
neutralizzata, la forza deterrente dell’apparato
sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo
del territorio;
- i principi di proporzionalità e di ragionevolezza, in
quanto si estenderebbe l’ambito oggettivo di applicazione di
un istituto (permesso di costruire in sanatoria) al di là
della fenomenologia (abusi edilizi meramente formali) in
rapporto alla quale lo stesso è stato enucleato e
commisurato dal legislatore
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 05.11.2015 n. 5136 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Parere in merito all'accertamento di conformità ex art.
36 D.P.R. 380/2001 in area paesaggisticamente vincolata -
Comune di Riano (Regione Lazio,
parere 13.10.2015 n. 400993 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
In base all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001,
se l’autorità amministrativa non si pronuncia sull’istanza
di accertamento di conformità nel termine di 60 giorni, la
richiesta è da considerare come respinta.
E’ stato chiarito in giurisprudenza che il silenzio serbato
dall'amministrazione sulla domanda di sanatoria ai sensi del
citato art. 36, al pari di quanto precedentemente previsto
dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985, ha valore
provvedimentale ed è qualificabile come silenzio “rigetto” e
non come silenzio “inadempimento”.
Ne consegue che l’interessato, di fronte al silenzio-rigetto
dell’amministrazione, ha l’onere di proporre una tempestiva
impugnativa nel termine previsto dall’art. 29 c.p.a. essendo
da escludere che l’amministrazione, una volta formato il
silenzio-rigetto, abbia un obbligo di provvedere
suscettibile di contestazione mediante l’azione di cui
all’art. 117 c.p.a..
Infatti tale rimedio ha lo scopo di provocare l’esercizio
del potere amministrativo previo accertamento
dell’illegittimità dell’inerzia, consistente nella
violazione dell’obbligo di concludere un procedimento
mediante un provvedimento espresso, purché la legge non
assegni al silenzio un significato tipico, di assenso o di
diniego, rispetto all’istanza presentata dall’interessato.
Pertanto, quando l’inerzia ha valore significativo di
silenzio-rigetto, non è ammissibile un’impugnazione del
silenzio-rifiuto che sarebbe equivalente ad una rimessione
in termini per la contestazione del diniego. Peraltro giova
soggiungere che, anche nel caso di impugnazione del
comportamento omissivo dell’amministrazione, è comunque
previsto un termine decadenziale per la proposizione del
ricorso, fissato dall’art. 31 c.p.a. in un anno dalla
scadenza del termine di conclusione del procedimento.
In conclusione, nella specie il ricorso va respinto in
quanto non sussiste obbligo di provvedere da parte del
Comune sull’istanza in questione.
Né ha rilevanza a tale fine il fatto che lo stesso Comune
abbia dato notizia della persistente pendenza del relativo
procedimento. Infatti il termine previsto per la formazione
dell’atto tacito di rigetto non ha natura decadenziale, per
cui l’amministrazione non perde il relativo potere di
provvedere in merito, fermo restando che tale potere ha
carattere discrezionale, per cui non sussiste un obbligo di
provvedere alla conclusione del procedimento, al pari di
quanto si verifica per l’esercizio del potere di autotutela.
1. Preliminarmente è da osservare che, in base all’art. 36
del d.P.R. n. 380 del 2001, se l’autorità amministrativa non
si pronuncia sull’istanza di accertamento di conformità nel
termine di 60 giorni, la richiesta è da considerare come
respinta.
E’ stato chiarito in giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. IV,
14/02/2006, n. 598) che il silenzio serbato
dall'amministrazione sulla domanda di sanatoria ai sensi del
citato art. 36, al pari di quanto precedentemente previsto
dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985, ha valore
provvedimentale ed è qualificabile come silenzio “rigetto”
e non come silenzio “inadempimento” (inerzia a fronte
di attività vincolata, ovvero “rifiuto”, inerzia a fronte di
attività discrezionale: cfr. TAR Sicilia, sez. I Catania,
02/11/2010, n. 4309).
Ne consegue che l’interessato, di fronte al silenzio-rigetto
dell’amministrazione, ha l’onere di proporre una tempestiva
impugnativa nel termine previsto dall’art. 29 c.p.a. essendo
da escludere che l’amministrazione, una volta formato il
silenzio-rigetto, abbia un obbligo di provvedere
suscettibile di contestazione mediante l’azione di cui
all’art. 117 c.p.a. (cfr. TAR Campania, sez. III,
31/03/2015, n. 1874).
Infatti tale rimedio ha lo scopo di provocare l’esercizio
del potere amministrativo previo accertamento
dell’illegittimità dell’inerzia, consistente nella
violazione dell’obbligo di concludere un procedimento
mediante un provvedimento espresso, purché la legge non
assegni al silenzio un significato tipico, di assenso o di
diniego, rispetto all’istanza presentata dall’interessato
(cfr. Cons. St., sez. III, 03/03/2015, n. 1050).
Pertanto, quando l’inerzia ha valore significativo di
silenzio-rigetto, non è ammissibile un’impugnazione del
silenzio-rifiuto che sarebbe equivalente ad una rimessione
in termini per la contestazione del diniego. Peraltro giova
soggiungere che, anche nel caso di impugnazione del
comportamento omissivo dell’amministrazione, è comunque
previsto un termine decadenziale per la proposizione del
ricorso, fissato dall’art. 31 c.p.a. in un anno dalla
scadenza del termine di conclusione del procedimento.
In conclusione, nella specie il ricorso va respinto in
quanto non sussiste obbligo di provvedere da parte del
Comune sull’istanza in questione (cfr. Cons. St., sez. IV,
13/01/2010, n. 100).
Né ha rilevanza a tale fine il fatto che lo stesso Comune
abbia dato notizia della persistente pendenza del relativo
procedimento. Infatti il termine previsto per la formazione
dell’atto tacito di rigetto non ha natura decadenziale, per
cui l’amministrazione non perde il relativo potere di
provvedere in merito (cfr. TAR Campania, sez. III,
13/07/2010, n. 16689), fermo restando che tale potere ha
carattere discrezionale, per cui non sussiste un obbligo di
provvedere alla conclusione del procedimento, al pari di
quanto si verifica per l’esercizio del potere di autotutela
(cfr. Cons. St., sez. V, 25/07/2014, n. 3964)
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 01.10.2015 n. 4673 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La "sanatoria giurisprudenziale" non esiste più.
Predicare l’operatività della regola pretoria
della ‘sanatoria giurisprudenziale’, e cioè consentire la
legittimazione postuma di opere originariamente e
sostanzialmente abusive, significherebbe tradire:
- il principio di legalità, sia in quanto si svuoterebbe
della sua portata precettiva, certa e vincolante la
disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento della
commissione degli illeciti, sia in quanto, estendendosi
l’ambito oggettivo di applicazione del permesso di costruire
in sanatoria, se ne violerebbe la tipicità provvedimentale,
ancorata dalla norma primaria che lo prevede (art. 36 del
d.p.r. n. 380/2001) alle sole violazioni di ordine formale;
- il principio di imparzialità, in quanto si finirebbe per
premiare gli autori di abusi edilizi sostanziali, a
discapito di tutti coloro che abbiano correttamente eseguito
attività edificatorie, nel doveroso convincimento di
rispettare prescrizioni da altri, invece, impunemente
violate;
- i principi di buon andamento e di efficacia, in quanto,
premiando –come detto– gli autori degli abusi edilizi
sostanziali, risulterebbe attenuata, se non addirittura
neutralizzata, la forza deterrente dell’apparato
sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo
del territorio;
- i principi di proporzionalità e di ragionevolezza, in
quanto si estenderebbe l’ambito oggettivo di applicazione di
un istituto (permesso di costruire in sanatoria) al di là
della fenomenologia (abusi edilizi meramente formali) in
rapporto alla quale lo stesso è stato enucleato e
commisurato dal legislatore.
In proposito, il Collegio, pur non ignorando l’esistenza di
un autorevole orientamento giurisprudenziale di segno
contrario (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 06.02.2003, n.
592; sez. V, 21.10.2003, n. 6498; 28.05.2004, n.
3431; 19.04.2005, n. 1796; sez. VI, 12.11.2008, n.
5646; sez. VI, 07.05.2009, n. 2835; TAR Abruzzo, Pescara,
11.05.2007, n. 534; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 31.01.2008, n. 137; TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 17.03.2010, n. 314; Cass. pen., sez. III, 15.02.2008,
n. 11132; 28.05.2008, n. 21208), ritiene di dover
escludere che la regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’ sia compatibile col dettato normativo
dell’art. 36, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, tanto da
trovare ingresso nell’ordinamento (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
26.04.2006, n. 2306; 17.09.2007, n. 4838; sez. V,
25.02.2009, n. 1126; sez. IV, 02.11.2009, n.
6784; TAR Lombardia, Brescia, 23.06.2003, n. 870;
Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352; sez. I, 24.05.2013, n. 1371; TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 15.01.2004, n. 16; Parma, 13.12.2007, n. 620; TAR
Piemonte, Torino, sez. I, 18.10.2004, n. 2506; 20.04.2005, n. 1094; TAR Liguria, Genova, sez. I, 23.02.2007, n. 364; TAR Sicilia, Catania, sez. I,
09.01.2009, n. 5; TAR Campania, Napoli, sez, VII, 07.05.2008, n. 3501; sez. VI,
04.08.2008, n. 9723; sez. III, 19.11.2008, n. 19875; sez. VIII, 10.09.2010, n.
17398; 03.07.2012, n. 3153; TAR Puglia, Lecce, sez. III,
09.12.2010, n. 2816; TAR Toscana, Firenze, sez. III, 11.02.2011, n. 263; 13.05.2011, n. 837; 27.03.2013, n. 497; Cass. pen., sez. III, 26.04.2007, n.
24451; 21.10.2008, n. 42526; 21.09.2009, n.
36350; 21.01.2010, n. 9446).
Nel senso di una rigorosa applicazione del canone della c.d.
doppia conformità degli interventi abusivi rispetto alla
disciplina urbanistico-edilizia vigente sia al momento della
loro esecuzione sia al momento della presentazione della
domanda di sanatoria, militano i seguenti argomenti
interpretativi, già illustrati dalla Sezione nelle sentenze
n. 17398 del 10.09.2010, n. 3153 del 03.07.2012 e
n. 1690 del 20.03.2014.
a) Argomento letterale.
Ai sensi dell’art. 36, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, “in
caso di interventi realizzati in assenza di permesso di
costruire, o in difformità da esso, fino alla scadenza dei
termini di cui agli artt. 31, comma 3, 33, comma 1, 34,
comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni
amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale
proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in
sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”.
Il tenore letterale della norma è del tutto perspicuo e
inequivoco nel riferire il requisito della conformità
urbanistico-edilizia dell’opera (formalmente abusiva) “sia”
al momento della sua realizzazione “sia” al momento della
presentazione della domanda di sanatoria.
Di fronte a siffatto dettato normativo, non appare al
Collegio condivisibile l’approccio ermeneutico elaborato da
Cons. Stato, sez. VI, 07.05.2009, n. 2835.
Stando a tale pronuncia, il canone della doppia conformità
sarebbe preordinato a garantire il richiedente dalla
possibile variazione in peius della disciplina
urbanistico-edilizia, a seguito di emanazione di strumenti
che riducano o escludano, appunto, lo ius aedificandi
sussistente al momento dell'istanza, mentre non potrebbe
ritenersi diretto a disciplinare l'ipotesi inversa dello ius
superveniens favorevole, rispetto al momento ultimativo
della proposizione dell'istanza.
Una simile interpretazione si rivela inammissibilmente
abrogatrice dell’inciso “sia al momento della realizzazione
dello stesso” (e cioè dell’immobile abusivo) e, quindi,
contra legem: se, infatti, l’art. 36, comma 1, cit. fosse
unicamente volto a salvaguardare il privato istante dalle
conseguenze sfavorevoli (nel senso di una sopravvenuta
modifica in peius del ius aedificandi) dell’inerzia
dell’amministrazione nel concludere l’avviato procedimento
di sanatoria, sarebbe stato sufficiente il riferimento
testuale “al momento della presentazione della domanda”.
In realtà, il legislatore, con l’espressione “sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”, ha individuato l’intero arco
temporale lungo il quale si sia protratto l’abuso edilizio
commesso, senza che il relativo responsabile si sia attivato
per regolarizzarlo, ed entro il quale gli effetti
peggiorativi del ius superveniens non possono non ricadere
su costui, ma anche oltre il quale gli stessi effetti
restano imputabili all’inerzia dell’amministrazione nel
provvedere e non sono più su di lui riversabili.
b) Argomento storico.
Nell’emanare il nuovo art. 36, comma 1, del d.p.r. n.
380/2001, in luogo del previgente art. 13, comma 1, della l.
28.02.1985, n. 47, il legislatore delegato,
discostandosi dalla linea suggerita di Cons. Stato, ad.
gen., sez. atti norm., 29.03.2001, n. 52, nel senso di
codificare la regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’, ha preferito “non inserire una tale
previsione, sia perché la giurisprudenza sul punto non è
pacifica (sicché non può dirsi formato quel diritto vivente
che avrebbe consentito la modifica del dato testuale), sia,
soprattutto, per le considerazioni in senso nettamente
contrario contenute nel parere espresso dalla Camera”
(relazione illustrativa al testo unico dell’edilizia).
Un simile antefatto storico dell’iter legislativo denota,
vieppiù, la resistenza dell’ordinamento al recepimento della
regola pretoria della ‘sanatoria giurisprudenziale’.
c) Argomento logico-sistematico.
L'istituto dell’accertamento di conformità è stato
introdotto, nell'ambito di una revisione complessiva del
regime sanzionatorio degli illeciti edilizi, orientata nel
senso di una maggiore severità, con l'intento di consentire
la sanatoria dei soli abusi meramente formali, vale a dire
di quelle costruzioni per le quali, sussistendo ogni altro
requisito di legge e regolamento, manchi soltanto il
necessario titolo abilitativo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29.05.2006, n. 3267).
Il rilascio di quest’ultimo in esito
ad accertamento di conformità presuppone, pertanto, in capo
al responsabile dell'abuso, una situazione giuridica del
tutto equiparabile a quella di chi richieda un ordinario
permesso di costruire, ivi compresa la sussistenza ab
origine della conformità urbanistico-edilizia dell’opera.
Del resto, alla sanabilità degli abusi sostanziali è
dedicato non già l’istituto dell'accertamento di conformità,
bensì quello diverso del condono edilizio (cfr. TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352), nei
limiti, segnatamente temporali, in cui quest'ultimo sia
applicabile alla fattispecie concreta considerata.
Ciò posto, ammettere la ‘sanatoria giurisprudenziale’
significherebbe anche introdurre surrettiziamente
nell’ordinamento una sorta di condono atipico, affrancato
dai predetti limiti, mediante il quale il responsabile di un
abuso sostanziale potrebbe trovarsi a beneficiare degli
effetti indirettamente sananti di un più favorevole ius
superveniens, anziché di un’apposita disciplina legislativa
condonistica.
Nel delineato contesto sistematico, l’art. 36 del d.p.r. n.
380/2001, in quanto norma, da un lato, circoscritta alle
ipotesi di abusi meramente formali e, d’altro lato,
derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati
sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure
ripristinatorie e sanzionatorie, non è, dunque, suscettibile
di applicazione analogica né di una interpretazione
riduttiva, secondo cui, in contrasto col suo tenore
letterale, basterebbe la conformità delle opere con lo
strumento urbanistico vigente all’epoca in cui sia proposta
l’istanza di accertamento.
Viceversa, stante l’evidenziata portata speciale e
derogatoria della norma in esame, la sanabilità da essa
prevista postula sempre la conformità urbanistico-edilizia
dell'intervento sine titulo alla disciplina urbanistica
vigente sia al momento della sua realizzazione sia alla data
della presentazione della domanda (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
17.09.2007, n. 4838; 02.11.2009, n. 6784).
d) Argomento teleologico.
Il denominatore comune delle argomentazioni addotte in
favore della regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’ è precipuamente rappresentato dalla
pretesa esigenza di ispirare l'esercizio del potere di
controllo sull'attività edificatoria dei privati al buon
andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost..
Tale canone costituzionale imporrebbe, in sede di
accertamento di conformità ex art. 36 del d.p.r. n.
380/2001, di accogliere l'istanza di sanatoria per quei
manufatti che potrebbero ben essere realizzati sulla base
della disciplina urbanistica vigente al momento della
proposizione della predetta istanza, sebbene non conformi
alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione.
Si eviterebbe, così, uno spreco di attività inutili, sia
dell'amministrazione (il successivo procedimento
amministrativo preordinato alla demolizione dell'opera
abusiva), sia del privato (la nuova edificazione), sia
ancora dell'amministrazione (il rilascio del titolo per la
nuova edificazione).
A ben vedere, invece, quella sorta di antinomia adombrata
nel propugnare la ‘sanatoria giurisprudenziale’ –e, quindi,
nel ripudiare l'esigenza della doppia conformità– tra i
principi di legalità e di buon andamento della pubblica
amministrazione, con assegnazione della prevalenza a
quest'ultimo, in nome di una presunta logica
‘efficientista’, si rivela artificiosa (cfr. TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352).
Va, innanzitutto, rimarcato che l'agire della pubblica
amministrazione deve essere in ogni sua fase retto dal
principio di legalità, inteso quale regola fondamentale cui
è informata l'attività amministrativa e che trova un
fondamento positivo in varie disposizioni costituzionali
(artt. 23, 24, 97, 101 e 113 Cost.).
In altri termini, lungi
dall'esservi antinomia fra efficienza e legalità, non può
esservi rispetto del buon andamento della pubblica
amministrazione ex art. 97 Cost., se non vi è, nel contempo,
rispetto del principio di legalità.
Il punto di equilibrio
fra efficienza e legalità, è stato, nella materia de qua,
individuato dal legislatore nel consentire –come già detto– la sanatoria dei c.d. abusi formali, sottraendo alla
demolizione le opere che risultino rispettose della
disciplina sostanziale sull'utilizzo del territorio, e non
solo di quella vigente al momento dell'istanza di sanatoria,
ma anche di quella vigente all'epoca della loro
realizzazione (e ciò in applicazione del principio di
legalità), e quindi evitando un sacrificio degli interessi
dei privati che abbiano violato soltanto le sole norme
disciplinanti il procedimento da osservare nell'attività
edificatoria (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 09.06.2006,
n. 1352; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 09.01.2009, n.
5).
La vera insanabile contraddizione risiederebbe, da un lato,
nell'imporre alle autorità comunali di reprimere e
sanzionare gli abusi edilizi, dall'altro, nel consentire
violazioni sostanziali della normativa del settore, quali
rimangono –sul piano urbanistico– quelle connesse ad opere
per cui non esista la doppia conformità, dovendosi aver
riguardo al momento della realizzazione dell'opera per
valutare la sussistenza dell'abuso (cfr. TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352).
Ciò, in quanto sarebbe davvero contrario al principio di
buon andamento ex art. 97 Cost. ammettere che
l'amministrazione, una volta emanata la disciplina sull'uso
del territorio, di fronte ad interventi difformi dalla
stessa, sia indotta –anziché a provvedere a sanzionarli– a
modificare la disciplina stessa. Si finirebbe, così, per
incoraggiare, anziché impedire, gli abusi, perché ogni
interessato si sentirebbe incitato alla realizzazione di
manufatti difformi, confidando sulla loro acquisizione di
conformità ex post, a mezzo di modifiche della disciplina
del settore. E si finirebbe per alterare l’essenza stessa
dell’accertamento di (doppia) conformità, che risiede
(anche) nello sterilizzare e nel disancorare l’attività pianificatoria degli enti locali dalla tentazione di
‘legalizzare’ surrettiziamente l’illecita trasformazione del
territorio da parte dei privati tramite varianti ‘pilotate’
agli strumenti urbanistici.
In definitiva, predicare l’operatività della regola pretoria
della ‘sanatoria giurisprudenziale’, e cioè consentire la
legittimazione postuma di opere originariamente e
sostanzialmente abusive, significherebbe tradire:
- il principio di legalità, sia in quanto si svuoterebbe
della sua portata precettiva, certa e vincolante la
disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento della
commissione degli illeciti, sia in quanto, estendendosi
l’ambito oggettivo di applicazione del permesso di costruire
in sanatoria, se ne violerebbe la tipicità provvedimentale,
ancorata dalla norma primaria che lo prevede (art. 36 del
d.p.r. n. 380/2001) alle sole violazioni di ordine formale;
- il principio di imparzialità, in quanto si finirebbe per
premiare gli autori di abusi edilizi sostanziali, a
discapito di tutti coloro che abbiano correttamente eseguito
attività edificatorie, nel doveroso convincimento di
rispettare prescrizioni da altri, invece, impunemente
violate;
- i principi di buon andamento e di efficacia, in quanto,
premiando –come detto– gli autori degli abusi edilizi
sostanziali, risulterebbe attenuata, se non addirittura
neutralizzata, la forza deterrente dell’apparato
sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo
del territorio;
- i principi di proporzionalità e di ragionevolezza,
in quanto si estenderebbe l’ambito oggettivo di applicazione
di un istituto (permesso di costruire in sanatoria) al di là
della fenomenologia (abusi edilizi meramente formali) in
rapporto alla quale lo stesso è stato enucleato e
commisurato dal legislatore
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 04.09.2015 n. 4305 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Senza il titolo abilitante salta la concessione.
È legittimo il doveroso diniego della concessione in
sanatoria di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora
le stesse non risultino conformi tanto alla normativa
urbanistica vigente al momento della loro realizzazione
quanto a quella vigente al momento della domanda di
sanatoria.
Lo hanno ribadito i giudici della II Sez. del TAR
Lombardia-Milano con la
sentenza 13.08.2015 n. 1900.
Secondo i giudici amministrativi milanesi, anche in aderenza
a un ormai consolidato orientamento che tra spunto sia dalla
Corte costituzionale che dal Consiglio di stato, solo il
legislatore statale (con preclusione non solo per il potere
giurisdizionale, ma anche per il legislatore regionale:
Corte cost., 29.05.2013, n. 101) ha la facoltà di
prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo
edilizio in sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva
del reato già commesso), pertanto risulta coerente il
divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso)
in sanatoria, anche nel caso in cui dopo la commissione
dell'abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento
urbanistico (si veda: Cons. stato, sez. V, 27.05.2014,
n. 2755).
È possibile rinvenire la ragionevolezza di tale
divieto dall'esigenza, presa in considerazione dalla legge,
di sfuggire alla situazione in cui il potere di
pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di
rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta
illecito (e punibile) nonché è possibile cogliere una
finalità dissuasiva dall'intenzione di commettere abusi,
«poiché chi costruisce sine titulo è consapevole di essere
tenuto alla demolizione, anche in presenza di una
sopraggiunta modificazione favorevole dello strumento
urbanistico».
Inoltre, secondo i giudici lombardi, nel caso
in cui un'istanza di sanatoria vada a prevedere la
realizzazione di ulteriori interventi per rendere l'opera
conforme alle norme vigenti, sarà evidente una sorta di
insussistenza del requisito della conformità al momento
della richiesta di rilascio del titolo in sanatoria.
Pertanto, un eventuale provvedimento di sanatoria che
prevedesse l'esecuzione di tali ulteriori lavori sarebbe
quindi illegittimo, poiché l'articolo 36 del dpr n. 380 del
2001 non consente spazi interpretativi, nel senso che la
concessione in sanatoria è ammessa soltanto entro i limiti
delineati dal legislatore, senza alcuna possibilità di
estensione discrezionale da parte della p.a.
(articolo ItaliaOggi Sette del
24.08.2015). |
EDILIZIA PRIVATA: Deve
escludersi la possibilità che l’opera abusivamente
realizzata possa essere sanata sulla base del solo riscontro
della conformità agli strumenti urbanistici vigenti.
Ed invero, secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza, al quale la Sezione pienamente aderisce, “è
legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria
di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse
non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica
vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella
vigente al momento della domanda di sanatoria.
Infatti, solo il legislatore statale (con preclusione non
solo per il potere giurisdizionale, ma anche per il
legislatore regionale: Corte Cost., 29.05.2013, n. 101) può
prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo
edilizio in sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva
del reato già commesso) e risulta del tutto ragionevole il
divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso)
in sanatoria, anche quando dopo la commissione dell’abuso vi
sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico”.
Secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, la
ragionevolezza di tale divieto discende dall’esigenza, presa
in considerazione dalla legge, di evitare che il potere di
pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di
rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta
illecito (e punibile) e, inoltre, di dissuadere
dall’intenzione di commettere abusi, poiché chi costruisce
sine titulo è consapevole di essere tenuto alla demolizione,
anche in presenza di una sopraggiunta modificazione
favorevole dello strumento urbanistico.
---------------
Secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza, anche della
Sezione, con orientamento che il Collegio ritiene di dover
fare proprio e ribadire, laddove un’istanza di sanatoria
preveda la realizzazione di ulteriori interventi per rendere
l’opera conforme alle norme vigenti, è palese
l’insussistenza del requisito della conformità al momento
della richiesta di rilascio del titolo in sanatoria.
Un provvedimento di sanatoria che prevedesse l’esecuzione di
tali ulteriori lavori sarebbe quindi illegittimo, poiché
l’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 non consente spazi
interpretativi, nel senso che la concessione in sanatoria è
ammessa soltanto entro i limiti delineati dal legislatore,
senza alcuna possibilità di estensione discrezionale da
parte della p.a..
11.1 Ora, a fronte di tali dati, non possono trovare
accoglimento le censure formulate dalla parte, e con le
quali essa invoca la possibilità di ottenere l’assenso al
progetto, in quanto sostanzialmente “nuovo” e
comportante solo una “sanatoria parziale”, che
sarebbe giustificata dall’asserita conformità delle opere
allo strumento urbanistico vigente.
Deve anzitutto rilevarsi che correttamente l’Amministrazione
ha richiamato, nel provvedimento impugnato, il contenzioso
che ha interessato l’immobile oggetto dell’intervento,
ritenendo inammissibile l’istanza di Com. Univ., in quanto
avente in parte ad oggetto le stesse opere già realizzate.
La circostanza che tali opere siano già esistenti e abbiano
carattere abusivo non può, infatti, essere ulteriormente
messa in discussione.
11.2 Ciò posto, il provvedimento è pure correttamente
motivato nella parte in cui esclude la possibilità di
ottenere la parziale sanatoria del manufatto, attraverso la
presentazione di un nuovo progetto, che però tende a
conservare alcune delle opere abusivamente realizzate, in
assenza del requisito della c.d. “doppia conformità”,
prescritto dall’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, deve
infatti escludersi la possibilità che l’opera abusivamente
realizzata possa essere sanata sulla base del solo riscontro
della conformità agli strumenti urbanistici vigenti.
E invero, secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza, al quale la Sezione pienamente aderisce, “è
legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria
di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse
non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica
vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella
vigente al momento della domanda di sanatoria (Cons. St.,
Sez. V, 17.03.2014, n. 1324; Sez. V, 11.06.2013, n. 3235;
Sez. V, 17.09.2012, n. 4914; Sez. V, 25.02.2009, n. 1126;
Sez. IV, 26.04.2006, n. 2306). Infatti, solo il legislatore
statale (con preclusione non solo per il potere
giurisdizionale, ma anche per il legislatore regionale:
Corte Cost., 29.05.2013, n. 101) può prevedere i casi in cui
può essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria
(avente anche una rilevanza estintiva del reato già
commesso) e risulta del tutto ragionevole il divieto legale
di rilasciare una concessione (o il permesso) in sanatoria,
anche quando dopo la commissione dell’abuso vi sia una
modifica favorevole dello strumento urbanistico” (così
Cons. Stato, Sez. V, 27.05.2014, n. 2755).
Secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, la
ragionevolezza di tale divieto discende dall’esigenza, presa
in considerazione dalla legge, di evitare che il potere di
pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di
rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che
risulta illecito (e punibile) e, inoltre, di dissuadere
dall’intenzione di commettere abusi, poiché chi costruisce
sine titulo è consapevole di essere tenuto alla
demolizione, anche in presenza di una sopraggiunta
modificazione favorevole dello strumento urbanistico (Cons.
Stato, Sez. V, 17.03.2014, n. 1324, e Id., n. 2755 del 2014,
cit.).
11.3 Parimenti corretta è da ritenere l’affermazione,
contenuta nel provvedimento impugnato, secondo la quale “la
sanatoria di quanto realizzato è fattibile mediante una
previsione di opere da eseguirsi e pertanto non sussiste il
requisito della doppia conformità”. I ricorrenti
osservano, al riguardo, che “Il Comune sembra (...)
ritenere che la doppia conformità in effetti esista, sia
pure con la realizzazione delle opere previste in progetto”
(v. p. 17 del ricorso), e traggono da ciò argomento per
affermare la contraddittorietà del giudizio di
inammissibilità del progetto.
Al riguardo, occorre ricordare che, secondo quanto chiarito
dalla giurisprudenza, anche della Sezione, con orientamento
che il Collegio ritiene di dover fare proprio e ribadire,
laddove un’istanza di sanatoria preveda la realizzazione di
ulteriori interventi per rendere l’opera conforme alle norme
vigenti, è palese l’insussistenza del requisito della
conformità al momento della richiesta di rilascio del titolo
in sanatoria. Un provvedimento di sanatoria che prevedesse
l’esecuzione di tali ulteriori lavori sarebbe quindi
illegittimo, poiché l’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001
non consente spazi interpretativi, nel senso che la
concessione in sanatoria è ammessa soltanto entro i limiti
delineati dal legislatore, senza alcuna possibilità di
estensione discrezionale da parte della p.a. (Cons. Giust.
Amm. Regione Siciliana, 15.10.2009, n. 941; TAR Lombardia,
Milano, Sez. II, 22.11.2010, n. 7311).
Queste considerazioni sono integralmente applicabili nel
caso di specie, non potendovi ostare la circostanza che
l’istanza della Società ricorrente sia stata formalmente
presentata come avente ad oggetto un nuovo intervento,
invece che come domanda di accertamento di conformità.
Rileva, infatti, il dato sostanziale, correttamente
evidenziato nel provvedimento impugnato, che il progetto
presentato miri a conservare una parte delle opere già
abusivamente realizzate.
11.4 In conclusione, deve quindi ribadirsi l’infondatezza
del secondo motivo di ricorso
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 13.08.2015 n. 1900 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: In
caso di successione nel tempo di strumenti urbanistici
generali, relativamente al rapporto fra opere abusive e la
normativa urbanistica deve tenersi conto della c.d. coppia
conformità, positivamente sancita dall’art. 36 del D.P.R. n.
380 del 2001, nella valutazione da effettuarsi in occasione
della presentazione di istanza di accertamento di
conformità, nel senso che condizione fondamentale per
l’accoglimento della predetta istanza è che le opere siano
conformi, sia con riferimento allo strumento urbanistico
vigente all’atto della realizzazione delle opere per le
quali si chiede la sanatoria, che con riferimento allo
strumento urbanistico esistente all’atto della presentazione
dell’istanza di sanatoria.
Ne consegue che secondo l’ordinamento positivo l’opera
realizzata è da considerare illegittima e non sanabile (e,
quindi, da eliminare), allorquando essa si presenta conforme
allo strumento urbanistico vigente all’atto della
valutazione dell’istanza di sanatoria, ma non altrettanto
con riferimento allo strumento urbanistico vigente all’atto
della sua realizzazione.
Con la seconda censura è dedotta la violazione di legge (L.R.
Campania 21/2003; D.L. vo 42/2004; L. 17.08.1942, n. 1150), oltre
alla Violazione Piano Regolatore Generale D.P.G.R. 29.12.1980, n. 14069 ed al Regolamento edilizio D.P.G.R.
29.11.1976, n. 4160.
La censura va disattesa.
Contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dai
ricorrenti, il Comune non pone in discussione che la
realizzazione dell’immobile sia avvenuta previa rilascio di
concessione edilizia e non fa derivare l’abusività
dell’opera per la circostanza di non essere stata previo
rilascio di adeguato titolo abilitativo, ma, sulla base del
verbale redatto in data 28.06.2014, dal locale Comando di
Polizia Municipale n. 135/2003/Ed, atto facente fede
privilegiata, sino a querela di falso (cfr. C. di S., sez. V,
05.11.2010, n. 7770), ritiene che, in difformità con quanto
previsto nella concessione n. 813/92, è stato realizzato un
“Cambio di destinazione d’uso del piano a civile abitazione,
precedentemente adibito a vano garage, mediante messa in
opere di tramezzature interne e di tutte le componenti
tecnico-idraulico ed elettriche ed il completo arredamento
delle superfici abitative pari a mt. 12,00 x 13.00 ed
altezza m. 3,00”, opere che, quindi, non risultano presidiate
dall’appropriato titolo abilitativo.
Infatti la suddetta concessione edilizia abilitava i
ricorrenti soltanto a costruire il manufatto nella
conformazione planovolumetrica assentita e non certo a
mutare la destinazione del piano seminterrato,
precedentemente adibito a garage, in civile abitazione con
la realizzazioni di ulteriori opere non previste nella
suddetta concessione edilizia, peraltro in una zona
classificata urbanisticamente come E1 agricola normale.
Inoltre la legge regionale n. 21 del 2003 tende appunto ad
escludere l'aumento dei volumi abitabili e dei carichi
urbanistici nelle zone a rischio vulcanico dell'area
Vesuviana, contemplando espressamente il divieto di ogni
mutamento di destinazione d'uso che comporta l'utilizzo a
scopo abitativo.
Le parti ricorrenti contestano siffatta destinazione ed a
comprova di tanto asseriscono che fin dalla realizzazione
dell’immobile lo hanno utilizzato a scopo abitativo-residenziale.
Tuttavia tali argomentazioni sono ultronee e inconferenti.
Nell’impugnato provvedimento si afferma che l'opera edile
ricade in zona classificata urbanisticamente in E1 agricola
normale, mentre parti ricorrenti soltanto apoditticamente,
senza sul punto fornire alcuna prova, ad esempio esibendo un
certificato di attuale destinazione urbanistica,
asseriscono, fermamente, con il supporto della relazione
tecnica allegata, che le opere realizzate dovrebbero
urbanisticamente inquadrarsi, rispetto al vigente P.R.G., in
zona B3 di “completamento delle frazioni”, rispetto al quale
le predette opere risulterebbero compatibili.
In ogni caso la valutazione di compatibilità urbanistica
delle opere ritenute abusive va operata sempre con
riferimento (anche) alla strumentazione urbanistica vigente
all’epoca di realizzazione dell’immobile.
Infatti, in caso di successione nel tempo di strumenti
urbanistici generali, relativamente al rapporto fra opere
abusive e la normativa urbanistica deve tenersi conto della
c.d. coppia conformità, positivamente sancita dall’art. 36
del D.P.R. n. 380 del 2001, nella valutazione da effettuarsi
in occasione della presentazione di istanza di accertamento
di conformità, nel senso che condizione fondamentale per
l’accoglimento della predetta istanza è che le opere siano
conformi, sia con riferimento allo strumento urbanistico
vigente all’atto della realizzazione delle opere per le
quali si chiede la sanatoria, che con riferimento allo
strumento urbanistico esistente all’atto della presentazione
dell’istanza di sanatoria.
Ne consegue che secondo l’ordinamento positivo l’opera
realizzata è da considerare illegittima e non sanabile (e,
quindi, da eliminare), allorquando essa si presenta conforme
allo strumento urbanistico vigente all’atto della
valutazione dell’istanza di sanatoria, ma non altrettanto
con riferimento allo strumento urbanistico vigente all’atto
della sua realizzazione, come nel caso di specie, laddove
nel Piano Regolatore Generale approvato con D.P.G.R. n.
14069 del 29.12.1980 la zona interessata dall’intervento era
classificata urbanisticamente come E1, agricola normale e le
previsioni urbanistiche contenute nel suddetto Piano
Regolatore Generale ed invocate dai ricorrenti si rivelano,
nel caso di specie, inapplicabili ed analogo discorso vale
per le limitazioni d’uso del territorio, attuate con la
Legge Regionale n. 21/2003, secondo i ricorrenti,
ripetutamente violata dal Comune di Pompei, in uno alle
altre leggi indicate nel secondo motivo di impugnazione
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 26.06.2015 n. 3405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' inammissibile la cosiddetta sanatoria "giurisprudenziale"
o "impropria".
Per costante giurisprudenza di legittimità, l'eventuale
sopravvenienza di strumenti di pianificazione urbanistica
che modifichino il preesistente regime edificatorio dei
suoli non è fattore idoneo a rimuovere la illegittimità
penale delle eventuali condotte già poste in essere in
contrasto con la preesistente disciplina urbanistica.
Ha, infatti, chiarito questa Corte che in tema di reati
urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad
estinguere il reato di cui all'art. 44 del dPR n. 380 del
2001, non ammettendo termini o condizioni, deve riguardare
l'intervento edilizio nel suo complesso e può essere
conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni
espressamente indicate dall'art. 36 del dPR cit. e,
precisamente, la doppia conformità delle opere alla
disciplina urbanistica vigente sia al momento della
realizzazione del manufatto, che al momento della
presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi
la possibilità di una legittimazione postuma di opere
originariamente abusive che, solo successivamente, in
applicazione della cosiddetta sanatoria "giurisprudenziale"
o "impropria", siano divenute conformi alle norme edilizie
ovvero ai sopravvenuti strumenti di pianificazione
urbanistica.
Ritenere, come parrebbe fare il ricorrente, che
l'intervenuta modificazione degli strumenti urbanistici
adottati in sede locale possa valere a recuperare a
legittimità tutti i manufatti che, realizzati in contrasto
con la disciplina vigente al momento della loro
edificazione, si trovino per avventura ad essere conformi a
quella sopravvenuta, equivarrebbe ad attribuire non al
legislatore, tantomeno a quello nazionale, ma
all'amministratore locale il potere (che, si badi, per
essere legittimamente utilizzato dal legislatore nazionale
deve essere dominato dal carattere della eccezionalità, come
più volte sottolineato dalla Corte costituzionale) di
adottare sostanziali misure di condono edilizio
territorialmente circoscritte, i cui effetti, difficilmente
preventivabili, sarebbero certamente pesantemente
pregiudizievoli sull'ordinato assetto del territorio.
Quale ulteriore motivo di lagnanza il D. ha dedotto la
ingiustificata protrazione del sequestro sull'intera area
del complesso edilizio, evidenziandosi in tale modo
l'evidente sproporzione fra gli effetti dell'atto impugnato
e le sue finalità cautelari; d'altra parte, aggiungeva il
ricorrente, la approvazione del nuovo PUG da parte del
Comune di Porto Cesareo dovrebbe sicuramente incidere
positivamente nel senso della revoca del sequestro stante la
evidente manifestazione di volontà da parte del detto Comune
di riconoscere, ex post, la conformità degli
interventi realizzati alle nuove previsioni urbanistiche.
Ambedue le doglianze non appaiono condivisibili.
Con riferimento alla prima, osserva la Corte che, per
costante giurisprudenza di legittimità, l'eventuale
sopravvenienza di strumenti di pianificazione urbanistica
che modifichino il preesistente regime edificatorio dei
suoli non è fattore idoneo a rimuovere la illegittimità
penale delle eventuali condotte già poste in essere in
contrasto con la preesistente disciplina urbanistica.
Ha, infatti, chiarito questa Corte che in tema di reati
urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad
estinguere il reato di cui all'art. 44 del dPR n. 380 del
2001, non ammettendo termini o condizioni, deve riguardare
l'intervento edilizio nel suo complesso e può essere
conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni
espressamente indicate dall'art. 36 del dPR cit. e,
precisamente, la doppia conformità delle opere alla
disciplina urbanistica vigente sia al momento della
realizzazione del manufatto, che al momento della
presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi
la possibilità di una legittimazione postuma di opere
originariamente abusive che, solo successivamente, in
applicazione della cosiddetta sanatoria "giurisprudenziale"
o "impropria", siano divenute conformi alle norme
edilizie ovvero ai sopravvenuti strumenti di pianificazione
urbanistica (Corte di cassazione, Sezione III penale,
18.11.2014, n. 47402; idem Sezione III penale, 21.06.2007,
n. 24451).
D'altra parte la originaria illiceità degli interventi
edilizi compiuti nel tempo all'interno del complesso
turistico denominato Riva degli angeli è stata ampiamente
testimoniata dalla sentenza di questa Corte, richiamata
anche dalla difesa del D., con la quale è stata rigettata la
impugnazione della ordinanza reiettiva del riesame ex art.
309 cod. proc. pen. del provvedimento di sequestro
preventivo emesso dal Gip di Lecce; in quella sede, infatti,
questa Corte ebbe a ritenere che "in buona sostanza, le
opere realizzate dovevano ritenersi assolutamente
incompatibili con la destinazione urbanistica della zona e,
sin dall'origine, finalizzate a realizzare un ampio
complesso residenziale che è stato abusivamente e
progressivamente ampliato".
Ritenere, come parrebbe fare il ricorrente, che
l'intervenuta modificazione degli strumenti urbanistici
adottati in sede locale possa valere a recuperare a
legittimità tutti i manufatti che, realizzati in contrasto
con la disciplina vigente al momento della loro
edificazione, si trovino per avventura ad essere conformi a
quella sopravvenuta, equivarrebbe ad attribuire non al
legislatore, tantomeno a quello nazionale, ma
all'amministratore locale il potere (che, si badi, per
essere legittimamente utilizzato dal legislatore nazionale
deve essere dominato dal carattere della eccezionalità, come
più volte sottolineato dalla Corte costituzionale: cfr.
sentenze n. 196 del 2004 e n. 256 del 1996) di adottare
sostanziali misure di condono edilizio territorialmente
circoscritte, i cui effetti, difficilmente preventivabili,
sarebbero certamente pesantemente pregiudizievoli
sull'ordinato assetto del territorio
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 25.06.2015 n. 26715). |
EDILIZIA PRIVATA:
Giova ricordare l’art. 36
del d.P.R. 06.06.2001 n. 380, ai sensi del quale “in caso di
interventi realizzati in assenza di permesso di costruire,
(…)il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario
dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se
l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.
La disposizione de qua dunque, nel dettare i presupposti
soggettivi e oggettivi necessari per ottenere il beneficio
della sanatoria, evoca tra i soggetti legittimati, oltre al
proprietario dell’immobile abusivo, anche il responsabile
dell’abuso, ossia colui il quale è legato da una relazione
di fatto, e non di diritto, all'immobile.
La giurisprudenza, intervenendo sul punto, ha chiarito che
la platea degli aventi diritto non è affatto circoscritta a
chi vanti una situazione giuridica d'appartenenza sull'opus,
essendo estesa, oltre al responsabile dell'abuso, a tutti
coloro i quali abbiano un interesse qualificato alla
sanatoria.
E questo interesse coincide con quello pubblico alla celere
regolarizzazione degli immobili insistenti sul territorio
per mettere fine a situazioni di illiceità amministrativa,
suscettibili di essere riparate, ai sensi dell'art. 36,
comma 2, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, mediante il pagamento
del contributo di costruzione in misura doppia da destinarsi
all'adeguamento dell'assetto urbano.
---------------
Deve ritenersi che la mancata dimostrazione del diritto di
proprietà su tutte le particelle su cui l’opera grava non
rappresenta una valida causa ostativa al rilascio della
sanatoria, atteso che la posizione di responsabili
dell'abuso rivestita dai ricorrenti costituisce, in forza
del chiaro disposto normativo di cui all’art. 36 d.P.R.
06.06.2001, n. 380, titolo ex se necessario e sufficiente a
legittimare la presentazione del richiesto titolo edilizio
in sanatoria.
... per l'annullamento della nota prot. n. 3952 notificata
il 20.10.2014, con la quale il Comune di Longobardi ha
comunicato il diniego del permesso di costruire ed ha,
altresì, adottato tutti i provvedimenti di competenza
successivi previsti per la repressione dell’abuso, nonché
della relazione istruttoria n. prot. 2834 del 09.07.2014 del
Responsabile del procedimento, nonché di ogni atto comunque
connesso, presupposto e consequenziale al provvedimento
impugnato.
...
5. - La soluzione del caso in esame non può prescindere dal
richiamo all’art. 36 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380, ai sensi
del quale “in caso di interventi realizzati in assenza di
permesso di costruire, (…)il responsabile dell'abuso, o
l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il
permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”.
La disposizione de qua dunque, nel dettare i
presupposti soggettivi e oggettivi necessari per ottenere il
beneficio della sanatoria, evoca tra i soggetti legittimati,
oltre al proprietario dell’immobile abusivo, anche il
responsabile dell’abuso, ossia colui il quale è legato da
una relazione di fatto, e non di diritto, all'immobile.
La giurisprudenza, intervenendo sul punto, ha chiarito che
la platea degli aventi diritto non è affatto circoscritta a
chi vanti una situazione giuridica d'appartenenza sull'opus,
essendo estesa, oltre al responsabile dell'abuso, a tutti
coloro i quali abbiano un interesse qualificato alla
sanatoria (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11.06.2013, n. 3220;
Cons. Stato, Sez. VI, 27.06.2008, n. 3282).
E questo interesse coincide con quello pubblico alla celere
regolarizzazione degli immobili insistenti sul territorio
per mettere fine a situazioni di illiceità amministrativa,
suscettibili di essere riparate, ai sensi dell'art. 36,
comma 2, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, mediante il pagamento
del contributo di costruzione in misura doppia da destinarsi
all'adeguamento dell'assetto urbano (TAR Liguria, Sez. I,
28.05.2014, n. 800).
Ciò ricordato, va evidenziato che il Comune di Longobardi ha
adottato il provvedimento di diniego del permesso di
costruire in sanatoria sull’assunto della mancata
dimostrazione, da parte dei ricorrenti, del diritto di
proprietà di una porzione di fondo sul quale insiste la
res abusiva.
Nondimeno, sulla base di quanto sinora illustrato, deve
ritenersi che la mancata dimostrazione del diritto di
proprietà su tutte le particelle su cui l’opera grava non
rappresenta una valida causa ostativa al rilascio della
sanatoria, atteso che la posizione di responsabili
dell'abuso rivestita dai ricorrenti costituisce, in forza
del chiaro disposto normativo di cui all’art. 36 d.P.R.
06.06.2001, n. 380, titolo ex se necessario e
sufficiente a legittimare la presentazione del richiesto
titolo edilizio in sanatoria.
Il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento
dei provvedimenti impugnati
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 16.06.2015 n. 1090 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
ILLEGITTIMA LA SANATORIA SUBORDINATA
ALL’ESECUZIONE DI OPERE EDILIZIE SULL’IMMOBILE
ABUSIVO PER RENDERLO “SANABILE”.
Non sono legittimi, e pertanto sono inidonei ad estinguere
il reato di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del
2001, i provvedimenti amministrativi di sanatoria di
immobile
abusivo che subordinano gli effetti del beneficio
alla esecuzione di specifici interventi finalizzati a
ricondurre
l’immobile stesso nell’alveo di conformità agli
strumenti urbanistici, atteso che detta subordinazione
è ontologicamente contrastante con la ratio della sanatoria,
collegabile alla già avvenuta esecuzione delle
opere e alla loro conformità agli strumenti urbanistici.
Il tema oggetto di attenzione da parte della Suprema Corte
con la sentenza in esame è quello, assai frequente nella
giurisprudenza di legittimità, della possibilità di
ammettere
la c.d. sanatoria edilizia anche in relazione ad immobili
abusivi,
condizionando la sanatoria medesima all’esecuzione
di opere sull’immobile abusivo per renderlo sanabile.
La
vicenda
processuale trae origine dalla sentenza di condanna,
emessa in appello, che aveva riformato quella di primo grado
che aveva assolto gli imputati dal reato di avere
realizzato,
in concorso tra loro, in parziale difformità rispetto alla
concessione edilizia, interventi nei locali interrati di un
edificio
in costruzione, modificativi delle altezze predefinite,
con conseguente variazione volumetrica degli stessi, con
realizzazione di una rampa con pendenza differente da
quella abilitata.
La Corte d’Appello di Trento, chiamata a
pronunciarsi sull’appello interposto dal Procuratore della
Repubblica, aveva dichiarato i prevenuti responsabili del
reato ad essi ascritto.
Contro la sentenza proponeva ricorso per cassazione il
direttore
dei lavori, in particolare sostenendo l’estinzione del
reato edilizio per intervenuto rilascio della concessione in
sanatoria.
La Cassazione, nell’affermare il principio di cui in
massima,
ha dichiarato inammissibile il ricorso, in particolare
osservando
come nessun rilievo può attribuirsi alla concessione
in sanatoria in quanto la stessa risultava condizionata alla
effettuazione di determinati interventi: infatti, in materia
edilizia, per giurisprudenza pacifica della Cassazione, non
è
ammissibile il rilascio di una concessione in sanatoria,
d.P.R. n. 380 del 2001, ex artt. 36 e 45, subordinata alla
esecuzione di opere, atteso che ciò contrasta
ontologicamente
con gli elementi essenziali dell’accertamento di conformità,
i quali presuppongono la già avvenuta esecuzione
delle opere e la loro integrale conformità alla disciplina
urbanistica
(v., tra le tante: Cass. pen., Sez. III, 12.11.2007, n. 41567, P.M. in proc. R. e altro, in CED, n.
238020) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.06.2015 n. 24583
- Urbanistica e appalti
n. 10/2015). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quanto alla “sanatoria giurisprudenziale”, si
tratta non di un autonomo istituto giuridico liberamente
utilizzabile dall’amministrazione comunale quasi fosse una
normale via di ordinaria gestione degli interventi sul
territorio (una sorta di pagamento di un onere concessorio
particolarmente rilevante, ma pur comunque ordinariamente
legittimante) ma di un mero effetto eccezionale a fronte di
quello che comunque è e resta un abuso edilizio, per di più
ammesso solo da una parte della giurisprudenza: che deroga
alla tassatività dell’accertamento di conformità dell’art.
36 d.P.R. n. 380 del 2001 e la cui ragione viene di solito
ricercata nell’eccessività, rispetto all’interesse alla
tutela dell’ordine urbanistico sostanziale, dell’imporre la
demolizione (o l’acquisizione gratuita) di un’opera che è
senza titolo ma che è al contempo conforme alla disciplina
urbanistica e dunque avrebbe potuto essere autorizzata su
regolare istanza: la finalità è di evitare un’inutile
dissipazione di mezzi e risorse.
L’effetto però non è affatto pacifico, perché rischia di
negare il non casuale rigore dell’art. 36, che –con la sua
regola della doppia conformità urbanistica– è lo strumento
previsto dalla legge per la titolazione postuma di manufatti
realizzati senza previo titolo.
Va a questo
punto considerato quanto alla, evocata
dall’amministrazione, “sanatoria giurisprudenziale”, che si
tratta non di un autonomo istituto giuridico liberamente
utilizzabile dall’amministrazione comunale quasi fosse una
normale via di ordinaria gestione degli interventi sul
territorio (una sorta di pagamento di un onere concessorio
particolarmente rilevante, ma pur comunque ordinariamente
legittimante) ma di un mero effetto eccezionale a fronte di
quello che comunque è e resta un abuso edilizio, per di più
ammesso solo da una parte della giurisprudenza: che deroga
alla tassatività dell’accertamento di conformità dell’art.
36 d.P.R. n. 380 del 2001 e la cui ragione viene di solito
ricercata nell’eccessività, rispetto all’interesse alla
tutela dell’ordine urbanistico sostanziale, dell’imporre la
demolizione (o l’acquisizione gratuita) di un’opera che è
senza titolo ma che è al contempo conforme alla disciplina
urbanistica e dunque avrebbe potuto essere autorizzata su
regolare istanza: la finalità è di evitare un’inutile
dissipazione di mezzi e risorse (tra varie, Cons. Stato, V,
06.07.2012, n. 3961).
L’effetto però non è affatto pacifico, perché rischia di
negare il non casuale rigore dell’art. 36, che –con la sua
regola della doppia conformità urbanistica– è lo strumento
previsto dalla legge per la titolazione postuma di manufatti
realizzati senza previo titolo (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.06.2015 n. 2784 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: L'interpretazione
della norma alla quale accede la giurisprudenza più recente
è nel senso di valorizzare il presupposto applicativo della
doppia conformità di guisa da escludere cittadinanza alla
pur divisata sanatoria giurisprudenziale.
Secondo l’orientamento maggiormente seguito in sede pretoria,
infatti, predicare l'operatività della sanatoria
giurisprudenziale, consentendo la legittimazione postuma di
opere originariamente e sostanzialmente abusive, significa
tradire il principio di legalità, rinveniente dagli art. 24,
97, 101 e 113 Cost., oltre che dall'art. 1, comma 1, l.
07.08.1990 n. 241, sia in quanto svuoterebbe della sua
portata precettiva, certa e vincolante la disciplina
urbanistica e edilizia vigente al momento della commissione
degli illeciti, sia in quanto, estendendosi l'ambito
oggettivo di applicazione del permesso di costruire in
sanatoria, se ne violerebbe la tipicità provvedimentale,
ancorata dalla norma primaria che lo prevede (art. 36,
d.P.R. n. 380 del 06.06.2001) alle sole violazioni di ordine
formale; inoltre si finirebbe per premiare gli autori degli
abusi edilizi sostanziali, a discapito di tutti coloro che
abbiano correttamente eseguito attività edificatorie, nel
doveroso convincimento di rispettare prescrizioni da altri,
invece, impunemente violate e risulterebbe attenuata, se non
addirittura neutralizzata, la forza deterrente dell'apparato
sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo
del territorio.
--------------
Il permesso di costruire in sanatoria contenente
prescrizioni è in palese contrasto con l'art. 36, d.P.R. n.
380 del 2001 poiché postulerebbe non già la cd. doppia
conformità delle opere abusive pretesa dalla disposizione in
parola, ma una sorta di conformità ex post, condizionata
all'esecuzione delle prescrizioni e quindi non esistente al
tempo della presentazione della domanda di sanatoria, ma,
eventualmente, solo alla data futura ed incerta in cui la
richiedente avrebbe ottemperato alle prescrizioni.
I. Il ricorso
è infondato.
Viene all’esame del Collegio la questione della legittimità
del provvedimento con il quale il Comune di Montoro ha
respinto l’istanza di accertamento di conformità avanzata
dai ricorrenti per la sanatoria di un fabbricato, sito alla
località Macchioni della frazione San Bartolomeo.
Tale atto denegante si fonda sulla seguente testuale
motivazione: “la mancanza del lotto minimo di mq.
4.000,00 previsto dalle norme di attuazione del piano
regolatore generale; - la destinazione del fabbricato a
civili abitazioni in contrasto con le normative vigenti in
zona agricola che prevedono la realizzazione di un immobile
a servizio di un fondo agricolo con maggiore destinazione
d’uso a pertinenza agricola”.
Poiché le ricorrenti, nel corso del procedimento, avevano
evidenziato di avere acquistato, con atto di compravendita
rep. n. 37680 del 15.12.2012, un’ulteriore consistenza
immobiliare al rappresentato fine di conseguire la minimale
estensione del lotto, a tal riguardo, nel corredo
motivazionale dell’atto impugnato, specificamente si osserva
che “Solo successivamente all’accertamento edilizio ed
all’emissione dell’ordinanza n. 124 del 14/09/2012, e
precisamente in data 15/12/2012, i coniugi G.M. e P.L. hanno
acquistato un terreno confinante per raggiungere le
dimensioni del lotto minimo”.
I.1. Parte ricorrente contesta la legittimità di tale
diniego, assumendo, nell’ambito del primo motivo di ricorso,
che la conseguita conformità urbanistica ed edilizia del
manufatto alla data (16.01.2014) cui risale l’istanza di
sanatoria, attraverso il predetto atto di compravendita di
un terreno attiguo (foglio n. 18, part.lle 1671-1673-320),
sarebbe sufficiente ai fini del rilascio del sospirato
titolo edilizio, ostando il principio della doppia
conformità di cui all’art. 36 d.p.r. n. 380/2001 solo
nell’ipotesi di variazione peggiorativa della disciplina
edilizia ed urbanistica di zona e non anche nell’ipotesi di
conformità dell’intervento alla data di rilascio del titolo.
Sussisterebbero, in ogni caso, i presupposti per la
cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, risultando così
sufficiente la conformità sopraggiunta dell’intervento al
momento della proposizione della domanda.
I rilievi sollevati non colgono nel segno, in quanto
trascurano la precisa formulazione del citato art. 36, che
così dispone: “1. In caso di interventi realizzati in
assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso,
ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio
attività nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 3, o in
difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui
agli articolo 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e
comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative,
il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario
dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se
l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.
L'interpretazione della norma alla quale accede la
giurisprudenza più recente è nel senso di valorizzare il
presupposto applicativo della doppia conformità di guisa da
escludere cittadinanza alla pur divisata sanatoria
giurisprudenziale.
Secondo l’orientamento maggiormente seguito in sede pretoria,
infatti, predicare l'operatività della sanatoria
giurisprudenziale, consentendo la legittimazione postuma di
opere originariamente e sostanzialmente abusive, significa
tradire il principio di legalità, rinveniente dagli art. 24,
97, 101 e 113 Cost., oltre che dall'art. 1, comma 1, l.
07.08.1990 n. 241, sia in quanto svuoterebbe della sua
portata precettiva, certa e vincolante la disciplina
urbanistica e edilizia vigente al momento della commissione
degli illeciti, sia in quanto, estendendosi l'ambito
oggettivo di applicazione del permesso di costruire in
sanatoria, se ne violerebbe la tipicità provvedimentale,
ancorata dalla norma primaria che lo prevede (art. 36,
d.P.R. n. 380 del 06.06.2001) alle sole violazioni di ordine
formale; inoltre si finirebbe per premiare gli autori degli
abusi edilizi sostanziali, a discapito di tutti coloro che
abbiano correttamente eseguito attività edificatorie, nel
doveroso convincimento di rispettare prescrizioni da altri,
invece, impunemente violate e risulterebbe attenuata, se non
addirittura neutralizzata, la forza deterrente dell'apparato
sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo
del territorio (TAR Perugia, sez. I, 03.12.2014, n. 590; TAR
Napoli, sez. VIII, 20.03.2014, n. 1690; TAR Aosta-Valle
d'Aosta - sez. I, 11.03.2014, n. 13; TAR Firenze-Toscana -
sez. III, 27.03.2013, n. 497; Consiglio di Stato, sez. IV,
26.04.2006, n. 2306).
Il conseguimento del lotto minimo solo in data successiva
alla realizzazione del manufatto non integra quindi il
presupposto per rilascio del titolo edilizio secondo i due
riferimenti temporali normativamente imposti. Né vi sono
spiragli per accedere alla lettura restrittiva della norma
auspicata in ricorso, non potendosi ricavare dal suo tratto
testuale che il requisito della doppia conformità non sia
richiesto in assenza di modifiche della disciplina
urbanistica intercorse tra i due momenti in cui la verifica
di compatibilità deve essere effettuata. Ciò che
invariabilmente richiede la norma infatti è che, in
relazione a ciascuno di essi, le opere oggetto di sanatoria
devono risultare conformi alla normativa urbanistica ed
edilizia vigente. La censura in esame va quindi disattesa.
I.2. Nemmeno persuade il secondo mezzo, col quale si assume
la infondatezza del secondo versante motivazionale,
afferente al rilevato contrasto della destinazione d’uso con
le normative vigenti in zona agricola, non potendosi
condividere quanto auspicato dai ricorrenti nel senso che il
rilevato contrasto si sarebbe potuto superare con una
semplice prescrizione sul rapporto tra le diverse
destinazioni, in quanto, come da costante orientamento della
giurisprudenza, la sanatoria edilizia ai sensi dell’art. 36,
per sua stessa natura, non può contenere prescrizioni atte a
modificare l’esistente.
Questa stessa Sezione (28.05.2014, n. 1017) ha, infatti, di
recente evidenziato che il permesso di costruire in
sanatoria contenente prescrizioni è in palese contrasto con
l'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001 poiché postulerebbe non
già la cd. doppia conformità delle opere abusive pretesa
dalla disposizione in parola, ma una sorta di conformità
ex post, condizionata all'esecuzione delle prescrizioni
e quindi non esistente al tempo della presentazione della
domanda di sanatoria, ma, eventualmente, solo alla data
futura ed incerta in cui la richiedente avrebbe ottemperato
alle prescrizioni. Ad ogni modo, stante la idoneità del
corno motivazionale afferente alla rilevata mancanza del
requisito del lotto minimo all’epoca di realizzazione del
manufatto a sorreggere la impugnata determinazione, la
disamina del motivo in esame diviene superflua.
Costituisce invero “ius receptum” che quando la
reiezione di una pretesa vantata dall'interessato si fondi
su una pluralità di ragioni ostative, ciascuna sufficiente a
sorreggere la determinazione negativa, il consolidamento
anche di uno solo dei motivi di diniego, per la mancata
deduzione di censure contro di esso o per l'infondatezza
delle relative doglianze, comporta l'inammissibilità delle
contestazioni rivolte contro tutti gli altri elementi
ostativi. Infatti, laddove un atto sia plurimotivato, ovvero
fondato su più profili motivazionali da soli idonei a
sorreggerlo, la mancata formulazione di censure avverso una
di tali parti motivazionali rende il ricorso inammissibile
per difetto di interesse a ricorrere, restando l'atto
idoneamente sorretto dal profilo motivazionale non oggetto
di impugnativa (TAR Napoli–Campania - sez. VII, 05.12.2014,
n. 6377) (cfr. TAR Napoli–Campania - sez. VI, 10.02.2015, n.
978)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 19.05.2015 n. 1038 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
l’orientamento oggi prevalente, predicare l’operatività
della sanatoria giurisprudenziale, consentendo la
legittimazione postuma di opere originariamente e
sostanzialmente abusive, significa tradire il principio di
legalità, desumibile da una fitta trama di norme
costituzionali, e poi ribadito expressis verbis dall’art. 1
della legge n. 241 del 1990, sia in quanto svuoterebbe della
sua portata precettiva, certa e vincolante, la disciplina
urbanistica ed edilizia vigente al momento della commissione
degli illeciti, sia in quanto, estendendosi l’ambito
oggettivo di applicazione del permesso di costruire in
sanatoria, se ne violerebbe la tipicità provvedimentale,
ancorata dalla norma primaria (art. 36 del d.P.R. n. 380 del
2001) alle sole violazioni di ordine formale.
Inoltre verrebbero in tale modo ad essere premiati gli
autori degli abusi edilizi sostanziali, a discapito di tutti
coloro che abbiano correttamente eseguito attività
edificatorie, nel doveroso convincimento di rispettare
prescrizioni, da altri, invece, violate e risulterebbe anche
fortemente limitata la forza deterrente dell’apparato
sanzionatorio, posto a presidio della disciplina del governo
e del territorio.
4. - E’ evidente peraltro che il perno centrale intorno al
quale ruota il ricorso è costituito dalla terza censura, con
la quale si invoca, seppure in via subordinata al mancato
riconoscimento della doppia conformità (implicita peraltro
nel precedente giudicato amministrativo, concernente
l’ordinanza di demolizione del 1999), richiesta dall’art. 17
della l.r. n. 21 del 2004 per l’accertamento di conformità,
la c.d. sanatoria giurisprudenziale, sussistendo attualmente
le condizioni per assentire la sanatoria edilizia, in
subordine ipotizzandosi anche l’illegittimità costituzionale
della disciplina statale e regionale relativa
all’accertamento di conformità, nella prospettiva che non
sia ragionevole né conforme al canone del buon andamento
imporre la demolizione dell’opera, allorché poi sussista la
possibilità giuridica di riedificazione dello stesso
immobile.
Anche tale motivo non appare meritevole di condivisione.
A questo proposito non può il Collegio non richiamare il
proprio recente precedente (TAR Umbria, 03.12.2014, n. 590)
con il quale si è precisato che, secondo l’orientamento oggi
prevalente, predicare l’operatività della sanatoria
giurisprudenziale, consentendo la legittimazione postuma di
opere originariamente e sostanzialmente abusive, significa
tradire il principio di legalità, desumibile da una fitta
trama di norme costituzionali, e poi ribadito expressis
verbis dall’art. 1 della legge n. 241 del 1990, sia in
quanto svuoterebbe della sua portata precettiva, certa e
vincolante, la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al
momento della commissione degli illeciti, sia in quanto,
estendendosi l’ambito oggettivo di applicazione del permesso
di costruire in sanatoria, se ne violerebbe la tipicità
provvedimentale, ancorata dalla norma primaria (art. 36 del
d.P.R. n. 380 del 2001) alle sole violazioni di ordine
formale.
Inoltre verrebbero in tale modo ad essere premiati gli
autori degli abusi edilizi sostanziali, a discapito di tutti
coloro che abbiano correttamente eseguito attività
edificatorie, nel doveroso convincimento di rispettare
prescrizioni, da altri, invece, violate e risulterebbe anche
fortemente limitata la forza deterrente dell’apparato
sanzionatorio, posto a presidio della disciplina del governo
e del territorio.
Anche in relazione alla prospettata questione di legittimità
costituzionale, il precedente da ultimo richiamato ne ha
rilevato la manifesta infondatezza, proprio alla stregua
delle coordinate ermeneutiche inferibili dalla
giurisprudenza costituzionale, la quale ha più volte
ribadito la natura di principio, vincolante per la
legislazione regionale, della “doppia conformità”
(Corte cost. 31.03.1998, n. 370; 13.05.1993, n. 231;
27.02.2013, n. 101)
(TAR Umbria,
sentenza 12.05.2015 n. 203 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' principio vigente nella materia de qua,
confermato dalla recente legislazione (art. 36, D.P.R.
06.06.2001, n. 380) che esplicitamente richiede la cd.
“doppia conformità” -valevole anche riguardo al caso in
esame- quello secondo cui la concessione edilizia in
sanatoria presuppone la conformità del manufatto abusivo
agli strumenti urbanistici vigenti, sia al tempo della sua
realizzazione, sia al momento in cui si chiede il rilascio
del provvedimento di sanatoria o condono..
L'accertamento di conformità previsto dall'art. 13 della l.
28.02.1985, n. 47, poi confluito nel citato art. 36 del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, infatti, è diretto a sanare le
opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il
previo rilascio del titolo, ma conformi nella sostanza alla
disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui
sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione,
sia al momento della presentazione dell'istanza di
sanatoria.
Il provvedimento di accertamento di conformità assume,
pertanto, una connotazione eminentemente oggettiva e
vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali, dovendo
l'autorità procedente valutare l'assentibilità dell'opera
eseguita senza titolo, sulla base della normativa
urbanistica e edilizia vigente, in relazione ad entrambi i
momenti considerati dalla norma.
---------------
Alla luce del costante orientamento della giurisprudenza,
non è obbligatorio il parere della commissione edilizia
comunale, ai fini del rilascio delle concessioni edilizie di
sanatoria, in quanto, tra l’altro, non espressamente
previsto dalla normativa specifica in materia.
Quanto al secondo motivo: la questione essenziale è se
l’immobile di cui trattasi si trovasse sia al tempo della
sua edificazione, sia a quello della richiesta di sanatoria,
secondo la regola della cd. doppia conformità -di cui in
seguito si dirà e che parte ricorrente ha del tutto omesso
di considerare- entro la fascia d’inedificabilità assoluta
dei 150 metri dalla battigia ai sensi del combinato disposto
degli artt. 23 della l.r. n. 37 del 1985 e 15, lett. a),
della l.r. n. 78 del 1976, e, in caso affermativo, se la
costruzione sia stata iniziata prima dell' entrata in vigore
della medesima legge (16.06.1976) e le sue strutture
essenziali portate a compimento entro il 31.12.1976.
Ebbene, va rilevato che parte ricorrente, su cui gravava
tale prova, non ha assolto detto onere, essendosi limitata a
contestare labialmente e genericamente l’attendibilità
probatoria del fotopiano cui ha fatto riferimento il Comune
intimato per accertare che alla data del 15.06.1976
l’immobile de quo non era ancora esistente e neanche in fase
di avvio di edificazione: ne discende, quanto meno, che la
dichiarazione resa sul punto dalla prima proprietaria al
fine dell’ottenimento del titolo edilizio in sanatoria, non
sarebbe veritiera.
Nessuna documentazione ha allegato parte ricorrente (ad es.
atto di acquisto, perizie tecniche, planimetrie, fotografie
aeree, fatture, ricevute, bolle di consegna, relative
all'esecuzione dei lavori e/o all'acquisto dei materiali,
sopralluoghi, e così via), da valere almeno quale principio
di prova, volto a dimostrare che alla data di commissione
dell’abuso edilizio, e al momento della domanda di
sanatoria, l’immobile non si trovasse entro la fascia dei
150 dalla battigia, non potendo limitarsi a contestare i
dati in possesso del Comune acquisiti, verosimilmente, anche
sulla base della documentazione prodotta in seno all’istanza
di sanatoria, richiamata nella motivazione del diniego di
sanatoria, dalla quale evincere anche la localizzazione
dell’opera (in materia di ripartizione dell'onere della
prova, rispetto al profilo specifico della data di
realizzazione delle opere da sanare, ex multis v. Cons.
Stato, sez. IV, 02.02.2011, n. 752; sez. V, 06.02.1999, n. 124; 24.10.1996, n. 1275; TAR Lazio, Roma,
sez. II, 03.05.2011, n. 3813; TAR Campania, Napoli,
sez. VI, 27.04.2011, n. 2365; TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 19.04.2011, n. 1003).
Resta pertanto incontestabile che dalla ripresa aerea del 15.06.1976, sull’area in questione non è stata rilevata
l’esistenza di alcun manufatto, magari in fase di iniziale
edificazione, restando irrilevante l’asserita finalità di
studio per la quale tale ripresa aerea sarebbe stata
originariamente effettuata, poiché ciò, ovviamente, non
incide sul dato notorio che l’aerofotogrammetria è
attualmente il sistema di rilevamento più utilizzato nella
realizzazione di cartografia per uso tecnico attesa la
velocità di tracciamento dei particolari del terreno e la
precisione geometrica che la caratterizza, relativamente a
zone molto ampie di territorio da cartografare.
A fronte di tale omesso principio di prova, ritiene il
Collegio di non poter far uso del proprio potere
acquisitivo, seppur sollecitato dalla ricorrente.
Giova, a questo punto, ricordare che è principio vigente
nella materia de qua, confermato dalla recente legislazione
(art. 36, D.P.R. 06.06.2001, n. 380) che esplicitamente
richiede la cd. “doppia conformità” -valevole anche
riguardo al caso in esame- quello secondo cui la
concessione edilizia in sanatoria presuppone la conformità
del manufatto abusivo agli strumenti urbanistici vigenti,
sia al tempo della sua realizzazione, sia al momento in cui
si chiede il rilascio del provvedimento di sanatoria o
condono (cfr. TAR Sicilia, Palermo, III, 09.11.2009,
n. 1743; II, 11.02.2003, n. 805; TAR Sicilia,
Catania, I, 09.01.2009, n. 5).
L'accertamento di conformità previsto dall'art. 13 della l.
28.02.1985, n. 47, poi confluito nel citato art. 36 del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, infatti, è diretto a sanare le
opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il
previo rilascio del titolo, ma conformi nella sostanza alla
disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui
sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione,
sia al momento della presentazione dell'istanza di
sanatoria.
Il provvedimento di accertamento di conformità assume,
pertanto, una connotazione eminentemente oggettiva e
vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali, dovendo
l'autorità procedente valutare l'assentibilità dell'opera
eseguita senza titolo, sulla base della normativa
urbanistica e edilizia vigente, in relazione ad entrambi i
momenti considerati dalla norma.
E’ altrettanto privo di fondamento l’assunto che vorrebbe
attribuire effetto viziante alla mancanza del parere della
Commissione edilizia comunale, alla luce del costante
orientamento della giurisprudenza, anche di questo
Tribunale, secondo il quale non è obbligatorio il parere
della commissione edilizia comunale, ai fini del rilascio
delle concessioni edilizie di sanatoria, in quanto, tra
l’altro, non espressamente previsto dalla normativa
specifica in materia (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16.10.1998, n. 1306; TAR Sicilia, Palermo, III,
03.05.2012,
n. 906; TAR Lazio, Roma, II-bis, 21.01.2013, n. 646)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 06.05.2015 n. 1096 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’accertamento
di conformità deve riguardare opere già provviste di doppia
conformità e solo formalmente abusive, in quanto carenti di
titolo ma conformi alla disciplina urbanistica. Non è dunque
ammissibile una sanatoria mediante lavori di
regolarizzazione (come appunto nella specie) e non di
semplice completamento.
Circa la c.d. sanatoria giurisprudenziale (per cui sarebbe
sufficiente la regolarità edilizia ed urbanistica solo al
momento della presentazione della domanda di sanatoria) essa
è affermata in un orientamento giurisprudenziale minoritario
e non condivisibile, rispetto a quello che postula il
requisito della doppia conformità, conformemente d’altra
parte al dettato normativo delle conferenti disposizioni
statuali e regionali.
In quest’ultima, in particolare, correttamente si afferma,
tra l’altro, che detto istituto, di matrice
giurisprudenziale, in quanto introduce un atipico atto con
effetti provvedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione
normativa, non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento,
caratterizzato dal principio di legalità dell'azione
amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati
dall'Amministrazione, secondo il principio di nominatività,
poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la
violazione del principio di separazione dei poteri e pena
l'invasione nelle sfere di attribuzioni riservate
all'Amministrazione.
L’Amministrazione, ha precisato, in effetti, che gli abusi
hanno determinato, già al momento della realizzazione degli
stessi, la non conformità dell’intervento alle norme
edilizie ed urbanistiche della zona in cui ricade il lotto
interessato (sul punto nemmeno vi è specifica e puntuale
confutazione da parte della ricorrente).
Ha evidenziato poi, con ampio e condivisibile excursus
argomentativo (che il Collegio fa proprio): che
l’accertamento di conformità deve riguardare opere già
provviste di doppia conformità e solo formalmente abusive,
in quanto carenti di titolo ma conformi alla disciplina
urbanistica; che non è dunque ammissibile una sanatoria
mediante lavori di regolarizzazione (come appunto nella
specie) e non di semplice completamento; che circa la c.d.
sanatoria giurisprudenziale (per cui sarebbe sufficiente la
regolarità edilizia ed urbanistica solo al momento della
presentazione della domanda di sanatoria) essa è affermata
in un orientamento giurisprudenziale minoritario e non
condivisibile, rispetto a quello che postula il requisito
della doppia conformità, conformemente d’altra parte al
dettato normativo delle conferenti disposizioni statuali e
regionali (sul punto, in aggiunta a quanto sopra, questo
Collegio si limita a richiamare, per tutte, le pronunce del
CdS, V, n. 3961/2012; IV, n. 3072/2013; V, n. 3220/2013).
In quest’ultima, in particolare, correttamente si afferma,
tra l’altro, che detto istituto, di matrice
giurisprudenziale, in quanto introduce un atipico atto con
effetti provvedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione
normativa, non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento,
caratterizzato dal principio di legalità dell'azione
amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati
dall'Amministrazione, secondo il principio di nominatività,
poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la
violazione del principio di separazione dei poteri e pena
l'invasione nelle sfere di attribuzioni riservate
all'Amministrazione
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 05.05.2015 n. 6371 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA: Non
trova spazio nell’ordinamento (connotato da una disciplina
puntuale ed esauriente delle ipotesi di condono e sanatoria
edilizia) la c.d. “sanatoria giurisprudenziale”, che
ricorrerebbe allorquando la conformità dell’opera abusiva
sussista rispetto alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente al momento del rilascio del titolo sanante, ma non
anche rispetto a quella del tempo in cui l’opera è stata
realizzata.
Difatti, predicarne l’operatività, consentendo la
legittimazione postuma di opere originariamente e
sostanzialmente abusive, significa tradire il principio di
legalità, rinveniente dagli art. 24, 97, 101 e 113 cost.,
oltre che dall’art. 1 comma 1, l. n. 241 del 1990 (secondo
cui “l'attività amministrativa persegue i fini determinati
dalla legge”), sia in quanto svuoterebbe della sua portata
precettiva, certa e vincolante la disciplina urbanistica e
edilizia vigente al momento della commissione degli
illeciti, sia in quanto, estendendosi l’ambito oggettivo del
condono, se ne violerebbe la tipicità provvedimentale,
ancorata dalla norma primaria che lo prevede (art. 32 cit.)
alle sole violazioni di ordine formale.
Si finirebbe per premiare gli autori degli abusi edilizi
sostanziali, a discapito di tutti coloro che abbiano
correttamente eseguito attività edificatorie, nel doveroso
convincimento di rispettare prescrizioni da altri, invece,
impunemente violate e risulterebbe attenuata, se non
addirittura neutralizzata, la forza deterrente dell'apparato
sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo
del territorio.
Difatti, non trova spazio nell’ordinamento (connotato da una
disciplina puntuale ed esauriente delle ipotesi di condono e
sanatoria edilizia) la c.d. “sanatoria giurisprudenziale”,
che ricorrerebbe allorquando la conformità dell’opera
abusiva sussista rispetto alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente al momento del rilascio del titolo sanante,
ma non anche rispetto a quella del tempo in cui l’opera è
stata realizzata.
Difatti, predicarne l’operatività, consentendo la
legittimazione postuma di opere originariamente e
sostanzialmente abusive, significa tradire il principio di
legalità, rinveniente dagli art. 24, 97, 101 e 113 cost.,
oltre che dall’art. 1 comma 1, l. n. 241 del 1990 (secondo
cui “l'attività amministrativa persegue i fini
determinati dalla legge”), sia in quanto svuoterebbe
della sua portata precettiva, certa e vincolante la
disciplina urbanistica e edilizia vigente al momento della
commissione degli illeciti, sia in quanto, estendendosi
l’ambito oggettivo del condono, se ne violerebbe la tipicità
provvedimentale, ancorata dalla norma primaria che lo
prevede (art. 32 cit.) alle sole violazioni di ordine
formale.
Si finirebbe per premiare gli autori degli abusi edilizi
sostanziali, a discapito di tutti coloro che abbiano
correttamente eseguito attività edificatorie, nel doveroso
convincimento di rispettare prescrizioni da altri, invece,
impunemente violate e risulterebbe attenuata, se non
addirittura neutralizzata, la forza deterrente dell'apparato
sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo
del territorio (cfr. TAR Napoli Campania, sez. VIII
03/07/2012 n. 3153, con argomenti che, sia pure con riguardo
alla domanda di accertamento di conformità ai sensi
dell’art. 36 D.P.R. 06.06.2001 n. 380, sono riproducibili
anche nel presente giudizio)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2015 n. 1041 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L’istanza di accertamento di
conformità non ha alcuna refluenza sul piano della
legittimità dell’ordinanza di demolizione, potendo, al più,
condizionare la possibilità di portarla ad esecuzione.
---------------
Il permesso di costruire in sanatoria contenente
prescrizioni è in palese contrasto con l'art. 36, d.P.R. n.
380 del 2001 poiché postulerebbe non già la cd. doppia
conformità delle opere abusive pretesa dalla disposizione in
parola, ma una sorta di conformità ex post, condizionata
all'esecuzione delle prescrizioni e quindi non esistente al
tempo della presentazione della domanda di sanatoria, ma,
eventualmente, solo alla data futura ed incerta in cui la
richiedente avrebbe ottemperato alle prescrizioni.
7. Del pari va escluso alcun effetto inficiante dell’ordine
di demolizione gravato in conseguenza dell’intervenuta
presentazione di un’istanza di permesso di costruire in
sanatoria ai sensi dell’art. 36 d.p.r. n. 380/2001.
Non può difatti sostenersi che il Comune avrebbe dovuto
revocare l’ordine di demolizione in seguito alla
presentazione della predetta istanza, alla luce del costante
giurisprudenza della sezione secondo cui l’istanza di
accertamento di conformità non ha alcuna refluenza sul piano
della legittimità dell’ordinanza di demolizione, potendo, al
più, condizionare la possibilità di portarla ad esecuzione
(cfr. TAR Campania Napoli, sez. VI, 06.09.2010, n. 17306;
nello stesso senso v. Consiglio Stato, sez. IV, 19.02.2008,
n. 849 e Consiglio di stato, sez. V, 29.05.2006, n. 3236).
Peraltro è da rilevare che l’istanza di cui all’art. 36
d.p.r. n. 380/2001 è stata presentata subordinatamente
all’esecuzione di ulteriori opere per ricondurre a
conformità il manufatto tompagnato, provvedendo ad
eliminarne le pareti per ricondurre la sanatoria ad una mera
tettoia pertinenziale.
Come noto, il permesso di costruire in sanatoria contenente
prescrizioni è in palese contrasto con l'art. 36, d.P.R. n.
380 del 2001 poiché postulerebbe non già la cd. doppia
conformità delle opere abusive pretesa dalla disposizione in
parola, ma una sorta di conformità ex post,
condizionata all'esecuzione delle prescrizioni e quindi non
esistente al tempo della presentazione della domanda di
sanatoria, ma, eventualmente, solo alla data futura ed
incerta in cui la richiedente avrebbe ottemperato alle
prescrizioni
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 25.03.2015 n. 1759 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
un diverso e più consolidato
orientamento, al quale il Collegio aderisce, la “sanatoria
giurisprudenziale”, in quanto introduce un atipico atto con
effetti provvedimentali al di fuori di qualsiasi previsione
normativa, non può ritenersi ammessa nel nostro ordinamento,
caratterizzato dal principio di legalità dell’azione
amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati
dall’Amministrazione, secondo il principio di nominatività,
poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la
violazione del principio di separazione dei poteri e pena
l’invasione nelle sfere di attribuzioni riservate
all’Amministrazione.
Peraltro l’art. 36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
richiedente per la sanatoria delle opere realizzate senza
concessione e delle varianti non autorizzate, che l'opera
sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al
momento della realizzazione del manufatto, quanto a quella
vigente al momento della domanda di sanatoria, è una
disposizione la cui ratio è legata al contrasto all'inerzia
dell'Amministrazione; ciò significa che, se sussiste la
doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non
può essere opposta una modificazione della normativa
urbanistica successiva alla presentazione della domanda;
tale ratio della norma è del tutto comprensibile, quindi, e
compatibile con i precetti costituzionali di cui all’art. 97
Cost..
Pertanto, in sede di rilascio della concessione edilizia in
sanatoria, contenente l'accertamento di conformità,
l'Autorità amministrativa, che non è chiamata a compiere
scelte discrezionali, deve esclusivamente accertare la c.d.
doppia conformità dell'intervento realizzato alle previsioni
degli strumenti urbanistici vigenti (generali e di
attuazione), oltre che la sua non contrarietà rispetto a
previsioni rivenienti da strumenti urbanistici solo
adottati.
Conclusivamente, dall’art. 13 della l. 28.02.1985, n. 47
(riprodotto dall’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001) non è
ricavabile alcun diritto ad ottenere la concessione in
sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in
difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa
urbanistica vigente al momento in cui l'autorità comunale
provvede sulla domanda in sanatoria.
Infatti, è pur vero che il principio della cd. “doppia
conformità” ex art. 13 1. n. 47 del 1985 può
manifestarsi nelle forme, secondo un certo orientamento
giurisprudenziale, definite “sanatoria giurisprudenziale”,
e può essere riferibile all'ipotesi di specie, in modo da
risultare conforme al principio di proporzionalità e
ragionevolezza nel contemperamento dell'interesse pubblico e
privato, poiché imporre per un unico intervento costruttivo,
comunque attualmente conforme, una duplice attività
edilizia, demolitoria e poi identicamente riedificatoria,
lederebbe lo stesso interesse pubblico tutelato (cfr.
Consiglio di Stato, sez. VI, 07.05.2009, n. 2835; sez. V,
29.05.2006, n. 3267).
Infatti, sulla base della succitata considerazione, è stato
ammesso che la sanatoria edilizia possa intervenire anche a
seguito di conformità sopraggiunta dell'intervento in un
primo tempo illegittimamente assentito, divenuto cioè
permissibile al momento della proposizione della nuova
istanza dell'interessato, posto che questa si profila come
del tutto autonoma rispetto all'originaria istanza che aveva
condotto al permesso annullato in sede giurisdizionale, in
quanto basata su nuovi presupposti normativi in materia
edilizia; all’opposto, si è ritenuto irragionevole negare
una sanatoria di interventi che sarebbero legittimamente
concedibili al momento della nuova istanza.
Tale principio, tuttavia, è stato disatteso da un diverso e
più consolidato orientamento, al quale il Collegio aderisce,
secondo cui la “sanatoria giurisprudenziale”, in
quanto introduce un atipico atto con effetti provvedimentali,
al di fuori di qualsiasi previsione normativa, non può
ritenersi ammessa nel nostro ordinamento, caratterizzato dal
principio di legalità dell’azione amministrativa e dal
carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione,
secondo il principio di nominatività, poteri che non possono
essere surrogati dal giudice, pena la violazione del
principio di separazione dei poteri e pena l’invasione nelle
sfere di attribuzioni riservate all’Amministrazione (cfr. da
ultimo TAR Campania, Salerno, sez. I, 10.09.2014, n. 1523
che richiama Cons. Stato, sez. V, 11.06.2013, n. 3220).
Peraltro l’art. 36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
richiedente per la sanatoria delle opere realizzate senza
concessione e delle varianti non autorizzate, che l'opera
sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al
momento della realizzazione del manufatto, quanto a quella
vigente al momento della domanda di sanatoria, è una
disposizione la cui ratio è legata al contrasto
all'inerzia dell'Amministrazione; ciò significa che, se
sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la
sanatoria non può essere opposta una modificazione della
normativa urbanistica successiva alla presentazione della
domanda; tale ratio della norma è del tutto
comprensibile, quindi, e compatibile con i precetti
costituzionali di cui all’art. 97 Cost.
Pertanto, in sede di rilascio della concessione edilizia in
sanatoria, contenente l'accertamento di conformità,
l'Autorità amministrativa, che non è chiamata a compiere
scelte discrezionali, deve esclusivamente accertare la c.d.
doppia conformità dell'intervento realizzato alle previsioni
degli strumenti urbanistici vigenti (generali e di
attuazione), oltre che la sua non contrarietà rispetto a
previsioni rivenienti da strumenti urbanistici solo adottati
(cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 17.09.2007, n. 4838; sez. V,
25.02.2009, n. 1126).
Conclusivamente, dall’art. 13 della l. 28.02.1985, n. 47
(riprodotto dall’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001) non è
ricavabile alcun diritto ad ottenere la concessione in
sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in
difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa
urbanistica vigente al momento in cui l'autorità comunale
provvede sulla domanda in sanatoria (cfr. Cons. Stato,
3220/2013 cit.)
(TAR Molise,
sentenza 13.03.2015 n. 110 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA: Per
l’esame della questione è anzitutto necessario richiamare la
differente natura dei due istituti, dell’istanza
di sanatoria, ovvero di richiesta dell’accertamento della
così detta doppia conformità ex art. 36 del d.P.R. n.
380/2001, e della domanda di condono edilizio di cui
alle leggi n. 47/1985, n. 724/1994 e n. 326/2003, che, nella
prospettazione della ricorrente, appaiono assimilate a
sostegno dell’asserzione della conseguente inefficacia del
procedimento in atto per la sanzione dell’opera abusiva.
Al riguardo la giurisprudenza ha chiarito che dalla
presentazione della domanda di accertamento di conformità
ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 non possono trarsi le
medesime conseguenze della domanda di condono poiché
“…i presupposti dei due procedimenti di sanatoria –quello di
condono edilizio e quello di accertamento di conformità
urbanistica– sono non solo diversi ma anche antitetici,
atteso che l’uno (condono edilizio) concerne il
perdono ex lege per la realizzazione sine titulo abilitativo
di un manufatto in contrasto con le prescrizioni
urbanistiche (violazione sostanziale) l’altro
(sanatoria ex art. 13 legge 47/1985 oggi art. 36 DPR n.
380/2001) l’accertamento ex post della conformità
dell’intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo
abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione
formale)”.
Per tali osservazioni alla fattispecie dell’accertamento di
conformità non può applicarsi la sospensione dei
procedimenti sanzionatori prevista per i condoni a partire
dall’art. 44 della legge n. 47/1985, come richiamato dalle
successive disposizioni di cui all’art. 39 della legge n.
724/1994 e dell’art. 32 della legge n. 326/2003”, poiché,
come anche precisato, “A seguito della presentazione della
domanda di sanatoria ex art. 13 l. 28.02.1985 n. 47”
(attuale art. 36 del d.P.R. n. 380/2001) “…non perde
efficacia l'ingiunzione di demolizione precedentemente
emanata, poiché a tal fine occorrerebbe una specifica
previsione normativa, come quella contenuta negli art. 38 e
44 l. n. 47/1985 con riferimento alle domande di condono
edilizio".
---------------
Si correla a questo quadro quanto affermato dalla Sezione
sull’erroneità della ricostruzione per cui la presentazione
dell’istanza di sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001
successivamente alla ordinanza di demolizione, comporterebbe
la necessaria formazione, anche sub specie di
silenzio-rigetto, di un nuovo provvedimento idoneo a
superare il provvedimento sanzionatorio oggetto
dell’impugnativa, cosicché l’Amministrazione sarebbe tenuta,
in ogni caso, ad adottare un nuovo provvedimento
sanzionatorio, assegnando un nuovo termine per adempiere,
poiché questa giurisprudenza “si è formata in tema di
condono edilizio, ossia di richiesta che trova il suo
fondamento in una norma di carattere legislativo, che,
innovando alla disciplina urbanistica vigente, consente, a
determinate condizioni e per un limitato periodo di tempo,
la sanatoria degli abusi commessi”, non potendo trovare
applicazione tali principi “al caso di specie, in cui il
ricorrente ha formulato istanza ai sensi dell’art. 36 del
d.P.R. 06.06.2001, n. 380, ossia ai sensi di una norma che,
prevedendo quella che, sinteticamente, si definisce doppia
conformità, limita la valutazione dell’opera sulla base di
una disciplina preesistente”, per cui “Sostenere…che,
nell’ipotesi di rigetto, esplicito o implicito, dell’istanza
di accertamento di conformità, l’amministrazione debba
riadottare l’ordinanza di demolizione, equivale al
riconoscimento in capo a un soggetto privato, destinatario
di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare,
attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo
provvedimento”.
---------------
Da tutto ciò consegue la correttezza della sentenza di primo
grado nella parte in cui si richiama la giurisprudenza per
cui l’istanza di accertamento di conformità non incide sulla
legittimità della previa ordinanza di demolizione
pregiudicandone definitivamente l’efficacia ma soltanto
sospendendone gli effetti fino alla definizione, espressa o
tacita, dell’istanza, con il risultato che essa potrà essere
portata ad esecuzione se l’istanza è rigettata decorrendo il
relativo termine di adempimento dalla conoscenza del
diniego.
---------------
3. L’appello è infondato nel merito essendo da respingere i
motivi, dirimenti per la decisione della controversia,
relativi alla rilevanza della presentazione nel 2004 delle
sopra citate quattro domande di condono (di cui sopra sub.
2.a) e dell’intervenuta presentazione dell’istanza ex art.
36 del d.P.R. n. 380 del 2001 (sopra sub. 2.b).
...
3.2. La presentazione dell’istanza ex art. 36 del d.P.R.
n. 380 del 2011.
3.2.1. Per l’esame della questione è anzitutto necessario
richiamare la differente natura dei due istituti,
dell’istanza di sanatoria, ovvero di richiesta
dell’accertamento della così detta doppia conformità ex
art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, e della domanda di
condono edilizio di cui alle leggi n. 47 del 1985, n.
724 del 1994 e n. 326 del 2003, che, nella prospettazione
della ricorrente, appaiono assimilate a sostegno
dell’asserzione della conseguente inefficacia del
procedimento in atto per la sanzione dell’opera abusiva.
Al riguardo la giurisprudenza, con valutazione che il
Collegio condivide e da cui non vi è qui motivo per
discostarsi, ha chiarito che “dalla presentazione della
domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del
d.P.R. n. 380 del 2001 non possono trarsi le medesime
conseguenze della domanda di condono poiché “…i
presupposti dei due procedimenti di sanatoria –quello di
condono edilizio e quello di accertamento di conformità
urbanistica– sono non solo diversi ma anche antitetici,
atteso che l’uno (condono edilizio) concerne il
perdono ex lege per la realizzazione sine titulo abilitativo
di un manufatto in contrasto con le prescrizioni
urbanistiche (violazione sostanziale) l’altro
(sanatoria ex art. 13 legge 47/1985 oggi art. 36 DPR n.
380/2001) l’accertamento ex post della conformità
dell’intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo
abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione formale)”
(TAR Lazio, sezione I-quater, 11.01.2011, n. 124 e
22.12.2010, n. 38207 e la sentenza del TAR Campania-Napoli,
sezione VI, 03.09.2010, n. 17282 in quest’ultima citata).
Per tali osservazioni alla fattispecie dell’accertamento di
conformità non può applicarsi la sospensione dei
procedimenti sanzionatori prevista per i condoni a partire
dall’art. 44 della legge n. 47 del 1985, come richiamato
dalle successive disposizioni di cui all’art. 39 della legge
n. 724 del 1994 e dell’art. 32 della legge n. 326 del 2003”
(Tar Lazio, sezione I-quater, 02.03.2012, n. 2165), poiché,
come anche precisato, “A seguito della presentazione
della domanda di sanatoria ex art. 13 l. 28.02.1985 n. 47”
(attuale art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001) “…non perde
efficacia l'ingiunzione di demolizione precedentemente
emanata, poiché a tal fine occorrerebbe una specifica
previsione normativa, come quella contenuta negli art. 38 e
44 l. n. 47 del 1985 con riferimento alle domande di condono
edilizio; …” (Tar Lazio, sezione I-quater, 24.01.2011,
n. 693).
Si correla a questo quadro quanto affermato dalla Sezione,
con la sentenza del 06.05.2014, n. 2307, sull’erroneità
della ricostruzione per cui la presentazione dell’istanza di
sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 successivamente
alla ordinanza di demolizione, comporterebbe la necessaria
formazione, anche sub specie di silenzio-rigetto, di
un nuovo provvedimento idoneo a superare il provvedimento
sanzionatorio oggetto dell’impugnativa, cosicché
l’Amministrazione sarebbe tenuta, in ogni caso, ad adottare
un nuovo provvedimento sanzionatorio, assegnando un nuovo
termine per adempiere, poiché questa giurisprudenza “si è
formata in tema di condono edilizio (Cons. Stato VI,
26.03.2010, n. 1750), ossia di richiesta che trova il suo
fondamento in una norma di carattere legislativo, che,
innovando alla disciplina urbanistica vigente, consente, a
determinate condizioni e per un limitato periodo di tempo,
la sanatoria degli abusi commessi”, non potendo trovare
applicazione tali principi “al caso di specie, in cui il
ricorrente ha formulato istanza ai sensi dell’art. 36 del
d.P.R. 06.06.2001, n. 380, ossia ai sensi di una norma che,
prevedendo quella che, sinteticamente, si definisce doppia
conformità, limita la valutazione dell’opera sulla base di
una disciplina preesistente”, per cui “Sostenere…che,
nell’ipotesi di rigetto, esplicito o implicito, dell’istanza
di accertamento di conformità, l’amministrazione debba
riadottare l’ordinanza di demolizione, equivale al
riconoscimento in capo a un soggetto privato, destinatario
di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare,
attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo
provvedimento”.
Da tutto ciò consegue la correttezza della sentenza di primo
grado nella parte in cui si richiama la giurisprudenza per
cui l’istanza di accertamento di conformità non incide sulla
legittimità della previa ordinanza di demolizione
pregiudicandone definitivamente l’efficacia ma soltanto
sospendendone gli effetti fino alla definizione, espressa o
tacita, dell’istanza, con il risultato che essa potrà essere
portata ad esecuzione se l’istanza è rigettata decorrendo il
relativo termine di adempimento dalla conoscenza del
diniego.
3.2.2. In questo contesto nella vicenda in esame si rileva
che:
- l’ordinanza di demolizione è stata notificata il
19.03.2012; l’istanza di accertamento di conformità è stata
presentata il 12.04.2012; l’impugnazione dell’ordinanza di
demolizione è stata proposta successivamente, il 10.05.2012;
il 13.06.2012 si è formato il silenzio-rigetto sull’istanza
di sanatoria, come riscontrato con l’ordinanza cautelare di
rigetto, n. 904 del 22.06.2012, adottata in primo grado e
non impugnata; il 12.09.2012 è stato emanato il verbale di
accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di
demolizione notificato il 12 ottobre successivo;
- ne emerge perciò:
a) che la ricorrente ha impugnato l’ordinanza di demolizione dopo
la presentazione dell’istanza di accertamento della
conformità, manifestando con ciò interesse all’annullamento
dell’ordinanza nonostante la previa presentazione
dell’istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 e non
valendo perciò l’asserita improcedibilità dell’impugnazione
per sopravvenuta carenza di interesse, rilevata in
giurisprudenza quando l’impugnazione del provvedimento
sanzionatorio precede la presentazione dell’istanza di
sanatoria per conformità;
b) che il silenzio-rigetto dell’istanza non è stato impugnato, non
di per sé né per via dell’impugnazione dell’ordinanza
cautelare di primo grado che l’ha riscontrato;
c) che all’esito di tutto ciò l’ordinanza di demolizione ha
riacquistato piena efficacia risultando dovuto il
consequenziale accertamento dell’inottemperanza
all’ordinanza stessa
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 02.02.2015 n. 466 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2014 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Non è possibile
l'estensione del permesso di sanatoria al di fuori dei
presupposti della cosiddetta “doppia conformità”, di cui all'art. 36, d.P.R.
06.06.2001 n. 380, con la conseguenza che non può trovare
applicazione l'istituto della cosiddetta sanatoria
“giurisprudenziale” o “impropria”, poiché il
principio di buon andamento, che fa ritenere illogico che si
demolisca ciò che, al momento stesso, potrebbe essere
autorizzato in base allo strumento vigente, deve recedere di
fronte a quello, di pari rango costituzionale, di legalità
che vuole che, anche in questa materia, siano osservate le
disposizioni del legislatore.
Accanto alla sanatoria legale di cui
all’art. 36 del d.P.R. 327/2001, parte della giurisprudenza
ha riconosciuto in via puramente pretoria la possibilità di
sanatoria anche in presenza della sola conformità
urbanistico-edilizia con riferimento alla disciplina vigente
al momento della presentazione della domanda di accertamento
di conformità, evidenziando l’evidente contrasto con i
principi di buon andamento, economicità e ragionevolezza
dell’attività amministrativa che si verificherebbe dando
ingresso nell’ordinamento alla demolizione di opera solo
formalmente abusiva ma sostanzialmente riedificabile nella
stessa forma e consistenza dietro presentazione di istanza
di rilascio di titolo edilizio ordinario.
La ratio sottesa alla c.d. sanatoria giurisprudenziale, è
dunque da individuarsi nell'esigenza di non imporre la
demolizione di un'opera abusiva che, in quanto conforme alla
disciplina urbanistica in atto, dovrebbe essere
successivamente autorizzata su semplice presentazione di
istanza di rilascio in tal modo evitando uno spreco di
attività inutili, sia per l'Amministrazione, che per il
privato autore dell'abuso.
La tesi dell’ammissibilità di una sanatoria edilizia
giurisprudenziale era stata sostenuta in passato anche da
talune pronunce dell’adito Tribunale oltre che del supremo
consesso di Giustizia amministrativa.
Anche l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato aveva
espresso parere favorevole in ordine all’ammissibilità,
entro certi limiti, di tale ulteriore forma di sanatoria,
fermo restando la sanzione penale per l’illecito commesso
nonché il pagamento di una oblazione maggiore rispetto
all’ipotesi di doppia conformità.
Trattasi però di tesi oggi ampiamente minoritaria in
giurisprudenza, se non del tutto recessiva.
Infatti, secondo l’orientamento oggi dominante, predicare
l'operatività della sanatoria giurisprudenziale, consentendo
la legittimazione postuma di opere originariamente e
sostanzialmente abusive, significa tradire il principio di
legalità, rinveniente dagli art. 24, 97, 101 e 113 cost.,
oltre che dall'art. 1, comma 1, L. n. 241 del 1990 (secondo
cui “l'attività amministrativa persegue i fini determinati
dalla legge") sia in quanto svuoterebbe della sua portata
precettiva, certa e vincolante la disciplina urbanistica e
edilizia vigente al momento della commissione degli
illeciti, sia in quanto, estendendosi l'ambito oggettivo di
applicazione del permesso di costruire in sanatoria, se ne
violerebbe la tipicità provvedimentale, ancorata dalla norma
primaria che lo prevede (art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001)
alle sole violazioni di ordine formale.
Inoltre, si finirebbe per premiare gli autori degli abusi
edilizi sostanziali, a discapito di tutti coloro che abbiano
correttamente eseguito attività edificatorie, nel doveroso
convincimento di rispettare prescrizioni da altri, invece,
impunemente violate e risulterebbe attenuata, se non
addirittura neutralizzata, la forza deterrente dell'apparato
sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo
del territorio.
Secondo poi una ulteriore tesi “mediana” -del tutto
minoritaria- la pur riconosciuta impossibilità a seguito
dell’entrata in vigore del d.P.R. 380/2001, di
autorizzazione postuma senza la “doppia conformità” potrebbe
“bilanciarsi” in sede sanzionatoria, potendosi in tal
segmento procedimentale -del tutto autonomo seppur connesso-
valutare l’irrazionalità della demolizione ai fini
dell’applicazione di una diversa sanzione.
Osserva il Collegio come, in linea di principio, l’istituto
della sanatoria giurisprudenziale possa rispondere
effettivamente ad esigenze di buon andamento dell’azione
amministrativa, dal momento che sarebbe obiettivamente in
contrasto con il principio di ragionevolezza ed economia dei
mezzi giuridici oltre che di giustizia sostanziale e di
proporzionalità, procedere alla demolizione di manufatto
abusivo realizzabile dall’interessato con la stessa forma e
consistenza immediatamente dopo, mediante la presentazione
di istanza di rilascio di titolo ordinario.
Si tratterebbe, come osservato da parte della dottrina, di
una mera causa di legittimazione postuma delle opere, sotto
il profilo esclusivamente amministrativo, diversamente dalla
sanatoria legale che come è noto ha effetto estintivo (pur
se non automatico) dei correlati reati edilizi.
E’ però vero che risulta arduo, anche sul piano sistematico,
ammettere un istituto con valenza sanante non previsto dalla
legge ed anzi in contrasto con la espressa previsione
dell’art. 36 T.U. edilizia, in considerazione della stessa
eccezionalità degli strumenti di sanatoria per i quali
sembrerebbe incompatibile la stessa predicabilità di forme
atipiche, avendo il principio di legalità e tipicità
dell’attività autoritativa in questa materia valenza ancor
più stringente. Non si tratta, infatti, di autotutela con
funzione di conservazione di pregressa attività illegittima,
bensì di sanatoria del tutto atipica inerente l’attività
illecita dei soggetti privati quale la realizzazione di
manufatto privo del necessario titolo abilitativo, non
rinvenendosi nell’ordinamento un generale ed indistinto
principio di sanabilità dell’attività illecita.
Potrebbe in ipotesi allora porsi d’ufficio la questione di
legittimità costituzionale dell’art 17 della legge regionale
umbra e del corrispondente art. 36 t.u. edilizia nella parte
in cui limitano o non prevedono con carattere di generalità
tale forma di sanatoria “minore” -con la doverosa
sottoposizione al pagamento di oblazione in misura maggiore,
in ossequio al principio di uguaglianza- poiché parrebbe
porsi in contrasto con il principio di ragionevolezza e di
uguaglianza (art. 3 Cost.) l’identica sanzionabilità di
situazioni obiettivamente diverse, quali la realizzazione di
opera tout court abusiva e la realizzazione di opera
originariamente abusiva ma poi divenuta conforme ai
successivi strumenti urbanistici.
La Corte Costituzionale ha più volte ribadito al riguardo la
natura di principio, tra l’altro vincolante per la
legislazione regionale, della previsione della “doppia
conformità” seppur con precipuo riferimento inizialmente ai
soli profili penalistici.
Con tale ultima pronuncia, in riferimento a giudizio di
costituzionalità di legge regionale della Toscana, ha
affermato che il rigore insito nel principio della “doppia
conformità” trova la propria ratio ispiratrice nella “natura
preventiva e deterrente” della sanatoria in questione,
finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da
escludere letture “sostanzialiste” della norma che
consentano la possibilità di regolarizzare opere in
contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente
al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi
solo al momento della presentazione dell’ istanza per
l’accertamento di conformità.
5. Preme evidenziare come con l’atto di motivi
aggiunti parte ricorrente non muova censure avverso la
sussistenza o meno del negato requisito della “doppia
conformità” richiesto dall’art. 17 della L.R. 21/2004, del
tutto non contestato, limitandosi ad invocare in buona
sostanza l’applicazione dell’istituto della “sanatoria
giurisprudenziale”.
5.1. Questione di diritto unica per la decisione della
presente controversia consiste pertanto nella ammissibilità
o meno, accanto alla sanatoria legale di tipo formale
codificata dall’art. 17 della richiamata legge regionale
(sostanzialmente ma non completamente ricalcante la
disposizione di cui all’art. 36 del vigente testo unico
dell’edilizia approvato con d.P.R. 380/2001) del controverso
istituto della sanatoria “giurisprudenziale”, ovvero di una
forma di sanatoria “minore” valevole ai soli fini
amministrativi, da ritenersi -secondo esegesi affatto
pacifica- implicita nell’ordinamento in base a diverse
ragioni logico sistematiche.
Come noto, sia in base all’art. 17 della L.R. Umbria 21/2004
che all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 (e ancor prima
all’art. 13 L. 47/1985) è possibile ottenere il permesso in
sanatoria solamente se l'intervento sine titulo realizzato
risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente al momento sia della sua realizzazione, sia della
presentazione della domanda.
A dire il vero, il citato art.
17 della legge regionale umbra presenta alcuni significativi
profili di deroga rispetto alla fattispecie di cui al testo
unico dell’edilizia, dal momento che nell’ultimo periodo del
primo comma è consentita la sanatoria anche in caso di sola
conformità alla disciplina urbanistica vigente al momento
della presentazione della domanda seppur limitatamente ai
soli cambi di destinazione d’uso. Il successivo art. 18 poi,
sempre in aperta deroga alla normativa statale, seppur in
via esclusivamente transitoria (“norme di prima
applicazione”) consente la sanatoria anche per le opere
conformi solo in via postuma, con la fissazione di un
termine (perentorio) per la presentazione delle relative
istanze di 120 giorni dall’entrata in vigore della legge
1/2004 (su cui TAR Umbria 14.01.2011, n. 9).
5.2. Accanto alla sanatoria legale di cui all’art. 36 del
d.P.R. 327/2001, parte della giurisprudenza ha riconosciuto
in via puramente pretoria la possibilità di sanatoria anche
in presenza della sola conformità urbanistico-edilizia con
riferimento alla disciplina vigente al momento della
presentazione della domanda di accertamento di conformità,
evidenziando l’evidente contrasto con i principi di buon
andamento, economicità e ragionevolezza dell’attività
amministrativa che si verificherebbe dando ingresso
nell’ordinamento alla demolizione di opera solo formalmente
abusiva ma sostanzialmente riedificabile nella stessa forma
e consistenza dietro presentazione di istanza di rilascio di
titolo edilizio ordinario.
La ratio sottesa alla c.d. sanatoria giurisprudenziale, è
dunque da individuarsi nell'esigenza di non imporre la
demolizione di un'opera abusiva che, in quanto conforme alla
disciplina urbanistica in atto, dovrebbe essere
successivamente autorizzata su semplice presentazione di
istanza di rilascio in tal modo evitando uno spreco di
attività inutili, sia per l'Amministrazione, che per il
privato autore dell'abuso (ex multis Consiglio di Stato sez.
V, 06.07.2012, n. 3961).
La tesi dell’ammissibilità di una sanatoria edilizia
giurisprudenziale era stata sostenuta in passato anche da
talune pronunce dell’adito Tribunale (TAR Umbria 14.01.2011, n. 9; vedi
ex multis anche TAR Abruzzo-Pescara 30.05.2007, n. 583) oltre che del supremo
consesso di Giustizia amministrativa (Consiglio di Stato
sez. V, 28.05.2004, n. 3431; id. sez. V, 21.10.2003,
n. 6498; id. sez. VI, 07.05.2009 n. 2835).
Anche l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato (parere n.
52/2001) aveva espresso parere favorevole in ordine
all’ammissibilità, entro certi limiti, di tale ulteriore
forma di sanatoria, fermo restando la sanzione penale per
l’illecito commesso nonché il pagamento di una oblazione
maggiore rispetto all’ipotesi di doppia conformità.
5.3. Trattasi però di tesi oggi ampiamente minoritaria in
giurisprudenza, se non del tutto recessiva.
Infatti, secondo l’orientamento oggi dominante, predicare
l'operatività della sanatoria giurisprudenziale, consentendo
la legittimazione postuma di opere originariamente e
sostanzialmente abusive, significa tradire il principio di
legalità, rinveniente dagli art. 24, 97, 101 e 113 cost.,
oltre che dall'art. 1, comma 1, L. n. 241 del 1990 (secondo
cui “l'attività amministrativa persegue i fini determinati
dalla legge") sia in quanto svuoterebbe della sua portata precettiva, certa e vincolante la disciplina urbanistica e
edilizia vigente al momento della commissione degli
illeciti, sia in quanto, estendendosi l'ambito oggettivo di
applicazione del permesso di costruire in sanatoria, se ne
violerebbe la tipicità provvedimentale, ancorata dalla norma
primaria che lo prevede (art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001)
alle sole violazioni di ordine formale.
Inoltre, si
finirebbe per premiare gli autori degli abusi edilizi
sostanziali, a discapito di tutti coloro che abbiano
correttamente eseguito attività edificatorie, nel doveroso
convincimento di rispettare prescrizioni da altri, invece,
impunemente violate e risulterebbe attenuata, se non
addirittura neutralizzata, la forza deterrente dell'apparato
sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo
del territorio (ex multis TAR Campania Napoli sez. VIII,
03.07.2012, n. 3153; TAR Toscana sez. III, 13.05.2011, n. 837; Consiglio di Stato sez. V,
06.07.2012,
n. 3961).
5.4. Secondo poi una ulteriore tesi “mediana” -del tutto
minoritaria- la pur riconosciuta impossibilità a seguito
dell’entrata in vigore del d.P.R. 380/2001, di
autorizzazione postuma senza la “doppia conformità” potrebbe
“bilanciarsi” in sede sanzionatoria, potendosi in tal
segmento procedimentale -del tutto autonomo seppur connesso- valutare l’irrazionalità della demolizione (TAR
Piemonte 18.10.2004, n. 2506) ai fini dell’applicazione
di una diversa sanzione.
5.5. Osserva il Collegio come, in linea di principio,
l’istituto della sanatoria giurisprudenziale possa
rispondere effettivamente ad esigenze di buon andamento
dell’azione amministrativa, dal momento che sarebbe
obiettivamente in contrasto con il principio di
ragionevolezza ed economia dei mezzi giuridici oltre che di
giustizia sostanziale e di proporzionalità, procedere alla
demolizione di manufatto abusivo realizzabile
dall’interessato con la stessa forma e consistenza
immediatamente dopo, mediante la presentazione di istanza di
rilascio di titolo ordinario.
Si tratterebbe, come osservato da parte della dottrina, di
una mera causa di legittimazione postuma delle opere, sotto
il profilo esclusivamente amministrativo, diversamente dalla
sanatoria legale che come è noto ha effetto estintivo (pur
se non automatico cfr. Cassazione penale sez. III, 05.07.2010, n. 25387) dei correlati reati edilizi.
E’ però vero che risulta arduo, anche sul piano sistematico,
ammettere un istituto con valenza sanante non previsto dalla
legge ed anzi in contrasto con la espressa previsione
dell’art. 36 T.U. edilizia, in considerazione della stessa
eccezionalità degli strumenti di sanatoria (ex multis
Consiglio di Stato sez. VI, 13.02.2013, n. 894) per i
quali sembrerebbe incompatibile la stessa predicabilità di
forme atipiche, avendo il principio di legalità e tipicità
dell’attività autoritativa in questa materia valenza ancor
più stringente. Non si tratta, infatti, di autotutela con
funzione di conservazione di pregressa attività illegittima,
bensì di sanatoria del tutto atipica inerente l’attività
illecita dei soggetti privati quale la realizzazione di
manufatto privo del necessario titolo abilitativo, non
rinvenendosi nell’ordinamento un generale ed indistinto
principio di sanabilità dell’attività illecita (ex multis
TAR Piemonte 18.10.2004, n. 2506).
5.6. Potrebbe in ipotesi allora porsi d’ufficio la questione
di legittimità costituzionale dell’art 17 della legge
regionale umbra e del corrispondente art. 36 t.u. edilizia
nella parte in cui limitano o non prevedono con carattere di
generalità tale forma di sanatoria “minore” -con la
doverosa sottoposizione al pagamento di oblazione in misura
maggiore, in ossequio al principio di uguaglianza- poiché
parrebbe porsi in contrasto con il principio di
ragionevolezza e di uguaglianza (art. 3 Cost.) l’identica sanzionabilità di situazioni obiettivamente diverse, quali
la realizzazione di opera tout court abusiva e la
realizzazione di opera originariamente abusiva ma poi
divenuta conforme ai successivi strumenti urbanistici.
La Corte Costituzionale ha più volte ribadito al riguardo la
natura di principio, tra l’altro vincolante per la
legislazione regionale, della previsione della “doppia
conformità” (sent. nn. 31.03.1998 n. 370; 13.05.1993
n. 231; 27.02.2013, n. 101) seppur con precipuo
riferimento inizialmente ai soli profili penalistici (sent.
370/1998 e 231/1993).
Con tale ultima pronuncia, in riferimento a giudizio di
costituzionalità di legge regionale della Toscana, ha
affermato che il rigore insito nel principio della “doppia
conformità” trova la propria ratio ispiratrice nella “natura
preventiva e deterrente” della sanatoria in questione,
finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da
escludere letture “sostanzialiste” della norma che
consentano la possibilità di regolarizzare opere in
contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente
al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi
solo al momento della presentazione dell’ istanza per
l’accertamento di conformità.
La Consulta ha dunque già vagliato anche sotto il profilo
amministrativo la costituzionalità della disciplina in
questione, nel senso della assoluta inconciliabilità tra
l’istituto legale e quello pretorio, ragion per cui ritiene
il Collegio di non dover sollevare d’ufficio questione di
legittimità costituzionale, da ritenersi manifestamente
infondata alla luce delle precisazioni del giudice
costituzionale -come peraltro incidentalmente già rilevato
(Consiglio di Stato sez. V, 11.06.2013, n.3220)- se non
inammissibile.
In disparte per tanto ogni considerazione, sul piano della
opportunità, in merito al mancato riconoscimento in via
normativa di tale forma di sanatoria, è da escluderne la
creazione per via ermeneutica, come vorrebbero i ricorrenti.
5.7. In definitiva, non è possibile l'estensione del
permesso di sanatoria al di fuori dei presupposti della
cosiddetta “doppia conformità”, di cui all'art. 36, d.P.R.
06.06.2001 n. 380, con la conseguenza che non può trovare
applicazione l'istituto della cosiddetta sanatoria
“giurisprudenziale” o “impropria”, poiché il principio di
buon andamento, che fa ritenere illogico che si demolisca
ciò che, al momento stesso, potrebbe essere autorizzato in
base allo strumento vigente, deve recedere di fronte a
quello, di pari rango costituzionale, di legalità che vuole
che, anche in questa materia, siano osservate le
disposizioni del legislatore (ancora TAR Puglia Lecce
sez. III, 09.12.2010 n. 2816).
5.8. Fermo restando quanto sopra esposto, ritiene invece il
Collegio non escludibile a priori, in nome dei richiamati
principi di ragionevolezza ed economia dei mezzi giuridici,
la possibilità per l’Amministrazione di valutare
discrezionalmente, in sede sanzionatoria, la possibilità di
applicare misure alternative alla demolizione, ove non
sussistano al riguardo ragioni ostative al pubblico
interesse da indicare con congrua motivazione (quali la
presenza di vincoli ambientali ecc.) analogamente a quanto
già previsto in riferimento ad altre ipotesi di violazioni
edilizie meramente formali, segnatamente all’art. 38 del
T.U. edilizia, seppur norma di “speciale favore” (cfr.
TAR Liguria sez. I, 18.02.2014, n. 282)
(TAR Umbria,
sentenza 03.12.2014 n. 590 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2014 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Inammissibilità
della sanatoria giurisprudenziale o impropria.
La legittimazione postuma dell’opera
abusiva per effetto della c.d. sanatoria giurisprudenziale
non determina l’estinzione del reato urbanistico e non
giustifica neanche la revoca dell’ordine di demolizione
dell’opera medesima.
4. Pare, infatti, che il provvedimento di sanatoria sia stato
subordinato a
condizioni e prescrizioni, tanto che, come affermato nel
provvedimento
impugnato, la sua inefficacia, dichiarata dalla Direzione
Urbanistica di Firenze
(prot. 29146/2013 dell'01.07.2013), sarebbe stata determinata
dal «mancato compimento delle opere di adeguamento nei
termini assegnati», venendosi così
a creare una situazione in apparente contrasto con il
consolidato orientamento di
questa Corte, secondo il quale deve escludersi la
possibilità della cosiddetta
sanatoria condizionata, caratterizzata dal fatto che i suoi
effetti vengono
subordinati alla esecuzione di specifici interventi aventi
lo scopo di far acquisire
alle opere il requisito della conformità alla disciplina
urbanistica ed edilizia che
non posseggono, poiché tali provvedimenti devono ritenersi
illegittimi, in quanto
l'articolo 36 d.P.R. 380/2001 si riferisce esplicitamente ad
interventi già ultimati e
stabilisce come la doppia conformità debba sussistere sia al
momento della
realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione
della domanda di
sanatoria.
Inoltre, il rilascio del provvedimento consegue
ad un'attività vincolata
della RA., consistente nell'applicazione alla fattispecie
concreta di previsioni
legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non
elastica, che non
lasciano all'Amministrazione medesima spazi per valutazioni
di ordine
discrezionale (Sez. III n. 3895, 26.09.2013; Sez. III
n. 23726, 08.06.2009 non massimata; n. 41567, 12.11.2007; n. 48499, 18.12.2003; n. 740, 13.01.2003; n. 42927, 19.12.2002;
n. 41669, 21.11.2001; n. 10601, 11.10.2000).
Per le stesse ragioni questa Corte ha pure escluso
l'ammissibilità di una
sanatoria parziale, dovendo l'atto abilitativo postumo
contemplare gli interventi
eseguiti nella loro integrità (v. Sez. III n. 19587, 18.05.2011; n. 45241,
05.12.2007, non massimata; n. 291, 09.01.2004).
5. Detto provvedimento, inoltre, viene denominato «sanatoria
giurisprudenziale», evidentemente con riferimento alla
cosiddetta sanatoria
giurisprudenziale o impropria individuata, in passato, dalla
giurisprudenza
amministrativa (v., ad es., Cons. St. Sez. V n. 1796, 19.04.2005) ed in base
alla quale si ritengono sanabili le opere che, non conformi
alla disciplina
urbanistica ed alle previsioni degli strumenti di
pianificazione, lo siano divenute
successivamente e che sarebbe insensato demolire quando, a
demolizione
avvenuta, potrebbero essere legittimamente assentite.
Si tratta, tuttavia, di un orientamento nettamente
minoritario che può dirsi
ormai definitivamente superato, avendo la giurisprudenza
amministrativa (v.
Cons. St. Sez. IV, n. 4838, 17.09.2007)
successivamente escluso
l'ammissibilità della sanatoria giurisprudenziale sul
presupposto che la sua
applicazione contrasterebbe con il principio di legalità,
dal momento che non vi è
stata alcuna espressa previsione di tale istituto
allorquando l'articolo 36 del d.P.R.
380/2001 ha sostituito la corrispondente disciplina della
legge urbanistica 47/1985,
nonostante il favorevole parere del 29.03.2001 della
Adunanza generale del Consiglio di Stato, che ne aveva
sollecitato l'introduzione al legislatore delegato il
quale, tuttavia, come evidenziato nella Relazione
illustrativa al testo Unico
dell'edilizia, non raccoglieva il suggerimento, ponendo in
evidenza l'esistenza di
un contrasto giurisprudenziale che impediva la formazione di
un diritto vivente
che avrebbe consentito la modifica del dato testuale ed il
parere nettamente
contrario espresso dalla Camera.
Lo stesso giudice amministrativo ha inoltre osservato, in un
secondo tempo,
che l'articolo 36 citato, in quanto norma derogatoria al
principio per il quale i
lavori realizzati sine titulo sono sottoposti alle
prescritte misure ripristinatorie e
sanzionatorie, non è suscettibile di applicazione analogica
né di una
interpretazione riduttiva (Cons. St. Sez. IV n. 6784, 02.11.2009) e che la
sanatoria giurisprudenziale non può ritenersi applicabile in
quanto introduce un
atipico atto con effetti provvedimentali, al di fuori di
qualsiasi previsione
normativa e non potendosi ritenere ammessi nell'ordinamento,
caratterizzato dal
principio di legalità dell'azione amministrativa e dal
carattere tipico dei poteri
esercitati dall'Amministrazione, secondo il principio di
nominatività, poteri che
non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione
del principio di separazione dei poteri e pena l'invasione nelle sfere di
attribuzioni riservate
all'Amministrazione (così Cons. St. Sez. V n. 3220, 11.06.2013).
Più recentemente, il Consiglio di Stato ha ulteriormente
confermato la
propria posizione in tema di sanatoria giurisprudenziale
(alla quale, peraltro,
risultano conformati anche i Tribunali Amministrativi
Regionali) osservando come
il divieto legale di rilasciare un permesso in sanatoria
anche quando dopo la
commissione dell'abuso vi sia una modifica favorevole dello
strumento
urbanistico sia giustificato della necessità di «evitare che
il potere di
pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di
rendere lecito ex post (e
non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile)» oltre
che dall'esigenza di
«disporre una regola senz'altro dissuasiva dell'intenzione
di commettere un
abuso, perché in tal modo chi costruisce sine titulo sa che
deve comunque
disporre la demolizione dell'abuso, pur se sopraggiunge una
modifica favorevole
dello strumento urbanistico» (Cons. Stato Sez. V 17.03.2014, n. 1324. Conf.
Sez. V 27.05.2014, n. 2755).
6. L'attuale, consolidato orientamento del giudice
amministrativo ha trovato
peraltro conferma in una recente decisione della Corte
Costituzionale
(sent. 101/2013) la quale, nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 5,
commi 1, 2 e 3, 6 e 7 della legge della Regione Toscana 31.01.2012, n. 4
(Modifiche alla legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 «Norme
per il governo del
territorio» e della legge regionale 16.10.2009, n. 58
«Norme in materia di prevenzione e riduzione del rischio
sismico»), ha affermato che il principio della
«doppia conformità» risulta finalizzato a «garantire
l'assoluto rispetto della
'disciplina urbanistica ed edilizia' durante tutto l'arco
temporale compreso tra la
realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza
volta ad ottenere
l'accertamento di conformità» e, richiamando la
giurisprudenza amministrativa,
ha pure osservato che la sanatoria, che si distingue dal
condono vero e proprio,
«è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai
soli abusi 'formali', ossia
dovuti alla carenza del titolo abilitativo, rendendo così
palese la ratio ispiratrice
della previsione della sanatoria in esame, 'anche di natura
preventiva e
deterrente', finalizzata a frenare l'abusivismo edilizio, in
modo da escludere
letture 'sostanzialiste' della norma che consentano la
possibilità di regolarizzare
opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia
vigente al momento
della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al
momento della
presentazione dell' istanza per l'accertamento di
conformità».
7. Va a questo punto ricordato come la giurisprudenza di
questa Corte abbia,
in passato, preso atto delle diverse posizioni del giudice
amministrativo
aderendo, in un primo tempo, a quella che riconosceva
efficacia alla sanatoria
giurisprudenziale, escludendone comunque ogni effetto
estintivo dei reati
urbanistici e precisando che detto titolo abilitativo
sanante avrebbe dovuto
essere conforme alla disciplina urbanistica vigente al
momento del rilascio,
escludendo, peraltro, la possibilità di procedere ad una
diversa qualificazione
giuridica dell'intervento edilizio per consentirne la
regolarizzazione,
parcellizzando le opere (Sez. III n. 286 e 291, 09.01.2004, non massimate sul
punto).
In altre occasioni, confermando che la sanatoria impropria
sarebbe
comunque improduttiva di effetti estintivi dei reati
urbanistici, si è presa in
considerazione la sua rilevanza con riferimento specifico
all'ordine di
demolizione, rilevando, previo richiamo ai principi generali
di buon andamento ed
all'economia dell'azione amministrativa invocato dalla
giurisprudenza
amministrativa favorevole, che l'eventuale suo rilascio
renderebbe inapplicabile
l'ordine di demolizione, osservando, sostanzialmente, che
sarebbe insensato
procedere alla demolizione di ciò che può poi essere
legittimamente ricostruito
(v. Sez. III n. 14329, 07.04.2008; Sez. III n. 40969, 11.11.2005; Sez. III n.
1492, 09.02.1998. V. anche Sez. III n. 3082, 21.01.2008, non
massimata; Sez. III n. 24451, 21.06.2007). Veniva
comunque dato atto anche
dell'orientamento difforme del giudice amministrativo (v.
Sez. III n. 21208, 28.05.2008, non massimata).
8. La più recente ed approfondita disamina della questione
concernente
l'ammissibilità della sanatoria giurisprudenziale o
impropria da parte del giudice
amministrativo e l'autorevole richiamo a tale giurisprudenza
operata dalla Corte
Costituzionale consentono di ritenere ormai superate le
argomentazioni
sviluppate nelle decisioni di questa Corte appena ricordate,
in quanto fondate,
prevalentemente, sul mero richiamo di un orientamento, già
minoritario, che può
dirsi ormai completamente abbandonato dagli stessi giudici
che lo avevano in
passato formulato.
Le argomentazioni sviluppate a sostegno dell'attuale
indirizzo interpretativo
appaiono, ad avviso del Collegio, del tutto condivisibili,
poiché tengono conto
della formulazione letterale della norma e della sua genesi
e risultano
pienamente conformi al richiamato principio di legalità cui
deve necessariamente
conformarsi l'azione amministrativa perché, come osservato
in dottrina, non può
esservi rispetto del principio di buon andamento della
pubblica amministrazione
se non vi è, al tempo stesso, rispetto del principio di
legalità.
La espressa previsione, nell'art. 36 d.P.R. 380/2001, del
requisito della doppia
conformità delle opere da sanare e la deliberata scelta del
legislatore di non
inserire nel Testo Unico dell'edilizia la sanatoria
giurisprudenziale nonostante le
indicazioni in tal senso ricevute dall'Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato
rendono evidente la volontà di limitare la possibilità di
sanatoria ai soli abusi
formali.
Altrettanto significative appaiono, poi, le considerazioni
della più recente
giurisprudenza amministrativa riguardo alla negativa
incidenza sull'effetto
deterrente dell'ordine di demolizione -che il legislatore
ha evidentemente voluto- che sarebbe provocata dalla previsione di una sanatoria
conseguente ad una
conformità dell'opera sopravvenuta alla sua realizzazione,
creando l'aspettativa
di una futura possibile regolarizzazione anche in presenza
di condizioni
inizialmente ostative alla esecuzione dell'intervento
edilizio
(Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.11.2014 n. 47402 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Blonda, Il
rilascio della c.d. concessione in sanatoria estingue anche i reati
antisismici? Ecco cosa comporta costruire un immobile in violazione delle
norme antisismiche
(06.11.2014 - link a www.condominioweb.com). |
ottobre 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
sanatoria disciplinata dall'art. 36 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 concerne
soltanto i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche, nella
cui nozione non rientra la disciplina per le costruzioni da eseguirsi nelle
zone sismiche, che ha una oggettività diversa da quella attinente l'assetto
del territorio sotto il profilo edilizio.
---------------
2. Non può nutrirsi alcun dubbio sul fatto che la sanatoria disciplinata
dall'art. 36 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 concerne soltanto i reati
contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche, nella cui nozione non
rientra la disciplina per le costruzioni da eseguirsi nelle zone sismiche,
che ha una oggettività diversa da quella attinente l'assetto del territorio
sotto il profilo edilizio (Sez. 3, n. 2114 del 26/11/2002 - 17/01/2003,
Frascani, Rv. 223145); pertanto nessun rilievo può assumere la concessione
in sanatoria richiamata dal ricorrente
(Corte di Cassazione, Sez. feriale penale,
sentenza 22.10.2014 n. 44015). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio della concessione in sanatoria determina la estinzione dei soli
reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti e non
riguarda gli altri reati concernenti aspetti delle costruzioni aventi una
oggettività giuridica diversa rispetto a quella della mera tutela
urbanistica del territorio (nel caso di specie la violazione della normativa
antisismica).
---------------
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 25/10/2013, ha dichiarato non
doversi procedere nei confronti di Fr.Pa.Sa. e An.Sa., in ordine al reato di
cui agli artt. 110 cod. pen., 44, lett. b), d.P.R. 380/2001, nonché di
violazione della normativa antisismica, per intervenuto rilascio di
concessione edilizia in sanatoria. Avverso detta pronuncia ha proposto
ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di
Palermo, eccependo violazione di legge, in quanto il decidente ha errato nel
considerare che la sanatoria ottenuta dai prevenuti potesse avere incidenza
anche sui reati ex artt. 94 e 95 d.P.R. 380/2001.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e va accolto.
Deve, infatti, osservarsi che l'art. 95, d.P.R. 380/2001, sanziona la
violazione delle norme tutte dettate per le costruzioni in zone sismiche,
previste nel medesimo testo unico ovvero nei decreti interministeriali cui
rinviano gli artt. 52 e 83, citato decreto.
Le contravvenzioni de quibus possono concorrere con le fattispecie di
cui all'art. 44 del citato t.u., tuttavia ad esse non è applicabile la
disciplina relativa alla richiesta di sanatoria ex art. 45, essendo questa
riferita alle sole norme che regolano l'assetto del territorio sotto il
profilo edilizio.
Conseguentemente, il rilascio della concessione in sanatoria determina la
estinzione dei soli reati contravvenzionali previsti dalle norme
urbanistiche vigenti e non riguarda gli altri reati concernenti aspetti
delle costruzioni aventi una oggettività giuridica diversa rispetto a quella
della mera tutela urbanistica del territorio (ex multis Cass.
12/05/2005, n. 21978).
La sentenza impugnata va, quindi, annullata con rinvio, affinché il giudice
ad quem proceda in ordine ai reati di cui ai 2) e 3) della
imputazione
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.10.2014 n. 42550). |
EDILIZIA PRIVATA:
In alternativa al provvedimento definitivo
espresso sull’istanza di accertamento di conformità, ex art.
36 del DPR n. 380/2001, la legge ha previsto, dopo il
decorso di 60 gg., la formazione di un
silenzio-significativo con valore legale di rigetto.
Siffatto silenzio, nella specie, si è formato e poiché il
cittadino può sempre tutelarsi mediante impugnativa del
silenzio-diniego (la cui formazione, essendo prevista dalla
legge come alternativa al provvedimento esplicito, non è
illegittima soltanto perché intervenuta appunto per
silentium), non vi è alcun obbligo per l’Amministrazione,
sanzionabile con l’illegittimità del silenzio, di
pronunciarsi espressamente.
Tale principio non può non valere anche per la presente
fattispecie.
Sull’istanza di accertamento di conformità prodotta
dall’affittuario del terreno si è formato silenzio-rigetto,
per decorso dei termini prescritti sia prima che dopo la
notifica della richiesta di osservazioni sul preavviso di
rigetto (e le osservazioni stesse).
Non si tratta, ripetesi, di silenzio-inadempimento, ma di
silenzio-significativo con valore di reiezione dell’istanza,
per il quale non è configurabile un obbligo per
l’Amministrazione di emanare un atto scritto reiterativo
degli effetti di diniego disposti dal sopra richiamato art.
36.
---------------
Trattandosi di silenzio-significativo, ne consegue che è
anche privo di fondamento il profilo di censura relativo al
difetto di motivazione.
Invero, il provvedimento tacito, in quanto tale, è
ontologicamente privo di motivazione, sicché esso è
impugnabile non per difetto di esplicazione dell’iter
giustificativo, ma per il suo contenuto di rigetto, potendo
farsi valere quindi, contro di esso, direttamente censure
afferenti alla fondatezza della pretesa, che siano quindi
idonee a dimostrare la sussistenza dei presupposti a base
dell’invocata sanatoria (sull’insussistenza di un obbligo
specifico di motivazione in caso diniego tacito di
sanatoria, cfr. da ultimo, tra le tante, citata decisione
CdS, VI, n. 395/2014).
Peraltro, nel caso di cui trattasi, l’Amministrazione, alla
stregua del contenuto del preavviso di rigetto, ha anche
manifestato (ad abundantiam) le ragioni del diniego al
soggetto richiedente, sulle quali quest’ultimo è stato
quindi posto in grado di argomentare anche nel ricorso che
ne occupa. Ciò non cambia evidentemente la tipologia del
silenzio: da rigetto ad inadempimento.
---------------
In ordine al profilo del difetto di legittimazione
dell’affittuario a presentare istanza di sanatoria, opposto
dall’Amministrazione, il Collegio concorda con la
ricostruzione in fatto ed interpretativa
dell’Amministrazione.
Invero, sia l’art. 36 del DPR n. 380/2001 che l’art. 22,
comma 1, della LR n. 15/2008 (norme che espressamente
regolano il permesso di costruire in sanatoria) indicano,
come soli soggetti legittimati a chiedere il permesso
stesso, “il responsabile dell’abuso” e il “proprietario”.
Nessun cenno è operato al conduttore dell’immobile o ad
altri soggetti. Nel caso di specie poi il consenso del
proprietario nemmeno è stato (previamente) fornito in sede
procedimentale, né tale consenso può essere automaticamente
desunto dal contratto e dal rapporto di locazione.
Infine anche la generica disponibilità manifestata in sede
di osservazioni di far firmare l’istanza al sig. Ta. non si
è mai concretizzata davanti all’Amministrazione fino alla
presentazione del ricorso, non potendo quindi farsi ricadere
sull’Amministrazione stessa la responsabilità dell’omissione
per mancata richiesta di documentazione integrativa, essendo
onere del soggetto interessato quello di dimostrare gli
elementi di legittimazione alla presentazione dell’istanza.
---------------
... per l'annullamento, quanto al ricorso introduttivo:
- del provvedimento implicito di rigetto in ordine alla
domanda di sanatoria edilizia del 03.06.2011 di cui al prot.
n. 3152 presentata, ai sensi dell’art. 36 DPR n. 380/2001,
dal sig. Vi.Mi. in qualità di affittuario e possessore dei
terreni su cui insistono gli immobili sanandi: provvedimento
implicito che si impugna, ove da intendersi formato silenzio
significativo nonostante l’intervenuta successiva
comunicazione interlocutoria di avvio del procedimento di
rigetto dell’istanza sopra indicata del 10.06.2011 prot. n.
4280 a firma del Responsabile del procedimento cui non
tuttavia fatto seguito alcun provvedimento espresso di
rigetto;
- della nota del 10.06.2011 prot. n. 4280, successivamente
notificata ed avente ad oggetto la comunicazione di avvio
del provvedimento di rigetto mai assunto in via espressa,
emessa dal responsabile del procedimento in relazione
all’istanza di permesso di costruire in sanatoria prot. n.
3152 del 03.06.2011 presentata dal signor Mi.Vi.;
- di tutti gli atti presupposti, connessi e/o
consequenziali, ancorché eventualmente non richiamati nel
provvedimento impugnato e rispetto ai quali i ricorrenti
vantano una posizione di interesse;
e per l’annullamento, altresì, quanto ai motivi aggiunti:
- della Ordinanza del 02.05.2012 prot. n. 2124 Ord. n. 32/UT
con il quale il responsabile del Comune di Carbognano,
ritenendo consolidati gli effetti della ingiunzione di
demolizione n. 21/UT del 27.04.2011, applicava al signor
Ta.Le., ritenuto quale unico responsabile dell’abuso, la
sanzione pecuniaria di € 20.000, ai sensi dell’art. 15 della
L.R. n. 15/2008;
- dell’accertamento prot. n. 1620 del 02.04.2012 redatto
dall’Ufficio di Polizia Locale del Comune di Carbognano dal
quale emergerebbe che le opere per le quali è stata emessa
l’ingiunzione di demolizione n. 21/UT del 27.04.2011 non sono
state demolite;
- per quanto occorrer possa, del verbale di accertamento
prot. n. 1458 del 24.03.2011 della Polizia Locale in quanto
richiamato nella ordinanza del 02.05.2012 prot. n. 2124 ord.
N. 32/UT;
- di tutti gli atti presupposti, connessi e/o
consequenziali, ancorché eventualmente non richiamati nel
provvedimento impugnato e rispetto ai quali i ricorrenti
vantano una posizione di interesse;
...
Premesso quanto sopra, la valutazione propria della
sede di merito convince il Collegio dell’infondatezza del
ricorso e dei motivi aggiunti, alla stregua delle seguenti
considerazioni:
1) La vicenda per cui è causa trae origine da un sopralluogo
sull’immobile distinto in catasto terreni al fgl. 11,
part.lle 272, 291 e 169, ed in catasto fabbricati al fgl.
11, part.lla 292, da cui emergeva l’esistenza di opere non
assistite da titolo abilitativo. Seguivano, da parte del
Comune di Carbognano, ordinanze di sospensione lavori e di
demolizione, del 27.04.2011, notificate al sig. Ta.Le. il 28.04.2011.
Tali provvedimenti non risultano
impugnati. Sono invece gravati, con il ricorso introduttivo,
il diniego tacito sull’istanza di sanatoria, ex art 36 del
DPR n. 380/2001, presentata il 03.06.2011 dal sig. Mi. in
qualità di affittuario degli immobili, nonché la nota del
10.06.2011, successivamente notificata, avente ad oggetto la
comunicazione di avvio del procedimento di rigetto, mai
peraltro successivamente assunto in via espressa;
2) Il primo motivo del ricorso suddetto è privo di
fondamento, dal momento che in alternativa al provvedimento
definitivo espresso sull’istanza di accertamento di
conformità, ex art. 36 del DPR n. 380/2001, la legge ha
previsto, dopo il decorso di 60 gg., la formazione di un
silenzio-significativo con valore legale di rigetto (cfr.
articolo predetto, ma anche art. 22, comma 4, della L.R.
Lazio n. 15/2008).
Siffatto silenzio, nella specie, si è
dunque formato dopo il decorso di 60 gg. dal 03.06.2011 e
comunque, a tutto concedere, anche successivamente alla
richiesta di controdeduzioni (notificata al sig. Mi. il
31.08.2011), non essendo ulteriormente seguito alcun
provvedimento espresso.
Poiché il cittadino può sempre
tutelarsi mediante impugnativa del silenzio-diniego (la cui
formazione, essendo prevista dalla legge come alternativa al
provvedimento esplicito, non è illegittima soltanto perché
intervenuta appunto per silentium), non vi è alcun obbligo
per l’Amministrazione, sanzionabile con l’illegittimità del
silenzio, di pronunciarsi espressamente.
Tale principio non
può non valere anche per la presente fattispecie.
Sull’istanza di accertamento di conformità prodotta
dall’affittuario del terreno si è formato silenzio-rigetto,
per decorso dei termini prescritti sia prima che dopo la
notifica della richiesta di osservazioni sul preavviso di
rigetto (e le osservazioni stesse). Non si tratta, ripetesi,
di silenzio-inadempimento, ma di silenzio-significativo con
valore di reiezione dell’istanza, per il quale non è
configurabile un obbligo per l’Amministrazione di emanare un
atto scritto reiterativo degli effetti di diniego disposti
dal sopra richiamato art. 36 (cfr. CdS, IV, 13.01.2010, n.
100 e CdS, VI, n. 395 del 27.01.2014);
3) Trattandosi di silenzio-significativo, ne consegue che è
anche privo di fondamento il profilo di censura relativo al
difetto di motivazione.
Invero, il provvedimento tacito, in
quanto tale, è ontologicamente privo di motivazione, sicché
esso è impugnabile non per difetto di esplicazione dell’iter
giustificativo, ma per il suo contenuto di rigetto, potendo
farsi valere quindi, contro di esso, direttamente censure
afferenti alla fondatezza della pretesa, che siano quindi
idonee a dimostrare la sussistenza dei presupposti a base
dell’invocata sanatoria (sull’insussistenza di un obbligo
specifico di motivazione in caso diniego tacito di
sanatoria, cfr. da ultimo, tra le tante, citata decisione
CdS, VI, n. 395/2014).
Peraltro, nel caso di cui trattasi,
l’Amministrazione, alla stregua del contenuto del preavviso
di rigetto, ha anche manifestato (ad abundantiam) le ragioni
del diniego al soggetto richiedente, sulle quali
quest’ultimo è stato quindi posto in grado di argomentare
anche nel ricorso che ne occupa. Ciò non cambia
evidentemente la tipologia del silenzio: da rigetto ad
inadempimento.
Il contegno del Comune di Carbognano continua
a mantenere il suo significato di rigetto dell’istanza e
delle controdeduzioni, non potendo evidentemente una
condotta in via amministrativa modificare la qualificazione
del silenzio operata da una disposizione di legge;
4) In ordine al profilo del difetto di legittimazione
dell’affittuario a presentare istanza di sanatoria, opposto
dall’Amministrazione sia nella nota n. 4280 del 10.06.2011
che in sede difensiva, il Collegio concorda con la
ricostruzione in fatto ed interpretativa
dell’Amministrazione.
Invero, sia l’art. 36 del DPR n.
380/2001 che l’art. 22, comma 1, della LR n. 15/2008 (norme
che espressamente regolano il permesso di costruire in
sanatoria) indicano, come soli soggetti legittimati a
chiedere il permesso stesso, “il responsabile dell’abuso” e
il “proprietario”. Nessun cenno è operato al conduttore
dell’immobile o ad altri soggetti. Nel caso di specie poi il
consenso del proprietario nemmeno è stato (previamente)
fornito in sede procedimentale, né tale consenso può essere
automaticamente desunto dal contratto e dal rapporto di
locazione.
Infine anche la generica disponibilità
manifestata in sede di osservazioni di far firmare l’istanza
al sig. Ta. non si è mai concretizzata davanti
all’Amministrazione fino alla presentazione del ricorso, non
potendo quindi farsi ricadere sull’Amministrazione stessa la
responsabilità dell’omissione per mancata richiesta di
documentazione integrativa, essendo onere del soggetto
interessato quello di dimostrare gli elementi di
legittimazione alla presentazione dell’istanza.
Il secondo motivo è quindi privo di fondamento
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 06.10.2014 n. 10204 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Presupposti di efficacia del permesso in sanatoria.
I presupposti per attribuire efficacia
estintiva dell'illecito penale al permesso in sanatoria, ai
sensi dell'art. 36 del d.P.R. 380 del 2001, sussistono solo
se le opere abusive risultano, per quanto difformi dal
titolo abilitativo, in sé non contrastanti con gli strumenti
urbanistici vigenti sia al momento della loro realizzazione
che al momento della presentazione della domanda, con la
conseguenza che detta vicenda estintiva non può prodursi se
sia necessario procedere ad ulteriori interventi che
riconducano i lavori realizzati a tale doppia conformità (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.07.2014 n. 30275
- tratto da
www.lexambiente.it). |
giugno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
L'art. 36 del t.u.
edilizia ammette all’accertamento di conformità le opere
“eseguite” nel senso di “realizzate”, venendo dunque in
rilievo l’opera nello stato di fatto in cui si trova e non
in quello ipotetico che potrebbe verificarsi a seguito
dell’effettiva realizzazione degli interventi indicati
nell’istanza di sanatoria o in atti successivi.
In altre parole o la conformità sussiste al momento della
presentazione dell’istanza oppure non sussiste, con
conseguente carenza dei presupposti di carattere tassativo e
stretta interpretazione per concederla, non potendo
configurarsi nemmeno in astratto una sanatoria -anche se
formale- con prescrizioni ovvero di tipo condizionato
all’esecuzione di opere, venendo meno lo stesso requisito
della conformità con riferimento alla disciplina
urbanistico-edilizia vigente al momento della presentazione
della domanda.
Deve pertanto escludersi la possibilità -ai sensi degli
artt. 17 della legge regionale Umbria n. 21/2004 e 36 del
t.u. edilizia- di una sanatoria formale con prescrizioni
ovvero condizionata alla realizzazione di future opere
poiché “ontologicamente” in contrasto con gli elementi
essenziali dell’accertamento di conformità, di stretta
interpretazione, i quali presuppongono la già avvenuta
esecuzione delle opere e la integrale conformità alla
disciplina urbanistica.
3.5. A diverse conclusioni non può giungersi dando rilievo,
come vorrebbe la ricorrente, all’impegno manifestato sia
nella prima che nella seconda istanza di sanatoria ad
effettuare futuri interventi di adeguamento, consistenti
nella riconduzione del piano interrato nei limiti assentiti,
mostrando adesione alla tesi pur sostenuta da parte della
giurisprudenza (TAR Liguria sez. I, 13.06.2006,
n. 542) della ammissibilità di un titolo abilitativo a
sanatoria con prescrizioni.
Infatti, sia l’art. 17 della legge regionale Umbria n.
21/2004 che l’art. 36 del t.u. edilizia ammettono
all’accertamento di conformità le opere “eseguite” nel senso
di “realizzate”, venendo dunque in rilievo l’opera nello
stato di fatto in cui si trova e non in quello ipotetico che
potrebbe verificarsi a seguito dell’effettiva realizzazione
degli interventi indicati nell’istanza di sanatoria o in
atti successivi.
In altre parole o la conformità sussiste al
momento della presentazione dell’istanza oppure non
sussiste, con conseguente carenza dei presupposti di
carattere tassativo e stretta interpretazione (TAR
Toscana sez. I, 27.11.2006, n. 6040) per concederla,
non potendo configurarsi nemmeno in astratto una sanatoria -anche se formale- con prescrizioni ovvero di tipo
condizionato all’esecuzione di opere, venendo meno lo stesso
requisito della conformità con riferimento alla disciplina
urbanistico-edilizia vigente al momento della
presentazione della domanda (C.G.A.S. 15.10.2009,
n. 941; id. 29.02.2012, n. 242; Consiglio di Stato sez.
V, 23.11.2006, n. 6862; TAR Campania Salerno sez. II,
02.05.2013, n. 1034; Cassazione penale sez. III, 05.12.2007 n. 45241).
3.6. Deve pertanto escludersi la possibilità -ai sensi
degli artt. 17 della legge regionale Umbria n. 21/2004 e 36
del t.u. edilizia- di una sanatoria formale con
prescrizioni ovvero condizionata alla realizzazione di
future opere poiché “ontologicamente” in contrasto con gli
elementi essenziali dell’accertamento di conformità, di
stretta interpretazione, i quali presuppongono la già
avvenuta esecuzione delle opere e la integrale conformità
alla disciplina urbanistica.
3.7. Anche pertanto a voler ammettersi il discusso istituto
della “sanatoria giurisprudenziale” invocato da parte
ricorrente -peraltro recentemente escluso dalla più recente
giurisprudenza (ex multis TAR Toscana sez. III, 27.03.2013, n. 497; Consiglio di Stato sez. V,
06.07.2012,
n. 3961)- sarebbe ugualmente da escludersi nella fattispecie
la sussistenza dei relativi presupposti, non risultando
l’intervento abusivo neppure conforme alla disciplina
urbanistico edilizia vigente al momento della presentazione
della domanda.
4. Tanto premesso, il motivo della non assentibilità della
richiesta sanatoria per la presenza di nuovi volumi risulta
del tutto legittimo e pienamente ostativo al conseguimento
dell’accertamento di conformità, sia quanto al profilo
paesaggistico che edilizio, con conseguente improcedibilità
per carenza di interesse delle ulteriori censure dedotte,
dal momento che per giurisprudenza del tutto consolidata, in
caso di provvedimento basato su una motivazione plurima,
accertata la legittimità anche solo di uno dei motivi posti
a fondamento del medesimo, è superfluo l'esame della
fondatezza delle censure dedotte dai destinatari dell'atto,
avverso gli ulteriori motivi addotti a supporto del
provvedimento impugnato, poiché esso non può essere
annullato qualora anche uno solo dei motivi posti a suo
fondamento fornisca autonomamente la legittima e congrua
giustificazione della determinazione adottata (ex multis
TAR Lombardia Milano sez. IV, 12.11.2013, n. 2511;
TAR Toscana sez. II, 13.10.2010, n. 6457; Consiglio
di Stato sez. V, 10.03.2009, n. 1383; TAR Friuli
Venezia Giulia, 11.02.2010, n. 101)
(TAR Umbria,
sentenza 26.06.2014 n. 356 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non determina l'estinzione del reato
edilizio, ai sensi del combinato disposto degli
artt. 36 e 45 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, il
rilascio di un permesso di costruire in sanatoria
con effetti temporanei o relativo soltanto a parte
degli interventi abusivi realizzati o, ancora,
subordinato all'esecuzione di opere, atteso che ciò
contrasta ontologicamente con gli elementi
essenziali dell'accertamento di conformità, i quali
presuppongono la già avvenuta esecuzione delle opere
e la loro integrale conformità alla disciplina
urbanistica.
---------------
Il concetto della totale difformità è
antitetico rispetto a quello della parziale
difformità e ciò giustifica il diverso approccio
valutativo e comparativo per la riconoscibilità, che
deve essere eseguita su base normativa, dell'una o
dell'altra tipologia di difformità edilizia.
La nozione della parziale difformità evoca un
intervento costruttivo, specificamente individuato,
che, quantunque contemplato dal titolo abilitativo,
venga tuttavia realizzato secondo modalità diverse
da quelle fissate a livello progettuale.
Il concetto di totale difformità presuppone
invece un intervento costruttivo che esclude una
valutazione frammentaria di esso e che perciò va
riguardato unitariamente e nel suo complesso posto
che l'art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001 descrive le
opere eseguite in totale difformità dal permesso di
costruire come quelle "che comportano la
realizzazione di un organismo edilizio integralmente
diverso per caratteristiche tipologiche,
planovolumetriche o di utilizzazione da quello
oggetto del permesso stesso...".
Come è stato esattamente evidenziato,
l'art. 31, comma 1, TUE richiama un
concetto di "totale difformità"
ancorato, più che al confronto tra la singola
difformità e le previsioni progettuali
dell'intervento edilizio, alla comparazione
sintetica tra l'organismo programmato nel progetto
assentito e quello che è stato realizzato con
l'intervento edilizio scaturito dall'attività
costruttiva, con la conseguenza che, mentre il
metodo valutativo utilizzabile per definire il
concetto di "parziale difformità"
ha carattere analitico, quello destinato ad
accertare la "totale difformità" si fonda su
una valutazione di sintesi collegata alla
rispondenza o meno del risultato complessivo
dell'attività edilizia rispetto a quanto è stato
rappresentato nelle previsioni progettuali, le
uniche prese in considerazione in fase di assenso
amministrativo.
A tale significativa conclusione era infatti già
pervenuta la giurisprudenza di questa Corte quando,
nel previgente e non antitetico assetto normativo,
aveva chiarito che si ha
difformità totale di un manufatto edilizio
allorché i lavori riguardino un'opera diversa da
quella prevista dall'atto di concessione: diversa
per conformazione, strutturazione, destinazione,
ubicazione; mentre si configura la difformità
parziale quando le modificazioni incidano su
elementi particolari e non essenziali della
costruzione e si concretizzino in divergenze
qualitative e quantitative non incidenti sulle
strutture essenziali dell'opera.
---------------
2.4. Sul punto, quanto alla doglianza circa la
negata valenza del permesso in sanatoria come causa
estintiva del reato urbanistico, la Corte di appello
si è attenuta alla giurisprudenza di questa Corte
secondo la quale non determina
l'estinzione del reato edilizio, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 36 e 45 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380, il rilascio di un permesso di
costruire in sanatoria con effetti temporanei o
relativo soltanto a parte degli interventi abusivi
realizzati o, ancora, subordinato all'esecuzione di
opere, atteso che ciò contrasta ontologicamente con
gli elementi essenziali dell'accertamento di
conformità, i quali presuppongono la già avvenuta
esecuzione delle opere e la loro integrale
conformità alla disciplina urbanistica
(Sez. 3, n. 19587 del 27/04/2011, Montini ed altro,
Rv. 250477).
Nella specie, il permesso di costruire in sanatoria
è stato concesso con specifiche prescrizioni, è poi
pacifico che l'autorimessa seminterrata,
ipoteticamente sanabile, sia stata esclusa dalla
sanatoria stessa, essendone stata prevista la
demolizione e, a dimostrazione dell'inammissibilità
di una sanatoria parziale o condizionata alla
demolizione di una parte degli interventi, la Corte
di appello ha anche correttamente rilevato come,
dall'esame della pratica di sanatoria, anche altre
opere siano state sottratte all'accertamento dì
conformità essendo stata prevista anche
l'eliminazione dei muri di chiusura della loggia e
la risistemazione esterna del terreno, così da
incidere sull'altezza del piano di calpestio del
fabbricato rispetto al piano di campagna.
2.5. Corretto deve ritenersi anche l'approdo cui i
Giudici dell'appello sono pervenuti nel ritenere
configurata la fattispecie della difformità totale
procedendo ad valutazione concernente l'opera nel
suo insieme e stigmatizzando il contrario approccio
pronosticato dai ricorrenti e diretto a valutare
singolarmente le varie difformità parcellizzando
l'esame critico degli interventi.
Dalla valutazione unitaria dell'immobile realizzato,
la Corte ha tratto corretto e logico argomento per
desumere la realizzazione di un organismo
integralmente diverso da quanto previsto nell'atto
di assenso sul rilievo del macroscopico incremento
volumetrico comportante la realizzazione di un
immobile di dimensioni molto più ampie, traslato sul
terreno, con un'autorimessa seminterrata non
prevista dal permesso di costruire.
Il concetto della totale
difformità è antitetico rispetto a quello della
parziale difformità e ciò giustifica il
diverso approccio valutativo e comparativo per la
riconoscibilità, che deve essere eseguita su base
normativa, dell'una o dell'altra tipologia di
difformità edilizia.
La nozione della parziale difformità evoca un
intervento costruttivo, specificamente individuato,
che, quantunque contemplato dal titolo abilitativo,
venga tuttavia realizzato secondo modalità diverse
da quelle fissate a livello progettuale.
Il concetto di totale difformità presuppone
invece un intervento costruttivo che esclude una
valutazione frammentaria di esso e che perciò va
riguardato unitariamente e nel suo complesso posto
che l'art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001 descrive le
opere eseguite in totale difformità dal permesso di
costruire come quelle "che comportano la
realizzazione di un organismo edilizio integralmente
diverso per caratteristiche tipologiche,
planovolumetriche o di utilizzazione da quello
oggetto del permesso stesso...".
Come è stato esattamente evidenziato,
l'art. 31, comma 1, TUE richiama un concetto
di "totale difformità" ancorato, più
che al confronto tra la singola difformità e le
previsioni progettuali dell'intervento edilizio,
alla comparazione sintetica tra l'organismo
programmato nel progetto assentito e quello che è
stato realizzato con l'intervento edilizio scaturito
dall'attività costruttiva, con la conseguenza che,
mentre il metodo valutativo utilizzabile per
definire il concetto di "parziale difformità"
ha carattere analitico, quello destinato ad
accertare la "totale difformità" si
fonda su una valutazione di sintesi collegata alla
rispondenza o meno del risultato complessivo
dell'attività edilizia rispetto a quanto è stato
rappresentato nelle previsioni progettuali, le
uniche prese in considerazione in fase di assenso
amministrativo.
A tale significativa conclusione era infatti già
pervenuta la giurisprudenza di questa Corte quando,
nel previgente e non antitetico assetto normativo,
aveva chiarito che si ha
difformità totale di un manufatto edilizio
allorché i lavori riguardino un'opera diversa da
quella prevista dall'atto di concessione: diversa
per conformazione, strutturazione, destinazione,
ubicazione; mentre si configura la difformità
parziale quando le modificazioni incidano su
elementi particolari e non essenziali della
costruzione e si concretizzino in divergenze
qualitative e quantitative non incidenti sulle
strutture essenziali dell'opera
(Sez. 3, n. 1060 del 07/10/1987, dep. 30/01/1988,
Ferrali Rv. 177490).
2.6. A questo punto, appare chiaro come sia del
tutto irrilevante il richiamo nelle doglianze dei
ricorrenti alla legislazione regionale per desumere,
rispetto alle singole difformità e non alle anomalie
nel loro complesso, il carattere di variazione non
essenziale dei singoli interventi (come ad esempio
dell'autorimessa) e ciò sulla base del disposto
dell'art. 32 TUE e del rinvio alla legislazione
regionale integrativa.
Nel caso di specie, attesa la clausola di salvezza
posta in apertura delle disposizione, l'art. 32 TUE
non è applicabile stante la natura totale delle
difformità edilizie unitariamente riguardate e di
conseguenza alcun effetto giuridico produce la
legislazione regionale nella determinazione
integrativa delle variazioni essenziali in presenza
appunto di conclamate totali difformità (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.06.2014 n. 40541 - udienza). |
EDILIZIA PRIVATA: La sanatoria edilizia ex articolo 36 d.p.r. 380/2001
(riproposizione, del resto, del previgente articolo 13 l.
28.02.1985 n. 47) integra una fattispecie penale estintiva
che si basa proprio sull'accertamento dell'inesistenza di
danno urbanistico mediante la verifica della doppia
conformità agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento
del rilascio della concessione in sanatoria sia al momento
della realizzazione dell'opera, da ciò conseguendo che non ha effetto estintivo il
rilascio in sanatoria del permesso di costruire in deroga
agli strumenti urbanistici e che
comunque il permesso non può essere subordinato
all'esecuzione di opere, che contrastano con quella
conformità agli strumenti urbanistici che deve già
sussistere.
Ciò perché è sanabile solo l'opera conforme
agli strumenti urbanistici vigenti, logicamente tale
conformità consentendo di "correggere" il concreto
contenuto di un permesso di costruire
(da ultimo v. Cass. sez. III, 28.05.2013 n. 39895, per cui
nei reati edilizi "sussistono i presupposti per
attribuire efficacia estintiva dell'illecito penale al
permesso in sanatoria, ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. 380
del 2001, solo se le opere abusive risultano, per quanto
difformi dal titolo abilitativo, in sé non contrastanti con
gli strumenti urbanistici vigenti sia al momento della loro
realizzazione che al momento della presentazione della
domanda").
---------------
L'articolo 1, commi 37, 38 e 39,
l. 15.12.2004 n. 308 ha introdotto il c.d. condono
ambientale che è (pur permanendo le sanzioni amministrative
pecuniarie previste dall'art. 167) causa di estinzione del
reato di cui all'articolo 181, comma 1, d.lgs. 22.01.2004 n.
42, in tale articolo sono stati inseriti i commi 1-ter e 1-quater che
lo disciplinano, non configurando il condono neppure come
automatica conseguenza dell'autorizzazione paesaggistica.
L'articolo 181, comma 1-ter, prevede quindi
espressamente, in caso di accertamento della compatibilità
paesaggistica da parte dell'autorità amministrativa
competente secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la
non applicabilità del comma 1, che concerne una fattispecie
contravvenzionale, non investendo invece il delitto di cui
al comma 1-bis.
---------------
3. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo adduce che la corte territoriale
avrebbe errato nel ritenere non sussistente la c.d. doppia
conformità e sarebbe incorsa in un vizio di
contraddittorietà motivazionale per non aver adeguatamente
valutato la testimonianza del tecnico comunale Le..
Il motivo non trova riscontro nell'effettivo contenuto della
motivazione della sentenza impugnata, che esclude la doppia
conformità sulla base di elementi specifici, rilevando che
il permesso in sanatoria, pur essendovi attestata la doppia
conformità, non è conforme alla pianificazione adottata al
momento della realizzazione dell'opera.
In particolare nel permesso di costruire 96/2002, rispetto
al quale le opere abusive sono state costruite in variazione
essenziale secondo il capo di imputazione sub A, rileva il
giudice d'appello che il magazzino, per quel che emerge
dalla relazione 14.03.2007, doveva essere interrato, per
evitare una cubatura esterna, non prevista in quella zona
dagli strumenti urbanistici, laddove -evidenzia sempre il
giudice d'appello- la documentazione fotografica attinente
al manufatto dimostra che ciò non è avvenuto.
D'altronde è stata vagliata la deposizione del Le.,
evincendone una natura insufficiente a superare l'elemento
oggettivo sopra richiamato (osserva tra l'altro il giudice
d'appello che il teste "si è limitato a sostenere che, in
occasione del sopralluogo che ha dato origine al processo,
sarebbe incorso in un errore di computo ma non ha spiegato
il percorso dell'asserito errore") tenuto conto del
contrasto, in particolare, con le fotografie, con la
relazione 14.03.2007 e con la planimetria di raffronto tra
quanto assentito e quanto realizzato (motivazione, pagine
2-3).
Nessun vizio motivazionale risulta pertanto sussistere nella
esposizione che la corte territoriale offre della sua
valutazione che ha negato l'esistenza della doppia
conformità. Non può non ricordarsi, d'altronde, che
giurisprudenza di questa Suprema Corte insegna che
la sanatoria edilizia ex articolo 36 d.p.r. 380/2001
(riproposizione, del resto, del previgente articolo 13 l.
28.02.1985 n. 47) integra una fattispecie penale estintiva
che si basa proprio sull'accertamento dell'inesistenza di
danno urbanistico mediante la verifica della doppia
conformità agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento
del rilascio della concessione in sanatoria sia al momento
della realizzazione dell'opera
(Cass., sez. III, 21.10.2008 n. 42526; Cass., sez. III,
18.12.2003 n. 48499; Cass., sez. III, 18.03.2002 n. 11149),
da ciò conseguendo che non ha effetto estintivo il
rilascio in sanatoria del permesso di costruire in deroga
agli strumenti urbanistici
(Cass. sez. III, 31.03.2011 n. 16591) e che
comunque il permesso non può essere subordinato
all'esecuzione di opere, che contrastano con quella
conformità agli strumenti urbanistici che deve già
sussistere (Cass.
sez. III, 27.04.2011 n. 19587; Cass. sez. III,
26.11.2003-09.01.2004 n. 291 e Cass., sez. III, 18.12.2003
n. 48499, cit.).
Ciò perché è sanabile solo l'opera conforme
agli strumenti urbanistici vigenti, logicamente tale
conformità consentendo di "correggere" il concreto
contenuto di un permesso di costruire
(da ultimo v. Cass. sez. III, 28.05.2013 n. 39895, per cui
nei reati edilizi "sussistono i presupposti per
attribuire efficacia estintiva dell'illecito penale al
permesso in sanatoria, ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. 380
del 2001, solo se le opere abusive risultano, per quanto
difformi dal titolo abilitativo, in sé non contrastanti con
gli strumenti urbanistici vigenti sia al momento della loro
realizzazione che al momento della presentazione della
domanda").
Risulta pertanto normativamente esatta la valutazione
effettuata dalla corte territoriale, per cui, in
conclusione, il motivo rimane infondato.
Il secondo motivo, a ben guardare, si incentra sulla
fattispecie dell'autorizzazione paesaggistica, che, essendo
stata concessa dal Comune di Pieve Ligure nel caso di specie
in data 27.02.2009 (sulla base di un parere della
Sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici
della Liguria nel senso che l'intervento non comprometteva
gli equilibri ambientali della zona), avrebbe dovuto, ad
avviso del ricorrente, togliere ogni rilievo penale al reato
di cui al capo B ai sensi dell'articolo 181, comma 1-ter,
d.lgs. 42/2004. La corte territoriale avrebbe dunque violato
tale normativa e fornito una motivazione illogica perché di
contenuto diverso rispetto ai pareri delle autorità
amministrative.
Rilevato che comunque una motivazione di per sé non può
definirsi illogica meramente perché non coincide, come
contenuto, con un parere della P.A., si osserva che la corte
territoriale ha esattamente affermato la non incidenza delle
valutazioni della competente autorità amministrativa in
ordine alla sussistenza del reato, laddove trattasi di
fattispecie di cui all'articolo 181, comma 1-bis, d.lgs.
42/2004, in forza di "vincolo specifico istituito con
D.M. 14.12.1959".
E invero, l'articolo 1, commi 37, 38 e 39,
l. 15.12.2004 n. 308 ha introdotto il c.d. condono
ambientale che è (pur permanendo le sanzioni amministrative
pecuniarie previste dall'art. 167) causa di estinzione del
reato di cui all'articolo 181, comma 1, d.lgs. 22.01.2004 n.
42, in tale articolo inserendo i commi 1-ter e 1-quater che
lo disciplinano, non configurando il condono neppure come
automatica conseguenza dell'autorizzazione paesaggistica
(Cass. sez. III, 19.09.2013 n. 44189; Cass. Sez. III,
07.12.2007-09.01.2008 n. 583; Cass. sez. III, 10.05.2006 n.
15946; Cass. sez. III, 26.10.2005-03.02.2006 n. 4429).
L'articolo 181, comma 1-ter, prevede quindi
espressamente, in caso di accertamento della compatibilità
paesaggistica da parte dell'autorità amministrativa
competente secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la
non applicabilità del comma 1, che concerne una fattispecie
contravvenzionale, non investendo invece il delitto di cui
al comma 1-bis.
Deve pertanto concludersi per l'infondatezza anche del
secondo motivo
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
03.06.2014 n. 27491 - udienza). |
maggio 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
La particolare sanatoria prevista dall’art. 36
DPR 380/2001 non può essere più richiesta quando sia
definitivamente decorso il termine di novanta giorni
dall’ingiunzione di demolizione e di ripristino dello stato
dei luoghi (nel caso di opere eseguite in assenza di
concessione, in totale difformità e con variazioni
essenziali, art. 7) ovvero quello fissato dal sindaco
nell’ordinanza di demolizione (nel caso di interventi di
ristrutturazione edilizia, art. 9, comma 1, e di opere
eseguite in parziale difformità dalla concessione, art. 12,
comma 1) e, nel caso di opere eseguite senza autorizzazione,
ex art. 10, fino alla irrogazione delle sanzioni
amministrative.
Il legislatore ha in tal modo inteso contemperare i
contrapposti interessi in conflitto, subordinando la
sanatoria dell’abuso edilizio, di natura esclusivamente
formale per la sola mancanza del titolo abilitativo o per la
violazione dello stesso, stante invece la sua doppia
conformità edilizia ed urbanistica (al momento della
realizzazione dell’opera e al momento della domanda), al
mancato definitivo consolidarsi del provvedimento
sanzionatorio di demolizione o di irrogazione della
sanzione, indipendentemente dal fatto che la sanzione sia
stata effettivamente già portata ad esecuzione.
Da ciò deriva la natura perentoria dei
termini sopra indicati.
---------------
Per la consolidata giurisprudenza, che il Collegio condivide
e fa propria, è legittimo il doveroso diniego della
concessione in sanatoria di opere eseguite senza titolo
abilitante, qualora le stesse non risultino conformi tanto
alla normativa urbanistica vigente al momento della loro
realizzazione quanto a quella vigente al momento della
domanda di sanatoria.
Infatti, solo il legislatore statale (con preclusione non
solo per il potere giurisdizionale, ma anche per il
legislatore regionale) può prevedere i casi in cui può
essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria (avente
anche una rilevanza estintiva del reato già commesso) e
risulta del tutto ragionevole il divieto legale di
rilasciare una concessione (o il permesso) in sanatoria,
anche quando dopo la commissione dell’abuso vi sia una
modifica favorevole dello strumento urbanistico.
Come rilevato da questo Consiglio, tale ragionevolezza
risulta da due fondamentali esigenze, prese in
considerazione dalla legge:
a) evitare che il potere di pianificazione possa essere
strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non
punibile) ciò che risulta illecito (e punibile);
b) disporre una regola senz’altro dissuasiva dell’intenzione
di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce
sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione
dell’abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole
dello strumento urbanistico.
L’articolo 13 della legge 28.02.1985, n.
47 (ora trasfuso nell’art. 36 del D.P.R. 06.06.2001, n.
380), su cui è stata fondata l’istanza di concessione in
sanatoria dell’abuso edilizio, negata col provvedimento
impugnato in primo grado, stabilisce che il responsabile
dell’abuso possa ottenere la concessione o l’autorizzazione
in sanatoria, quando l’opera eseguita in assenza della
concessione o autorizzazione sia conforme agli strumenti
urbanistici generali e di attuazione approvati e non in
contrasto con quelli adottati sia al momento della
realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione
della domanda, “fino alla scadenza del termine di cui
all’art. 7, terzo comma, per i casi di opere eseguite in
assenza di concessione o in totale difformità o con varianti
essenziali, o dei termini stabiliti nell’ordinanza del
sindaco di cui al primo comma dell’art. 9, nonché, nei casi
di parziale difformità, nel termine di cui al primo comma
dell’art. 12, ovvero nel caso di opere eseguite in assenza
di autorizzazione ai sensi dell’art. 10 o comunque fino alla
irrogazione delle sanzioni”.
La particolare sanatoria prevista dall’articolo in esame non
può pertanto essere più richiesta quando sia definitivamente
decorso il termine di novanta giorni dall’ingiunzione di
demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi (nel caso
di opere eseguite in assenza di concessione, in totale
difformità e con variazioni essenziali, art. 7) ovvero
quello fissato dal sindaco nell’ordinanza di demolizione
(nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia, art.
9, comma 1, e di opere eseguite in parziale difformità dalla
concessione, art. 12, comma 1) e, nel caso di opere eseguite
senza autorizzazione, ex art. 10, fino alla irrogazione
delle sanzioni amministrative.
Il legislatore ha in tal modo inteso contemperare i
contrapposti interessi in conflitto, subordinando la
sanatoria dell’abuso edilizio, di natura esclusivamente
formale per la sola mancanza del titolo abilitativo o per la
violazione dello stesso, stante invece la sua doppia
conformità edilizia ed urbanistica (al momento della
realizzazione dell’opera e al momento della domanda), al
mancato definitivo consolidarsi del provvedimento
sanzionatorio di demolizione o di irrogazione della
sanzione, indipendentemente dal fatto che la sanzione sia
stata effettivamente già portata ad esecuzione (sul rapporto
di consequenzialità tra provvedimento di accertamento
dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e quello
successivo di acquisizione gratuita delle opere abusive e
dell'area di sedime rispetto all'ordine di demolizione delle
opere e ripristino dello stato primitivo dei luoghi e sulla
loro non autonoma impugnabilità in mancanza di tempestiva
impugnazione dell'atto con cui era stata ingiunta la
demolizione, tra le tante Cons. St., sez. V, 10.01.2007, n. 40).
Da ciò deriva la natura perentoria dei termini sopra
indicati.
---------------
Per la consolidata
giurisprudenza, che il Collegio condivide e fa propria, è
legittimo il doveroso diniego della concessione in sanatoria
di opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse
non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica
vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella
vigente al momento della domanda di sanatoria (Cons. St.,
Sez. V, 17.03.2014, n. 1324; Sez. V, 11.06.2013, n.
3235; Sez. V, 17.09.2012, n. 4914; Sez. V, 25.02.2009, n. 1126; Sez. IV, 26.04.2006, n. 2306).
Infatti, solo il legislatore statale (con preclusione non
solo per il potere giurisdizionale, ma anche per il
legislatore regionale: Corte Cost., 29.05.2013, n. 101)
può prevedere i casi in cui può essere rilasciato un titolo
edilizio in sanatoria (avente anche una rilevanza estintiva
del reato già commesso) e risulta del tutto ragionevole il
divieto legale di rilasciare una concessione (o il permesso)
in sanatoria, anche quando dopo la commissione dell’abuso vi
sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico.
Come rilevato da questo Consiglio (Sez. V, 17.03.2014, n. 1324, cit.), tale ragionevolezza risulta da due
fondamentali esigenze, prese in considerazione dalla legge:
a) evitare che il potere di pianificazione possa essere
strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non
punibile) ciò che risulta illecito (e punibile);
b) disporre una regola senz’altro dissuasiva dell’intenzione
di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce
sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione
dell’abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole
dello strumento urbanistico
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
27.05.2014 n. 2755 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
sentenza impugnata del TAR fonda l’accoglimento del ricorso
di primo grado sulle seguenti considerazioni:
- secondo consolidata giurisprudenza, la presentazione
dell’istanza di sanatoria, ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001
successivamente alla ordinanza di demolizione, comporta la
necessaria formazione, anche sub specie di silenzio-rigetto,
di un nuovo provvedimento che vale comunque a superare il
provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa;
- che, nell’ipotesi di rigetto anche tacito dell’istanza di
sanatoria l’amministrazione è in ogni caso tenuta, anche nel
medesimo contesto documentale e con rinvio ai pregressi
elementi istruttori e motivazionali, ad adottare un nuovo
provvedimento sanzionatorio, assegnando un nuovo termine per
adempiere.
Il ricorso è stato accolto perché l’ordine di acquisizione
impugnato traeva il suo presupposto dall’inottemperanza ad
un pregresso ordine di demolizione da intendersi superato a
seguito della presentazione della successiva istanza di
sanatoria dichiarata improcedibile.
Il ricorso in appello del comune è fondato.
La consolidata giurisprudenza cui fa riferimento la sentenza
impugnata si è formata in tema di condono edilizio, ossia di
richiesta che trova il suo fondamento in una norma di
carattere legislativo, che, innovando alla disciplina
urbanistica vigente, consente, a determinate condizioni e
per un limitato periodo di tempo, la sanatoria degli abusi
commessi.
Quei principi non possono trovare applicazione al caso di
specie, in cui il ricorrente ha formulato istanza ai sensi
dell’art. 36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, ossia ai sensi
di una norma che, prevedendo quella che, sinteticamente, si
definisce doppia conformità, limita la valutazione
dell’opera sulla base di una disciplina preesistente.
Sostenere, come affermato dalla sentenza impugnata, che,
nell’ipotesi di rigetto, esplicito o implicito, dell’istanza
di accertamento di conformità, l’amministrazione debba
riadottare l’ordinanza di demolizione, equivale al
riconoscimento in capo a un soggetto privato, destinatario
di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare,
attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo
provvedimento.
---------------
1. L’odierno appellato sig. Ba.Al. ha adito il Tribunale
amministrativo regionale per la Campania per l’annullamento
del provvedimento prot. n. 1266 del 07.03.2013, con il quale
il responsabile del servizio assetto del territorio del
Comune di Casapesenna ha dichiarato acquisite di diritto al
patrimonio del medesimo comune l’opera edilizia abusiva
(consistente in due fabbricati abusivi) e la relativa area
di sedime, site in via .., n. 5 e n. 7 in catasto fg. 8
p.lle 652/A e 652/b, stante l’accertata inottemperanza
all’ordine di demolizione n. 18 dell’08.11.2012 come da
verbale prot. n. 172/P.M. del 04.03.2013.
2. Nella sentenza impugnata si dà atto che il sig. Ba. aveva
impugnato il predetto ordine di demolizione con ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica dell’08.03.2013
e aveva inoltrato, dopo la notifica in data 09.11.2012
dell’ordine di demolizione, posto a base della gravata
acquisizione, istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 36
d.P.R. 06.06.2001, n. 380 in data 27.12.2012.
La sentenza impugnata dà altresì atto che il Comune di
Casapesenna aveva opposto che l’istanza di sanatoria era
stata dichiarata improcedibile con provvedimento n. 27 del
02.01.2013 in quanto priva di documentazione e di aver ivi
invitato il ricorrente a presentare nuova istanza corredata
di documentazione.
3. La sentenza impugnata fonda l’accoglimento del ricorso di
primo grado sulle seguenti considerazioni:
- secondo consolidata giurisprudenza, la presentazione
dell’istanza di sanatoria, ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001
successivamente alla ordinanza di demolizione, comporta la
necessaria formazione, anche sub specie di silenzio
rigetto, di un nuovo provvedimento che vale comunque a
superare il provvedimento sanzionatorio oggetto
dell’impugnativa;
- che, nell’ipotesi di rigetto anche tacito dell’istanza di
sanatoria l’amministrazione è in ogni caso tenuta, anche nel
medesimo contesto documentale e con rinvio ai pregressi
elementi istruttori e motivazionali, ad adottare un nuovo
provvedimento sanzionatorio, assegnando un nuovo termine per
adempiere.
Il ricorso è stato accolto perché l’ordine di acquisizione
impugnato traeva il suo presupposto dall’inottemperanza ad
un pregresso ordine di demolizione da intendersi superato a
seguito della presentazione della successiva istanza di
sanatoria dichiarata improcedibile.
4. Il Comune di Casapesenna ha proposto ricorso in appello
deducendo un unico complesso motivo così epigrafato:
error in procedendo; error in iudicando;
violazione dell’art. 112 del Cod. pro. Civ.; erroneità nella
ricostruzione dei termini fattuali della vicenda sostanziale
e nella sua valutazione giuridica; contraddittorietà; errata
determinazione del thema decidendum; errata
determinazione del thema probandum.
5. Il ricorso in appello è fondato.
6. La consolidata giurisprudenza cui fa riferimento la
sentenza impugnata si è formata in tema di condono edilizio
(Cons. Stato VI, 26.03.2010, n. 1750), ossia di richiesta
che trova il suo fondamento in una norma di carattere
legislativo, che, innovando alla disciplina urbanistica
vigente, consente, a determinate condizioni e per un
limitato periodo di tempo, la sanatoria degli abusi
commessi.
7. Quei principi non possono trovare applicazione al caso di
specie, in cui il ricorrente ha formulato istanza ai sensi
dell’art. 36 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, ossia ai sensi
di una norma che, prevedendo quella che, sinteticamente, si
definisce doppia conformità, limita la valutazione
dell’opera sulla base di una disciplina preesistente.
Sostenere, come affermato dalla sentenza impugnata, che,
nell’ipotesi di rigetto, esplicito o implicito, dell’istanza
di accertamento di conformità, l’amministrazione debba
riadottare l’ordinanza di demolizione, equivale al
riconoscimento in capo a un soggetto privato, destinatario
di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare,
attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo
provvedimento.
La ricostruzione dell’intero procedimento nei termini
suddetti non può essere effettuata in via meramente
interpretativa, ponendosi essa al di fuori di ogni
concezione sull’esercizio del potere, e richiede
un’esplicita scansione legislativa, allo stato assente, in
ordine ai tempi e ai modi della partecipazione dei soggetti
del rapporto.
8. Per completezza di esposizione il Collegio non può non
rilevare che, nella ricostruzione della vicenda effettuata
dal giudice di primo grado, del tutto irrilevante si è
rivelata la circostanza che il ricorrente abbia impugnato
l’ordinanza di demolizione con ricorso straordinario al
Presidente della Repubblica.
D’altro canto dalla sentenza impugnata non emerge che tale
provvedimento sia stato sospeso, con la conseguenza che esso
poteva costituire idoneo presupposto per l’adozione del
provvedimento di acquisizione
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.05.2014 n. 2307 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2014 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Secondo
consolidata e condivisibile giurisprudenza, l’accertamento
di conformità di cui all'art. 36 del D.P.R. 380/2001 va
effettuato su iniziativa dell'interessato e non
dell'amministrazione: ciò in quanto la normativa urbanistica
non pone alcun obbligo in capo al Comune, prima di emanare
l'ordinanza di demolizione, di verificarne la sanabilità
atteso che è rimessa all'esclusiva iniziativa della parte
interessata l'attivazione del procedimento di accertamento
di conformità urbanistica.
---------------
Secondo il prevalente indirizzo della giurisprudenza
amministrativa, a giustificare il provvedimento di
ingiunzione a demolire è necessaria e sufficiente
un'analitica descrizione delle opere abusivamente
realizzate, in modo da consentire al destinatario della
sanzione di rimuoverle spontaneamente, ogni altra
indicazione esulando dal contenuto tipico del provvedimento,
ivi compresa quella relativa alle aree pertinenziali in
quanto la corretta determinazione di queste ultime dovrà
avvenire soltanto dopo il rituale accertamento, da parte del
Comune, dell'inottemperanza all'ingiunzione, allorquando
sarà avviato, nell'ambito del procedimento sanzionatorio di
cui all'art. 31 del T.U. Edilizia, un sub-procedimento
specificamente finalizzato alla precisa individuazione delle
aree da acquisirsi gratuitamente ai sensi del terzo comma.
Infine, non hanno pregio
le ulteriori doglianze illustrate nel ricorso, secondo cui
l’amministrazione avrebbe omesso qualsivoglia verifica
diretta a scrutinare l’eventuale sanabilità delle opere e
non avrebbe dettagliatamente indicato l’area pertinenziale
dell’opera abusiva da acquisire in caso di inottemperanza
all’ordine demolitorio.
Sul primo profilo, si rammenta che, secondo consolidata e
condivisibile giurisprudenza, l’accertamento di conformità
di cui all'art. 36 del D.P.R. 380/2001 va effettuato su
iniziativa dell'interessato e non dell'amministrazione (ex multis, TAR Campania, Napoli, Sez. VI,
06.11.2008 n.
19290; TAR Lazio, Roma, 04.09.2009 n. 8389): ciò in
quanto la normativa urbanistica non pone alcun obbligo in
capo al Comune, prima di emanare l'ordinanza di demolizione,
di verificarne la sanabilità atteso che è rimessa
all'esclusiva iniziativa della parte interessata
l'attivazione del procedimento di accertamento di conformità
urbanistica.
Sull’ultimo rilievo è agevole rilevare che, secondo il
prevalente indirizzo della giurisprudenza amministrativa
(TAR Campania Napoli, Sez. VII, 14.01.2011 n. 164;
Sez. VI, 09.11.2009 n. 7053; Sez. IV, 26.06.2009 n.
3530), a giustificare il provvedimento di ingiunzione a
demolire è necessaria e sufficiente un'analitica descrizione
delle opere abusivamente realizzate, in modo da consentire
al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente,
ogni altra indicazione esulando dal contenuto tipico del
provvedimento, ivi compresa quella relativa alle aree pertinenziali in quanto la corretta determinazione di queste
ultime dovrà avvenire soltanto dopo il rituale accertamento,
da parte del Comune, dell'inottemperanza all'ingiunzione,
allorquando sarà avviato, nell'ambito del procedimento
sanzionatorio di cui all'art. 31 del T.U. Edilizia, un
sub-procedimento specificamente finalizzato alla precisa
individuazione delle aree da acquisirsi gratuitamente ai
sensi del terzo comma (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza
16.04.2014 n. 2174 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
a) in caso di ordine di demolizione delle opere
abusive non è necessaria la comunicazione di avvio del
procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. 241/1990
trattandosi di atto dovuto, sicché non sono richiesti
apporti partecipativi del soggetto destinatario;
b) l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti
sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e,
quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni
d'interesse pubblico, anche di natura urbanistica ed
ambientale, né una comparazione di quest'ultimo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati.
Difatti, il presupposto per l'adozione dell'ordine di
demolizione è costituito soltanto dalla constatata
esecuzione dell'opera in totale difformità dal titolo
edilizio, in assenza del medesimo ovvero con variazioni
essenziali, con la conseguenza che tale provvedimento, ove
ricorrano i predetti requisiti, è sufficientemente motivato
con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera,
essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione.
---------------
Non inficia la legittimità dell’azione amministrativa
l’esiguo tempo decorso tra il verbale di sopralluogo e
l’irrogazione dell’ingiunzione ripristinatoria.
Difatti, l’attività provvedimentale è stata posta in
applicazione degli artt. 27 e 31 del D.P.R. 380/2001 che,
come noto, riconoscono all'amministrazione comunale un
generale potere-dovere di vigilanza e controllo su tutta
l'attività urbanistica ed edilizia, del tutto privo di
margini di discrezionalità siccome rivolto a reprimere gli
abusi accertati al fine di ripristinare la legalità violata
dall'intervento edilizio non autorizzato.
Neppure può convenirsi circa la presunta esistenza di un
termine dilatorio dall’accertamento dell’abuso, decorso il
quale l’amministrazione potrebbe procedere alla irrogazione
delle sanzioni edilizie: in disparte l’assenza di
qualsivoglia fondamento normativo, tale opzione ermeneutica
collide con la descritta natura del potere di vigilanza in
materia edilizia che, una volta soddisfatta l’esigenza di
adeguata verifica dell’abuso, va esercitato entro un
ristretto arco temporale al fine di ripristinare celermente
l’ordine urbanistico violato.
---------------
L'accertamento di conformità ex art. 36 DPR 380/2001 va
effettuato su iniziativa dell'interessato e non
dell'amministrazione.
Ed invero la normativa urbanistica non pone alcun obbligo in
capo al Comune, prima di emanare l'ordinanza di demolizione,
di verificarne la sanabilità, atteso che è rimessa
all'esclusiva iniziativa della parte interessata
l'attivazione del procedimento di sanatoria.
Il ricorso è manifestamente infondato.
La censure (sviluppate con il primo ed il quarto motivo di
gravame) che attengono alla violazione delle garanzie
partecipative prescritte dalla L. 241/1990 e alla omessa
specificazione dell’interesse pubblico al ripristino si
infrangono contro il granitico indirizzo pretorio, dal quale
il Collegio non ritiene di discostarsi, secondo cui:
a) in
caso di ordine di demolizione delle opere abusive non è
necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ai
sensi dell’art. 7 della L. 241/1990 trattandosi di atto
dovuto, sicché non sono richiesti apporti partecipativi del
soggetto destinatario (ex multis, TAR Campania, Napoli,
Sez. VIII Napoli, 18.12.2013 n. 5811; 29.01.2009
n. 5001);
b) l’ordine di demolizione, come tutti i
provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto
vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione
delle ragioni d'interesse pubblico, anche di natura
urbanistica ed ambientale, né una comparazione di
quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e
sacrificati.
Difatti, il presupposto per l'adozione
dell'ordine di demolizione è costituito soltanto dalla
constatata esecuzione dell'opera in totale difformità dal
titolo edilizio, in assenza del medesimo ovvero con
variazioni essenziali, con la conseguenza che tale
provvedimento, ove ricorrano i predetti requisiti, è
sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata
abusività dell'opera, essendo in re ipsa l'interesse
pubblico alla sua rimozione (Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.04.2004 n. 2529; TAR Campania Napoli, Sez. IV,
02.12.2004 n. 18085).
Non ha pregio il secondo motivo di diritto con il quale i
ricorrenti deducono il difetto di motivazione ed osservano
che la contestazione dell’illecito edilizio sarebbe avvenuta
in un ristretto arco temporale rispetto alla data di
accertamento dell’abuso (verbale di accertamento del 06.02.2007 – ordine demolizione del 13.02.2007).
Quanto al difetto di motivazione, si osserva che nell’atto
sono specificate le ragioni poste a fondamento del gravato
ordine demolitorio, controvertendosi appunto di un manufatto
abusivo realizzato in zona agricola in mancanza di permesso
di costruire.
Inoltre non inficia la legittimità dell’azione
amministrativa l’esiguo tempo decorso tra il verbale di
sopralluogo e l’irrogazione dell’ingiunzione ripristinatoria.
Difatti, l’attività provvedimentale è stata posta in
applicazione degli artt. 27 e 31 del D.P.R. 380/2001 che,
come noto, riconoscono all'amministrazione comunale un
generale potere-dovere di vigilanza e controllo su tutta
l'attività urbanistica ed edilizia, del tutto privo di
margini di discrezionalità siccome rivolto a reprimere gli
abusi accertati al fine di ripristinare la legalità violata
dall'intervento edilizio non autorizzato (ex multis,
Consiglio di Stato, Sez. VI, 09.01.2013 n. 62).
Neppure può convenirsi circa la presunta esistenza di un
termine dilatorio dall’accertamento dell’abuso, decorso il
quale l’amministrazione potrebbe procedere alla irrogazione
delle sanzioni edilizie: in disparte l’assenza di
qualsivoglia fondamento normativo, tale opzione ermeneutica
collide con la descritta natura del potere di vigilanza in
materia edilizia che, una volta soddisfatta l’esigenza di
adeguata verifica dell’abuso, va esercitato entro un
ristretto arco temporale al fine di ripristinare celermente
l’ordine urbanistico violato.
Con il terzo motivo di diritto gli esponenti assumono che
l’ente locale, prima di adottare il provvedimento
demolitorio, avrebbe dovuto verificare preliminarmente la
sanabilità del manufatto de quo ai sensi dell’art. 36 del
T.U. Edilizia.
L’argomentazione è priva di pregio.
In primo luogo, a fronte della dichiarata abusività
dell’opera (che, si rammenta, è stata realizzata in zona
agricola ed in difetto di titolo abilitativo), i ricorrenti
non hanno in alcun modo comprovato la conformità rispetto
alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al
momento della realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda ai sensi dell’art. 36
D.P.R. 380/2001, onde la censura si appalesa generica e
priva di alcun riscontro probatorio.
In ogni caso, si aggiunga che l'accertamento di conformità
di cui alla richiamata disposizione va effettuato su
iniziativa dell'interessato e non dell'amministrazione
(TAR Lazio, Roma, 04.09.2009 n. 8389). Ed invero la
normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo al
Comune, prima di emanare l'ordinanza di demolizione, di
verificarne la sanabilità, atteso che è rimessa
all'esclusiva iniziativa della parte interessata
l'attivazione del procedimento di sanatoria (TAR Campania
Napoli, Sez. VI, 06.11.2008 n. 19290)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 26.03.2014 n. 1787 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Collegio, pur
non ignorando l’esistenza di un autorevole
orientamento giurisprudenziale di segno contrario,
ritiene di dover escludere che la regola pretoria
della ‘sanatoria giurisprudenziale’ sia compatibile
col dettato normativo dell’art. 36, comma 1, del
d.p.r. n. 380/2001, tanto da trovare ingresso
nell’ordinamento.
Nel senso di una rigorosa applicazione del canone
della c.d. doppia conformità degli interventi
abusivi rispetto alla disciplina
urbanistico-edilizia vigente sia al momento della
loro esecuzione sia al momento della presentazione
della domanda di sanatoria, militano i seguenti
argomenti interpretativi:
a) Argomento letterale.
Ai sensi dell’art. 36, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, “in
caso di interventi realizzati in assenza di permesso di
costruire, o in difformità da esso, fino alla scadenza dei
termini di cui agli artt. 31, comma 3, 33, comma 1, 34,
comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni
amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale
proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in
sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”.
Il tenore letterale della norma è del tutto perspicuo e
inequivoco nel riferire il requisito della conformità
urbanistico-edilizia dell’opera (formalmente abusiva) “sia”
al momento della sua realizzazione “sia” al momento della
presentazione della domanda di sanatoria.
Di fronte a siffatto dettato normativo, non appare al
Collegio condivisibile l’approccio ermeneutico elaborato da
Cons. Stato, sez. VI, 07.05.2009, n. 2835.
Stando a tale pronuncia, il canone della doppia conformità
sarebbe preordinato a garantire il richiedente dalla
possibile variazione in peius della disciplina
urbanistico-edilizia, a seguito di adozione di strumenti che
riducano o escludano, appunto, il ius aedificandi
sussistente al momento dell'istanza, mentre non potrebbe
ritenersi diretto a disciplinare l'ipotesi inversa del ius
superveniens favorevole, rispetto al momento ultimativo
della proposizione dell'istanza.
La regola in parola sarebbe, dunque, enucleata “contro
l'inerzia dell'amministrazione”, e starebbe a indicare “che,
se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto
la sanatoria non può essere opposta una modificazione della
normativa urbanistica successiva alla presentazione della
domanda. Tale regola non preclude il diritto ad ottenere la
concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza
concessione o in difformità dalla concessione, siano
conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in
cui l'autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria”.
Una simile interpretazione si rivela inammissibilmente
abrogatrice dell’inciso “sia al momento della realizzazione
dello stesso” (e cioè dell’immobile abusivo) e, quindi, contra legem: se, infatti, l’art. 36, comma 1, cit. fosse
unicamente volto a salvaguardare il privato istante dalle
conseguenze sfavorevoli (nel senso di una sopravvenuta
modifica in peius del ius aedificandi) dell’inerzia
dell’amministrazione nel concludere l’avviato procedimento
di sanatoria, sarebbe stato sufficiente il riferimento
testuale “al momento della presentazione della domanda”.
In realtà, il legislatore, con l’espressione “sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”, ha individuato l’intero arco
temporale lungo il quale si sia protratto l’abuso edilizio
commesso, senza che il relativo responsabile si sia attivato
per regolarizzarlo, ed entro il quale gli effetti
peggiorativi del ius superveniens non possono non ricadere
su costui, ma anche oltre il quale gli stessi effetti
restano imputabili all’inerzia dell’amministrazione nel
provvedere e non sono più su di lui riversabili.
b) Argomento storico.
Nell’emanare il nuovo art. 36, comma 1, del d.p.r. n.
380/2001, in luogo del previgente art. 13, comma 1, della l.
28.02.1985, n. 47, il legislatore delegato,
discostandosi dalla linea suggerita di Cons. Stato, ad.
gen., sez. atti norm., 29.03.2001, n. 52, nel senso di
codificare la regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’, ha preferito “non inserire una tale
previsione, sia perché la giurisprudenza sul punto non è
pacifica (sicché non può dirsi formato quel diritto vivente
che avrebbe consentito la modifica del dato testuale), sia,
soprattutto, per le considerazioni in senso nettamente
contrario contenute nel parere espresso dalla Camera”
(relazione illustrativa al testo unico dell’edilizia).
Un simile antefatto storico dell’iter legislativo denota,
vieppiù, la resistenza dell’ordinamento al recepimento della
regola pretoria della ‘sanatoria giurisprudenziale’.
c) Argomento logico-sistematico.
L'istituto dell’accertamento di conformità è stato
introdotto, nell'ambito di una revisione complessiva del
regime sanzionatorio degli illeciti edilizi, orientata nel
senso di una maggiore severità, con l'intento di consentire
la sanatoria dei soli abusi meramente formali, vale a dire
di quelle costruzioni per le quali, sussistendo ogni altro
requisito di legge e regolamento, manchi soltanto il
necessario titolo abilitativo. Il rilascio di quest’ultimo in esito
ad accertamento di conformità presuppone, pertanto, in capo
al responsabile dell'abuso, una situazione giuridica del
tutto equiparabile a quella di chi richieda un ordinario
permesso di costruire, ivi compresa la sussistenza ab
origine della conformità urbanistico-edilizia dell’opera.
Del resto, alla sanabilità degli abusi sostanziali è
dedicato non già l’istituto dell'accertamento di conformità,
bensì quello diverso del condono edilizio, nei
limiti, segnatamente temporali, in cui quest'ultimo sia
applicabile alla fattispecie concreta considerata.
Ciò posto, ammettere la ‘sanatoria giurisprudenziale’
significherebbe anche introdurre surrettiziamente
nell’ordinamento una sorta di condono atipico, affrancato
dai predetti limiti, mediante il quale il responsabile di un
abuso sostanziale potrebbe trovarsi a beneficiare degli
effetti indirettamente sananti di un più favorevole ius
superveniens, anziché di un’apposita disciplina legislativa
condonistica.
Nel delineato contesto sistematico, l’art. 36 del d.p.r. n.
380/2001, in quanto norma, da un lato, circoscritta alle
ipotesi di abusi meramente formali e, d’altro lato,
derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati
sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure
ripristinatorie e sanzionatorie, non è, dunque, suscettibile
di applicazione analogica né di una interpretazione
riduttiva, secondo cui, in contrasto col suo tenore
letterale, basterebbe la conformità delle opere con lo
strumento urbanistico vigente all’epoca in cui sia proposta
l’istanza di accertamento.
Viceversa, stante l’evidenziata portata speciale e
derogatoria della norma in esame, la sanabilità da essa
prevista postula sempre la conformità urbanistico-edilizia
dell'intervento sine titulo alla disciplina urbanistica
vigente sia al momento della sua realizzazione sia
alla data della presentazione della domanda.
d) Argomento teleologico.
Il denominatore comune delle argomentazioni addotte in
favore della regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’ è precipuamente rappresentato dalla
pretesa esigenza di ispirare l'esercizio del potere di
controllo sull'attività edificatoria dei privati al buon
andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.
Tale canone costituzionale imporrebbe, in sede di
accertamento di conformità ex art. 36 del d.p.r. n.
380/2001, di accogliere l'istanza di sanatoria per quei
manufatti che potrebbero ben essere realizzati sulla base
della disciplina urbanistica vigente al momento della
proposizione della predetta istanza, sebbene non conformi
alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione.
Si eviterebbe, così, uno spreco di attività inutili, sia
dell'amministrazione (il successivo procedimento
amministrativo preordinato alla demolizione dell'opera
abusiva), sia del privato (la nuova edificazione), sia
ancora dell'amministrazione (il rilascio del titolo per la
nuova edificazione).
A ben vedere, invece, quella sorta di antinomia adombrata
nel propugnare la ‘sanatoria giurisprudenziale’ –e, quindi,
nel ripudiare l'esigenza della doppia conformità– tra i
principi di legalità e di buon andamento della pubblica
amministrazione, con assegnazione della prevalenza a
quest'ultimo, in nome di una presunta logica
‘efficientista’, si rivela artificiosa.
Va, innanzitutto, rimarcato che l'agire della pubblica
amministrazione deve essere in ogni sua fase retto dal
principio di legalità, inteso quale regola fondamentale cui
è informata l'attività amministrativa e che trova un
fondamento positivo in varie disposizioni costituzionali
(artt. 23, 24, 97, 101 e 113 Cost.). In altri termini, lungi
dall'esservi antinomia fra efficienza e legalità, non può
esservi rispetto del buon andamento della pubblica
amministrazione ex art. 97 Cost., se non vi è, nel contempo,
rispetto del principio di legalità. Il punto di equilibrio
fra efficienza e legalità, è stato, nella materia de qua,
individuato dal legislatore nel consentire –come già detto–
la sanatoria dei c.d. abusi formali, sottraendo alla
demolizione le opere che risultino rispettose della
disciplina sostanziale sull'utilizzo del territorio,
e non solo di quella vigente al momento dell'istanza
di sanatoria, ma anche di quella vigente all'epoca
della loro realizzazione (e ciò in applicazione del
principio di legalità), e quindi evitando un
sacrificio degli interessi dei privati che abbiano
violato soltanto le sole norme disciplinanti il
procedimento da osservare nell'attività edificatoria
(e ciò in applicazione dei principi di efficienza e
buon andamento, che sarebbero violati ove agli
aspetti solo formali si desse un peso preponderante
rispetto a quelli dell’osservanza sostanziale delle
disposizioni generali e locali in materia di uso del
territorio).
La vera insanabile contraddizione risiederebbe, da un lato,
nell'imporre alle autorità comunali di reprimere e
sanzionare gli abusi edilizi, dall'altro, nel consentire
violazioni sostanziali della normativa del settore, quali
rimangono –sul piano urbanistico– quelle connesse ad opere
per cui non esista la doppia conformità, dovendosi
aver riguardo al momento della realizzazione
dell'opera per valutare la sussistenza dell'abuso.
Ciò, in quanto sarebbe davvero contrario al principio di
buon andamento ex art. 97 Cost. ammettere che
l'amministrazione, una volta emanata la disciplina sull'uso
del territorio, di fronte ad interventi difformi dalla
stessa, sia indotta –anziché a provvedere a sanzionarli– a
modificare la disciplina stessa. Si finirebbe, così, per
incoraggiare, anziché impedire, gli abusi, perché ogni
interessato si sentirebbe incitato alla realizzazione di
manufatti difformi, confidando sulla loro acquisizione di
conformità ex post, a mezzo di modifiche della disciplina
del settore. E si finirebbe per alterare l’essenza stessa
dell’accertamento di (doppia) conformità, che risiede
(anche) nello sterilizzare e nel disancorare l’attività pianificatoria degli enti locali dalla tentazione di
‘legalizzare’ surrettiziamente l’illecita trasformazione del
territorio da parte dei privati tramite varianti ‘pilotate’
agli strumenti urbanistici.
---------------
In definitiva, predicare l’operatività della regola
pretoria della ‘sanatoria giurisprudenziale’, e cioè
consentire la legittimazione postuma di opere
originariamente e sostanzialmente abusive,
significherebbe tradire:
- il principio di legalità, riveniente dagli
artt. 23, 24, 97, 101 e 113 Cost., oltre che
dall’art. 1, comma 1, della l. n. 241/1990 (secondo
cui “l’attività amministrativa persegue i fini
determinati dalla legge”), sia in quanto si
svuoterebbe della sua portata precettiva, certa e
vincolante la disciplina urbanistico-edilizia
vigente al momento della commissione degli illeciti,
sia in quanto, estendendosi l’ambito oggettivo di
applicazione del permesso di costruire in sanatoria,
se ne violerebbe la tipicità provvedimentale,
ancorata dalla norma primaria che lo prevede (art.
36 del d.p.r. n. 380/2001) alle sole violazioni di
ordine formale;
- il principio di imparzialità, riveniente
dall’art. 97 Cost., oltre che dall’art. 1, comma 1,
della l. n. 241/1990 (secondo cui “l’attività
amministrativa è retta da criteri … di
imparzialità”), in quanto si finirebbe per premiare
gli autori di abusi edilizi sostanziali, a discapito
di tutti coloro che abbiano correttamente eseguito
attività edificatorie, nel doveroso convincimento di
rispettare prescrizioni da altri, invece,
impunemente violate;
- i principi di buon andamento e di efficacia,
rivenienti dall’art. 97 Cost., oltre che dall’art.
1, comma 1, della l. n. 241/1990 (secondo cui
“l’attività amministrativa è retta da criteri … di
efficacia”), in quanto, premiando –come detto– gli
autori degli abusi edilizi sostanziali, risulterebbe
attenuata, se non addirittura neutralizzata, la
forza deterrente dell’apparato sanzionatorio posto a
presidio della disciplina di governo del territorio;
- i principi di proporzionalità e di
ragionevolezza, rivenienti, rispettivamente,
dall’ordinamento comunitario e dagli artt. 3 e 97
Cost., in quanto si estenderebbe l’ambito oggettivo
di applicazione di un istituto (permesso di
costruire in sanatoria) al di là della fenomenologia
(abusi edilizi meramente formali) in rapporto alla
quale quest’ultimo è stato enucleato e commisurato
dal legislatore.
Non soccorre, infine, alla tesi
propugnata da parte ricorrente circa l’invocata
applicabilità analogica dei principi sottesi alla c.d.
sanatoria giurisprudenziale.
In proposito, il Collegio, pur non ignorando l’esistenza di
un autorevole orientamento giurisprudenziale di segno
contrario (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 06.02.2003, n.
592; sez. V, 21.10.2003, n. 6498; 28.05.2004, n.
3431; 19.04.2005, n. 1796; sez. VI, 12.11.2008, n.
5646; sez. VI, 07.05.2009, n. 2835; TAR Abruzzo, Pescara,
11.05.2007, n. 534; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 31.01.2008, n. 137; TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 17.03.2010, n. 314; Cass. pen., sez. III, 15.02.2008,
n. 11132; 28.05.2008, n. 21208), ritiene di dover
escludere che la regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’ sia compatibile col dettato normativo
dell’art. 36, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, tanto da
trovare ingresso nell’ordinamento (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
26.04.2006, n. 2306; 17.09.2007, n. 4838; sez. V,
25.02.2009, n. 1126; sez. IV, 02.11.2009, n.
6784; TAR Lombardia, Brescia, 23.06.2003, n. 870;
Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352; sez. I, 24.05.2013, n. 1371; TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 15.01.2004, n. 16; Parma, 13.12.2007, n. 620; TAR
Piemonte, Torino, sez. I, 18.10.2004, n. 2506; 20.04.2005, n. 1094; TAR Liguria, Genova, sez. I, 23.02.2007, n. 364; TAR Sicilia, Catania, sez. I,
09.01.2009, n. 5; TAR Campania, Napoli, sez, VII, 07.05.2008, n. 3501; sez. VI,
04.08.2008, n. 9723; sez. III, 19.11.2008, n. 19875; sez. VIII, 10.09.2010, n.
17398; 03.07.2012, n. 3153; TAR Puglia, Lecce, sez. III,
09.12.2010, n. 2816; TAR Toscana, Firenze, sez. III, 11.02.2011, n. 263; 13.05.2011, n. 837; 27.03.2013, n. 497; Cass. pen., sez. III, 26.04.2007, n.
24451; 21.10.2008, n. 42526; 21.09.2009, n.
36350; 21.01.2010, n. 9446).
Nel senso di una rigorosa applicazione del canone della c.d.
doppia conformità degli interventi abusivi rispetto alla
disciplina urbanistico-edilizia vigente sia al momento della
loro esecuzione sia al momento della presentazione della
domanda di sanatoria, militano i seguenti argomenti
interpretativi, già illustrati dalla Sezione nelle sentenze
n. 17398 del 10.09.2010 e n. 3153 del 03.07.2012.
a) Argomento letterale.
Ai sensi dell’art. 36, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, “in
caso di interventi realizzati in assenza di permesso di
costruire, o in difformità da esso, fino alla scadenza dei
termini di cui agli artt. 31, comma 3, 33, comma 1, 34,
comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni
amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale
proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in
sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”.
Il tenore letterale della norma è del tutto perspicuo e
inequivoco nel riferire il requisito della conformità
urbanistico-edilizia dell’opera (formalmente abusiva) “sia”
al momento della sua realizzazione “sia” al momento della
presentazione della domanda di sanatoria.
Di fronte a siffatto dettato normativo, non appare al
Collegio condivisibile l’approccio ermeneutico elaborato da
Cons. Stato, sez. VI, 07.05.2009, n. 2835.
Stando a tale pronuncia, il canone della doppia conformità
sarebbe preordinato a garantire il richiedente dalla
possibile variazione in peius della disciplina
urbanistico-edilizia, a seguito di adozione di strumenti che
riducano o escludano, appunto, il ius aedificandi
sussistente al momento dell'istanza, mentre non potrebbe
ritenersi diretto a disciplinare l'ipotesi inversa del ius
superveniens favorevole, rispetto al momento ultimativo
della proposizione dell'istanza.
La regola in parola sarebbe, dunque, enucleata “contro
l'inerzia dell'amministrazione”, e starebbe a indicare “che,
se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto
la sanatoria non può essere opposta una modificazione della
normativa urbanistica successiva alla presentazione della
domanda. Tale regola non preclude il diritto ad ottenere la
concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza
concessione o in difformità dalla concessione, siano
conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in
cui l'autorità comunale provvede sulla domanda in sanatoria”
(Cons. Stato, sez. V, 21.10.2003, n. 6498).
Una simile interpretazione si rivela inammissibilmente
abrogatrice dell’inciso “sia al momento della realizzazione
dello stesso” (e cioè dell’immobile abusivo) e, quindi,
contra legem: se, infatti, l’art. 36, comma 1, cit. fosse
unicamente volto a salvaguardare il privato istante dalle
conseguenze sfavorevoli (nel senso di una sopravvenuta
modifica in peius del ius aedificandi) dell’inerzia
dell’amministrazione nel concludere l’avviato procedimento
di sanatoria, sarebbe stato sufficiente il riferimento
testuale “al momento della presentazione della domanda”.
In realtà, il legislatore, con l’espressione “sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda”, ha individuato l’intero arco
temporale lungo il quale si sia protratto l’abuso edilizio
commesso, senza che il relativo responsabile si sia attivato
per regolarizzarlo, ed entro il quale gli effetti
peggiorativi del ius superveniens non possono non ricadere
su costui, ma anche oltre il quale gli stessi effetti
restano imputabili all’inerzia dell’amministrazione nel
provvedere e non sono più su di lui riversabili.
b) Argomento storico.
Nell’emanare il nuovo art. 36, comma 1, del d.p.r. n.
380/2001, in luogo del previgente art. 13, comma 1, della l.
28.02.1985, n. 47, il legislatore delegato,
discostandosi dalla linea suggerita di Cons. Stato, ad.
gen., sez. atti norm., 29.03.2001, n. 52, nel senso di
codificare la regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’, ha preferito “non inserire una tale
previsione, sia perché la giurisprudenza sul punto non è
pacifica (sicché non può dirsi formato quel diritto vivente
che avrebbe consentito la modifica del dato testuale), sia,
soprattutto, per le considerazioni in senso nettamente
contrario contenute nel parere espresso dalla Camera”
(relazione illustrativa al testo unico dell’edilizia).
Un simile antefatto storico dell’iter legislativo denota,
vieppiù, la resistenza dell’ordinamento al recepimento della
regola pretoria della ‘sanatoria giurisprudenziale’.
c) Argomento logico-sistematico.
L'istituto dell’accertamento di conformità è stato
introdotto, nell'ambito di una revisione complessiva del
regime sanzionatorio degli illeciti edilizi, orientata nel
senso di una maggiore severità, con l'intento di consentire
la sanatoria dei soli abusi meramente formali, vale a dire
di quelle costruzioni per le quali, sussistendo ogni altro
requisito di legge e regolamento, manchi soltanto il
necessario titolo abilitativo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29.05.2006, n. 3267). Il rilascio di quest’ultimo in esito
ad accertamento di conformità presuppone, pertanto, in capo
al responsabile dell'abuso, una situazione giuridica del
tutto equiparabile a quella di chi richieda un ordinario
permesso di costruire, ivi compresa la sussistenza ab
origine della conformità urbanistico-edilizia dell’opera.
Del resto, alla sanabilità degli abusi sostanziali è
dedicato non già l’istituto dell'accertamento di conformità,
bensì quello diverso del condono edilizio (cfr. TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352), nei
limiti, segnatamente temporali, in cui quest'ultimo sia
applicabile alla fattispecie concreta considerata.
Ciò posto, ammettere la ‘sanatoria giurisprudenziale’
significherebbe anche introdurre surrettiziamente
nell’ordinamento una sorta di condono atipico, affrancato
dai predetti limiti, mediante il quale il responsabile di un
abuso sostanziale potrebbe trovarsi a beneficiare degli
effetti indirettamente sananti di un più favorevole ius
superveniens, anziché di un’apposita disciplina legislativa
condonistica.
Nel delineato contesto sistematico, l’art. 36 del d.p.r. n.
380/2001, in quanto norma, da un lato, circoscritta alle
ipotesi di abusi meramente formali e, d’altro lato,
derogatoria al principio per il quale i lavori realizzati
sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure
ripristinatorie e sanzionatorie, non è, dunque, suscettibile
di applicazione analogica né di una interpretazione
riduttiva, secondo cui, in contrasto col suo tenore
letterale, basterebbe la conformità delle opere con lo
strumento urbanistico vigente all’epoca in cui sia proposta
l’istanza di accertamento.
Viceversa, stante l’evidenziata portata speciale e
derogatoria della norma in esame, la sanabilità da essa
prevista postula sempre la conformità urbanistico-edilizia
dell'intervento sine titulo alla disciplina urbanistica
vigente sia al momento della sua realizzazione sia alla data
della presentazione della domanda (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
17.09.2007, n. 4838; 02.11.2009, n. 6784).
d) Argomento teleologico.
Il denominatore comune delle argomentazioni addotte in
favore della regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’ è precipuamente rappresentato dalla
pretesa esigenza di ispirare l'esercizio del potere di
controllo sull'attività edificatoria dei privati al buon
andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.
Tale canone costituzionale imporrebbe, in sede di
accertamento di conformità ex art. 36 del d.p.r. n.
380/2001, di accogliere l'istanza di sanatoria per quei
manufatti che potrebbero ben essere realizzati sulla base
della disciplina urbanistica vigente al momento della
proposizione della predetta istanza, sebbene non conformi
alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione.
Si eviterebbe, così, uno spreco di attività inutili, sia
dell'amministrazione (il successivo procedimento
amministrativo preordinato alla demolizione dell'opera
abusiva), sia del privato (la nuova edificazione), sia
ancora dell'amministrazione (il rilascio del titolo per la
nuova edificazione).
A ben vedere, invece, quella sorta di antinomia adombrata
nel propugnare la ‘sanatoria giurisprudenziale’ –e, quindi,
nel ripudiare l'esigenza della doppia conformità– tra i
principi di legalità e di buon andamento della pubblica
amministrazione, con assegnazione della prevalenza a
quest'ultimo, in nome di una presunta logica
‘efficientista’, si rivela artificiosa (cfr. TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352).
Va, innanzitutto, rimarcato che l'agire della pubblica
amministrazione deve essere in ogni sua fase retto dal
principio di legalità, inteso quale regola fondamentale cui
è informata l'attività amministrativa e che trova un
fondamento positivo in varie disposizioni costituzionali
(artt. 23, 24, 97, 101 e 113 Cost.). In altri termini, lungi
dall'esservi antinomia fra efficienza e legalità, non può
esservi rispetto del buon andamento della pubblica
amministrazione ex art. 97 Cost., se non vi è, nel contempo,
rispetto del principio di legalità. Il punto di equilibrio
fra efficienza e legalità, è stato, nella materia de qua,
individuato dal legislatore nel consentire –come già detto– la sanatoria dei c.d. abusi formali, sottraendo alla
demolizione le opere che risultino rispettose della
disciplina sostanziale sull'utilizzo del territorio, e non
solo di quella vigente al momento dell'istanza di sanatoria,
ma anche di quella vigente all'epoca della loro
realizzazione (e ciò in applicazione del principio di
legalità), e quindi evitando un sacrificio degli interessi
dei privati che abbiano violato soltanto le sole norme
disciplinanti il procedimento da osservare nell'attività
edificatoria (e ciò in applicazione dei principi di
efficienza e buon andamento, che sarebbero violati ove agli
aspetti solo formali si desse un peso preponderante rispetto
a quelli dell’osservanza sostanziale delle disposizioni
generali e locali in materia di uso del territorio) (TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352; TAR
Sicilia, Catania, sez. I, 09.01.2009, n. 5).
La vera insanabile contraddizione risiederebbe, da un lato,
nell'imporre alle autorità comunali di reprimere e
sanzionare gli abusi edilizi, dall'altro, nel consentire
violazioni sostanziali della normativa del settore, quali
rimangono –sul piano urbanistico– quelle connesse ad opere
per cui non esista la doppia conformità, dovendosi aver
riguardo al momento della realizzazione dell'opera per
valutare la sussistenza dell'abuso (cfr. TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352).
Ciò, in quanto sarebbe davvero contrario al principio di
buon andamento ex art. 97 Cost. ammettere che
l'amministrazione, una volta emanata la disciplina sull'uso
del territorio, di fronte ad interventi difformi dalla
stessa, sia indotta –anziché a provvedere a sanzionarli– a
modificare la disciplina stessa. Si finirebbe, così, per
incoraggiare, anziché impedire, gli abusi, perché ogni
interessato si sentirebbe incitato alla realizzazione di
manufatti difformi, confidando sulla loro acquisizione di
conformità ex post, a mezzo di modifiche della disciplina
del settore. E si finirebbe per alterare l’essenza stessa
dell’accertamento di (doppia) conformità, che risiede
(anche) nello sterilizzare e nel disancorare l’attività pianificatoria degli enti locali dalla tentazione di
‘legalizzare’ surrettiziamente l’illecita trasformazione del
territorio da parte dei privati tramite varianti ‘pilotate’
agli strumenti urbanistici.
In definitiva, predicare l’operatività della regola pretoria
della ‘sanatoria giurisprudenziale’, e cioè consentire la
legittimazione postuma di opere originariamente e
sostanzialmente abusive, significherebbe tradire:
- il principio di legalità, riveniente dagli artt. 23, 24,
97, 101 e 113 Cost., oltre che dall’art. 1, comma 1, della
l. n. 241/1990 (secondo cui “l’attività amministrativa
persegue i fini determinati dalla legge”), sia in quanto si
svuoterebbe della sua portata precettiva, certa e vincolante
la disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento della
commissione degli illeciti, sia in quanto, estendendosi
l’ambito oggettivo di applicazione del permesso di costruire
in sanatoria, se ne violerebbe la tipicità provvedimentale,
ancorata dalla norma primaria che lo prevede (art. 36 del
d.p.r. n. 380/2001) alle sole violazioni di ordine formale;
- il principio di imparzialità, riveniente dall’art. 97
Cost., oltre che dall’art. 1, comma 1, della l. n. 241/1990
(secondo cui “l’attività amministrativa è retta da criteri …
di imparzialità”), in quanto si finirebbe per premiare gli
autori di abusi edilizi sostanziali, a discapito di tutti
coloro che abbiano correttamente eseguito attività
edificatorie, nel doveroso convincimento di rispettare
prescrizioni da altri, invece, impunemente violate;
- i principi di buon andamento e di efficacia, rivenienti
dall’art. 97 Cost., oltre che dall’art. 1, comma 1, della l.
n. 241/1990 (secondo cui “l’attività amministrativa è retta
da criteri … di efficacia”), in quanto, premiando –come
detto– gli autori degli abusi edilizi sostanziali,
risulterebbe attenuata, se non addirittura neutralizzata, la
forza deterrente dell’apparato sanzionatorio posto a
presidio della disciplina di governo del territorio;
- i principi di proporzionalità e di
ragionevolezza, rivenienti, rispettivamente,
dall’ordinamento comunitario e dagli artt. 3 e 97
Cost., in quanto si estenderebbe l’ambito oggettivo
di applicazione di un istituto (permesso di
costruire in sanatoria) al di là della fenomenologia
(abusi edilizi meramente formali) in rapporto alla
quale quest’ultimo è stato enucleato e commisurato
dal legislatore
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 20.03.2014 n. 1690 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’utilizzo di una DIA ex art. 22, comma 2, del DPR 380/2001
(DIA semplice) per regolarizzare le opere difformi è una
strada impercorribile, in quanto, una volta ultimati i
lavori, l’unico strumento utilizzabile è l’accertamento di
conformità previsto dall’art. 36 del DPR 380/2001.
Oltretutto, l’impiego della DIA semplice è limitato alle
opere minori, ossia agli interventi diversi dalla nuova
costruzione e dalla ristrutturazione pesante.
Quando la difformità rispetto al titolo edilizio riguardi
opere già eseguite che avrebbero potuto essere autorizzate
mediante DIA semplice, si applica la speciale sanatoria ex
art. 37 del DPR 380/2001.
Nel caso in esame, invece, poiché le difformità riguardano
opere inserite in un nuovo edificio, il regime sostanziale è
quello della costruzione nel suo complesso. Di conseguenza,
le difformità riscontrate possono essere sanate solo nei
limiti in cui è ammesso l’accertamento di conformità ex art.
36 del DPR 380/2001.
---------------
L’accertamento di conformità presuppone che le opere
rispettino la disciplina urbanistica sostanziale in vigore
sia al momento della realizzazione delle stesse sia al
momento della presentazione della domanda di sanatoria
(questo secondo riferimento temporale, vista la
particolarità della fattispecie, può essere ricondotto al
04.09.2004, data di presentazione della DIA).
Nel definire se un’opera risulti conforme alla disciplina
urbanistica vengono in rilievo le norme sulle variazioni
essenziali. Se il progetto della nuova costruzione,
regolarmente assentito, esauriva in tutto o in parte le
facoltà edificatorie, la qualificazione delle opere difformi
come variazioni non essenziali estende l’area
dell’accertamento di conformità, preservando le opere così
qualificabili dalla sanzione della rimessione in pristino,
anche se di fatto comportino un incremento degli indici
edificatori ammessi;
In altri termini, la qualificazione degli interventi
difformi come variazioni non essenziali non fa rientrare i
suddetti interventi nella categoria dell’attività edilizia
libera ex art. 6 del DPR 380/2001, ma consente di collocarli
tra quelli sanabili ai sensi dell’art. 36 del DPR 380/2001
per accessione rispetto alla nuova costruzione (o alla
ristrutturazione pesante).
Una precisazione deve essere fatta per il parametro
dell’altezza, che svolge anche una funzione di garanzia per
i diritti dei terzi. La circostanza che la maggiore altezza
sia considerata variazione essenziale solo quando eccede il
progetto di oltre un metro (v. art. 54, comma 1.c.1, della
LR 11.03.2005 n. 12) non significa che le altezze di zona
possano sistematicamente essere sforate di un metro, ma
costituisce un canone interpretativo a favore della
conservazione di quanto edificato, nel senso che nei casi
dubbi (come quello in esame) deve essere preferita la
lettura più estensiva delle norme tecniche.
... per l'annullamento dell’ordinanza n. 6 del 27.12.2004, con la quale il responsabile del Settore Edilizia e
Urbanistica ha ingiunto la demolizione delle opere
realizzate in difformità dalla concessione edilizia n. 17
del 04.10.2001;
...
Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono
svolgere le seguenti considerazioni:
(a) la revoca del provvedimento impugnato determina la
sopravvenuta carenza di interesse per la parte impugnatoria
del ricorso;
(b) rimane però ferma l’esigenza di una valutazione dei
profili urbanistici della vicenda, in quanto occorre
decidere sulla domanda risarcitoria e sulle spese di
giudizio;
(c) in proposito, si osserva in primo luogo che l’utilizzo
di una DIA ex art. 22, comma 2, del DPR 380/2001 (DIA
semplice) per regolarizzare le opere difformi è una strada
impercorribile, in quanto, una volta ultimati i lavori,
l’unico strumento utilizzabile è l’accertamento di
conformità previsto dall’art. 36 del DPR 380/2001.
Oltretutto, l’impiego della DIA semplice è limitato alle
opere minori, ossia agli interventi diversi dalla nuova
costruzione e dalla ristrutturazione pesante. Quando la
difformità rispetto al titolo edilizio riguardi opere già
eseguite che avrebbero potuto essere autorizzate mediante
DIA semplice, si applica la speciale sanatoria ex art. 37
del DPR 380/2001;
(d) nel caso in esame, invece, poiché le difformità
riguardano opere inserite in un nuovo edificio, il regime
sostanziale è quello della costruzione nel suo complesso. Di
conseguenza, le difformità riscontrate possono essere sanate
solo nei limiti in cui è ammesso l’accertamento di
conformità ex art. 36 del DPR 380/2001;
(e) a sua volta, l’accertamento di conformità presuppone che
le opere rispettino la disciplina urbanistica sostanziale in
vigore sia al momento della realizzazione delle stesse sia
al momento della presentazione della domanda di sanatoria
(questo secondo riferimento temporale, vista la
particolarità della fattispecie, può essere ricondotto al 04.09.2004, data di presentazione della DIA). Nel
definire se un’opera risulti conforme alla disciplina
urbanistica vengono in rilievo le norme sulle variazioni
essenziali. Se il progetto della nuova costruzione,
regolarmente assentito, esauriva in tutto o in parte le
facoltà edificatorie, la qualificazione delle opere difformi
come variazioni non essenziali estende l’area
dell’accertamento di conformità, preservando le opere così
qualificabili dalla sanzione della rimessione in pristino,
anche se di fatto comportino un incremento degli indici
edificatori ammessi;
(f) in altri termini, la qualificazione degli interventi
difformi come variazioni non essenziali (qui effettuata
direttamente dal Comune con il provvedimento del 24.03.2005) non fa rientrare i suddetti interventi nella categoria
dell’attività edilizia libera ex art. 6 del DPR 380/2001, ma
consente di collocarli tra quelli sanabili ai sensi
dell’art. 36 del DPR 380/2001 per accessione rispetto alla
nuova costruzione (o alla ristrutturazione pesante). Una
precisazione deve essere fatta per il parametro
dell’altezza, che svolge anche una funzione di garanzia per
i diritti dei terzi. La circostanza che la maggiore altezza
sia considerata variazione essenziale solo quando eccede il
progetto di oltre un metro (v. art. 54, comma 1.c.1, della LR
11.03.2005 n. 12) non significa che le altezze di zona
possano sistematicamente essere sforate di un metro, ma
costituisce un canone interpretativo a favore della
conservazione di quanto edificato, nel senso che nei casi
dubbi (come quello in esame) deve essere preferita la
lettura più estensiva delle norme tecniche;
(g) in contrasto con la tesi dell’attività edilizia libera,
è poi evidente che almeno alcune delle opere difformi
realizzate dalla ricorrente, se considerate isolatamente,
costituiscono veri e propri ampliamenti, come tali
assimilabili alle nuove costruzioni ex art. 3, comma 1.e.1,
del DPR 380/2001 e sottoposti a permesso di costruire. È
questo il caso dell’incremento di volumetria
dell’autorimessa (che è solo parzialmente interrata) e della
traslazione verso l’alto dell’intero edificio. Inoltre, se
si considera l’insieme di queste e delle altre opere
difformi (con particolare riferimento a quelle che
comportano incremento della superficie residenziale), emerge
chiaramente un nuovo disegno edilizio, con utilità
aggiuntive, la cui sanabilità deve parimenti essere valutata
ai sensi dell’art. 36 del DPR 380/2001;
(h) il fatto che gli interventi difformi siano stati
qualificati dal Comune come variazioni non essenziali e la
possibilità di interpretare le norme tecniche nel senso
dell’osservanza dell’altezza massima di zona sono senz’altro
elementi a favore della ricorrente. Si deve però ritenere
che l’attività di vigilanza del Comune sia stata
correttamente svolta sotto i seguenti profili: (1)
nell’individuazione delle difformità rispetto all’originaria
concessione edilizia; (2) nel giudizio di inidoneità
espresso sulla DIA semplice presentata a lavori conclusi;
(3) nell’esclusione delle opere difformi dalla categoria
dell’attività edilizia libera. Di conseguenza, anche se
l’ordinanza di demolizione è stata adottata prima dello
svolgimento della procedura ex art. 36 del DPR 380/2001, non
sembra essere sorta alcuna obbligazione risarcitoria in capo
al Comune, tenuto conto della tempestività della revoca in
autotutela
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 12.03.2014 n. 235 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
norma che ribadisce la regola della “doppia conformità” è
l’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001 in forza della quale la
sanatoria di immobili abusivi, perché realizzati senza
titolo abilitativo, è possibile solo se sono conformi allo
strumento urbanistico esistente al momento della
realizzazione dell’opera e al momento della presentazione
della domanda di sanatoria.
Invero, la valutazione di doppia conformità non può che
avere riguardo ai lavori così come realizzati, senza che
possano essere presi in considerazione i lavori necessari
per rendere l’opera conforme alla normativa urbanistica e
vincolistica.
L’accertamento di conformità è uno strumento di
conservazione di opere già realizzate e provviste della
doppia conformità, senza che possono venire in rilievo le
opere da eseguirsi per rendere le opere già eseguite
conformi alla normativa urbanistica e vincolistica.
L'istituto in esame, già previsto dall'art. 13 della l.
28.02.1985 n. 47 ed ora regolato dall'art. 36 del d.p.r. n.
380 del 2001 è infatti diretto a sanare le opere solo
formalmente abusive, in quanto eseguite senza concessione o
autorizzazione, ma conformi nella sostanza alla disciplina
urbanistica applicabile per l'area su cui sorgono, vigente
sia al momento della loro realizzazione, sia al momento
della presentazione dell'istanza di sanatoria (c.d. doppia
conformità).
In simili ipotesi, la valutazione che l’amministrazione deve
svolgere è del tutto doverosa e vincolata, priva di
contenuti discrezionali e relativa alla realizzazione di un
assetto di interessi già prefigurato dalla disciplina
urbanistica applicabile, di tal che il provvedimento di
accertamento di conformità assume una connotazione oggettiva
e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali.
Ne consegue che la sanatoria non è invocabile in forza
dell’esecuzione di ulteriori lavori, volti a rendere oggi
conformi alla normativa urbanistica e vincolistica delle
opere da essa difformi al tempo della loro realizzazione.
---------------
Né può essere invocata la c.d. sanatoria giurisprudenziale,
che ricorrerebbe allorquando la conformità dell'opera
abusiva sussista rispetto alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente al momento del rilascio del titolo sanante,
ma non anche rispetto a quella del tempo in cui l'opera è
stata realizzata.
Secondo consolidata giurisprudenza quest'ultimo istituto non
ha più ragione di esistere nel vigente ordinamento,
caratterizzato da una disciplina puntuale ed esaustiva delle
ipotesi di condono e sanatoria edilizia.
La ricorrente contesta gli atti con i quali
l’amministrazione resistente ha ritenuto sanati gli abusi
edilizi commessi dai controinteressati, omettendo così di
esercitare i poteri repressivi di cui è titolare e
nonostante la mancata esecuzione dell’ordinanza di
demolizione adottata dal Comune in data 22.08.2011.
In particolare si lamenta l’insussistenza dei presupposti
per la sanatoria (accertamento di conformità) previsti
dall’art. 84 della legge regionale n. 11/1998 e dall’art. 36
del d.p.r. n. 380/2001
Le censure sono fondate.
Non è contestato il carattere abusivo dell’opera,
consistente nella realizzazione di un deposito con annessa
tettoia, a modificazione, strutturale e di destinazione, del
pollaio esistente al tempo della licenza edilizia n.
52/1974, tanto che i controinteressati hanno presentato una
DIA in sanatoria, sul presupposto della natura abusiva delle
opere realizzate.
Il problema consiste, allora, nello stabilire se gli
interventi eseguiti sul deposito e sull’annessa tettoia
-richiamati dall’amministrazione nel provvedimento con il
quale ha dato atto della sanatoria ed escluso la sussistenza
dei presupposti per l’esercizio del potere repressivo- siano
idonei a realizzare le condizioni per l’accertamento di
conformità e a superare l’abuso edilizio commesso.
L’art. 84 della legge regionale della Valle d’Aosta n.
11/1998 prevede che “fino alla scadenza dei termini
fissati negli ordini del Sindaco di ripristino, e fino
all'irrogazione delle sanzioni pecuniarie, i responsabili
dell'abuso dotati di idoneo titolo possono richiedere la
concessione in sanatoria quando l'intervento è conforme agli
strumenti di pianificazione nonché ai piani, programmi,
intese e concertazioni attuativi del PRG e non contrasta con
quelle dei piani medesimi, adottate, sia con riferimento al
tempo della realizzazione dell'intervento, sia con riguardo
al momento della presentazione della domanda di concessione
in sanatoria”.
La norma ribadisce la regola della “doppia conformità”,
presente anche nella legislazione nazionale (in particolare
l’art. 36 del d.p.r. n. 380/2001), in forza della quale la
sanatoria di immobili abusivi, perché realizzati senza
titolo abilitativo, è possibile solo se sono conformi allo
strumento urbanistico esistente al momento della
realizzazione dell’opera e al momento della presentazione
della domanda di sanatoria.
La fattispecie in esame si pone al di fuori del meccanismo
ora indicato, in quanto l’amministrazione ha ritenuto
sanabile un’opera edilizia modificata, per destinazione e
dimensioni, rispetto a quella in un primo tempo realizzata.
Invero, la valutazione di doppia conformità non può che
avere riguardo ai lavori così come realizzati, senza che
possano essere presi in considerazione i lavori necessari
per rendere l’opera conforme alla normativa urbanistica e
vincolistica.
L’accertamento di conformità è uno strumento di
conservazione di opere già realizzate e provviste della
doppia conformità (cfr TAR Trentino Alto Adige Trento,
20.03.2003 , n. 117), senza che possono venire in rilievo le
opere da eseguirsi per rendere le opere già eseguite
conformi alla normativa urbanistica e vincolistica.
L'istituto in esame, già previsto dall'art. 13 della l.
28.02.1985 n. 47 ed ora regolato dall'art. 36 del d.p.r. n.
380 del 2001 -da leggersi nel caso della Regione Valle
D’Aosta in relazione al disposto con il citato art. 84 della
legge regionale n. 11/1998- è infatti diretto a sanare le
opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza
concessione o autorizzazione, ma conformi nella sostanza
alla disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui
sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione,
sia al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria
(c.d. doppia conformità).
In simili ipotesi, la valutazione che l’amministrazione deve
svolgere è del tutto doverosa e vincolata, priva di
contenuti discrezionali e relativa alla realizzazione di un
assetto di interessi già prefigurato dalla disciplina
urbanistica applicabile, di tal che il provvedimento di
accertamento di conformità assume una connotazione oggettiva
e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali (per tali
considerazioni si veda espressamente TAR Valle d’Aosta,
02.11.2011, n. 71, che richiama TAR Campania Napoli, sez.
III, 05.10.2009, n. 5149; TAR Campania Napoli, sez. VI,
11.03.2009, n. 1393; TAR Campania Napoli, sez. VI,
17.12.2008, n. 21345).
Ne consegue che la sanatoria non è invocabile in forza
dell’esecuzione di ulteriori lavori, volti a rendere oggi
conformi alla normativa urbanistica e vincolistica delle
opere da essa difformi al tempo della loro realizzazione.
Insomma, la circostanza che la ricorrente abbia riportato il
manufatto alle dimensioni riferite nella licenza edilizia n.
52/1974, non vale ad escludere che il manufatto stesso sia
diverso da quello richiamato nell’indicata licenza e poi
trasformato in deposito, in violazione della normativa
urbanistica vigente al tempo della trasformazione.
Inoltre, a seguito degli accertamenti istruttori disposti
dal Tribunale è emerso che l’opera attualmente esistente
eccede le dimensioni massime previste dall’art. 29 delle NTA
dello strumento urbanistico vigente al tempo della
presentazione della domanda di sanatoria.
Invero, l’opera presenta un’altezza variabile tra m. 3,58 e
m. 3,15, di gran lunga superiore a quella massima prevista
per i depositi dall’art. 29 delle NTA e fissata in “m.
2,50 compresa la soletta di copertura”, sicché l’opera
non è comunque conforme alle norme urbanistiche vigenti al
tempo della presentazione della domanda di sanatoria.
Né può essere invocata la c.d. sanatoria giurisprudenziale,
che ricorrerebbe allorquando la conformità dell'opera
abusiva sussista rispetto alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente al momento del rilascio del titolo sanante,
ma non anche rispetto a quella del tempo in cui l'opera è
stata realizzata.
Secondo consolidata giurisprudenza quest'ultimo istituto non
ha più ragione di esistere nel vigente ordinamento,
caratterizzato da una disciplina puntuale ed esaustiva delle
ipotesi di condono e sanatoria edilizia, fermo restando, in
ogni caso, che nella fattispecie in esame neppure sussiste
la conformità del deposito realizzato con la normativa
esistente al tempo della sua realizzazione (cfr. tra le
tante Tar Toscana, 27.03.2013, n. 497).
In definitiva, sono del tutto assenti i presupposti per
ritenere sanata l’opera di cui si tratta, atteso che non
sussistono le condizioni della doppia conformità, perché il
deposito è difforme dalla disciplina urbanistica vigente al
tempo della sua realizzazione, mentre sono irrilevanti le
modificazioni successivamente apportate ed, inoltre, risulta
difforme dalla normativa urbanistica vigente al tempo della
domanda di sanatoria.
Ne deriva la fondatezza delle censure in esame, perché
l’amministrazione ha ritenuto di non esercitare i propri
poteri repressivi in materia edilizia, ritenendo sanato
l’abuso nonostante la palese mancanza dei presupposti legali
per l’accertamento di conformità
(TAR Valle d'Aosta,
sentenza 11.03.2014 n. 13 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Ai
fini del rilascio dell’assenso edilizio in sanatoria è
necessario dimostrare che l’opera abusiva è conforme non
solo alla disciplina urbanistica vigente alla data in cui
l’assenso viene richiesto, ma anche a quella vigente
all’atto della realizzazione dell’opera.
Invero, l'art. 36 del d.p.r. 06.06.20012, n. 380, come già
l'art. 13 della legge n. 47 del 1985, pone come condizione
inderogabile, ai fini del rilascio della sanatoria, che
“l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica
ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione della domanda".
Ai fini del rilascio dell’assenso edilizio in sanatoria è,
infatti, necessario dimostrare che l’opera abusiva è
conforme non solo alla disciplina urbanistica vigente alla
data in cui l’assenso viene richiesto, ma anche a quella
vigente all’atto della realizzazione dell’opera.
Come ha
chiarito la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (da
ultimo, sez. V, 11.06.2013, n. 3220), l'art. 36 del
d.p.r. 06.06.20012, n. 380, come già l'art. 13 della
legge n. 47 del 1985, pone come condizione inderogabile, ai
fini del rilascio della sanatoria, che “l'intervento risulti
conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia
al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda"
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.03.2014 n. 1040 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'art. 36 del d.p.r.
06.06.20012, n. 380, come già l'art. 13 della legge n. 47
del 1985, pone come condizione inderogabile, ai fini del
rilascio della sanatoria, che “l'intervento risulti conforme
alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al
momento della realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda".
Ai fini del rilascio dell’assenso edilizio
in sanatoria è, infatti, necessario dimostrare che l’opera
abusiva è conforme non solo alla disciplina urbanistica
vigente alla data in cui l’assenso viene richiesto, ma anche
a quella vigente all’atto della realizzazione dell’opera.
Come ha chiarito la giurisprudenza di questo Consiglio di
Stato (da ultimo, sez. V, 11.06.2013, n. 3220), l'art. 36
del d.p.r. 06.06.20012, n. 380, come già l'art. 13 della
legge n. 47 del 1985, pone come condizione inderogabile, ai
fini del rilascio della sanatoria, che “l'intervento risulti
conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia
al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda"
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.03.2014 n. 1040 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In tema di opere abusive,
non può incidere sulla legittimità del provvedimento di
demolizione il mancato esame di un'istanza di accertamento
di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 presentata
successivamente i cui effetti l'amministrazione dovrà
autonomamente valutare.
La validità ovvero l'efficacia dell'ordine di demolizione
non risultano pregiudicate dalla successiva presentazione di
un'istanza ex art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001, posto che nel
sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa
desumersi un tale effetto, sicché, se da un lato la
presentazione dell'istanza ex art. 36 determina
inevitabilmente un arresto provvisorio dell'efficacia
dell'ordine di demolizione, all'evidente fine di evitare, in
caso di accoglimento dell'istanza, la demolizione di
un'opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal
permesso di costruire, è conforme alla strumentazione
urbanistica vigente, dall'altro, occorre ritenere che
l'efficacia dell'atto sanzionatorio sia soltanto sospesa,
cioè che l'atto sia posto in uno stato di temporanea
quiescenza.
All'esito del procedimento di sanatoria, in caso di
accoglimento dell'istanza, l'ordine di demolizione rimarrà
privo di effetti in ragione dell'accertata conformità
dell'intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia
al momento della presentazione della domanda, con
conseguente venir meno dell'originario carattere abusivo
dell'opera realizzata.
Di contro, in caso di rigetto dell'istanza, l'ordine di
demolizione riacquista la sua efficacia, con la sola
precisazione che il termine concesso per l'esecuzione
spontanea della demolizione deve decorrere dal momento in
cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza
dell'interessato, che non può rimanere pregiudicato
dall'avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di
chiedere l'accertamento di conformità urbanistica, e deve
pertanto poter fruire dell'intero termine a lui assegnato
per adeguarsi all'ordine, evitando così le conseguenze
negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso.
La proposizione di un'istanza di accertamento di conformità,
ai sensi dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001, in tempo
successivo all'emissione dell'ordinanza di demolizione,
incide, in definitiva, unicamente sulla possibilità
dell'Amministrazione di portare ad esecuzione la sanzione,
ma non si riverbera sulla legittimità del precedente
provvedimento di demolizione.
--------------
Il silenzio dell’Amministrazione sulla richiesta di
concessione in sanatoria (ora sulla richiesta di permesso di
costruire in sanatoria) ha un valore legale tipico di
rigetto, vale a dire costituisce un’ipotesi di silenzio
significativo al quale vengono collegati gli effetti di un
provvedimento esplicito di diniego.
Anzitutto, mette conto evidenziare che «in tema
di opere abusive, non può incidere sulla legittimità del
provvedimento di demolizione il mancato esame di un'istanza
di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380 del
2001 presentata successivamente i cui effetti
l'amministrazione dovrà autonomamente valutare» (così,
C.d.S., Sez. IV, 19.02.2008, n. 849).
La validità ovvero l'efficacia dell'ordine di demolizione
non risultano pregiudicate dalla successiva presentazione di
un'istanza ex art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001, posto che nel
sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa
desumersi un tale effetto, sicché, se da un lato la
presentazione dell'istanza ex art. 36 determina
inevitabilmente un arresto provvisorio dell'efficacia
dell'ordine di demolizione, all'evidente fine di evitare, in
caso di accoglimento dell'istanza, la demolizione di
un'opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal
permesso di costruire, è conforme alla strumentazione
urbanistica vigente, dall'altro, occorre ritenere che
l'efficacia dell'atto sanzionatorio sia soltanto sospesa,
cioè che l'atto sia posto in uno stato di temporanea
quiescenza.
All'esito del procedimento di sanatoria, in caso
di accoglimento dell'istanza, l'ordine di demolizione
rimarrà privo di effetti in ragione dell'accertata
conformità dell'intervento alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello
stesso sia al momento della presentazione della domanda, con
conseguente venir meno dell'originario carattere abusivo
dell'opera realizzata.
Di contro, in caso di rigetto
dell'istanza, l'ordine di demolizione riacquista la sua
efficacia, con la sola precisazione che il termine concesso
per l'esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere
dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a
conoscenza dell'interessato, che non può rimanere
pregiudicato dall'avere esercitato una facoltà di legge,
quale quella di chiedere l'accertamento di conformità
urbanistica, e deve pertanto poter fruire dell'intero
termine a lui assegnato per adeguarsi all'ordine, evitando
così le conseguenze negative connesse alla mancata
esecuzione dello stesso.
La proposizione di un'istanza di accertamento di conformità,
ai sensi dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001, in tempo
successivo all'emissione dell'ordinanza di demolizione,
incide, in definitiva, unicamente sulla possibilità
dell'Amministrazione di portare ad esecuzione la sanzione,
ma non si riverbera sulla legittimità del precedente
provvedimento di demolizione (cfr. TAR Napoli Campania
sez. VI, n. 5515 del 04.12.2013; TAR Campania, VI
Sezione, 24.09.2009 n. 5071).
---------------
Ed, invero,
mette conto evidenziare, in aderenza ad un diffuso
orientamento giurisprudenziale, più volte fatto proprio da
questo Tribunale, che il silenzio dell’Amministrazione sulla
richiesta di concessione in sanatoria (ora sulla richiesta
di permesso di costruire in sanatoria) ha un valore legale
tipico di rigetto, vale a dire costituisce un’ipotesi di
silenzio significativo al quale vengono collegati gli
effetti di un provvedimento esplicito di diniego (cfr., ex multis, Cons. Stato, sezione quarta,
06.06.2008, n. 2691,
03.04.2006, n. 1710 e 14.02.2006 n. 598; sezione
quinta, 11.02.2003, n. 706; Tar Campania-Napoli,
questa sesta sezione, sentenze 06.09.2010, n. 17306,
15.07.2010, n. 16805, 25.05.2010, n. 8779, 17.03.2008, n. 1364 e
07.09.2007, n. 7958; sezione settima,
24.06.2008, n. 6118 e 07.05.2008, n. 3501; sezione
ottava, 15.04.2010, n. 1981; Sezione staccata di
Salerno, sezione seconda, 04.04.2008, n. 478; Tar
Liguria, sezione prima, 24.06.2007, n. 1114; Tar
Lombardia, Milano, sezione seconda, 21.03.2006, n. 642;
Tar Piemonte-Torino, sezione prima, 08.03.2006, n. 1173;
Tar Sicilia-Catania, sezione prima, 17.10.2005, n.
1723).
Natura provvedimentale che non è smentita dalla
qualificazione operata dall'art. 43 della legge regionale
della Campania n. 16 del 2004 in ordine al silenzio serbato
dalle amministrazioni comunali (sulle ripetute domande di
accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n.
380/2001) che "non può riverberare sulla disciplina
processuale, di esclusiva competenza statale, posta per la
tutela giurisdizionale contro il silenzio della pubblica
amministrazione", fermo che "la previsione di cui
alla norma regionale si limita, di fatto, a prevedere e
disciplinare un rimedio alternativo, meramente
amministrativo (attivabile d'ufficio o a cura di parte),
avverso la mancata pronuncia delle amministrazioni comunali
sulle richieste di accertamento di conformità, senza con ciò
interferire sulla qualificazione giuridica del silenzio
impugnabile in sede giurisdizionale e sul relativo rito
azionabile" (cfr., in tali espliciti sensi, sempre
questa Sezione n. 8779 del 25.05.2010 e, per implicito,
Cons. Stato n. 598 del 2006 cit.) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 21.02.2014 n. 1134 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il silenzio serbato dal
Comune sulla domanda di sanatoria ex art. 13, l. 28.02.1985
n. 47, modificato dall'art. 36, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, è
qualificabile come silenzio provvedimentale, con contenuto
di rigetto, e non come silenzio-inadempimento all'obbligo di
provvedere, autonomamente impugnabile.
A fronte di un'istanza di sanatoria, infatti, il silenzio
dell'amministrazione costituisce una ipotesi di silenzio-significativo, al quale vengono collegati gli effetti di un
provvedimento di rigetto dell'istanza, così determinandosi
una situazione del tutto simile a quella che si
verificherebbe in caso di un provvedimento espresso; ne
deriva che tale provvedimento ha valore di diniego vero e
proprio ed è impugnabile esclusivamente per il contenuto reiettivo dell'atto e non, quindi, per la violazione
dell’obbligo di provvedere espressamente, obbligo che, nel
caso di specie, non sussiste.
Va detto, infatti, che il silenzio serbato dal
Comune sulla domanda di sanatoria ex art. 13, l. 28.02.1985 n. 47, modificato dall'art. 36, d.P.R.
06.06.2001 n.
380, è qualificabile come silenzio provvedimentale, con
contenuto di rigetto, e non come silenzio inadempimento
all'obbligo di provvedere, autonomamente impugnabile
(Consiglio Stato, sez. IV, 06.06.2008, n. 2691).
Come nota la giurisprudenza copiosa anche di questa
sezione, a fronte di un'istanza di sanatoria, infatti, il
silenzio dell'amministrazione costituisce una ipotesi di
silenzio significativo, al quale vengono collegati gli
effetti di un provvedimento di rigetto dell'istanza, così
determinandosi una situazione del tutto simile a quella che
si verificherebbe in caso di un provvedimento espresso; ne
deriva che tale provvedimento ha valore di diniego vero e
proprio ed è impugnabile esclusivamente per il contenuto reiettivo dell'atto e non, quindi, per la violazione
dell’obbligo di provvedere espressamente, obbligo che, nel
caso di specie, non sussiste (v. ex multis, la Sent. n.
3555/2012 di questa Sezione)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 06.02.2014 n. 792 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il riesame dell’abusività
dell’opera provocato dall’istanza di sanatoria ex art. 36
D.P.R. 380/2001 determina la necessaria formazione di un
nuovo provvedimento, di accoglimento o di rigetto espresso o
tacito, che vale comunque a rendere inefficace il
provvedimento sanzionatorio originario tanto che l’eventuale
impugnazione proposta avverso quest’ultimo atto diverrebbe
improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse perché
l’interesse del responsabile dell’abuso edilizio si sposta,
dall’annullamento del provvedimento sanzionatorio già
adottato e divenuto inefficace, all’annullamento
dell’eventuale provvedimento di rigetto della domanda di
sanatoria e degli eventuali ulteriori provvedimenti
sanzionatori, che dovranno essere comunque adottati anche a
seguito della formazione del silenzio rigetto.
... per l'annullamento del provvedimento del 09.07.2013 prot. n. 8513 avente ad oggetto: accertamento inottemperanza
all'ordinanza n. 18/2012 relativa al ripristino dello stato
dei luoghi adottata ai sensi dell'art. 31 del D.P.R. n.
380/2001 - acquisizione delle opere e dell'area
pertinenziale sita in Amorosi alla via Fontanelle;
...
Considerato che il ricorso è fondato per le ragioni di
seguito illustrate:
- ai sensi dell’art. 74 cod. proc. amm. il punto di diritto
risolutivo del giudizio attiene alla insussistenza dei
presupposti di legge affinché l’intimata amministrazione
locale potesse legittimamente procedere all’acquisizione
gratuita dell’opera abusiva ai sensi dell’art. 31 terzo
comma del D.P.R. 380/2001 che, come noto, consistono nella
mancata esecuzione di una ordinanza di demolizione valida ed
efficace, oltre che al decorso del termine di 90 giorni per
la relativa esecuzione;
- ciò in quanto, nella fattispecie in scrutinio, la
presentazione ad opera del ricorrente della domanda di
sanatoria ex art. 36 D.P.R. 380/2001 relativamente alle
opere abusive determina la sopravvenuta inefficacia
dell’ordinanza demolitoria: ne consegue altresì che, sotto
il profilo processuale, non rileva l’omessa impugnazione
dell’atto sanzionatorio il quale, siccome inefficace, si
appalesa inidoneo a reggere la sequela procedimentale che è
culminata nell’adozione del gravato provvedimento
acquisitivo;
- formatosi il provvedimento tacito di diniego conseguente
al decorso del termine di 60 giorni di cui al terzo comma
dell’art. 36 in assenza di statuizione espressa
dell’amministrazione, quest’ultima avrebbe dovuto rieditare
il procedimento sanzionatorio ed adottare una nuova
ingiunzione demolitoria assegnando al privato un nuovo
termine per adempiere;
- difatti, secondo condivisibile orientamento
giurisprudenziale da cui la Sezione non ritiene di
discostarsi (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV,
02.10.2006 n. 8424; Sez. VI, 12.11.2008 n. 5646;
TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 23.02.2011 n. 1041
e 22.03.2011 n. 1622; Sez. VII, 08.03.2012 n. 1202; 20.11.2007, n. 14442; Sez. IV
02.10.2006, n. 8424 e
26.07.2007 n. 7071; Sez. III, 30.04.2009 n. 2252) il
riesame dell’abusività dell’opera provocato dall’istanza di
sanatoria ex art. 36 D.P.R. 380/2001 determina la necessaria
formazione di un nuovo provvedimento, di accoglimento o di
rigetto espresso o tacito, che vale comunque a rendere
inefficace il provvedimento sanzionatorio originario tanto
che l’eventuale impugnazione proposta avverso quest’ultimo
atto (che nel caso specifico non è stata proposta)
diverrebbe improcedibile per sopravvenuta carenza di
interesse perché l’interesse del responsabile dell’abuso
edilizio si sposta, dall’annullamento del provvedimento
sanzionatorio già adottato e divenuto inefficace,
all’annullamento dell’eventuale provvedimento di rigetto
della domanda di sanatoria e degli eventuali ulteriori
provvedimenti sanzionatori, che dovranno essere comunque
adottati anche a seguito della formazione del silenzio
rigetto.
Le considerazioni svolte conducono, con assorbimento delle
ulteriori doglianze, all’accoglimento del gravame con
conseguente annullamento del provvedimento impugnato
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 24.01.2014 n. 608 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Illegittimità diniego di sanatoria edilizia per difetto di
motivazione.
E’ illegittimo il diniego di sanatoria
edilizia per difetto di motivazione allorché si fa
riferimento sia a caratteristiche dei materiali utilizzati
per la realizzazione del manufatto, genericamente definiti
“inadeguati”, sia a caratteristiche estetiche delle forme
del manufatto, definite “rozze”; per altro verso, si
sottolinea la (mera) ubicazione dell’opera che
contribuirebbe a renderne intollerabile la presenza.
Ambedue i profili richiamati, tuttavia, non contribuiscono a
definire le ragioni ostative alla sanatoria, rappresentando
essi, nel primo caso, mere valutazioni non circostanziate da
elementi di fatto volti a supportare il giudizio negativo
formulato; nel secondo caso, una semplice descrizione di
luoghi, in relazione ai quali il concreto contrasto del
manufatto non risulta reso evidente
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 18.12.2013 n. 6065 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La diversa oggettiva
localizzazione del fabbricato su una porzione dell’area di sedime diversa da quella individuata in occasione del
rilascio del titolo autorizzatorio, non può, come auspicato
da parte ricorrente, essere semplicemente ricondotta ad una
difformità parziale, bensì deve essere qualificata come
variazione essenziale, così come definita dall’art. 8,
lett. c), della legge n. 47/1985 e dall’art. 92, comma 3,
lett. c), della legge regionale 61/1985.
Per cui la modifica della
localizzazione dell’edificio, tale da comportare lo
spostamento del fabbricato in un’area –come nel caso in
esame– pressoché diversa da quella prevista all’atto del
rilascio del titolo edilizio, costituisce una variante
essenziale, in quanto profilo che può condizionare la
compatibilità dell’intervento con i parametri urbanistici e
le connotazioni dell’area.
---------------
Al momento della realizzazione del
fabbricato l’area di sedime realmente interessata
dall’intervento era compresa nell’ambito della fascia di
rispetto cimiteriale.
Sulla base di questo dato oggettivo, il quale conferma che
al momento della realizzazione dell’opera questa risultava
illegittimamente posizionata in una area non edificabile,
non è possibile il conseguimento della sanatoria ex art. 36
del D.P.R. 380/2001 per mancanza della cd. “doppia
conformità”, ossia la conformità alle prescrizioni
urbanistico-edilizie vigenti al momento della
realizzazione dell’opera e quelle vigenti al momento in cui
è stata richiesta la sanatoria.
Il dato così rilevato assume rilevanza dirimente rispetto ad
ogni altra considerazione circa la pretesa illegittimità del
provvedimento che ha denegato la sanatoria, in quanto, come
correttamente ritenuto nel provvedimento di diniego,
le
variazioni apportate all’originaria licenza costituiscono
variazione essenziale rispetto all’originaria licenza e
mancano del requisito della doppia conformità sia al momento
della realizzazione che al momento dell’istanza.
---------------
Va ricordato che dal 1999 tutto il territorio
comunale è soggetto a vincolo paesaggistico, per cui, in base
alla normativa oggi vigente in materia di rilascio delle
autorizzazioni per interventi da eseguirsi in ambiti
protetti, comunque non sarebbe consentito ottenere
un’autorizzazione a sanatoria.
A tale riguardo è costante l’orientamento giurisprudenziale
in base al quale in sede di sanatoria o di condono di un
manufatto abusivo risulta ininfluente l'epoca in cui è sorto
il vincolo, purché questo sia ancora in essere alla data in
cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, sicché
detta regola vale anche per le opere eseguite anteriormente
all'apposizione del vincolo stesso.
Invero, ai fini del rilascio delle concessioni edilizie in
sanatoria, la valutazione della compatibilità
dell’intervento con il vincolo deve essere effettuata in
relazione all'esistenza del vincolo al momento in cui deve
essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere
dall'epoca in cui il vincolo medesimo sia stato introdotto,
atteso che tale valutazione corrisponde all'esigenza di
vagliare l'attuale compatibilità con il vincolo dei
manufatti realizzati abusivamente.
Atteso che la richiesta di sanatoria (ndr:
di un abuso realizzato nel 1984) è stata presentata nel
2006 e quindi in un’epoca in cui il vincolo già era
esistente, trattandosi di opera implicante incremento di
superficie e di volume e quindi non rientrante nell’ambito
delle ipotesi in cui è eccezionalmente consentito, in base
ai commi 4 e 5 dell’art. 167 D.lgs. 42/2004, il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, l’inciso
contenuto nel provvedimento impugnato risulta corretto.
FATTO
Con il ricorso introduttivo il signor T.O.,
proprietario in Comune di Monfumo di un compendio
immobiliare così catastalmente censito: N.C.T. – Comune di
Monfumo – Foglio II- mappali nn. 25, 27, 32, 300, 494, 507,
ha impugnato l’ordinanza n. 16 del 24.07.1997, con la quale
l’amministrazione comunale, dopo aver precedentemente
ordinato la sospensione di una serie di lavori presenti
nell’ambito delle aree di proprietà del ricorrente, attesa
la documentazione successivamente fornita dal medesimo e
rilevato che, per quanto specificamente riguardava i
fabbricati individuati ai punti 4) costruzione di un
capannone in difformità dalla concessione edilizia n.
783/84, 5) realizzazione di annesso a sud del suddetto
capannone e 6) realizzazione di annessi a nord-est
dell’abitazione, così come evidenziati in giallo nella
planimetria allegata, questi risultavano ricadere in zona di
vincolo cimiteriale, già preesistente alla data del
01.09.1967, così da rendere ininfluente la dichiarata
realizzazione anteriore a tale data almeno per due di essi,
ordinava al ricorrente di provvedere alla loro demolizione
nel termine di 90 giorni.
A sostegno della richiesta di annullamento del provvedimento
impugnato parte istante ha dedotto una serie articolata di
motivi, evidenziando in primo luogo e con specifico
riferimento al fabbricato individuato con il n. 4 (capannone
realizzato in difformità rispetto alla concessione edilizia
n. 783/84) che le difformità rilevate non potevano essere
ricondotte alle ipotesi di variazioni essenziali o di
completa difformità rispetto al titolo assentito, per cui
risultava del tutto sproporzionata l’applicazione della più
grave sanzione della demolizione, anziché quella pecuniaria,
applicabile agli interventi eseguiti solo in parziale
difformità.
Per altro verso e con specifico riferimento alla rilevata
insistenza dei fabbricati da demolire in ambito soggetto a
vincolo cimiteriale e quindi di inedificabilità, la difesa
istante rilevava come l’amministrazione comunale avesse
modificato l’estensione della fascia di rispetto cimiteriale
con deliberazione antecedente la data di adozione del
provvedimento impugnato, così finendo per ordinare la
demolizione dei fabbricati sulla base dell’erroneo
presupposto della loro insistenza in ambito soggetto al
vincolo cimiteriale.
Infine, per quanto riguarda gli altri manufatti, in
particolare per il ricovero attrezzi agricoli e fieno, parte
istante evidenziava che, sebbene non ne fosse stata
contestata la realizzazione successivamente al 1967,
trattavasi di manufatti del tutto precari e funzionali
all’edificio principale, come tali non assoggettabili a
concessione edilizia o ad autorizzazione e quindi neppure a
provvedimenti sanzionatori.
Con ordinanza n. 1875/97 il Tribunale, valutato il danno,
accoglieva la richiesta di sospensione dell’ordinanza
impugnata.
Nelle more il ricorrente veniva affiancato nell’attività
aziendale dalla figlia T.S., la quale ha quindi
presentato in data 22.05.2006 una domanda per il
rilascio del permesso di costruire in “variante a
concessione edilizia n. 783 del 28.03.1984”, riguardante
nello specifico il solo fabbricato individuato nelle
planimetrie come edificio “G”, corrispondente al punto n. 4
dell’ordinanza n. 16/97.
Nonostante la domanda non fosse stata formalmente formulata
come istanza di sanatoria, l’amministrazione, intendendo
comunque determinarsi come se tale fosse stata la volontà
della richiedente, si pronunciava, previa comunicazione dei
motivi ostativi ex art. 10-bis L. 241/1990, con il
provvedimento finale di rigetto dell’istanza, datato 26.09.2006.
Avverso il diniego di sanatoria insorgeva nuovamente il
ricorrente congiuntamente alla figlia S. con la
proposizione di motivi aggiunti, con i quali venivano
rinnovate le doglianze già dedotte in occasione del ricorso
introduttivo, soprattutto per quanto riguarda la
classificazione come variazione essenziale delle modifiche
apportate all’originario progetto concessionato nel 1984
relativamente alla costruzione nell’area pertinenziale
dell’edificio “G”, rilevando come detta erronea
classificazione avrebbe illegittimamente impedito anche la
sanabilità dell’intervento, laddove fosse stato
correttamente qualificato come difformità parziale.
Inoltre, con specifico riguardo al diniego di sanatoria ed
alla motivazione posta a fondamento dello stesso, la difesa
istante ha sottolineato l’insufficienza e la
contraddittorietà delle ragioni addotte
dall’amministrazione, difettando ogni indicazione delle
normative di riferimento e soprattutto mancando di rilevare
come il richiamato vincolo ambientale fosse stato imposto
soltanto in epoca successiva alla esecuzione degli
interventi.
Per altro verso, parte istante ha denunciato la difformità
dei contenuti della nota con la quale sono stati comunicati
i motivi ostativi e la successiva determinazione finale
dell’amministrazione, soprattutto per quanto riguarda il
parere reso dalla commissione edilizia, denotando ancora una
volta la contraddittorietà del comportamento
dell’amministrazione comunale. Senza contare, altresì,
l’inutile ed inconferente aggravio procedimentale derivante
dalle ulteriori allegazioni richieste per quanto riguarda le
caratteristiche aziendali.
L’amministrazione intimata, già costituitasi in giudizio con
un primo collegio difensivo, con la nomina dei nuovi
difensori provvedeva a depositare le proprie
controdeduzioni, evidenziando la legittimità dei
provvedimenti impugnati, in modo particolare per quanto
riguarda l’ordine di demolizione dei fabbricati realizzati
in assenza di titolo e, per quanto riguarda l’edificio “G”,
l’avvenuta esecuzione degli interventi in palese variazione
essenziale rispetto all’assentito, tenuto conto
dell’avvenuta traslazione dell’edificio in una posizione
diversa nell’ambito dell’area di pertinenza (spostata di
60ml verso nord) e con dimensioni diverse e maggiori
rispetto a quanto indicato nel progetto iniziale.
Inoltre, veniva ribadita l’insistenza dell’immobile in un
ambito ricadente nella fascia di rispetto cimiteriale e
quindi l’assenza del requisito della doppia conformità per
quanto riguarda la sanatoria edilizia, indipendentemente
dalle sopravvenute modifiche dell’estensione della fascia di
rispetto, senza contare l’esistenza del vincolo ex lege
431/1985, esteso a tutto il territorio comunale di Monfumo,
che impedisce in ogni caso il rilascio a posteriori
dell’autorizzazione paesaggistica.
Con successive memorie di replica ciascuna parte precisava
le proprie conclusioni: in particolare veniva dato atto
dell’intervenuta spontanea demolizione dei manufatti oggetto
dell’ordinanza n. 16/97, fatta eccezione per quel che
riguarda l’edificio “G” e quello individuato con la lettera
“F” nelle planimetrie, in quanto strettamente funzionale al
primo.
Inoltre, entrambe le difese hanno dato atto dei tentativi
effettuati per una soluzione extragiudiziale della
controversia, anche al fine di non compromettere la
prosecuzione dell’attività aziendale, tentativi che tuttavia
non sono giunti a buon fine.
All’udienza del 13.11.2013, uditi i procuratori delle
parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente è necessario dare atto che, con riferimento
ai fabbricati oggetto dell’ordine di demolizione impartito
con l’ordinanza n. 16/97, parte ricorrente ha provveduto a
demolire spontaneamente parte di essi (oltre ad altri
fabbricati non contemplati in tale provvedimento),
residuando, per quanto interessa il presente gravame, i soli
fabbricati che nella richiamata ordinanza erano identificati
ai punti 4 e 5 e che corrispondono agli edifici
contraddistinti con le lettere “G” ed “F” nelle planimetrie
allegate da parte ricorrente.
Di tale modifica della situazione di fatto danno conferma
parte ricorrente e la stessa difesa del Comune nella memoria
del 22.10.2013.
Va peraltro osservato che, almeno per quanto riguarda
l’edificio “F” (sulla cui epoca di realizzazione, denunciata
dal signor T. come antecedente il 1967,
l’amministrazione ha depositato documentazione –accatastamento del 1989– dalla quale non risulta la
presenza prima di tale anno), non è stata comunque
presentata da parte ricorrente alcuna istanza di sanatoria,
per cui per tale edificio persiste l’ordine di demolizione
impartito con l’ordinanza n. 16/97.
Sempre in punto di fatto, al fine di chiarire i presupposti
dei provvedimenti impugnati, va dato atto delle progressive
modifiche del perimetro dell’area individuata dal Comune
quale fascia di rispetto cimiteriale, che da ultimo, per
quanto rileva nella presente controversia, con deliberazione
del 24.07.1997 è stata oggetto di riduzione, positivamente
riscontrata dalla C.T.R. il 18.02.1998 e quindi formalmente
recepita con decreto sindacale del 23.06.1998, risultando
attualmente –nell’ambito de quo– pari a 50 metri.
Per quanto riguarda poi l’esistenza del vincolo ambientale,
va ancora dato atto –come documentato dall’amministrazione– che a seguito della delibera della Commissione provinciale
per l’apposizione e la revisione dei vincoli paesaggistici
del 30.09.1999, l’intero territorio comunale risulta
assoggettato vincolo paesaggistico con decorrenza
dall’avvenuta pubblicazione della suddetta delibera all’albo
pretorio (15.11.1999).
Ciò premesso, benché la stessa parte ricorrente abbia
manifestato l’interesse per quanto riguarda il fabbricato
“F” soltanto in rapporto alla persistenza e quindi al
mantenimento dell’edificio “G”, ove è svolta l’attività
del’azienda agricola, va osservato che, come risulta dalla
produzione documentale agli atti, detto manufatto risulta
abusivamente realizzato, in assenza di titolo, nonostante
l’epoca della sua realizzazione non fosse antecedente al
1967, come sostenuto dall’istante, bensì successiva, come
attestato dall’amministrazione.
Per tale manufatto, non interessato da alcuna istanza di
sanatoria, è quindi legittimo l’ordine di demolizione
impartito con l’ordinanza impugnata.
Resta quindi da esaminare la posizione dell’edifico “G”, per
il quale l’ordine di demolizione inizialmente impartito
risulta superato dalla nuova determinazione assunta dal
Comune per effetto dell’istanza di sanatoria presentata da T.S., determinazione che ha respinto la richiesta
e che quindi darà seguito ad una nuova ordinanza di
demolizione (allo stato peraltro non ancora adottata dal
Comune).
Riguardo all’istanza così presentata dalla ricorrente, va
indubbiamente dato atto della inesatta formulazione della
stessa, in quanto redatta come istanza di permesso di
costruire in variante, quando in realtà l’obiettivo era
quello di regolarizzare le difformità rilevate dal Comune:
tuttavia, come peraltro inteso dalla stessa amministrazione,
la richiesta è stata valutata e definita come istanza di
sanatoria per quanto riguarda la variazioni apportate al
progetto inizialmente assentito con la concessione edilizia
n. 783/84.
Esaminati quindi i motivi aggiunti proposti avverso il
diniego di sanatoria opposto dall’amministrazione con
provvedimento del 26.09.2006, ritiene il Collegio che
per quanto attiene alla qualificazione dell’abuso
riscontrato e la conseguente irrogazione della sanzione
pecuniaria –sebbene si tratti di profili che esulano dai
contenuti del diniego di sanatoria, ma che parte istante
nuovamente ripropone in occasione dei motivi aggiunti in
quanto il provvedimento di diniego non ne avrebbe tenuto
conto– le doglianze siano infondate e che correttamente
l’abuso rilevato per quanto riguarda la realizzazione del
fabbricato “G” sia riconducibile ad un’ipotesi di variazione
essenziale, come tale sanzionabile con l’ordine di
demolizione.
Invero, come è dato rilevare dai riscontri effettuati
dall’amministrazione e soprattutto dalla visione delle
planimetrie, l’edificio realizzato sulla base della
concessione n. 783/84 doveva essere localizzato in una
posizione più arretrata rispetto a quella rilevata, mentre
risulta sopravanzato in direzione nord di ben 60 ml.
In tal modo, benché, come riportato testualmente nella
concessione edilizia 783/84 (cfr. doc. 6 del Comune), la
costruzione avrebbe dovuto interessare unicamente il mappale
n. 27, nella realtà il suddetto mappale è stato coinvolto
nell’intervento in minima parte, risultando la quasi
totalità del fabbricato posizionata sui diversi mappali 300
e 25, entrambi proiettati in direzione nord verso il
cimitero (cfr. doc. 5 Comune).
Ne consegue che, anche tenendo conto delle diverse e
maggiori dimensioni del fabbricato in termini di superficie
e volumetria rispetto a quanto autorizzato (in tal senso le
stesse misurazioni contenute nella domanda di sanatoria
dimostrano tali incrementi), la diversa oggettiva
localizzazione del fabbricato su una porzione dell’area di sedime diversa da quella individuata in occasione del
rilascio del titolo autorizzatorio, non può, come auspicato
da parte ricorrente, essere semplicemente ricondotta ad una
difformità parziale, bensì deve essere qualificata come
variazione essenziale, così come definita dall’art. 8,
lett. c), della legge n. 47/1985 e dall’art. 92, comma 3,
lett. c), della legge regionale 61/1985.
Va, quindi, condiviso e confermato l’orientamento
interpretativo richiamato dalla difesa del Comune, già
manifestato da questo Tribunale, per cui la modifica della
localizzazione dell’edificio, tale da comportare lo
spostamento del fabbricato in un’area –come nel caso in
esame– pressoché diversa da quella prevista all’atto del
rilascio del titolo edilizio, costituisce una variante
essenziale, in quanto profilo che può condizionare la
compatibilità dell’intervento con i parametri urbanistici e
le connotazioni dell’area: ed il caso in esame è la prova
della rilevanza del rispetto di tali parametri, proprio in
considerazione della necessità di rispettare il vincolo
cimiteriale, di modo che lo spostamento in avanti e verso
nord, in direzione del cimitero, avrebbe evidentemente
costituito, laddove correttamente rappresentato, una causa
di impedimento al conseguimento della concessione edilizia..
Invero, nonostante che nella planimetria allegata al
permesso di costruire il fabbricato venisse posizionato al
di fuori del limite della fascia di rispetto cimiteriale, in
realtà questo è stato poi localizzato in un’area che
all’epoca della sua realizzazione era pacificamente
considerata rientrante nella fascia di inedificabilità per
la presenza nelle vicinanze del cimitero.
Sul punto –passando così ad affrontare la questione
relativa alla sanabilità dell’abuso- è agevole desumere
dall’esame del documento n. 7 del Comune i diversi momenti
storici nei quali è stata prevista la diversa estensione del
vincolo cimiteriale.
Orbene, sicuramente sino al 1998 (anche fosse il 1997 la
questione non muterebbe, dovendosi fare riferimento
all’epoca di costruzione del capannone ed in base
all’accatastamento del 1989 l’edificio “G” risulta già
esistente) il fabbricato insisteva in area coperta dal
vincolo di rispetto cimiteriale, solo successivamente
eliminato.
Ne consegue che al momento della realizzazione del
fabbricato “G” l’area di sedime realmente interessata
dall’intervento era compresa nell’ambito della fascia di
rispetto cimiteriale.
Sulla base di questo dato oggettivo, il quale conferma che
al momento della realizzazione dell’opera questa risultava
illegittimamente posizionata in una area non edificabile,
non è possibile il conseguimento della sanatoria ex art. 36
del D.P.R. 380/2001 per mancanza della cd. “doppia
conformità”, ossia la conformità alle prescrizioni
urbanistico-edilizie vigenti al momento della
realizzazione dell’opera e quelle vigenti al momento in cui
è stata richiesta la sanatoria.
Il dato così rilevato assume rilevanza dirimente rispetto ad
ogni altra considerazione circa la pretesa illegittimità del
provvedimento che ha denegato la sanatoria, in quanto, come
correttamente ritenuto nel provvedimento di diniego,
le
variazioni apportate all’originaria licenza costituiscono
variazione essenziale rispetto all’originaria licenza e
mancano del requisito della doppia conformità sia al momento
della realizzazione che al momento dell’istanza.
A tale, si ripete, dirimente profilo, che è sufficiente a
sorreggere il provvedimento di diniego, si aggiunge
l’ulteriore aspetto evidenziato nel provvedimento impugnato
e cioè l’impossibilità del rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica.
Sul punto va ricordato che dal 1999 tutto il territorio di Monfumo è soggetto a vincolo paesaggistico, per cui, in base
alla normativa oggi vigente in materia di rilascio delle
autorizzazioni per interventi da eseguirsi in ambiti
protetti, comunque non sarebbe consentito ottenere
un’autorizzazione a sanatoria.
A tale riguardo è costante l’orientamento giurisprudenziale
in base al quale in sede di sanatoria o di condono di un
manufatto abusivo risulta ininfluente l'epoca in cui è sorto
il vincolo, purché questo sia ancora in essere alla data in
cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, sicché
detta regola vale anche per le opere eseguite anteriormente
all'apposizione del vincolo stesso (Cons. Stato, sez. IV, 18.09.2012, n. 4945; sez. VI, 27.11.2012, n.
5984).
Invero, ai fini del rilascio delle concessioni edilizie in
sanatoria, la valutazione della compatibilità
dell’intervento con il vincolo deve essere effettuata in
relazione all'esistenza del vincolo al momento in cui deve
essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere
dall'epoca in cui il vincolo medesimo sia stato introdotto,
atteso che tale valutazione corrisponde all'esigenza di
vagliare l'attuale compatibilità con il vincolo dei
manufatti realizzati abusivamente.
Atteso che la richiesta di sanatoria è stata presentata nel
2006 e quindi in un’epoca in cui il vincolo già era
esistente, trattandosi di opera implicante incremento di
superficie e di volume e quindi non rientrante nell’ambito
delle ipotesi in cui è eccezionalmente consentito, in base
ai commi 4 e 5 dell’art. 167 D.lgs. 42/2004, il rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, l’inciso
contenuto nel provvedimento impugnato risulta corretto.
Né sussistono gli ulteriori profili di illegittimità
denunciati per quanto riguarda il preteso contrasto fra
quanto anticipato in sede di comunicazione dei motivi
ostativi e quanto poi concluso nel provvedimento finale.
Invero, anche alla luce delle osservazioni rese dalla
ricorrente a seguito della comunicazione ex art. 10-bis, si
evince che la stessa è stata posta nelle condizioni di
comprendere appieno i motivi ostativi al rilascio del tiolo
a sanatoria, in ordine alla doppia conformità ed alla
sussistenza del vincolo, essendo le problematiche relative
all’intervento argomento ben conosciuto e ampiamente
dibattuto fra privato ed amministrazione.
In conclusione, attese le considerazioni sin qui espresse,
ritenuta l’infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso va
respinto
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza II,
sentenza 10.12.2013 n. 1383 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Illegittimità permesso di costruire in
sanatoria con effetti temporanei o parziali.
È illegittimo, e non determina l'estinzione del reato
edilizio ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e 45
del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, il rilascio di un permesso
di costruire in sanatoria con effetti temporanei o relativo
soltanto a parte degli interventi abusivi realizzati o,
ancora, subordinato all'esecuzione di opere, atteso che ciò
contrasta ontologicamente con gli elementi essenziali
dell'accertamento di conformità, i quali presuppongono la
già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale
conformità alla disciplina urbanistica
(Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 29.10.2013 n. 44189 -
tratto da www.lexambiente.it).
---------------
3.2 Il secondo motivo censura la corte,
ancora anche sul piano motivazionale, per
avere escluso che la sanatoria edilizia
abbia estinto il reato edilizio, essendo la
concessione in sanatoria subordinata ad una
serie di opere (che la sentenza elenca
specificatamente a pagina 6 della
motivazione).
Il ricorrente non contesta la non idoneità a
estinguere il reato di una concessione in
sanatoria che prescriva interventi di
adeguamento dell'opera abusiva;
contestazione che, semmai, si porrebbe
chiaramente in contrasto con la
giurisprudenza di questa Suprema Corte, la
quale insegna che la sanatoria edilizia ex
articolo 36 d.p.r. 380/2001 (riproposizione,
del resto, del previgente articolo 13 l.
28.02.1985 n. 47) integra una fattispecie
penale estintiva che si basa
sull'accertamento dell'inesistenza di danno
urbanistico mediante la verifica della
doppia conformità agli strumenti urbanistici
vigenti sia al momento del rilascio della
concessione in sanatoria sia al momento
della realizzazione dell'opera (Cass., sez.
III, 21.10.2008 n. 42526; Cass., sez. III,
18.12.2003 n. 48499; Cass., sez. III,
18.03.2002 n. 11149), da ciò conseguendo che
non ha effetto estintivo il rilascio in
sanatoria del permesso di costruire in
deroga agli strumenti urbanistici (da ultimo
Cass. sez. III, 31.03.2011 n. 16591) e che
comunque il permesso non può essere
subordinato all'esecuzione di opere, che
contrastano con la conformità agli strumenti
urbanistici che deve già sussistere (da
ultimo Cass. sez. III, 27.04.2011 n. 19587:
"È illegittimo, e non determina
l'estinzione del reato edilizio ai sensi del
combinato disposto degli artt. 36 e 45 del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, il rilascio di un
permesso di costruire in sanatoria con
effetti temporanei o relativo soltanto a
parte degli interventi abusivi realizzati o,
ancora, subordinato all'esecuzione di opere,
atteso che ciò contrasta ontologicamente con
gli elementi essenziali dell'accertamento di
conformità, i quali presuppongono la già
avvenuta esecuzione delle opere e la loro
integrale conformità alla disciplina
urbanistica"; conformi Cass. sez. III,
26.11.2003-09.01.2004 n. 291 e la già citata
Cass., sez. III, 18.12.2003 n. 48499).
Il ricorrente, invece, contesta che le opere
prescritte siano attinenti alle opere
abusive in cui si è concretato il reato
edilizio, dovendosi riferire, a suo avviso,
ad opere ulteriori. Si tratta,
evidentemente, di una questione di fatto,
attinente alla correlazione delle opere
prescritte, correlazione che è stata
comunque oggetto di uno specifico vaglio da
parte del giudice d'appello, che lo ha
esternato con una motivazione logica e
congrua, la quale illustra come le
prescrizioni non potevano non concernere
proprio e soltanto le opere abusive
contestate all'imputato (motivazione, pagine
7-8). Anche questo motivo risulta pertanto
infondato. |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire in sanatoria con effetti
temporanei o parziali - Illegittimità - Doppia conformità
agli strumenti urbanistici - Artt. 36, 44 e 45, lett. c),
d.p.r. n. 380/2001.
La sanatoria edilizia ex articolo 36 d.p.r. n. 380/2001
(riproposizione, del resto, del previgente articolo 13 l.
28.02.1985 n. 47) integra una fattispecie penale estintiva
che si basa sull'accertamento dell'inesistenza di danno
urbanistico mediante la verifica della doppia conformità
agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento del
rilascio della concessione in sanatoria sia al momento della
realizzazione dell'opera (Cass., sez. III, 21/10/2008 n.
42526; Cass., sez. III, 18/12/2003 n. 48499; Cass., sez. III,
18/03/2002 n. 11149), da ciò conseguendo che non ha effetto
estintivo il rilascio in sanatoria del permesso di costruire
in deroga agli strumenti urbanistici (Cass. sez. III,
31/03/2011 n. 16591) e che comunque il permesso non può
essere subordinato all'esecuzione di opere, che contrastano
con la conformità agli strumenti urbanistici che deve già
sussistere (Cass. sez. III, 27/04/2011 n. 19587: "È
illegittimo, e non determina l'estinzione del reato edilizio
ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e 45 del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, il rilascio di un permesso di
costruire in sanatoria con effetti temporanei o relativo
soltanto a parte degli interventi abusivi realizzati o,
ancora, subordinato all'esecuzione di opere, atteso che ciò
contrasta ontologicamente con gli elementi essenziali
dell'accertamento di conformità, i quali presuppongono la
già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale
conformità alla disciplina urbanistica"; conformi Cass.
sez. III, 26/11/2003-09/01/2004 n. 291; Cass., sez. III,
18/12/2003 n. 48499) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.10.2013 n. 44189 -
link a www.ambientediritto.it). |
settembre 2013 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: M.
Asprone e A. Magliulo,
LE AZIONI ESPERIBILI DAI TERZI CONTROINTERESSATI IN MATERIA
DI SCIA ALLA LUCE DEGLI ULTIMI APPRODI NORMATIVI E
GIURISPRUDENZIALI (Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
---------------
Segnalazione certificata di inizio attività, SCIA. Il
delicato aspetto controverso, connesso alla questione
relativa alla natura giuridica e i termini entro cui
proporre tale azione.
-----------------
Sommario: 1. Il dibattito, dottrinario e
giurisprudenziale, sulla sanatoria giurisprudenziale. - 2.
Considerazioni conclusive. |
EDILIZIA PRIVATA:
La richiesta di sanatoria
(già art. 13, L. 47/1985 ed ora art. 36 T.U.) non richiede
la presenza necessaria di alcun provvedimento sanzionatorio.
Sono sì previsti dei termini per la richiesta di sanatoria
in caso di presenza di provvedimenti sanzionatori, ma in
assenza dei medesimi, la sanatoria può essere chiesta in
qualsiasi momento.
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L’art. 13, L. 47/1985 e l’attuale art. 36 T.U. Edilizia
subordinano al pagamento del doppio del contributo di
costruzione non l’emissione della concessione in sanatoria,
bensì il suo rilascio al richiedente, per cui l’assenza
della quantificazione nel permesso di costruire in sanatoria
non costituisce vizio invalidante del medesimo.
Difatti, l’obbligazione pecuniaria del pagamento
dell'oblazione conseguente al provvedimento di rilascio del
titolo edilizio in sanatoria si configura come del tutto
accessoria e consequenziale rispetto all'atto autoritativo
con il quale è stata valutata la conformità dell'intervento
edilizio nel contesto delle condizioni normativamente
contemplate per l'emissione dell'atto.
Il motivo è infondato.
Non vi è violazione dell’art. 13, L. n. 47/1985, dato che la
richiesta di sanatoria non richiede la presenza necessaria
di alcun provvedimento sanzionatorio. Sono sì previsti dei
termini per la richiesta di sanatoria in caso di presenza di
provvedimenti sanzionatori, ma in assenza dei medesimi, la
sanatoria può essere chiesta in qualsiasi momento.
Per quanto riguarda l’assenza della previsione
dell’oblazione, come osservato dal resistente l’art. 13, L.
47/1985 e l’attuale art. 36 T.U. Edilizia subordinano al
pagamento del doppio del contributo di costruzione non
l’emissione della concessione in sanatoria, bensì il suo
rilascio al richiedente, per cui l’assenza della
quantificazione nel permesso di costruire in sanatoria non
costituisce vizio invalidante del medesimo. Difatti,
l’obbligazione pecuniaria del pagamento dell'oblazione
conseguente al provvedimento di rilascio del titolo edilizio
in sanatoria si configura come del tutto accessoria e
consequenziale rispetto all'atto autoritativo con il quale è
stata valutata la conformità dell'intervento edilizio nel
contesto delle condizioni normativamente contemplate per
l'emissione dell'atto (Cds sez. IV 24.02.2011 n. 1235)
(TAR Marche,
sentenza 25.09.2013 n. 639 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In base all'art. 13 l.
47/1985, che è fedelmente riproposta nel successivo art. 36
d.p.r. n. 380/2001, si richiede per la sanatoria delle opere
realizzate senza concessione e delle varianti non
autorizzate, che l’opera sia conforme tanto alla normativa
urbanistica vigente al momento della realizzazione
dell’opera, quanto a quella vigente al momento della domanda
di sanatoria, ed è una disposizione la cui ratio è legata al
contrasto all’inerzia dell’Amministrazione.
Si avverte, quindi, in giurisprudenza che da ciò è dato
desumere “che, se sussiste la doppia conformità, a colui che
ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una
modificazione della normativa urbanistica successiva alla
presentazione della domanda; tale ratio della norma è del
tutto comprensibile, quindi, e compatibile con i precetti
costituzionali di cui all'art. 97 Cost.. Pertanto, in sede
di rilascio della concessione edilizia in sanatoria,
contenente l'accertamento di conformità ai sensi dell'art.
13, l. 28.02.1985, n. 47, l'Autorità amministrativa, che non
è chiamata a compiere scelte discrezionali, deve
esclusivamente accertare la c.d. doppia conformità
dell'intervento realizzato alle previsioni degli strumenti
urbanistici vigenti (generali e di attuazione), oltre che la
sua non contrarietà rispetto a previsioni rivenienti da
strumenti urbanistici solo adottati.
Il ricorso è
fondato.
In particolare, persuade il Collegio la censura, avente
rilievo preliminare ed assorbente, di cui al primo secondo
motivo di gravame, con la quale l’istante lamenta il difetto
di motivazione nel quale l’Amministrazione sarebbe incorsa
per non avere specificato il provvedimento impositivo del
vincolo preordinato all’esproprio secondo i parametri
fissati dall’art. 13 della l.n. 47/1985.
Invero, in base a
tale norma, che è fedelmente riproposta nel successivo art.
36 d.p.r. n. 380/2001, si richiede per la sanatoria delle
opere realizzate senza concessione e delle varianti non
autorizzate, che l’opera sia conforme tanto alla normativa
urbanistica vigente al momento della realizzazione
dell’opera, quanto a quella vigente al momento della domanda
di sanatoria, ed è una disposizione la cui ratio è legata al
contrasto all’inerzia dell’Amministrazione.
Si avverte,
quindi, in giurisprudenza (C. Stato, Sez. V, 11.06.2013,
n. 3220; idem, 13.02.1995, n. 238) che da ciò è dato
desumere “che, se sussiste la doppia conformità, a colui che
ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una
modificazione della normativa urbanistica successiva alla
presentazione della domanda; tale ratio della norma è del
tutto comprensibile, quindi, e compatibile con i precetti
costituzionali di cui all'art. 97 Cost.. Pertanto, in sede di
rilascio della concessione edilizia in sanatoria, contenente
l'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 13, l. 28.02.1985, n. 47, l'Autorità amministrativa, che non è
chiamata a compiere scelte discrezionali, deve
esclusivamente accertare la c.d. doppia conformità
dell'intervento realizzato alle previsioni degli strumenti
urbanistici vigenti (generali e di attuazione), oltre che la
sua non contrarietà rispetto a previsioni rivenienti da
strumenti urbanistici solo adottati (cfr. Consiglio Stato,
sez. IV, 17.09.2007, n. 4838; sez. V, 25.02.2009, n. 1126)”.
Orbene, a fronte di tale precisi parametri temporali fissati
dal citato art. 13, l’Amministrazione si è limitata a
rilevare che “l’opera realizzata contrasta con la
strumentazione urbanistica vigente in quanto configura la
realizzazione di una volumetria in zona a destinazione
pubblica con vincolo espropriativo”, senza quindi operare
alcun riferimento all’epoca alla quale risale l’introduzione
di detta disposizione vincolistica. Ricorre quindi il
lamentato difetto motivazionale, tale da inficiare con
assorbimento di ogni altra censura, la legittimità
dell’impugnato diniego, che pertanto va annullato, fatti
salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 12.09.2013 n. 1866 - link a www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA:
P. Giannone,
L’istituto della sanatoria disciplinata dall’art. 36 del
D.P.R. 380/2001 e la sua estensibilità all’Autorizzazione
Unica alla realizzazione ed all’esercizio di impianti per la
produzione di energia elettrica mediante utilizzo di
fonti energetiche rinnovabili di cui all'art. 12, comma 3,
del D.Lgs. 387/2003 - PARTE 1^ (link a
www.ambientediritto.it). |
giugno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: L.
Lavitola e A. Di Leo,
LA SANATORIA “GIURISPRUDENZIALE” AL VAGLIO DELLA
CORTE COSTITUZIONALE: LA SENTENZA 101/2013 SULLA L.R.
TOSCANA, IL “PRINCIPIO DELLA DOPPIA CONFORMITÀ” E LA
L.R. EMILIA ROMAGNA - Con la sentenza del 27.02.2013 n.
101, la Corte Costituzionale -sia pur con espresso
riferimento solo alla doppia conformità alla normativa
tecnico-sismica- ha affermato che la regola oggi contenuta
nell’art. 36 del Testo Unico dell’Edilizia (e, prima,
nell’art. 13 della l. n. 47/1985) è da considerarsi
principio della legislazione statale, come tale non
derogabile dalla normativa regionale. La pronuncia della
Corte, pertanto, risulta di interesse sia nell’ambito del
dibattito –sempre vivo- sulla c.d. “sanatoria
giurisprudenziale”, sia in quanto porta all’attenzione
un ulteriore profilo problematico, rappresentato dalla
conformità a Costituzione di quelle norme regionali
(attualmente vigenti) che hanno codificato l’istituto
pretorio
(Gazzetta Amministrativa
n. 2/2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
S. Pollastrini e L. Ruggeri,
La concessione in sanatoria e gli orientamenti della
giurisprudenza
(Il Tecnico Legale n. 6/2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti, IL CONDONO EDILIZIO GIURISPRUDENZIALE - Abusi d’ufficio dei
magistrati amministrativi? (sulla generale inapplicabilità
dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 e ss.mm.ii. alla
materia del governo del territorio) (17.06.2013 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’onere motivazionale che grava in capo alla p.a.
rinviene la sua giusta misura nell’esigenza che il
destinatario del provvedimento sia messo in grado di
percepire quali siano le ragioni che hanno portato al
diniego dell’istanza proposta.
Pertanto, se non risulta sufficiente il generico richiamo
alla norma di legge, è consentito adoperare una motivazione
che, sia pure in modo sintetico ovvero attraverso un
meccanismo motivazionale che utilizza il rinvio per
relationem al contenuto di atti endoprocedimentali, esterni
le ragioni che ostano all’accoglimento dell’istanza (di
sanatoria), così da consentire al privato di valutare
l’opportunità di un’eventuale reazione giurisdizionale.
---------------
E' legittimo il diniego della concessione in sanatoria di
opere eseguite senza titolo abilitante, qualora le stesse
non risultino conformi tanto alla normativa urbanistica
vigente al momento della loro realizzazione quanto a quella
vigente al momento della domanda di sanatoria.
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L’attività sanzionatoria della P.A. sull’attività edilizia
abusiva è connotata dal carattere vincolato e non
discrezionale. Infatti il giudizio di difformità
dell’intervento edilizio rispetto al titolo abilitativo
rilasciato, che costituisce il presupposto dell’irrogazione
delle sanzioni , non è affatto connotato da discrezionalità
tecnica, ma integra un mero accertamento di fatto. Pertanto
, il giudice può verificare la correttezza di tale attività
accertativa svolta dalla P.A., non diversamente da quanto
avviene allorché controlla l’esattezza di accertamenti
tecnici condotti dalla P.A. in altri contesti.
L'ordine di demolizione di opere edilizie abusive è atto
vincolato che non richiede una specifica valutazione delle
ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di
quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e
sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non
potendo ammettersi l'esistenza di alcun affidamento
tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto
abusiva, che il tempo non può mai legittimare. Del resto, un
eventuale affidamento a favore dell’amministrato potrebbe
solo sorgere all’indomani della conoscenza che
l’amministrazione abbia dell’esistenza del manufatto,
rispetto alla quale mantenga una colpevole inerzia e non
come nel caso di specie dove l’intervento repressivo è stato
disposto dopo pochi giorni il diniego di sanatoria.
Quanto alle residue censure le stesse appaiono tutte
infondate. Ed infatti, corretta è la pronuncia gravata nella
parte in cui esclude che il diniego di sanatoria sia
inficiato da un difetto motivazionale. Appare evidente che
l’onere motivazionale che grava in capo alla p.a. rinviene
la sua giusta misura nell’esigenza che il destinatario del
provvedimento sia messo in grado di percepire quali siano le
ragioni che hanno portato al diniego dell’istanza proposta
(Cons. St., Sez. II, 24.05.2006, n. 7681; Id. 05.02.1997, n. 336).
Pertanto, se non risulta sufficiente il
generico richiamo alla norma di legge (Cons. St., Sez. V, 04.04.2006, n. 1750), è consentito adoperare una
motivazione che sia pure in modo sintetico ovvero attraverso
un meccanismo motivazionale che utilizza il rinvio per relationem al contenuto di atti endoprocedimentali, come
nella fattispecie, esterni le ragioni che ostano
all’accoglimento dell’istanza, così da consentire al privato
di valutare l’opportunità di un’eventuale reazione
giurisdizionale.
Nel caso in esame, quindi, il rinvio alla
relazione del responsabile del procedimento e della
Commissione edilizia, unitamente alla contrarietà derivante
dalla circostanza che l’opera sananda comportava un
incremento volumetrico non consentito, anche perché non
riconducibile nell’ambito dell’ipotesi di adeguamento
igienico-sanitario, risulta soddisfare il precetto contenuto
nell’art. 3, l. n. 241/1990.
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In ordine alla
seconda censura, appare condivisibile la premessa giuridica
da cui parte, e rispetto alla quale non si registra alcuna
difformità con la sentenza gravata, circa la necessità della
conformità del manufatto oggetto di sanatoria con la
disciplina urbanistica vigente al momento della
realizzazione dell’opera, con quella vigente al momento
della presentazione dell’istanza e con quella al tempo
dell’adozione del provvedimento.
Non condivisibile, è
invece, la conclusione raggiunta dall’appellante circa il
soddisfacimento della regola in esame da parte della
richiesta dell’interessato. Infatti, la giurisprudenza di
questo Consiglio ha da tempo chiarito che ai sensi dell'art.
13 L. 28.02.1985 n. 47, è legittimo il diniego della
concessione in sanatoria di opere eseguite senza titolo
abilitante, qualora le stesse non risultino conformi tanto
alla normativa urbanistica vigente al momento della loro
realizzazione quanto a quella vigente al momento della
domanda di sanatoria (Cons. St., sez. IV, 26.04.2006, n.
2306; sez. IV, n. 6474 del 2006; sez. V, n. 1126 del 2009;
sez. V, 17.09.2012, n. 4914).
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Infine, quanto
all’ultima delle censure in esame, incentrata sulla presunta
illegittimità dell’ordine di demolizione per difetto di
motivazione, appare sufficiente richiamare il consolidato
orientamento di questo Consiglio in merito alla natura
vincolata dell’ordine di demolizione: “L’attività
sanzionatoria della P.A. sull’attività edilizia abusiva è
connotata dal carattere vincolato e non discrezionale.
Infatti il giudizio di difformità dell’intervento edilizio
rispetto al titolo abilitativo rilasciato, che costituisce
il presupposto dell’irrogazione delle sanzioni , non è
affatto connotato da discrezionalità tecnica, ma integra un
mero accertamento di fatto. Pertanto , il giudice può
verificare la correttezza di tale attività accertativa
svolta dalla P.A., non diversamente da quanto avviene
allorché controlla l’esattezza di accertamenti tecnici
condotti dalla P.A. in altri contesti” (Cons. St., Sez. IV,
17.05.2010, n. 3126), per escludere la sussistenza del
supposto vizio motivazionale atteso che: “L'ordine di
demolizione di opere edilizie abusive è atto vincolato che
non richiede una specifica valutazione delle ragioni di
interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con
gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una
motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale alla demolizione, non potendo ammettersi
l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il
tempo non può mai legittimare” (Cons. St., Sez. V, 11.01.2011, n. 79).
Del resto, un eventuale affidamento a
favore dell’amministrato potrebbe solo sorgere all’indomani
della conoscenza che l’amministrazione abbia dell’esistenza
del manufatto, rispetto alla quale mantenga una colpevole
inerzia e non come nel caso di specie dove l’intervento
repressivo è stato disposto dopo pochi giorni il diniego di
sanatoria (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 5523 del 2012; VI,
n. 7129 del 2010)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.06.2013 n. 3235 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il principio della cosiddetta "sanatoria
giurisprudenziale" è stato disatteso
da un diverso e più consolidato orientamento, secondo cui la
stessa, poiché introduce un atipico atto con effetti
provvedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione
normativa, non può ritenersi ammessa nel nostro ordinamento,
caratterizzato dal principio di legalità dell’azione
amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati
dall’Amministrazione, secondo il principio di nominatività,
poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la
violazione del principio di separazione dei poteri e pena
l’invasione nelle sfere di attribuzioni riservate
all’Amministrazione.
Alla luce di tali argomenti, è evidente che l’eccezione di
incostituzionalità della norma di cui all'art. 13, l.
28.02.1985, n. 47, così come dedotta dall’appellante, è
manifestamente infondata, poiché sarebbe, semmai,
l’eventuale istituto della sanatoria giurisprudenziale ad
essere sospetto di compatibilità con il nostro sistema
costituzionale.
Peraltro, la norma in esame, richiedente per la sanatoria
delle opere realizzate senza concessione e delle varianti
non autorizzate, che l'opera sia conforme tanto alla
normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione
dell'opera, quanto a quella vigente al momento della domanda
di sanatoria, è una disposizione la cui ratio è legata al
contrasto all'inerzia dell'Amministrazione; ciò significa
che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha
richiesto la sanatoria non può essere opposta una
modificazione della normativa urbanistica successiva alla
presentazione della domanda; tale ratio della norma è del
tutto comprensibile, quindi, e compatibile con i precetti
costituzionali di cui all’art. 97 Cost.
Pertanto, in sede di rilascio della concessione edilizia in
sanatoria, contenente l'accertamento di conformità ai sensi
dell'art. 13, l. 28.02.1985, n. 47, l'Autorità
amministrativa, che non è chiamata a compiere scelte
discrezionali, deve esclusivamente accertare la c.d. doppia
conformità dell'intervento realizzato alle previsioni degli
strumenti urbanistici vigenti (generali e di attuazione),
oltre che la sua non contrarietà rispetto a previsioni
rivenienti da strumenti urbanistici solo adottati.
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Nell'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 13, l.
28.02.1985, n. 47, l'Autorità amministrativa non è chiamata
a compiere scelte discrezionali, bensì deve esclusivamente
accertare la c.d. doppia conformità dell'intervento
realizzato alle previsioni degli strumenti urbanistici
vigenti (generali e di attuazione), oltre che la sua non
contrarietà rispetto a previsioni rivenienti da strumenti
urbanistici solo adottati, rendendo pertanto irrilevante e
superflua una fase istruttoria specificamente destinata
all’esame di questioni che necessitano di valutazioni
tecnico-discrezionali, quali caratterizzano l’attività delle
commissioni edilizie.
Ritiene il Collegio che l’appello sia infondato.
Infatti, è pur vero che il principio della cd. “doppia
conformità” ex art. 13 1. n. 47 del 1985 può manifestarsi
nelle forme, secondo un certo orientamento
giurisprudenziale, definite “sanatoria giurisprudenziale”, e
può essere riferibile all'ipotesi di specie, in modo da
risultare conforme al principio di proporzionalità e
ragionevolezza nel contemperamento dell'interesse pubblico e
privato, poiché imporre per un unico intervento costruttivo,
comunque attualmente conforme, una duplice attività
edilizia, demolitoria e poi identicamente riedificatoria,
lederebbe lo stesso interesse pubblico tutelato (cfr.
Consiglio di Stato, sez. VI, 07.05.2009, n. 2835; sez. V,
29.05.2006, n. 3267).
Infatti, sulla base della succitata considerazione, è stato
ammesso che la sanatoria edilizia possa intervenire anche a
seguito di conformità sopraggiunta dell'intervento in un
primo tempo illegittimamente assentito, divenuto cioè
permissibile al momento della proposizione della nuova
istanza dell'interessato, posto che questa si profila come
del tutto autonoma rispetto all'originaria istanza che aveva
condotto al permesso annullato in sede giurisdizionale, in
quanto basata su nuovi presupposti normativi in materia
edilizia; all’opposto, si è ritenuto irragionevole negare
una sanatoria di interventi che sarebbero legittimamente
concedibili al momento della nuova istanza.
Tale principio, tuttavia, è stato disatteso da un diverso e
più consolidato orientamento, secondo cui la “sanatoria
giurisprudenziale”, in quanto introduce un atipico atto con
effetti provvedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione
normativa, non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento,
caratterizzato dal principio di legalità dell’azione
amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati
dall’Amministrazione, secondo il principio di nominatività,
poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la
violazione del principio di separazione dei poteri e pena
l’invasione nelle sfere di attribuzioni riservate
all’Amministrazione.
Alla luce di tali argomenti, è altresì evidente che
l’eccezione di incostituzionalità della norma di cui
all'art. 13, l. 28.02.1985, n. 47, così come dedotta
dall’appellante, è manifestamente infondata, poiché sarebbe,
semmai, l’eventuale istituto della sanatoria
giurisprudenziale ad essere sospetto di compatibilità con il
nostro sistema costituzionale.
Peraltro, la norma in esame, richiedente per la sanatoria
delle opere realizzate senza concessione e delle varianti
non autorizzate, che l'opera sia conforme tanto alla
normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione
dell'opera, quanto a quella vigente al momento della domanda
di sanatoria, è una disposizione la cui ratio è legata al
contrasto all'inerzia dell'Amministrazione; ciò significa
che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha
richiesto la sanatoria non può essere opposta una
modificazione della normativa urbanistica successiva alla
presentazione della domanda; tale ratio della norma è del
tutto comprensibile, quindi, e compatibile con i precetti
costituzionali di cui all’art. 97 Cost.
Pertanto, in sede di rilascio della concessione edilizia in
sanatoria, contenente l'accertamento di conformità ai sensi
dell'art. 13, l. 28.02.1985, n. 47, l'Autorità
amministrativa, che non è chiamata a compiere scelte
discrezionali, deve esclusivamente accertare la c.d. doppia
conformità dell'intervento realizzato alle previsioni degli
strumenti urbanistici vigenti (generali e di attuazione),
oltre che la sua non contrarietà rispetto a previsioni
rivenienti da strumenti urbanistici solo adottati (cfr.
Consiglio Stato, sez. IV, 17.09.2007, n. 4838; sez.
V, 25.02.2009, n. 1126).
Peraltro, giova osservare che l’art. 36 del d.P.R. 06.06.20012, n. 380 - Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia, norma attualmente vigente
sul medesimo tema, e non innovativa rispetto alla norma
anteriormente vigente (l’art. 13 1. n. 47 del 1985), e che
disciplina l’accertamento di conformità richiesto dalla
ricorrente, recita: “In caso di interventi realizzati in
assenza di permesso di costruire…il responsabile dell’abuso,
o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il
permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda” (cfr. Consiglio di Stato, sez.
I, parere 24.06.2011, n. 4162/2009; sez. V, 25.02.2009, n. 1126; sez. IV, 26.04.2006, n. 2306).
Pertanto, è la stessa norma, che come si ribadisce non ha
carattere innovativo, trattandosi di norma raccolta nel
predetto T.U. ai fini del coordinamento normativo ex art. 7
Legge 08.03.1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di
norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di
semplificazione 1998 – Bassanini Quater), che attualmente
conferma l’insussistenza dell’istituto sopra sunteggiato,
denominato “sanatoria giurisprudenziale”.
Conclusivamente, dall’art. 13 della l. 28.02.1985, n.
47 non è ricavabile alcun diritto ad ottenere la concessione
in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in
difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa
urbanistica vigente al momento in cui l'autorità comunale
provvede sulla domanda in sanatoria.
Nel caso di specie (come si evince dalla relazione
depositata dal comune intimato in primo grado) risulta che
le opere in assenza di concessione, ovvero la
sopraelevazione di porzione di edificio fino a mt. 9.50,
sono state realizzate nell’agosto 1999 mentre era vigente
l’art. 33.3.4. delle N.T.A del P.R.G. che permetteva
un’altezza massima di mt. 8.50; solo al momento della
presentazione dell’istanza di sanatoria il suddetto
articolo, nel frattempo modificato, autorizzava un’altezza
massima di mt. 10.50, così consentendo tale intervento, non
però anche l’eventuale sanatoria, che richiedeva la doppia
conformità e che è stata dunque legittimamente negata,
mancando la conformità originaria dell’opera.
Anche la censura d’appello relativa all’illegittimità
del diniego di sanatoria per omessa acquisizione del parere
della commissione edilizia è infondata, atteso che, come
detto, nell'accertamento di conformità ai sensi dell'art.
13, l. 28.02.1985, n. 47, l'Autorità amministrativa
non è chiamata a compiere scelte discrezionali, bensì deve
esclusivamente accertare la c.d. doppia conformità
dell'intervento realizzato alle previsioni degli strumenti
urbanistici vigenti (generali e di attuazione), oltre che la
sua non contrarietà rispetto a previsioni rivenienti da
strumenti urbanistici solo adottati (cfr. Consiglio Stato,
sez. IV, 17.09.2007, n. 4838; sez. V, 25.02.2009, n. 1126; sez. IV, 12.02.2010, n. 772), rendendo
pertanto irrilevante e superflua una fase istruttoria
specificamente destinata all’esame di questioni che
necessitano di valutazioni tecnico-discrezionali, quali
caratterizzano l’attività delle commissioni edilizie
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.06.2013 n. 3220 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA: Non
è ammissibile il rilascio di una concessione in sanatoria,
ex art. 13 L. n. 47 del 1985 (ora art. 36 D.P.R. n. 380 del
2001, che si riferisce agli interventi “realizzati” in
assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso),
relativa soltanto a parte degli interventi abusivi
realizzati, ovvero parziale, o subordinata alla esecuzione
di opere, atteso che ciò contrasta ontologicamente con gli
elementi essenziali dell'accertamento di conformità, i quali
presuppongono la già avvenuta esecuzione delle opere e la
loro integrale conformità alla disciplina urbanistica.
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Le opere di sistemazione esterna strumentali ad un edificio
principale abusivo ripetono le caratteristiche di
illegittimità dall'opera principale alla quale ineriscono,
sicché –attesa la loro unitarietà funzionale, attestata
anche dalla presentazione di un’unica istanza di sanatoria–
non sono autonomamente sanabili se, rispetto all’edificio
principale, difetta il requisito della doppia conformità.
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L'obbligo di esame ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. b),
l. n. 241 del 1990 delle memorie procedimentali presentate
dal privato non impone un'analitica confutazione in merito
ad ogni argomento utilizzato dalle parti stesse, essendo
sufficiente un iter motivazionale che renda nella sostanza
percepibile la ragione del mancato adeguamento dell'azione
amministrativa alle deduzioni difensive del privato stesso.
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La presentazione di un’istanza di accertamento di conformità
condiziona al più l’efficacia della precedente ordinanza di
demolizione, ma non può giammai -per il principio tempus
regit actum- costituire parametro della sua legittimità
(viepiù se non impugnata, come nel caso di specie), sicché
l'amministrazione è tenuta a mandare ad esecuzione l’ordine
di demolizione non appena abbia rigettato tale domanda.
Più precisamente, la presentazione dell’istanza di
accertamento di conformità determina un arresto
dell’efficacia della misura ripristinatoria, nel senso che
questa è soltanto sospesa, determinandosi uno stato di
temporanea quiescenza dell’atto, all’evidente fine di
evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la
demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o
difformità dal permesso di costruire, è conforme alla
strumentazione urbanistica vigente.
Ne consegue che, in caso di accoglimento della domanda di
sanatoria, l’ordine di demolizione viene inevitabilmente
meno per il venir meno del suo presupposto, vale a dire del
carattere abusivo dell’opera realizzata, in ragione
dell’accertata conformità dell’intervento alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso sia al momento della
presentazione della domanda.
In caso di rigetto, invece, il provvedimento sanzionatorio a
suo tempo adottato riacquista la sua efficacia –che non era
definitivamente cessata ma solo sospesa in attesa della
conclusione del nuovo iter procedimentale– con la sola
specificazione che il termine concesso per l’esecuzione
spontanea della demolizione decorre dal momento in cui il
diniego perviene a conoscenza dell’interessato, che non può
rimanere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di
legge e deve, pertanto, poter usufruire dell’intero termine
a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le
conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello
stesso.
Quanto al primo motivo si osserva che, secondo un
consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale il
collegio non vede motivo per discostarsi, non è ammissibile
il rilascio di una concessione in sanatoria, ex art. 13 L.
n. 47 del 1985 (ora art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001, che si
riferisce agli interventi “realizzati” in assenza di
permesso di costruire, o in difformità da esso), relativa
soltanto a parte degli interventi abusivi realizzati, ovvero
parziale, o subordinata alla esecuzione di opere, atteso che
ciò contrasta ontologicamente con gli elementi essenziali
dell'accertamento di conformità, i quali presuppongono la
già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale
conformità alla disciplina urbanistica (Cass. Pen., III,
14.06.2007, n. 23129).
Quanto all’estensione del diniego impugnato anche ad opere
(percorso di accesso, cancello, recinzione, muri di fascia e
scavo per la piscina) che non fanno volume né superficie, è
dirimente il rilievo che le opere di sistemazione esterna
strumentali ad un edificio principale abusivo ripetono le
caratteristiche di illegittimità dall'opera principale alla
quale ineriscono (in tal senso cfr. TAR Toscana, III,
12.06.2012, n. 1124; id., 11.01.2012, n. 25), sicché –attesa
la loro unitarietà funzionale, attestata anche dalla
presentazione di un’unica istanza di sanatoria– non sono
autonomamente sanabili se, rispetto all’edificio principale,
difetta il requisito della doppia conformità.
Quanto al secondo motivo, è sufficiente richiamare il
costante orientamento della giurisprudenza, secondo il quale
l'obbligo di esame ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. b),
l. n. 241 del 1990 delle memorie procedimentali presentate
dal privato non impone un'analitica confutazione in merito
ad ogni argomento utilizzato dalle parti stesse, essendo
sufficiente un iter motivazionale che renda nella sostanza
percepibile la ragione del mancato adeguamento dell'azione
amministrativa alle deduzioni difensive del privato stesso
(cfr., per tutte, Cons. di St., VI, 11.3.2010, n. 1439).
Il ricorso per motivi aggiunti è invece inammissibile per
difetto di interesse, attesa l’inoppugnabilità della
precedente provvedimento di ingiunzione della demolizione
delle medesime opere abusive 04.05.2007, n. 50 prot. 20907,
espressamente richiamata nel preambolo dell’atto impugnato.
Difatti, la presentazione di un’istanza di accertamento di
conformità condiziona al più l’efficacia della precedente
ordinanza di demolizione, ma non può giammai -per il
principio tempus regit actum- costituire parametro
della sua legittimità (viepiù se non impugnata, come nel
caso di specie), sicché l'amministrazione è tenuta a mandare
ad esecuzione l’ordine di demolizione non appena abbia
rigettato tale domanda (così TAR Lazio, I, 09.07.2012, n.
6197; TAR Liguria, I, 11.07.2011, n. 1084).
Più precisamente, la presentazione dell’istanza di
accertamento di conformità determina un arresto
dell’efficacia della misura ripristinatoria, nel senso che
questa è soltanto sospesa, determinandosi uno stato di
temporanea quiescenza dell’atto, all’evidente fine di
evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la
demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o
difformità dal permesso di costruire, è conforme alla
strumentazione urbanistica vigente (cfr., tra le tante, TAR
Campania, II Sezione, 04.02.2005, n. 816 e 13.07.2004, n.
10128).
Ne consegue che, in caso di accoglimento della domanda di
sanatoria, l’ordine di demolizione viene inevitabilmente
meno per il venir meno del suo presupposto, vale a dire del
carattere abusivo dell’opera realizzata, in ragione
dell’accertata conformità dell’intervento alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso sia al momento della
presentazione della domanda.
In caso di rigetto, invece, il provvedimento sanzionatorio a
suo tempo adottato riacquista la sua efficacia –che non era
definitivamente cessata ma solo sospesa in attesa della
conclusione del nuovo iter procedimentale– con la sola
specificazione che il termine concesso per l’esecuzione
spontanea della demolizione decorre dal momento in cui il
diniego perviene a conoscenza dell’interessato, che non può
rimanere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di
legge e deve, pertanto, poter usufruire dell’intero termine
a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le
conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello
stesso (così TAR Campania-Napoli, II, 02.03.2010, n. 1259;
TAR Liguria, I, 05.02.2011, n. 226)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 29.05.2013 n. 848 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Edilizia
e urbanistica - Calamità pubbliche e protezione civile - Norme della Regione
Toscana - Opere edilizie realizzate nei comuni già classificati sismici, in
assenza dell'autorizzazione o dell'attestato di avvenuto deposito -
Possibilità di ottenere l'accertamento di conformità in sanatoria -
Disciplina dei requisiti - Principio statale della doppia conformità,
finalizzato a garantire l'assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed
edilizia durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione
dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento
di conformità - Inosservanza - Violazione della competenza legislativa
statale nella materia concorrente della protezione civile - Illegittimità
costituzionale.
E' costituzionalmente illegittimo, per violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., l'art. 5, commi 1, 2 e 3 della legge
della Regione Toscana 31.01.2012, n. 4, che consente la possibilità di
ottenere l'accertamento di conformità in sanatoria per le opere edilizie
realizzate nei comuni già classificati sismici, in assenza
dell'autorizzazione o dell'attestato di avvenuto deposito, che risultano
conformi alla normativa tecnico-sismica vigente soltanto al momento della
loro realizzazione ovvero al momento dell'inizio dei lavori.
Infatti, ciò contrasta con il principio statale della doppia conformità di
cui all'art. 36 del d.p.r. n. 380 del 2001, finalizzato a garantire
l'assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto
l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione
dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità e, pertanto,
viola la competenza legislativa statale nella materia concorrente della
protezione civile.
- Sulla problematica in argomento si vedano le sentenze nn.
182/2006, 201/2012, e con particolare riferimento alla questione
dell'illegittimità di deroghe regionali, le sentenze nn. 64/2013, 254/2010 e
248/2009.
- Sulla necessità che le opere realizzate siano assentibili alla
stregua non solo della disciplina urbanistica vigente al momento della
domanda di sanatoria, ma anche di quella in vigore all'epoca di esecuzione
degli abusi, si veda Consiglio di Stato, sezione IV, 21.12.2012, n. 6657;
sezione IV, 02.11.2009, n. 6784; sezione V, 29.05.2006, n. 3267; sezione IV,
26.04.2006, n. 2306.
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Edilizia e urbanistica - Calamità pubbliche
e protezione civile - Norme della Regione Toscana - Procedimento per
accertamento di conformità in sanatoria per gli interventi realizzati nelle
zone sismiche e nelle zone a bassa sismicità - Disposizioni in stretta
correlazione con quelle già dichiarate incostituzionali - Illegittimità
costituzionale.
Testo
Sono costituzionalmente illegittime, in violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., le norme di cui all'art. 6 della legge
della Regione Toscana 31.01.2012, n. 4, che regolamentano il procedimento
per l'accertamento di conformità in sanatoria per gli interventi realizzati
nelle zone sismiche e in quelle a bassa sismicità, in quanto non si tratta
di norme tecniche di costruzione, bensì di disposizioni in stretta
correlazione con quelle già dichiarate incostituzionali. Infatti, la Corte
costituzionale ha già avuto modo di stabilire che le norme sismiche dettano
una disciplina unitaria a tutela dell'incolumità pubblica, mirando a
garantire, per ragioni di sussidiarietà e di adeguatezza, una normativa
unica, valida per tutto il territorio nazionale.
- Si veda la sentenza n. 182/2006, confermata dalle sentenze nn.
201/2012 e 254/2010.
---------------
Edilizia e urbanistica - Calamità pubbliche
e protezione civile - Norme della Regione Toscana - Salvezza delle
disposizioni contenute nel nuovo testo della legge regionale n. 1 del 2005,
per il governo del territorio - Conseguente separazione e autonomia
dell'accertamento di conformità relativo alle norme sismiche dal generale
accertamento di conformità relativo alle norme edilizie e urbanistiche -
Contrasto con il principio fondamentale della doppia conformità - Violazione
della competenza legislativa statale nella materia concorrente della
protezione civile - Illegittimità costituzionale.
E' costituzionalmente illegittimo, per violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., l'art. 7 della legge della Regione
Toscana 31.01.2012, n. 4, che, facendo salva l'applicazione delle
disposizioni contenute nel nuovo testo dell'art. 118 della legge regionale
n. 1 del 2005, sancisce la separazione e l'autonomia dell'accertamento di
conformità relativo alle norme sismiche dal generale accertamento di
conformità relativo alle norme edilizie ed urbanistiche, garantendo
l'effetto voluto dalla Regione con la normativa impugnata, ma che risulta
lesivo del principio fondamentale della doppia conformità e quindi viola la
competenza legislativa statale nella materia concorrente della protezione
civile
(Corte Costituzionale,
sentenza 29.05.2013 n. 101). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
rilascio della sanatoria ex art. 36 dpr 380/2001 presuppone
la "doppia conformità" anche per il rispetto delle norme
tecniche previste per le zone sismiche.
Va dichiara
l’illegittimità costituzionale degli articoli 5, commi 1, 2
e 3, 6 e 7 della legge della Regione Toscana 31.01.2012, n.
4 (Modifiche alla legge regionale 03.01.2005, n. 1 «Norme
per il governo del territorio» e della legge regionale
16.10.2009, n. 58 «Norme in materia di prevenzione e
riduzione del rischio sismico»).
---------------
Il principio della doppia conformità è previsto dall’art. 36
del d.P.R. n. 380 del 2001, che così recita: «1. In caso di
interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o
in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di
inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 22, comma
3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini
di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1,
e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni
amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale
proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in
sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della
realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda.
2. Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al
pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di
costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a
norma di legge, in misura pari a quella prevista
dall’articolo 16. Nell’ipotesi di intervento realizzato in
parziale difformità, l’oblazione è calcolata con riferimento
alla parte di opera difforme dal permesso.
3. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o
il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia
con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i
quali la richiesta si intende respinta.»
Come è evidente dal contenuto letterale della norma, tale
principio risulta finalizzato a garantire l’assoluto
rispetto della «disciplina urbanistica ed edilizia» durante
tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione
dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere
l’accertamento di conformità.
Il rigore insito nel principio in questione trova conferma
anche nell’interpretazione della giurisprudenza
amministrativa, la quale afferma che, ai fini della
concedibilità del permesso di costruire in sanatoria, di cui
all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, è necessario che le
opere realizzate siano assentibili alla stregua non solo
della disciplina urbanistica vigente al momento della
domanda di sanatoria, ma anche di quella in vigore all’epoca
di esecuzione degli abusi.
In tal senso, la stessa giurisprudenza afferma che la
sanatoria in questione –in ciò distinguendosi da un vero e
proprio condono– è stata deliberatamente circoscritta dal
legislatore ai soli abusi «formali», ossia dovuti alla
carenza del titolo abilitativo, rendendo così palese la
ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame,
«anche di natura preventiva e deterrente», finalizzata a
frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture
«sostanzialiste» della norma che consentano la possibilità
di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina
urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro
realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della
presentazione dell’ istanza per l’accertamento di
conformità.
---------------
In particolare, il capo IV della parte II del testo
unico di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, reca il titolo
«Provvedimenti per le costruzioni con particolari
prescrizioni per le zone sismiche». Il termine «particolari»
indica evidentemente che si tratta di prescrizioni
aggiuntive, e non alternative, a quelle generali per
l’edilizia, come è confermato dall’inserimento del citato
capo IV nell’ambito della Parte II dello stesso testo unico,
dedicata alla «Normativa tecnica per l’edilizia».
Pertanto, le «particolari prescrizioni» antisismiche sono
parte della normativa tecnica generale sull’edilizia e non
ne sono separate o autonome, come invece sostiene la Regione
Toscana.
In secondo luogo, dall’esame delle norme statali di
principio e financo da quelle regionali, traspare evidente
il necessario collegamento tra i vari accertamenti
concernenti il rispetto delle normative di settore e il
rilascio dell’accertamento di conformità in sanatoria di cui
all’art. 36 del testo unico. In riferimento alle prime,
l’art. 20, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, che
disciplina il procedimento per il rilascio del permesso di
costruire, prevede che la relativa domanda sia accompagnata
dalla dichiarazione del progettista che asseveri la
conformità del progetto oltre che agli strumenti urbanistici
e ai regolamenti edilizi, anche alle altre normative di
settore, tra le quali la disposizione statale,
significativamente, richiama «in particolare» le «norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio,
igienico-sanitarie».
Parimenti, l’art. 23, comma 1-bis, dello stesso decreto,
collocato nel capo III, concernente la denuncia di inizio
attività, esclude che l’autocertificazione consentita in
tali casi possa estendersi al rispetto, tra le altre, della
«normativa antisismica». Inoltre, l’art. 94, comma 1, del
d.P.R. n. 380 del 2001, dispone che «Fermo restando
l’obbligo del titolo abilitativo all’intervento edilizio,
nelle località sismiche […] non si possono iniziare i lavori
senza preventiva autorizzazione scritta del competente
ufficio tecnico della regione», e questa Corte ha ritenuto
illegittima la sostituzione dell’autorizzazione con un
semplice preavviso.
Se pertanto, nel sistema dei principi delineati dalla
normativa statale, sia gli interventi edilizi soggetti a
permesso di costruire, sia quelli consentiti a seguito di
denuncia, presuppongono sempre la previa verifica del
rispetto delle norme sismiche, non pare possa dubitarsi che
la verifica della doppia conformità, alla quale l’art. 36
del testo unico subordina il rilascio dell’accertamento di
conformità in sanatoria, debba riferirsi anche al rispetto
delle norme sismiche, da comprendersi nelle norme per
l’edilizia, sia al momento della realizzazione
dell’intervento che al momento di presentazione della
domanda di sanatoria.
--------------
L’accertamento del rispetto delle specifiche norme tecniche
antisismiche è sempre un presupposto necessario per
conseguire il titolo che consente di edificare, al quale si
riferisce il criterio della doppia conformità.
---------------
Quanto alla ratio del principio statale sul quale si fonda
la previsione della sanatoria di cui all’art. 36 dpr
380/2001, deve osservarsi che il requisito della doppia
conformità risulta strettamente correlato alla natura della
violazione edilizia sottostante, che come si è visto deve
essere di tipo «puramente formale».
Questa Corte ha ritenuto che tale intento è «palesemente
orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni
riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene
protetto, che trascende anche l’ambito della disciplina del
territorio, per attingere a valori di tutela dell’incolumità
pubblica che fanno capo alla materia della protezione
civile, in cui ugualmente compete allo Stato la
determinazione dei principi fondamentali».
La Corte ha anche affermato che le norme sismiche dettano
«una disciplina unitaria a tutela dell’incolumità pubblica,
mirando a garantire, per ragioni di sussidiarietà e di
adeguatezza, una normativa unica, valida per tutto il
territorio nazionale».
3.— Nel merito, la questione è fondata.
Al fine di individuare la materia nella quale rientrano le
disposizioni impugnate, è opportuno premettere che
l’accertamento di conformità in sanatoria per le opere
edilizie è stato previsto, per la prima volta, dall’art. 13
della legge 28.02.1985, n. 47 (Norme in materia di controllo
dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e
sanatoria delle opere edilizie), e successivamente è stato
recepito dalla più recente e completa regolazione prevista
dal testo unico approvato con d.P.R. n. 380 del 2001 che,
all’art. 1, comma 1, qualifica le norme in esso contenute
come «principi fondamentali e generali […] per la
disciplina dell’attività edilizia».
In particolare, si osserva che le norme censurate
intervengono nell’ambito della disciplina delle costruzioni
nelle zone sismiche, dettando specifiche disposizioni ai
fini del conseguimento del suddetto accertamento di
conformità nei casi di interventi edilizi realizzati nelle
zone sismiche e nelle zone a bassa sismicità, o in corso di
realizzazione in tali zone.
Questa Corte si è, in più occasioni, pronunciata con
riguardo alla legittimità di disposizioni regionali
intervenute nella disciplina delle costruzioni nelle zone
sismiche, valutandone la coerenza con le norme statali di
principio contenute nel richiamato testo unico di cui al
d.P.R. n. 380 del 2001. Nella sentenza n. 182 del 2006, la
Corte ha dichiarato illegittima, per violazione dell’art.
117, terzo comma, Cost., una disposizione della legge della
Regione Toscana n. 1 del 2005 in considerazione del mancato
rispetto, sotto un diverso profilo, di una norma statale di
principio prevista dall’art. 94 del d.P.R. n. 380 del 2001
sul controllo delle costruzioni a rischio sismico, nella
parte in cui non stabiliva che non si possono iniziare
lavori senza preventiva autorizzazione scritta del
competente ufficio tecnico della Regione. La disposizione
regionale prevedeva, infatti, il semplice preavviso alla
struttura regionale competente, senza richiedere la predetta
autorizzazione.
Più in generale, in questa pronuncia la Corte ha affermato
che «l’intento unificatore della legislazione statale è
palesemente orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle
costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza
del bene protetto, che trascende anche l’ambito della
disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela
dell’incolumità pubblica che fanno capo alla materia della
protezione civile, in cui ugualmente compete allo Stato la
determinazione dei principi fondamentali».
Inoltre, con sentenza n. 201 del 2012, è stata dichiarata
l’illegittimità di una disposizione della legge della
Regione Molise 09.09.2011, n. 25 (Procedure per
l’autorizzazione sismica degli interventi edilizi e la
relativa vigilanza, nonché per la prevenzione del rischio
sismico mediante la pianificazione urbanistica), che,
disciplinando le procedure per l’autorizzazione sismica per
gli interventi edilizi, prevedeva, in caso di modifica
architettonica che comportasse un aumento dei carichi
superiore al 20%, l’obbligo di redazione di una variante
progettuale da depositare preventivamente, mentre per le
modifiche inferiori a questo limite si richiedeva il
deposito della sola verifica strutturale nell’ambito della
direzione dei lavori. Questa Corte ha ritenuto che la norma
regionale violasse il principio di cui all’art. 88 del
d.P.R. n. 380 del 2001.
Anche in questo caso la Corte ha ribadito che «la
normativa regionale impugnata, occupandosi degli interventi
edilizi in zone sismiche e della relativa vigilanza, rientra
nella materia della protezione civile, oggetto di competenza
legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma,
Cost.».
Tale inquadramento, recentemente ribadito nella sentenza n.
64 del 2013, era peraltro già stato affermato nelle sentenze
n. 254 del 2010 e n. 248 del 2009, in riferimento alla
illegittimità di deroghe regionali alla normativa statale
per l’edilizia in zone sismiche, ed in relazione al titolo
competenziale di tale normativa: la Corte ha ritenuto che
essa rientri nell’ambito del governo del territorio, nonché
nella materia della protezione civile, per i profili
concernenti «la tutela dell’incolumità pubblica»
(sentenza n. 254 del 2010).
Di conseguenza, nel contesto legislativo e
giurisprudenziale, ora sinteticamente richiamato, deve
ritenersi che le norme impugnate nel presente giudizio –che
riguardano la disciplina dei requisiti per ottenere
l’accertamento di conformità in sanatoria per gli interventi
edilizi realizzati nelle zone sismiche e nelle zone a bassa
sismicità, il relativo procedimento, ed il collegamento di
tali disposizioni con la procedura di accertamento di
conformità in sanatoria per le opere edilizie di cui
all’art. 140 della legge regionale n. 1 del 2005– rientrano
anch’esse nelle materie relative al governo del territorio
e, per i profili indicati, alla protezione civile, e non
costituiscono norme tecniche che esulano da tali ambiti.
4.— Il principio della doppia conformità, invocato dal
Presidente del Consiglio dei ministri, è previsto dall’art.
36 del d.P.R. n. 380 del 2001, che così recita: «1. In
caso di interventi realizzati in assenza di permesso di
costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di
denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui
all’articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla
scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33,
comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle
sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o
l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il
permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda.
2. Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al
pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di
costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a
norma di legge, in misura pari a quella prevista
dall’articolo 16. Nell’ipotesi di intervento realizzato in
parziale difformità, l’oblazione è calcolata con riferimento
alla parte di opera difforme dal permesso.
3. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o
il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia
con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i
quali la richiesta si intende respinta.»
Come è evidente dal contenuto letterale della norma, tale
principio risulta finalizzato a garantire l’assoluto
rispetto della «disciplina urbanistica ed edilizia»
durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione
dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere
l’accertamento di conformità.
Il rigore insito nel principio in questione trova conferma
anche nell’interpretazione della giurisprudenza
amministrativa, la quale afferma che, ai fini della
concedibilità del permesso di costruire in sanatoria, di cui
all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, è necessario che le
opere realizzate siano assentibili alla stregua non solo
della disciplina urbanistica vigente al momento della
domanda di sanatoria, ma anche di quella in vigore all’epoca
di esecuzione degli abusi (pronunce del Consiglio di Stato,
sezione IV, 21.12.2012, n. 6657; sezione IV, 02.11.2009, n.
6784; sezione V, 29.05.2006, n. 3267; sezione IV,
26.04.2006, n. 2306).
In tal senso, la stessa giurisprudenza afferma che la
sanatoria in questione –in ciò distinguendosi da un vero e
proprio condono– è stata deliberatamente circoscritta dal
legislatore ai soli abusi «formali», ossia dovuti
alla carenza del titolo abilitativo, rendendo così palese la
ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in
esame, «anche di natura preventiva e deterrente»,
finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da
escludere letture «sostanzialiste» della norma che
consentano la possibilità di regolarizzare opere in
contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente
al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi
solo al momento della presentazione dell’ istanza per
l’accertamento di conformità (citata pronuncia del Consiglio
di Stato, sezione IV, 21.12.2012, n. 6657).
Ora, risulta pacifico, anche dalle argomentazioni della
Regione Toscana, che le disposizioni di cui all’art. 5 della
legge regionale impugnata non rispettano il principio di
doppia conformità, inteso nel senso sopra descritto, ma
prevedono tre distinte ipotesi di contrasto con le norme
sismiche di opere già realizzate, ovvero in corso di
realizzazione, senza richiedere che la sostanziale
conformità alle medesime norme sussista sia nel momento
della realizzazione che in quello di presentazione
dell’istanza per ottenere la sanatoria. Discostandosi
nettamente da tale principio, il comma 3 dell’art. 5
consente persino la regolarizzazione di opere realizzate o
in corso di realizzazione, mediante la presentazione di un «progetto
di adeguamento conforme alla normativa tecnica vigente al
momento di presentazione della stessa».
La Regione Toscana giustifica il mancato rispetto del
principio della doppia conformità edilizia ed urbanistica
nelle norme impugnate con una serie di argomentazioni
fondate sul presupposto interpretativo secondo il quale tale
principio non possa applicarsi alla disciplina antisismica,
che per sua natura rientrerebbe nelle norme tecniche di
costruzione.
Peraltro, dall’esame del quadro normativo di riferimento nel
quale si inseriscono le norme censurate, tale presupposto
interpretativo risulta errato.
In primo luogo, la Regione afferma che l’art. 36 del d.P.R.
n. 380 del 2001 è collocato nella parte I (Attività
edilizia), titolo IV (Vigilanza sull’attività urbanistico
edilizia, responsabilità e sanzioni), capo II (Sanzioni),
mentre la disciplina per le costruzioni nelle zone sismiche
è contenuta nella parte II (Normativa tecnica per
l’edilizia), capo IV (Provvedimenti per le costruzioni con
particolari prescrizioni per le zone sismiche) del medesimo
decreto recante il testo unico dell’edilizia. Da tale
collocazione la Regione desume un argomento a favore
dell’autonomia della verifica dell’osservanza delle norme
sismiche rispetto a quella richiesta dall’art. 36 del d.P.R.
n. 380 del 2001, che si riferisce alla normativa urbanistica
ed edilizia, nella quale non rientrerebbe la disciplina
delle costruzioni in zone sismiche.
Questa ricostruzione non è condivisibile, dal momento che
risulta contraddetta dalla stessa lettura sistematica delle
norme richiamate.
In particolare, il capo IV della parte II del testo
unico di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, reca il titolo «Provvedimenti
per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone
sismiche». Il termine «particolari» indica
evidentemente che si tratta di prescrizioni aggiuntive, e
non alternative, a quelle generali per l’edilizia, come è
confermato dall’inserimento del citato capo IV nell’ambito
della Parte II dello stesso testo unico, dedicata alla «Normativa
tecnica per l’edilizia».
Pertanto, le «particolari prescrizioni» antisismiche
sono parte della normativa tecnica generale sull’edilizia e
non ne sono separate o autonome, come invece sostiene la
Regione Toscana.
In secondo luogo, dall’esame delle norme statali di
principio e financo da quelle regionali, traspare evidente
il necessario collegamento tra i vari accertamenti
concernenti il rispetto delle normative di settore e il
rilascio dell’accertamento di conformità in sanatoria di cui
all’art. 36 del testo unico. In riferimento alle prime,
l’art. 20, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, che
disciplina il procedimento per il rilascio del permesso di
costruire, prevede che la relativa domanda sia accompagnata
dalla dichiarazione del progettista che asseveri la
conformità del progetto oltre che agli strumenti urbanistici
e ai regolamenti edilizi, anche alle altre normative di
settore, tra le quali la disposizione statale,
significativamente, richiama «in particolare» le «norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie».
Parimenti, l’art. 23, comma 1-bis, dello stesso decreto,
collocato nel capo III, concernente la denuncia di inizio
attività, esclude che l’autocertificazione consentita in
tali casi possa estendersi al rispetto, tra le altre, della
«normativa antisismica». Inoltre, l’art. 94, comma 1,
del d.P.R. n. 380 del 2001, dispone che «Fermo restando
l’obbligo del titolo abilitativo all’intervento edilizio,
nelle località sismiche […] non si possono iniziare i lavori
senza preventiva autorizzazione scritta del competente
ufficio tecnico della regione», e questa Corte ha
ritenuto illegittima la sostituzione dell’autorizzazione con
un semplice preavviso (sentenza n. 182 del 2006).
Se pertanto, nel sistema dei principi delineati dalla
normativa statale, sia gli interventi edilizi soggetti a
permesso di costruire, sia quelli consentiti a seguito di
denuncia, presuppongono sempre la previa verifica del
rispetto delle norme sismiche, non pare possa dubitarsi che
la verifica della doppia conformità, alla quale l’art. 36
del testo unico subordina il rilascio dell’accertamento di
conformità in sanatoria, debba riferirsi anche al rispetto
delle norme sismiche, da comprendersi nelle norme per
l’edilizia, sia al momento della realizzazione
dell’intervento che al momento di presentazione della
domanda di sanatoria.
Inoltre, il collegamento tra la verifica del rispetto della
normativa per gli interventi in zone sismiche e il
procedimento di accertamento di conformità edilizia,
disciplinato dall’art. 140 della legge regionale toscana n.
1 del 2005, nel testo in vigore fino all’approvazione delle
norme impugnate, è evidente anche nel richiamo, operato dal
comma 3 di quest’ultimo articolo, all’art. 83 della stessa
legge regionale, al fine di indicare le norme generali sul
procedimento ed i requisiti per ottenere il permesso di
costruire in sanatoria. In particolare, il comma 4 dell’art.
83 prevede che «la domanda è accompagnata da una
dichiarazione del progettista abilitato che assevera la
conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati
oppure adottati, ai regolamenti edilizi vigenti e alle altre
normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell’attività edilizia e, in particolare, alle norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico sanitarie
[…]».
Nel medesimo senso, va osservato che l’art. 140, come
riconosciuto anche dalla Regione, richiama l’art. 84 della
stessa legge regionale n. 1 del 2005, che per le opere
soggette a SCIA dispone che la relazione del progettista
abilitato asseveri la conformità delle opere a tutte le
norme edilizie, e «in particolare, alle norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie
[…]».
Sotto un ulteriore profilo, va rilevato che la pretesa
autonomia del procedimento di «accertamento di conformità
in sanatoria per gli interventi realizzati nelle zone
sismiche e nelle zone a bassa sismicità» non trova alcun
riferimento nella normativa statale di principio contenuta
nel testo unico approvato con il d.P.R. n. 380 del 2001, che
disciplina esclusivamente l’accertamento di conformità di
cui all’art. 36, a sua volta riferito alla sanatoria di «interventi
realizzati in assenza di permesso di costruire, o in
difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio
attività nelle ipotesi di cui all’art. 22, comma 3, o in
difformità da essa».
4.1.— Deve pertanto ritenersi che l’accertamento del
rispetto delle specifiche norme tecniche antisismiche è
sempre un presupposto necessario per conseguire il titolo
che consente di edificare, al quale si riferisce il criterio
della doppia conformità.
Inoltre, non può essere condivisa l’argomentazione della
difesa della Regione, che desume dalle disposizioni
contenute negli articoli 98 e 100 del d.P.R. 380 del 2001 un
indirizzo legislativo favorevole all’adeguamento alle norme
antisismiche, piuttosto che alla sanzione, nei casi di opere
edilizie non in regola con tali norme.
In particolare, il richiamato art. 98 prevede che il
giudice, con il provvedimento di condanna in sede penale, in
alternativa alla demolizione del manufatto, possa impartire
le prescrizioni necessarie per rendere le opere conformi
alle norme sismiche. Al riguardo, si osserva che
l’applicazione di tale disposizione, che disciplina una
facoltà del giudice penale, presuppone l’accertamento del
reato e, quindi, la violazione delle norme sismiche.
Tutt’altra ipotesi si rinviene nella norma impugnata che
consente una possibilità di sanatoria delle violazioni delle
norme sismiche e che attribuisce al privato interessato una
posizione soggettiva tutelata nei confronti
dell’amministrazione, al fine di ottenere l’accertamento di
conformità.
Parimenti, anche la competenza rimessa alla regione
dall’articolo 100 del d.P.R. 380 del 2001, secondo la quale
la regione può ordinare «la demolizione delle opere o
delle parti di esse eseguite in violazione delle norme del
capo I del testo unico e delle norme tecniche di cui agli
articoli 52 e 83, ovvero l’esecuzione di modifiche idonee a
renderle conformi alle norme stesse», presuppone sempre
l’accertamento di un reato, anche se estinto per qualsiasi
causa, e pertanto disciplina una fattispecie nettamente
distinta da quelle previste dall’articolo 5 impugnato.
4.2.— Infine, quanto alla ratio del principio statale
sul quale si fonda la previsione della sanatoria di cui
all’art. 36, deve osservarsi che il requisito della doppia
conformità risulta strettamente correlato alla natura della
violazione edilizia sottostante, che come si è visto deve
essere di tipo «puramente formale».
All’opposto, sembra invece evidente che l’interpretazione
proposta dalla Regione condurrebbe alla previsione di un
vero e proprio condono edilizio, vanificando l’intento
perseguito dal legislatore statale con l’adozione delle
norme antisismiche. Come si è ricordato, questa Corte ha
ritenuto che tale intento è «palesemente orientato ad
esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al
rischio sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che
trascende anche l’ambito della disciplina del territorio,
per attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica
che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui
ugualmente compete allo Stato la determinazione dei principi
fondamentali» (sentenza n. 182 del 2006). La Corte ha
anche affermato che le norme sismiche dettano «una
disciplina unitaria a tutela dell’incolumità pubblica,
mirando a garantire, per ragioni di sussidiarietà e di
adeguatezza, una normativa unica, valida per tutto il
territorio nazionale» (sentenze n. 201 del 2012 e n. 254
del 2010).
5.— Un ulteriore argomento prospettato dalla Regione Toscana
si fonda sulla valenza da attribuire alla giurisprudenza
della Corte di cassazione, che limita ai soli reati edilizi
gli effetti estintivi, a norma dell’art. 45 del d.P.R. n.
380 del 2001, del rilascio dell’accertamento di conformità
ai sensi dell’art. 36 dello stesso decreto, restando
punibili i connessi reati previsti dalle norme sismiche. Da
questa limitazione, la Regione ricava un argomento
aggiuntivo per sostenente l’autonomia delle norme sismiche
rispetto a quelle edilizie e, di conseguenza, la
riferibilità del principio della doppia conformità alle sole
norme edilizie e non anche a quelle sismiche.
In particolare, la Regione afferma che la Corte di
cassazione, valutando gli effetti estintivi dei reati che
derivano dal rilascio di provvedimenti di sanatoria, ha
costantemente affermato che il permesso di costruire
rilasciato ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001
estingue, a norma dell’art. 45 dello stesso decreto, «i
reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche
vigenti e non si estende ad altri reati correlati alla
tutela di interessi diversi rispetto a quelli che riguardano
l’assetto del territorio sotto il profilo edilizio, quali i
reati previsti dalla normativa sulle opere in cemento
armato, sulle costruzioni in zone sismiche, sulla tutela
delle zone di particolare interesse paesaggistico ed
ambientale» (sentenza della Corte di cassazione,
05.03.2009, n. 9922; nello stesso senso, la Regione richiama
le sentenze della medesima Corte 09.03.2011, n. 9277, e
23.03.2006, n. 10205).
Anche questa argomentazione non risulta conferente.
Al riguardo, deve innanzitutto rilevarsi che l’oggetto del
giudizio penale di accertamento dei vari reati previsti
dall’ordinamento a tutela del rispetto delle norme edilizie,
urbanistiche, sismiche, igieniche, paesaggistiche ed
ambientali, risulta nettamente distinto da quello del
presente giudizio.
Nella materia dell’edilizia il legislatore ha previsto che
vari comportamenti siano puniti con sanzioni amministrative
e penali, a maggior tutela del rispetto delle disposizioni
contenute nei diversi settori in cui si articola la medesima
materia. In tal senso, nel testo unico contenuto nel d.P.R.
n. 380 del 2001, si rinvengono sanzioni penali in caso di
comportamenti che vanno dalla lottizzazione abusiva (art.
44) alla violazione di tutte le norme sismiche previste dal
capo IV dello stesso decreto (art. 95). Nella sede penale il
giudice è pertanto tenuto alla individuazione dei reati
sulla base dei principi di stretta legalità e di tipicità,
accertando caso per caso la sussistenza dei requisiti
richiesti dalle singole fattispecie criminose che il
legislatore ha previsto nei vari ambiti suddetti.
In particolare, i reati previsti a tutela della normativa
sismica non sono considerati dall’art. 45, del d.P.R. n. 380
del 2001, specificamente dedicato alle «norme relative
all’azione penale», che al comma 3 prevede che «il
rilascio in sanatoria del permesso di costruire estingue i
reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche
vigenti».
Come risulta evidente dal suo contenuto letterale, tale
disposizione è finalizzata a disciplinare gli effetti
estintivi per i soli reati contravvenzionali previsti dalle
norme urbanistiche, ma non contribuisce in alcun modo a
definire il contenuto e la portata delle norme che delineano
il principio della doppia conformità ai sensi dell’art. 36
del d.P.R. n. 380 del 2001, che presuppone il rispetto delle
norme edilizie.
Pertanto, l’oggetto dei giudizi penali definiti dalla
richiamata giurisprudenza della Corte di cassazione, e le
disposizioni in quei casi applicate, previste dall’art. 45
del d.P.R. n. 380 del 2001, sono del tutto estranee
all’oggetto del presente giudizio, nel quale rileva
l’individuazione dell’area applicativa del principio
generale della doppia conformità alla disciplina urbanistica
ed edilizia, contenuto nell’ articolo 36 dello stesso
decreto e compreso nell’ambito delle materie del governo del
territorio e della protezione civile alle quali afferiscono
le norme sismiche, come ha chiarito la giurisprudenza di
questa Corte sopra richiamata.
6.— In riferimento al censurato art. 6 della legge della
Regione Toscana n. 4 del 2012, la Regione afferma che non
potrebbe essere dichiarato illegittimo neppure se si
ritenesse fondata la questione relativa all’art. 5, dal
momento che esso introduce l’art. 118-bis nella legge
regionale n. 1 del 2005, che si limita a regolare il
procedimento mediante il quale l’ufficio tecnico regionale
procede all’accertamento di conformità in sanatoria per gli
interventi realizzati nelle zone sismiche e nelle zone a
bassa sismicità, senza condizionarne l’esito in alcun modo.
In questa prospettazione, si sostiene che la neutralità di
tale disciplina procedimentale, impedisce di ritenere la
consequenzialità dell’illegittimità dell’art. 6 in virtù del
semplice richiamo operato dall’art. 5 della legge impugnata.
Anche questa affermazione della Regione contrasta con il
contenuto della disposizione impugnata che, in particolare,
recita: «1. Dopo l’articolo 118 della L.R. 1/2005 è
inserito il seguente: “Art. 118-bis - Procedimento per
accertamento di conformità in sanatoria per gli interventi
realizzati nelle zone sismiche e nelle zone a bassa
sismicità.
1. Per le opere realizzate nelle zone sismiche, nei casi di
cui all’articolo 118, commi 1 e 2, la struttura regionale
competente rilascia l’autorizzazione in sanatoria entro
sessanta giorni dalla trasmissione della relativa istanza.
2. Per le opere realizzate nelle zone a bassa sismicità, nei
casi di cui all’articolo 118, commi 1, 2 e 3, la struttura
regionale competente rilascia l’attestato di avvenuto
deposito in sanatoria nei quindici giorni successivi alla
trasmissione della relativa istanza. Il progetto delle opere
da sanare è assoggettato alle procedure di cui all’articolo
105-quater, comma 5.
3. Entro sessanta giorni dalla trasmissione della relativa
istanza, per le opere realizzate nelle zone sismiche, nei
casi di cui all’articolo 118, comma 3, la struttura
regionale competente accerta la conformità del progetto di
adeguamento alle norme tecniche vigenti e rilascia
l’autorizzazione in sanatoria a condizione che siano
eseguite le opere di adeguamento ivi previste.
4. Il progetto delle opere di adeguamento di cui
all’articolo 118, comma 3, lettera b) è trasmesso anche al
comune, per le relative verifiche di conformità urbanistica
ed edilizia. Le opere di adeguamento sono eseguite a seguito
del rilascio da parte del comune del titolo edilizio in
sanatoria di cui all’articolo 140, che ne autorizza
l’esecuzione. Il titolo edilizio in sanatoria acquista
efficacia a seguito della trasmissione al comune degli atti
di cui al comma 5.
5. Al termine dei lavori relativi alle opere di adeguamento,
l’interessato inoltra gli atti, di cui all’articolo 109,
alla struttura regionale competente, che provvede alla
vidimazione e all’inoltro al comune interessato. A tale
inoltro al comune, può provvedere direttamente anche
l’interessato».
Come emerge dal loro contenuto letterale, le disposizioni
dell’art. 6 si pongono in stretta correlazione con quelle
previste dall’art. 5 della legge regionale impugnata, come
confermato dai richiami ai commi 1, 2, e 3 del nuovo testo
dell’art. 118 della legge regionale n. 1 del 2005,
introdotto dallo stesso art. 5.
In particolare, le norme procedimentali di cui all’art. 6
sono direttamente strumentali al rilascio dell’
autorizzazione in sanatoria per gli interventi realizzati
nelle zone sismiche secondo le previsioni contenute nel
censurato art. 5, e costituiscono il necessario
completamento della disciplina del rilascio
dell’accertamento di conformità in violazione del principio
della doppia conformità. Consegue da questa stretta
compenetrazione tra le norme impugnate, l’illegittimità
dell’art. 6 della legge della Regione Toscana n. 4 del 2012
per le motivazioni sopra indicate.
7.— Infine, il censurato art. 7, facendo salva
l’applicazione delle disposizioni contenute nel nuovo testo
dell’art. 118 della legge della Regione Toscana n. 1 del
2005, sancisce la separazione e l’autonomia
dell’accertamento di conformità relativo alle norme sismiche
dal generale accertamento di conformità relativo alle norme
edilizie ed urbanistiche, garantendo l’effetto voluto dalla
Regione con la normativa impugnata, ma che, per le ragioni
anzidette, risulta lesivo del richiamato principio
fondamentale della doppia conformità.
Pertanto, va dichiarata l’illegittimità costituzionale anche
dell’art. 7 della legge della Regione Toscana n. 4 del 2012.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale
degli articoli 5, commi 1, 2 e 3, 6 e 7 della legge della
Regione Toscana 31.01.2012, n. 4 (Modifiche alla legge
regionale 03.01.2005, n. 1 «Norme per il governo del
territorio» e della legge regionale 16.10.2009, n. 58 «Norme
in materia di prevenzione e riduzione del rischio sismico»)
(Corte Costituzionale,
sentenza
29.05.2013 n. 101). |
aprile 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il silenzio serbato dalla Pubblica
Amministrazione sull’istanza di accertamento di conformità
urbanistica, presentata ai sensi dell’art. 36 D.P.R.
06.06.2001 n. 380, ha natura di provvedimento tacito di
reiezione della domanda di sanatoria (e, quindi, di
silenzio-rigetto, e non di silenzio-rifiuto), sicché una
volta decorso il termine di sessanta giorni (previsto dal
citato art. 36) si forma il silenzio-diniego, che è un
provvedimento tacito che va impugnato dall’interessato nel
termine di decadenza di sessanta giorni dalla sua
formazione.
Il Collegio –premesso che, notoriamente (alla stregua
dell’insegnamento giurisprudenziale consolidato), il
silenzio serbato dalla Pubblica Amministrazione sull’istanza
di accertamento di conformità urbanistica, presentata ai
sensi dell’art. 36 D.P.R. 06.06.2001 n. 380, ha natura di
provvedimento tacito di reiezione della domanda di sanatoria
(e, quindi, di silenzio-rigetto, e non di silenzio-rifiuto),
sicché una volta decorso il termine di sessanta giorni
(previsto dal citato art. 36) si forma il silenzio-diniego,
che è un provvedimento tacito che va impugnato
dall’interessato nel termine di decadenza di sessanta giorni
dalla sua formazione (“ex plurimis”: Consiglio di
Stato, IV Sezione, 13.01.2010 n° 100)– ritiene sufficiente
rilevare che, nella fattispecie concreta oggetto del
presente giudizio, il ricorrente ha (in sostanza) contestato
il provvedimento comunale (tacito) di rigetto dell’istanza
di sanatoria quasi un anno dopo la formazione del silenzio
diniego, proponendo (in data 14.07.2012) ricorso dinanzi a
questo TAR (con “petitum” qualificabile come domanda
di annullamento) ben dopo la scadenza del predetto termine
di decadenza di sessanta giorni, previsto dagli artt. 29 e
41 del Codice del Processo Amministrativo (TAR Puglia-Lecce,
Sez. III,
sentenza 30.04.2013 n. 995 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: INAPPLICABILITA' DELLA SANATORIA GIURISPRUDENZIALE
O IMPROPRIA AI REATI EDILIZI.
La sanatoria giurisprudenziale o impropria attiene ad un
provvedimento giustificabile in relazione ai principi
generali
inerenti al buon andamento e all’economia dell’azione
amministrativa; il tutto in riferimento ad opere
che, benché non conformi alle norme urbanistiche/edilizie
ed alle previsioni degli strumenti di pianificazione al
momento in cui le stesse vennero eseguite, lo siano
diventate
successivamente per effetto di normative/o disposizioni
sopravvenute.
Detto permesso in sanatoria
non determina, tuttavia, l’estinzione del reato urbanistico,
non essendo applicabile il D.P.R. n. 380 del 2001, art.
45, per carenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 380 del
2001, art. 36.
Il tema oggetto di esame da parte della Suprema Corte
attiene,
all’applicabilità dell’istituto della cd. sanatoria
giurisprudenziale
(o impropria) alle opere abusive edilizie, con particolare
riferimento all’effetto estintivo che la stessa può o meno
esplicare sui reati edilizi.
La vicenda processuale vedeva
imputati gli attuali ricorrenti dei reati di cui al D.P.R.
n. 380
del 2001, artt. 44, 64, 71, 65, 72, 93, 95 e 94 (ossia
costruzione
di manufatti abusivi con violazione delle prescrizioni in
materia di opere in conglomerato cementizio e della
normativa
antisismica); all’esito del doppio giudizio di merito gli
stessi
venivano condannati con demolizione delle opere abusive.
Contro la sentenza di condanna gli interessati proponevano
ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge e
vizio
di motivazione, in particolare esponendo che non sussisteva
la responsabilità penale degli stessi essendo intervenuto
il rilascio di valida concessione in sanatoria.
La tesi è stata però respinta dai giudici di legittimità
che, nell’affermare
il principio di cui in massima, hanno fatto coerente
applicazione di un orientamento giurisprudenziale ormai
consolidato, formatosi ormai da tempo nella giurisprudenza
secondo cui non è applicabile la disciplina del condono
edilizio
né è invocabile la cosiddetta sanatoria
‘‘giurisprudenziale’’
o ‘‘impropria’’ in presenza di una conformità postuma
dell’opera, originariamente abusiva, alle norme
urbanisticoedilizie
ovvero alle previsioni degli strumenti pianificatori, atteso
che da ciò non seguirebbe comunque alcun effetto
estintivo del reato urbanistico per l’inapplicabilità
dell’art. 45
D.P.R. n. 380 del 2001 (v., sul punto: Cass. pen., sez. III,
21.06.2007, n. 24451, in CED Cass., n. 236912) (Corte
di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza 12.04.2013 n. 16769
- tratto da Urbanistica e appalti n. 7/2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il silenzio serbato
sull'istanza ex articolo 36 D.P.R. n. 380/2001 non ha natura
di silenzio-inadempimento (cui conseguirebbe l'obbligo
dell'Amministrazione di provvedere), ma di silenzio
provvedimentale (avente contenuto tipizzato, di atto tacito
di reiezione dell'istanza), con la conseguenza che, una
volta decorso il termine di 60 giorni, si forma il
silenzio-rigetto, che può essere impugnato dall'interessato
in sede giurisdizionale nel prescritto termine decadenziale
di sessanta giorni, alla stessa stregua di un comune
provvedimento, senza che però possano ravvisarsi in esso i
vizi formali propri degli atti, quali i difetti di procedura
o la mancanza di motivazione.
Secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza formatasi sul
punto, il silenzio serbato sull'istanza ex articolo 36
D.P.R. n. 380/2001 non ha natura di silenzio-inadempimento
(cui conseguirebbe l'obbligo dell'Amministrazione di
provvedere), ma di silenzio provvedimentale (avente
contenuto tipizzato, di atto tacito di reiezione
dell'istanza), con la conseguenza che, una volta decorso il
termine di 60 giorni, si forma il silenzio-rigetto, che può
essere impugnato dall'interessato in sede giurisdizionale
nel prescritto termine decadenziale di sessanta giorni, alla
stessa stregua di un comune provvedimento, senza che però
possano ravvisarsi in esso i vizi formali propri degli atti,
quali i difetti di procedura o la mancanza di motivazione
(cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 13.01.2010, n. 100;
TAR Campania, Napoli, sez. VI, 08.06.2004, n. 9278;
TAR Campania, Napoli, sez. VI, 10.02.2010, n. 844)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 10.04.2013 n. 1903 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2013 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Per
il rilascio del permesso di costruire in sanatoria è
necessaria la c.d. doppia conformità, e cioè che
l'intervento sia conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
Né, va precisato, trova spazio la cosiddetta sanatoria
giurisprudenziale, che ricorrerebbe allorquando la
conformità dell'opera abusiva sussista rispetto alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento del
rilascio del titolo sanante, ma non anche rispetto a quella
del tempo in cui l'opera è stata realizzata; quest'ultimo
istituto, infatti, non ha più ragione di esistere nel
vigente ordinamento, caratterizzato da una disciplina
puntuale ed esaustiva delle ipotesi di condono e sanatoria
edilizia.
L’Amministrazione, infatti, ha tenuto conto, in linea con
quanto disposto dall’art. 140 della L.R. Toscana n. 1/2005
–che riproduce, in parte qua, l'art. 13 della legge
n. 47/1985 e l'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001– che per il
rilascio del permesso di costruire in sanatoria è necessaria
la c.d. doppia conformità, e cioè che l'intervento sia
conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia
al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda.
Né, va precisato, secondo l’ormai costante orientamento
della giurisprudenza amministrativa, pienamente condiviso
dal Collegio, in presenza di tale chiaro disposto
legislativo, trova spazio la cosiddetta sanatoria
giurisprudenziale, che ricorrerebbe allorquando la
conformità dell'opera abusiva sussista rispetto alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento del
rilascio del titolo sanante, ma non anche rispetto a quella
del tempo in cui l'opera è stata realizzata; quest'ultimo
istituto, infatti, non ha più ragione di esistere nel
vigente ordinamento, caratterizzato da una disciplina
puntuale ed esaustiva delle ipotesi di condono e sanatoria
edilizia (cfr., ex multis, TAR Toscana, III,
11.02.2011, n. 263 e riferimenti giurisprudenziali nella
stessa contenuti)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 27.03.2013 n. 497 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
SANATORIA EDILIZIA, DOPPIA CONFORMITA' E ATTIVITA'
VINCOLATA DELLA P.A..
Al fine del rilascio del provvedimento di sanatoria, ex
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, è necessario che
l’intervento
edilizio sia conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente, sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione della domanda; ciò si riconnette ad una attività vincolata della
p.a., consistente nell’applicazione alla fattispecie
concreta
di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione
compiuta e non elastica, che non lasciano
all’Amministrazione
medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale.
La Corte di Cassazione si sofferma, con la sentenza in
esame,
ad analizzare il tema della sanatoria edilizia, focalizzando
in particolare l’attenzione sulla natura giuridica dell’attività
amministrativa sottesa all’esercizio del potere valutativo
dell’istanza
di sanatoria.
La vicenda processuale segue al rigetto
da parte del GIP di un’istanza di dissequestro avanzata
nell’interesse dell’indagato per i reati di abuso d’ufficio
e costruzione
edilizia abusiva; la misura cautelare aveva per oggetto
un immobile in fase di edificazione in proprietà
all’indagato
medesimo. Il tribunale del riesame, chiamato a pronunciarsi
sull’appello interposto dall’indagato, con ordinanza
rigettava
il gravame. La difesa proponeva ricorso per cassazione,
sostenendo la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 44, lett. b), e art. 36, per la ritenuta non
conformità del
permesso di costruire in sanatoria al modello ex art. 36
citato
decreto.
La tesi è stata ritenuta infondata dagli Ermellini che,
nell’affermare
il principio di cui in massima, hanno richiamato una
consolidata giurisprudenza (v., tra le tante: Cass. pen.,
sez.
III, 24.03.2011, n. 11960, in CED Cass., n. 249747),
peraltro
osservando, in relazione al caso in esame, che il
provvedimento,
lungi dall’asseverare la doppia conformità di
un’opera ultimata, e già conforme alle regole urbanistiche
ed edilizie, presentava il contenuto tipico di un nuovo
titolo
abilitativo e si riferiva ad un mutamento della destinazione
d’uso, autorizzata con il precedente permesso, mutamento
che, tuttavia, risultava già realizzato mediante la
edificazione
della casa colonica al posto del mero deposito di attrezzi
agricoli.
Stante la natura ibrida dell’atto, non
inquadrabile in
una sanatoria, che presupporrebbe l’assenza di prescrizioni
e condizioni (v., sul punto: Cass. pen., sez. III, 12.11.2007, n. 41567, in CED Cass., n. 238020), né un permesso
in variante, che dovrebbe precedere e non seguire la
realizzazione
dell’opera difforme, il giudice di merito ha concluso,
correttamente secondo la Cassazione, col ritenere che il
provvedimento de quo rappresentasse delle nette dissonanze
rispetto all’istituto della sanatoria, sicché lo stesso
non poteva essere produttivo di alcun effetto estintivo
dell’abuso
edilizio (Corte di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza 21.03.2013 n. 13020
- tratto da Urbanistica e appalti n. 6/2013). |
gennaio 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: LA DOPPIA CONFORMITA` QUALIFICA LA ‘‘VERA’’
SANATORIA EDILIZIA.
Per il rilascio della sanatoria ex D.P.R.
06.06.2001, n.
380 (art. 36) è necessario che l’intervento sia «conforme
alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al
momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento
della presentazione della domanda», ciò connettendosi
ad un’attività vincolata della p.a., consistente
nell’applicazione alla fattispecie concreta di previsioni
legislative
ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica,
che non lasciano all’Amministrazione medesima spazi
per valutazioni di ordine discrezionale.
Questione ricorrente e, proprio per questo, frutto di
tentativi
di interpretazione spesso contrario alla ratio normativa,
quella
oggetto di esame da parte della Suprema Corte nella sentenza
in commento, in cui la Corte si sofferma ad analizzare
il tema della configurabilità della sanatoria edilizia.
La
vicenda
processuale vedeva imputati due soggetti per avere
realizzato,
in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza
del prescritto permesso di costruire, le strutture in legno
di
uno stabilimento balneare; la Corte aveva escluso la
‘‘precarietà’’ dei manufatti e, per quanto qui di interesse, aveva
affermato
che il reato non poteva ritenersi estinto in seguito
all’avvenuto rilascio, da parte del Comune, di permesso di
costruire, non potendo assimilarsi tale titolo edilizio a
quello
previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36.
Avverso tale
sentenza proponeva ricorso il difensore degli imputati, il
quale
-per quanto qui di interesse- eccepiva l’erroneo
disconoscimento
di efficacia sanante al permesso di costruire rilasciato
dal Comune, in quanto era pacifica la ‘‘doppia conformità’’ delle opere agli strumenti urbanistici vigenti, sia
all’epoca
della loro realizzazione sia a quella di rilascio del
provvedimento,
secondo le previsioni del D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 36.
La Corte, nel respingere il ricorso, coglie l’occasione per
precisare
le condizioni ed i requisiti in base ai quali può
considerarsi
‘‘sanante’’ il rilascio del permesso di costruire agli
effetti
dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001.
In particolare, osserva
la Corte, nella fattispecie in esame, il provvedimento
rilasciato
dal Comune:
a) non conteneva alcun riferimento
all’indispensabile
verifica di ‘‘doppia conformità’’ alle previsioni di
piano;
b) non recava la menzione espressa dell’avvenuto
versamento della somma di danaro dovuta a titolo di
oblazione
(che neppure risulta determinata e richiesta).
Da qui,
dunque,
la conclusione che il titolo edilizio rilasciato dal Comune
non comportava l’estinzione del reato urbanistico, non
essendo
applicabile il D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (art. 45),
difettandone
i presupposti (in precedenza, sulla possibilità per
il giudice, in tali casi, di disapplicare la concessione
illegittima
ex art. 5 della L. 20.03.1865 n. 2248, all. E): Cass.
pen., sez. III, 20.05.2005, n. 19236, in Ced Cass., n.
231834) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.01.2013 n. 4131
- tratto da
Urbanistica e appalti n. 4/2013). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
36, comma 3, d.P.R. 380/2001 (accertamento di conformità),
comma 3, stabilisce che “Sulla richiesta di permesso in
sanatoria il dirigente o il responsabile del competente
ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione,
entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si
intende rifiutata”.
Pertanto, il silenzio serbato dall’amministrazione
sull’istanza di accertamento di conformità urbanistica ha
natura di atto tacito di reiezione dell’istanza, e quindi è
un silenzio-significativo e non un silenzio-rifiuto, con
conseguente onere impugnatorio immediato da parte del
soggetto richiedente del diniego tacito in tal modo
formatosi sulla sua istanza.
---------------
L'accertamento di conformità ex art. 36, d.P.R. n. 380 del
2001 investe profili distinti ed autonomi rispetto
all'accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 167
comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004. Cosicché le vicende
concernenti il primo procedimento non sono da reputarsi
suscettibili di incidere sull'iter corrispondente al
secondo.
L’art. 36, comma 3, d.P.R. 380/2001 (accertamento di
conformità), comma 3, stabilisce che “Sulla richiesta di
permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata
motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la
richiesta si intende rifiutata”.
Pertanto, il silenzio serbato dall’amministrazione
sull’istanza di accertamento di conformità urbanistica ha
natura di atto tacito di reiezione dell’istanza, e quindi è
un silenzio-significativo e non un silenzio-rifiuto (Cons.
St., sez. IV, 13.01.2010, n. 100), con conseguente onere
impugnatorio immediato da parte del soggetto richiedente del
diniego tacito in tal modo formatosi sulla sua istanza.
--------------
In particolare, la
giurisprudenza ha precisato che “L'accertamento di
conformità ex art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001 investe
profili distinti ed autonomi rispetto all'accertamento di
compatibilità paesaggistica ex art. 167 comma 4, d.lgs. n.
42 del 2004. Cosicché le vicende concernenti il primo
procedimento non sono da reputarsi suscettibili di incidere
sull'iter corrispondente al secondo” (Tar Napoli, sez.
VIII, 01.09.2011, n. 4270) (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 24.01.2013 n. 141 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Comune di Anzio - Parere in merito all'applicabilità
dell'art. 36 del d.P.R. 380/2001 ad abusi conformi alla
legge regionale 21/2009 c.d. Piano Casa (Regione Lazio,
parere
18.01.2013 n. 488227 di prot.). |
EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA:
Le modifiche della disciplina urbanistica non
hanno effetto retroattivo: e ciò in applicazione del più
generale principio dell’irretroattività degli atti
amministrativi, il quale a sua volta discende dal
fondamentale principio di legalità, deputato a garantire la
certezza delle situazioni giuridiche in atto.
---------------
Il mero sopravvenire di una nuova destinazione urbanistica
non può ex se dispiegare un effetto sanante sulle opere
realizzate in forza del titolo edilizio annullato, posto che
a ciò osta l’art. 13 della L. 28.02.1985 n. 47, vigente
all’epoca dei fatti di causa e ora riprodotto sul punto
dall’art. 36, comma 1, del T.U. approvato con D.P.R.
06.06.2001 n. 380 nel testo integrato per effetto dell’art.
1 del D.L.vo 27.12.2002 n. 301, laddove segnatamente dispone
che il titolo edilizio è rilasciato “in sanatoria
allorquando la relativa opera risulta conforme agli
strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e
non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della
realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione
della domanda”.
---------------
In presenza del requisito c.d. “doppia conformità” il
rilascio del titolo edilizio in sanatoria costituisce atto
dovuto, nel mentre ove ciò non fosse l’Amministrazione
Comunale è vincolata all’adozione del provvedimento di
diniego.
Il giudice di primo grado non ha dunque condiviso al
riguardo la giurisprudenza minoritaria che reputa
sufficiente la sussistenza della conformità edilizia
all’atto dell’avvenuto mutamento della disciplina di piano,
e la cui ratio ad essa sottesa è da individuarsi
nell’esigenza di non imporre la demolizione di un’opera che,
in quanto conforme alla disciplina urbanistica attuale,
dovrebbe essere successivamente autorizzata su semplice
presentazione di istanza di rilascio, in tal modo evitando
uno spreco di attività inutili, sia per l’Amministrazione,
che per il privato autore dell’abuso: indirizzo, questo,
contraddistinto peraltro da una concezione antinomica tra
principio di efficienza e principio di legalità e che –per
l’appunto– assegna la prevalenza al primo rispetto al
secondo.
Il giudice di primo grado ha rettamente denotato in tal
senso che tale figura pretoria di sanatoria trovava
apparentemente fondamento nell’art. 15, comma 12, della L.
28.01.1977 n. 10, il quale peraltro si limitava –a ben
vedere- a liberalizzare la realizzazione di alcune varianti
di importanza secondaria a progetti edilizi assentiti ma
senza disciplinare la complessiva problematica della
sanatoria amministrativa degli interventi abusivi, solo
susseguentemente affrontata sul punto dall’anzidetto art. 13
della L. 47 del 1985 ma in termini che anche sotto
l’immediato profilo letterale divergono da quello
dell’anzidetto indirizzo giurisprudenziale rimasto
minoritario.
In tale contesto il giudice di primo grado ha dunque
esattamente inteso il titolo edilizio in sanatoria quale
provvedimento tipico che elimina l’antigiuridicità
dell’abuso estinguendo il reato ed il potere repressivo
dell’Amministrazione, con la conseguenza che la sua
applicazione ed i suoi limiti non possono che essere
specificamente disciplinati dalla legge, non essendo con ciò
possibile l’esercizio, da parte dell’amministrazione, di un
potere di sanatoria che si estenda oltre i limiti imposti
dal legislatore: anche perché non sarebbe ammissibile una
interpretazione finalizzata alla protezione di interessi
privati scaturenti da comportamenti antigiuridici, che
permetterebbe, oltretutto, la possibilità di usufruire delle
modifiche della disciplina urbanistica idonee a legittimare
l’edificazione abusiva, addirittura, fino alla esecuzione
della definitiva sanzione della demolizione; e, se così è,
il principio di cui all’art. 97 della Cost., laddove farebbe
ritenere illogica la demolizione dell’opera quando la stessa
potrebbe essere assentita sulla base della sopravvenuta
strumentazione urbanistica primaria,deve comunque intendersi
recessivo rispetto al principio di legalità, il quale impone
invece la necessaria e stretta osservanza della disciplina
dettata dalla legge per la sanatoria delle opere abusive.
Nel caso di specie va in
effetti evidenziato che la variante allo strumento
urbanistico primario comunale, ancorché approvata mediante
deliberazione della Giunta Regionale, non reca alcuna
espressa disciplina di rimozione della deliberazione della
medesima Giunta Regionale qui impugnata, la quale dunque
seguita a dispiegare effetto per il passato; e, del resto,
risulta pure assodato che le modifiche della disciplina
urbanistica non hanno effetto retroattivo: e ciò in
applicazione del più generale principio dell’irretroattività
degli atti amministrativi, il quale a sua volta discende dal
fondamentale principio di legalità, deputato a garantire la
certezza delle situazioni giuridiche in atto (cfr. sul
punto, ad es., Cons. Stato, 26.11.2001 n. 5949).
Né, comunque, la disciplina introdotta dalla variante
urbanistica è tale da consentire la convalida dell’anzidetto
piano di lottizzazione, se non altro in considerazione della
circostanza che con la variante medesima vengono introdotte
ben più elevate dotazioni di aree a standard.
Va anche soggiunto che il mero sopravvenire di una nuova
destinazione urbanistica non può ex se dispiegare un
effetto sanante sulle opere realizzate in forza del titolo
edilizio annullato, posto che a ciò osta l’art. 13 della L.
28.02.1985 n. 47, vigente all’epoca dei fatti di causa e ora
riprodotto sul punto dall’art. 36, comma 1, del T.U.
approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380 nel testo integrato
per effetto dell’art. 1 del D.L.vo 27.12.2002 n. 301,
laddove segnatamente dispone che il titolo edilizio è
rilasciato “in sanatoria allorquando la relativa opera
risulta conforme agli strumenti urbanistici generali e di
attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati,
sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al
momento della presentazione della domanda”.
A ragione il giudice di primo grado, pertanto, ha
evidenziato che in presenza dei requisiti testé descritti
(c.d. “doppia conformità”) il rilascio del titolo
edilizio in sanatoria costituisce atto dovuto, nel mentre
ove ciò non fosse l’Amministrazione Comunale è vincolata
all’adozione del provvedimento di diniego (cfr. al riguardo,
ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 02.11.2009 n.
6784).
Il giudice di primo grado non ha dunque condiviso al
riguardo la giurisprudenza minoritaria che reputa
sufficiente la sussistenza della conformità edilizia
all’atto dell’avvenuto mutamento della disciplina di piano,
e la cui ratio ad essa sottesa è da individuarsi
nell’esigenza di non imporre la demolizione di un’opera che,
in quanto conforme alla disciplina urbanistica attuale,
dovrebbe essere successivamente autorizzata su semplice
presentazione di istanza di rilascio, in tal modo evitando
uno spreco di attività inutili, sia per l’Amministrazione,
che per il privato autore dell’abuso: indirizzo, questo,
contraddistinto peraltro da una concezione antinomica tra
principio di efficienza e principio di legalità e che –per
l’appunto– assegna la prevalenza al primo rispetto al
secondo (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. V, 21.10.2003 n.
6498 e 13.02.1995 n. 238).
Il giudice di primo grado ha rettamente denotato in tal
senso che tale figura pretoria di sanatoria trovava
apparentemente fondamento nell’art. 15, comma 12, della L.
28.01.1977 n. 10, il quale peraltro si limitava –a ben
vedere- a liberalizzare la realizzazione di alcune varianti
di importanza secondaria a progetti edilizi assentiti ma
senza disciplinare la complessiva problematica della
sanatoria amministrativa degli interventi abusivi, solo
susseguentemente affrontata sul punto dall’anzidetto art. 13
della L. 47 del 1985 ma in termini che anche sotto
l’immediato profilo letterale divergono da quello
dell’anzidetto indirizzo giurisprudenziale rimasto
minoritario.
In tale contesto il giudice di primo grado ha dunque
esattamente inteso il titolo edilizio in sanatoria quale
provvedimento tipico che elimina l’antigiuridicità
dell’abuso estinguendo il reato ed il potere repressivo
dell’Amministrazione, con la conseguenza che la sua
applicazione ed i suoi limiti non possono che essere
specificamente disciplinati dalla legge, non essendo con ciò
possibile l’esercizio, da parte dell’amministrazione, di un
potere di sanatoria che si estenda oltre i limiti imposti
dal legislatore: anche perché non sarebbe ammissibile una
interpretazione finalizzata alla protezione di interessi
privati scaturenti da comportamenti antigiuridici, che
permetterebbe, oltretutto, la possibilità di usufruire delle
modifiche della disciplina urbanistica idonee a legittimare
l’edificazione abusiva, addirittura, fino alla esecuzione
della definitiva sanzione della demolizione; e, se così è,
il principio di cui all’art. 97 della Cost., laddove farebbe
ritenere illogica la demolizione dell’opera quando la stessa
potrebbe essere assentita sulla base della sopravvenuta
strumentazione urbanistica primaria,deve comunque intendersi
recessivo rispetto al principio di legalità, il quale impone
invece la necessaria e stretta osservanza della disciplina
dettata dalla legge per la sanatoria delle opere abusive.
Concludendo sul punto, il TAR ha pertanto a ragione ricusato
di dichiarare nella specie la cessazione della materia del
contendere, in quanto l’operato dell’Amministrazione
susseguente alla proposizione della causa non si configura
integralmente satisfattivo dell’interesse azionato (così, ad
es., Cons. Stato, Sez. VI, 18.10.2011 n. 5595)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.01.2013 n. 32 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Sanatoria - Limiti - C.d. sanatoria
"giurisprudenziale" o "impropria" - Estinzione del reato
urbanistico - Esclusione - Artt. 3, 36, 44 lett. c), 45 Dpr
n. 380/2001.
In materia urbanistica, non è sanabile l'opera che non sia
"conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente
sia al momento della realizzazione dell'intervento, sia al
momento della presentazione della domanda" ex art. 36 del
Dpr n. 380 del 2001 (Cass. Sez. 3, n. 111149 del 15/02/2002,
Rossi).
Né appare invocabile la cosiddetta sanatoria "giurisprudenziale",
secondo cui sarebbe ammissibile la sanatoria di opere che,
benché non conformi alle norme urbanistico-edilizie ed alle
previsioni degli strumenti di pianificazione al momento in
cui siano state eseguite, lo siano diventate
successivamente. L'orientamento che riconosce tale
possibilità di sanatoria (c.d. "giurisprudenziale" o
"impropria") si basa essenzialmente sull'argomento
secondo cui non avrebbe senso dare corso alla demolizione di
un'opera che subito dopo potrebbe essere assentita.
In nessun caso, tuttavia, tale tipo di sanatoria può
comportare l'estinzione del reato urbanistico, non essendo
applicabile il disposto di cui all'art. 45 del d.P.R. n. 380
del 2001 (Cass. Sez. 3, n. 24451 del 26/04/2007, P.G. in
proc. Micolucci) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.12.2012 n. 47646 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il Collegio ritiene di condividere l’orientamento
maggioritario che esclude la regola pretoria della
"sanatoria giurisprudenziale".
E, infatti, nel senso di una rigorosa applicazione del
canone della doppia conformità militano argomenti
interpretativi sia di carattere letterale che
logico-sistematico.
L'art. 36, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 espressamente
stabilisce che, "in caso di interventi realizzati in assenza
di permesso di costruire , o in difformità da esso, fino
alla scadenza dei termini di cui agli artt. 31, comma 3, 33,
comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle
sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o
l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il
permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda".
Il tenore letterale della norma è inequivoco nel riferire il
requisito della conformità urbanistico-edilizia dell'opera
abusiva "sia" al momento della sua realizzazione "sia" al
momento della presentazione della domanda di sanatoria.
Orbene, a fronte di siffatto dettato normativo, non appare
condivisibile l'approccio ermeneutico elaborato dal
Consiglio di Stato nella sentenza n. 2835/2009 secondo il
quale il canone della doppia conformità sarebbe preordinato
a garantire il richiedente dalla possibile variazione in
peius della disciplina urbanistico-edilizia, a seguito di
adozione di strumenti che riducano o escludano il diritto di
edificare sussistente al momento dell'istanza, mentre non
potrebbe ritenersi diretto a disciplinare l'ipotesi inversa
dello ius superveniens favorevole, rispetto al momento
ultimativo della proposizione dell'istanza.
E, infatti, una simile interpretazione abroga l'inciso "sia
al momento della realizzazione dello stesso" (e cioè
dell'immobile abusivo), mentre il legislatore, con
l'espressione "sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione della domanda",
ha inteso chiaramente individuare l'intero arco temporale
lungo il quale si è protratto l'abuso edilizio commesso,
senza che il relativo responsabile si sia attivato per
regolarizzarlo.
Il Collegio evidenzia inoltre che l'istituto
dell'accertamento di conformità è stato introdotto,
nell'ambito di una revisione complessiva del regime
sanzionatorio degli illeciti edilizi, orientata nel senso di
una maggiore severità, con l'intento di consentire la
sanatoria dei soli abusi meramente formali, cioè di quelle
costruzioni per le quali, sussistendo ogni altro requisito
di legge e regolamento, manchi solo il necessario titolo
abilitativo. Tale interpretazione è vieppiù rafforzata dalla
considerazione che alla sanabilità degli abusi sostanziali è
dedicato il diverso istituto del condono edilizio nei
limiti, in specie temporali, in cui quest'ultimo sia
applicabile alla fattispecie concreta considerata.
Tanto premesso, se si accedesse alla tesi prospettata
dall’Amministrazione resistente e dal controinteressati, ne
conseguirebbe l'introduzione nell'ordinamento di una sorta
di condono atipico, affrancato dai richiamati limiti
temporali, condono mediante il quale il responsabile di un
abuso sostanziale potrebbe trovarsi a beneficiare degli
effetti indirettamente sananti di un più favorevole ius
superveniens, anziché di un'apposita disciplina legislativa
condonistica.
Alla luce delle suesposte considerazioni il Collegio
ritiene, quindi, che l'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, in
quanto norma circoscritta alle ipotesi di abusi meramente
formali e derogatoria al principio per il quale i lavori
realizzati sine titulo sono sottoposti alle prescritte
misure ripristinatorie e sanzionatorie, non è suscettibile
né di applicazione analogica né di un'interpretazione
riduttiva, secondo la quale, in evidente contrasto col suo
tenore letterale, per assentire la sanatoria sarebbe
sufficiente la conformità delle opere con lo strumento
urbanistico vigente all'epoca in cui sia proposta l'istanza
di accertamento. A contrario, stante l'evidenziata portata
speciale e derogatoria della norma in esame, la sanabilità
da essa prevista postula sempre la conformità
urbanistico-edilizia dell'intervento sine titulo alla
disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua
realizzazione sia alla data della presentazione della
domanda.
---------------
Non appare condivisibile l'argomento secondo il quale
bisognerebbe accogliere l'istanza di sanatoria per tutti
quei manufatti che potrebbero essere realizzati sulla base
della disciplina urbanistica vigente al momento della
proposizione della predetta istanza, sebbene non conformi
alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione,
al fine di evitare uno spreco di attività inutili, sia
dell'amministrazione sia del privato.
Ad avviso del Collegio, infatti, merita di essere condiviso
quell'orientamento della giurisprudenza secondo il quale il
punto di equilibrio fra efficienza e legalità, è stato
individuato dal legislatore nel consentire la sanatoria dei
cosiddetti abusi formali, sottraendo alla demolizione le
opere che risultino rispettose della disciplina sostanziale
sull'utilizzo del territorio vigente sia al momento
dell'istanza di sanatoria, che all'epoca della loro
realizzazione.
Il Collegio ritiene di non aderire alla
tesi sostenuta dal’Amministrazione resistente e dal controinteressato, sebbene pregevolmente argomentata e
supportata da un autorevole orientamento giurisprudenziale
(cfr. Cons. Stato, VI, 06.02.2003, n. 592; Cons. Stato, VI,
12.11.2008, n. 5646; Cons. Stato, VI, 07.05.2009, n. 2835), e
di condividere, invece, l’orientamento maggioritario che
esclude la regola pretoria della "sanatoria
giurisprudenziale" (cfr. Cons. Stato, IV, 26.04.2006, n.
2306; Cons. Stato, 17.09.2007, n. 4838; Cons. Stato, V,
25.02.2009, n. 1126; Cons. Stato, IV, 02.11.2009, n. 6784; TAR
Veneto, II, 22.11.2010, n. 6091; TAR Sicilia, Catania, I,
09.01.2009, n. 5; TAR Campania, Napoli, VIII, 10.09.2010, n.
17398).
E, infatti, nel senso di una rigorosa applicazione
del canone della doppia conformità militano argomenti
interpretativi sia di carattere letterale che logico-sistematico.
L'art. 36, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 espressamente
stabilisce che, "in caso di interventi realizzati in assenza
di permesso di costruire , o in difformità da esso, fino
alla scadenza dei termini di cui agli artt. 31, comma 3, 33,
comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle
sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o
l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il
permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda".
Il tenore letterale della norma è inequivoco nel
riferire il requisito della conformità urbanistico-edilizia
dell'opera abusiva "sia" al momento della sua realizzazione
"sia" al momento della presentazione della domanda di
sanatoria.
Orbene, a fronte di siffatto dettato normativo, non appare
condivisibile l'approccio ermeneutico elaborato dal
Consiglio di Stato nella sentenza n. 2835/2009 secondo il
quale il canone della doppia conformità sarebbe preordinato
a garantire il richiedente dalla possibile variazione in peius della disciplina urbanistico-edilizia, a seguito di
adozione di strumenti che riducano o escludano il diritto di
edificare sussistente al momento dell'istanza, mentre non
potrebbe ritenersi diretto a disciplinare l'ipotesi inversa
dello ius superveniens favorevole, rispetto al momento
ultimativo della proposizione dell'istanza.
E, infatti, una simile interpretazione abroga l'inciso "sia
al momento della realizzazione dello stesso" (e cioè
dell'immobile abusivo), mentre il legislatore, con
l'espressione "sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione della domanda",
ha inteso chiaramente individuare l'intero arco temporale
lungo il quale si è protratto l'abuso edilizio commesso,
senza che il relativo responsabile si sia attivato per
regolarizzarlo.
Il Collegio evidenzia inoltre che l'istituto
dell'accertamento di conformità è stato introdotto,
nell'ambito di una revisione complessiva del regime
sanzionatorio degli illeciti edilizi, orientata nel senso di
una maggiore severità, con l'intento di consentire la
sanatoria dei soli abusi meramente formali, cioè di quelle
costruzioni per le quali, sussistendo ogni altro requisito
di legge e regolamento, manchi solo il necessario titolo
abilitativo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29.05.2006, n. 3267).
Tale interpretazione è vieppiù rafforzata dalla
considerazione che alla sanabilità degli abusi sostanziali è
dedicato il diverso istituto del condono edilizio nei
limiti, in specie temporali, in cui quest'ultimo sia
applicabile alla fattispecie concreta considerata.
Tanto premesso, se si accedesse alla tesi prospettata
dall’Amministrazione resistente e dal controinteressati, ne
conseguirebbe l'introduzione nell'ordinamento di una sorta
di condono atipico, affrancato dai richiamati limiti
temporali, condono mediante il quale il responsabile di un
abuso sostanziale potrebbe trovarsi a beneficiare degli
effetti indirettamente sananti di un più favorevole ius
superveniens, anziché di un'apposita disciplina legislativa
condonistica (cfr. in termini TAR Campania, Napoli, sez.
VIII, 10.9.2010, n. 17398).
Alla luce delle suesposte considerazioni il Collegio
ritiene, quindi, che l'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, in
quanto norma circoscritta alle ipotesi di abusi meramente
formali e derogatoria al principio per il quale i lavori
realizzati sine titulo sono sottoposti alle prescritte
misure ripristinatorie e sanzionatorie, non è suscettibile
né di applicazione analogica né di un'interpretazione
riduttiva, secondo la quale, in evidente contrasto col suo
tenore letterale, per assentire la sanatoria sarebbe
sufficiente la conformità delle opere con lo strumento
urbanistico vigente all'epoca in cui sia proposta l'istanza
di accertamento. A contrario, stante l'evidenziata portata
speciale e derogatoria della norma in esame, la sanabilità
da essa prevista postula sempre la conformità urbanistico-edilizia dell'intervento
sine titulo alla
disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua
realizzazione sia alla data della presentazione della
domanda (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17.09.2007, n. 4838;
Cons. Stato, sez. IV, 02.11.2009, n. 6784).
Né, infine, appare condivisibile l'argomento secondo il
quale bisognerebbe accogliere l'istanza di sanatoria per
tutti quei manufatti che potrebbero essere realizzati sulla
base della disciplina urbanistica vigente al momento della
proposizione della predetta istanza, sebbene non conformi
alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione,
al fine di evitare uno spreco di attività inutili, sia
dell'amministrazione sia del privato.
Ad avviso del Collegio, infatti, merita di essere
condiviso quell'orientamento della giurisprudenza secondo il
quale il punto di equilibrio fra efficienza e legalità, è
stato individuato dal legislatore nel consentire la
sanatoria dei cosiddetti abusi formali, sottraendo alla
demolizione le opere che risultino rispettose della
disciplina sostanziale sull'utilizzo del territorio vigente
sia al momento dell'istanza di sanatoria, che all'epoca
della loro realizzazione (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII,
10.09.2010, n. 17398; TAR Sicilia, Catania, sez. I,
09.01.2009, n. 5)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza
26.11.2012 n. 4796 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L'acquisizione del parere
della commissione edilizia comunale, in sede di esame
dell'istanza di conformità ex art. 36, d.P.R. n. 380 del
2001, è da reputarsi facoltativa, considerata la mancanza di
una sua espressa previsione normativa e la specialità del
procedimento di sanatoria edilizia.
Infine, non è meritevole di accoglimento
l’ultimo motivo, in quanto, secondo un orientamento
giurisprudenziale condiviso dalla Sezione (TAR Campania VIII Sezione 10.09.2010 n. 17398), l'acquisizione del
parere della commissione edilizia comunale, in sede di esame
dell'istanza di conformità ex art. 36, d.P.R. n. 380 del
2001, è da reputarsi facoltativa, considerata la mancanza di
una sua espressa previsione normativa e la specialità del
procedimento di sanatoria edilizia (Consiglio di Stato Sez.
IV, 02.11.2009, n. 6784; TAR Campania, Napoli, Sezione IV, 16.07.2003, n. 8434; Tar Campania Sezione II, 30.10.2006, n. 9243; TAR Campania Sezione VII, 21.05.2007, n. 5489; TAR Campania
05.12.2008, n. 21230; TAR
Campania Sezione VI, 22.04.2009, n. 2097; TAR Campania
Sezione VII, 03.11.2009, n. 6809)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza
21.11.2012 n. 4698 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’accertamento di conformità regolato
dall’articolo 36 del d.P.R. 380/2001 è diretto a sanare
opere formalmente abusive perché eseguite senza il richiesto
titolo ma conformi, nella sostanza, alla disciplina
edilizio-urbanistica applicabile per l’area su cui sorgono,
vigente sia al momento della realizzazione che a quello
della presentazione dell’istanza di sanatoria (cd. doppia
conformità).
Il comune è chiamato a svolgere una valutazione da
rapportare ad un assetto di interessi prefigurato dalla
citata disciplina, dal che deriva che l’accertamento di
conformità assume una connotazione eminentemente oggettiva e
vincolata, priva pertanto di appezzamenti discrezionali.
Va preliminarmente osservato che l’accertamento di
conformità regolato dall’articolo 36 del d.P.R. 380/2001 è
diretto a sanare opere formalmente abusive perché eseguite
senza il richiesto titolo ma conformi, nella sostanza, alla
disciplina edilizio-urbanistica applicabile per l’area su
cui sorgono, vigente sia al momento della realizzazione che
a quello della presentazione dell’istanza di sanatoria (cd.
doppia conformità).
Il comune è chiamato a svolgere una valutazione da
rapportare ad un assetto di interessi prefigurato dalla
citata disciplina, dal che deriva che l’accertamento di
conformità assume una connotazione eminentemente oggettiva e
vincolata, priva pertanto di appezzamenti discrezionali (Tar
Puglia, Bari, III, 26.01.2012, n. 246; Tar Campania, Napoli,
II, 11.01.2012, n. 55)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 12.10.2012 n. 751 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il Collegio non condivide
l’impostazione minoritaria sposata dai fautori della cd.
sanatoria giurisprudenziale: tale regola pretoria ha l'effetto di accogliere una
concezione antinomica tra principio di efficienza e
principio di legalità, dando prevalenza al primo rispetto al
secondo.
Tuttavia, l'agire della pubblica amministrazione deve essere in ogni
sua fase retto dal principio di legalità, inteso quale
regola fondamentale cui è informata l'attività
amministrativa e che trova un fondamento positivo in varie
disposizioni costituzionali (artt. 23, 97, 24, 101 e 113
Cost.). Pertanto, non è ipotizzabile un'antinomia tra
efficienza e legalità atteso che non può esservi rispetto
del buon andamento della pubblica amministrazione, ex art.
97 Cost., se non vi è nel contempo rispetto del principio di
legalità.
Il Collegio non condivide
l’impostazione minoritaria sposata dai fautori della cd.
sanatoria giurisprudenziale: tale regola pretoria, come
recentemente rilevato dal Consiglio di Stato (Sez. V, 06.07.2012, n. 3961) <<ha l'effetto di accogliere una
concezione antinomica tra principio di efficienza e
principio di legalità, dando prevalenza al primo rispetto al
secondo>>.
Tuttavia, sempre secondo il Supremo Consesso,
<<l'agire della pubblica amministrazione deve essere in ogni
sua fase retto dal principio di legalità, inteso quale
regola fondamentale cui è informata l'attività
amministrativa e che trova un fondamento positivo in varie
disposizioni costituzionali (artt. 23, 97, 24, 101 e 113
Cost.). Pertanto, non è ipotizzabile un'antinomia tra
efficienza e legalità atteso che non può esservi rispetto
del buon andamento della pubblica amministrazione, ex art.
97 Cost., se non vi è nel contempo rispetto del principio di
legalità>> (TAR Lombardia-Milano, Se. II,
sentenza 05.09.2012 n. 2234 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: In
ordine alla natura giuridica del silenzio maturato sulla
richiesta di cui all'art. 36 cit., benché sia stato avanzato
in giurisprudenza un indirizzo per lo più minoritario
secondo cui la configurabilità nella specie di un diniego
tacito con valore significativo contrasterebbe con i
principi di trasparenza, chiarezza e leale collaborazione
tra amministrazione e privato, questo Collegio ritiene di
aderire all'orientamento ormai prevalente in giurisprudenza
che attribuisce alla fattispecie di silenzio in esame una
valenza provvedimentale con significato legale tipico di
diniego.
Nelle pronunce citate il Consiglio di Stato ha affermato
che, anche nella formulazione di cui all'art. 36 d.p.r. n.
380/2001, il silenzio dell'Amministrazione su un'istanza di
sanatoria di abusi edilizi costituisce ipotesi di silenzio
significativo, al quale vengono collegati gli effetti di un
provvedimento esplicito di diniego, con la conseguenza che
si viene a determinare una situazione del tutto simile a
quella che si verificherebbe in caso di provvedimento
espresso. In virtù della previsione legale di implicito
diniego, il silenzio tenuto dall'Amministrazione non può,
infatti, essere inteso come mero fatto di inadempimento, ma
abilita l'interessato alla proposizione di impugnazione, una
volta decorso dal suo perfezionarsi il termine decadenziale
di sessanta giorni.
Quanto al sindacato esperibile in sede di impugnazione, va
evidenziato che tale provvedimento, in quanto tacito, è già
di per sé privo di motivazione, e quindi non può essere
impugnato per tale vizio ma per ragioni diverse.
---------------
Il silenzio sull'istanza di accertamento di conformità
urbanistica postula indubbiamente l'esercizio di un'attività
amministrativa essenzialmente vincolata, trattandosi di un
meccanismo predisposto per sanare opere solo formalmente
abusive, in quanto eseguite senza il prescritto titolo
edilizio ma sostanzialmente conformi alla normativa
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della loro
realizzazione sia al momento della presentazione della
domanda.
Trattasi quindi di attività amministrativa per lo più priva
di apprezzabili margini di discrezionalità in quanto
riferita ad un assetto di interessi già prefigurato dalle
previsioni dello strumento urbanistico generale.
Va premesso, in ordine alla natura giuridica del
silenzio maturato sulla richiesta di cui all'art. 36 cit.,
che, benché sia stato avanzato in giurisprudenza un
indirizzo per lo più minoritario secondo cui la
configurabilità nella specie di un diniego tacito con valore
significativo contrasterebbe con i principi di trasparenza,
chiarezza e leale collaborazione tra amministrazione e
privato (Tar Lazio Roma sez. III-bis n. 8/2008), questo
Collegio ritiene di aderire all'orientamento ormai
prevalente in giurisprudenza che attribuisce alla
fattispecie di silenzio in esame una valenza provvedimentale
con significato legale tipico di diniego (cfr C.d.S. sez. IV
03.03.2006 n. 1037; C.d.S. sez. IV 03.02.2006 n. 401; Tar
Campania, Napoli, sez. VIII, 13.12.2011, n. 5797; Tar Piemonte, Torino
08.03.2006 n. 1173; Tar Campania,
Salerno, sez. II 13.01.2005 n. 18).
Nelle pronunce citate il Consiglio di Stato ha affermato
che, anche nella formulazione di cui all'art. 36 d.p.r. n.
380/2001, il silenzio dell'Amministrazione su un'istanza di
sanatoria di abusi edilizi costituisce ipotesi di silenzio
significativo, al quale vengono collegati gli effetti di un
provvedimento esplicito di diniego, con la conseguenza che
si viene a determinare una situazione del tutto simile a
quella che si verificherebbe in caso di provvedimento
espresso. In virtù della previsione legale di implicito
diniego, il silenzio tenuto dall'Amministrazione non può,
infatti, essere inteso come mero fatto di inadempimento, ma
abilita l'interessato alla proposizione di impugnazione, una
volta decorso dal suo perfezionarsi il termine decadenziale
di sessanta giorni.
Quanto al sindacato esperibile in sede di impugnazione, va
evidenziato che tale provvedimento, in quanto tacito, è già
di per sé privo di motivazione, e quindi non può essere
impugnato per tale vizio ma per ragioni diverse (cfr. Cons.
Stato, V, 06.09.1999, n. 1015; C.d.S. sez. V,
11.02.2003 n. 401; C.G.A.R.S. 21.03.2001, n. 142).
---------------
Nella specie, il silenzio
sull'istanza di accertamento di conformità urbanistica
postula indubbiamente l'esercizio di un'attività
amministrativa essenzialmente vincolata, trattandosi di un
meccanismo predisposto per sanare opere solo formalmente
abusive, in quanto eseguite senza il prescritto titolo
edilizio ma sostanzialmente conformi alla normativa
urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della loro
realizzazione sia al momento della presentazione della
domanda.
Trattasi quindi di attività amministrativa per lo più priva
di apprezzabili margini di discrezionalità in quanto
riferita ad un assetto di interessi già prefigurato dalle
previsioni dello strumento urbanistico generale (cfr Tar
Campania Napoli sez. VI, 05.05.2005 n. 5484)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 30.08.2012 n. 1614 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
36, d.P.R. n. 380/2001 prevede, quale
presupposto per il rilascio del titolo in
sanatoria, la conformità dell’opera alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente,
sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione
della domanda.
Nel concetto di “disciplina urbanistica ed
edilizia vigente” è da ritenersi
indubbiamente ricompresa anche la disciplina
urbanistica solo adottata, le cui
disposizioni sono vigenti ai sensi dell’art.
12, d.P.R. n. 380/2001.
L’art. 36,
d.P.R. n. 380/2001 prevede, quale
presupposto per il rilascio del titolo in
sanatoria, la conformità dell’opera alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente,
sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione
della domanda.
Nel concetto di “disciplina urbanistica
ed edilizia vigente” è da ritenersi
indubbiamente ricompresa anche la disciplina
urbanistica solo adottata, le cui
disposizioni sono vigenti ai sensi dell’art.
12, d.P.R. n. 380/2001
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 31.07.2012 n. 2157 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L’ordinamento
conosce anche il diverso istituto della cd. sanatoria
giurisprudenziale, di matrice appunto pretoria, che, nel
tentativo di mitigare la rigorosa applicazione del dettato
del cit. art. 13, ha ritenuto sanabili anche gli interventi
edilizi abusivi conformi solo alla normativa urbanistica
sopravvenuta.
Di detta giurisprudenza, ancorché minoritaria, la cui ratio
ad essa sottesa è da individuarsi nell'esigenza di non
imporre la demolizione di un'opera che, in quanto conforme
alla disciplina urbanistica in atto, dovrebbe essere
successivamente autorizzata su semplice presentazione di
istanza di rilascio in tal modo evitando uno spreco di
attività inutili, sia per l'Amministrazione, che per il
privato autore dell'abuso non si condivide l’assunto di tipo
concettuale sulla qual essa si basa.
Sotto il primo profilo, si deve evidenziare, infatti, che
tale regola giurisprudenziale ha l'effetto di accogliere una
concezione antinomica tra principio di efficienza e
principio di legalità, dando prevalenza al primo rispetto al
secondo.
Tuttavia, secondo il Collegio, l'agire della pubblica
amministrazione deve essere in ogni sua fase retto dal
principio di legalità, inteso quale regola fondamentale cui
è informata l'attività amministrativa e che trova un
fondamento positivo in varie disposizioni costituzionali
(artt. 23, 97, 24, 101 e 113 Cost.).
Pertanto, non è ipotizzabile un’antinomia tra efficienza e
legalità atteso che non può esservi rispetto del buon
andamento della pubblica amministrazione, ex art. 97 Cost.,
se non vi è nel contempo rispetto del principio di legalità.
Peraltro, occorre ricordare che l’ordinamento conosce anche
il diverso istituto della cd. sanatoria giurisprudenziale,
di matrice appunto pretoria, che, nel tentativo di mitigare
la rigorosa applicazione del dettato del cit. art. 13, ha
ritenuto sanabili anche gli interventi edilizi abusivi
conformi solo alla normativa urbanistica sopravvenuta.
Di detta giurisprudenza, ancorché minoritaria, la cui
ratio ad essa sottesa è da individuarsi nell'esigenza di
non imporre la demolizione di un'opera che, in quanto
conforme alla disciplina urbanistica in atto, dovrebbe
essere successivamente autorizzata su semplice presentazione
di istanza di rilascio in tal modo evitando uno spreco di
attività inutili, sia per l'Amministrazione, che per il
privato autore dell'abuso non solo non si condivide
l’assunto di tipo concettuale sulla qual essa si basa, ma si
rileva che essa non è neppure applicabile nel caso di
specie.
Sotto il primo profilo, si deve evidenziare, infatti, che
tale regola giurisprudenziale ha l'effetto di accogliere una
concezione antinomica tra principio di efficienza e
principio di legalità, dando prevalenza al primo rispetto al
secondo.
Tuttavia, secondo il Collegio, l'agire della pubblica
amministrazione deve essere in ogni sua fase retto dal
principio di legalità, inteso quale regola fondamentale cui
è informata l'attività amministrativa e che trova un
fondamento positivo in varie disposizioni costituzionali
(artt. 23, 97, 24, 101 e 113 Cost.).
Pertanto, non è ipotizzabile un’antinomia tra efficienza e
legalità atteso che non può esservi rispetto del buon
andamento della pubblica amministrazione, ex art. 97 Cost.,
se non vi è nel contempo rispetto del principio di legalità.
Nella materia oggetto del contendere, il punto di equilibrio
fra efficienza e legalità è stato individuato dal
legislatore nel consentire la sanatoria dei c.d. abusi
formali, sottraendo alla demolizione le opere che risultino
rispettose della disciplina sostanziale sull'utilizzo del
territorio, e non solo di quella vigente al momento
dell'istanza di sanatoria, ma anche di quella vigente
all'epoca della loro realizzazione (e ciò costituisce
applicazione del principio di legalità), e quindi evitando
un sacrificio degli interessi dei privati che abbiano
violato soltanto le norme che disciplinano il procedimento
da osservare nell'attività edificatoria, e ciò in
applicazione dei principi di efficienza e buon andamento,
che sarebbero violati ove agli aspetti solo formali si desse
un peso preponderante rispetto a quelli del rispetto
sostanziale delle norme generali e locali in materia di uso
del territorio
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.07.2012 n. 3961 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La regola pretoria della
sanatoria giurisprudenziale, in base alla
quale il beneficio può essere concesso anche
a seguito di conformità sopraggiunta
dell'intervento divenuto permissibile al
momento della proposizione della nuova
istanza dell'interessato, non può trovare
ingresso nel nostro ordinamento.
Difatti, predicarne l'operatività,
consentendo la legittimazione postuma di
opere originariamente e sostanzialmente
abusive, significa tradire il principio di
legalità, rinveniente dagli artt. 24, 97,
101 e 113 Cost. oltre che dall'art. 1, primo
comma, della L. 241/1990 (secondo cui
"l'attività amministrativa persegue i fini
determinati dalla legge") sia in quanto si
svuoterebbe della sua portata precettiva,
certa e vincolante la disciplina
urbanistico-edilizia vigente al momento
della commissione degli illeciti, sia in
quanto, estendendosi l'ambito oggettivo di
applicazione del permesso di costruire in
sanatoria, se ne violerebbe la tipicità
provvedimentale, ancorata dalla norma
primaria che lo prevede (art. 36 D.P.R. n.
380 del 2001) alle sole violazioni di ordine
formale.
Inoltre, si finirebbe per premiare gli
autori di abusi edilizi sostanziali, a
discapito di tutti coloro che abbiano
correttamente eseguito attività
edificatorie, nel doveroso convincimento di
rispettare prescrizioni da altri, invece,
impunemente violate e risulterebbe
attenuata, se non addirittura neutralizzata,
la forza deterrente dell'apparato
sanzionatorio posto a presidio della
disciplina di governo del territorio.
Deve
essere confutato il presupposto logico–giuridico sul quale si fonda il ragionamento
del ricorrente secondo cui, come si è visto,
sarebbe sufficiente la conformità agli
strumenti urbanistici vigenti al momento
della presentazione dell’istanza ex art. 36
D.P.R. 380/2001 anche se non al tempo della
realizzazione del bene (c.d. “sanatoria
giurisprudenziale”).
Invero, come già statuito dalla Sezione
(TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 10.09.2010 n. 17398), la regola pretoria
della sanatoria giurisprudenziale, in base
alla quale il beneficio può essere concesso
anche a seguito di conformità sopraggiunta
dell'intervento divenuto permissibile al
momento della proposizione della nuova
istanza dell'interessato, non può trovare
ingresso nel nostro ordinamento.
Difatti,
predicarne l'operatività, consentendo la
legittimazione postuma di opere
originariamente e sostanzialmente abusive,
significa tradire il principio di legalità,
rinveniente dagli artt. 24, 97, 101 e 113
Cost. oltre che dall'art. 1, primo comma,
della L. 241/1990 (secondo cui "l'attività
amministrativa persegue i fini determinati
dalla legge") sia in quanto si svuoterebbe
della sua portata precettiva, certa e
vincolante la disciplina
urbanistico-edilizia vigente al momento
della commissione degli illeciti, sia in
quanto, estendendosi l'ambito oggettivo di
applicazione del permesso di costruire in
sanatoria, se ne violerebbe la tipicità
provvedimentale, ancorata dalla norma
primaria che lo prevede (art. 36 D.P.R. n.
380 del 2001) alle sole violazioni di ordine
formale.
Inoltre, si finirebbe per premiare gli
autori di abusi edilizi sostanziali, a
discapito di tutti coloro che abbiano
correttamente eseguito attività
edificatorie, nel doveroso convincimento di
rispettare prescrizioni da altri, invece,
impunemente violate e risulterebbe
attenuata, se non addirittura neutralizzata,
la forza deterrente dell'apparato
sanzionatorio posto a presidio della
disciplina di governo del territorio (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.07.2012 n. 3153 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nella
formulazione di cui all'art. 36, d.P.R. n.
380 del 2001, il silenzio
dell'Amministrazione su un'istanza di
sanatoria di abusi edilizi costituisce
ipotesi di silenzio significativo, al quale
vengono collegati gli effetti di un
provvedimento esplicito di diniego, con la
conseguenza che si viene a determinare una
situazione del tutto simile a quella che si
verificherebbe in caso di provvedimento
espresso.
In virtù della previsione legale di
implicito diniego, il silenzio tenuto
dall'Amministrazione non può, infatti,
essere inteso come mero fatto di
inadempimento, ma abilita l'interessato alla
proposizione di impugnazione, una volta
decorso dal suo perfezionarsi il termine
decadenziale di sessanta giorni.
Il silenzio sull'istanza di accertamento di
conformità urbanistica postula l'esercizio
di un'attività amministrativa essenzialmente
vincolata, trattandosi di un meccanismo
predisposto per sanare opere solo
formalmente abusive, in quanto eseguite
senza il prescritto titolo edilizio, ma
sostanzialmente conformi alla normativa
urbanistica ed edilizia vigente sia al
momento della loro realizzazione sia al
momento della presentazione della domanda.
Trattasi quindi di attività amministrativa
per lo più priva di apprezzabili margini di
discrezionalità in quanto riferita ad un
assetto di interessi già prefigurato dalle
previsioni dello strumento urbanistico
generale.
In ogni caso il sindacato del giudice
amministrativo sul diniego implicito
presuppone che sia assolto da parte del
ricorrente l'onere di provare la
illegittimità del rifiuto ossia la
fondatezza della sua pretesa sostanziale al
rilascio di un provvedimento a lui
favorevole
Per
quanto concerne l’inquadramento del
provvedimento di diniego tacito ai sensi
dell’art. 36 del d.P.R. 380/2001
concretizzatosi per effetto del decorso del
termine di sessanta giorni, l’orientamento
giurisprudenziale prevalente, da cui questo
Collegio non ha motivo di discostarsi (ex multis, TAR Campania, Napoli sez. VIII 13.12.2011 n. 5797), ritiene che nella
formulazione di cui all'art. 36, d.P.R. n.
380 del 2001, il silenzio
dell'Amministrazione su un'istanza di
sanatoria di abusi edilizi costituisce
ipotesi di silenzio significativo, al quale
vengono collegati gli effetti di un
provvedimento esplicito di diniego, con la
conseguenza che si viene a determinare una
situazione del tutto simile a quella che si
verificherebbe in caso di provvedimento
espresso. In virtù della previsione legale
di implicito diniego, il silenzio tenuto
dall'Amministrazione non può, infatti,
essere inteso come mero fatto di
inadempimento, ma abilita l'interessato alla
proposizione di impugnazione, una volta
decorso dal suo perfezionarsi il termine
decadenziale di sessanta giorni (C.d.S. sez.
IV 3.03.2006 n. 1037l; C.d.S. sez. IV 03.02.2006 n. 401; TAR Piemonte, Torino
08.03.2006 n. 1173; TAR Campania, Salerno,
sez. II 13.01.2005 n. 18).
Una volta riconosciuto il valore di
provvedimento amministrativo al silenzio di
cui all'art. 36 cit. e la natura impugnatoria
del presente giudizio, va precisato che
nella specie, il silenzio sull'istanza di
accertamento di conformità urbanistica
postula l'esercizio di un'attività
amministrativa essenzialmente vincolata,
trattandosi di un meccanismo predisposto per
sanare opere solo formalmente abusive, in
quanto eseguite senza il prescritto titolo
edilizio, ma sostanzialmente conformi alla
normativa urbanistica ed edilizia vigente
sia al momento della loro realizzazione sia
al momento della presentazione della
domanda.
Trattasi quindi di attività amministrativa
per lo più priva di apprezzabili margini di
discrezionalità in quanto riferita ad un
assetto di interessi già prefigurato dalle
previsioni dello strumento urbanistico
generale (cfr. TAR Campania Napoli questa
stessa sezione, 05.05.2005 n. 5484).
In ogni caso il sindacato del giudice
amministrativo sul diniego implicito
presuppone che sia assolto da parte del
ricorrente l'onere di provare la
illegittimità del rifiuto ossia la
fondatezza della sua pretesa sostanziale al
rilascio di un provvedimento a lui
favorevole (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 07.06.2012 n. 2699 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel senso di una rigorosa applicazione del
canone della c.d. doppia conformità degli
interventi abusivi rispetto alla disciplina
urbanistico-edilizia vigente, sia al momento
della loro esecuzione sia al momento della
presentazione della domanda di sanatoria,
militano i seguenti argomenti
interpretativi: a) Argomento letterale; b)
Argomento storico; c) Argomento
logico-sistematico;
d) Argomento teleologico.
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Predicare l’operatività della regola
pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’, e cioè consentire la
legittimazione postuma di opere
originariamente e sostanzialmente abusive,
significherebbe tradire:
- il principio di legalità, riveniente dagli
artt. 23, 24, 97, 101 e 113 Cost., oltre che
dall’art. 1, comma 1, della l. n. 241/1990
(secondo cui “l’attività amministrativa
persegue i fini determinati dalla legge”),
sia in quanto si svuoterebbe della sua
portata precettiva, certa e vincolante la
disciplina urbanistico-edilizia vigente al
momento della commissione degli illeciti,
sia in quanto, estendendosi l’ambito
oggettivo di applicazione del permesso di
costruire in sanatoria, se ne violerebbe la
tipicità provvedimentale, ancorata dalla
norma primaria che lo prevede (art. 36 del
d.p.r. n. 380/2001) alle sole violazioni di
ordine formale;
- il principio di imparzialità, riveniente
dall’art. 97 Cost., oltre che dall’art. 1,
comma 1, della l. n. 241/1990 (secondo cui
“l’attività amministrativa è retta da
criteri … di imparzialità”), in quanto si
finirebbe per premiare gli autori di abusi
edilizi sostanziali, a discapito di tutti
coloro che abbiano correttamente eseguito
attività edificatorie, nel doveroso
convincimento di rispettare prescrizioni da
altri, invece, impunemente violate;
- i principi di buon andamento e di
efficacia, rivenienti dall’art. 97 Cost.,
oltre che dall’art. 1, comma 1, della l. n.
241/1990 (secondo cui “l’attività
amministrativa è retta da criteri … di
efficacia”), in quanto, premiando – come
detto – gli autori degli abusi edilizi
sostanziali, risulterebbe attenuata, se non
addirittura neutralizzata, la forza
deterrente dell’apparato sanzionatorio posto
a presidio della disciplina di governo del
territorio;
- i principi di proporzionalità e di
ragionevolezza, rivenienti, rispettivamente,
dall’ordinamento comunitario e dagli artt. 3
e 97 Cost., in quanto si estenderebbe
l’ambito oggettivo di applicazione di un
istituto (permesso di costruire in
sanatoria) al di là della fenomenologia
(abusi edilizi meramente formali) in
rapporto alla quale quest’ultimo è stato
enucleato e commisurato dal legislatore.
Innanzitutto, il Collegio, pur
non ignorando l’esistenza di un autorevole
orientamento giurisprudenziale di segno
contrario (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 06.02.2003, n. 592; sez. V, 21.10.2003, n. 6498; 28.05.2004, n. 3431; 19.04.2005, n. 1796; sez. VI, 12.11.2008, n. 5646; sez. VI,
07.05.2009, n.
2835; TAR Abruzzo, Pescara, 11.05.2007,
n. 534; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 31.01.2008, n. 137; TAR Sardegna,
Cagliari, sez. II, 17.03.2010, n. 314;
Cass. pen., sez. III, 15.02.2008, n.
11132; 28.05.2008, n. 21208), ritiene di
dover escludere che la regola pretoria della
‘sanatoria giurisprudenziale’, recepita
nell’art. 31 delle n.t.a. del p.u.c. di
Villa Literno, sia compatibile col dettato
normativo dell’art. 36, comma 1, del d.p.r.
n. 380/2001, tanto da trovare ingresso
nell’ordinamento (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
26.04.2006, n. 2306; 17.09.2007,
n. 4838; sez. V, 25.02.2009, n. 1126;
sez. IV, 02.11.2009, n. 6784; TAR
Lombardia, Brescia, 23.06.2003, n. 870;
Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352; TAR
Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 15.01.2004, n. 16; Parma, 13.12.2007, n.
620; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 18.10.2004, n. 2506; 20.04.2005, n.
1094; TAR Liguria, Genova, sez. I, 23.02.2007, n. 364; TAR Sicilia, Catania,
sez. I, 09.01.2009, n. 5; TAR Campania,
Napoli, sez, VII, 07.05.2008, n. 3501;
sez. VI, 04.08.2008, n. 9723; sez. III,
19.11.2008, n. 19875; sez. VIII, 10.09.2010, n. 17398; TAR Puglia, Lecce,
sez. III, 09.12.2010, n. 2816; TAR
Toscana, Firenze, sez. III, 11.02.2011, n. 263; 13.05.2011, n. 837; Cass. pen., sez. III, 26.04.2007, n. 24451; 21.10.2008, n. 42526; 21.09.2009,
n. 36350; 21.01.2010, n. 9446).
Nel senso di una rigorosa applicazione del
canone della c.d. doppia conformità degli
interventi abusivi rispetto alla disciplina
urbanistico-edilizia vigente sia al momento
della loro esecuzione sia al momento della
presentazione della domanda di sanatoria,
militano i seguenti argomenti
interpretativi, già illustrati dalla Sezione
nella sentenza n. 17398 del 10.09.2010.
a) Argomento letterale.
Ai sensi dell’art. 36, comma 1, del d.p.r.
n. 380/2001, “in caso di interventi
realizzati in assenza di permesso di
costruire, o in difformità da esso, fino
alla scadenza dei termini di cui agli artt.
31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e
comunque fino all'irrogazione delle sanzioni
amministrative, il responsabile dell'abuso,
o l'attuale proprietario dell'immobile,
possono ottenere il permesso in sanatoria se
l'intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente
sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione
della domanda”.
Il tenore letterale della norma è del tutto
perspicuo e inequivoco nel riferire il
requisito della conformità
urbanistico-edilizia dell’opera (formalmente
abusiva) “sia” al momento della sua
realizzazione “sia” al momento della
presentazione della domanda di sanatoria.
Di fronte a siffatto dettato normativo, non
appare al Collegio condivisibile l’approccio
ermeneutico elaborato da Cons. Stato, sez.
VI, 07.05.2009, n. 2835.
Stando a tale pronuncia, il canone della
doppia conformità sarebbe preordinato a
garantire il richiedente dalla possibile
variazione in peius della disciplina
urbanistico-edilizia, a seguito di adozione
di strumenti che riducano o escludano,
appunto, il ius aedificandi sussistente al
momento dell'istanza, mentre non potrebbe
ritenersi diretto a disciplinare l'ipotesi
inversa del ius superveniens favorevole,
rispetto al momento ultimativo della
proposizione dell'istanza.
La regola in parola sarebbe, dunque,
enucleata “contro l'inerzia
dell'amministrazione”, e starebbe a indicare
“che, se sussiste la doppia conformità, a
colui che ha richiesto la sanatoria non può
essere opposta una modificazione della
normativa urbanistica successiva alla
presentazione della domanda. Tale regola non
preclude il diritto ad ottenere la
concessione in sanatoria di opere che,
realizzate senza concessione o in difformità
dalla concessione, siano conformi alla
normativa urbanistica vigente al momento in
cui l'autorità comunale provvede sulla
domanda in sanatoria” (Cons. Stato, sez. V,
21.10.2003, n. 6498).
Una simile interpretazione si rivela
inammissibilmente abrogatrice dell’inciso
“sia al momento della realizzazione dello
stesso” (e cioè dell’immobile abusivo) e,
quindi, contra legem: se, infatti, l’art.
36, comma 1, cit. fosse unicamente volto a
salvaguardare il privato istante dalle
conseguenze sfavorevoli (nel senso di una
sopravvenuta modifica in peius del ius
aedificandi) dell’inerzia
dell’amministrazione nel concludere
l’avviato procedimento di sanatoria, sarebbe
stato sufficiente il riferimento testuale
“al momento della presentazione della
domanda”.
In realtà, il legislatore, con l’espressione
“sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione
della domanda”, ha individuato l’intero arco
temporale lungo il quale si sia protratto
l’abuso edilizio commesso, senza che il
relativo responsabile si sia attivato per
regolarizzarlo, ed entro il quale gli
effetti peggiorativi del ius superveniens
non possono non ricadere su costui, ma anche
oltre il quale gli stessi effetti restano
imputabili all’inerzia dell’amministrazione
nel provvedere e non sono più su di lui
riversabili.
b) Argomento storico.
Nell’emanare il nuovo art. 36, comma 1, del
d.p.r. n. 380/2001, in luogo del previgente
art. 13, comma 1, della l. 28.02.1985,
n. 47, il legislatore delegato,
discostandosi dalla linea suggerita di Cons.
Stato, ad. gen., sez. atti norm., 29.03.2001, n. 52, nel senso di codificare la
regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’, ha preferito “non
inserire una tale previsione, sia perché la
giurisprudenza sul punto non è pacifica
(sicché non può dirsi formato quel diritto
vivente che avrebbe consentito la modifica
del dato testuale), sia, soprattutto, per le
considerazioni in senso nettamente contrario
contenute nel parere espresso dalla Camera”
(relazione illustrativa al testo unico
dell’edilizia).
Un simile antefatto storico dell’iter
legislativo denota, vieppiù, la resistenza
dell’ordinamento al recepimento della regola
pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’.
c) Argomento logico-sistematico.
L'istituto dell’accertamento di conformità è
stato introdotto, nell'ambito di una
revisione complessiva del regime
sanzionatorio degli illeciti edilizi,
orientata nel senso di una maggiore
severità, con l'intento di consentire la
sanatoria dei soli abusi meramente formali,
vale a dire di quelle costruzioni per le
quali, sussistendo ogni altro requisito di
legge e regolamento, manchi soltanto il
necessario titolo abilitativo (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 29.05.2006, n. 3267). Il
rilascio di quest’ultimo in esito ad
accertamento di conformità presuppone,
pertanto, in capo al responsabile
dell'abuso, una situazione giuridica del
tutto equiparabile a quella di chi richieda
un ordinario permesso di costruire, ivi
compresa la sussistenza ab origine della
conformità urbanistico-edilizia dell’opera.
Del resto, alla sanabilità degli abusi
sostanziali è dedicato non già l’istituto
dell'accertamento di conformità, bensì
quello diverso del condono edilizio (cfr.
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352), nei limiti, segnatamente
temporali, in cui quest'ultimo sia
applicabile alla fattispecie concreta
considerata.
Ciò posto, ammettere la ‘sanatoria
giurisprudenziale’ significherebbe anche
introdurre surrettiziamente nell’ordinamento
una sorta di condono atipico, affrancato dai
predetti limiti, mediante il quale il
responsabile di un abuso sostanziale
potrebbe trovarsi a beneficiare degli
effetti indirettamente sananti di un più
favorevole ius superveniens, anziché di
un’apposita disciplina legislativa
condonistica.
Nel delineato contesto sistematico, l’art.
36 del d.p.r. n. 380/2001, in quanto norma,
da un lato, circoscritta alle ipotesi di
abusi meramente formali e, d’altro lato,
derogatoria al principio per il quale i
lavori realizzati sine titulo sono
sottoposti alle prescritte misure
ripristinatorie e sanzionatorie, non è,
dunque, suscettibile di applicazione
analogica né di una interpretazione
riduttiva, secondo cui, in contrasto col suo
tenore letterale, basterebbe la conformità
delle opere con lo strumento urbanistico
vigente all’epoca in cui sia proposta
l’istanza di accertamento.
Viceversa, stante l’evidenziata portata
speciale e derogatoria della norma in esame,
la sanabilità da essa prevista postula
sempre la conformità urbanistico-edilizia
dell'intervento sine titulo alla disciplina
urbanistica vigente sia al momento della sua
realizzazione sia alla data della
presentazione della domanda (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 17.09.2007, n. 4838;
02.11.2009, n. 6784).
d) Argomento teleologico.
Il denominatore comune delle argomentazioni
addotte in favore della regola pretoria
della ‘sanatoria giurisprudenziale’ è
precipuamente rappresentato dalla pretesa
esigenza di ispirare l'esercizio del potere
di controllo sull'attività edificatoria dei
privati al buon andamento della pubblica
amministrazione ex art. 97 Cost.
Tale canone costituzionale imporrebbe, in
sede di accertamento di conformità ex art.
36 del d.p.r. n. 380/2001, di accogliere
l'istanza di sanatoria per quei manufatti
che potrebbero ben essere realizzati sulla
base della disciplina urbanistica vigente al
momento della proposizione della predetta
istanza, sebbene non conformi alla
disciplina vigente al momento della loro
realizzazione. Si eviterebbe, così, uno
spreco di attività inutili, sia
dell'amministrazione (il successivo
procedimento amministrativo preordinato alla
demolizione dell'opera abusiva), sia del
privato (la nuova edificazione), sia ancora
dell'amministrazione (il rilascio del titolo
per la nuova edificazione).
A ben vedere, invece, quella sorta di
antinomia adombrata nel propugnare la
‘sanatoria giurisprudenziale’ –e, quindi,
nel ripudiare l'esigenza della doppia
conformità– tra i principi di legalità e di
buon andamento della pubblica
amministrazione, con assegnazione della
prevalenza a quest'ultimo, in nome di una
presunta logica ‘efficientista’, si rivela
artificiosa (cfr. TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 09.06.2006, n. 1352).
Va, innanzitutto, rimarcato che l'agire
della pubblica amministrazione deve essere
in ogni sua fase retto dal principio di
legalità, inteso quale regola fondamentale
cui è informata l'attività amministrativa e
che trova un fondamento positivo in varie
disposizioni costituzionali (artt. 23, 24,
97, 101 e 113 Cost.). In altri termini,
lungi dall'esservi antinomia fra efficienza
e legalità, non può esservi rispetto del
buon andamento della pubblica
amministrazione ex art. 97 Cost., se non vi
è, nel contempo, rispetto del principio di
legalità. Il punto di equilibrio fra
efficienza e legalità, è stato, nella
materia de qua, individuato dal legislatore
nel consentire –come già detto– la
sanatoria dei c.d. abusi formali, sottraendo
alla demolizione le opere che risultino
rispettose della disciplina sostanziale
sull'utilizzo del territorio, e non solo di
quella vigente al momento dell'istanza di
sanatoria, ma anche di quella vigente
all'epoca della loro realizzazione (e ciò in
applicazione del principio di legalità), e
quindi evitando un sacrificio degli
interessi dei privati che abbiano violato le
sole norme disciplinanti il procedimento da
osservare nell'attività edificatoria (e ciò
in applicazione dei principi di efficienza e
buon andamento, che sarebbero violati ove
agli aspetti solo formali si desse un peso
preponderante rispetto a quelli
dell’osservanza sostanziale delle
disposizioni generali e locali in materia di
uso del territorio) (TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 09.06.2006, n. 1352; TAR
Sicilia, Catania, sez. I, 09.06.2009, n.
5).
La vera insanabile contraddizione
risiederebbe, da un lato, nell'imporre alle
autorità comunali di reprimere e sanzionare
gli abusi edilizi, dall'altro, nel
consentire violazioni sostanziali della
normativa del settore, quali rimangono –sul
piano urbanistico– quelle connesse ad opere
per cui non esista la doppia conformità,
dovendosi aver riguardo al momento della
realizzazione dell'opera per valutare la
sussistenza dell'abuso (cfr. TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 09.06.2006, n. 1352).
Ciò, in quanto sarebbe davvero contrario al
principio di buon andamento ex art. 97 Cost.
ammettere che l'amministrazione, una volta
emanata la disciplina sull'uso del
territorio, di fronte ad interventi difformi
dalla stessa, sia indotta –anziché a
provvedere a sanzionarli– a modificare la
disciplina stessa. Si finirebbe, così, per
incoraggiare, anziché impedire, gli abusi,
perché ogni interessato si sentirebbe
incitato alla realizzazione di manufatti
difformi, confidando sulla loro acquisizione
di conformità ex post, a mezzo di modifiche
della disciplina del settore. E si finirebbe
per alterare l’essenza stessa
dell’accertamento di (doppia) conformità,
che risiede (anche) nello sterilizzare e nel
disancorare l’attività pianificatoria degli
enti locali dalla tentazione di
‘legalizzare’ surrettiziamente l’illecita
trasformazione del territorio da parte dei
privati tramite varianti ‘pilotate’ agli
strumenti urbanistici.
In definitiva, predicare l’operatività della
regola pretoria della ‘sanatoria
giurisprudenziale’, e cioè consentire la
legittimazione postuma di opere
originariamente e sostanzialmente abusive,
significherebbe tradire:
- il principio di legalità, riveniente dagli
artt. 23, 24, 97, 101 e 113 Cost., oltre che
dall’art. 1, comma 1, della l. n. 241/1990
(secondo cui “l’attività amministrativa
persegue i fini determinati dalla legge”),
sia in quanto si svuoterebbe della sua
portata precettiva, certa e vincolante la
disciplina urbanistico-edilizia vigente al
momento della commissione degli illeciti,
sia in quanto, estendendosi l’ambito
oggettivo di applicazione del permesso di
costruire in sanatoria, se ne violerebbe la
tipicità provvedimentale, ancorata dalla
norma primaria che lo prevede (art. 36 del
d.p.r. n. 380/2001) alle sole violazioni di
ordine formale;
- il principio di imparzialità, riveniente
dall’art. 97 Cost., oltre che dall’art. 1,
comma 1, della l. n. 241/1990 (secondo cui
“l’attività amministrativa è retta da
criteri … di imparzialità”), in quanto si
finirebbe per premiare gli autori di abusi
edilizi sostanziali, a discapito di tutti
coloro che abbiano correttamente eseguito
attività edificatorie, nel doveroso
convincimento di rispettare prescrizioni da
altri, invece, impunemente violate;
- i principi di buon andamento e di
efficacia, rivenienti dall’art. 97 Cost.,
oltre che dall’art. 1, comma 1, della l. n.
241/1990 (secondo cui “l’attività
amministrativa è retta da criteri … di
efficacia”), in quanto, premiando – come
detto – gli autori degli abusi edilizi
sostanziali, risulterebbe attenuata, se non
addirittura neutralizzata, la forza
deterrente dell’apparato sanzionatorio posto
a presidio della disciplina di governo del
territorio;
- i principi di proporzionalità e di
ragionevolezza, rivenienti, rispettivamente,
dall’ordinamento comunitario e dagli artt. 3
e 97 Cost., in quanto si estenderebbe
l’ambito oggettivo di applicazione di un
istituto (permesso di costruire in
sanatoria) al di là della fenomenologia
(abusi edilizi meramente formali) in
rapporto alla quale quest’ultimo è stato
enucleato e commisurato dal legislatore.
Alla stregua delle superiori
considerazioni, la regola della ‘sanatoria
giurisprudenziale’, recepita nell’art. 31
delle n.t.a. del p.u.c. di Villa Literno,
risulta porsi in rapporto di antinomia col
canone della doppia conformità, del quale si
è dianzi predicata l’immanenza all’art. 36,
comma 1, del d.p.r. n. 380/2001.
La disposizione regolamentare di cui al
citato art. 31 delle n.t.a. del p.u.c. di
Villa Literno (sulla valenza regolamentare
degli strumenti di pianificazione
urbanistica, nella parte incidente in via
generale e astratta sul governo del
territorio, cfr., ex multis, Cons. Stato,
sez. VI, 08.09.2009, n. 5258; sez. IV,
28.03.2011, n. 1868; sez. VI, 30.06.2011, n. 3888; TAR Toscana, Firenze, sez. I,
10.11.2008, n. 2439; TAR Marche,
Ancona, 03.06.2009, n. 458; TAR Trentino
Alto Adige, Trento, 17.06.2009, n. 186;
TAR Liguria, Genova, sez. I, 20.07.2011,
n. 1148) va, pertanto, disapplicata
dall’adito giudice amministrativo, alla
stregua di un consolidato orientamento
giurisprudenziale, nonché in omaggio al
principio di gerarchia delle fonti (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 26.01.1992, n.
154; sez. VI, 29.04.2005, n. 2034; 02.03.2009, n. 1169; sez. IV,
16.02.2012, n. 812, secondo si tratterebbe
non già di una disapplicazione in senso
proprio, bensì “del risultato conseguente
alla ricerca della normativa applicabile al
caso concreto, in naturale applicazione dei
principi che regolano i rapporti tra le
fonti del diritto”), in quanto
contrastante con la previsione di rango
legislativo di cui all’art. 36, comma 1, del
d.p.r. n. 380/2001
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 22.05.2012 n. 2369 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nonostante
alcune oscillazioni giurisprudenziali
riscontratesi sul punto in vigenza dell’art.
13 della legge 47/1985, l’art. 36 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380, ha recepito “in toto” la precedente
formulazione, pienamente ribadendo il
principio della “doppia conformità”, secondo
il quale il presupposto inderogabile per la
sanatoria ordinaria è la conformità
dell’abuso sia alla disciplina vigente al
momento della realizzazione, che a quella
vigente al momento della domanda.
In sintesi, gli abusi sostanziali sono
sanabili solo attraverso il diverso istituto
giuridico del condono, e nei limiti
temporali legislativamente previsti, ad
evitare che ogni abuso possa essere sanato
dalla sopravvenienze normative, con effetti
sostanzialmente premianti per le difformità
sostanziali.
Quanto alla dedotta antieconomicità della
imposizione di una doppia attività (prima
demolitiva e poi ricostruttiva) per
realizzare uno stesso risultato edilizio
attualmente assentibile, va rimarcato che,
per insindacabile valutazione legislativa,
il punto di equilibrio tra legalità ed
economicità è stato individuato nella
ordinaria sanabilità dei soli abusi formali,
cioè sottraendo alla demolizione le sole
opere che, ancorché realizzate senza titolo,
siano “ab origine” e attualmente conformi;
e che, comunque, il procedimento
sanzionatorio e quello autorizzativo sono
reciprocamente autonomi e non dipendenti.
Con il primo motivo la
ricorrente invoca la conformità delle opere
abusive alla disciplina vigente al momento
della domanda e l’istituto della “sanatoria
giurisprudenziale”.
La sezione ritiene che, nonostante alcune
oscillazioni giurisprudenziali riscontratesi
sul punto in vigenza dell’art. 13 della
legge 47/1985, l’art. 36 del D.P.R. 06.06.2001,
n. 380, ha recepito “in toto” la precedente
formulazione, pienamente ribadendo il
principio della “doppia conformità”, secondo
il quale il presupposto inderogabile per la
sanatoria ordinaria è la conformità
dell’abuso sia alla disciplina vigente al
momento della realizzazione, che a quella
vigente al momento della domanda (cfr. TAR
Lombardia, Brescia, 23.06.2003, n. 873; Tar
Emilia Romagna, sez. II, 15.01.2004, n. 16;
TAR Lombardia, Milano, n. 1352/2006; Tar
Piemonte, sez. I, 20.04.2005 n. 1094; TAR
Toscana, sez. III, 15.06.2006, n. 2792; Cons.
Stato, sez. IV, 17.09.2007, n. 4838).
In sintesi, gli abusi sostanziali sono
sanabili solo attraverso il diverso istituto
giuridico del condono, e nei limiti
temporali legislativamente previsti, ad
evitare che ogni abuso possa essere sanato
dalla sopravvenienze normative, con effetti
sostanzialmente premianti per le difformità
sostanziali.
Quanto alla dedotta antieconomicità della
imposizione di una doppia attività (prima
demolitiva e poi ricostruttiva) per
realizzare uno stesso risultato edilizio
attualmente assentibile, va rimarcato che,
per insindacabile valutazione legislativa,
il punto di equilibrio tra legalità ed
economicità è stato individuato nella
ordinaria sanabilità dei soli abusi formali,
cioè sottraendo alla demolizione le sole
opere che, ancorché realizzate senza titolo,
siano “ab origine” e attualmente conformi;
e che, comunque, il procedimento
sanzionatorio e quello autorizzativo sono
reciprocamente autonomi e non dipendenti
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 11.05.2012 n. 204 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Comune di Roccasecca - Parere in merito all'oblazione
prevista dall'accertamento di conformità urbanistica
disciplinato dall'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 e dall'art.
22 della L.R. n. 15/2008 (Regione Lazio,
parere
19.04.2012 n. 389143 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA: La
sanatoria giurisprudenziale non trova ormai
alcuno spazio, trattandosi di istituto
elaborato dalla giurisprudenza nel vigore
della l. n. 10 del 1977 e in mancanza di una
specifica regolamentazione legislativa ma
che non ha più ragione di esistere nel
vigente ordinamento, caratterizzato da una
disciplina puntuale ed esaustiva delle
ipotesi di condono e sanatoria edilizia.
Secondo il costante orientamento
interpretativo, la sanatoria
giurisprudenziale (alla quale, in
definitiva, dovrebbe assimilarsi l’ipotesi
di cui si controverte, con un titolo
edilizio rilasciato illegittimamente ma
conforme, secondo la prospettazione della
p.a., alla normativa vigente al momento
dell’esame successivo) non trova ormai
alcuno spazio, trattandosi di istituto
elaborato dalla giurisprudenza nel vigore
della l. n. 10 del 1977 e in mancanza di una
specifica regolamentazione legislativa ma
che non ha più ragione di esistere nel
vigente ordinamento, caratterizzato da una
disciplina puntuale ed esaustiva delle
ipotesi di condono e sanatoria edilizia (fra
le ultime, Tar Toscana, III, 11.02.2011, n.
263)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 18.04.2012 n. 699 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
le opere di adeguamento è necessaria
apposita motivazione in ordine al profilo
della "doppia conformità" per la sanatoria
ordinaria ex art. 36 del T.U..
Nel giudizio in esame il ricorrente impugna
un provvedimento di diniego di permesso di
costruire in sanatoria ex art. 36 del D.P.R.
n. 380/2001 adottato dal Comune e -con i
successivi motivi aggiunti- la conseguente
ordinanza di demolizione. In particolare
detti provvedimenti hanno ad oggetto una
struttura aderente ad un appartamento di uso
residenziale (originariamente individuata
come una veranda da adibire a cucina).
Il
Collegio ha accolto il ricorso ritenendo
fondata la censura di difetto di motivazione
del diniego di sanatoria, in quanto:
- in
linea di principio il carattere vincolato
degli atti impugnati non esclude quantomeno
la necessarietà dell'esplicazione dei
presupposti del provvedimento (TAR Lazio
Roma, sez. III, 10.08.2010, n. 30576),
soprattutto in presenza di vicende non
connotate da immediata e lineare
comprensibilità sotto il profilo della
situazione di fatto;
- nel caso di specie
non risulta chiaro il profilo della
sussistenza della “doppia conformità”
prevista dalla legge per la sanatoria
ordinaria ex art. 36 del T.U. Edilizia;
- le
ulteriori questioni in ordine alla
possibilità di questo tipo di sanatoria in
presenza di opere di adeguamento richiedono
apposita motivazione in relazione agli esiti provvedimentali
ipotizzabili, non apparendo sufficienti le
deduzioni prospettate dall’Amministrazione
in questa sede a titolo di integrazione
della motivazione
(TAR Lazio, Sez. II-bis,
sentenza 11.04.2012 n. 3296
- massima
tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il d.P.R. n. 380/2001 ha predisposto una disciplina puntuale
ed esaustiva della sanatoria in materia
edilizia, tale da non ammettere spazi
residui che consentano di affermare, in via
interpretativa, la sopravvivenza della
cosiddetta sanatoria giurisprudenziale.
... Rilevato che anche questo Collegio
ritiene che, salvo ogni ulteriore
approfondimento riservato alla fase di
merito, deve ritenersi non sussistente il
vizio di illegittimità derivata in
considerazione del fatto che il
provvedimento in origine impugnato appare
adottato nel rispetto del requisito della “doppia
conformità” di cui all’ art. 36 del
d.P.R. n. 380/2001 e, ciò, anche in
considerazione di recenti pronunce che hanno
affermato che “Il d.P.R. n. 380/2001 ha,
infatti, predisposto una disciplina puntuale
ed esaustiva della sanatoria in materia
edilizia, tale da non ammettere spazi
residui che consentano di affermare, in via
interpretativa, la sopravvivenza della
cosiddetta sanatoria giurisprudenziale"
(TAR Puglia Lecce Sez. III, 02-09-2010, n.
1887) (TAR Veneto, Sez. II,
ordinanza 29.03.2012 n. 236 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
disciplina di cui all’art. 13 della L. n.
47/1985, confermata con l’art. 36 del D.P.R.
380/2001, richiede l'accertamento, da parte
del responsabile dell’istruttoria, della
sussistenza della c.d. “doppia conformità”
delle opere realizzate.
L’accertamento del rispetto delle distanze
va effettuato sulla base dell’effettivo
stato dei fatti e dei luoghi, a prescindere,
pertanto, dalla legittimità della
costruzione, rispetto alla quale deve essere
verificata la permanenza della distanza
minima, proprio a tutela di quell’interesse
pubblico alla salubrità degli assetti
urbanistici, al quale non è possibile
derogare.
---------------
Non si possono rilasciare concessioni
edilizie in sanatoria “con prescrizione”, in
quanto in tal modo gli immobili abusivi
vengono resi conformi ex post agli strumenti
urbanistici, così violando l’osservanza
della “doppia conformità” richiesta dalla
legge, che va accertata senza concedere
alcun potere discrezionale alla P.A..
... il Tribunale adito, richiamando la
disciplina di cui all’art. 13 della L. n.
47/1985, confermata con l’art. 36 del D.P.R.
380/2001, la cui univoca interpretazione si
è consolidata in giurisprudenza, anche di
questo C.G.A. (cfr. decisione n. 941/2009),
ha correttamente ritenuto che nel caso di
specie andasse richiesto l’accertamento, da
parte del responsabile dell’istruttoria,
della sussistenza della c.d. “doppia
conformità” delle opere realizzate;
conformità, cioè, sia agli strumenti
urbanistici vigenti alla data di rilascio
della prima concessione edilizia, portante
il n. 30/2004, sia a quelli in vigore alla
data di rilascio della concessione edilizia
in sanatoria n. 37/2005.
Con riferimento a questi ultimi requisiti,
il TAR li ha ritenuti insussistenti perché
dal progetto allegato all’istanza di
concessione edilizia in sanatoria si
evinceva la necessità di eseguire ulteriori
opere per rendere l’edificio abusivo
conforme agli strumenti urbanistici vigenti,
per cui, atteso che la C.E. in sanatoria era
da considerare alla stregua di una nuova
concessione, risultava evidente la carenza
del necessario presupposto della “doppia
conformità”.
Il TAR adito, infatti, ha condivisibilmente
rilevato che, al momento della presentazione
dell’istanza di rilascio della concessione
edilizia in sanatoria, esisteva il vano
porta nella parete dell’edificio frontista,
per cui risultava violato il requisito della
prescritta distanza dei 10 metri tra un
edificio e l’altro, atteso che tale distanza
veniva misurata in ml. 9,1, a nulla
rilevando il fatto che l’apertura del vano
porta era stata eseguita abusivamente; in
tal senso il Giudice di prime cure ha
richiamato a sostegno della propria
decisione la giurisprudenza amministrativa
formatasi nella materia de qua,
secondo cui l’accertamento del rispetto
delle distanze va effettuato sulla base
dell’effettivo stato dei fatti e dei luoghi,
a prescindere, pertanto, dalla legittimità
della costruzione, rispetto alla quale deve
essere verificata la permanenza della
distanza minima, proprio a tutela di
quell’interesse pubblico alla salubrità
degli assetti urbanistici, al quale non è
possibile derogare (cfr. Cons. Stato, Sez.
VI, 30.12.2006, n. 8262).
---------------
Al riguardo, il
Giudice di prime cure ha, invece,
condivisibilmente argomentato con puntuale
riferimento all’orientamento
giurisprudenziale imperante in materia,
secondo cui non si possono rilasciare
concessioni edilizie in sanatoria “con
prescrizione”, in quanto in tal modo gli
immobili abusivi vengono resi conformi ex
post agli strumenti urbanistici, così
violando l’osservanza della “doppia
conformità” richiesta dalla legge, che
va accertata senza concedere alcun potere
discrezionale alla P.A.
(C.G.A.R.S.,
sentenza 29.02.2012 n. 242 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
presenza del chiaro disposto legislativo,
non trova spazio la cosiddetta sanatoria
giurisprudenziale, che ricorrerebbe
allorquando la conformità dell’opera abusiva
sussista rispetto alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente al momento
del rilascio del titolo sanante, ma non
anche rispetto a quella del tempo in cui
l’opera è stata realizzata; quest’ultimo
istituto, infatti, elaborato dalla
giurisprudenza quando era in vigore la legge
n. 10/1977, in mancanza di una
regolamentazione legislativa della sanatoria
degli interventi abusivi, non ha più ragione
di esistere nel vigente ordinamento,
caratterizzato da una disciplina puntuale ed
esaustiva delle ipotesi di condono e
sanatoria edilizia.
L’art. 13 della legge n. 47/1985, l’art. 36
del D.P.R. n. 380/2001 e l’art. 140 della
L.R. n. 1/2005 abilitano al rilascio della
concessione edilizia in sanatoria quando
l’intervento è conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente sia al
momento della realizzazione dello stesso,
sia al momento della presentazione della
domanda.
Secondo l’ormai costante orientamento della
giurisprudenza amministrativa, in presenza
del chiaro disposto legislativo non trova
spazio la cosiddetta sanatoria
giurisprudenziale, che ricorrerebbe
allorquando la conformità dell’opera abusiva
sussista rispetto alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente al momento
del rilascio del titolo sanante, ma non
anche rispetto a quella del tempo in cui
l’opera è stata realizzata; quest’ultimo
istituto, infatti, elaborato dalla
giurisprudenza quando era in vigore la legge
n. 10/1977, in mancanza di una
regolamentazione legislativa della sanatoria
degli interventi abusivi, non ha più ragione
di esistere nel vigente ordinamento,
caratterizzato da una disciplina puntuale ed
esaustiva delle ipotesi di condono e
sanatoria edilizia (Cons. Stato, IV,
26/04/2006, n. 2306; TAR Lombardia, Milano,
II, 02/05/1989, n. 193; TAR Lombardia,
Brescia, 23/06/2003, n. 873; TAR Toscana,
III, 15/04/2002, n. 724; si veda anche Cons.
Stato, IV, ordinanza cautelare, 06/11/2010,
n.5046).
Nel caso di specie, tuttavia, il Comune di
Firenze, con l’art. 9-bis del regolamento
edilizio, ha aderito all’orientamento
minoritario che riconosce l’istituto in
questione sulla base dell’art. 97 della
Costituzione (sull’assunto che sarebbe
contrario al buon andamento demolire
un’opera che può essere nuovamente assentita
sulla base della differente disciplina
urbanistica attualmente in vigore: Cass. pen.,
III, 26/11/2003, n. 291).
Tuttavia, concedere la sanatoria in
questione senza applicare alcuna sanzione
amministrativa significherebbe creare una
disparità di trattamento rispetto a chi
ottiene la sanatoria, ai sensi dell’art. 13
della legge n. 47/1985, e a chi, in caso di
difformità parziale dalla concessione
edilizia, conserva l’opera abusiva per
impossibilità della demolizione ex art. 139,
comma 2, della L.R. n. 1/2005.
Invero le opere abusive conformi sia alla
disciplina urbanistica vigente al momento
della realizzazione dell’intervento, sia a
quella vigente al momento del rilascio del
titolo sanante, e quindi rientranti nella
sanatoria ordinaria, sono connotate da un
minor disvalore rispetto a quelle
assentibili con la cosiddetta sanatoria
giurisprudenziale
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 11.02.2011 n. 263 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento di rigetto dell'istanza di
permesso di costruire in sanatoria deve
essere supportato da una motivazione
consistente nella concreta individuazione di
un contrasto del progetto presentato con
specifiche norme urbanistiche,
esplicitamente indicate, dovendosi procedere
ad una valutazione della compatibilità
dell'intervento già realizzato con la
disciplina urbanistica ed edilizia vigente
sia al momento della realizzazione dello
stesso che al momento della presentazione
della domanda, valutazione che costituisce
l'essenza dell'istituto dell'accertamento di
conformità di cui all'art. 36, d.P.R.
06.06.2001 n. 380.
Ed invero, il provvedimento censurato, a
supporto del rigetto della domanda di
sanatoria, si limita a riportare
pedissequamente il contenuto dell’art. 36
del D.P.R. 381/2001.
Viceversa, rileva il Collegio, che il
provvedimento di rigetto dell'istanza di
permesso di costruire in sanatoria deve
essere supportato da una motivazione
consistente nella concreta individuazione di
un contrasto del progetto presentato con
specifiche norme urbanistiche,
esplicitamente indicate, dovendosi procedere
ad una valutazione della compatibilità
dell'intervento già realizzato con la
disciplina urbanistica ed edilizia vigente
sia al momento della realizzazione dello
stesso che al momento della presentazione
della domanda, valutazione che costituisce
l'essenza dell'istituto dell'accertamento di
conformità di cui all'art. 36, d.P.R.
06.06.2001 n. 380
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 15.12.2011 n. 2391 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’accertamento
di conformità è strumento di conservazione
di opere già realizzate e provviste della
doppia conformità, senza che possono venire
in rilievo le opere da eseguirsi per rendere
le opere già eseguite conformi alla
normativa urbanistica e vincolistica.
L'istituto dell'accertamento di conformità,
già previsto dall'art. 13, l. 28.02.1985 n.
47 ed ora regolato dall'art. 36, d.lgs. n.
380 del 2001 è infatti, come noto, diretto a
sanare le opere solo formalmente abusive, in
quanto eseguite senza concessione o
autorizzazione, ma conformi nella sostanza
alla disciplina urbanistica applicabile per
l'area su cui sorgono (vigente sia al
momento della loro realizzazione che al
momento della presentazione dell'istanza di
sanatoria: c.d. doppia conformità). Nel
caso, l'Amministrazione è chiamata a
svolgere una valutazione eminentemente
doverosa e vincolata, priva di contenuti
discrezionali e relativa alla realizzazione
di un assetto di interessi già prefigurato
dalla disciplina urbanistica applicabile, di
tal che il provvedimento di accertamento di
conformità assume una connotazione
eminentemente oggettiva e vincolata, priva
di apprezzamenti discrezionali.
Pertanto, alcuna pretesa può avere la parte
istante ad ottenere la concessione edilizia
in sanatoria in forza dell’esecuzione di
ulteriori lavori, volti a rendere le opere
difformi alla normativa urbanistica e
vincolistica, ad essa conformi.
L’accertamento di conformità è strumento di
conservazione di opere già realizzate e
provviste della doppia conformità (TAR
Trentino Alto Adige Trento, 20.03.2003, n.
117), senza che possono venire in rilievo le
opere da eseguirsi per rendere le opere già
eseguite conformi alla normativa urbanistica
e vincolistica.
L'istituto dell'accertamento di conformità,
già previsto dall'art. 13, l. 28.02.1985 n.
47 ed ora regolato dall'art. 36, d.lgs. n.
380 del 2001 è infatti, come noto, diretto a
sanare le opere solo formalmente abusive, in
quanto eseguite senza concessione o
autorizzazione, ma conformi nella sostanza
alla disciplina urbanistica applicabile per
l'area su cui sorgono (vigente sia al
momento della loro realizzazione che al
momento della presentazione dell'istanza di
sanatoria: c.d. doppia conformità). Nel
caso, l'Amministrazione è chiamata a
svolgere una valutazione eminentemente
doverosa e vincolata, priva di contenuti
discrezionali e relativa alla realizzazione
di un assetto di interessi già prefigurato
dalla disciplina urbanistica applicabile, di
tal che il provvedimento di accertamento di
conformità assume una connotazione
eminentemente oggettiva e vincolata, priva
di apprezzamenti discrezionali (TAR Campania
Napoli, sez. III, 05.10.2009, n. 5149; TAR
Campania Napoli, sez. VI, 11.03.2009, n.
1393; TAR Campania Napoli, sez. VI,
17.12.2008, n. 21345).
Pertanto alcuna pretesa può avere la parte
istante ad ottenere la concessione edilizia
in sanatoria in forza dell’esecuzione di
ulteriori lavori, volti a rendere le opere
difformi alla normativa urbanistica e
vincolistica, ad essa conformi (TAR Valle
d'Aosta,
sentenza
02.11.2011 n. 71 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Relativamente
alla sanatoria di abusi edilizi, va
condiviso il principio della “doppia
conformità”, secondo cui “la concessione
edilizia in sanatoria presuppone la
conformità del manufatto abusivo agli
strumenti urbanistici vigenti sia al tempo
della sua realizzazione, sia al momento in
cui si chiede il rilascio del provvedimento
di condono”.
Il Collegio ritiene di condividere, sulla
base delle motivazioni espresse al riguardo
dal Giudice di prime cure, il principio
della “doppia conformità”, secondo
cui “la concessione edilizia in sanatoria
presuppone la conformità del manufatto
abusivo agli strumenti urbanistici vigenti
sia al tempo della sua realizzazione, sia al
momento in cui si chiede il rilascio del
provvedimento di condono”
(CGARS,
sentenza 27.09.2011 n. 607 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’attuale
disposto legislativo non lascia più spazio
alla cosiddetta sanatoria “impropria”: tale
istituto, elaborato dalla giurisprudenza
nella vigenza della legge n. 10 del 1977, in
mancanza di una regolamentazione positiva
compiuta della materia, non ha difatti più
ragione di esistere nel vigente ordinamento,
caratterizzato da una disciplina puntuale
delle ipotesi di sanatoria edilizia la
quale, nonostante il diverso auspicio
espresso dall’Adunanza generale del
Consiglio di Stato nel parere del
29.03.2001, non recepisce il precedente,
delineato indirizzo ermeneutico.
Secondo l’ormai
costante orientamento della giurisprudenza
amministrativa, l’attuale
disposto legislativo non lascia più spazio
alla cosiddetta sanatoria “impropria”,
invocata dal Consorzio ricorrente: tale
istituto, elaborato dalla giurisprudenza
nella vigenza della legge n. 10 del 1977, in
mancanza di una regolamentazione positiva
compiuta della materia, non ha difatti più
ragione di esistere nel vigente ordinamento,
caratterizzato da una disciplina puntuale
delle ipotesi di sanatoria edilizia la
quale, nonostante il diverso auspicio
espresso dall’Adunanza generale del
Consiglio di Stato nel parere del
29.03.2001, non recepisce il precedente,
delineato indirizzo ermeneutico (cfr., fra
le molte, Tar Valle d’Aosta Aosta, I,
11.05.2011, n. 34; Tar Toscana Firenze, III,
11.02.2011, n. 263; Tar Campania Napoli, VII,
14.01.2011, n. 150; Tar Puglia Lecce, III,
02.09.2010, n. 1887; Consiglio Stato, IV,
02.11.2009, n. 6784).
In termini generali, dunque, il richiamo
alla sanatoria giurisprudenziale non merita
di essere condiviso e il motivo di gravame
va, pertanto, disatteso (TAR
Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 04.08.2011 n. 1484 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
condivisibile l’orientamento
giurisprudenziale che ammette la generale
sanabilità degli abusi edilizi laddove gli
interventi realizzati siano conformi alla
legge vigente al momento della disamina
dell’istanza. Invero, pare irragionevole
negare una sanatoria di interventi che
sarebbero legittimamente concedibili al
momento della nuova istanza, perdendo
oltretutto automaticamente efficacia, a
seguito della presentazione di questa, il
pregresso ordine di demolizione e
ripristino, secondo l'orientamento del
Consiglio di Stato in tema di rilevanza su
tale ordine dell'istanza di sanatoria.
Il Collegio condivide la tesi di parte
ricorrente circa l’applicabilità in linea
astratta della L.R. n. 24/09 sul Piano Casa
in via di sanatoria, facendo leva
sull’interpretazione sistematica della
normativa de qua, avuto riguardo alla
necessità del rispetto dei principi di
ragionevolezza e di economicità dell’azione
amministrativa, sottesi a quell’orientamento
giurisprudenziale che ammette la generale
sanabilità degli abusi edilizi laddove gli
interventi realizzati siano conformi alla
legge vigente al momento della disamina
dell’istanza (ex multis da ultimo
Consiglio di Stato, sez. VI, 07.05.2009 , n.
2835).
Alla stregua di tale orientamento
giurisprudenziale, condiviso dal Collegio,
pare irragionevole negare una sanatoria di
interventi che sarebbero legittimamente
concedibili al momento della nuova istanza,
perdendo oltretutto automaticamente
efficacia, a seguito della presentazione di
questa, il pregresso ordine di demolizione e
ripristino, secondo l'orientamento del
Consiglio di Stato in tema di rilevanza su
tale ordine dell'istanza di sanatoria
(Consiglio di Stato sez. VI, 12.11.2008, n.
5646, ex multis).
Il principio normativo della "doppia
conformità", secondo tale orientamento
giurisprudenziale infatti, è riferibile
all'ipotesi ragionevolmente avuta di mira
dal legislatore, desumibile cioè dal senso
obiettivo delle parole utilizzate dall'art.
13 della legge n. 47 del 1985, ovvero dal
vigente art. 36 del DPR 06.06.2001, n. 380,
ipotesi che è quella di garantire il
richiedente dalla possibile variazione in
senso peggiorativo della disciplina
edilizia, a seguito di adozione di strumenti
che riducano o escludano, appunto, lo jus
aedificandi quale sussistente al momento
dell'istanza.
In questa prospettiva la tipicità del
provvedimento di accertamento in sanatoria,
quale espressione di disposizione avente
carattere di specialità, va rigorosamente
intesa come riferimento al diritto "vigente",
(Consiglio di Stato sez. V 29.05.2006, n.
3267), e commisurata alla finalità di "favor"
obiettivamente tutelata dalla previsione, in
modo da risultare conforme al principio di
proporzionalità e ragionevolezza, nel
contemperamento dell'interesse pubblico e
privato.
La norma, infatti, non può ritenersi diretta
a disciplinare l'ipotesi inversa dello
jus superveniens edilizio favorevole,
rispetto al momento ultimativo della
proposizione dell'istanza. In effetti,
imporre per un unico intervento costruttivo,
comunque attualmente "conforme", una
duplice attività edilizia, demolitoria e poi
identicamente riedificatoria, lede parte
sostanziale dello stesso interesse pubblico
tutelato, poiché per un solo intervento, che
sarebbe comunque legittimamente
realizzabile, si dovrebbe avere un doppio
carico di iniziative industriali-edilizie,
con la conseguenza, contrastante con il
principio di proporzionalità, di un
significativo aumento dell'impatto
territoriale ed ambientale, (altrimenti
considerato in termini più ridotti alla luce
della "ratio" della norma in tema di
accertamento di conformità) (Così Consiglio
di Stato, sez. VI, 07.05.2009, n. 2835
cit.).
A conforto di tale opzione ermeneutica il
Consiglio di Stato ha infatti affermato, che
"gli artt. 13 e 15 della l. 28.02.1985,
n. 47, richiedenti per la sanatoria delle
opere realizzate senza concessione e delle
varianti non autorizzate, che l'opera sia
conforme tanto alla normativa urbanistica
vigente al momento della realizzazione
dell'opera, quanto a quella vigente al
momento della domanda di sanatoria, sono
disposizioni contro l'inerzia
dell'Amministrazione, e significano che, se
sussiste la doppia conformità, a colui che
ha richiesto la sanatoria non può essere
opposta una modificazione della normativa
urbanistica successiva alla presentazione
della domanda. Tale regola non preclude il
diritto ad ottenere la concessione in
sanatoria di opere che, realizzate senza
concessione o in difformità dalla
concessione, siano conformi alla normativa
urbanistica vigente al momento in cui
l'autorità comunale provvede sulla domanda
in sanatoria" (Consiglio di Stato sez.
V, 21.10.2003, n. 6498)
(TAR Valle d'Aosta,
sentenza 14.06.2011 n. 42 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’accertamento
di conformità risulta essere uno strumento
per sanare quanto già realizzato in assenza
di permesso di costruire e non può prendere
in considerazione eventuali future
modifiche.
L'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 subordina
il rilascio del permesso di costruire in
sanatoria al presupposto della c.d. "doppia
conformità": l'opera abusiva, per poter
essere sanata, deve, cioè, essere conforme,
come già accennato, non solo allo strumento
urbanistico esistente al momento della
domanda di sanatoria, ma anche a quello
vigente al momento della realizzazione
dell'opera.
Laddove, come accade nel caso di specie, in
sede di istanza di sanatoria si preveda la
realizzazione di ulteriori interventi per
rendere l'opera conforme alle norme vigenti,
è palese l'insussistenza del requisito della
conformità al momento della richiesta di
rilascio del titolo in sanatoria.
Per tale ragione sarebbe illegittimo un
provvedimento di sanatoria che, al fine di
rendere l'esistente conforme alle
prescrizioni urbanistiche vigenti, contempli
l'esecuzione di ulteriori lavori.
L'art. 36, D.P.R. n. 380/2001, difatti, non
consente spazi interpretativi, nel senso che
la concessione in sanatoria è ammessa
soltanto entro i limiti delineati dal
legislatore, senza alcuna estensione
discrezionale da parte della P.A..
Il Collegio osserva che l’accertamento di
conformità risulta essere uno strumento per
sanare quanto già realizzato in assenza di
permesso di costruire e non può prendere in
considerazione eventuali future modifiche.
L'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 subordina
il rilascio del permesso di costruire in
sanatoria al presupposto della c.d. "doppia
conformità": l'opera abusiva, per poter
essere sanata, deve, cioè, essere conforme,
come già accennato, non solo allo strumento
urbanistico esistente al momento della
domanda di sanatoria, ma anche a quello
vigente al momento della realizzazione
dell'opera.
Laddove, come accade nel caso di specie, in
sede di istanza di sanatoria si preveda la
realizzazione di ulteriori interventi per
rendere l'opera conforme alle norme vigenti,
è palese l'insussistenza del requisito della
conformità al momento della richiesta di
rilascio del titolo in sanatoria (TAR
Lombardia Milano Sez. II, 22.11.2010, n.
7311).
Per tale ragione sarebbe illegittimo un
provvedimento di sanatoria che, al fine di
rendere l'esistente conforme alle
prescrizioni urbanistiche vigenti, contempli
l'esecuzione di ulteriori lavori.
L'art. 36, D.P.R. n. 380/2001, difatti, non
consente spazi interpretativi, nel senso che
la concessione in sanatoria è ammessa
soltanto entro i limiti delineati dal
legislatore, senza alcuna estensione
discrezionale da parte della P.A. (C.G.A.
Regione Sicilia, 15.10.2009, n. 941).
I titoli abilitativi in sanatoria sono
provvedimenti tipici, che eliminano
l'antigiuridicità dell'abuso, estinguendo il
potere repressivo dell'amministrazione, con
la conseguenza che il loro ambito di
applicazione non può che essere
specificamente disciplinato dalla normativa,
non risultando consentito l'esercizio, da
parte della P.A., di un potere di sanatoria
che vada oltre i limiti imposti dal
legislatore (Cfr. Cons. Stato, sez. VI,
26.04.2006, n. 2306)
(TAR Camania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 25.03.2011 n. 1746 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Secondo l’ormai costante orientamento della
giurisprudenza amministrativa, in presenza del chiaro
disposto legislativo, non trova spazio la cosiddetta
sanatoria giurisprudenziale, che ricorrerebbe allorquando la
conformità dell’opera abusiva sussista rispetto alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento del
rilascio del titolo sanante, ma non anche rispetto a quella
del tempo in cui l’opera è stata realizzata.
Quest’ultimo istituto, infatti, elaborato dalla
giurisprudenza quando era in vigore la legge n. 10/1977, in
mancanza di una regolamentazione legislativa della sanatoria
degli interventi abusivi, non ha più ragione di esistere nel
vigente ordinamento, caratterizzato da una disciplina
puntuale ed esaustiva delle ipotesi di condono e sanatoria
edilizia.
Con la prima censura la ricorrente deduce che il contestato
regolamento edilizio, nel disciplinare la sanatoria
giurisprudenziale, ha istituito una sanzione amministrativa
non prevista dal legislatore, in contrasto con i principi di
legalità e tipicità delle sanzioni; la stessa osserva al
riguardo che la sanatoria giurisprudenziale non è un condono
edilizio, ma un’attestazione di non contrasto con i valori
attualmente tutelati, alla quale non è riconducibile alcuna
sanzione prevista per legge.
Il rilievo è infondato.
L’art. 13 della legge n. 47/1985, l’art. 36 del D.P.R. n.
380/2001 e l’art. 140 della L.R. n. 1/2005 abilitano al
rilascio della concessione edilizia in sanatoria quando
l’intervento è conforme alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
Secondo l’ormai costante orientamento della giurisprudenza
amministrativa, in presenza del chiaro disposto legislativo,
non trova spazio la cosiddetta sanatoria giurisprudenziale,
che ricorrerebbe allorquando la conformità dell’opera
abusiva sussista rispetto alla disciplina urbanistica ed
edilizia vigente al momento del rilascio del titolo sanante,
ma non anche rispetto a quella del tempo in cui l’opera è
stata realizzata; quest’ultimo istituto, infatti, elaborato
dalla giurisprudenza quando era in vigore la legge n.
10/1977, in mancanza di una regolamentazione legislativa
della sanatoria degli interventi abusivi, non ha più ragione
di esistere nel vigente ordinamento, caratterizzato da una
disciplina puntuale ed esaustiva delle ipotesi di condono e
sanatoria edilizia (Cons. Stato, IV, 26/04/2006, n. 2306;
TAR Lombardia, Milano, II, 02/05/1989, n. 193; TAR
Lombardia, Brescia, 23/06/2003, n. 873; TAR Toscana, III,
15/04/2002, n. 724; si veda anche Cons. Stato, IV, ordinanza
cautelare, 06/11/2010, n. 5046).
Nel caso di specie, tuttavia, il Comune di Firenze, con
l’art. 9-bis del regolamento edilizio, ha aderito
all’orientamento minoritario che riconosce l’istituto in
questione sulla base dell’art. 97 della Costituzione
(sull’assunto che sarebbe contrario al buon andamento
demolire un’opera che può essere nuovamente assentita sulla
base della differente disciplina urbanistica attualmente in
vigore: Cass. pen., III, 26/11/2003, n. 291).
Tuttavia, concedere la sanatoria in questione senza
applicare alcuna sanzione amministrativa significherebbe
creare una disparità di trattamento rispetto a chi ottiene
la sanatoria, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985,
e a chi, in caso di difformità parziale dalla concessione
edilizia, conserva l’opera abusiva per impossibilità della
demolizione ex art. 139, comma 2, della L.R. n. 1/2005.
Invero le opere abusive conformi sia alla disciplina
urbanistica vigente al momento della realizzazione
dell’intervento, sia a quella vigente al momento del
rilascio del titolo sanante, e quindi rientranti nella
sanatoria ordinaria, sono connotate da un minor disvalore
rispetto a quelle assentibili con la cosiddetta sanatoria
giurisprudenziale (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 11.02.2011 n. 263 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Accertamento di
conformità ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001 -
Necessità del presupposto della c.d. doppia
conformità - Motivazione in merito alla
sussistenza di ragioni di interesse pubblico
- Non necessita.
2. Misure repressive - Vetustà dell'opera -
Esclusione del potere di controllo e
sanzionatorio della P.A. - Inconfigurabilità.
3. Ordinanza di demolizione di opere abusive
- Natura - E' atto vincolato che non
richiede una motivazione diversa
dall'accertamento dell'abuso.
1.
Nell'esercizio del potere di accertare la
conformità o meno di un'opera abusiva, ai
sensi dell'art. 36, D.P.R. n. 380/2001, la
P.A. è unicamente chiamata a verificare il
requisito della doppia conformità -e cioè
che l'opera abusiva sia conforme non solo
allo strumento urbanistico esistente al
momento della domanda di sanatoria, ma anche
a quello vigente al momento della
realizzazione dell'opera- e non deve affatto
motivare in merito alla sussistenza di
ragioni di interesse pubblico.
2.
La vetustà dell'opera non esclude il potere
di controllo e il potere sanzionatorio del
Comune in materia urbanistico-edilizia, dal
momento che l'esercizio di tale potere non è
soggetto a prescrizione o decadenza: ne
consegue che l'accertamento dell'illecito
amministrativo e l'applicazione della
relativa sanzione può intervenire anche a
notevole distanza di tempo dalla commissione
dell'abuso, senza che il ritardo
nell'adozione della sanzione comporti
sanatoria o il sorgere di affidamenti o
situazioni consolidate (cfr. TAR Milano,
sent. n. 2045/2008).
3.
I provvedimenti di repressione degli abusi
edilizi, in quanto atti vincolati, sono
sufficientemente motivati con l'affermazione
dell'accertata irregolarità dell'intervento,
essendo in re ipsa l'interesse
pubblico alla rimozione dell'abuso -anche se
risalente nel tempo- senza necessità di una
motivazione su puntuali ragioni di interesse
pubblico e di una specifica comparazione con
gli interessi privati coinvolti (T.A.R.
Milano, sez. II, 19.02.2009, n. 1318, sent.
n. 702/2008) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.01.2011 n.
96 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La sanatoria edilizia può ben
intervenire anche a seguito di conformità
“sopraggiunta” dell’intervento in un primo
tempo illegittimamente assentito.
Anche recentemente, è stato riaffermato
(cfr. Cons. Stato, VI, 07.05.2009, n. 2835)
che:
- la sanatoria edilizia può ben intervenire
anche a seguito di conformità “sopraggiunta”
dell’intervento in un primo tempo
illegittimamente assentito, divenuto cioè
permissibile al momento della proposizione
della nuova istanza dell’interessato, posto
che questa si profila come del tutto
autonoma rispetto all’originaria istanza che
aveva condotto al permesso annullato in sede
giurisdizionale, in quanto basata su nuovi
presupposti normativi in materia edilizia;
pare pertanto palesemente irragionevole
negare una sanatoria di interventi che
sarebbero legittimamente concedibili al
momento della nuova istanza, perdendo
oltretutto automaticamente efficacia, a
seguito della presentazione di questa, il
pregresso ordine di demolizione e
ripristino, secondo l’orientamento di questo
Consiglio in tema di rilevanza su tale
ordine dell’istanza di sanatoria (cfr. VI,
12.11.2008, n. 5646, ex multis);
- il principio normativo della “doppia
conformità”, infatti, è riferibile
all’ipotesi ragionevolmente avuta di mira
dal legislatore, desumibile cioè dal senso
obiettivo delle parole utilizzate
dall’articolo 13 della legge 47/1985, ovvero
dal vigente articolo 36 del d.P.R. 380/2001,
ipotesi che è quella di garantire il
richiedente dalla possibile variazione in
senso peggiorativo della disciplina
edilizia, a seguito di adozione di strumenti
che riducano o escludano, appunto, lo jus
aedificandi quale sussistente al momento
dell’istanza.
Quindi, la tipicità del provvedimento di
accertamento in sanatoria, quale espressione
di disposizione avente carattere di
specialità, va rigorosamente intesa come
riferimento al diritto vigente (cfr. V,
29.05.2006, n. 3267), e commisurata alla
finalità di favor obiettivamente tutelata
dalla previsione, in modo da risultare
conforme al principio di proporzionalità e
ragionevolezza nel contemperamento
dell’interesse pubblico e privato;
- la norma, infatti, non può ritenersi
diretta a disciplinare l’ipotesi inversa
dello jus superveniens edilizio
favorevole, rispetto al momento ultimativo
della proposizione dell’istanza.
In effetti, imporre per un unico intervento
costruttivo, comunque attualmente “conforme”,
una duplice attività edilizia, demolitoria e
poi identicamente riedificatoria, lede parte
sostanziale dello stesso interesse pubblico
tutelato, poiché per un solo intervento, che
sarebbe comunque legittimamente
realizzabile, si dovrebbe avere un doppio
carico di iniziative industriali-edilizie,
con la conseguenza, contrastante con il
principio di proporzionalità, di un
significativo aumento dell’impatto
territoriale ed ambientale, (altrimenti
considerato in termini più ridotti alla luce
della ratio della norma in tema di
accertamento di conformità);
- gli articolo 13 e 15 della legge 47/1985,
richiedenti per la sanatoria delle opere
realizzate senza concessione e delle
varianti non autorizzate, che l’opera sia
conforme tanto alla normativa urbanistica
vigente al momento della realizzazione
dell’opera, quanto a quella vigente al
momento della domanda di sanatoria, sono
disposizioni contro l’inerzia
dell’Amministrazione, e significano che, se
sussiste la doppia conformità, a colui che
ha richiesto la sanatoria non può essere
opposta una modificazione della normativa
urbanistica successiva alla presentazione
della domanda.
Tale regola non preclude il diritto ad
ottenere la concessione in sanatoria di
opere che, realizzate senza concessione o in
difformità dalla concessione, siano conformi
alla normativa urbanistica vigente al
momento in cui l’autorità comunale provvede
sulla domanda in sanatoria (cfr. V,
21.10.2003, n. 6498).
Questo Tribunale ha aderito al rammentato
indirizzo giurisprudenziale (sentt.
30.03.2000, n. 290; 08.07.2002, n. 505;
29.10.2004, n. 656; 08.09.2005, n. 431; da
ultimo, 20.05.2010, n. 329).
Il Collegio, pur consapevole della cautela
con la quale è necessario applicare il
principio in questione, non ritiene di
discostarsi in questa occasione
dall’orientamento ricordato (TAR Umbria,
sentenza 14.01.2011 n. 9 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Non può essere accolta l'istanza
di sanatoria di manufatti, quand’anche gli
stessi ben potrebbero essere realizzati
sulla base della disciplina urbanistica
vigente al momento della pronuncia
sull’istanza medesima ancorché non conformi
alla disciplina vigente al momento della
loro realizzazione, tanto comportando il
sostanziale ripudio dell'esigenza della
doppia conformità, ad onta della sua
esplicita previsione negli artt. 13 e 36
cit. e dello stesso principio di legalità.
In sede di accertamento di conformità ex
art. 13 della legge n. 47/1985 (ed ora ex
art. 36 del d.P.R. n. 380/2001,
sostanzialmente identico, per quanto qui ne
occupa, all’art. 140 della L.R. Toscana n.
1/2005), non può essere accolta l'istanza di
sanatoria di manufatti, quand’anche gli
stessi ben potrebbero essere realizzati
sulla base della disciplina urbanistica
vigente al momento della pronuncia
sull’istanza medesima ancorché non conformi
alla disciplina vigente al momento della
loro realizzazione, tanto comportando il
sostanziale ripudio dell'esigenza della
doppia conformità, ad onta della sua
esplicita previsione negli artt. 13 e 36
cit. e dello stesso principio di legalità
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
ordinanza 06.11.2010 n. 5046 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di sanatoria ex art. 13 L. 47/1985
(ora art. 36 DPR 380/2001) il Collegio
richiama la tesi tradizionale e più
rigorista anche recentemente sposata dalla
Sezione, che impone la verifica di
conformità dei lavori eseguiti sine titulo
con riguardo ad un doppio parametro
normativo: quello vigente alla data di
realizzazione, e quello vigente alla data di
esame della domanda di sanatoria; il tutto
in ossequio al principio di legalità.
Laddove si chiede l’applicazione della cd. “sanatoria
giurisprudenziale” il ricorrente allude,
in particolare, al filone giurisprudenziale
che –nell’interpretare l’art. 13 della L.
47/1985 (ed il corrispondente art. 36 del
D.P.R. 380/2001)– ha ritenuto sanabili le
opere realizzate in assenza o in difformità
dal titolo edilizio, purché risultino
conformi alla normativa urbanistica vigente
al momento dell’esame della relativa domanda
di sanatoria (cfr. Cons. Stato, V,
6498/2003; Cons. Stato, VI, 2835/2009).
Si tratta, in sostanza, di un orientamento
che ritiene sanabile l’abuso “formale”,
non necessariamente in presenza della “doppia
conformità”, ma a condizione che
sussista almeno la compatibilità delle opere
rispetto allo strumento urbanistico vigente
al momento della loro realizzazione.
Pur non disconoscendo le ragioni di utilità
pratica che sottostanno al predetto
orientamento, il Collegio richiama la tesi
tradizionale e più rigorista anche
recentemente sposata dalla Sezione, che
impone la verifica di conformità dei lavori
eseguiti sine titulo con riguardo ad
un doppio parametro normativo: quello
vigente alla data di realizzazione, e quello
vigente alla data di esame della domanda di
sanatoria; il tutto in ossequio al principio
di legalità.
Si richiamano, in proposito, le approfondite
argomentazioni in punto di diritto contenute
nella sentenza n. 5/2009 di questa Sezione
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 02.07.2010 n. 2641 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
legittima la sanatoria giurisprudenziale
degli abusi edilizi.
Il Tribunale è consapevole del fatto che la
giurisprudenza non sia univoca sul tema
giacché l'art. 36 del d.p.r. 380/2001
richiede, ove interpretato in senso
strettamente letterale, la doppia conformità
(alla strumentazione urbanistica vigente al
momento della realizzazione delle opere e al
momento della richiesta di sanatoria).
Tuttavia, si osserva come l’art. 36 cit. sia
sostanzialmente analogo, per i profili che
qui interessano, al precedente art. 13 L. n.
47/1985 che richiedeva, per la sanatoria
delle opere prive di concessione, che esse
fossero conformi alla strumentazione
urbanistica approvata e non in contrasto con
quella adottata al momento sia
dell'edificazione, sia della richiesta di
sanatoria (c.d. doppia conformità).
Orbene, è noto come in vigenza di
quest'ultima norma (poi abrogata del D.P.R.
n. 380/2001 cit.) la giurisprudenza abbia
affermato la sufficienza della sola
conformità alla strumentazione urbanistica
in vigore al momento della presentazione
dell'istanza di sanatoria.
Questo, rilevando come l’istituto della
sanatoria fosse di carattere generale e
trovasse la propria genesi in giurisprudenza
consolidata ed in prassi amministrative
univoche ed antiche fondate sui precetti di
buon andamento dell’attività amministrativa
statuiti dall’art. 97 Cost. (Cons. Stato
Sez. V 13.02.1995 n. 238).
Invero, si è ritenuto che di detto istituto
generale l’art. 13 cit. costituisse solo una
fattispecie particolare (c.d. sanatoria a
regime), la cui esistenza lasciasse intatte
le logiche di efficacia ed efficienza
dell’attività amministrativa cui si
ispirava, da sempre, il ripetuto istituto
generale (Cons. Stato Sez. V n. 238/1995
cit.).
Diversamente opinando, è stato ripetutamente
affermato dalla giurisprudenza, si
perverrebbe all’irragionevole risultato di
far demolire un’opera della quale,
contemporanemente, si dovrebbe concedere la
costruzione.
Questo Tribunale ha costantemente aderito al
rammentato indirizzo giurisprudenziale (TAR
Umbria; 30.03.2000 n. 290; id. 08.07.2002 n.
505; id. 29.10.2004 n. 656; id. 08.09.2005
n. 431) e non vede ora motivi per
discostarsene, a ciò ostando il comune buon
senso cui sempre deve ispirarsi il diritto
(TAR Umbria,
sentenza 20.05.2010 n. 329 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Comune di Tolfa - Parere sulla possibilità di rilasciare un
permesso di costruire ai sensi dell'art. 36 D.P.R. 380/2001
in area sottoposta al vincolo paesaggistico di cui all'art.
142, comma 1, lett. g) D.Lgs. 42/2004 (Regione Lazio,
parere
30.03.2010 n.
18318 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'edificazione di un edificio in
difformità dal titolo abilitativo per quanto
concerne un incremento in altezza dovuto al
maggior spessore di ciascuno dei solai di
divisione dei piani e di quello di copertura
ben può legittimamente usufruire della c.d.
sanatoria giurisprudenziale, proprio con
riferimento alle opere originariamente
abusive (dacché non rispettose delle norme urbanistico-edilizie vigenti al momento
della loro esecuzione) e tuttavia conformi
agli strumenti urbanistici venuti in essere
successivamente e vigenti all’epoca di
presentazione dell’istanza di accertamento
di conformità.
Lo scomputo volumetrico
di cui al D.M. 27.05.2007, in materia di
contenimento energetico, può trovare
immediata applicazione anche prima
dell’adeguamento dei piani urbanistici
comunali, in quanto la tassatività dei
limiti di spessore delle strutture verticali
degli edifici non computabili ai fini
volumetrici, definiti in sede ministeriale,
non consente deroghe in difetto o in eccesso
da parte degli strumenti urbanistici
comunali, per cui l’operatività delle
suddette norme tecniche non può essere
subordinata a tale accennato previsto
adeguamento del piano regolatore, visto che
lo stesso non potrà fare altro che
recepirle.
Le difformità realizzate
dalla Caria Costruzioni s.r.l.
nell’edificazione del fabbricato sito nel
Comune di Elmas, lottizzazione Suella, lotto
A, rispetto al titolo edilizio ottenuto, non
hanno riguardato né la superficie
calpestabile né la volumetria utilizzabile,
concernendo soltanto un incremento in
altezza dell’edificio dovuto al maggior
spessore di ciascuno dei solai di divisione
dei piani e di quello di copertura.
Ciò al fine di realizzare una maggiore
insonorizzazione tra le singole unità
abitative e per migliorare, a fini di
risparmio energetico, la coibentazione
termica dell’edificio.
E’ invero pacifico che le disposizioni oggi in vigore in materia di
risparmio energetico nella progettazione e
realizzazione degli edifici, sopravvenute
alla realizzazione del fabbricato per cui è
causa, consentono, entro certi limiti, che
la modifica di spessori e altezze
finalizzate al miglioramento energetico non
debbano essere computati (cfr: art. 3, commi
3 e 4 del D.M. 27.07.2005, concernente
il regolamento di attuazione della legge 09.01.1991 n. 10, ancora in vigore, giusto
il richiamo dell’art. 11 D.Lgvo 30.05.2005 n. 192, nelle more dell’adozione dei
nuovi regolamenti di cui all’art. 4, comma
1, del medesimo decreto legislativo).
Ritiene pertanto il Collegio che al momento
dell’adozione del provvedimento di
definizione del procedimento di accertamento
di conformità presentato dalla ricorrente il
Comune di Elmas non potesse non considerare,
in applicazione dei principi di buona
amministrazione sottesi dall’art. 97 Cost.,
l’illogicità di una decisione volta a
ordinare la demolizione di un fabbricato che
in base allo ius superveniens la ricorrente
avrebbe potuto tranquillamente edificare,
beneficiando addirittura, almeno in parte,
di contribuzioni finanziarie pubbliche.
In relazione a tali fattispecie, invero, la
giurisprudenza amministrativa che il
Collegio ritiene di condividere ha da tempo
affermato la legittimità della c.d.
sanatoria giurisprudenziale, proprio con
riferimento alle opere originariamente
abusive (dacché non rispettose delle norme
urbanistico-edilizie vigenti al momento
della loro esecuzione) e tuttavia conformi
agli strumenti urbanistici venuti in essere
successivamente e vigenti all’epoca di
presentazione dell’istanza di accertamento
di conformità.
L’istituto, pur non comportando l’estinzione
del reato eventualmente consumato, né il
venir meno dell’obbligo di pagare la
relativa sanzione, risponde ad una chiara
esigenza di economicità e di buon andamento
dell’azione amministrativa, giudicandosi
illogico demolire manufatti non più in
contrasto con la disciplina edilizia per poi
doverne eventualmente assentire la
ricostruzione nella stessa forma e
consistenza (cfr: Cons. Stato, Sez. V, n.
3431 del 28.05.2004).
Nel caso di specie, la ricorrente potrebbe
addirittura beneficiare della contribuzione
finanziaria prevista dalla normativa statale
per le edificazioni realizzate nel rispetto
della nuove prescrizioni in materia di
risparmio energetico.
L’incongruenza delle conclusioni cui è
addivenuto il Comune induce, dunque, il
Collegio a privilegiare un’interpretazione
della legge regionale n. 23/1985 che,
conformemente alle richiamate acquisizioni
giurisprudenziali, consente, ai soli fini di
esclusione delle conseguenze demolitorie, il
mantenimento di edificazioni conformi al
quadro normativo vigente al momento della
definizione del procedimento di accertamento
di conformità.
Né appare condivisibile ritenere, come pure
indicato nel provvedimento impugnato,
inapplicabile lo scomputo di cui al D.M. 27.07.2005 perché non ancora recepito dal
Comune di Elmas nel regolamento edilizio.
Come detto, l’art. 4, comma 3, del suddetto
Decreto ministeriale, al fine di agevolare
l’attuazione delle norme sul risparmio
energetico e per migliorare la qualità degli
edifici, ha previsto la non commutabilità,
ai fini del calcolo della superficie utile
lorda di cui all’art.13 del Regolamento
edilizio regionale tipo (approvato con D.P.G.R. n. 23 del 14.09.1989), dello
spessore delle strutture verticali idonee a
migliorare l’isolamento termico degli
edifici per la parte superiore a 30 cm. di
spessore, fino ad un massimo di ulteriori 25
cm..
A tale riguardo, l’art. 2, commi 6 e 7 dello
stesso D.M., nel prevedere l’obbligo per i
Comuni di adeguare i propri strumenti
urbanistici per migliorare lo sfruttamento
delle radiazioni solari quale fonte di
calore, attraverso indicazioni in ordine
all’orientamento dei fabbricati ed alla
utilizzazione di elementi di tamponatura
delle facciate di notevole spessore, ha
stabilito lo scorporo dal calcolo dei volumi
massimi previsti nelle diverse zone
urbanistiche, degli spessori di tali
elementi di tamponatura nelle parti
eccedenti i 30 cm., fino ad un massimo di 25
cm..
Con riferimento a quanto precisato, ritiene
il Collegio, condividendo la giurisprudenza
amministrativa formatasi sul punto (cfr: TAR
Marche, sez. I, 30.03.2007 n. 448), che,
al contrario di quanto sostenuto dal Comune
intimato, tale scorporo delle cubature cui
si è fatto cenno, può trovare immediata
applicazione anche prima dell’adeguamento
dei piani urbanistici comunali, in quanto la
tassatività dei limiti di spessore delle
strutture verticali degli edifici non
computabili ai fini volumetrici, definiti in
sede ministeriale, non consente deroghe in
difetto o in eccesso da parte degli
strumenti urbanistici comunali, per cui
l’operatività delle suddette norme tecniche
non può essere subordinata a tale accennato
previsto adeguamento del piano regolatore,
visto che lo stesso non potrà fare altro che
recepirle (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 17.03.2010 n. 314 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
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EDILIZIA PRIVATA:
E’ chiesto parere in merito all’applicabilità
della L.R. n. 20/2009, in sanatoria, nel caso di
interventi di ampliamento di edifici esistenti eseguiti in
assenza di titolo edilizio.
Il Comune richiedente, in particolare, segnala che, presso i
propri uffici, è stata presentata istanza di permesso di
costruire in sanatoria per “la realizzazione di un
ampliamento relativo alla chiusura di un terrazzo
trasformato in camera, utilizzando la L.R. 20/2009”.
Il Comune chiede, dunque, di sapere se “è possibile
utilizzare tale normativa regionale per la sanatoria di
abusi edilizi considerando che, se da una parte, l’art. 5
prevede una serie di limitazioni, dall’altra parte se il
proprietario provvedesse a demolire l’abuso edilizio
potrebbe poi richiedere, proprio ai sensi della L.R. 20/2009
la costruzione di quanto demolito ottenendone (nel rispetto
degli altri adempimenti di legge) il benestare. Pare,
dunque, di essere in una situazione simile alla cosiddetta
sanatoria giurisprudenziale”.
Pur in assenza di specificazioni sul punto, si evince, dal
tenore del quesito formulato –in particolare nel riferimento
all’istituto della cosiddetta “sanatoria
giurisprudenziale”- come l’intervento abusivo realizzato
nel caso concreto non risulti verosimilmente conforme agli
strumenti urbanistici vigenti al momento della sua
realizzazione e neppure agli strumenti urbanistici vigenti
alla data attuale, stante la richiesta di applicazione della
L.R. n. 20/2009 (in sanatoria): è infatti la L.R. 20/2009
che consente interventi “in deroga” al P.R.G.; se
l’ampliamento fosse ammesso dal piano, ovviamente non si
porrebbe neppure il problema descritto dal Comune (Regione
Piemonte,
parere n. 156/2009 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Inammissibilità sanatoria
giurisprudenziale o impropria.
L’art. 36 T.U. edilizia in quanto norma
derogatoria al principio per il quale i
lavori realizzati sine titulo sono
sottoposti alle prescritte misure
ripristinatorie e sanzionatorie, non è
suscettibile di applicazione analogica né di
una interpretazione riduttiva, secondo cui,
in contrasto con il suo tenore letterale,
basterebbe la conformità delle opere con il
piano regolatore vigente al momento in cui
sia definita la istanza di sanatoria.
Pertanto, la sanabilità postula la
conformità dell’intervento alla disciplina
urbanistica vigente sia al momento della sua
realizzazione sia a quella in vigore alla
data della presentazione della domanda
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.11.2009 n. 6784 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sanatoria e requisito della
doppia conformità.
Secondo il dato testuale di cui all’art. 36,
primo comma, del DPR n. 380/2001, ai fini
del rilascio del permesso di costruire in
sanatoria, é necessario che l’opera eseguita
abusivamente risponda al requisito della
cosiddetta doppia conformità e, cioè, che la
stessa sia conforme agli strumenti
urbanistici vigenti sia al momento della sua
realizzazione che a quello della emissione
del provvedimento.
In mancanza di tale duplice requisito deve
escludersi che il provvedimento di sanatoria
possa esplicare l’effetto estintivo del
reato previsto dall’art. 45, comma terzo,
del DPR n. 380/2001 (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 21.09.2009 n. 36350 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Comune
di Anagni - Parere in merito all'applicabilità
dell'accertamento di conformità agli interventi di
demolizione e ricostruzione (art. 36 D.P.R. n. 380/2001 e
art. 22 L.R. n. 15/2008)
(Regione Lazio,
parere
27.08.2009 n.
118162 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
G. Zamburlin,
Critica alla c.d. sanatoria
giurisprudenziale (note critiche
sulla c.d. "sanatoria giurisprudenziale",
rilanciata da una recente decisione del
Consiglio di Stato, che consente la
sanatoria degli abusi anche se l'opera sia
in contrasto con la disciplina urbanistica
comunale vigente al momento dell'abuso)
(link a
http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La sanatoria giurisprudenziale.
Il Consiglio di Stato è tornato a
pronunciarsi in merito alla cosiddetta
sanatoria giurisprudenziale affermando il
principio (per vero non condiviso dalla
maggior parte dei Tribunali amministrativi
regionali) secondo cui può essere rilasciata
la concessione in sanatoria per quelle opere
che “realizzate senza concessione o in
difformità dalla concessione, siano conformi
alla normativa urbanistica vigente al
momento in cui l’autorità comunale provvede
sulla domanda in sanatoria”.
In sostanza, secondo il giudice
amministrativo la sanatoria edilizia può ben
intervenire anche a seguito della conformità
“sopraggiunta” di un intervento che
in un primo tempo (cioè al momento della sua
realizzazione) non era assentibile.
Il principio normativo della “doppia
conformità” –si legge nella sentenza– “è
riferibile all’ipotesi ragionevolmente avuta
di mira dal legislatore, desumibile cioè dal
senso delle parole utilizzate dall’art. 13
della Legge n. 47 del 1985, ovvero dal
vigente art. 36 del D.P.R. 06.06.2001, n.
380 ipotesi che è quella di garantire il
richiedente dalla possibile variazione in
senso peggiorativo della disciplina
edilizia, a seguito di adozioni di strumenti
che riducano o escludano, appunto lo ius
aedificandi quale sussistente al momento di
presentazione dell’istanza”.
A tal proposito il Consiglio di Stato ha
osservato che "gli artt. 13 e 15 della L.
28.02.1985, n. 47, richiedenti per la
sanatoria delle opere realizzate senza
concessione e delle varianti non
autorizzate, che l’opera sia conforme tanto
alla normativa urbanistica vigente al
momento della realizzazione dell’opera,
quanto a quella vigente al momento della
domanda di sanatoria, sono disposizioni
contro l’inerzia dell’Amministrazione, e
significano che, se sussiste la doppia
conformità, a colui che ha richiesto la
sanatoria non può essere opposta una
modificazione della normativa urbanistica
successiva alla presentazione della domanda".
Viceversa “la norma” –continua la
sentenza– “non può ritenersi diretta a
disciplinare l’ipotesi inversa dello ius
superveniens edilizio favorevole, rispetto
al momento ultimativo della proposizione
dell’istanza”.
Secondo il giudice amministrativo sarebbe
dunque ammissibile anche la sanatoria di
opere conformi alla normativa vigente al
momento in cui il Comune provvede sulla
domanda pur se contrastanti con quella
vigente al momento della presentazione
dell’istanza.
“In effetti” – osserva il Consiglio
di Stato – “imporre per un unico
intervento costruttivo, comunque attualmente
<conforme>, una duplice attività edilizia,
demolitoria e poi identicamente
riedificatoria, lede parte sostanziale dello
stesso interesse pubblico tutelato, poiché
per un solo intervento, che sarebbe comunque
legittimamente realizzabile, si dovrebbe
avere un doppio carico di iniziative
industriali-edilizie, con la conseguenza
contrastante con il principio di
proporzionalità, di un significativo aumento
dell’impatto territoriale ed ambientale”
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.05.2009 n. 2835 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: La
sanatoria edilizia può ben
intervenire anche a seguito di conformità
“sopraggiunta” dell'intervento in un primo
tempo illegittimamente assentito.
La sanatoria edilizia può ben intervenire
anche a seguito di conformità “sopraggiunta”
dell’intervento in un primo tempo
illegittimamente assentito, divenuto cioè
permissibile al momento della proposizione
della nuova istanza dell’interessato, posto
che questa si profila come del tutto
autonoma rispetto all’originaria istanza che
aveva condotto al permesso annullato in sede
giurisdizionale, in quanto basata su nuovi
presupposti normativi in materia edilizia;
pare pertanto palesemente irragionevole
negare una sanatoria di interventi che
sarebbero legittimamente concedibili al
momento della nuova istanza, perdendo
oltretutto automaticamente efficacia, a
seguito della presentazione di questa, il
pregresso ordine di demolizione e
ripristino, secondo l’orientamento di questo
Consiglio in tema di rilevanza su tale
ordine dell’istanza di sanatoria (VI,
12.11.2008, n. 5646, ex multis).
Il principio normativo della “doppia
conformità”, infatti, è riferibile
all’ipotesi ragionevolmente avuta di mira
dal legislatore, desumibile cioè dal senso
obiettivo delle parole utilizzate dall’art.
13 della legge n. 47 del 1985, ovvero dal
vigente art. 36 del DPR 06.06.2001, n. 380,
ipotesi che è quella di garantire il
richiedente dalla possibile variazione in
senso peggiorativo della disciplina
edilizia, a seguito di adozione di strumenti
che riducano o escludano, appunto, lo jus
aedificandi quale sussistente al momento
dell’istanza. Quindi, la tipicità del
provvedimento di accertamento in sanatoria,
quale espressione di disposizione avente
carattere di specialità, va rigorosamente
intesa come riferimento al diritto “vigente”,
(V 29.05.2006, n. 3267), e commisurata alla
finalità di “favor” obiettivamente
tutelata dalla previsione, in modo da
risultare conforme al principio di
proporzionalità e ragionevolezza nel
contemperamento dell’interesse pubblico e
privato.
La norma, infatti, non può ritenersi diretta
a disciplinare l’ipotesi inversa dello
jus superveniens edilizio favorevole,
rispetto al momento ultimativo della
proposizione dell’istanza. In effetti,
imporre per un unico intervento costruttivo,
comunque attualmente “conforme”, una
duplice attività edilizia, demolitoria e poi
identicamente riedificatoria, lede parte
sostanziale dello stesso interesse pubblico
tutelato, poiché per un solo intervento, che
sarebbe comunque legittimamente
realizzabile, si dovrebbe avere un doppio
carico di iniziative industriali-edilizie,
con la conseguenza, contrastante con il
principio di proporzionalità, di un
significativo aumento dell’impatto
territoriale ed ambientale, (altrimenti
considerato in termini più ridotti alla luce
della “ratio” della norma in tema di
accertamento di conformità).
A conforto di quanto ora detto, questo
Consiglio ha affermato, che “gli artt. 13
e 15 della l. 28.02.1985, n. 47, richiedenti
per la sanatoria delle opere realizzate
senza concessione e delle varianti non
autorizzate, che l’opera sia conforme tanto
alla normativa urbanistica vigente al
momento della realizzazione dell’opera,
quanto a quella vigente al momento della
domanda di sanatoria, sono disposizioni
contro l’inerzia dell’Amministrazione, e
significano che, se sussiste la doppia
conformità, a colui che ha richiesto la
sanatoria non può essere opposta una
modificazione della normativa urbanistica
successiva alla presentazione della domanda.
Tale regola non preclude il diritto ad
ottenere la concessione in sanatoria di
opere che, realizzate senza concessione o in
difformità dalla concessione, siano conformi
alla normativa urbanistica vigente al
momento in cui l’autorità comunale provvede
sulla domanda in sanatoria” (V,
21.10.2003, n. 6498)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.05.2009 n. 2835 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non sussistono, nella fattispecie, elementi
idonei ad affermare che l’abuso edilizio posto in essere dal
ricorrente possa essere sanato con denunzia di inizio
attività in sanatoria.
In primo luogo osta alla praticabilità di tale
procedura la circostanza che l’abuso risulta essere stato
consumato in zona sismica.
Al proposito si ricorda che gli artt. 17 e 18 L.
64/1974, il cui contenuto è oggi trasfuso negli artt. 93 e
94 del D.P.R. 380/2001, impongono a chiunque intenda procedere
a costruzioni in zona sismica –eccettuate le zone a bassa
sismicità– di darne avviso, tramite lo sportello unico, al
competente ufficio regionale, al quale l’avviso deve essere
trasmesso unitamente alla relativa progettazione: i lavori
non possono iniziare senza la preventiva autorizzazione
scritta dell’ufficio tecnico regionale, il quale deve
provvedere entro sessanta giorni (art. 94, comma 1 e 2).
Qualora entro il suddetto termine il responsabile
dell’ufficio tecnico regionale non abbia provveduto o abbia
provveduto in senso negativo, è data all’interessato la
possibilità di ricorrere al presidente della giunta
regionale, il quale entro i successivi sessanta giorni
“decide con provvedimento definitivo” (art. 94, comma 3).
L’esame delle norme dianzi richiamate consente di affermare
che la “denunzia di inizio lavori” di cui all’art. 93 D.P.R.
380/2001 altro non costituisce se non una richiesta di parere,
o nulla-osta, relativo alla compatibilità dei lavori con la
normativa antisismica. E’ altresì evidente che in base agli
artt. 93 e 94 D.P.R. 380/2001 l’autorizzazione di competenza
dell’ufficio tecnico regionale costituisce un parere
vincolante, reso all’esito di un sub-procedimento che si
inserisce nel procedimento principale volto al rilascio del
titolo abilitativo edilizio, un parere dal quale non si può
prescindere e che non è suscettibile di formarsi per
silenzio-assenso, come denuncia la chiara inibitoria dei
lavori in mancanza della preventiva autorizzazione scritta.
La sussistenza dell’obbligo di munirsi del parere preventivo
di cui sopra, non competendo alla autorità comunale,
determina la necessità, qualora esso non sia già allegato
alla istanza di permesso di costruire o alla d.i.a., di
attivare una conferenza di servizi ai sensi dell’art. 20,
comma 6, o dell’art. 23, comma 4, D.P.R. 380/2001, questo ultimo
applicabile anche alle zone sismiche, la cui individuazione
dà luogo ad un vincolo equiparabile –per la funzione di
protezione che esso è chiamato svolgere– ai vincoli di
natura ambientale, paesaggistica o idrogeologica.
In difetto della autorizzazione dell’ufficio tecnico
regionale, il silenzio della Amministrazione Comunale darà
luogo a silenzio-rifiuto, se abbia ad oggetto una istanza di
permesso di costruire; mentre ove segua ad una denunzia di
inizio attività, questa sarà semplicemente inidonea a
produrre effetti giuridici, così come chiaramente previsto
dall’art. 23, comma 6, D.P.R. 380/2001.
---------------
... per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,
dell’Ordinanza Dirigenziale n. 561 del 16.10.2008,
notificata a Ma.Ma. il 20 successivo, a firma del Dirigente
il Settore Pianificazione del Territorio-Servizio Atti
Amministrativi del Comune di Andria, con cui gli si ingiunge
di demolire delle travi in legno “poggiate tra il muro
dei vani esistenti ed il muro di confine” ed una
pensillina in legno poste in assenza del permesso di
costruzione;
...
Con ricorso passato alla notifica il 18/12/2008 il
ricorrente, premettendo di aver realizzato, senza preventiva
autorizzazione, una tettoia in legno sul proprio lastrico
solare, facilmente rimovibile; di aver ricevuto la
comunicazione relativa all’avvio del procedimento
sanzionatorio, e di aver infine presentato, il 01/12/2008,
richiesta di accertamento di conformità, impugnava il
provvedimento indicato in epigrafe con il quale la
Amministrazione Comunale ha invitato il ricorrente a
procedere alla demolizione del manufatto abusivo.
...
1. I ricorsi sono infondati: non sussistono, ad avviso del
Collegio, elementi idonei ad affermare che l’abuso edilizio
posto in essere dal ricorrente possa essere sanato con
denunzia di inizio attività in sanatoria.
1.1. In primo luogo osta alla praticabilità di tale
procedura la circostanza che l’abuso risulta essere stato
consumato in zona sismica, come risulta chiaramente dalla
ordinanza di demolizione gravata con il ricorso principale.
1.1.1. Al proposito si ricorda che gli artt. 17 e 18 L.
64/1974, il cui contenuto è oggi trasfuso negli artt. 93 e
94 del D.P.R. 380/2001, impongono a chiunque intenda procedere
a costruzioni in zona sismica –eccettuate le zone a bassa
sismicità – di darne avviso, tramite lo sportello unico, al
competente ufficio regionale, al quale l’avviso deve essere
trasmesso unitamente alla relativa progettazione: i lavori
non possono iniziare senza la preventiva autorizzazione
scritta dell’ufficio tecnico regionale, il quale deve
provvedere entro sessanta giorni (art. 94, comma 1 e 2).
Qualora entro il suddetto termine il responsabile
dell’ufficio tecnico regionale non abbia provveduto o abbia
provveduto in senso negativo, è data all’interessato la
possibilità di ricorrere al presidente della giunta
regionale, il quale entro i successivi sessanta giorni
“decide con provvedimento definitivo” (art. 94, comma 3).
L’esame delle norme dianzi richiamate consente di affermare
che la “denunzia di inizio lavori” di cui all’art. 93 D.P.R.
380/2001 altro non costituisce se non una richiesta di parere,
o nulla-osta, relativo alla compatibilità dei lavori con la
normativa antisismica. E’ altresì evidente che in base agli
artt. 93 e 94 D.P.R. 380/2001 l’autorizzazione di competenza
dell’ufficio tecnico regionale costituisce un parere
vincolante, reso all’esito di un sub-procedimento che si
inserisce nel procedimento principale volto al rilascio del
titolo abilitativo edilizio, un parere dal quale non si può
prescindere e che non è suscettibile di formarsi per
silenzio-assenso, come denuncia la chiara inibitoria dei
lavori in mancanza della preventiva autorizzazione scritta.
La sussistenza dell’obbligo di munirsi del parere preventivo
di cui sopra, non competendo alla autorità comunale,
determina la necessità, qualora esso non sia già allegato
alla istanza di permesso di costruire o alla d.i.a., di
attivare una conferenza di servizi ai sensi dell’art. 20,
comma 6, o dell’art. 23, comma 4, D.P.R. 380/2001, questo ultimo
applicabile anche alle zone sismiche, la cui individuazione
dà luogo ad un vincolo equiparabile –per la funzione di
protezione che esso è chiamato svolgere– ai vincoli di
natura ambientale, paesaggistica o idrogeologica.
In difetto della autorizzazione dell’ufficio tecnico
regionale, il silenzio della Amministrazione Comunale darà
luogo a silenzio-rifiuto, se abbia ad oggetto una istanza di
permesso di costruire; mentre ove segua ad una denunzia di
inizio attività, questa sarà semplicemente inidonea a
produrre effetti giuridici, così come chiaramente previsto
dall’art. 23, comma 6, D.P.R. 380/2001 (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 03.04.2009 n. 801 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le opere edili integranti un abuso commesso in
zona sismica –nella fattispecie non “a bassa sismicità”–
non possono essere assentite in sanatoria, né con permesso
di costruire né con d.i.a. in sanatoria.
Al riguardo, invero, si deve osservare che né l’art. 36 né l’art. 37
del D.P.R. 380/2001 disciplinano l’ipotesi in cui
l’accertamento di conformità sia richiesto relativamente ad
immobile soggetto a vincolo: ciò non può evidentemente
portare a ritenere che in sede di accertamento di conformità
la presenza di un vincolo non possa mai essere ostativa al
rilascio del titolo, ma, all’esatto opposto, deve condurre
ad escludere l’ammissibilità dell’accertamento di conformità
in presenza di vincolo, salvo che l’ordinamento non preveda
che anche il parere della autorità preposta al vincolo possa
essere rilasciato in sanatoria.
Così, ad esempio, nel caso
di abuso in zona soggetta a vincolo paesaggistico, potendo
il parere della Autorità preposta essere rilasciato in
sanatoria ogni qual volta l’abuso edilizio non si sia
tradotto in nuovi volumi, l’accertamento di conformità non è
inammissibile quando non vengano in considerazione nuovi
volumi.
Nel caso di specie, ci troviamo di fronte ad una
normativa la quale espressamente fa divieto di iniziare i
lavori senza la preventiva autorizzazione scritta
dell’ufficio tecnico regionale: essa deve quindi essere
intesa nel senso che tale autorizzazione non può essere
rilasciata ex post, cioè “in sanatoria”.
---------------
... per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,
dell’Ordinanza Dirigenziale n. 561 del 16.10.2008,
notificata a Ma.Ma. il 20 successivo, a firma del Dirigente
il Settore Pianificazione del Territorio-Servizio Atti
Amministrativi del Comune di Andria, con cui gli si ingiunge
di demolire delle travi in legno “poggiate tra il muro
dei vani esistenti ed il muro di confine” ed una
pensillina in legno poste in assenza del permesso di
costruzione;
...
Con ricorso passato alla notifica il 18/12/2008 il
ricorrente, premettendo di aver realizzato, senza preventiva
autorizzazione, una tettoia in legno sul proprio lastrico
solare, facilmente rimovibile; di aver ricevuto la
comunicazione relativa all’avvio del procedimento
sanzionatorio, e di aver infine presentato, il 01/12/2008,
richiesta di accertamento di conformità, impugnava il
provvedimento indicato in epigrafe con il quale la
Amministrazione Comunale ha invitato il ricorrente a
procedere alla demolizione del manufatto abusivo.
...
1.1.2. Tanto sopra premesso occorre ora verificare come si
atteggia la situazione nel caso in cui opere edili siano
state realizzate in zona sismica non solo in assenza di
titolo edilizio, ma anche della autorizzazione regionale
prevista dagli artt. 93 e 94 D.P.R. 380/2001: si deve cioè
verificare la possibilità o meno che le stesse possano
essere assentite in via di sanatoria.
Al riguardo si deve osservare che né l’art. 36 né l’art. 37
del D.P.R. 380/2001 disciplinano l’ipotesi in cui
l’accertamento di conformità sia richiesto relativamente ad
immobile soggetto a vincolo: ciò non può evidentemente
portare a ritenere che in sede di accertamento di conformità
la presenza di un vincolo non possa mai essere ostativa al
rilascio del titolo, ma, all’esatto opposto, deve condurre
ad escludere l’ammissibilità dell’accertamento di conformità
in presenza di vincolo, salvo che l’ordinamento non preveda
che anche il parere della autorità preposta al vincolo possa
essere rilasciato in sanatoria.
Così, ad esempio, nel caso
di abuso in zona soggetta a vincolo paesaggistico, potendo
il parere della Autorità preposta essere rilasciato in
sanatoria ogni qual volta l’abuso edilizio non si sia
tradotto in nuovi volumi, l’accertamento di conformità non è
inammissibile quando non vengano in considerazione nuovi
volumi.
1.1.3. Nel caso di specie, ci troviamo di fronte ad una
normativa la quale espressamente fa divieto di iniziare i
lavori senza la preventiva autorizzazione scritta
dell’ufficio tecnico regionale: essa deve quindi essere
intesa nel senso che tale autorizzazione non può essere
rilasciata ex post, cioè “in sanatoria”. In senso conforme,
del resto, si veda anche TAR Campania-Napoli, VI,
sentenza 09.10.2006 n. 8518.
1.1.4. Per le dianze esposte ragioni si deve ritenere che le
opere edili sottoposte alla attenzione del Collegio,
integrando un abuso commesso in zona sismica –la quale, si
ribadisce, non consta essere una zona “a bassa sismicità”–
non possono essere assentite in sanatoria, né con permesso
di costruire né con d.i.a. in sanatoria: pertanto il Comune
non avrebbe potuto assumere una diversa determinazione, da
cui l’impossibilità -ex art. 21-octies- di annullare il
silenzio-rigetto impugnato con il ricorso per motivi
aggiunti (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 03.04.2009 n. 801 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'accertamento
di conformità previsto dall'art. 13, l.
28.02.1985 n. 47 (ora, art. 36, d.P.R. n.
380 del 2001), è diretto a sanare -a regime-
le opere solo formalmente abusive, in quanto
eseguite senza concessione o autorizzazione,
ma conformi nella sostanza alla disciplina
urbanistica applicabile per l'area su cui
sorgono, vigente sia al momento della loro
realizzazione che al momento della
presentazione dell'istanza di sanatoria.
Parte della giurisprudenza si è sforzata di
mitigare gli effetti della rigorosa
applicazione della normativa in questione
(art. 13 L. 47/1985 per come reintrodotto
dall’art. 36 DPR 380/2001), costruendo la
cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, la
quale ammette la sanabilità di un'opera,
anche se abusivamente realizzata, qualora ne
risulti la conformità alla disciplina
urbanistica vigente al momento del rilascio
del titolo abilitativo (e addirittura anche
solamente a quelle applicabili al momento
della presentazione dell'istanza: C.d.S.,
Sez. V, 19.04.2005, n. 1796), rinvenendo
tale orientamento la sua ratio nell'esigenza
di non imporre la demolizione di un'opera
prima di ottenere la concessione per
realizzarla nuovamente (cfr.: TAR
Abruzzo-Pescara, 11.05.2007, n. 534); così
opinando, sostanzialmente si supera e si
svuota di significato la previsione della
doppia conformità delle opere che si intende
sanare agli strumenti urbanistici vigenti
all’epoca della realizzazione ed al’epoca
della domanda di sanatoria. Tuttavia, il
collegio ritiene preferibile l’orientamento
che –criticando l’impostazione della
sanatoria giurisprudenziale– riafferma le
molte buone ragioni che militano in favore
della necessità della doppia conformità.
Premesso che l'accertamento di conformità
previsto dall'art. 13, l. 28.02.1985 n. 47
(ora, art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001), è
diretto a sanare -a regime- le opere solo
formalmente abusive, in quanto eseguite
senza concessione o autorizzazione, ma
conformi nella sostanza alla disciplina
urbanistica applicabile per l'area su cui
sorgono, vigente sia al momento della loro
realizzazione che al momento della
presentazione dell'istanza di sanatoria
(cfr.: TAR Campania-Napoli, sez. IV,
21.03.2008 , n. 1460; TAR Emilia Romagna
Parma, 13.12.2007 , n. 620), si osserva che
le pur apparentemente forti ragioni invocate
a sostegno della tesi contraria a quella qui
seguita sono in realtà tutte superabili.
Denominatore comune delle argomentazioni
solitamente addotte in favore della c.d.
sanatoria giurisprudenziale è costituito
dalla pretesa esigenza di ispirare
l’esercizio del potere di controllo
sull’attività edificatoria dei privati al
buon andamento della p.a., canone
costituzionale (art. 97 della Carta) che
imporrebbe, in sede di accertamento di
conformità ex art. 13 della l. n. 47/1985
(ed ora art. 36 del d.P.R. n. 380/2001), di
accogliere l'istanza di sanatoria per quei
manufatti che potrebbero ben essere
realizzati sulla base della disciplina
urbanistica attualmente vigente, ancorché
non conformi alla disciplina vigente al
momento della loro realizzazione. Si
eviterebbe, così, uno spreco di attività
inutili, sia dell'amministrazione (il
successivo procedimento amministrativo
preordinato alla demolizione dell'opera
abusiva), sia del privato (la nuova
edificazione), sia ancora
dell'amministrazione (il rilascio del titolo
per la nuova edificazione).
A ben guardare, invece, quella sorta di
antinomia che si vorrebbe creare con
l'affermazione della cd. sanatoria
giurisprudenziale -e quindi con il
sostanziale ripudio dell'esigenza della
doppia conformità, ad onta della sua
esplicita previsione negli artt. 13 e 36
citati- tra i principi di legalità e di buon
andamento della P.A., con assegnazione della
prevalenza a quest'ultimo, in nome di una
presunta logica "efficientista", risulta
artificiosa (cfr.: TAR Lombardia-Milano,
sez. II, 09.06.2006 , n. 1352).
Va innanzitutto osservato che l'agire della
pubblica amministrazione deve essere in ogni
sua fase retto dal principio di legalità,
inteso quale regola fondamentale cui è
informata l'attività amministrativa (cfr.
l’appena citata decisione del Tar Milano, ed
ivi ulteriore ragguaglio giurisprudenziale)
e che trova un fondamento positivo in varie
disposizioni costituzionali (artt. 23, 97,
24, 101 e 113 Cost.). In altri termini,
lungi dall’esservi antinomia fra efficienza
e legalità, non può esservi rispetto del
buon andamento della p.a., ex art. 97 Cost.,
se non vi è nel contempo rispetto del
principio di legalità.
Il punto di equilibrio fra efficienza e
legalità, è stato, nella specifica materia
in questione, individuato dal legislatore
nel consentire –come già detto– la sanatoria
dei c.d. abusi formali, sottraendo alla
demolizione le opere che risultino
rispettose della disciplina sostanziale
sull'utilizzo del territorio, e non solo di
quella vigente al momento dell'istanza di
sanatoria, ma anche di quella vigente
all'epoca della loro realizzazione (e ciò
costituisce applicazione del principio di
legalità), e quindi evitando un sacrificio
degli interessi dei privati che abbiano
violato soltanto le norme che disciplinano
il procedimento da osservare nell’attività
edificatoria (e ciò in applicazione dei
principi di efficienza e buon andamento, che
sarebbero violati ove agli aspetti solo
formali si desse un peso preponderante
rispetto a quelli del rispetto sostanziale
delle norme generali e locali in materia di
uso del territorio).
La vera insanabile contraddizione starebbe,
da un lato nell’imporre alle autorità
comunali di reprimere e sanzionare gli abusi
edilizi, dall'altro consentire violazioni
sostanziali della normativa del settore,
quali rimangono -sul piano urbanistico-
quelle conseguenti ad opere per cui non
esista la cd. doppia conformità, dovendosi
aver riguardo al momento della realizzazione
dell'opera per valutare la sussistenza
dell'abuso (cfr. la già richiamata sentenza
del Tar Milano n. 1352/2006).
Ciò in quanto sarebbe davvero contrario al
buon andamento ammettere che
l'amministrazione, una volta posta la
disciplina sull'uso del territorio, di
fronte ad interventi difformi dalla stessa
sia indotta -anziché a provvedere a
sanzionarli- a modificare la disciplina
stessa. Si finirebbe così per incoraggiare,
anziché impedire, gli abusi, perché ogni
interessato si sentirebbe incitato alla
realizzazione di manufatti difformi,
contando sulla loro acquisizione di
conformità ex post, a mezzo di modifiche
della disciplina del settore.
Va inoltre tenuto nel debito conto che la
sanabilità degli abusi sostanziali è
ottenibile non attraverso lo strumento
dell'accertamento di conformità ex artt. 13
e 36 cit., ma tramite il diverso istituto
giuridico del condono (TAR Puglia, Lecce, n.
1007 del 1990; TAR Milano, n. 1352/2006, cit..)
e nei limiti, in specie temporali, in cui
quest'ultimo è applicabile alla fattispecie
concreta considerata.
Infine, la sanatoria giurisprudenziale non
ha trovato conferma –come spesso accade con
gli istituti di creazione pretoria– nella
recente legislazione, ché, anzi, la doppia
conformità continua ad essere esplicitamente
richiesta dall'art. 36 del d.P.R. n.
380/2001. In ordine a questo rilevante
aspetto della questione è stato osservato
che il mancato recepimento nell’art. 36 t.u.
dell'edilizia (nonostante l'auspicio in tal
senso espresso nel parere del 29.03.2001
della Adunanza generale del Consiglio di
Stato - dell'orientamento affermatosi nel
vigore dell'art. 13 l. 28.02.1985 n. 47 e
che viene denominato “sanatoria
giurisprudenziale”) impedisce che
l’applicazione delle disposizioni che
consentono la sanatoria degli abusi,
prevedendo un provvedimento tipico oggetto
di una disciplina puntuale ed esaustiva
nell'art. 36 t.u. dell'edilizia, subisca
ampliamenti in via interpretativa, e che in
particolare si superi la c.d. doppia
conformità (cfr.: Consiglio Stato , sez. IV,
26.06.2006 , n. 2306) (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 09.01.2009 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Sanatoria
intervento accertamento edilizio.
Viene chiesto chiarimento in ordine
all’applicazione dell’articolo 36, comma 2,
del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R.
380/2001) per quanto attiene alla
determinazione dell’oblazione di cui alla
norma predetta (Regione Piemonte,
parere n. 134/2008 -
tratto da www.regione.piemonte.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
sanatoria ex art. 13 l. 47/1985 (ora art. 36
dpr 380/2001) richiede la necessaria doppia
conformità.
L’art. 13 della
legge n. 47 del 1985 riguarda esclusivamente
le opere edilizie abusive in senso formale
ma nella sostanza compatibili con la
disciplina urbanistica della zona, sì da
richiedere la c.d. «doppia conformità»,
ossia che la verifica della conformità sia
fatta con riferimento tanto alla disciplina
vigente al momento dell’abuso, quanto a
quella vigente al momento della
presentazione della domanda di sanatoria
(v., ex multis, TAR Emilia-Romagna, Bologna,
Sez. II, 25.09.2001 n. 698)
(TAR Parma,
sentenza 13.12.2007 n. 620 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art.
13 della legge n. 47 del 1985 (trasfuso
nell’art. 36 del testo unico n. 380 del
2001) consente l’accoglimento di domande di
accertamento di conformità solo in presenza
della cd. duplice conformità: le opere
abusive possono essere oggetto di
accoglimento dell’istanza solo quando esse
risultino non solo conformi allo strumento
urbanistico vigente alla data di emanazione
dell’atto che esamina l’istanza, ma anche
conformi allo strumento urbanistico vigente
alla data in cui sono commessi gli abusi.
Ritiene la
Sezione che l’art. 13 della legge n. 47 del
1985 consente l’accoglimento di domande di
accertamento di conformità solo in presenza
della cd. duplice conformità: le opere
abusive possono essere oggetto di
accoglimento dell’istanza solo quando esse
risultino non solo conformi allo strumento
urbanistico vigente alla data di emanazione
dell’atto che esamina l’istanza, ma anche
conformi allo strumento urbanistico vigente
alla data in cui sono commessi gli abusi
(cfr. Sez. IV, 26.04.2006, n. 2306).
L’art. 13 –in quanto norma derogatoria al
principio per il quale i lavori realizzati
sine titulo sono sottoposti alle
prescritte misure ripristinatorie e
sanzionatorie– non è suscettibile di
applicazione analogica, né di una
interpretazione riduttiva, secondo cui – in
contrasto col suo tenore letterale –
basterebbe la conformità delle opere col
piano regolatore vigente al momento in cui
sia definita l’istanza di sanatoria.
Contrariamente a quanto dedotto
dall’appellante, la regola sancita dall’art.
13 (trasfuso nell’art. 36 del testo unico n.
380 del 2001) non risulta in contrasto con i
principi costituzionali del buon andamento e
sulla pianificazione urbanistica.
Infatti, in attuazione del principio di
legalità e per evitare che i consigli
comunali possano subire condizionamenti e
pressioni da parte di chi abbia realizzato
opere abusive, il legislatore ha
radicalmente precluso che il costruttore di
opere abusive possa avvalersi delle
sopravvenute modifiche dello strumento
urbanistico, anche se le opere realizzate
sine titulo di per sé risultino conformi
allo strumento sopravvenuto.
Vanno dunque respinte le censure secondo cui
l’accertamento di conformità potrebbe essere
disposto in presenza della conformità al
solo strumento urbanistico vigente (pur se
in contrasto con quello vigente al momento
della realizzazione dell’abuso), così come
vanno dichiarate manifestamente infondate le
relative censure di incostituzionalità
dell’art. 13
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.09.2007 n. 4838 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La
giurisprudenza ha ammesso la c.d. sanatoria
giurisprudenziale, ritenuta non in contrasto
con l’art. 13 l. 47/1985 quando l’opera
abusiva risulti comunque conforme alle norme
urbanistiche vigenti al momento del rilascio
dell’atto di sanatoria, risiedendo la ratio
di siffatto orientamento nell’esigenza di
evitare che sia demolita una costruzione per
la quale può essere rilasciato
successivamente il titolo abilitativo.
Vero è che
l’art. 13 della L. 47/1985 esige la doppia
conformità dell’opera abusiva, alla
disciplina cioè vigente al momento della
realizzazione dell’abuso e a quella vigente
al momento della sanatoria, ma è altresì
vero che la giurisprudenza ha ammesso la
c.d. sanatoria giurisprudenziale, ritenuta
non in contrasto con l’art. 13 citato,
quando l’opera abusiva risulti comunque
conforme alle norme urbanistiche vigenti al
momento del rilascio dell’atto di sanatoria,
risiedendo la ratio di siffatto
orientamento nell’esigenza di evitare che
sia demolita una costruzione per la quale
può essere rilasciato successivamente il
titolo abilitativo (C.S., sez. V,
21.10.2003, n. 6498; 13.02.1995, n. 238)
(TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza 30.05.2007 n. 583 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2006 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Con l’istituto
del cd. accertamento di conformità, nella
disciplina sia dell’art. 13 della l. n.
47/1985, sia dell’art. 36 del d.P.R. n.
380/2001, il Legislatore ha inteso
consentire la sanatoria dei soli abusi
formali, cioè di quelle opere che, pur
difformi dal titolo (od eseguite senza alcun
titolo), risultino rispettose della
disciplina sostanziale sull’utilizzo del
territorio, e non solo di quella vigente al
momento dell’istanza di sanatoria, ma anche
di quella vigente all’epoca della loro
realizzazione.
Facendo applicazione dei principi
che hanno portato all’elaborazione della cd.
sanatoria giurisprudenziale, il ricorrente
afferma l’irrilevanza dell’eventuale non
conformità urbanistica dell’opera al momento
della sua ultimazione ai fini del rilascio
della sanatoria, in quanto la sanabilità
della predetta opera dipenderebbe solo dalla
conformità della stessa alla normativa
vigente e quindi, alle norme applicabili al
momento in cui l’Amministrazione provvede
sull’istanza di sanatoria (od anche
solamente a quelle applicabili al momento
della presentazione dell’istanza: C.d.S.,
Sez. V, 19.04.2005, n. 1796). Ciò, al fine
di evitare il paradosso che si addivenga
alla demolizione di un’opera, in quanto
abusiva, salvo riconoscere contestualmente
la nuova realizzabilità della medesima
opera, perché conforme alla disciplina
urbanistica attualmente vigente.
In questo senso, quindi, la regola della
sanabilità di tutte le opere conformi alle
prescrizioni urbanistiche in vigore alla
data di adozione del provvedimento sanante,
con la possibilità, in base a tale regola,
di sanare alla predetta condizione non solo
abusi formali, ma anche abusi sostanziali,
troverebbe conferma nel canone ermeneutico
della non contraddittorietà, per il quale la
P.A. non può denegare diritti e facoltà che
essa stessa ha riconosciuto attraverso gli
strumenti di pianificazione vigenti al
momento della pronuncia di diniego.
La succitata regola sarebbe, altresì,
rispettosa del principio di efficienza e
buon andamento dell’Amministrazione (art. 97
Cost.), che imporrebbe di evitare la
rimozione di opere nella sostanza legittime
e per le quali si potrebbe subito dopo
consentire l’edificazione.
Infine la cd. sanatoria giurisprudenziale si
giustificherebbe perché, ad opinare
diversamente, si dovrebbe configurare un
dovere dell’Amministrazione di negare la
sanatoria ai manufatti od alle varianti in
corso d’opera, pur se sostanzialmente
legittimi, ove edificati in vigenza di
previsioni ostative.
Queste essendo le argomentazioni esposte dal
ricorrente a sostegno della tesi della
sanabilità delle opere per le quali la
conformità urbanistica sussista solo al
tempo del provvedimento sull’istanza di
sanatoria (o alla data di proposizione
dell’istanza), osserva il Collegio come
siffatte argomentazioni, ancorché ben
sviluppate e non prive di un certo rilievo,
non possano essere condivise.
Sul punto il Collegio è ben consapevole
dell’esistenza di un indirizzo
giurisprudenziale, che, sebbene minoritario,
ha trovato sporadico accoglimento pure nel
Consiglio di Stato, nonché nell’ordinanza
cautelare emessa nel presente giudizio,
favorevole all’affermazione della cd.
sanatoria giurisprudenziale.
Ciò, in nome essenzialmente di una pretesa
esigenza di conformità al buon andamento
della P.A., canone costituzionale che
imporrebbe, in sede di accertamento di
conformità ex art. 13 della l. n.
47/1985 (ed ora art. 36 del d.P.R. n.
380/2001), di accogliere l’istanza di
sanatoria per dei manufatti che potrebbero
ben essere realizzati sulla base della
disciplina urbanistica attualmente vigente,
ancorché non conformi alla disciplina
vigente al momento della loro realizzazione.
Si eviterebbe, così, uno spreco di attività
inutili, sia dell’Amministrazione (il
successivo procedimento amministrativo
preordinato alla demolizione dell’opera
abusiva), sia del privato (la nuova
edificazione), sia ancora
dell’Amministrazione (il rilascio del titolo
per la nuova edificazione).
In contrario, ritiene tuttavia il Collegio
che quella sorta di antinomia che si
vorrebbe creare con l’affermazione della cd.
sanatoria giurisprudenziale –e, quindi, con
il sostanziale ripudio dell’esigenza della
doppia conformità, ad onta della sua
esplicita previsione negli artt. 13 e 36
citati– tra i principi di legalità e di buon
andamento della P.A., con assegnazione della
prevalenza a quest’ultimo, in nome di una
presunta logica “efficientista”, sia
artificiosa e per niente affatto
condivisibile.
Ciò, in quanto, a ben vedere, costituisce
affermazione consolidata quella per cui
l’agire della Pubblica Amministrazione deve
essere in ogni sua fase retto dal principio
di legalità, inteso quale regola
fondamentale cui è informata l’attività
amministrativa (cfr., ex plurimis,
C.d.S., Sez. V, 23.03.2004, n. 1553) e che
trova un fondamento positivo in varie
disposizioni costituzionali (artt. 23, 97,
24, 101 e 113 Cost.).
Se ne deduce che pretendere di instaurare,
come fa il ricorrente, un’antinomia tra
l’esigenza di legalità e quella di buon
andamento, con recessività della prima, è
profondamente erroneo perché trascura che la
lettura del buon andamento conforme al
dettato costituzionale è quella che coniuga
al tempo stesso buon andamento e legalità, e
che perciò legge il primo alla luce della
seconda, con il corollario che non può
esservi rispetto del buon andamento della
P.A., ex art. 97 Cost., se non vi è
nel contempo rispetto del principio di
legalità.
Facendo applicazione delle ora viste
conclusioni al caso di specie, si deve,
pertanto, ritenere che con l’istituto del
cd. accertamento di conformità, nella
disciplina sia dell’art. 13 della l. n.
47/1985, sia dell’art. 36 del d.P.R. n.
380/2001, il Legislatore abbia inteso
consentire la sanatoria dei soli abusi
formali, cioè di quelle opere che, pur
difformi dal titolo (od eseguite senza alcun
titolo), risultino rispettose della
disciplina sostanziale sull’utilizzo del
territorio, e non solo di quella vigente al
momento dell’istanza di sanatoria, ma anche
di quella vigente all’epoca della loro
realizzazione (cfr., ex plurimis, TAR
Campania, Napoli, Sez. VI, 09.09.2004, n.
11896; TAR Liguria, Sez. I, 17.05.2005, n.
670).
La sanabilità dell’intervento,
in altri termini, presuppone necessariamente che non sia
stata commessa alcuna violazione di tipo sostanziale, in
presenza della quale, invece, non potrà non scattare la
potestà sanzionatorio–repressiva degli abusi edilizi
prevista dagli artt. 27 e ss. del d.P.R. n. 380/2001.
Anzi, proprio la doverosità
dell’esercizio di siffatta potestà, costantemente affermata
dalla giurisprudenza (cfr. TAR Lazio, Latina, 27.06.2005, n.
568; C.d.S., Sez. V, 06.05.1995, n. 721), rafforza quanto
appena detto circa la sanabilità, attraverso gli artt. 13 e
36 ss., delle sole violazioni formali.
Non può ammettersi, infatti, a
pena di introdurre una contraddizione all’interno dello
stesso corpus legislativo, che il Legislatore da un
lato imponga all’Amministrazione di reprimere e sanzionare
gli abusi edilizi, dall’altro che acconsenta a violazioni
sostanziali della normativa del settore, quali rimangono
–sul piano urbanistico– quelle conseguenti ad opere per cui
non esista la cd. doppia conformità, dovendosi aver riguardo
al momento della realizzazione dell’opera per valutare la
sussistenza dell’abuso.
Tutto ciò, senza considerare
che non si riesce a capire quale nozione del buon andamento
sia quella, alla stregua della quale l’Amministrazione, una
volta posta la disciplina sull’uso del territorio, di fronte
ad interventi difformi dalla stessa, anziché provvedere a
sanzionarli, sia indotta a modificare la disciplina stessa.
È evidente che un tale comportamento finirebbe per
incoraggiare, anziché impedire, gli abusi, perché ogni
interessato si sentirebbe incitato alla realizzazione di
manufatti difformi, contando sulla loro acquisizione di
conformità ex post, a mezzo di modifiche della
disciplina del settore. Con il che, se ne desume, verrebbe
frustrata in toto la potestà sanzionatorio–repressiva
degli abusi edilizi, in contrasto con la doverosità della
stessa poc’anzi ricordata, nella sua valenza strumentale al
fine di coadiuvare, dal lato, appunto, sanzionatorio,
l’ordinato sviluppo del territorio, perseguito
dall’Amministrazione comunale attraverso gli strumenti di
pianificazione.
Né in contrario può
ribattersi argomentando dall’incongruenza della
demolizione di opere di cui dovrebbe poi essere ammessa la
ricostruzione, giacché un tal rilievo non tiene conto che la
potestà sanzionatoria degli abusi edilizi dà luogo a
procedimenti amministrativi autonomi, pur se strettamente
connessi a quello del rilascio del permesso in sanatoria.
Su questa base, ritiene pertanto il Collegio
di aderire a quell’indirizzo giurisprudenziale, per il quale
la sanatoria di un’opera difforme dallo strumento
urbanistico vigente al momento della sua esecuzione
rappresenterebbe una forzatura inaccettabile della
disciplina in materia di accertamento di conformità (nonché
dei principi dell’ordinamento in tema di sanatoria di
attività illecite in generale), senza che questo pregiudichi
le autonome determinazioni che l’Amministrazione decida poi
di adottare nell’esplicazione dell’attività sanzionatoria
riferita all’abuso (TAR
Piemonte, Sez. I, 20.04.2005. n. 1094).
A favore della
tesi della cd. doppia conformità militano anche ulteriori
argomenti, di natura sia sostanziale che formale.
Ed infatti, considerata
l’opera difforme dalla normativa urbanistica in vigore al
tempo della sua realizzazione come abuso edilizio
sostanziale (TAR
Puglia, Lecce, 26.11.1990, n. 1007), se ne deduce che la
sanabilità della stessa è ottenibile non attraverso lo
strumento dell’accertamento di conformità ex artt. 13
e 36 cit., ma tramite il diverso istituto giuridico del
condono (TAR Puglia, Lecce, n. 1007 del 1990 cit.) e nei
limiti, in specie temporali, in cui quest’ultimo è
applicabile alla fattispecie concreta considerata.
Ciò,
tenendo altresì conto del fatto che, ai fini penali, lo
speciale meccanismo di estinzione del reato previsto per
l’accertamento di conformità (art. 22, ult. comma della l.
n. 47/1985) opera diversamente da quanto stabilito per la
procedura di condono, giacché non si fonda sul pagamento di
una somma di denaro a titolo di oblazione, ma sull’effettivo
rilascio della concessione sanante (Cass. pen., Sez. III,
29.01.1998, n. 3209).
Né può trascurarsi che
l’assoggettamento al medesimo trattamento, anche
sanzionatorio, dei casi di abuso edilizio cd. formale e di
quelli di abuso cd. sostanziale, ingenererebbe dubbi di
legittimità costituzionale: si pensi alle perplessità
sollevate sul punto, nel vigore del regime introdotto dalla
l. n. 10/1977, dalla giurisprudenza di merito (cfr. Pret.
Rivarolo Canavese, 03.05.1978 e Pret. Piombino, 16.12.1982).
Tali dubbi resterebbero fermi
anche qualora la suddetta parificazione fosse espressamente
prevista dalla legge. A fortiori si deve dunque
respingere l’idea della parificazione, e quindi la tesi
della cd. sanatoria giurisprudenziale, che la sottende, in
presenza di una disciplina che continua a pretendere
esplicitamente, nell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, come
già nel testo dell’art. 13 della l. n. 47/1985, ai fini
della sanabilità del manufatto, la conformità di esso anche
alla normativa vigente alla data della sua realizzazione,
oltre che a quella in vigore al tempo della proposizione
dell’istanza, mostrando di recepire la cd. doppia
conformità.
Dunque, la tesi della cd.
doppia conformità risulta quella corretta anche sotto il
mero aspetto letterale (TAR Piemonte, n. 1094 del 2005
cit.).
Anzi, da questo punto di vista,
appare condivisibile l’osservazione della difesa del Comune,
secondo la quale il Legislatore delegato, nell’elaborare il
testo dell’art. 36 cit., non ha potuto in alcun modo
recepire la cd. sanatoria giurisprudenziale, in ragione dei
limiti derivantigli dalla delega legislativa (art. 7 della
l. n. 50/1999), che non consentivano modifiche della
normativa esistente se non nelle ipotesi di univoci
indirizzi giurisprudenziali assurti a vero e proprio
“diritto vivente” (così la previsione di un mero “coordinamento
formale del testo delle disposizioni vigenti”, ex
art. 7, comma 2, lett. d), della l. n. 50 cit., come
interpretata dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato).
Anche per tal via, quindi, la cd. sanatoria
giurisprudenziale si deve considerare tuttora al di fuori
del diritto positivo.
Da ultimo, nessun rilievo può
assumere l’argumentum a contrario utilizzato dal
ricorrente, per cui la cd. doppia conformità porterebbe ad
affermare il dovere dell’Amministrazione di negare la
sanatoria alle varianti in corso d’opera, qualora realizzate
in vigenza di previsioni ostative.
A parte che, proprio perché
eseguiti in difformità dalle norme vigenti, per tali
interventi non si potrebbe mai parlare, come fa il
ricorrente, di “sostanziale legittimità”, resta il fatto che
le varianti in corso d’opera trovano applicazione, ex
art. 15 della l. n. 47/1985 (v. ora l’art. 22, comma 2, del
d.P.R. n. 380/2001), solamente in caso di conformità delle
opere difformi agli strumenti urbanistici vigenti e purché
le modificazioni introdotte rispetto alla concessione
originaria siano di consistenza limitata (TAR Liguria, Sez.
I, 03.06.2005, n. 851), dunque con riguardo a fattispecie
diverse da quella in esame (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.06.2006 n. 1352 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
merito
all’invocata
“sanatoria giurisprudenziale”, è ben noto
l’orientamento che fonda sui principi
afferenti il buon andamento e l’economia
dell’azione amministrativa l’obbligo di
rilasciare l’assenso edilizio in sanatoria
allorquando sia regolarmente richiesto in
relazione ad opere già realizzate
abusivamente ma conformi alle norme
urbanistiche vigenti al momento del
rilascio.
L’istituto della sanatoria per accertamento
di conformità previsto dall’art. 13 della L.
28.02.1985 n. 47 è stato introdotto,
nell’ambito di una revisione complessiva del
regime sanzionatorio in materia di abusi
edilizi nel senso di una maggiore severità,
con l’intento di consentire la sanatoria
degli abusi meramente formali, vale a dire
di quelle costruzioni per le quali,
sussistendo ogni altro requisito di legge e
regolamento, manchi soltanto il titolo
rappresentativo dell’assenso
dell’Amministrazione.
Il rilascio della concessione edilizia in
esito ad accertamento di conformità,
pertanto, attribuisce al “responsabile
dell’abuso” una situazione giuridica del
tutto equiparabile a quella del titolare di
un’ordinaria concessione edilizia, onde non
può avere a presupposto se non il fatto che
la fattispecie alla quale si riferisce sia
risultata conforme, sotto ogni altro
aspetto, soggettivo ed oggettivo, alla
normativa urbanistica complessivamente
vigente.
Per il suo rilascio, in altre parole, è
necessario che sussistano tutti i requisiti,
anche soggettivi, che avrebbero consentito
al responsabile dell’abuso di ottenere la
concessione, ove l’avesse tempestivamente
richiesta.
Si comprende, allora, tenendo conto altresì
che si tratta pur sempre di una deroga al
principio fondamentale, sancito dall’art. 1
della L. 28.01.1977 n. 10, il quale
subordina all’assenso dell’Amministrazione
qualsiasi attività che comporti
trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio, perché l’ambito di applicazione
del beneficio è stato delimitato dalla norma
con riferimento ai due momenti temporali in
essa indicati e sopra più volte menzionati.
Si comprende, inoltre, perché i requisiti di
legge che in entrambi i momenti suddetti
devono sussistere sono anche quelli
soggettivi, quando si consideri che
ammettere al beneficio in questione un
soggetto che “al momento della
realizzazione dell’opera” non fosse
legittimato a chiedere ed ottenere la
concessione contrasterebbe con l’espressa
previsione della norma, che solo al “responsabile
dell’abuso” permette di richiedere la
sanatoria.
L’interpretazione puramente letterale
dell’espressione normativa che rapporta la
doppia conformità prescritta “agli
strumenti urbanistici” non appare,
quindi, attendibile.
In realtà, la legge ha detto meno di quanto
voleva dire, come si evince dalla dizione
più comprensiva adoperata dalla disposizione
che oggi sostituisce il citato art. 13 L. n.
47 del 1985, ovvero l’art. 36 del testo
unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia approvato
con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, il quale
assume come parametro dell’accertamento di
conformità quello più generale della “disciplina
urbanistica ed edilizia vigente”.
Quanto
all’invocata “sanatoria giurisprudenziale”,
è ben noto l’orientamento che fonda sui
principi afferenti il buon andamento e
l’economia dell’azione amministrativa
l’obbligo di rilasciare l’assenso edilizio
in sanatoria allorquando sia regolarmente
richiesto in relazione ad opere già
realizzate abusivamente ma conformi alle
norme urbanistiche vigenti al momento del
rilascio.
Si tratta, tuttavia, del più generale
istituto della concessione postuma -diverso
dalla sanatoria per accertamento di
conformità specificamente disciplinata
dall’art. 13 della L. 28.02.1985 n. 47- al
quale, ove, come nella specie, di esso il
privato non si sia a suo tempo avvalso, non
è consentito al giudice fare ricorso,
sostanzialmente esercitando in tal modo un
potere di cui l’Amministrazione ben può
ancora far uso
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.05.2006 n. 3267 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento di sanatoria in esito ad
accertamento di conformità può essere
rilasciato solo al ricorrere del duplice
presupposto richiamato all’articolo 36 del
T.U. n. 380 del 2001 in materia edilizia.
In aggiunta all’accertamento di doppia
conformità -tanto alla normativa urbanistica
vigente al momento della realizzazione
dell'opera quanto a quella vigente al
momento della domanda– previsto a regime
dall’art. 13 della legge n. 47 del 1985, un
indirizzo giurisprudenziale ha ammesso una
più ampia possibilità di sanatoria per le
opere difformi dalla normativa urbanistica
vigente al momento dell’abuso ma conformi a
quella successivamente intervenuta (cfr. V
Sez. 13.02.1995 n. 238 nonché V sez.
21.10.2003, n. 6498).
In tal senso è stato osservato che la regola
desumibile dalle disposizioni citate non
preclude il diritto ad ottenere la
concessione in sanatoria di opere che,
realizzate senza concessione o in difformità
dalla concessione, siano conformi alla
normativa urbanistica vigente al momento in
cui l'Autorità comunale provvede sulla
domanda di sanatoria, non essendovi nessuna
ragione di ritenere che l'ordinamento
imponga di demolire un'opera prima di
ottenere la concessione per realizzarla
nuovamente (V Sez. n. 6498 del 2003 cit.).
Secondo un opposto orientamento, diffuso
soprattutto in primo grado, con la legge n.
47 del 1985 è entrata in vigore una
disciplina esaustiva e puntuale delle
ipotesi di sanatoria, anche ai fini
amministrativi, che non lascia alcun margine
interpretativo.
Secondo tale impostazione, il principio di
conservazione dei valori –che farebbe
ritenere illogica la demolizione dell'opera,
quando la stessa potrebbe essere autorizzata
sulla base della sopravvenuta strumentazione
urbanistica- deve quindi retrocedere
dinnanzi al principio costituzionale di
legalità, che impone la necessaria e stretta
osservanza della disciplina dettata dalla
legge (cfr. per tutte TAR Toscana, III Sez.,
15.04.2002, n. 724, e TAR Veneto, II Sez.,
20.02.2003, n. 1498).
Al riguardo il Collegio osserva che la
concessione in sanatoria è un provvedimento
tipico, che elimina l'antigiuridicità
dell'abuso, estinguendo il potere repressivo
dell'Amministrazione, con la conseguenza che
il suo ambito di applicazione non può che
essere specificamente disciplinato dalla
normativa, non risultando consentito
l'esercizio, da parte dell'Amministrazione,
di un potere di sanatoria che vada oltre i
limiti imposti dal Legislatore.
A ciò deve aggiungersi, soprattutto, che il
T.U. n. 380 del 2001, continuando a
postulare (art. 36) l’accertamento di
duplice conformità nei termini già divisati
dall’art. 13 della legge n. 47 del 1985, non
ha recepito la possibilità di sanatoria di
cui si discute, nonostante che la
possibilità di riconoscere a livello
normativo l’ammissibilità, entro certi
limiti, di tale istituto giurisprudenziale
fosse stata espressamente prospettata tra
l’altro dall’Adunanza Generale di questo
Consiglio di Stato nel parere all’uopo reso
in data 29.03.2001.
Non avendo il Legislatore, per le ragioni
indicate nella Relazione, ritenuto di poter
valorizzare tale opzione, deve concludersi
–per le esposte ragioni testuali e
sistematiche- nel senso che il provvedimento
di sanatoria in esito ad accertamento di
conformità può essere rilasciato solo al
ricorrere del duplice presupposto richiamato
all’articolo 36 del T.U. n. 380 del 2001 in
materia edilizia
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.04.2006 n. 2306 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2005 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Ciò
che conta, ai fini del rilascio della
concessione in sanatoria (ex art. 36 dpr
380/2001) è la conformità
urbanistico-edilizia al momento del rilascio
del titolo, in quanto non avrebbe senso
demolire ciò che può essere assentito e
quindi legittimamente ricostruito subito
dopo.
Quanto alla c.d. doppia conformità,
testualmente richiesta dall’art. 13 della
legge 47/1985, questo Tribunale in alcune
pronunce ha affermato che ciò che conta, ai
fini del rilascio della concessione in
sanatoria è la conformità
urbanistico-edilizia al momento del rilascio
del titolo, in quanto non avrebbe senso
demolire ciò che può essere assentito e
quindi legittimamente ricostruito subito
dopo.
Tale orientamento (c.d. sanatoria
giurisprudenziale, che non viene più seguito
dalla prevalente giurisprudenza) deve essere
applicato con grande cautela, soprattutto di
fronte a significative trasformazioni del
territorio ed in presenza di vincoli di tipo
diverso e sopraordinato rispetto a quelli
urbanistici.
Nel caso in esame può tuttavia essere
confermato, stante l’assenza di vincoli
paesaggistici o ambientali sull’area in
questione (cfr. relazione tecnica, citata) e
l’oggettiva ridotta dimensione delle opere
(il che non esime dalla necessità del titolo
autorizzatorio edilizio, né rende meno
doverosa la previa verifica dell’impatto che
da esse deriva alla luce dei valori tutelati
dalle previsioni del P.R.G.)
(TAR Umbria,
sentenza 08.09.2005 n. 431 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' inutile fa demolire
un'opera abusiva che sia conforme alla
normativa vigente all'atto di presentazione
della istanza di sanatoria e non anche a
quella vigente al momento di realizzazione
dell'abuso.
Non vi è
ragione di far demolire una
costruzione realizzata abusivamente, ma
conforme alla disciplina vigente, per poi
dover consentire, non potendosi negare la
concessione edilizia per opere conformi alla
normativa urbanistica in vigore, la
edificazione di una costruzione identica a
quella di cui si è ordinata la demolizione.
L’art. 13 della legge n. 47 del 1985, che
richiede la doppia conformità delle opere
realizzate abusivamente e, cioè, che le
stesse siano conformi sia agli strumenti
urbanistici vigenti al momento della loro
realizzazione sia a quelli in vigore al
momento della presentazione della domanda di
sanatoria e che non siano in contrasto con
gli strumenti urbanistici eventualmente
adottati nei due momenti è stato
interpretato dalla giurisprudenza della
Sezione nel senso che la norma non ha voluto
limitare il campo delle opere sanabili alla
loro conformità agli strumenti urbanistici
vigenti al momento del rilascio della
concessione in sanatoria, ma nel senso che
anche opere non più conformi alla normativa
vigente sono ugualmente sanabili se erano
conformi alla normativa in vigore al momento
della presentazione della domanda di
sanatoria.
La norma è stata ritenuta come norma di
salvaguardia contro l’inerzia
dell’amministrazione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 19.04.2005 n. 1796 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2004 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
L. Romanucci, La
c.d. "sanatoria giurisprudenziale" (link a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
sanatoria giurisprudenziale dei manufatti
abusivi (art. 13 l. n. 47/1985, ora art. 36
dpr. n. 380/2001).
In linea
teorica, la sanatoria degli atti
amministrativi illegittimi, promanante
dal-la stessa Autorità emanante l’atto da
emendare, avente efficacia ex tunc
(salva l’ipotesi dell’incidenza sfavorevole
dell’atto nel campo dei diritti soggettivi
al-trui: cfr. ad es. Cons. St., V,
16.10.1965, n. 1019) e che la migliore
dottrina tradizionalmente limita agli atti
invalidi per mancanza di un presupposto di
legittimità ovvero per il mancato compimento
di un atto del procedimento, deve essere
tenuta distinta dalla sanatoria di attività
illecita, nell’ambito della quale rientra
evidentemente la fattispecie edilizia,
avente ad oggetto un’attività materiale
posta in essere da un soggetto estraneo alla
Pubblica Amministrazione, priva del
necessario titolo abilitativo e con effetti
ex nunc.
A differenza dell'ipotesi di sanatoria
relativa agli atti amministrativi,
riconosciu-ta pacificamente alla stregua di
un istituto generale applicabile astratto,
pur nei limiti individuati, ad alcune
tipologie di atti (proposte, approvazioni,
autorizza-zioni ed accertamenti tecnici),
l’assenza di un analogo approfondimento
teorico e la presenza di singole ipotesi
oggetto di specifica ed espressa disciplina
portano ad escludere lo stesso carattere di
generalità per la sanatoria di attività
illecita.
In termini generali, d’altra parte, ogni
regola imposta legittimamente
dall’ordinamento ed ogni conseguente sistema
sanzionatorio mal si concilierebbero con la
generalizzata previsione della sanabilità
delle attività abusive, poste in essere in
violazione delle regole dettate
dall’ordinamento.
Ciò vale altresì alla luce degli interessi
pubblici ed ai principi sottesi alla tutela
del territorio ed al corretto utilizzo dello
stesso, nonché al fine di evitare
strumentalizzazioni in ordine al corretto
esercizio del primario potere di
pianificazione.
La norma dell’art. 13 L. n. 47/1985
costituisce proprio un’applicazione
specifica ed eccezionale e,
conseguentemente, non estendibile in via
analogica al di fuori dei presupposti dalla
stessa dettati di tale sanatoria di attività
illecite.
Inoltre, si è avuto modo di ricordare come
la medesima disposizione abbia costituito il
meditato e consapevole punto di arrivo di
un’evoluzione normativa e dottrinale che ha
inteso limitare l’applicabilità
dell'istituto in esame alle ipotesi
inquadrabili nella c.d. doppia conformità;
la discrezionalità del Legislatore si è
manifestata, in conformità al principio di
ragionevolezza trattandosi di attività
abusiva, al fine di limitare l’operatività
della sanatoria rispetto a quanto
anteriormente opinato.
La specialità della norma in esame e
l’assenza di un generale ed indistinto
prin-cipio di sanabilità dell’attività
illecita non può tuttavia far dimenticare
quelle che sono le motivazioni sottese
all’orientamento favorevole alla c.d.
sanatoria giurisprudenziale: in particolare,
l’incongruenza derivante dal disporre la
demolizione di opere, di cui viene chiesta
la concessione, per poi farle ricostruire
conformemente alla domanda (Cons. St., V,
13.02.1995, n. 238).
Se è pur vero che potrebbe apparire prima
facie illogico demolire qualcosa che si
potrebbe successivamente costruire ex
novo sulla scorta della nuova
pianificazione, è altrettanto vero che la
contestata demolizione riguarda l’esercizio
della successiva e distinta attività
sanzionatoria, non il procedimento di
rilascio della concessione strettamente
inteso.
Come ormai riconosciuto dalla prevalente
opinione giurisprudenziale, si tratta di due
procedimenti comunque distinti pur se
connessi, tanto è vero che, ad esempio, la
presentazione della domanda di sanatoria
rende improcedibile il ricorso avverso la
sanzione (TAR Sicilia-Palermo, II,
18.12.2001, n. 2102), dovendo il
procedimento relativo a quest’ultima
eventualmente riprendere successivamente al
diniego di concessione (TAR
Calabria-Catanzaro, II, 07.06.2001 n. 912).
Nella medesima direzione la giurisprudenza
ha più volte ribadito la necessità di
esplicare le ragioni sottese alla scelta
della sanzione in rapporto alle
caratteristiche specifiche dell’opera in
contestazione ed al suo inserimento
nell’esistente (TAR Liguria, I, 10.01.2002,
n. 12).
Sulla base di quanto sopra, quindi, se da un
lato non è possibile, né necessario, forzare
una norma espressa o i principi
dell’ordinamento in tema di sanatoria,
dall’altro lato la Pubblica Amministrazione
è comunque titolare di un potere autonomo e
ampiamente discrezionale relativo alla
conseguente e connessa, pur se distinta,
attività sanzionatoria, nell’ambito della
quale si inserisce la conseguenza, nel caso
in esame denunciata come irrazionale, della
demolizione.
Al riguardo, proprio l’autonomia del
procedimento sanzionatorio e l’obbligo di
motivazione connesso costituiscono il
momento in cui l’ordinamento consente di
valutare l’applicazione della sanzione
conforme all’ordinamento, rimettendo
pertanto la concreta individuazione della
sanzione alla determinazione discrezionale
della stessa Amministrazione
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 18.10.2004 n. 2506 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La
cosiddetta "sanatoria giurisprudenziale" è
incompatibile con la sopravvenuta disciplina
della sanatoria introdotto dalla legge n. 47
del 1985 che, con il requisito di
ammissibilità della sola doppia conformità
al piano regolatore generale, ammettendo
pertanto la sanatoria soltanto per le opere
realizzate senza concessione ma conformi
alla disciplina vigente sia al momento della
realizzazione del manufatto sia al momento
della richiesta del provvedimento di
sanatoria, ha inteso impedire il rischio di
eventuali pratiche di salvataggio in sede
locale di forme di abusivismo edilizio
mediante modifiche a posteriori dello
strumento urbanistico.
Si richiama il
cosiddetto istituto della "sanatoria
giurisprudenziale" che si avrebbe quando
l'opera è stata realizzata abusivamente ma,
per effetto del mutamento di strumenti
urbanistici, risulta regolare in relazione
alla sopravvenuta disciplina vigente al
momento della richiesta di sanatoria. In
effetti, la tesi del ricorrente richiama
l'orientamento giurisprudenziale minoritario
il quale, tuttavia, non è condiviso da
questo tribunale. Infatti la cosiddetta
"sanatoria giurisprudenziale" è
incompatibile con la sopravvenuta disciplina
della sanatoria introdotto dalla legge n. 47
del 1985 che, con il requisito di
ammissibilità della sola doppia conformità
al piano regolatore generale, ammettendo
pertanto la sanatoria soltanto per le opere
realizzate senza concessione ma conformi
alla disciplina vigente sia al momento della
realizzazione del manufatto sia al momento
della richiesta del provvedimento di
sanatoria, ha inteso impedire il rischio di
eventuali pratiche di salvataggio in sede
locale di forme di abusivismo edilizio
mediante modifiche a posteriori dello
strumento urbanistico (vedi TAR Bologna,
sez. II, n. 194 del 2002; n. 1833 del 2002;
n. 1058 del 2003).
Infatti, tale figura di sanatoria
"giurisprudenziale" sembrava configurabile
nella normativa previgente che, al
dodicesimo comma dell'articolo 15 della
legge n. 10 del 1977 si limitava, secondo
l'opinione dominante, a liberalizzare alcune
varianti di importanza secondaria a progetti
edilizia assentiti, senza disciplinare la
complessiva problematica della sanatoria
amministrativa di interventi abusivi, la
quale, pertanto, veniva ritenuta possibile,
dalla giurisprudenza, in caso di conformità
con gli strumenti urbanistici vigenti al
momento della pronuncia sulla domanda di
sanatoria e ciò al fine di evitare inutili
distruzioni di ricchezza. Invece, al
contrario, come sopra evidenziato, la legge
n. 47 del 1985 ha predisposto una disciplina
esaustiva e puntuale delle ipotesi
sanatoria, anche ai fini amministrativi, non
lasciando alcun margine interpretativo per
consentire la sopravvivenza della sanatoria
"cosiddetta giurisprudenziale". Infatti, la
concessione in sanatoria è un provvedimento
tipico, che elimina l'antigiuridicità
dell'abuso, estinguendo il reato ed il
potere repressivo dell'amministrazione, per
cui la sua applicazione ed i suoi limiti non
possono che essere specificamente
disciplinati dalla normativa. Né appare
possibile l'esercizio, da parte
dell'amministrazione, di un potere di
sanatoria che vada oltre i limiti imposti
dal legislatore, anche perché non sarebbe
ammissibile una interpretazione finalizzata
alla protezione di interessi privati
scaturenti da comportamenti antigiuridici,
che permetterebbe, oltretutto, la
possibilità di usufruire delle modifiche
della regolamentazione urbanistica idonee a
legittimare l’edificazione abusiva
addirittura fino all'esecuzione della
definitiva sanzione della demolizione
(TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 15.01.2004 n. 16 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2003 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Non
v'è nessuna ragione di ritenere che
l’ordinamento imponga di demolire un’opera
prima di ottenere la concessione per
realizzarla nuovamente; sicché, un opera
abusiva conforme allo strumento urbanistico
all'atto di presentazione della relativa
istanza può essere sanata.
Il Collegio non
può che confermare i propri precedenti
secondo cui gli articoli 13 e 15 della legge
28.02.1985 n. 47, i quali richiedono, per la
sanatoria rispettivamente delle opere
eseguite senza concessione e delle varianti
non autorizzate, che l’opera sia conforme
tanto alla normativa urbanistica vigente al
momento della realizzazione dell’opera
quanto a quella vigente al momento della
domanda di sanatoria, sono disposizioni
contro l’inerzia dell’amministrazione, e
significano che, se sussiste la doppia
conformità, a colui che ha richiesto la
sanatoria non può essere opposta una
modificazione della normativa urbanistica
successiva alla presentazione della domanda.
Tale regola non preclude il diritto ad
ottenere la concessione in sanatoria di
opere che, realizzate senza concessione o in
difformità dalla concessione, siano conformi
alla normativa urbanistica vigente al
momento in cui l’autorità comunale provvede
sulla domanda di sanatoria; non essendovi
nessuna ragione di ritenere che
l’ordinamento imponga di demolire un’opera
prima di ottenere la concessione per
realizzarla nuovamente
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.10.2003 n. 6498 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: V'è
l'obbligo di negare la concessione in
sanatoria, ex art. 13 L. 47/1985, se manca
la conformità agli strumenti urbanistici sia
al momento della realizzazione dell'opera,
sia al momento della presentazione della
domanda.
L'Amministrazione Comunale è vincolata a
negare la concessione in sanatoria, ex art.
13 L. 47/1985 se manca la conformità agli
strumenti urbanistici sia al momento della
realizzazione dell'opera, sia al momento
della presentazione della domanda, né può
configurarsi alcuna ipotesi diversa di
sanatoria (c.d. "giurisprudenziale") che
ricorrerebbe ogni qualvolta vi sia
conformità alla sola normativa vigente al
momento del rilascio della concessione, ma è
in contrasto insuperabile con le
disposizioni di legge sopra citate
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 20.02.2003 n. 1498 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2002 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Non
sembra ammissibile l’istituto della c.d.
sanatoria giurisprudenziale, quale ipotesi
generalizzata di sanatoria di opere
realizzate abusivamente ma conformi alla
disciplina urbanistica vigente, in quanto da
un lato comporterebbe che ogni ipotesi di
abuso edilizio potrebbe essere in ogni tempo
sanato dal sopravvenire di una disciplina
urbanistica con la quale esso non si trovi
in contrasto e dall’altro l’istituto della
concessione in sanatoria di cui all’art. 13
della legge n. 47/1985 –che contempla
l’unica ipotesi di sanatoria ‘a regime’
prevista dall’ordinamento del settore– non
contiene alcuna deroga che possa legittimare
un caso di sanatoria al di fuori delle
condizioni da esso prescritte.
L'istituto della c.d. sanatoria
giurisprudenziale, pur affermato in qualche
isolata pronuncia (Cons. St., V, 13.02.1995
n. 238), non è previsto da alcuna norma
dell'ordinamento ed, anzi, dopo
l'introduzione legislativa dell'istituto
della sanatoria ordinaria, prevista
dall'art. 13 della legge 28.2.1985 n. 47,
non sembra ammissibile come ipotesi
generalizzata di sanatoria di opere
realizzate abusivamente.
Infatti, fuori delle condizioni prescritte
dal citato art. 13, che l'opera sia conforme
agli strumenti urbanistici vigenti sia al
momento della sua realizzazione sia al
momento della presentazione della domanda e
che sia non in contrasto con gli strumenti
urbanistici adottati a tali due epoche, non
è ammissibile il rilascio di una concessione
in sanatoria.
L'istituto previsto dalla legge, in altri
termini, vale solo nei casi di abuso
formale, cioè a dire di opera realizzata
senza titolo.
Nella fattispecie, si tratta invece di opere
sostanzialmente abusive, tanto è vero che la
precedente istanza di sanatoria avanzata ex
art. 13 della legge n. 47/1985 è stata
respinta dall'amministrazione proprio sul
presupposto dell'insussistenza delle
condizioni prescritte dalla legge (la c.d.
doppia conformità urbanistica).
In altri termini, la circostanza che l'opera
di che trattasi sia conforme alla disciplina
urbanistica vigente non vale, di per sé, a
far sorgere in capo all'amministrazione
l'obbligo di pronunciarsi sull'istanza di
rilascio della concessione edilizia in
sanatoria dopo che la stessa amministrazione
si sia pronunciata sull'istanza di sanatoria
formulata ex art. 13 L. n. 47/1985.
Diversamente opinando, si dovrebbe ritenere
che sussista l'obbligo dell'amministrazione
di pronunciarsi su qualsivoglia domanda di
sanatoria ogni qualvolta questa sia fondata
sull'asserita conformità dell'opera allo
strumento urbanistico vigente.
Il che varrebbe a ritenere che ogni ipotesi
di abuso edilizio, cioè non preceduto da
titolo legittimante, potrebbe essere in ogni
tempo sanato dal sopravvenire di una
disciplina urbanistica con la quale esso non
si trovi in contrasto.
Tale conclusione comporterebbe, altresì, che
l'istituto della concessione in sanatoria di
cui all'art. 13 della legge n. 47/1985
troverebbe applicazione solo nei casi in cui
l'opera fosse in contrasto con la disciplina
urbanistica vigente al momento dell'adozione
della concessione in sanatoria e, tuttavia,
fosse stato conforme agli strumenti
urbanistici vigenti, e non in contrasto con
quelli adottati, sia al momento della sua
realizzazione sia al momento della
presentazione della relativa domanda di
sanatoria.
Una tale conseguenza, tuttavia, non è
autorizzata dalla costante interpretazione
giurisprudenziale dell'art. 13 della legge
n. 47/1985, che, da una parte, contempla
l'unica ipotesi di sanatoria "a regime"
prevista dall'ordinamento di settore e,
dall'altra, non contiene alcuna deroga che
possa legittimare un caso di sanatoria al di
fuori delle condizioni da esso prescritte.
Né si rinviene alcun principio
dell'ordinamento tale da legittimare una
diversa conclusione.
La sanatoria è, di per sé, un istituto
eccezionale, sicché l'interpretazione della
norma che la prevede non può che essere
rigorosa e la sua applicazione deve essere
contenuta in limiti ristretti
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 14.06.2002 n. 1245 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sanatoria c.d. giurisprudenziale
– Inammissibilità - Interpretazione
estensiva dell’art. 13 L. 47/1985 -
Esclusione.
Non sembra ammissibile l’istituto della c.d.
sanatoria giurisprudenziale, quale ipotesi
generalizzata di sanatoria di opere
realizzate abusivamente ma conformi alla
disciplina urbanistica vigente, in quanto da
un lato comporterebbe che ogni ipotesi di
abuso edilizio potrebbe essere in ogni tempo
sanato dal sopravvenire di una disciplina
urbanistica con la quale esso non si trovi
in contrasto e dall’altro l’istituto della
concessione in sanatoria di cui all’art. 13
della legge n. 47/1985 –che contempla
l’unica ipotesi di sanatoria ‘a regime’
prevista dall’ordinamento del settore– non
contiene alcuna deroga che possa legittimare
un caso di sanatoria al di fuori delle
condizioni da esso prescritte (TAR toscana,
Sez. III,
sentenza 14.06.2002 n. 1245 -
link a www.giurisprudenzaamministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sanatoria c.d. giurisprudenziale
– Inammissibilità - Interpretazione
estensiva dell’art. 13 L. 47/1985 -
Esclusione.
La legge n. 47/1985 ha predisposto una
disciplina esaustiva e puntuale delle
ipotesi di sanatoria, anche ai fini
amministrativi, non lasciando alcun margine
interpretativo per consentire la
sopravvivenza della c.d. sanatoria
giurisprudenziale (che sembrava
configurabile nella normativa previgente in
relazione al dodicesimo comma dell’art. 15
della legge n. 10/1977) in quanto la
concessione in sanatoria è un provvedimento
tipico che non permette all’amministrazione
di esercitare il relativo potere oltre i
limiti imposti dal legislatore, altrimenti
risulterebbe un’interpretazione finalizzata
alla protezione degli interessi privati
scaturenti da comportamenti antigiuridici
(peraltro consentendo di usufruire delle
modifiche della regolamentazione
urbanistica, idonee a legittimare
l’edificazione abusiva, addirittura fino
alla esecuzione della definitiva sanzione
della demolizione).
Pertanto l'art. 13 legge 47/1985 non può che
essere interpretata se non nel senso di
delimitare il potere dovere
dell'amministrazione di provvedere
all'erogazione delle misure sanzionatorie
negli stretti limiti temporali indicati
dalla norma, posto che il principio di cui
all'articolo 97 della Costituzione, che
farebbe ritenere illogica la demolizione
dell'opera, quando la stessa potrebbe essere
autorizzata sulla base della sopravvenuta
strumentazione urbanistica, deve, comunque,
retrocedere dinnanzi all'altro principio
generale, di rango costituzionale, e cioè,
il principio di legalità, che impone la
necessaria e stretta osservanza della
disciplina dettata dalla legge per la
sanatoria delle opere abusive (TAR Toscana,
Sez. III,
sentenza 15.04.2002 n. 724 - link
a www.giurisprudenzaamministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
concessione in sanatoria, ai sensi
dell'articolo 13 della legge n. 47/1985,
costituisce atto dovuto quando l'opera "è
conforme a gli strumenti urbanistici
generali e di attuazione approvati e non in
contrasto con quelli adottati, sia al
momento della realizzazione dell'opera, sia
al momento della presentazione della
domanda".
La concessione in sanatoria, ai sensi
dell'articolo 13 della legge n. 47/1985,
costituisce atto dovuto quando l'opera "è
conforme a gli strumenti urbanistici
generali e di attuazione approvati e non in
contrasto con quelli adottati, sia al
momento della realizzazione dell'opera, sia
al momento della presentazione della domanda".
Pertanto, l'amministrazione è vincolata a
negarla, se non ricorrono le predette
ipotesi.
Non può, peraltro, condividersi la tesi
secondo la quale, accanto alla fattispecie
di sanatoria prevista dalla citata norma,
che elimina anche gli effetti penali
dell'abuso edilizio, sussisterebbe anche una
seconda specie di sanatoria (c.d: sanatoria
giurisprudenziale), che ricorrerebbe ogni
qualvolta vi sia conformità dell'opera
realizzata abusivamente, alla normativa
urbanistica vigente al momento del rilascio
della concessione.
Tale figura di sanatoria sembrava, infatti,
configurabile nella normativa previgente
che, al dodicesimo comma dell'articolo 15
della legge n. 10/1977, si limitava, secondo
l'opinione dominante, a liberalizzare alcune
varianti di importanza secondaria a progetti
edilizi assentiti, senza disciplinare la
complessiva problematica della sanatoria
amministrativa degli interventi abusivi, la
quale, pertanto, veniva ritenuta possibile,
dalla giurisprudenza, in caso di conformità
con gli strumenti urbanistici vigenti al
momento della pronuncia sulla domanda di
sanatoria, e ciò, al fine di evitare inutili
distruzioni di ricchezza.
Al contrario, la legge n. 47/1985 ha
predisposto una disciplina esaustiva e
puntuale delle ipotesi di sanatoria, anche
ai fini amministrativi, non lasciando alcun
margine interpretativo per consentire la
sopravvivenza della sanatoria c.d.
giurisprudenziale, non potendo, certo,
ritenersi che la norma possa interpretarsi
soltanto come una norma di salvaguardia
contro l'inerzia amministrativa, al fine di
rendere "inopponibili, al richiedente, i
mutamenti degli strumenti urbanistici" (come
ritenuto da C.S., V, n. 238/1995).
Infatti, la concessione in sanatoria è un
provvedimento tipico, che elimina
l'antigiuridicità dell'abuso, estinguendo il
reato ed il potere repressivo
dell'amministrazione per cui, la sua
applicazione ed i suoi limiti non possono,
che essere specificamente disciplinati dalla
normativa, né appare possibile l'esercizio,
da parte dell'amministrazione, di un potere
di sanatoria che vada oltre i limiti imposti
dal legislatore, anche perché non sarebbe
ammissibile una interpretazione finalizzata
alla protezione di interessi privati
scaturenti da comportamenti antigiuridici,
che permetterebbe, oltretutto, la
possibilità di usufruire delle modifiche
della regolamentazione urbanistica idonee a
legittimare l'edificazione abusiva,
addirittura, fino alla esecuzione della
definitiva sanzione della demolizione.
Pertanto, la norma in esame non può che
essere interpretata se non nel senso di
delimitare il potere dovere
dell'amministrazione di provvedere
all'erogazione delle misure sanzionatorie
negli stretti limiti temporali indicati
dalla norma, posto che, il principio di cui
all'articolo 97 della Costituzione, che
farebbe ritenere illogica la demolizione
dell'opera, quando la stessa potrebbe essere
autorizzata sulla base della sopravvenuta
strumentazione urbanistica, deve, comunque,
retrocedere dinnanzi all'altro principio
generale, di rango costituzionale, e cioè,
il principio di legalità, che impone la
necessaria e stretta osservanza della
disciplina dettata dalla legge per la
sanatoria delle opere abusive
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 15.04.2002 n. 724 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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