dossier DISTANZA DAGLI
ALLEVAMENTI ANIMALI |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: L’obbligo
di isolamento delle lavorazioni insalubri
non implica che le zone agricole limitrofe
debbano rimanere tali.
La presenza di un
allevamento non impedisce che siano rese
edificabili le aree poste all’interno dei
distacchi minimi previsti dal regolamento
locale di igiene.
Più precisamente, l’indicazione di principio
contenuta nell’art. 216 del RD 1265/1934,
secondo cui le lavorazioni insalubri di
prima classe, tra cui gli allevamenti (v. DM
05.09.1994, punto C-1), devono essere
isolate nelle campagne, non implica che le
zone agricole, o comunque inedificabili,
attorno agli allevamenti debbano rimanere
tali. La pianificazione urbanistica può
sempre espandere l’abitato verso le aree
libere. Sono poi le singole costruzioni a
subire le limitazioni causate dagli
allevamenti preesistenti, con esiti che
richiedono una valutazione caso per caso.
Del resto, l’art. 216, comma 5, del RD 1265/1934 consente che una
lavorazione insalubre di prima classe venga
esercitata in un contesto abitato, se con
“l'introduzione di nuovi metodi o speciali
cautele” è possibile evitare rischi per la
salute dei residenti. Reciprocamente,
quindi, le zone edificabili possono essere
avvicinate agli allevamenti, salva la
necessità di valutare poi, in relazione ai
singoli progetti, le soluzioni più adatte a
evitare interferenze.
Qui si inserisce il potere di deroga alle
norme sulle distanze minime, finalizzato
alla ricerca di una tutela equivalente della
salute delle persone. Nello specifico, il
potere di deroga, che costituisce
espressione di un principio generale, è
codificato nell’art. 3.10.8 del regolamento
locale di igiene.
Se dunque la variante al PGT
(nella parte in cui è stato previsto nei
pressi dell’allevamento, e a distanza
inferiore a quella minima, un Ambito di
Trasformazione destinato a servizi pubblici
e di interesse pubblico)
deve essere considerata
legittima, ricade sui singoli titoli edilizi
il compito di trovare un equilibrio in
concreto tra gli interessi meritevoli di
tutela.
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... per l'annullamento:
- del permesso a costruire n. 31/2019 di data 27.06.2019,
relativo ai lavori di manutenzione
straordinaria dell’allevamento suinicolo
situato lungo la strada consortile delle
Gavrine, nella parte in cui interdice la
possibilità di tenere gli animali, mancando
la distanza minima dalle zone edificate o
edificabili prevista dall'art. 3.10.5 del
regolamento locale di igiene;
- della deliberazione consiliare n. 29 di data 22.06.2016, con
la quale è stata approvata una variante al PGT, nella parte in cui è stato previsto nei
pressi dell’allevamento, e a distanza
inferiore a quella minima, l’Ambito di
Trasformazione 17, destinato a servizi
pubblici e di interesse pubblico;
...
1. I ricorrenti sono proprietari di un
allevamento suinicolo di circa 1.800 mq,
situato nel Comune di Manerbio. La struttura
è presente dagli anni Sessanta, e
inizialmente era gestita dal padre dei
ricorrenti.
2. In data 30.11.2006 i ricorrenti,
modificando e integrando un precedente
contratto, hanno nuovamente concesso in
affitto l’allevamento alla società agricola
La Fi.. In seguito, è stato stipulato un
contratto di affitto in data 11.02.2016 con l’azienda agricola De.So.. Quest’ultimo contratto è stato poi risolto,
dapprima parzialmente e poi integralmente
con effetto dal 28.02.2018.
3. All’allevamento gestito dalla società
agricola La Fi. la ASL di Brescia ha
attribuito il codice di identificazione n.
103BS038/1 dal 01.08.1997 al 30.04.2014. All’allevamento gestito dall’azienda
agricola De.So. la ATS di Brescia ha
attribuito il codice di identificazione n.
103BS038/2 dal 25.02.2016 al 04.07.2016, il codice di identificazione n.
103BS038/3 dall’11.07.2016 al 18.01.2017, e il codice di identificazione n.
103BS038/4 dal 19.01.2017 al 25.01.2018 (v. doc. 8 di parte ricorrente).
4. In data 12.04.2019 i ricorrenti hanno
chiesto al Comune il rilascio di un permesso
di costruire per interventi di manutenzione
straordinaria sulle strutture
dell’allevamento.
5. Il responsabile dell’Area Tecnica, con
nota di data 14.05.2019, ha comunicato
il preavviso di diniego, richiamando il
parere emesso dalla ATS di Brescia il 09.05.2019. Il suddetto parere si esprime
negativamente per le seguenti ragioni:
(a) le opere di manutenzione “in realtà sono destinate alla
costituzione di un nuovo ipotetico
allevamento (di cui non è stato indicato il
numero di capi e/o di peso vivo che si
intende allevare), in quanto il precedente,
intestato a Soc. Ag. «La Fi.»,
risulta dismesso dal 30.04.2014”;
(b) non è rispettata la disciplina sulle distanze, in quanto “si
rileva la presenza di un nucleo di edifici
per attività commerciali a distanza
inferiore a quelle previste dal decreto n.
173 del [19.03.2015] dell'ex ASL di Brescia:
tali edifici risultano preesistenti alla
prima formulazione del suddetto decreto
(delibera n. 797 del 17.11.2003), che
prevede delle distanze di almeno m. 200
(fino a un peso vivo max allevabile di 10 T)
o di 500 m. (oltre le 10 T) tra nuclei
residenziali, commerciali, attività
terziarie esistenti e nuovi allevamenti e/o
loro pertinenze, anche in senso reciproco”;
(c) il progetto inoltre è incompleto, in quanto “non è stata
presentata una relazione agronomica con
indicate almeno le modalità di raccolta,
stoccaggio e smaltimento degli effluenti di
allevamento che si intende attuare; in
particolare se si abbia intenzione di
smaltirli su suolo agricolo a scopo
agronomico, previa fermentazione aerobica in
vasche o, in alternativa, di conferirli in
maniera continua presso un impianto
autorizzato alla trasformazione in biometano
per fermentazione anaerobica, unica modalità
di smaltimento [degli] effluenti aziendali
che renderebbe sostenibile un eventuale
allevamento suinicolo”.
6. In seguito alle controdeduzioni dei
ricorrenti, la ATS di Brescia ha modificato
la propria posizione, rilasciando un parere
favorevole. I passaggi del nuovo
pronunciamento sono i seguenti:
(a) in base all’art. 3, comma 4, del Dlgs. 26.10.2010 n. 200
(Attuazione della direttiva 2008/71/CE
relativa all'identificazione e alla
registrazione dei suini), gli allevamenti
continuano a essere presenti nella BDN
finché non sono trascorsi tre anni
consecutivi dall'uscita o dalla morte
dell'ultimo animale detenuto;
(b) dopo la scadenza, nel 2014, del codice identificativo
rilasciato alla società agricola La Fi.,
è stato attribuito, nel 2016, un codice
identificativo anche all’allevamento gestito
dall’azienda agricola De.So. “su
presentazione contestuale di SCIA al
competente SUAP, [alla] quale non ha fatto
seguito l'espressione di un parere negativo
da parte di codesto Spett.le Comune”;
(c) su questi presupposti, “l'allevamento che i richiedenti Sigg.
Ge. intendono riattivare è da
considerare come esistente; pertanto sulla
richiesta del PdC in oggetto, per opere di
manutenzione straordinaria della struttura
edilizia esistente, che non rispetta le
distanze minime previste dal decreto n. 173
del 19.03.2015 dell'ex ASL di Brescia,
interamente recepito nel regolamento
comunale di codesto Comune, vale quanto
prescritto nello stesso decreto: «Nel caso
di aziende agricole esistenti che non
rispettino i limiti di distanza fissati per
i nuovi allevamenti, sono ammessi interventi
edilizi, purché tali opere non comportino
una diminuzione delle distanze già in
essere»".
7. Nonostante il parere favorevole della
ATS, il responsabile dell’Area Tecnica, nel
rilasciare il permesso a costruire n.
31/2019 di data 27.06.2019, con il quale
si autorizzano i lavori di manutenzione
straordinaria, ha escluso la possibilità di
tenere gli animali all’interno
dell’allevamento. Più precisamente, è stata
esclusa la possibilità di riattivare un
allevamento di suini, in quanto non è
possibile rispettare il distanziamento
minimo dalle zone edificabili stabilito
dall'art. 3.10.5 del regolamento locale di
igiene, nella versione approvata dalla ASL
di Brescia con decreto n. 173 di data 19.03.2015.
8. La ragione per cui non possono essere
mantenute le distanze minime dalle zone
edificabili (200 metri nel caso di
allevamenti suinicoli con peso vivo fino a
10 tonnellate; 500 metri nel caso di
allevamenti suinicoli con peso vivo
superiore) è costituita dalla variante al
PGT approvata in via definitiva con
deliberazione consiliare n. 29 di data 22.06.2016. La suddetta variante ha infatti
interessato un terreno posto a meno di 200
metri dall’allevamento, collocandovi
l’Ambito di Trasformazione 17, destinato a
servizi pubblici e di interesse pubblico
(protezione civile e impianti sportivi – v.
doc. 6 e 10 del Comune).
9. Il problema della preesistenza
dell’allevamento è stato in effetti preso in
considerazione nel corso della procedura di
redazione della variante al PGT, avviata con
deliberazione della giunta n. 61 di data 30.06.2014. Tuttavia, il Comune, quando ha
adottato la variante con deliberazione
consiliare n. 60 del 21.12.2015, ha
ritenuto che la struttura fosse ormai dismessa, in quanto la ASL di Brescia, con
nota di data 29.04.2015 (v. doc. 7 del
Comune), aveva comunicato che l'attività di
allevamento della società agricola La
Fiorita (codice di identificazione n.
103BS038/1) era cessata il 30.04.2014.
10. Contro il permesso di costruire, nella
parte relativa al divieto di riattivare
l’allevamento, e contro la variante al PGT,
nella parte relativa all’Ambito di
Trasformazione 17, i ricorrenti hanno
presentato impugnazione, formulando anche
domanda di risarcimento per il periodo in
cui non è stata possibile la stabulazione.
Le censure possono essere sintetizzate come
segue:
(i) travisamento, in quanto la variante al PGT ha ignorato la
presenza dell’allevamento, che invece,
rientrando tra le lavorazioni insalubri di
prima classe, avrebbe dovuto rimanere
isolato in campagna ai sensi dell’art. 216
del RD 27.07.1934 n. 1265;
(ii) violazione dell’art. 12 del DPR 06.06.2001 n. 380, in
quanto il permesso di costruire non dovrebbe
contenere condizioni limitative, essendo
subordinato unicamente alle previsioni degli
strumenti urbanistici;
(iii) difetto di istruttoria, in quanto non è stato valutato il
secondo parere della ATS di Brescia,
favorevole ai ricorrenti, che riconosce la
preesistenza e la continuità
dell’allevamento, e indica quella che
dovrebbe essere considerata la corretta
interpretazione dell’art. 3.10.5 del
regolamento locale di igiene (ammissibilità
di nuovi interventi edilizi, senza ulteriore
riduzione delle distanze).
11. Il Comune si è costituito in giudizio,
chiedendo la reiezione del ricorso.
12. Sulle questioni rilevanti ai fini della
decisione si possono svolgere le seguenti
considerazioni:
(a) preliminarmente, si osserva che l’impugnazione della variante
al PGT è tempestiva, in quanto proposta
unitamente all’impugnazione dell’atto
applicativo. Solo in questa fase, quando è
ormai pubblica l’interpretazione che
l’amministrazione intende dare alla
disciplina urbanistica, diventa attuale
l’interesse a proporre ricorso, per ottenere
l’annullamento dello strumento urbanistico,
o per far accertare la fondatezza di una
diversa interpretazione;
(b) nel caso in esame, non vi sono i presupposti per annullare la
previsione dell’Ambito di Trasformazione 17,
perché in realtà la nuova disciplina
urbanistica può essere interpretata secondo
i principi della materia, in modo che tutti
gli interessi coinvolti, pubblici e privati,
trovino composizione, subendo solo le
limitazioni strettamente necessarie;
(c) il punto di partenza è la continuità dell’allevamento nel
passaggio dalla gestione della società
agricola La Fi. alla gestione
dell’azienda agricola De.So.. Tra i
vari codici di identificazione non
intercorre mai un periodo superiore a tre
anni, e dunque appare rispettata la
condizione posta dall’art. 3, comma 4, del Dlgs. 200/2010 per ravvisare un allevamento
ancora insediato, sia pure momentaneamente
non attivo. Nell’intervallo dei tre anni era
perfettamente ammissibile la ripresa
dell’attività, con la stessa o una diversa
gestione, ma in ogni caso con la garanzia
della qualifica di allevamento esistente;
(d) nella redazione della variante al PGT è stato quindi commesso
un errore, in quanto la nota della ASL di
Brescia del 29.04.2015 sulla cessazione
dell'attività di allevamento della società
agricola La Fi. non avrebbe dovuto
essere intesa come certificazione della
cancellazione dell’allevamento prima della
decorrenza del termine triennale;
(e) si tratta però di un errore innocuo, in quanto la presenza di
un allevamento non impedisce che siano rese
edificabili le aree poste all’interno dei
distacchi minimi previsti dal regolamento
locale di igiene. Più precisamente,
l’indicazione di principio contenuta
nell’art. 216 del RD 1265/1934, secondo cui
le lavorazioni insalubri di prima classe,
tra cui gli allevamenti (v. DM 05.09.1994, punto C-1), devono essere isolate
nelle campagne, non implica che le zone
agricole, o comunque inedificabili, attorno
agli allevamenti debbano rimanere tali. La
pianificazione urbanistica può sempre
espandere l’abitato verso le aree libere.
Sono poi le singole costruzioni a subire le
limitazioni causate dagli allevamenti
preesistenti, con esiti che richiedono una
valutazione caso per caso;
(f) del resto, l’art. 216, comma 5, del RD 1265/1934 consente che una
lavorazione insalubre di prima classe venga
esercitata in un contesto abitato, se con
“l'introduzione di nuovi metodi o speciali
cautele” è possibile evitare rischi per la
salute dei residenti. Reciprocamente,
quindi, le zone edificabili possono essere
avvicinate agli allevamenti, salva la
necessità di valutare poi, in relazione ai
singoli progetti, le soluzioni più adatte a
evitare interferenze. Qui si inserisce il
potere di deroga alle norme sulle distanze
minime, finalizzato alla ricerca di una
tutela equivalente della salute delle
persone. Nello specifico, il potere di
deroga, che costituisce espressione di un
principio generale, è codificato nell’art.
3.10.8 del regolamento locale di igiene;
(g) se dunque la variante al PGT deve essere considerata legittima,
ricade sui singoli titoli edilizi il compito
di trovare un equilibrio in concreto tra gli
interessi meritevoli di tutela. Per questa
parte il ricorso deve essere accolto, in
quanto il permesso di costruire, vietando la
reintroduzione degli animali, trascura la
continuità dell’allevamento, che era stata
puntualmente segnalata nel secondo parere
della ATS. Di conseguenza, è stata negata
senza giustificazione la tutela riconosciuta
dall’art. 3.10.5 del regolamento locale di
igiene, che, come parimenti segnalato dalla
ATS, non vieta gli interventi edilizi
finalizzati alla prosecuzione dell’attività
di allevamento, ma si limita a prescrivere
che non siano ridotte le distanze esistenti;
(h) la clausola inibitoria contenuta nel permesso di costruire deve
quindi essere annullata, non perché in
astratto non si possano applicare al titolo
edilizio condizioni o limitazioni, essendo
queste ultime, al contrario, uno strumento
di ordinaria utilizzazione in un contesto
regolatorio complesso, ma perché sussiste in
capo ai ricorrenti il diritto di
ripristinare l’attività di allevamento
interrotta da meno di tre anni;
(i) entro quali limiti e con quali modalità sia possibile
riattivare l’allevamento dovrà essere
stabilito dalla ATS, a cui spetta il compito
di valutare le criticità evidenziate nel
primo parere, in particolare per quanto
riguarda le modalità di smaltimento degli
effluenti aziendali. Il permesso di
costruire non può definire autonomamente le
questioni propriamente igienico-sanitarie, e
deve quindi fare rinvio alle valutazioni
dell’autorità competente in materia;
(j) poiché la stabulazione degli animali richiede il chiarimento
preliminare di questi profili, non vi sono i
presupposti per risarcire un danno da
ritardo nella ripresa dell’attività di
allevamento. Occorre poi sottolineare che,
essendo stato rilasciato il titolo edilizio,
i lavori di sistemazione delle strutture
aziendali avrebbero comunque potuto essere
eseguiti, e dunque per questa parte un
rallentamento imposto ai ricorrenti non è
neppure ravvisabile.
13. In conclusione, il ricorso deve essere
parzialmente accolto, nel senso che viene
annullata la clausola del permesso di
costruire riguardante il divieto di
riattivare l’allevamento. Viene inoltre
accertato il diritto di riattivare
l’allevamento, subordinatamente alla
soluzione delle questioni igienico-sanitarie
sopra evidenziate. Sono invece respinte le
altre domande, sia impugnatorie sia
risarcitorie (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 03.05.2021 n. 403 - link
a www.giustizia-amministraiva.it). |
anno 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA: M.
Viviani,
Allevamenti intensivi di
pollame o di suini
(27.07.2013).
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Ringraziamo l'amico Avv. Mario Viviani -del foro di
Milano- per l'utile
contributo.
29.07.2013 - LA SEGRETERIA PTPL |
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittima l'ordinanza sindacale che impone
lo spostamento di una concimaia troppo vicina alle
abitazioni tenuto conto che:
- il provvedimento impugnato non considera che l'attività di
allevamento della ricorrente ha acquisito una priorità d'uso
rispetto agli edifici residenziali realizzati ad una
distanza inferiore a cinquanta metri dalla concimaia di cui
si è ordinato lo spostamento;
- il regolamento locale di igiene, nel fissare le distanze
tra allevamenti e edifici residenziali, ed il cui scopo è
quello di ricercare un equo contemperamento tra le opposte
esigenze produttive delle attività di allevamento e che
determina l’obliterazione di possibili fonti di inquinamento
e pregiudizio per la salubrità delle aree residenziali, va
declinato con l’insistenza con lo ius edificandi dei
proprietari di immobili posti in prossimità di zone agricole
ma, in primo luogo, secondo il principio civilistico della
prevenzione temporale;
- pertanto appare incongruo l'ordine di spostamento della
vecchia concimaia anziché quello di adottare tutti gli
accorgimenti tecnici necessari per la tutela di carattere
igienico-sanitario indicati nella relazione agronomica a suo
tempo presentata dalla ricorrente o indicati dallo stesso
Comune (quali, ad esempio, la sistemazione della concimaia
stessa, da realizzare in materiale impermeabile a doppia
tenuta con vasca di contenimento del colaticcio; idonea
struttura di copertura atta ad impedire la diluizione con le
acque meteoriche; aggiunta di additivi di tipo biologico
enzimatico atti alla deodorizzazione dei reflui; utilizzo di
prodotti moschicidi).
... per l'annullamento dell'ordinanza del Sindaco 08.04.2005
n. 2 che impone al ricorrente di presentare entro 30 giorni
un progetto per nuova concimaia da insediare lontano dalle
abitazioni circostanti.
...
L’atto di cui in rubrica impone alla parte ricorrente la
costruzione di una nuova concimaia a tenuta ed altrimenti da
tenersi lontano dalle abitazioni circostanti.
La detta parte, pacificamente impegnata nel settore primario
dell’agricoltura, declina al riguardo la priorità temporale
d’uso della diversa concimaia in essere ed il travisamento
dei fatti per la inesatta percezione della vicenda e per il
fatto che la detta attività è presente in loco da moltissimo
tempo e perciò ancor prima dell’insediamento progressivo di
abitazioni nella zona circostante.
Il Comune non si è costituito in giudizio e, all’Udienza
Pubblica del 22/05/2013, la causa è stata spedita a sentenza.
Il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato.
Al riguardo
richiama le argomentazioni contenute, nella a suo tempo,
emessa ordinanza cautelare (911/2005) qui facendole proprie.
Ed invero in tale sede si affermava che:
- il ricorso appare assistito dal requisito del fumus boni
iuris nella parte in cui censura il provvedimento impugnato
per la mancata considerazione che l'attività di allevamento
della ricorrente ha acquisito una priorità d'uso rispetto
agli edifici residenziali realizzati ad una distanza
inferiore a cinquanta metri dalla concimaia di cui si è
ordinato lo spostamento;
- il regolamento locale di igiene, nel fissare le distanze
tra allevamenti e edifici residenziali, ed il cui scopo è
quello di ricercare un equo contemperamento tra le opposte
esigenze produttive delle attività di allevamento e che
determina l’obliterazione di possibili fonti di inquinamento
e pregiudizio per la salubrità delle aree residenziali, va
declinato con l’insistenza con lo ius edificandi dei
proprietari di immobili posti in prossimità di zone agricole
ma, in primo luogo, secondo il principio civilistico della
prevenzione temporale;
- pertanto appare incongruo l'ordine di spostamento della
vecchia concimaia anziché quello di adottare tutti gli
accorgimenti tecnici necessari per la tutela di carattere
igienico-sanitario indicati nella relazione agronomica a suo
tempo presentata dalla ricorrente o indicati dallo stesso
Comune (quali, ad esempio, la sistemazione della concimaia
stessa, da realizzare in materiale impermeabile a doppia
tenuta con vasca di contenimento del colaticcio; idonea
struttura di copertura atta ad impedire la diluizione con le
acque meteoriche; aggiunta di additivi di tipo biologico
enzimatico atti alla deodorizzazione dei reflui; utilizzo di
prodotti moschicidi)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 05.06.2013 n. 524 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Illegittimità variante al PRG che riduce
distanza dagli allevamenti di tipo intensivo.
E’ Illegittima la Variante Generale al PRG, che introduce la
localizzazione di nuove zone omogenee residenziali ad una
distanza inferiore a quella prevista dalla vigente fascia di
rispetto dagli allevamenti di tipo intensivo presenti sul
territorio e la previsione di “attività da trasferirsi o da
dismettersi”.
Anche se le scelte urbanistiche in ordine alla
zonizzazione del territorio sono rimesse al potere di tipo
squisitamente discrezionale dell’Amministrazione comunale,
la verifica e la scelta della destinazione edificatoria,
pure riservate al potere discrezionale, devono raccordarsi
con la più generale disciplina urbanistica e rivelarsi
altresì satisfattive dell’interesse pubblico al corretto ed
armonico utilizzo del territorio , nel contemperamento delle
varie esigenze della popolazione che su tale ambito insiste
ed opera.
Il Collegio ritiene qui di richiamare, in primo luogo, i
condivisibili orientamenti interpretativi più volte
affermati in subjecta materia da questa stessa
Sezione, così riassumibili:
a) le scelte urbanistiche in ordine alla zonizzazione del
territorio sono rimesse al potere di tipo squisitamente
discrezionale dell’Amministrazione comunale ( Cons. Stato
Sez. IV 07.06.2012 n. 3365);
b) la verifica e la scelta della destinazione edificatoria,
pure riservate al potere discrezionale, devono raccordarsi
con la più generale disciplina urbanistica e rivelarsi
altresì satisfattive dell’interesse pubblico al corretto ed
armonico utilizzo del territorio, nel contemperamento delle
varie esigenze della popolazione che su tale ambito insiste
ed opera (Cons. Stato Sez. IV 25.09.2012 n. 5088) .
E’ poi opinione consolidata del giudice amministrativo che
le scelte espresse nello strumento urbanistico generale,
siccome caratterizzate da ampia discrezionalità, non
necessitano di altra motivazione, al di là del richiamo ai
criteri tecnico-urbanistici seguiti nell’impostazione del
piano e rinvenibili nella relazione d’accompagnamento al PRG
( Cons. Stato Sez. IV 09.10.2010 n. 8628; idem 18.01.2011 n.
352; 08.06.2011 n. 3497 ).
Quest’ultima regola è pur sempre temperata dal principio per
cui la discrezionalità delle scelte urbanistiche relative
alla classificazione delle aree deve essere supportata da
una motivazione sufficiente, logica e ragionevole, proprio
per evitare che la discrezionalità possa trasmodare
nell’arbitrio (Cons. Stato Sez. IV 06.07.2009) (tratto da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 24.01.2013 n. 431 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Le preminenti esigenze
pubblicistiche connesse alla salvaguardia delle
incomprimibili finalità di igiene e salubrità dei luoghi
sottese alla regola della distanza minima delle costruzioni
civili rispetto agli allevamenti di animali hanno
necessariamente valenza erga omnes, nel senso che sono poste
nell’interesse di tutti i potenziali soggetti che hanno
titolo a vederne rispettato il precetto.
Ciò implica che l’osservanza della disposizione
regolamentare che pone, per ragioni di igiene e sanità
pubblica, il rispetto di quella distanza minima dagli
allevamenti non può essere interpretata, come assume il
giudice di primo grado, in senso unilaterale, e cioè che
alla sua osservanza sarebbe tenuto soltanto il costruttore
di un allevamento rispetto agli insediamenti costruttivi
preesistenti e non anche il costruttore di fabbricati ad uso
abitativo rispetto ad allevamenti già insediati.
Non v’è infatti ragione per ritenere fondata una tale
interpretazione, dalla quale irragionevolmente
deriverebbero, pur a fronte della medesima ratio legis,
soluzioni differenziate rispetto alla stessa questione
inerente il rispetto o meno delle distanze imposte dal
regolamento di igiene. D’altra parte il rispetto della
disposizione regolamentare si impone anche a salvaguardia
degli aventi causa della società immobiliare, quali
acquirenti degli appartamenti destinati a civile abitazione,
perché è proprio in relazione alla loro posizione giuridica
che si pongono le delicate questioni afferenti la salubrità
dell’aria.
Non par dubbio che l’amministrazione comunale anche delle
esigenze abitative di tali soggetti si sia fatta
implicitamente carico nell’esercizio dell’autotutela di
guisa che il provvedimento, tenuto conto di tali primarie
esigenze di tutela della salute umana, non risulta adottato
in carenza dei presupposti.
La questione giuridica da
dirimere attiene alla legittimità del provvedimento col
quale il Comune di Zimella ha fatto luogo all’annullamento,
in autotutela, del permesso di costruire rilasciato in
favore dell’odierna società appellata nonché degli effetti
della denuncia di inizio di attività a suo tempo prodotta
per alcune modifiche di destinazione d’uso relative al
medesimo complesso residenziale costituito da cinque unità
abitative.
A base dell’autoannullamento l’Amministrazione comunale di
Zimella ha posto la questione dirimente dell’intervenuta
violazione, da parte della società costruttrice
dell’immobile, della disposizione contenuta nell’art. 96 del
Regolamento comunale di igiene, che impone la distanza
minima di settantacinque metri dagli allevamenti civili.
La
circostanza fattuale inerente la violazione di detta
distanza rispetto all’allevamento gestito dall’azienda
agricola Iseo nel caso in esame è pacifica ed incontestata,
in quanto la nuova costruzione è stata in parte realizzata,
dalla società odiernamente appellata, a distanza inferiore a
quella prevista dalla citata disposizione regolamentare; si
discute tra le parti se ai fini del calcolo di detta
distanza minima si debba aver riguardo soltanto ai locali
adibiti a stalla, ove gli animali stazionano abitualmente,
ovvero anche alla sala di mungitura ed ai locali accessori,
dato che soltanto in relazione a questi ultimi (e non anche
alle stalle) si pone un problema di violazione di quella
distanza minima.
Il Tribunale amministrativo è pervenuto alla pronuncia di
accoglimento, ritenendo l’illegittimità del provvedimento in
primo grado impugnato, seguendo il seguente percorso logico:
a) è assorbente la violazione dell’art. 21-nonies della
legge 07.08.1990, n. 241 avendo l’Amministrazione
trascurato di evidenziare l’interesse pubblico concreto e
attuale sotteso all’esercizio dell’autotutela, vieppiù visto
il lungo lasso temporale tra il rilascio del permesso di
costruire ed il suo annullamento d’ufficio;
b) in ogni caso
è rispettata la distanza rispetto ai locali di stabulazione,
la violazione dell’art. 96 del Regolamento di igiene essendo
riferibile soltanto ai locali accessori (sala mungitura e
deposito latte), dal che non potrebbe evincersi un interesse
pubblico in re ipsa al ripristino della legalità;
c) la
disposizione assuntivamente violata non postula reciprocità,
nel senso che “la ratio ad essa sottesa sembra essere quella
di impedire l’insediamento di nuovi allevamenti con
conseguente creazione del pericolo e non anche quella di
escludere l’accettazione di disagi connessi all’edificazione
di edifici residenziali in prossimità degli allevamenti
stessi”;
d) il permesso di costruire a suo tempo rilasciato
ed oggetto di annullamento dopo circa ventidue mesi non
faceva riferimento alcuno all’obbligo di rispettare la
distanza di settantacinque metri e, d’altra parte,
l’autodichiarazione del progettista non contiene elementi di
falsità, la stessa facendo riferimento alla distanza dalla
stalla;
e) vero è che l’Amministrazione già nel maggio 2008
ha avviato il procedimento per l’accertamento delle distanze
ma tale procedimento non ha mai concluso, salva l’adozione
della sospensione del procedimento conseguente alla
presentazione, a lavori ormai conclusi, della domanda di
agibilità da parte della società interessata.
Ritiene il Collegio che tale decisione, assunta sulla
base della motivazione brevemente qui riprodotta, non sia
condivisibile e non resista alle censure dedotte dalla
Amministrazione comunale appellante.
In particolare, è per il Collegio dirimente osservare quanto
segue, a comprova del fatto che nessun affidamento legittimo
si sia nella specie potuto radicare in capo alla società
appellata e che, quindi, i poteri di annullamento d’ufficio
siano stati correttamente esercitati avuto rispetto delle
condizioni individuate dall’art. 21-nonies della legge 07.08.1990 n. 241:
a) il permesso di costruire oggetto di
annullamento è stato rilasciato sul presupposto (poi
rivelatosi non veritiero) del rispetto delle norme igienico-sanitarie vigenti, per come attestato in data 04.03.2008
dal tecnico progettista incaricato dalla società
odiernamente appellata;
b) l’autorizzazione ad attuare il
piano di recupero del 21.10.2002, conseguente alla
variante urbanistica ottenuta dalla società per realizzare
l’intervento edilizio, recava l’esplicita prescrizione che
gli insediamenti civili da realizzare all’interno del piano
avrebbero dovuto rispettare la distanza minima di
settantacinque metri dagli allevamenti esistenti;
c) è
significativo osservare che pochi giorni dopo l’avvio dei
lavori (07.04.2008) da parte della società costruttrice
l’Amministrazione ha comunicato (12.05.2008) l’avvio del
procedimento funzionale al controllo sulla regolarità degli
atti adottati: prudenza avrebbe imposto alla società di
astenersi dal dar corso ad ulteriori interventi prima della
positiva finalizzazione del procedimento di controllo.
A fronte di tali emergenze, a ragione l’Amministrazione
assume la piena legittimità dell’esercizio dell’autotutela,
senza che in contrario possa farsi valere la pretesa carenza
di ponderazione dei contrapposti interessi, ai sensi del
citato art. 21-nonies della legge generale sul procedimento
amministrativo.
Al proposito vale osservare, ancora in senso dirimente, che
le preminenti esigenze pubblicistiche connesse alla
salvaguardia delle incomprimibili finalità di igiene e
salubrità dei luoghi sottese alla regola della distanza
minima delle costruzioni civili rispetto agli allevamenti di
animali hanno necessariamente valenza erga omnes, nel
senso che sono poste nell’interesse di tutti i potenziali
soggetti che hanno titolo a vederne rispettato il precetto.
Ciò implica che l’osservanza della disposizione
regolamentare che pone, per ragioni di igiene e sanità
pubblica, il rispetto di quella distanza minima dagli
allevamenti non può essere interpretata, come assume il
giudice di primo grado, in senso unilaterale, e cioè che
alla sua osservanza sarebbe tenuto soltanto il costruttore
di un allevamento rispetto agli insediamenti costruttivi
preesistenti e non anche il costruttore di fabbricati ad uso
abitativo rispetto ad allevamenti già insediati.
Non v’è infatti ragione per ritenere fondata una tale
interpretazione, dalla quale irragionevolmente
deriverebbero, pur a fronte della medesima ratio legis,
soluzioni differenziate rispetto alla stessa questione
inerente il rispetto o meno delle distanze imposte dal
regolamento di igiene. D’altra parte il rispetto della
disposizione regolamentare si impone anche a salvaguardia
degli aventi causa della società immobiliare, quali
acquirenti degli appartamenti destinati a civile abitazione,
perché è proprio in relazione alla loro posizione giuridica
che si pongono le delicate questioni afferenti la salubrità
dell’aria.
Non par dubbio che l’amministrazione comunale
anche delle esigenze abitative di tali soggetti si sia fatta
implicitamente carico nell’esercizio dell’autotutela di
guisa che il provvedimento, tenuto conto di tali primarie
esigenze di tutela della salute umana, non risulta adottato
in carenza dei presupposti.
Allo stesso modo, risulta contrastante con la stessa ragione
della prescrizione sulle distanze di cui si tratta la
soluzione interpretativa, che lo stesso giudice di primo
grado sembra condividere, di ammettere la scomposizione
materiale dei locali ove si esercita l’allevamento, a
seconda delle specifiche destinazioni d’uso, per inferire
non condivisibilmente che, assicurato il rispetto della
distanza dalla stalla ove gli animali stazionano, non
rileverebbe che la sala mungitura ed il deposito latte siano
a distanza inferiore a quella minima regolamentare.
Non par dubbio al contrario che l’allevamento vada
considerato, ai fini che qui interessano, quale un complesso
edilizio unitario, rispetto al quale le esigenze di igiene e
salubrità dei luoghi destinati ad abitazioni civili rilevano
quali che siano le specifiche destinazioni d’uso (peraltro
col tempo mutevoli) impresse dall’imprenditore agricolo ai
singoli locali ove l’allevamento di animali viene in
concreto esercitato.
Nemmeno appare condivisibile e pertinente il rilievo svolto
in memoria conclusiva dalla difesa della società immobiliare
Alex riguardo al titolo di sanatoria edilizia a suo tempo
ottenuto (il 05.06.1992) dall’azienda agricola in relazione
all’immobile adibito ad allevamento.
Quand’anche fosse provato che, in occasione del rilascio del
predetto titolo in sanatoria, non siano stati conteggiati i
locali accessori ai fini del calcolo della distanza dalla
zona di completamento edilizio (150 metri), cionondimeno la
circostanza non potrebbe comportare una diversa soluzione
della questione controversa, avuto riguardo:
a) alla consolidazione degli effetti del provvedimento di
sanatoria, ormai intangibile in difetto di un’impugnazione
tempestiva;
b) alla necessità che, in sede di nuova edificazione da
parte della società immobiliare Alex, si dovesse in ogni
caso tener conto della situazione attuale con riguardo alle
costruzioni preesistenti, a prescindere dalle questioni di
legittimità dei titoli edilizi a suo tempo rilasciati
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.12.2012 n. 6639 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
si sia, nel caso di specie, in presenza di una nuova
attività di allevamento, soggetta all’obbligo del rispetto
delle distanze minime imposto dal regolamento di igiene,
ovvero all’adeguamento, previo rilascio di una nuova
autorizzazione, di un’attività già esistente, legittimata a
continuare il suo esercizio anche in deroga all’obbligo
delle distanze minime.
---------------
Ai fini della verifica del rispetto delle distanze legali
tra edifici, non sono computabili le sporgenze estreme del
fabbricato che abbiano una funzione meramente ornamentale,
di rifinitura o accessoria di limitata entità (come le
mensole, i cornicioni, le grondaie e simili); sono, invece,
computabili, rientrando nel concetto civilistico di
costruzione, le parti dell'edificio (quali scale, terrazze e
corpi avanzati) che, benché non corrispondano a volumi
abitativi coperti, siano destinati a estendere e ampliare la
consistenza del fabbricato. Ne deriva che anche il lato
esterno del portico deve, pertanto, essere considerato al
fine della verifica del rispetto della distanza minima.
Peraltro deve tenersi in debito conto il concetto generale
in materia edilizia, in ragione del quale, per la sua natura
e consistenza costituisce "nuova costruzione" ex art. 3,
lettera e5), d.p.r. n. 380/2001 che esclude dall'ambito
applicativo della norma i soli manufatti che,
indipendentemente dalla loro amovibilità, "non siano diretti
a soddisfare esigenze meramente temporanee".
Al fine della definizione della controversia in esame,
attinente al lamentato mancato rispetto delle distanze
minime intercorrenti tra l’abitazione del ricorrente e
l’allevamento controinteressato, deve, in primo luogo,
risolversi la querelle se si sia, nel caso di specie, in
presenza di una nuova attività di allevamento, soggetta
all’obbligo del rispetto delle distanze minime imposto dal
regolamento di igiene, ovvero all’adeguamento, previo
rilascio di una nuova autorizzazione, di un’attività già
esistente, legittimata a continuare il suo esercizio anche
in deroga all’obbligo delle distanze minime.
A tal fine viene in soccorso il regolamento di igiene
comunale. Esso ammette gli ampliamenti di allevamenti
esistenti e dismessi da meno di tre anni, purché nel
rispetto delle distanze preesistenti. Se, dunque, la deroga
all’obbligo delle distanze minime è ammessa nel caso di
ampliamenti di stabilimenti già esistenti, purché entro il
termine massimo di tre anni dalla loro chiusura e a
condizione che non intervengano variazioni nelle distanze
già esistenti, deve presumersi che la stessa possa, a
maggior ragione, trovare applicazione anche nel caso in cui
lo stabilimento non sia stato ampliato, ma solo adeguato
alla sopravvenuta normativa attraverso un complesso iter che
ha conosciuto una molteplice serie di solleciti e proroghe
di termini e la successiva declaratoria di decadenza
dall’originaria autorizzazione, cui ha fatto seguito, però,
il rilascio di una nuova autorizzazione al suo esercizio.
Invero, nel caso di specie, appare ragionevole ritenere che
un ampliamento vi sia in concreto stato, dal momento che
sono stati realizzati ex novo quattro box esterni in
sostituzione di quelli preesistenti e il cui utilizzo era
stato negato dall’autorizzazione del 2001. Peraltro, a
prescindere dal fatto che vi sia stato, o meno, nel caso di
specie, un ampliamento (accertamento di per sé irrilevante,
dal momento che la norma comunque lo ammetterebbe) ciò che
appare determinante è che dal regolamento richiamato si deve
desumere che, per quanto di rilievo, un’autorizzazione non
può essere considerata “nuova” se non dopo almeno tre anni
dalla dismissione del precedente allevamento.
In altre parole, il fatto che l’edificio fosse già adibito
ad allevamento è sufficiente a rendere possibile la ripresa
dell’attività, nel rispetto delle distanza preesistenti ed
entro il termine massimo di tre anni dalla dismissione, a
prescindere dal fatto che l’esercizio dell’attività sia
stato continuativamente autorizzato o, al contrario,
interrotto.
Nel caso di specie risulta rispettata la prima condizione,
essendo stata rilasciata la nuova dichiarazione a pochi
giorni di distanza dalla decadenza della originaria. Né può
rilevare in senso contrario il cambio di denominazione
subito dall’azienda agricola esercitante l’attività di
allevamento in questione.
Chiarito, dunque, che ci si trova in presenza di un
allevamento “esistente”, si rende allora necessario
verificare il rispetto della seconda condizione e cioè se la
preesistente distanza dall’abitazione del ricorrente sia
stata rispettata e non anche ulteriormente ridotta, come
invece lamentato da parte ricorrente.
Nell’ottica di tale verifica viene in rilievo il par. 3.10.5
del regolamento d’igiene, il quale prevede che, ai fini del
rispetto delle distanze minime, l’allevamento debba essere
considerato come il perimetro dei fabbricati adibiti a
ricovero.
Ci si deve, però, allora, interrogare sul concetto di
“perimetro”.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale in
materia, “ai fini della verifica del rispetto delle distanze
legali tra edifici, non sono computabili le sporgenze
estreme del fabbricato che abbiano una funzione meramente
ornamentale, di rifinitura o accessoria di limitata entità
(come le mensole, i cornicioni, le grondaie e simili); sono,
invece, computabili, rientrando nel concetto civilistico di
costruzione, le parti dell'edificio (quali scale, terrazze e
corpi avanzati) che, benché non corrispondano a volumi
abitativi coperti, siano destinati a estendere e ampliare la
consistenza del fabbricato” (Consiglio Stato, sez. IV, 27.01.2010, n. 424; Corte appello Brescia, sez. II, 18.05.2009; Consiglio Stato, sez. IV, 30.06.2005, n.
3539). Ne deriva che anche il lato esterno del portico deve,
pertanto, essere considerato al fine della verifica del
rispetto della distanza minima.
Peraltro deve tenersi in debito conto il concetto generale
in materia edilizia, in ragione del quale, per la sua natura
e consistenza costituisce "nuova costruzione" ex art. 3,
lettera e5), d.p.r. n. 380/2001 che esclude dall'ambito
applicativo della norma i soli manufatti che,
indipendentemente dalla loro amovibilità, "non siano diretti
a soddisfare esigenze meramente temporanee".
Il Collegio ritiene, pertanto, che sia escluso che i box
esterni, per il solo fatto di essere stati realizzati in
rete metallica, non debbano essere considerati ai fini del
rispetto delle distanze minime o non possano essere, in
linea di principio, riconducibili al concetto di ampliamento
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 07.11.2012 n. 1766 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Al
fine della definizione della controversia in esame,
attinente al lamentato mancato rispetto delle distanze
minime intercorrenti tra l’abitazione del ricorrente e
l’allevamento controinteressato, deve, in primo luogo,
risolversi la querelle se si sia, nel caso di specie, in
presenza di una nuova attività di allevamento, soggetta
all’obbligo del rispetto delle distanze minime imposto dal
regolamento di igiene, ovvero all’adeguamento, previo
rilascio di una nuova autorizzazione, di un’attività già
esistente, legittimata a continuare il suo esercizio anche
in deroga all’obbligo delle distanze minime.
A tal fine viene in soccorso il regolamento di igiene
comunale. Esso ammette gli ampliamenti di allevamenti
esistenti e dismessi da meno di tre anni, purché nel
rispetto delle distanze preesistenti. Se, dunque, la deroga
all’obbligo delle distanze minime è ammessa nel caso di
ampliamenti di stabilimenti già esistenti, purché entro il
termine massimo di tre anni dalla loro chiusura e a
condizione che non intervengano variazioni nelle distanze
già esistenti, deve presumersi che la stessa possa, a
maggior ragione, trovare applicazione anche nel caso in cui
lo stabilimento non sia stato ampliato, ma solo adeguato
alla sopravvenuta normativa attraverso un complesso iter che
ha conosciuto una molteplice serie di solleciti e proroghe
di termini e la successiva declaratoria di decadenza
dall’originaria autorizzazione, cui ha fatto seguito, però,
il rilascio di una nuova autorizzazione al suo esercizio.
Al fine della definizione della controversia in esame,
attinente al lamentato mancato rispetto delle distanze
minime intercorrenti tra l’abitazione del ricorrente e
l’allevamento controinteressato, deve, in primo luogo,
risolversi la querelle se si sia, nel caso di specie,
in presenza di una nuova attività di allevamento, soggetta
all’obbligo del rispetto delle distanze minime imposto dal
regolamento di igiene, ovvero all’adeguamento, previo
rilascio di una nuova autorizzazione, di un’attività già
esistente, legittimata a continuare il suo esercizio anche
in deroga all’obbligo delle distanze minime.
A tal fine viene in soccorso il regolamento di igiene
comunale. Esso ammette gli ampliamenti di allevamenti
esistenti e dismessi da meno di tre anni, purché nel
rispetto delle distanze preesistenti. Se, dunque, la deroga
all’obbligo delle distanze minime è ammessa nel caso di
ampliamenti di stabilimenti già esistenti, purché entro il
termine massimo di tre anni dalla loro chiusura e a
condizione che non intervengano variazioni nelle distanze
già esistenti, deve presumersi che la stessa possa, a
maggior ragione, trovare applicazione anche nel caso in cui
lo stabilimento non sia stato ampliato, ma solo adeguato
alla sopravvenuta normativa attraverso un complesso iter che
ha conosciuto una molteplice serie di solleciti e proroghe
di termini e la successiva declaratoria di decadenza
dall’originaria autorizzazione, cui ha fatto seguito, però,
il rilascio di una nuova autorizzazione al suo esercizio.
Invero, nel caso di specie, appare ragionevole ritenere che
un ampliamento vi sia in concreto stato, dal momento che
sono stati realizzati ex novo quattro box esterni in
sostituzione di quelli preesistenti e il cui utilizzo era
stato negato dall’autorizzazione del 2001. Peraltro, a
prescindere dal fatto che vi sia stato, o meno, nel caso di
specie, un ampliamento (accertamento di per sé irrilevante,
dal momento che la norma comunque lo ammetterebbe) ciò che
appare determinante è che dal regolamento richiamato si deve
desumere che, per quanto di rilievo, un’autorizzazione non
può essere considerata “nuova” se non dopo almeno tre
anni dalla dismissione del precedente allevamento.
In altre parole, il fatto che l’edificio fosse già adibito
ad allevamento è sufficiente a rendere possibile la ripresa
dell’attività, nel rispetto delle distanza preesistenti ed
entro il termine massimo di tre anni dalla dismissione, a
prescindere dal fatto che l’esercizio dell’attività sia
stato continuativamente autorizzato o, al contrario,
interrotto.
Nel caso di specie risulta rispettata la prima condizione,
essendo stata rilasciata la nuova dichiarazione a pochi
giorni di distanza dalla decadenza della originaria. Né può
rilevare in senso contrario il cambio di denominazione
subito dall’azienda agricola esercitante l’attività di
allevamento in questione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 07.11.2012 n. 1766 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Gli allevamenti equini possono stare
vicino alle case.
Un allevamento equino può insediarsi, in zona agricola,
vicino alle abitazioni, non essendovi obblighi legali di
distanza (e fatta salva la tutela civilistica in caso di
immissioni moleste). Di interesse le considerazioni sulla
disciplina regionale lombarda in materia di infrastrutture
agricole che, essendo contenuta in mera deliberazione della
Giunta Regionale, non ha carattere normativo.
... per l'annullamento del permesso di costruire n. 7/2010
del 25.05.2010 rilasciato dal Comune di Sesto Calende alle
Aziende Agricole ... e ... per la realizzazione in Via
Legnate, di una nuova stalla per l'allevamento dei cavalli e
di ogni altro atto comunque preordinato, connesso e/o
dipendente, ivi compresi, per quanto occorra, il Regolamento
Comunale di Igiene, qualora lo stesso sia da interpretare
come non dispositivo di una distanza minima tra allevamenti
di equini e bovini e abitazioni e l'art. 70 del Piano delle
Regole del P.G.T. adottato, nonché dell'Autorizzazione
Paesaggistica prot. n. 115/2501/08 del 31.03.2008 rilasciata
dal Consorzio Parco Lombardo della Valle del Ticino per la "realizzazione
di allevamento per cavalli" nonostante una pregressa
contestazione non sanata di opere non autorizzate di
movimento terra e con l'estensione dell'impugnativa alla
nota comunale 02.09.2010 e relativi allegati con la quale è
stata comunicata la revoca della sospensione temporanea
dell'efficacia del permesso di costruire n. 7/2010.
...
Con il primo mezzo di censura i ricorrenti assumono,
indicando tra le norme violate l’art. 216 del T.U.L.P.S.,
che l’opera illegittimamente assentita non rispetta le
distanze minime imposte tra gli allevamenti di animali e le
abitazioni.
Le norme violate prescrivono, infatti, che “dette
attività (insalubri) debbono essere isolate nelle campagne e
tenute lontane dalle abitazioni”.
In realtà, è ben vero che le norme invocate esprimono il
principio di cautela sopraenunciato, ma è altrettanto vero
che l’art. 216, comma 5, del TULP, non prescrive alcuna
distanza minima, ponendo, come spiegato, una regola di
carattere generale in base alla quale gli opifici
classificati come industrie insalubri devono essere tenuti
ad una distanza adeguata dalle abitazioni, in funzione dei
rischi concreti che rappresentano e tenuto conto delle
possibili opere di mitigazione degli stessi.
Non sussiste quindi, quantomeno nel T.U.L.P.S. alcuna norma
che prescriva per gli allevamenti equini la distanza dalle
abitazioni preesistenti nella misura prudenzialmente
ritenuta applicabile dai ricorrenti (100 metri lineari).
Né risultano prescrittive di distanze minime le linee guida
regionali adottate con DDG n. 20109 del 29.12.2005 e
richiamate dall’art. 33, punto 8, del PGT, di cui i
ricorrenti invocano l’applicazione, trascurando che le
distanze minime ivi suggerite sono espressamente riferite al
settore bovino e suino con esclusione, quantomeno implicita,
di quello equino.
Il decreto dirigenziale che approva le Linee Guida
Regionali: criteri igienici e di sicurezza in edilizia
rurale è, d’altronde, assolutamente chiaro sul punto
specifico, e non può essere oggetto di interpretazione
estensiva, come pretendono i ricorrenti, non solo perché le
linee guida si sostanziano nella formulazione di “criteri
di valutazione e parametri di riferimento in materia di
igiene e sicurezza nonché di indicazioni tecniche allineate
allo stato dell’arte”, che in quanto tali non possono
che inerire a ciò che da esse è espressamente previsto e
richiamato, ma anche perché, non essendo ascrivibili ad una
fonte normativa tipica (né essendo chiaro, oltretutto, da
quale fonte normativa traggano la loro efficacia) non è
possibile applicare alle stesse un criterio di
interpretazione che è esclusivamente riferibile alle fonti
normative.
E non solo: posto, infatti, che le linee guida in questione
ineriscono al rapporto tra l’amministrazione regionale, che
dispone del potere normativo su un determinato ambito di
attività (nella specie quella relativa all’igiene e alla
sicurezza in materia di edilizia rurale) e le
amministrazioni destinatarie (nella specie i comuni) che
dispongono dei poteri regolamentari o di gestione nella
stessa materia, è escluso che l’inosservanza delle linee
guida (che consistono, come già chiarito in una serie di
parametri di riferimento generali, indicativi e orientativi,
che non hanno, in quanto tali, un valore cogente o
prescrittivo né normativo per i terzi) possa integrare il
dedotto vizio di violazione di legge se la prescrizione o
l’indirizzo non sia stato recepito in una norma interna
dell’amministrazione stessa, e da quest’ultima,
successivamente al recepimento, violata.
E comunque, non trattandosi, come è pacifico, di atto a
contenuto normativo, le linee guida non possono mai
prevalere sulle norme regolamentari e, a fortiori, primarie
che eventualmente disciplinino specificamente la materia e
quindi fissino, per stare all’oggetto della controversia,
distanze diverse da quelle in esse contenute.
Ciò premesso, e chiarito che la censura dedotta dai
ricorrenti in merito all’opportunità che le linee guida
sulle distanze (degli allevamenti suini e bovini) vengano
estese in via interpretativa anche agli allevamenti equini è
inconferente e infondata , per quanto già ampiamente
rilevato sul contenuto e sulla natura della fonte, non è
tuttavia superfluo sottolineare la genericità della stessa
censura che si incentra su una serie di considerazioni di
cd. "opportunità" che trascurano come il legislatore
(termine comprensivo anche della regolamentazione locale)
abbia già effettuato una scelta discriminante tra i diversi
tipi di allevamento, tenendo conto verosimilmente anche
della natura e della vocazione delle diverse zone del
proprio territorio comunale (nel senso che in zona agricola,
e soprattutto in zone storicamente già destinate a talune
tipologie di allevamento le distanze dalle abitazioni sono
state ritenute, all’evidenza, compatibili con le
preesistenze assai più di quanto non lo siano state attività
diverse da quelle ovvero collocate nelle zone contigue alle
aree residenziali o caratterizzate da maggiore consistenza
insediativa.
Invero i ricorrenti trascurano, per quanto attiene al luogo
di ubicazione delle opere contestate, che l’area di
localizzazione dell’allevamento dei resistenti è
classificata agricola; che la stessa si trova in una zona di
campagna dove preesistono altri impianti di allevamento
equino (scuderie e stalle); e, da ultimo, ma unicamente per
sottolineare la vocazione della zona, che gli stessi
ricorrenti sono titolari di un allevamento agricolo.
Va soggiunto, inoltre, che la censura mossa in ordine
all’opportunità di mantenere l'edificio più vicino ad una
distanza di 100 mt. dall’abitazione dei ricorrenti, non
attiene, come correttamente opposto dai resistenti, a
profili di legittimità edilizi e/o urbanistici, bensì ai
diversi interessi di matrice civilistica rappresentati,
nella specie, dalle molestie derivanti dal nuovo (e più
consistente) allevamento realizzato a ridosso delle
abitazioni, ma piuttosto, come si avrà modo di chiarire in
prosieguo e soprattutto in sede di disamina del ricorso per
motivi aggiunti, a profili che non ineriscono al legittimo
rilascio del titolo edilizio, in quanto tale, ma al supposto
invasivo esercizio dell’attività sottostante.
Ne consegue che è questa concreta attività, e non il
rilascio del permesso di costruire impugnato,che può
eventualmente giustificare (non questo ma) altri tipi di
azione a salvaguardia della salute con specifico riferimento
alle temute immissioni nocive o pericolose.
E’ infatti evidente che chi colloca la propria attività
potenzialmente insalubre in prossimità di abitazioni di
terzi, anche quando le norme non fissino distanze minime,
non può sottrarsi all’obbligo di esercitare tali attività in
maniera compatibile con i limiti e con i diritti dei terzi,
sia che discendono dalle norme del codice civile che dalle
disposizioni speciali riferite alla natura delle suddette
attività,.
Ne consegue che la violazione di tali norme può, in
astratto, comportare l’applicazione delle sanzioni previste
dalla legge (tra cui l’inibizione dell’attività ovvero
l’imposizione di prescrizioni per la riduzione degli effetti
nei limiti di legge); il che è quanto avverrebbe se
l’allevamento equino dell’Azienda Agricola “La Corte”
e dell’Azienda Agricola “I Mulini” dovesse generare
emissioni dannose o pericolose, della cui tollerabilità i
titolari dell’azienda sono tenuti a rispondere in funzione
della localizzazione aziendale prescelta e attuata (e quindi
in funzione della maggiore o minore distanza delle strutture
aziendali dalla proprietà di terzi).
I controinteressati, d’altra parte, proprio per contrastare
tale profilo, evidenziano che l’impianto di maggiore impatto
(la vasca di raccolta del letame) è stata collocata a ben
maggior distanza (circa 200 metri ) rispetto ai 10 metri dei
box e che l’allevamento (complessivamente di 42 cavalli, di
cui 14 al pascolo per tutto l’anno e 21 capi adulti allevati
nei 21 box di progetto oltre ai 7 collocati nella struttura
preesistente) è di dimensioni tali da essere compatibile,
quanto ad allocazione, con la zona di insediamento, e,
quanto a dislocazione delle strutture fisse, con le
abitazioni esistenti in prossimità.
Per tali condivise ragioni il primo motivo di ricorso va
quindi respinto.
---------------
Per considerazioni parzialmente analoghe merita di essere
respinto anche il secondo motivo, con cui i ricorrenti si
dolgono del fatto che mentre le norme esistenti prevedono
distanze minime di mt. 10 per porcilaie pollai e conigliaie
a carattere familiare, nulla di specifico viene previsto per
le stalle e gli allevamenti di cavalli, ritenendo, pertanto,
il regolamento comunale illegittimo nella parte in cui
omette di disciplinare la materia, trascurando i gravi
problemi igienici che possono derivare dalla contiguità tra
animali di grossa taglia e abitazioni limitrofe.
In realtà come già sopra evidenziato dal Collegio, nella
specie non si pone un problema di vuoto normativo da colmare
con la creazione di una regola ad hoc; la norma
regolamentare comunale sulle distanze, infatti, sussiste, ma
non ritiene di prescrivere una distanza maggiore di 10 metri
per gli allevamenti equini, che evidentemente non sono
ritenuti (si può supporre in funzione della natura e della
vocazione delle zone agricole) impattanti quanto e più di
altri tipi di allevamento.
E tutto ciò appare legittimo, quantomeno in sede di rilascio
dei permessi di costruire per la realizzazione delle
strutture aziendali: l’eventuale profilo igienico sanitario
resta infatti affidato, anche qui come già in precedenza
evidenziato, ad altre e diverse norme che non rilevano sulla
legittimità dei permessi assentiti.
Per analoghe ragioni è infondato e va respinto anche il
terzo motivo con cui si ripropone, sotto altro profilo, la
dedotta illegittimità del permesso di costruire per la
mancata applicazione delle linee guida regionali e per
violazione dell’art. 70 (in materia di disposizioni
transitorie) del PGT adottato, in quanto si assume che la
pratica , alla data del 28.02.2009 non sarebbe stata “completa
ai fini istruttori”, difettando ogni riferimento, in
essa, alle distanze dai confini e l’indicazione degli
edifici confinanti, oltre che per una falsa rappresentazione
dei livelli altimetrici.
In realtà, a parte il rilievo assorbente, relativo all’inconferenza
delle più volte menzionate linee guida regionali, il
Collegio osserva che quand’anche la pratica edilizia non
avesse contenuto adeguati riferimenti alle distanze dai
confini e dagli edifici confinanti, ciò che la
documentazione in atti peraltro smentisce, la stessa pratica
sarebbe rientrata comunque nella previsione dell’art. 70 (id
est di pratica in corso di istruzione) e quindi sarebbe
stata comunque esclusa dall’applicazione delle norme a
regime (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.12.2011 n. 3167 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Il TAR Milano espelle i cavalli dalle
zone urbanistiche B.
Afferma il TAR che in una zona classificata dal vigente PRG
come B1 (di consolidamento in zone residenziali) è
incompatibile dal punto di vista urbanistico sia l’esercizio
dell’attività di equitazione e l’allevamento di cavalli
all’interno della Cascina Grande sia il mantenimento dei
cavalli da parte dei soci all’interno della parte di
ricovero in Cascina Corte Grande, con la conseguenza che è
legittima l'ordinanza del comune che vieta sia l'uno sia gli
altri (esercizio dell'attività, allevamento e mantenimento)
(commento tratto da http://venetoius.myblog.it - TAR
Lombardia-Milano,
ordinanza 27.08.2010 n. 908 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Strumenti urbanistici generali - Zona B1
di consolidamento in zone residenziali - Attività di
equitazione e di allevamento cavalli - Incompatibilità -
Sussiste.
Appare legittima un'ordinanza con la quale il dirigente del
settore tecnico di un ente locale ha inibito ad una
associazione sportiva dilettantistica, sia l'esercizio
dell'attività di equitazione e l'allevamento di cavalli, sia
il mantenimento dei cavalli da parte dei soci all'interno
della parte di ricovero, in un immobile ubicato in zona
avente, secondo il vigente P.R.G., destinazione urbanistica
B1 di consolidamento, in zona residenziale; infatti, deve
ritenersi sussistente un'oggettiva incompatibilità
urbanistica tra detta attività e la destinazione
residenziale della zona prevista dallo strumento urbanistico
generale (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 13.08.2010 n. 3960 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
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AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittima l'ordinanza sindacale in
materia d'igiene che ingiunge al proprietario di un'azienda
agricola familiare, la cui attività principale è
l’allevamento di bovini, di disattivare immediatamente il
relativo impianto sol perché esso, a distanza di anni dalla
sua installazione, determina una situazione inaccettabile
per la salute dei soggetti che, consapevolmente, hanno a suo
tempo deciso di costruire il loro edificio nelle immediate
vicinanze della porcilaia.
Come evidenziato anche dal Consiglio di Stato in un’ipotesi
assai simile a quella in questione (avente ad oggetto un
impianto di ventilazione di un’azienda di allevamento di
suini) “è illegittima l'ordinanza sindacale in materia
d'igiene che, immotivatamente e senza curarsi di verificare
le situazioni alternative proposte …, ingiunge al
proprietario … di disattivare immediatamente il relativo
impianto … sol perché esso, a distanza di anni dalla sua
installazione, determina, ad avviso della p.a. emanante, una
situazione inaccettabile per la salute dei soggetti che,
consapevolmente, hanno a suo tempo deciso di costruire il
loro edificio nelle immediate vicinanze della porcilaia, in
quanto non è conforme ai principi di buona amministrazione
scaricare sul titolare dell'azienda la pregressa incauta
scelta della p.a. emanante di autorizzare o tollerare
insediamenti abitativi vicini ad industrie insalubri”
(C.d.S., sez. V, 22/06/1998 , n. 909) (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 03.09.2009 n. 2237 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Normative di settore - Distanze in
materia sanitaria.
Nel caso in cui il regolamento edilizio prescriva, per il
rilascio della concessione di costruzione di porcilaie, una
determinata distanza da una sorgente, agli effetti della
verifica della legittimità dell'impugnato diniego è
ininfluente accertare se nella specie si trattava di nuova
costruzione ovvero di mera ristrutturazione di un locale
prima destinato all'allevamento di bovini ed ora da
utilizzare per l'allevamento di suini, atteso che non è il
tipo di intervento, ma la destinazione dell'impianto alla
produzione suinicola a imporre l'osservanza della disciplina
edilizia sulle distanze di sicurezza (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Molise, Sez. I,
sentenza 14.01.2009 n. 6 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2008 |
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CONDONO
EDILIZIO:
Sul rilascio di un condono edilizio in
deroga alle norme igienico-sanitarie.
Con riguardo ai rapporti tra il condono edilizio e i
requisiti igienico sanitari, va premesso che l’art. 32,
comma 25, del D.L. 269/2003 conv. in L. 326/2003 richiama le
disposizioni di cui ai capi IV e V della L. 47/1985,
rendendole applicabili alle opere abusive che risultino
ultimate entro il 31/03/2003. In particolare l’art. 35,
comma 20, della L. 47/1985 dispone che “A seguito della
concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì
rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche
in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari,
qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni
vigenti in materia di sicurezza statica, … e di prevenzione
degli incendi e degli infortuni”.
La Corte costituzionale, investita della questione di
legittimità della disposizione, con la pronuncia 18/07/1996
n. 256 ha statuito che “La deroga non riguarda, infatti,
i requisiti richiesti da disposizioni legislative, e deve,
pertanto escludersi una automaticità assoluta nel rilascio
del certificato di abitabilità pur nella più semplice forma
disciplinata dal D.P.R. n. 425 del 1994 a seguito di
concessione in sanatoria, dovendo invece il Comune
verificare che al momento del rilascio del certificato di
abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui
all'art. 221 del R.D. n. 1265 del 1934 (rectius, di cui
all'art. 4 del D.P.R. n. 425 del 1994), ma, altresì, quelle
previste da altre disposizioni di legge in materia di
abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva
normativa tecnica, quali quelle a tutela delle acque
dall'inquinamento, quelle sul consumo energetico, ecc.”.
Ha concluso la Corte evidenziando che “Permangono,
infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla
verifica delle condizioni igienico-sanitarie per
l'abitabilità di edifici, con l'unica possibile deroga ai
requisiti fissati da norme regolamentari (in maggior parte
regolamenti comunali)”.
La giurisprudenza ha di conseguenza condiviso l’indirizzo
per il quale il rilascio della concessione edilizia in
sanatoria può legittimamente avvenire in deroga a norme di
natura regolamentare e non anche quando siano carenti le
condizioni di salubrità prescritte da fonti normative di
livello primario, in quanto la disciplina del condono
edilizio –per il suo carattere di eccezionalità e
derogatorio– non è suscettibile di interpretazioni estensive
e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio
della tutela della salute (cfr. Consiglio di Stato, sez. V –
15/04/2004 n. 2140; sentenza Sezione 02/08/2002 n. 1105).
Si è così affermato che il condono edilizio risultante dalla
disciplina di cui al capo IV della L. 47/1985 riguarda in
modo specifico gli abusi di carattere urbanistico-edilizio,
avendo per oggetto le opere non legittimate da concessione
edilizia o da autorizzazione a costruire: ebbene, il
rilascio di un certificato di abitabilità o agibilità che
autorizzi l’uso abitativo di unità immobiliari in carenza di
condizioni di salubrità prescritte da fonti di livello
primario è contraddetto anche da considerazioni di ordine
logico, tanto più determinanti in quanto il carattere
eccezionale e derogatorio della disciplina del condono non
ne consente alcun ampliamento in sede interpretativa, e
soprattutto non consente ricostruzioni che avrebbero
riflessi sul piano della legittimità costituzionale, in
quanto incidenti sul fondamentale principio della protezione
della salute sancito dall’art. 32 della Costituzione (cfr.
Consiglio di Stato, sez. V – 13/04/1999 n. 414; TAR
Lombardia Milano, sez. II – 23/01/2008 n. 158; TAR Veneto,
sez. II – 11/02/2005 n. 650).
Nel caso che ci occupa, la deroga ha investito una
disposizione –racchiusa nel regolamento locale di igiene–
che fissa in via generale in 50 metri il limite minimo di
distanza degli allevamenti dalle case abitate da terzi.
Se in astratto le norme regolamentari di carattere
igienico-sanitario non costituiscono un ostacolo
invalicabile al rilascio del provvedimento di condono e del
successivo certificato di abitabilità/agibilità, è
desumibile dai principi giurisprudenziali sopra citati e
dalla pronuncia della Corte costituzionale l’obbligo di dare
specifico conto delle ragioni sottese alla deroga,
evidenziando in modo puntuale e circostanziato l’assenza di
rischi per il diritto inviolabile alla salute.
Ritiene il Collegio che la riduzione della distanza minima
che deve separare un allevamento bovino da una civile
abitazione destinata all’uso residenziale deve essere
accompagnata dalla verifica dell’adozione degli accorgimenti
indispensabili che consentono di abbattere o ridurre al
minimo le molestie, qualificabili queste ultime come
situazioni di disturbo della tranquillità e della quiete,
con impatto negativo sulle normali attività della persona e
sulla vivibilità in generale. E’ ad esempio noto che le
stalle non provocano soltanto la diffusione di odori
sgradevoli (anche per la presenza di liquami e deiezioni
organiche) ma costituiscono fonti di sviluppo di mosche,
zanzare, topi, insetti e parassiti infestanti (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 26.11.2008 n. 1687 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Regolamento di igiene - Allevamento - Recinti
all'aperto - Pascolo brado - Distanze - Deroga - Situazioni
temporanee - Necessità.
La disposizione del regolamento locale di igiene che dispone
che la distanza dei recinti all'aperto dalla porzione
abitativa deve rispettare i limiti minimi stabiliti ad
eccezione del pascolo brado, dell'alpeggio e delle
situazioni temporanee, con permanenze non superiori a 15
giorni ed a condizione che non rechino inconvenienti
igienico sanitari non può essere interpretata nel senso di
consentire senza limiti di distanza il pascolo brado, anche
se esercitato per periodi superiori a quindici giorni;- che
detta interpretazione non va accolta. Infatti, lo scopo
della norma è di imporre una distanza minima dalle
abitazioni per i recinti di bovini all'evidente scopo di
contenere il disagio che ne deriva in termini di
inquinamento e cattivi odori: in tal senso, una deroga può
consentirsi solo nei casi in cui la permanenza dei bovini
sia temporanea, sì che il disagio non ha tempo di essere
percepito. Pertanto, il termine massimo di quindici giorni
va inteso correttamente come riferito a qualsiasi situazione
di deroga alle distanze, e non soltanto alle situazioni
temporanee genericamente intese, con esclusione di pascolo
brado ed alpeggio (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 22.02.2008 n. 148). |
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