e-mail
info.ptpl@tiscali.it

APPALTI
CONVEGNI
FORUM
G.U.R.I. - G.U.U.E. - B.U.R.L.
LINK
NEWS PUBBLICATE:
1-aggiornam. pregressi
2-Corte dei Conti
3-
dite la vostra ...
4-dottrina e contributi
5-funzione pubblica
6-giurisprudenza
7-modulistica
8-news
9-normativa
10-note, circolari e comunicati
11-quesiti & pareri
12-utilità
- - -
DOSSIER
:
13-
ABBAINO
14-
ABUSI EDILIZI
15-
AFFIDAMENTO IN HOUSE
16-AGIBILITA'
17-AMIANTO
18-ANAC (già AVCP)
19
-APPALTI
20-ARIA
21-ASCENSORE
22-ASL + ARPA
23-ATTI AMMINISTRATIVI
24-ATTI AMMINISTRATIVI (accesso esposto e/o permesso di costruire e/o atti di P.G.)
25-ATTI AMMINISTRATIVI (impugnazione-legittimazione)
26-ATTIVITA' COMMERCIALE IN LOCALI ABUSIVI
27-BARRIERE ARCHITETTONICHE
28-BOSCO
29-BOX
30-CAMBIO DESTINAZIONE D'USO (con o senza opere)
31-CANCELLO, BARRIERA, INFERRIATA, RINGHIERA in ferro - SBARRA/STANGA
32-CANNE FUMARIE e/o COMIGNOLI
33-CARTELLI STRADALI
34-CARTELLO DI CANTIERE - COMUNICAZIONE INIZIO LAVORI
35-CERTIFICATO DESTINAZIONE URBANISTICA
36-CERIFICAZIONE ENERGETICA e F.E.R.
37
-C.I.L. e C.I.L.A.
38
-COMPETENZE GESTIONALI
39
-COMPETENZE PROFESSIONALI - PROGETTUALI
40-CONDIZIONATORE D'ARIA
41-CONDOMINIO
42-CONSIGLIERI COMUNALI
43-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE
44-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (gratuità per oo.pp. e/o private di interesse pubblico)
45-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (prescrizione termine dare/avere e legittimazione alla restituzione)
46-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (rateizzato e/o ritardato versamento)
47-DEBITI FUORI BILANCIO
48-DEFINIZIONI INTERVENTI EDILIZI
49-DIA e SCIA
50-DIAP
51-DISTANZA dagli ALLEVAMENTI ANIMALI
52-DISTANZA dai CONFINI
53-DISTANZA dai CORSI D'ACQUA - DEMANIO MARITTIMO/LACUALE
54-DISTANZA dalla FERROVIA

55-DISTANZA dalle PARETI FINESTRATE
56-DURC
57-EDICOLA FUNERARIA
58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
59-ESPROPRIAZIONE
60-GESTIONE ASSOCIATA FUNZIONI COMUNALI
61-INCARICHI LEGALI e/o RESISTENZA IN GIUDIZIO
62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
65-L.R. 12/2005
66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
-
PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
RUMORE
99-SAGOMA EDIFICIO
100-SANATORIA GIURISPRUDENZIALE E NON (abusi edilizi)
101-SCOMPUTO OO.UU.
102-SEGRETARI COMUNALI
103-SEMINTERRATI
104-SIC-ZSC-ZPS - VAS - VIA
105-SICUREZZA SUL LAVORO
106
-
SILOS
107-SINDACATI & ARAN
108-SOPPALCO
109-SOTTOTETTI
110-SUAP
111-SUE
112-STRADA PUBBLICA o PRIVATA o PRIVATA DI USO PUBBLICO
113-
TELEFONIA MOBILE
114-TENDE DA SOLE
115-TINTEGGIATURA FACCIATE ESTERNE
116-TRIBUTI LOCALI
117-VERANDA
118-VINCOLO CIMITERIALE
119-VINCOLO IDROGEOLOGICO
120-VINCOLO PAESAGGISTICO + ESAME IMPATTO PAESISTICO + VINCOLO MONUMENTALE
121-VINCOLO STRADALE
122-VOLUMI TECNICI / IMPIANTI TECNOLOGICI

123-ZONA AGRICOLA
124-ZONA SISMICA E CEMENTO ARMATO

NORMATIVA:
dt.finanze.it
entilocali.leggiditalia.it

leggiditaliaprofessionale.it

SITI REGIONALI
STAMPA
 
C.A.P.
Codice Avviamento Postale

link 1 - link 2
CONIUGATORE VERBI
COSTO DI COSTRUZIONE
(ag
g. indice istat):

link 1-BG - link 2-MI
link 3-CR
DIZIONARI
indici ISTAT:
link 1 - link 2-BG
link 3-MI

interessi legali:
link 1
MAPPE CITTA':
link 1 - link 2
METEO
1 - PAGINE bianche
2 - PAGINE gialle
PREZZI:
osservatorio prezzi e tariffe

prodotti petroliferi
link 1
- link 2
PUBBLICO IMPIEGO:
1 - il portale pubblico per il lavoro
2
- mobilità
 
 

DOSSIER

Alcuni files sono in formato Acrobat (pdf): se non riesci a leggerli, scarica gratuitamente il programma Acrobat Reader (clicca sull'icona a fianco riportata).  -      segnala un errore nei links                                                                                

dossier CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (prescrizione termine dare/avere e legittimazione alla restituzione)
anno 2022

EDILIZIA PRIVATASecondo una consolidata giurisprudenza, la controversia attinente alla spettanza e liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione è riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm..
Essa ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di decadenza.

---------------
In ipotesi di decadenza del titolo edilizio, ai fini della decorrenza dell'ordinario termine di prescrizione decennale relativo alla restituzione di somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, il dies a quo deve essere individuato nel momento in cui il diritto al rimborso può essere effettivamente esercitato dal privato, ossia nella data di scadenza del termine di decadenza.
---------------
Circa il diritto alla ripetizione di quanto versato, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il contributo di costruzione, essendo strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire, non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio.
Conseguentemente, «nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito. La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione, per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata».
Unica eccezione ai principi sopra richiamati è costituita dall’ipotesi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta con un accordo nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale.
Pertanto, dato che il contributo concessorio è strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio, ove detta circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito, con la precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente.
---------------

... per l'annullamento della nota del Comune di Spoleto del 30.12.2020 con la quale veniva rigettata la richiesta di ripetizione di parte della somma corrisposta a titolo di contributo di costruzione relativamente ai permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/11
   e per l'accertamento del diritto della ricorrente alla ripetizione di parte della somma corrisposta a titolo contributo di costruzione correlati ai permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/2011,
   nonché per la condanna del Comune di Spoleto alla restituzione di quanto trattenuto indebitamente nei confronti della ricorrente pari ad euro 142.138,92 o della somma che risulti all'esito del giudizio.
...
1. La Gi.Ca.Im. s.r.l. ha agito per l’annullamento della nota del Comune di Spoleto del 30.12.2020 con la quale è stata rigettata la richiesta di ripetizione di parte della somma corrisposta a titolo di contributo di costruzione relativamente ai permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/11, nonché per l’accertamento del proprio diritto alla ripetizione detta somma e la conseguente condanna dell’Amministrazione comunale alla restituzione di quanto trattenuto indebitamente.
2. Riferisce in punto di fatto la parte ricorrente di aver ottenuto, a seguito di istanza presentata nell’ottobre del 2006 al Comune di Spoleto, il permesso di costruire n. 48268/2007 per la realizzazione di tre edifici ad uso abitativo e commerciale su un proprio lotto di terreno situato a Spoleto loc. San Giovanni di Baiano, per complessivi mc 13.979,70; il titolo abilitativo prevedeva che i lavori dovessero iniziare entro un anno e che la validità del titolo abilitativo medesimo fosse di quattro anni dalla data di rilascio. La crisi del settore immobiliare determinava un fermo dell'attività.
La ricorrente chiedeva -ed otteneva- un nuovo permesso a costruire per i lavori non ultimati n. 35284/2011; tuttavia a causa dell’ulteriore aggravamento della crisi del settore immobiliare giungeva a decadenza anche il secondo titolo abilitativo, con la realizzazione nelle more solo di una delle tre palazzine previste, pari a mc 4.520,80.
In data 16.11.2020, la Gi.Ca.Im. inviava al Comune di Spoleto una richiesta di rimborso del costo di costruzione [e oneri di urbanizzazione] versato con riferimento alle cubature non realizzate.
Con nota prot. 65524 del 30.12.2020, il Responsabile del Servizio edilizia del Comune di Spoleto ha affermato quanto segue: «[s]i contesta la restituzione degli importi richiesti in quanto non dovuti in primis per il lasso del tempo trascorso; infatti il primo Permesso di Costruire è del 2007. Inoltre si fa presente che anche la recente giurisprudenza ha ribadito che il contributo di costruzione è strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire per cui non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio (ovvero in ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio). Fermo quanto sopra, si rende comunque necessario procedere ad un sopralluogo sul posto alla presenza del Tecnico comunale istruttore della pratica, del Direttore dei Lavori e del Titolare della Ditta esecutrice degli stessi, per verificare l’effettivo stato dei lavori, in relazione ai titoli rilasciati…».
3. Contestando la ricostruzione fatta propria dall’Amministrazione comunale, la parte ricorrente ha rimarcato di aver interamente versato il costo di costruzione per i mc 13.979,70 originariamente previsti per la realizzazione delle tre palazzine per un importo complessivo di euro 210.073,00, come risulta dal conteggio inserito all’interno del permesso a costruire. Stante la mancata edificazione di due delle tre palazzine, la ricorrente ribadisce la spettanza della restituzione di quanto pagato con riferimento alla cubatura residua di mc. 9.458,80, pari ad euro 142.138,92, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di Spoleto non contestando il quantum versato bensì eccependo l’intervenuta prescrizione del diritto alla ripetizione delle somme per essere le stesse state richieste oltre il termine decennale dalla decadenza del titolo edilizio cui le stesse si riferiscono, ovvero il permesso di costruire n. 48268 del 19.07.2007, decaduto in data 09.08.2010, ossia dopo tre anni dall’inizio degli stessi 20.08.2007, non rilevando il nuovo permesso di costruire n. 35284/2011.
La difesa resistente ha, inoltre, eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto rivolto avverso un atto non lesivo attesa la sua natura endo-procedimentale.
Infine, la difesa comunale ha affermato l’infondatezza della censura attorea stante l’incertezza del presunto credito vantato; a fronte della realizzazione parziale dei lotti nn. 2 e 3, consistente nella demolizione di edificio esistente e nella esecuzione delle opere di urbanizzazione con modifica sostanziale e permanente dello stato dei luoghi, l’importo richiesto da controparte a titolo di restituzione dei costi di costruzione sulle cubature non realizzate (due palazzine, lotti nn. 2 e 3) del permesso di costruire n. 48268/2007 viene contestato come non dovuto in toto o comunque in gran parte per effetto delle opere che hanno comportato la modifica definitiva dell’assetto edilizio dei lotti.
5. La parte ricorrente ha replicato contestando, in particolare, che sui lotti nn. 2 e 3 vi sia stata alcuna trasformazione –non avendo del resto l’area, situata in zona B1-zona di completamento urbano, necessità di essere urbanizzata– ed evidenziando come sia incontestata la mancata realizzazione di due dei tre fabbricati per i quali la società ricorrente ha versato quanto dovuto a titolo di costo di costruzione.
...
7. Preliminarmente va ribadita la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla presente controversia, che concerne la debenza del contributo di costruzione in materia edilizia e la ripetizione di quanto versato a tale titolo.
Difatti, secondo una consolidata giurisprudenza, dalla quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, la controversia attinente alla spettanza e liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione è riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.; essa ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di decadenza (cfr., ex plurimis, C.d.S., sez. IV, 30.08.2018, n. 5096; Id., sez. VI, 07.05.2015, n. 2294; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 01.02.2022, n. 223; Id., 20.05.2020, n. 858; TAR Abruzzo, L’Aquila, 29.12.2017, n. 610).
8. Si presenta infondata l’eccezione di prescrizione del credito sollevata dal Comune resistente.
Giova rammentare che, in ipotesi di decadenza del titolo edilizio, ai fini della decorrenza dell'ordinario termine di prescrizione decennale relativo alla restituzione di somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, il dies a quo deve essere individuato nel momento in cui il diritto al rimborso può essere effettivamente esercitato dal privato, ossia nella data di scadenza del termine di decadenza (ex multis, TAR Abruzzo, L’Aquila, 29.12.2017, n. 610).
Nel caso di specie al permesso di costruire n. 48268/2007 ha fatto seguito un secondo titolo abilitativo n. 35284/2011 del 12.10.2011, nel quale si legge: “il presente atto costituisce nuovo permesso per i lavori non ultimati di cui al permesso di costruire n. 48268 del 19/07/2007 – Restano invariate tutte le condizioni e prescrizioni riportate su permesso originario”. Il nuovo titolo avrebbe, quindi, consentito alla società ricorrente di realizzare in toto le cubature per le quali aveva già versato interamente gli oneri dovuti.
Il medesimo provvedimento espressamente prevede (pag. 3, punto 6) la decadenza del titolo in caso di mancato inizio lavori entro un anno dalla data di rilascio e, comunque, quattro anni dall’inizio dei lavori.
Risultando pacifico che la società ricorrente non ha avviato i lavori a seguito del rilascio del nuovo titolo, lo stesso è decaduto trascorso un anno dal rilascio, ossia il 12.10.2012, dies a quo per il computo della prescrizione decennale relativo alla restituzione di somme pagate. Pertanto, la pec inviata dalla società ricorrente in data 16.11.2020 (assunta al protocollo comunale n. 58009 del 16.11.2020) è intervenuta prima dello spirare del termine decennale di prescrizione.
9. Parimenti non meritevole di accoglimento è l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione della nota prot. 65524 del 30.12.2020, in quanto, come riconosciuto dalla stessa difesa comunale (pag. 2 della memoria di discussione), con tale atto il Comune ha comunicato “la non debenza della restituzione per prescrizione del diritto (stante il lasso di tempo trascorso)”, pur ritenendo necessario effettuare un sopralluogo sull’effettivo stato dei lavori.
10. Circa il diritto alla ripetizione di quanto versato, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il contributo di costruzione, essendo strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire, non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio; conseguentemente, «nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito. La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione, per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata» (C.d.S., sez. II, 15.06.2021, n. 4633; cfr., ex multis, C.d.S., sez. IV, 15.10.2019, n. 7020; C.d.S., A.P., 30.08.2018, n. 12; C.d.S., sez. IV, 07.03.2018, n. 1475).
Unica eccezione ai principi sopra richiamati è costituita dall’ipotesi –che non ricorre nel caso in esame– in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta con un accordo nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale (C.d.S., sez. IV, 12.11.2018, n. 6339).
Pertanto, dato che il contributo concessorio è strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio, ove detta circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito, con la precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (TAR Umbria, sentenza 22.08.2022 n. 648 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, non rilevano in termini di effettiva trasformazione del territorio, atta a legittimare uno scomputo degli oneri di urbanizzazione versati, i lavori preparatori di cantiere, in quanto non sono indici di un reale inizio dei lavori di costruzione, quali, ad esempio gli interventi di ripulitura del sito e approntamento del cantiere e dei materiali necessari per l'esecuzione dei lavori.
---------------

... per l'annullamento della nota del Comune di Spoleto del 30.12.2020 con la quale veniva rigettata la richiesta di ripetizione di parte della somma corrisposta a titolo di contributo di costruzione relativamente ai permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/11
   e per l'accertamento del diritto della ricorrente alla ripetizione di parte della somma corrisposta a titolo contributo di costruzione correlati ai permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/2011,
   nonché per la condanna del Comune di Spoleto alla restituzione di quanto trattenuto indebitamente nei confronti della ricorrente pari ad euro 142.138,92 o della somma che risulti all'esito del giudizio.
...
Nel caso in esame è incontestato che sia stata realizzata solo una delle tre palazzine originariamente previste –come provato dalle stesse foto del sopralluogo 2021 depositate dalla difesa resistente– mentre prive di riscontro appaiono le affermazioni comunali circa l’esecuzione di ulteriori opere.
Difatti, dalle stesse foto aeree depositate dalla difesa comunale non è evincibile la presenza di alcuna ulteriore opera al di fuori dal lotto n. 1; in particolare, non è provata la realizzazione di alcuna strada, apparendo quella visibile nelle immagini del 2008 e del 2011 piuttosto come una traccia del cantiere, non più visibile nella foto del 2021 (doc. 11).
Al riguardo giova comunque rilevare che «secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, non rilevano in termini di effettiva trasformazione del territorio, atta a legittimare uno scomputo degli oneri di urbanizzazione versati, i lavori preparatori di cantiere, in quanto non sono indici di un reale inizio dei lavori di costruzione, quali, ad esempio gli interventi di ripulitura del sito e approntamento del cantiere e dei materiali necessari per l'esecuzione dei lavori» (C.d.S. sez. IV, 11.01.2021, n. 349; cfr. C.d.S., sez. IV, 15.04.2013, n. 2027).
11. Per quanto esposto, il ricorso deve essere accolto, con l’annullamento della nota prot. 65524 del 30.12.2020 e l’accertamento del diritto della Gi.Ca.Im. s.r.l. alla ripetizione parziale delle somme versate a titolo di contributo di costruzione relativamente ai permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/2011, per la parte corrispondente a quanto non realizzato.
Da quanto precede discende, di conseguenza, la condanna del Comune di Spoleto alla restituzione di quota parte di quanto versato dalla ricorrente a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione in relazione ai permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/2011, per complessivi euro 142.138,92, oltre interessi nella misura legale dalla domanda fino all’effettivo soddisfo.
Non può invece accogliersi la domanda relativa alla rivalutazione monetaria di detta somma, trattandosi di debito di valuta e non di valore (TAR Umbria, sentenza 22.08.2022 n. 648 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

EDILIZIA PRIVATA: Oneri concessori assoggettati alla prescrizione decennale.
Con la sentenza 09.12.2021 n. 7921, il TAR Campania (Sez. VIII Napoli) interviene in materia di pagamento degli oneri concessori conseguenti al rilascio del permesso di costruire, chiarendo i termini di estinzione del diritto dell'ente locale a pretenderne il pagamento da parte dei soggetti interessati all'intervento edilizio.
La pronuncia prende in esame il ricorso contro la determinazione dirigenziale del responsabile dell'area tecnica-urbanistica di un Comune con cui si chiedeva al ricorrente la corresponsione degli importi dovuti e non versati a titolo di oneri concessori originati a seguito del rilascio del permesso di costruire relativo a taluni immobili di sua proprietà aventi natura commerciale. La doglianza si incentrava sul consistente lasso temporale trascorso per l'emanazione del provvedimento amministrativo accertativo rispetto alla data di rilascio del titolo edilizio.
Il Collegio campano rileva che le controversie inerenti all'attività amministrativa di determinazione e liquidazione degli oneri concessori, sia nella componente del costo di costruzione che in quella degli oneri di urbanizzazione, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'articolo 133, comma 1, lettera f), del Codice del processo amministrativo. Invero, gli atti e i provvedimenti riguardanti la debenza dei suddetti oneri vengono fatti rientrare tra quelli adottati dalla Pa «in materia di urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio».
In considerazione della natura non tributaria di questi oneri (qualificati come corrispettivo di diritto pubblico a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione), altrettanto da ricondurre alla giurisdizione esclusiva amministrativa, sempre in virtù della citata disposizione codicistica, sarebbero inoltre le controversie aventi a oggetto gli atti esattivi emessi dal concessionario della riscossione ai fini del versamento delle somme dovute per gli oneri stessi, nelle quali non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi riguardanti la determinazione degli oneri presupposti di quello impugnato.
Nel vagliare il merito del ricorso, i magistrati partenopei affermano l'orientamento secondo cui la pretesa azionabile dall'ente municipale per esigere il pagamento degli oneri concessori è assoggettata all'ordinario termine prescrizionale decennale ex articolo 2946 del codice civile.
Più segnatamente, essendo il fatto costitutivo dell'obbligo giuridico della contribuzione concessoria (nelle sue due articolazioni) il rilascio del permesso di costruire, allora è dalla data di tale rilascio (giorno, appunto, da cui il diritto di credito pubblico può esser fatto valere) che inizia il decorso del periodo di tempo ai fini della prescrizione decennale.
Spirato il previsto termine di dieci anni, nell'inerzia amministrativa di atti di recupero, il diritto di credito nei confronti del soggetto onerato deve ritenersi estinto per avvenuta prescrizione, escludendosi in capo alla Pa il potere di differirne l'esercizio.
Secondo i giudici amministrativi napoletani, infine, non vale, ai fini interruttivi del termine prescrizionale, il rilascio del certificato di agibilità (successivo al permesso edificatorio), cui sia demandato –come nel caso di specie– di accertare, a perfezionamento finale della pratica edilizia, anche l'eventualità del mancato versamento di somme a titolo di oneri concessori (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 13.12.2021).

EDILIZIA PRIVATALe controversie attinenti la determinazione e la liquidazione degli oneri concessori –nelle componenti sia del costo di costruzione sia degli oneri di urbanizzazione- sono riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio costituenti prerogativa della Pubblica amministrazione e, per questo, riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a..
Peraltro, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo -ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.- anche le controversie aventi ad oggetto la cartella di pagamento emessa dal concessionario della riscossione relative alle somme dovute per oneri concessori, nelle quali non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi relativi alla determinazione degli atti presupposti quello impugnato. Questo perché i predetti oneri non hanno natura tributaria, bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione.
Deve infine osservarsi che le controversie in materia di determinazione e pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti.

---------------
Fondato, con rilievo assorbente, è la censura con la quale parte ricorrente ha eccepito la prescrizione, ai sensi dell’art. 2946 cod. civ., della pretesa azionata dall’amministrazione comunale.
Per giurisprudenza pacifica, il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico avente ad oggetto il contributo di costruzione -articolato sulle due voci inerenti, da un lato, agli oneri di urbanizzazione e, dall’altro, al costo di costruzione- dal quale decorre il dies a quo per il decorso del periodo di tempo ai fini della prescrizione decennale, è il rilascio della concessione.
Anche secondo risalente giurisprudenza, il "dies a quo" per la prescrizione dell'obbligo giuridico relativo al pagamento degli oneri concessori, riguardo sia al costo di costruzione sia agli oneri di urbanizzazione, decorre dal giorno del rilascio del titolo edilizio.
---------------
Ai sensi dell’art. 2934 cod. civ., un diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge e, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Se, dunque, è dal giorno del rilascio della concessione che l'amministrazione comunale può fare valere il suo diritto di credito, anche fissando modalità e garanzie particolari, è dalla medesima data che decorre la prescrizione del suo diritto.
Ne consegue che l'Amministrazione non ha alcun potere di differire l'esercizio del suo diritto di credito sicché l'inerzia nell'emanazione degli atti d’imposizione, di liquidazione ovvero di recupero del contributo dovuto si configura quale mancato esercizio del diritto da parte del creditore, idoneo a fare decorrere il periodo di prescrizione.

---------------

1.- Il Comune di Trentola–Ducenta, con la Determinazione del Responsabile dell’Area Tecnica Urbanistica n. 16 del 22.12.2016, ha richiesto alla società ricorrente CI.Me. s.r.l., società attualmente sottoposta alle misure previste dalla legge 203 del 1991, il pagamento delle somme asseritamente dovute e non versate per un totale di € 55.973,32.
Dette somme sono relative al computo degli oneri concessori per alcuni immobili di proprietà, insistenti nel Centro Commerciale J., originati a seguito del rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 32 del 22.06.2006 e della successiva DIA prot. n. 8088 del 09.10.2006.
...
2.- In via preliminare, il Collegio, nel confermare l’orientamento di questa Sezione dal quale non ha motivo di discostarsi, osserva che le controversie attinenti la determinazione e la liquidazione degli oneri concessori –nelle componenti sia del costo di costruzione sia degli oneri di urbanizzazione- sono riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio costituenti prerogativa della Pubblica amministrazione e, per questo, riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a. (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 09.10.2018, n. 5835, TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 24.10.2018, n. 1790, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 30.08.2018, n. 12).
Peraltro, secondo altrettanto costante e condivisa giurisprudenza, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo -ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.- anche le controversie aventi ad oggetto la cartella di pagamento emessa dal concessionario della riscossione relative alle somme dovute per oneri concessori, nelle quali non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi relativi alla determinazione degli atti presupposti quello impugnato (così Cons. di Stato sez. IV, 21.08.2013, n. 4208; nonché Cass. SS.UU. 20.10.2006, n. 22514; TAR Sicilia, Catania, 11.10.2016, n. 2531; TAR Sicilia, Palermo, 12.07.2016, n. 1730; TAR Toscana, 11.02.2011, n. 265). Questo perché i predetti oneri non hanno natura tributaria, bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione (cfr., Cons. Stato Sez. IV, n. 4208/2013 cit. nonché TAR Campania, Napoli, 18.11.2008, n. 19792).
Deve infine osservarsi che le controversie in materia di determinazione e pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4208/2013; TAR Sicilia, Catania, 27.01.2017, n. 189; TAR Sicilia, Palermo, 10.11.2016, n. 2581; TAR Puglia, Bari, 03.12.2015, n. 1596; TAR Puglia, Lecce, 30.10.2015, n. 3114; TAR Sicilia, Catania, 09.07.2015, n. 1881).
3.- Assodata la giurisdizione del giudice amministrativo, nel merito il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto.
3.1.- Fondato, con rilievo assorbente, è la censura con la quale parte ricorrente ha eccepito la prescrizione, ai sensi dell’art. 2946 cod. civ., della pretesa azionata dall’amministrazione comunale.
Per giurisprudenza pacifica, il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico avente ad oggetto il contributo di costruzione -articolato sulle due voci inerenti, da un lato, agli oneri di urbanizzazione e, dall’altro, al costo di costruzione (cfr., Ad. Plen. Cons. Stato, 12 del 2018)- dal quale decorre il dies a quo per il decorso del periodo di tempo ai fini della prescrizione decennale, è il rilascio della concessione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26.02.2013, n. 1188; 03.10.2012, n. 5201; 19.01.2009, n. 216).
3.2.- Nella fattispecie in esame, il permesso di costruire n. 32/2006 è stato rilasciato il 22.06.2006 e la DIA prot. n. 8088 è del 09.10.2006, ne consegue che il termine di prescrizione decennale si è compiuto in relazione al permesso di costruire il 22.06.2016 e in relazione alla DIA il 10.10.2016.
I comune di Trentola-Ducenta ha adottato e notificato l’impugnata determinazione n. 16/2016 il 22.12.2016, pertanto dopo oltre dieci anni dalla data di rilascio dei titoli edilizi.
Pur volendo considerare il provvedimento impugnato quale atto interruttivo della prescrizione, è giocoforza dedurre che, alla data del 22.12.2016, il diritto di credito dell’amministrazione nei confronti della ricorrente debitrice si era ampiamente estinto per avvenuta prescrizione decennale, espressamente eccepita dal debitore.
Anche secondo risalente giurisprudenza, il "dies a quo" per la prescrizione dell'obbligo giuridico relativo al pagamento degli oneri concessori, riguardo sia al costo di costruzione sia agli oneri di urbanizzazione, decorre dal giorno del rilascio del titolo edilizio (cfr. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 29.11.2007 n. 2864; Cons. Stato, Sez. V, 25.10.1993 n. 1071 e 06.12.1999 n. 2058).
3.3.- Di quanto sopra, ne è consapevole la stessa amministrazione comunale, la quale, nella motivazione della determinazione impugnata, chiarisce per l’appunto che: “al fine di scongiurare la decorrenza dei termini prescrittivi, sono stati presi in considerazione anche i certificati di agibilità rilasciati, in considerazione della circostanza che, con il rilascio del certificato di agibilità, l’Ufficio Tecnico ha modo di accertare, a perfezionamento finale della pratica, anche eventuali somme non versate a titolo di oneri concessori”.
L’indicazione appare un tentativo per rimediare all’avvenuto verificarsi della prescrizione. Ed invero, come ammette la stessa amministrazione, il rilascio del certificato di agibilità è stato preso in considerazione, non per determinare l’ammontare delle somme da versare a titolo di oneri concessori, quanto per verificare se questi siano stati effettivamente ed integralmente versati.
Ai sensi dell’art. 2934 cod. civ., un diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge e, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Se, dunque, è dal giorno del rilascio della concessione che l'amministrazione comunale può fare valere il suo diritto di credito, anche fissando modalità e garanzie particolari, è dalla medesima data che decorre la prescrizione del suo diritto.
Ne consegue che l'Amministrazione non ha alcun potere di differire l'esercizio del suo diritto di credito sicché l'inerzia nell'emanazione degli atti d’imposizione, di liquidazione ovvero di recupero del contributo dovuto si configura quale mancato esercizio del diritto da parte del creditore, idoneo a fare decorrere il periodo di prescrizione (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 09.12.2021 n. 7921 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Mancata realizzazione delle opere e restituzione degli oneri di urbanizzazione.
Gli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte correlata agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, hanno la chiara funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in riferimento alla realizzazione delle relative opere, sicché l’unico criterio per determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura consiste nel valutare il carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelli esistenti.
In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione «assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti».
---------------

Per costante giurisprudenza, nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione.
Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito.
La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione, per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata.
Unica eccezione ai principi sopra richiamati, l’ipotesi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta con un accordo nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale.

---------------
11. La natura onerosa del titolo edilizio condiziona in senso restrittivo la lettura delle disposizioni che in qualche modo derogano alla monetizzazione degli importi. Già da prima del riordino disposto con il d.P.R. n. 380 del 2001 il rilascio dello stesso era subordinato al versamento del contributo di urbanizzazione e di quello di costruzione.
Gli artt. 16 e 19 del richiamato d.P.R., rispettivamente per l’edilizia residenziale e per quella a destinazione industriale, artigianale, turistica, commerciale, direzionale e di servizi, hanno chiaramente ribadito, sistematizzando la materia, che il rilascio del permesso di costruire è subordinato alla corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione.
10.1. Gli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte correlata agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, hanno la chiara funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in riferimento alla realizzazione delle relative opere, sicché l’unico criterio per determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura consiste nel valutare il carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelli esistenti (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2018, n. 2694).
In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione «assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti» (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2015, n. 2294).
Il che è quanto accaduto nel caso di specie, in relazione a quanto ritenuto necessario in funzione dell’intervento nella sua massima progettualità espansiva, neppure interamente realizzata.
11. Va altresì ricordato come per costante giurisprudenza, nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione.
Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito.
La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione, per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata (ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 07.03.2018, n. 1475).
11.1. Unica eccezione ai principi sopra richiamati, l’ipotesi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta con un accordo nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale (Cons. Stato, sez. IV, 12.11.2018, n. 6339) (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 15.06.2021 n. 4633 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACome noto, “il contributo di costruzione, essendo strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire, non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio.
Conseguentemente, allorché il privato rinunci al permesso di costruire o non lo utilizzi, ovvero in ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ai sensi dell’articolo 2033 c.c. o, comunque, dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione […]
La giurisprudenza ha poi avuto modo di chiarire che il diritto alla restituzione del contributo di costruzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente”.
---------------
Legittimato ad esigere la restituzione dell’indebito deve essere ritenuto il soggetto che ha effettuato il pagamento privo di causa, mentre gli eventuali rapporti interni fra obbligato principale e terzi rimangono privi di rilievo nei confronti di chi deve restituire l’indebito ricevuto, dato che legittimato attivo alla restituzione è sempre e solo il titolare del patrimonio che deve essere reintegrato con la restituzione: nell'azione di ripetizione d'indebito oggettivo la legittimazione attiva e passiva spettano infatti solo al solvens e all'accipiens.
L’azione di ripetizione dell’indebito trae, infatti, origine dal pagamento di un debito non dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha effettuato e chi lo ha ricevuto.
Legittimato ad esigere la restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato il pagamento rivelatosi privo di causa: ciò in quanto in base all’art. 2033 c.c., la legittimazione alla proposizione dell’azione di ripetizione dell’indebito spetta a colui che ha effettuato il pagamento; conseguentemente, stante quanto disposto dall’art. 81 c.p.c., non può ammettersi che un terzo soggetto faccia valere in giudizio, in nome proprio, un diritto di cui non è titolare.
---------------

Ciò premesso, il Collegio rileva che l’opposizione proposta dal Comune di Vicenza è destituita di fondamento.
L’ente resistente, infatti, non contesta che le somme di cui parte opposta chiede la restituzione siano state effettivamente da quest’ultima versate a titolo di pagamento degli oneri di urbanizzazione dovuti per il rilascio dei titoli edilizi in precedenza indicati: deduce, tuttavia, che il Fallimento non avrebbe diritto alla restituzione di tali importi, essendo stato stipulato un contratto preliminare per l’alienazione dei terreni interessati dall’intervento edilizio alla società Do.Br., in virtù del quale quest’ultima sarebbe subentrata al Fallimento nella titolarità del diritto di credito vantato nei confronti del Comune di Vicenza.
Prescindendo dalla circostanza per cui, alla data odierna, non consta che detto contratto preliminare sia stato seguito dalla stipula di un contratto definitivo, giova rammentare che sulla scorta di consolidata giurisprudenza alla quale questo Collegio ha già in precedenza aderito, l’azione esercitata dal Fallimento deve essere qualificata come azione di ripetizione dell’indebito oggettivo, ex art. 2033 c.c.: come noto, “il contributo di costruzione, essendo strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire, non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio. Conseguentemente, allorché il privato rinunci al permesso di costruire o non lo utilizzi, ovvero in ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ai sensi dell’articolo 2033 c.c. o, comunque, dell’articolo 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione […] La giurisprudenza ha poi avuto modo di chiarire che il diritto alla restituzione del contributo di costruzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente” (cfr. Tar Lombardia-Milano, 09.04.2020, nr. 858).
Ciò posto il Collegio osserva ancora che, come questo TAR ha già avuto modo di osservare, legittimato ad esigere la restituzione dell’indebito deve essere ritenuto il soggetto che ha effettuato il pagamento privo di causa, mentre gli eventuali rapporti interni fra obbligato principale e terzi rimangono privi di rilievo nei confronti di chi deve restituire l’indebito ricevuto, dato che legittimato attivo alla restituzione è sempre e solo il titolare del patrimonio che deve essere reintegrato con la restituzione: nell'azione di ripetizione d'indebito oggettivo la legittimazione attiva e passiva spettano infatti solo al solvens e all'accipiens (in tal senso, Tar Veneto, II Sez., 19.11.2020, nr. 1169; TAR Veneto, II Sez., 19.12.2017, nr. 173/2018, in cui si richiama: Cassazione civile, Sez. III, 01.12.2009, n. 25276; Cassazione civile, Sez. I, 09.05.2007, n. 10634; Cassazione civile, Sez. III, 04.08.2000, n. 10227).
L’azione di ripetizione dell’indebito trae, infatti, origine dal pagamento di un debito non dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato il pagamento rivelatosi privo di causa: ciò in quanto in base all’art. 2033 c.c., la legittimazione alla proposizione dell’azione di ripetizione dell’indebito spetta a colui che ha effettuato il pagamento; conseguentemente, stante quanto disposto dall’art. 81 c.p.c., non può ammettersi che un terzo soggetto faccia valere in giudizio, in nome proprio, un diritto di cui non è titolare (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. II, nr. 12.05.2016 nr. 1605; Tar Toscana, Sez. III, 12.03.2014, n. 493; Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 12.02.2014, n. 444; Tar Campania, Napoli, Sez. V, 05.04.2011, n. 1916) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 14.04.2021 n. 476 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATALa domanda di ripetizione degli oneri concessori corrisposti a fronte di un titolo abilitativo edilizio decaduto per inutilizzo attiene a una posizione di diritto soggettivo che rientra nella giurisdizione amministrativa esclusiva, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm..
Gli oneri concessori pagati per ottenere il permesso di costruire costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico posto dalla legge a carico del costruttore, di carattere generale e non tributario, che nei casi di rinuncia, inutilizzazione o decadenza del titolo edilizio deve essere restituito dall’Amministrazione.
Sulle somme anzidette spettano gli interessi legali dalla data della domanda ma non la rivalutazione monetaria, trattandosi di pagamento di indebito oggettivo, il quale genera la sola obbligazione di restituzione con gli interessi ex art. 2033 cod. civ..

---------------

   - Considerato che con ricorso notificato l’11.01.2019 e depositato il successivo giorno 23, Co.V s.r.l. ha chiesto: a) l’accertamento del silenzio-inadempimento del Comune di Cori sulla domanda di restituzione degli oneri concessori (i.e. contributo di urbanizzazione e costo di costruzione) versati in relazione al permesso di costruire n. 12 del 10.05.2017 n. 12; b) l’accertamento del diritto alla restituzione dei suddetti oneri concessori in conseguenza del mancato utilizzo del menzionato titolo edilizio e la susseguente condanna dell’Amministrazione alla retrocessione della somma di euro 35.275,50, oltre interessi e rivalutazione monetaria;
   - Considerato che questa sezione staccata con sentenza 25.03.2019 n. 201 ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto avverso il silenzio dell’Amministrazione ed ha disposto la conversione del rito ex art. 32 cod. proc. amm., per la domanda di accertamento del diritto della ricorrente alla restituzione degli oneri concessori;
   - Considerato preliminarmente che la domanda di ripetizione degli oneri concessori corrisposti a fronte di un titolo abilitativo edilizio decaduto per inutilizzo attiene a una posizione di diritto soggettivo che rientra nella giurisdizione amministrativa esclusiva, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm. (TAR Campania, Salerno, sez. II, 28.01. 2020 n. 150; TAR Lazio, Roma, sez. II, 06.11.2018 n. 10729; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 24.10.2018 n. 1790; TAR Campania, Napoli, sez. II, 11.04.2017 n. 1980);
   - Considerato che gli oneri concessori pagati per ottenere il permesso di costruire costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico posto dalla legge a carico del costruttore, di carattere generale e non tributario, che nei casi di rinuncia, inutilizzazione o decadenza del titolo edilizio deve essere restituito dall’Amministrazione (Cons. Sic., sez. giur., 09.10.2017 n. 427; TAR Lazio, Latina, sez. I, 21.06.2018 n. 349);
   - Considerato che parte ricorrente ha comprovato in atti di aver corrisposto al Comune di Cori la somma complessiva di euro 35.275,51 e in particolare: a) la prima rata di euro 8.818,88, versata mediante bonifico del 13.04.2017; b) la seconda rata di euro 8.818,87, corrisposta a mezzo bonifico il giorno 30.10.2017; c) la terza rata di euro 8.818,88 versata tramite bonifico del 03.04.2018; d) la quarta rata di euro 8.818,88, pagata con bonifico del 28.09.2018;
   - Considerato che Co.V s.r.l. ha pure comprovato che il permesso di costruire cui si riferiscono i suddetti versamenti è stato archiviato dal Comune di Cori con nota prot. n. 11207 del 05.11.2018;
   - Dato atto che il Comune di Cori, neppure costituitosi in giudizio, non ha eccepito l’inesistenza del diritto azionato dalla ricorrente, né ne ha contestato la misura;
   - Ritenuto che, pertanto, la pretesa vantata da Co.V s.r.l. sia fondata e che il ricorso vada accolto;
   - Ritenuto che sulle somme anzidette spettino gli interessi legali dalla data della domanda ma non la rivalutazione monetaria, come chiesto dalla ricorrente, trattandosi di pagamento di indebito oggettivo, il quale genera la sola obbligazione di restituzione con gli interessi ex art. 2033 cod. civ. (cfr. TAR Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 12.12.2013 n. 649) (TAR Lazio-Latina, sentenza 10.07.2020 n. 259 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATAMancato uso del permesso di costruire, comune tenuto a restituire gli oneri di urbanizzazione.
Il privato che rinunci o non utilizzi più il permesso di costruire ha diritto a richiedere all’Amministrazione le somme versate a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costi di costruzione, dovuti per l’ottenimento del permesso.
È quanto afferma il TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, con la sentenza 02.05.2019 n. 426.
Il caso
Il Tribunale amministrativo per la Lombardia, sede distaccata di Brescia, Sezione II, ha deciso che, in caso di rinuncia o mancato utilizzo del permesso di costruire, «l’Amministrazione deve essere condannata, ai sensi dell’articolo 2033 cod. civ., alla restituzione delle somme indebitamente percepite a titolo di oneri di urbanizzazione e per costo di costruzione, oltre interessi sino all’effettivo soddisfo, da calcolarsi, non essendo stata provata la sua malafede, a decorrere dal giorno della domanda e, quindi, dal giorno di notificazione dell’atto introduttivo».
La parte ricorrente, a seguito di un permesso di costruire, aveva corrisposto all’Amministrazione comunale il pagamento dovuto per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, nonché per i costi di costruzione. Tuttavia, il privato, successivamente, non ha mai dato seguito al permesso di costruire, rinunciando all’esecuzione delle opere e non comunicando mai, per l’appunto, la data di inizio dei lavori. Pertanto, presentava quindi una richiesta di rimborso degli oneri di costruzione già pagati e riscossi dal Comune. A seguito di tale richiesta, dato che il Comune rimaneva inerte nonostante l’intervento di una diffida, il privato, con ricorso, ha investito il Tar Brescia della questione.
Il Giudice, dopo aver verificato la tempestività della domanda, in accordo col termine prescrizionale ordinario decennale, nell’accogliere il ricorso, ha ricordato un precedente analogo del Tar Lombardia, Milano, Sezione II, sentenza 07.01.2016, n. 12, secondo cui «il contributo concessorio è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio. Pertanto, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare. Ne consegue che, qualora il privato, rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, sorge in capo all’Amministrazione ex articolo 2033 c.c. l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione nonché, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione».
Diritto alla restituzione delle somme versate
La sentenza in commento si allinea a principi già affermati in giurisprudenza.
In particolare, appare utile richiamare una sentenza analoga del Tar Catania, 18.01.2013, n. 159, secondo cui, «Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pa, anche ex articolo 2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente».
Del medesimo avviso anche Consiglio di Stato, Sezione IV, 20.05.2011, n. 3027, secondo cui, «Il pagamento effettuato per ottenere la concessione edilizia seppure dovuto nel momento del rilascio di quest’ultima essendone la condizione», nel momento in cui il permesso di costruzione non è stato utilizzato dal privato, che aveva già provveduto al pagamento degli oneri, «s’è trasformato, dal lato del Comune, per quanto già considerato, in riscossione senza titolo di una somma che quest’ultimo è tenuto a restituire a mente dell’articolo 2033 con decorrenza degli interessi dalla data della domanda non potendo ritenersi la sua mala fede al momento della riscossione stessa» (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 30.05.2019).
---------------
SENTENZA
A seguito del rilascio del Permesso di Costruire n. 22/2010, la ricorrente provvedeva, secondo quanto sostenuto in ricorso, a corrispondere all’amministrazione comunale la somma di Euro 55.779,75 per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e costo di costruzione.
La stessa società rinunciava, però, all’esecuzione delle opere assentite e per tale ragione non comunicava mai l’inizio dei lavori e, il 10.09.2013, presentava una richiesta di rimborso degli oneri corrisposti.
Nel silenzio del Comune, la ricorrente, da un lato diffidava il Comune al pagamento e, dall’altro, chiedeva allo stesso un permesso di costruire in sanatoria relativamente a opere di ristrutturazione edilizia, con formazione di 4 unità immobiliari, all’interno della residenza “Ma.” in Località Cambrembo.
Con il permesso di costruire in sanatoria n. 01/2014, il Comune chiedeva, quindi, alla Ju. srl, il pagamento dell’oblazione per 31.553,06 euro e, nel corso dell’anno 2016, le parti formalizzavano la compensazione dei rispettivi rapporti di debito–credito a mezzo di scritture contabili.
Il 28.09.2016, parte ricorrente chiedeva al Comune il pagamento del credito residuo, per un importo pari a Euro 24.226,69, giustificando la propria pretesa alla luce del principio secondo cui
il pagamento del contributo di costruzione non costituisce acquiescenza alla sua imposizione e pertanto l’azione di ripetizione per indebito totale o parziale è pienamente legittima vista la natura tributaria del contributo (TAR Lombardia–Milano, sez. II, del 14.04.2004, n. 1463).
La domanda, così formulata, da ritenersi tempestiva in quanto proposta entro il termine prescrizionale ordinario decennale, appare suscettibile di positivo apprezzamento.
Essa trova fondamento nel fatto che “
il contributo concessorio è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio. Pertanto, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare. Ne consegue che, qualora il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, sorge in capo all’Amministrazione ex art. 2033 c.c. l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione nonché, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione; con la precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solo nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente” (TAR Lombardia–Milano, sez. II, del 07.01.2016, n. 12; in senso conforme: TAR Sicilia–Catania, sez. II, del 27.01.2017, n. 189).
L’Amministrazione deve, dunque, essere condannata, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., alla restituzione della somma indebitamente percepita a titolo di oneri di urbanizzazione e per costo di costruzione, pari ad euro 24.226,69 (il cui ammontare non è contestato),
oltre interessi sino all’effettivo soddisfo, da calcolarsi, non essendo stata provata la sua malafede, a decorrere dal giorno della domanda e, quindi, dal giorno di notificazione dell’atto introduttivo del presente giudizio.
Trattandosi di debito di valuta (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 20.12.1996, n. 11440), e non essendo stata dimostrata la sussistenza del maggior danno ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, cod. civ. (TAR Campania Napoli, sez. IV, 02.04.2015, n. 1907), non è, invece, dovuta la rivalutazione monetaria.

anno 2018

EDILIZIA PRIVATA: La mancata realizzazione delle opere previste nel permesso di costruire determina l’inesistenza del presupposto dell’obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione e il contributo per costo di costruzione. Invero, tale obbligo economico trova la propria causa nell’attività di trasformazione del territorio eseguita in forza del titolo edilizio rilasciato.
Pertanto nel caso di specie, essendo l’opera oggetto del permesso di costruire non realizzabile, stante la pacifica impossibilità dell’allaccio alla rete idrica, il Comune è tenuto a restituire le somme incassate quale contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.
L’azione della ricorrente costituisce quindi un’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo, legittimamente fondata sull’assenza dei presupposti del pagamento effettuato.
L’Amministrazione è quindi tenuta a restituire quanto pagato dalla società istante, in forza dell’art. 2033 cod. civ.. Sulla somma da restituire maturano gli interessi legali previsti dalla suddetta norma, con decorrenza dalla domanda di restituzione dell’importo corrisposto in relazione al permesso di costruire (inutilizzato).
Non spetta invece la rivalutazione monetaria o il maggior danno previsto dall’art. 1224, comma 2, cod. civ., trattandosi di pagamento di indebito oggettivo, il quale genera la sola obbligazione di restituzione con gli interessi ex art. 2033 c.c., stante la buona fede del Comune.
Peraltro, la ricorrente non ha fornito alcun principio di prova in ordine all’esistenza di un nocumento superiore all’importo corrispondente agli interessi legali.
---------------

Il Collegio osserva che, come riconosciuto dalla stessa difesa del Comune, la mancata realizzazione delle opere previste nel permesso di costruire determina l’inesistenza del presupposto dell’obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione e il contributo per costo di costruzione. Invero, tale obbligo economico trova la propria causa nell’attività di trasformazione del territorio eseguita in forza del titolo edilizio rilasciato.
Pertanto nel caso di specie, essendo l’opera oggetto del permesso di costruire non realizzabile, stante la pacifica impossibilità dell’allaccio alla rete idrica, il Comune era tenuto a restituire le somme incassate quale contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.
L’azione della ricorrente costituisce quindi un’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo, legittimamente fondata sull’assenza dei presupposti del pagamento effettuato.
L’Amministrazione è quindi tenuta a restituire quanto pagato dalla società istante, in forza dell’art. 2033 cod. civ.. Sulla somma da restituire maturano gli interessi legali previsti dalla suddetta norma, con decorrenza dalla domanda di restituzione dell’importo corrisposto in relazione al permesso di costruire n. 6/2007, ovvero dal 21.10.2010 (si vedano la pagina 5 del ricorso e la pagina 4 della memoria difensiva depositata in giudizio dal Comune).
Non spetta invece la rivalutazione monetaria o il maggior danno previsto dall’art. 1224, comma 2, cod. civ., trattandosi di pagamento di indebito oggettivo, il quale genera la sola obbligazione di restituzione con gli interessi ex art. 2033 c.c., stante la buona fede del Comune (TAR Lombardia, Milano, II, 18.09.2013, n. 2172). Peraltro, la ricorrente non ha fornito alcun principio di prova in ordine all’esistenza di un nocumento superiore all’importo corrispondente agli interessi legali.
In conclusione, il ricorso va accolto quanto alla domanda di ripetizione dell’indebito e di pagamento degli interessi legali (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.10.2018 n. 1312 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Come è noto, la rinuncia al permesso di costruire per intervenuta decadenza del titolo edilizio (ad esempio per la scadenza dei termini iniziali o finali, ovvero per il sopravvenire di previsioni urbanistiche contrastanti con le opere non ancora realizzate), oppure per fatti, giuridici o materiali che rendano in tutto o in parte non più realizzabile l'intervento edilizio assentito, comporta l'obbligo dell'Amministrazione di restituire, a domanda, le somme precedentemente corrisposte a titolo di contributo di costruzione, in quanto questo è strettamente connesso alla trasformazione del territorio, con la conseguenza che, ove tale trasformazione non si verifichi, il relativo pagamento diviene privo di causa.
---------------
Come è noto, l’ambulatorietà e quindi la titolarità del titolo edilizio incidono solo sul lato passivo dell’obbligazione, nel senso che nel caso di trasferimento del bene esse gravano sull'acquirente così come sullo stesso gravano eventuali maggiori somme dovute, perché con la voltura del titolo l’obbligo si è trasferito in capo al cessionario (a condizione che la parte cedente non abbia ancora iniziato l’edificazione).
Diverso è invece il caso in esame in cui rileva una problematica di carattere civilistico di indebito oggettivo, che trae origine dal pagamento di una somma non dovuta e che inerisce esclusivamente al rapporto tra soggetto che ha effettuato il versamento e chi lo ha ricevuto (come noto l’art. 2033 c.c. dispone che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”), e che implica che legittimato ad esigere la restituzione sia il soggetto che ha effettuato il pagamento privo di causa, mentre gli eventuali rapporti interni fra obbligato principale e terzi rimangono privi di rilievo nei confronti di chi deve restituire l’indebito ricevuto, dato che legittimato attivo alla restituzione è sempre e solo il titolare del patrimonio che deve essere reintegrato con la restituzione: nell'azione di ripetizione d'indebito oggettivo la legittimazione attiva e passiva spettano infatti solo al solvens e all'accipiens.
Deve pertanto convenirsi con quanto ha affermato la giurisprudenza che si è occupata di una vicenda del tutto similare (cfr. Tar Toscana, Sez. III, 12.03.2014, n. 493: in quel caso si trattava della restituzione di somme versate in eccedenza, nel caso in esame si tratta della restituzione dell’intera somma; in entrambi i casi si tratta di una fattispecie di indebito oggettivo): “la titolarità del permesso edilizio incide solo sul profilo passivo della obbligazione relativa al pagamento del contributo ma nulla, invece, ha a che vedere con l’azione di ripetizione dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa”.
---------------

Nel merito il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Come è noto la rinuncia al permesso di costruire per intervenuta decadenza del titolo edilizio (ad esempio per la scadenza dei termini iniziali o finali, ovvero per il sopravvenire di previsioni urbanistiche contrastanti con le opere non ancora realizzate), oppure per fatti, giuridici o materiali che rendano in tutto o in parte non più realizzabile l'intervento edilizio assentito, comporta l'obbligo dell'Amministrazione di restituire, a domanda, le somme precedentemente corrisposte a titolo di contributo di costruzione, in quanto questo è strettamente connesso alla trasformazione del territorio, con la conseguenza che, ove tale trasformazione non si verifichi, il relativo pagamento diviene privo di causa (ex pluribus cfr. Tar Lazio, Roma, Sez. II-bis, 12.03.2008, n. 2294).
La parte ricorrente svolge molteplici richiami giurisprudenziali espressione di consolidati e condivisibili principi secondo i quali gli oneri di urbanizzazione e il costo di costruzione hanno natura di obbligazioni c.d. reali o propter rem caratterizzate dalla stretta inerenza alla res e destinate a circolare unitamente ad essa per il carattere dell'ambulatorietà che le contraddistingue, sicché nel caso di trasferimento del bene esse gravano sull'acquirente.
Tali principi sono tuttavia inconferenti nel caso in esame, perché, come è noto, l’ambulatorietà e quindi la titolarità del titolo edilizio incidono solo sul lato passivo dell’obbligazione, nel senso che nel caso di trasferimento del bene esse gravano sull'acquirente così come sullo stesso gravano eventuali maggiori somme dovute, perché con la voltura del titolo l’obbligo si è trasferito in capo al cessionario (a condizione che la parte cedente non abbia ancora iniziato l’edificazione: ex pluribus cfr. Tar Abruzzo, Pescara, 03.06.2014, n. 249; Tar Umbria, 17.09.2012, n. 363; Tar Toscana, Sez. III, 12.06.2012, n. 1126).
Diverso è invece il caso in esame in cui rileva una problematica di carattere civilistico di indebito oggettivo, che trae origine dal pagamento di una somma non dovuta e che inerisce esclusivamente al rapporto tra soggetto che ha effettuato il versamento e chi lo ha ricevuto (come noto l’art. 2033 c.c. dispone che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”), e che implica che legittimato ad esigere la restituzione sia il soggetto che ha effettuato il pagamento privo di causa, mentre gli eventuali rapporti interni fra obbligato principale e terzi rimangono privi di rilievo nei confronti di chi deve restituire l’indebito ricevuto, dato che legittimato attivo alla restituzione è sempre e solo il titolare del patrimonio che deve essere reintegrato con la restituzione: nell'azione di ripetizione d'indebito oggettivo la legittimazione attiva e passiva spettano infatti solo al solvens e all'accipiens (ex pluribus cfr. Cassazione civile, Sez. III, 01.12.2009, n. 25276; Cassazione civile, Sez. I, 09.05.2007, n. 10634; Cassazione civile, Sez. III, 04.08.2000, n. 10227).
Deve pertanto convenirsi con quanto ha affermato la giurisprudenza che si è occupata di una vicenda del tutto similare (cfr. Tar Toscana, Sez. III, 12.03.2014, n. 493: in quel caso si trattava della restituzione di somme versate in eccedenza, nel caso in esame si tratta della restituzione dell’intera somma; in entrambi i casi si tratta di una fattispecie di indebito oggettivo): “la titolarità del permesso edilizio incide solo sul profilo passivo della obbligazione relativa al pagamento del contributo ma nulla, invece, ha a che vedere con l’azione di ripetizione dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa
” (sostanzialmente negli stessi termini con riguardo ad altre fattispecie di indebito oggettivo cfr. anche Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 12.02.2014, n. 444; Tar Campania, Napoli, Sez. V, 05.04.2011, n. 1916).
Ne consegue che il ricorso deve essere respinto (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15.02.2018 n. 173 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pagamento degli oneri di urbanizzazione.
---------------
  
Edilizia – Oneri di urbanizzazione – Pagamento – Giorno di scadenza che cade di sabato – Proroga al lunedì successivo – Esclusione.
  
Edilizia – Oneri di urbanizzazione – Pagamento tardivo – Riscossione delle sanzioni - Procedimento di imposizione coattiva – Obbligo – Esclusione.
  
Edilizia – Oneri di urbanizzazione – Pagamento – Interruzione della prescrizione – Presupposti – Individuazione.
  
Edilizia – Oneri di costruzione – Pagamento rateale – Sanzioni – Omessa escussione garanzia fidejussoria – Irrilevanza ex se.
  
La disciplina che considera il sabato come festivo al fine della proroga dei termini di scadenza non può essere applicata anche ai termini per il pagamento delle somme dovute per gli oneri di urbanizzazione (1).
  
Per la riscossione delle sanzioni relative al ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione previsti dall’art. 42, d.P.R. 06.06.2001, n. 380 il Comune non è obbligato a valersi del procedimento di imposizione coattiva stabilito dal successivo art. 43, ma può avvalersi delle normali azioni previste per l’esecuzione delle obbligazioni, tra cui la procedura di ingiunzione di cui all'art. 118 c.p.a..
  
Affinché un atto abbia efficacia interruttiva della prescrizione delle somme dovute a titolo di oneri di urbanizzazione, è necessario che esso contenga l'esplicitazione di una precisa pretesa e l'intimazione o la richiesta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto obbligato con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora, senza che sia necessario l'uso di formule solenni o l'osservanza di particolari adempimenti.
  
Un'amministrazione comunale ha il pieno potere di applicare, nei confronti dell'intestatario di un titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di pagamento dilazionato di detto contributo, abbia omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa scadenza dei singoli ratei di pagamento ovvero abbia comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria del pagamento presso il debitore principale (2).
---------------
   (1) Il Tar ha chiarito il sabato non è giorno festivo e la norma dell’art. 155 c.p.c., che ad esso lo equipara a certi effetti, ha come suo ambito di applicazione gli atti processuali, così come all’ambito degli atti processuali è rivolta l’analoga norma dell’art. 52, comma 5, c.p.a. che anch’essa applica la proroga ai termini che scadono nella giornata di sabato.
Il Tar ha affermato di non ignorare che la giurisprudenza ha applicato la medesima norma anche ai termini del procedimento amministrativo considerando prorogato al giorno successivo (anzi al lunedì) il termine per il compimento di un atto procedimentale in scadenza di sabato (Cons. St., sez. VI, 07.09.2012, n. 4752).
Tuttavia l’equiparazione del sabato a giorno festivo non ha carattere generale ma è limitata ai suddetti ambiti, come peraltro si deduce anche da quelle pronunce secondo cui l'equiparazione del sabato ai giorni festivi opera al solo fine del compimento degli atti processuali svolti fuori dell'udienza che scadono di sabato, onde consentire agli avvocati di procedere il successivo lunedì ai relativi adempimenti; a tutti gli altri effetti il sabato è considerato giorno lavorativo, anche per quanto attiene alle attività di ufficiali giudiziari e di addetti agli uffici ricorsi, come dispone espressamente l'art. 155 c.p.c., applicabile al processo amministrativo ex art. 52, comma 5, c.p.a..
Tanto è vero che questa regola vale solo per i termini che si calcolano in avanti, e non anche per i termini che si calcolano a ritroso; infatti l'art. 52, comma 5, c.p.a. estende al sabato solo la "proroga di cui al comma 3", ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co. 4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato, esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al venerdì (Cons. St., sez V, 31.05.2011, n. 3252).
Data la premessa, la conseguenza è che l’equiparazione del sabato a giorno festivo, ai fini della proroga al giorno lavorativo successivo, non può applicarsi ai termini di scadenza dei pagamenti dovuti per le rate inerenti ai costi di costruzione e agli oneri di urbanizzazione, disciplinati dalle regole di scadenza delle obbligazioni civili, ovverosia dagli artt. 1187 e 2963 c.c. che, nel loro combinato disposto, prevedono la proroga per i soli termini in scadenza di giorno festivo, senza considerare il sabato a tale stregua.
   (2) Ha affermato il Tar –richiamando Cons. St., A.P., 07.12.2016, n. 24– che non può affermarsi l'esistenza di un onere collaborativo gravante sull’Amministrazione creditrice, desumibile dai principi generali in tema di correttezza e buona fede nei rapporti obbligatori di tipo civilistico o dal principio di leale collaborazione proprio dei rapporti intersoggettivi di diritto pubblico, consistente in un obbligo di pronta escussione della garanzia fideiussoria costituita a suo favore o di sollecitazione del pagamento presso il debitore principale.
Conseguentemente, nulla osta all'applicazione, nei confronti dell'intestatario del titolo edilizio, delle sanzioni pecuniarie previste dalla legge per il caso di ritardato od omesso pagamento di oneri di costruzione e urbanizzazione (
TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 01.02.2018 n. 710 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
MASSIMA
2) Infondato si presenta il primo motivo di ricorso, inerente alle somme dovute a titolo di ritardo nel pagamento e, nello specifico, ai pagamenti della II rata di costruzione in scadenza il 02.7.2011, della I rata degli oneri di urbanizzazione in scadenza il 02.01.2010, e della IV rata degli oneri di urbanizzazione in scadenza il 02.07.2011, risultati essere stati effettuati in ritardo di due giorni.
Parte ricorrente ha dedotto in proposito l’assenza del ritardo, in quanto la scadenza di pagamento coincideva con il sabato e, in quanto tale, sarebbe dovuta intendersi come prorogata al lunedì (giorno di effettuazione del pagamento).
Al riguardo parte ricorrente ha sostanzialmente dedotto che l'art. 2963 c.c. prescrive “Se il termine scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo”; l'art. 1187 c.c. stabilisce che “il termine fissato per l'adempimento delle obbligazioni è computato secondo le disposizioni dell'articolo 2963” e che “La disposizione relativa alla proroga del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi sono usi diversi”; infine l'art. 155 c.p.c. include il sabato tra i giorni festivi.
La disciplina che considera il sabato come festivo al fine della proroga dei termini di scadenza andrebbe applicato, secondo parte ricorrente, anche ai termini per il pagamento delle somme dovute per gli oneri di urbanizzazione.
Il Collegio rileva come sia indubbiamente corretto che, in caso di scadenza di un termine in giorno festivo, la sua proroga al successivo giorno non festivo rappresenti un principio di carattere generale, disciplinato dalla vigente legislazione. Infatti, la previsione, d'ordine generale, della suesposta proroga è contenuta nel secondo e terzo comma dell'art. 2963 c.c. che stabilisce, con riferimento alle modalità di computo del termine di prescrizione, che: "non si computa il giorno nel corso del quale cade il momento iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo spirare dell'ultimo istante del giorno finale. Se il termine scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo".
Il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno seguente non festivo è, altresì, evidenziato dall'art. 1187 c.c., in tema di obbligazioni, che sancisce, al secondo comma, che "la disposizione relativa alla proroga del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi sono usi diversi" e dall'art. 155, commi terzo e quarto, c.p.c. secondo cui "i giorni festivi si computano nel termine. Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo"
(Cons. Stato Sez. VI, 07.09.2012, n. 4752), nonché dall’art. 52, comma 3, c.p.a. che prevede la proroga del giorno di scadenza festivo "al primo giorno seguente non festivo".
La questione da esaminare è tuttavia la pretesa equiparazione del sabato a giorno festivo.
Il sabato, difatti, non è giorno festivo e la norma dell’art. 155 c.p.c. che ad esso lo equipara a certi effetti ha come suo ambito di applicazione gli atti processuali, così come all’ambito degli atti processuali è rivolta l’analoga norma dell’art. 52, comma 5, c.p.a. che anch’essa applica la proroga ai termini che scadono nella giornata di sabato. Il Collegio non ignora che la giurisprudenza ha applicato la medesima norma anche ai termini del procedimento amministrativo considerando prorogato al giorno successivo (anzi al lunedì) il termine per il compimento di un atto procedimentale in scadenza di sabato (Cons. Stato Sez. VI, 07.09.2012, n. 4752; Cons. Stato Sez. V, 04.03.2008, n. 824).
Tuttavia l’equiparazione del sabato a giorno festivo non ha carattere generale ma è limitata ai suddetti ambiti, come peraltro si deduce anche da quelle pronunce secondo cui l'equiparazione del sabato ai giorni festivi opera al solo fine del compimento degli atti processuali svolti fuori dell'udienza che scadono di sabato, onde consentire agli avvocati di procedere il successivo lunedì ai relativi adempimenti; a tutti gli altri effetti il sabato è considerato giorno lavorativo, anche per quanto attiene alle attività di ufficiali giudiziari e di addetti agli uffici ricorsi, come dispone espressamente l'art. 155 c.p.c., applicabile al processo amministrativo ex art. 52, comma 5, c.p.a.
Tanto è vero che questa regola vale solo per i termini che si calcolano in avanti, e non anche per i termini che si calcolano a ritroso; infatti l'art. 52, co. 5, c.p.a. estende al sabato solo la "proroga di cui al comma 3", ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co. 4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato, esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al venerdì (Cons. Stato Sez. V, 31.05.2011, n. 3252).
Il Collegio ritiene, quindi, che l’equiparazione del sabato a giorno festivo, ai fini della proroga al giorno lavorativo successivo, non possa applicarsi ai termini di scadenza dei pagamenti in esame dovuti per le rate inerenti ai costi di costruzione e agli oneri di urbanizzazione, regolati in base alle regole di scadenza delle obbligazioni civili, ovverosia dagli artt. 1187 e 2963 c.c. che, nel loro combinato disposto, prevedono la proroga per i soli termini in scadenza di giorno festivo, senza considerare il sabato a tale stregua.
...
5) Con il quarto motivo di ricorso la parte opponente ha fatto presente la circostanza che era stata rilasciata una garanzia per l’adempimento del debito in esame e che il Comune non avrebbe potuto chiedere il pagamento delle sanzioni non avendo proceduto alla previa escussione dell’indicata garanzia fideiussoria.
Il motivo è infondato.
Il pagamento degli oneri concessori ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario. Il relativo sistema di pagamento è caratterizzato da uno strumento a sanzioni crescenti sino al limite di importo individuato dalla lett. c), dell' art. 42 D.P.R. n. 380 del 2001, con chiara funzione di deterrenza dell'inadempimento, che trova applicazione, in base alla legge, al verificarsi dell'inadempimento dell'obbligato principale. La sanzione scatta automaticamente, quale effetto legale automatico (Cons. Stato, sez. V, n. 5394 del 2011), se l'importo dovuto per il contributo di costruzione non è corrisposto alla scadenza; mentre è sfornita di base normativa ogni opzione interpretativa che correli il potere sanzionatorio del Comune al previo esercizio dell'onere di sollecitazione del pagamento presso il debitore principale, ovvero presso il fideiussore. Solo eventuale, infatti, può essere la parallela garanzia prestata per l'adempimento del debito principale.
In tale sistema,
l'amministrazione comunale, allo scadere del termine originario di pagamento della rata, ha solo la facoltà di escutere immediatamente il fideiussore onde ottenere il soddisfacimento del suo credito; ma ove ciò non accada, l'amministrazione avrà comunque il dovere/potere di sanzionare il ritardo nel pagamento con la maggiorazione del contributo a percentuali crescenti all'aumentare del ritardo. E, solo alla scadenza di tutti termini fissati al debitore per l'adempimento (e quindi dopo aver applicato le massime maggiorazioni di legge), l'amministrazione avrà il potere di agire nelle forme della riscossione coattiva del credito nei confronti del debitore principale (art. 43, D.P.R. n. 380 del 2001).
L'amministrazione, se pure non è impedita dallo svolgere attività sollecitatoria dei pagamenti in occasione delle scadenze dei termini intermedi cui sono correlati gli aumenti percentuali del contributo, è facultata ad attendere il volontario pagamento da parte del debitore (e eventualmente del suo fideiussore), salvo in ogni caso restando il suo potere-dovere di applicare le sanzioni di legge per il ritardato pagamento.
Il potere di sanzionare il pagamento tardivo, in definitiva, è incondizionatamente previsto dall' art. 42 D.P.R. n. 380 del 2001 e la lettera della legge è chiara nell'assegnare all'amministrazione il potere/dovere di applicare le sanzioni al verificarsi di un unico presupposto fattuale, e cioè il ritardo nel pagamento da parte dell'intestatario del titolo edilizio, o di chi gli sia subentrato secundum legem.
In definitiva, seguendo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Ad. Plen. 07.12.2016, n. 24)
un'amministrazione comunale ha il pieno potere di applicare, nei confronti dell'intestatario di un titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di pagamento dilazionato di detto contributo, abbia omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa scadenza dei singoli ratei di pagamento ovvero abbia comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria del pagamento presso il debitore principale.
Non può affermarsi l'esistenza di un onere collaborativo gravante sulla Amministrazione creditrice, desumibile dai principi generali in tema di correttezza e buona fede nei rapporti obbligatori di tipo civilistico o dal principio di leale collaborazione proprio dei rapporti intersoggettivi di diritto pubblico, consistente in un obbligo di pronta escussione della garanzia fideiussoria costituita a suo favore o di sollecitazione del pagamento presso il debitore principale. Conseguentemente, nulla osta all'applicazione, nei confronti dell'intestatario del titolo edilizio, delle sanzioni pecuniarie previste dalla legge per il caso di ritardato od omesso pagamento di oneri di costruzione e urbanizzazione.

anno 2017

EDILIZIA PRIVATA: Sugli obblighi del Comune a fronte del ritardo nel pagamento dei contributi di urbanizzazione si era registrato, nella giurisprudenza amministrativa, un marcato dissidio.
L’ordinanza cautelare aveva aderito alla tesi secondo cui il Comune avrebbe l'obbligo —in nome del dovere di cooperazione tra creditore e debitore previsto dall'art. 1175 cod. civ., e, comunque, del principio di imparzialità ed efficacia che presiede all'azione amministrativa— di escutere la garanzia prestata dal privato a tutela dell'adempimento dell'obbligo contributivo: pena la illegittimità delle sanzioni irrogate per il protrarsi dell'inadempimento oltre il primo periodo di mora.
Si contrapponeva la posizione secondo cui la prestazione di una fideiussione a garanzia del pagamento dei contributi di costruzione avviene nell'interesse esclusivo del Comune creditore e non anche dell'intestatario del permesso di costruzione (su cui grava in via principale l'obbligo di contribuzione); di conseguenza, di fronte al mancato versamento dei contributi concessori nel termine stabilito, l'Amministrazione non avrebbe l'obbligo di attivarsi immediatamente contro il fideiussore allo scopo di minimizzare le conseguenze negative a cui è esposto il debitore principale in conseguenza dell'inadempimento.
L’Adunanza Plenaria, con sentenza 07.12.2016, n. 24 ha risolto il contrasto, aderendo alla seconda posizione, affermando che “un’amministrazione comunale ha il pieno potere di applicare, nei confronti dell’intestatario di un titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di pagamento dilazionato di detto contributo, abbia omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa scadenza dei singoli ratei di pagamento, ovvero abbia comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria del pagamento presso il debitore principale”.
Ha precisato che risulta sfornita di base normativa ogni opzione interpretativa che correli il potere sanzionatorio del Comune al previo esercizio dell’onere di sollecitazione del pagamento presso il debitore principale ovvero presso il fideiussore.
---------------
La prescrizione per la riscossione delle somme dovute a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione decorre dalla data di emanazione del provvedimento concessorio ed è decennale.
Ai sensi dell'art. 28, l. 24.11.1981, n. 689, applicabile ex art. 12 della stessa legge a tutte le sanzioni amministrative di tipo afflittivo, il termine di prescrizione della sanzione irrogata per ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di urbanizzazione e per il costo di costruzione è di cinque anni, e decorre dal giorno in cui è stata commessa la violazione.
---------------
La disciplina degli abusi edilizi ha un carattere speciale e non è omologabile al sistema sanzionatorio previsto, per la generalità delle violazioni amministrative, dalla legge n. 689 del 1981.
E ciò sul rilievo che le sanzioni pecuniarie comminate per abusi edilizi non sono sanzioni punitive (cioè correlate esclusivamente alla responsabilità personale dell'autore della violazione), ma costituiscono misure con finalità ripristinatoria, di carattere meramente patrimoniale, trasmissibili agli eredi.
---------------

1) Oggetto del presente ricorso è la richiesta di pagamento dei costi di costruzione e degli oneri di urbanizzazione, per un intervento di realizzazione di civile abitazione, attivata attraverso lo strumento dell’ordinanza ingiunzione ex art. 2 del r.d. n. 639 del 1910.
Con il presente ricorso viene chiesto l’annullamento delle ordinanze, pur non prospettando vizi specifici rispetto ai provvedimenti, né contestando il quantum, ma lamentando solo la violazione dell’art. 1175 c.c. e dell’art. 42 DPR 380/2001, perché in presenza delle polizze fidejussorie, il Comune avrebbe dovuto rivolgersi tempestivamente all’assicurazione, evitando in tal modo l’applicazione della sanzione di legge.
Viene poi eccepita la prescrizione di quanto richiesto.
2) Il primo motivo è infondato.
Sugli obblighi del Comune a fronte del ritardo nel pagamento dei contributi di urbanizzazione si era registrato, nella giurisprudenza amministrativa, un marcato dissidio.
L’ordinanza cautelare aveva aderito alla tesi secondo cui il Comune avrebbe l'obbligo —in nome del dovere di cooperazione tra creditore e debitore previsto dall'art. 1175 cod. civ., e, comunque, del principio di imparzialità ed efficacia che presiede all'azione amministrativa— di escutere la garanzia prestata dal privato a tutela dell'adempimento dell'obbligo contributivo: pena la illegittimità delle sanzioni irrogate per il protrarsi dell'inadempimento oltre il primo periodo di mora (Sez. V, 09.12.2013, n. 5880, 2013, Sez. IV, 17.02.2014, n. 731).
Si contrapponeva la posizione secondo cui la prestazione di una fideiussione a garanzia del pagamento dei contributi di costruzione avviene nell'interesse esclusivo del Comune creditore e non anche dell'intestatario del permesso di costruzione (su cui grava in via principale l'obbligo di contribuzione); di conseguenza, di fronte al mancato versamento dei contributi concessori nel termine stabilito, l'Amministrazione non avrebbe l'obbligo di attivarsi immediatamente contro il fideiussore allo scopo di minimizzare le conseguenze negative a cui è esposto il debitore principale in conseguenza dell'inadempimento (Cons. Stato, Sez. V, 20.11.2015 n. 5287, Sez. V 21.11.2014 n. 5734).
L’Adunanza Plenaria, con sentenza 07.12.2016, n. 24 ha risolto il contrasto, aderendo alla seconda posizione, affermando che “un’amministrazione comunale ha il pieno potere di applicare, nei confronti dell’intestatario di un titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di pagamento dilazionato di detto contributo, abbia omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa scadenza dei singoli ratei di pagamento, ovvero abbia comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria del pagamento presso il debitore principale”.
Ha precisato che risulta sfornita di base normativa ogni opzione interpretativa che correli il potere sanzionatorio del Comune al previo esercizio dell’onere di sollecitazione del pagamento presso il debitore principale ovvero presso il fideiussore.
Le ordinanze non risultano quindi censurabili, sotto i profili sollevati, poiché nessun obbligo si configurava in capo all’Amministrazione di escutere direttamente il fideiussore.
Il primo motivo va quindi respinto.
3) L’eccezione di prescrizione è in parte fondata.
La prescrizione per la riscossione delle somme dovute a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione decorre dalla data di emanazione del provvedimento concessorio (cfr.: Tar Sicilia Palermo II, 18.01.2012 n. 126) ed è decennale.
Ai sensi dell'art. 28, l. 24.11.1981, n. 689, applicabile ex art. 12 della stessa legge a tutte le sanzioni amministrative di tipo afflittivo, il termine di prescrizione della sanzione irrogata per ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di urbanizzazione e per il costo di costruzione è di cinque anni, e decorre dal giorno in cui è stata commessa la violazione.
Per le tre concessioni edilizie la situazione è pressoché simile, poiché i titoli sono stati rilasciati nel 1996; l’amministrazione ha chiesto il pagamento nel corso del 1999 e del 2000, ma poi, nonostante il mancato pagamento, il successivo sollecito è solo del 16.06.2008.
Non sono prescritte le somme ancora dovute per il costo di costruzione e gli oneri di urbanizzazione; risultano invece prescritte le somme dovute a titolo di sanzione per ritardato pagamento, essendo l’Amministrazione rimasta inerte, dal 2000 al 2008, quindi per più di cinque anni.
La domanda di accertamento dell’intervenuta prescrizione va quindi accolta limitatamente alle somme richieste a titolo di sanzione.
4) Nell’atto di riassunzione gli eredi hanno introdotto una eccezione, sull’assunto che le sanzioni pecuniarie non si trasmettono agli eredi.
L’eccezione è infondata, in quanto la disciplina degli abusi edilizi ha un carattere speciale e non è omologabile al sistema sanzionatorio previsto, per la generalità delle violazioni amministrative, dalla legge n. 689 del 1981; e ciò sul rilievo che le sanzioni pecuniarie comminate per abusi edilizi non sono sanzioni punitive (cioè correlate esclusivamente alla responsabilità personale dell'autore della violazione), ma costituiscono misure con finalità ripristinatoria, di carattere meramente patrimoniale, trasmissibili agli eredi (TAR Milano, sez. I, 05/12/2014, n. 2940) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 13.03.2017 n. 353 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: La prescrizione degli oneri di urbanizzazione.
DOMANDA:
Nel 2002 una ditta ha presentato una pratica edilizia e provveduto al versamento al Comune dei relativi oneri di urbanizzazione nel marzo 2004. I lavori di cui alla pratica non sono però mai stati eseguiti, l’ente non ha mai rilasciato titolo abilitativo né il richiedente ha presentato alcuna richiesta di rimborso degli oneri versati.
Nel dicembre 2004 la stessa ditta presentava una richiesta di condono edilizio relativa allo stesso fabbricato. Il Comune ha definendo la pratica di condono e richiede il pagamento di quanto dovuto.
La ditta chiede la possibilità di compensare quanto deve versare per il condono edilizio con la somma pagata a titolo di oneri per la prima pratica edilizia con conseguente recupero della differenza (il costo del condono è inferiore a quanto versato a titolo di oneri di urbanizzazione).
Si chiede il vs. parere sulla possibilità da parte dell’Ente di accettare tale compensazione anche alla luce della prescrizione decennale.
RISPOSTA:
In via di principio le somme versate a titolo di oneri concessori devono essere restituite all'interessato se alla richiesta del titolo abilitativo non è poi effettivamente seguita alcuna attività edilizia. Si tratta infatti di una obbligazione strettamente connessa e fondata sul maggior carico urbanistico che deriva dalla nuova costruzione la quale, se non eseguita, fa quindi venir meno direttamente il relativo presupposto applicativo.
Va tuttavia verificato se il credito non fosse già prescritto al momento della richiesta di restituzione. Al riguardo si osserva che, secondo i principi generali, il termine dal quale inizia a decorrere il momento di prescrizione decennale del diritto alla restituzione degli oneri di urbanizzazione, derivante dal fatto che, a seguito della intervenuta decadenza del titolo edilizio per mancato inizio dei lavori nel termine di legge, l’intervento edificatorio non è più stato realizzato, va individuato nel momento in cui il diritto al rimborso può essere effettivamente esercitato: coincidendo –detto termine– p.es. nella data di scadenza del termine annuale di decadenza per mancato inizio dei lavori relativi al titolo edilizio: scaduto il termine per l’inizio dei lavori il privato ha diritto di richiedere al Comune la restituzione delle somme versate, non potendo dar corso all'intervento assentito poiché i termini per potere iniziare i lavori sono scaduti, senza incorrere nella decadenza.
In sostanza si ritiene in genere che il termine iniziale della prescrizione decorra dalla data di rilascio del titolo edilizio e cioè dal momento in cui il diritto al rimborso poteva essere effettivamente esercitato. La giurisprudenza amministrativa ha osservato che “per i diritti di credito, la realizzazione dei quali esige un’attività del creditore, la prescrizione decorre dal giorno in cui l’attività poteva essere compiuta ed egli poteva, così, mettersi in grado di esigere la prestazione dovuta … sia perché l’inerzia del titolare del diritto assume rilevanza dal momento in cui è possibile esercitare il diritto” (v. Cons. Stato, Sez. V, 19.06.2003 n. 954; TAR Campania–SA- Sez. II, 28.02.2008 n. 247).
D'altronde secondo lo stesso art. 2935 c.c., il termine di prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere; pertanto, il diritto di credito del titolare di una concessione edilizia non utilizzata, di ottenere la restituzione dalla P.A. delle somme corrisposte per oneri di urbanizzazione, decorre non già dalla data del rilascio dell’atto di assenso edificatorio, bensì dalla data in cui il titolare comunica alla amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo, o dalla data di adozione da parte della P.A. del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali o finali o per l’entrata in vigore delle previsioni urbanistiche contrastanti (TAR Lombardia–Milano, sez. II, 24.03.2010, n. 728).
Ciò premesso e con riguardo alla fattispecie oggetto del quesito, laddove si espone che la concessione non sia stata mai rilasciata, si ritiene opportuno pertanto verificare, ai fini di stabilire correttamente la data di decorrenza della prescrizione, le ragioni per le quali in concreto il procedimento edilizio, pur dopo il versamento degli oneri, non sia proseguito fino al rilascio del provvedimento e se eventualmente siano intercorse eventuali rinunce dell’interessato, archiviazioni della pratica ecc. (in difetto delle quali la decorrenza potrebbe anche ipotizzarsi dal compimento del tempo previsto come necessario alla definizione del procedimento.
L’amministrazione avrà inoltre cura di accertare se nella fattispecie la eccezione di compensazione possa trovare comunque luogo sulla base della regola di cui all'art. 1242, 2° comma, cod. civ. secondo cui “la prescrizione non impedisce la compensazione se non era compiuta quando si è verificata la coesistenza dei due debiti” (link
a www.ancirisponde.ancitel.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: Venendo in considerazione una controversia inerente alla contestazione di contributi di costruzione, sussiste la giurisdizione di questo plesso di giustizia amministrativa, ai sensi dell’art. 133, lett. f), del cod. proc. amm..
In particolare, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza, le controversie attinenti alla determinazione dell'an e del quantum dell'oblazione e del contributo per oneri di urbanizzazione e per costo di costruzione hanno ad oggetto diritti soggettivi delle parti dell'obbligazione contributiva, e sono perciò devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'articolo 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.; giurisdizione che “comprende la totalità degli aspetti dell'uso del territorio, nessuno escluso (...): sicché deve intendersi in essa inclusa la materia relativa alla determinazione, liquidazione e riscossione degli oneri di urbanizzazione".
La giurisdizione del giudice amministrativo in ordine ai suddetti profili non viene meno a seguito dell’emissione dell’ingiunzione di pagamento ai sensi dell’articolo 2 del R.D. n. 639 del 1910.
E’ stato, infatti, da tempo chiarito che “per un principio giurisprudenziale pacifico, in materia di opposizione all’ingiunzione per la riscossione di entrate patrimoniali dello Stato, la disposizione di cui all’art. 3 del R.D. 14.04.1910, n. 639 non reca deroga alle norme regolatrici della giurisdizione nel vigente ordinamento giuridico e, pertanto, non può essere invocata per ricondurre nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice ordinario vertenze che, con riguardo alla natura dei rapporti dedotti ed alla normativa ad essi relativa, debbano essere riservate alla cognizione di altro giudice”.
A tal riguardo, va, altresì, osservato che la scelta del mezzo attraverso il quale l’Amministrazione esercita la propria pretesa creditoria è neutra rispetto alla materia del contendere, sicché da essa non può certo dipendere il riparto di giurisdizione.
---------------
Il Consiglio di Stato, pronunciatosi, anche di recente, sul tema della decorrenza della prescrizione del diritto di credito relativo al contributo per costo di costruzione ex art. 11 l. n. 10/1977 (oggi art. 16 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380), ha affermato che il detto termine di prescrizione comincia a decorrere dal momento stesso del rilascio della concessione edilizia.
La disposizione dell’art. 11 della legge n. 10 del 1977, in tema di “Versamento del contributo afferente alla concessione”, stabilisce quanto segue: “La quota di contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in corso d’opera con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione delle opere”.
Da tale norma si desume, invero, che il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia, di versare il contributo previsto, è rappresentato dal rilascio della concessione medesima ed è a tale momento, quindi, che occorre avere riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, divenendo il relativo credito certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilevo, in senso contrario, può assumere la circostanza che al Comune sia espressamente riconosciuta la facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, atteso che l’atto di imposizione non ha carattere autoritativo, ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale e la sua mancata tempestiva adozione non implica alcun potere dell’Amministrazione di differire il suo diritto di credito, configurandosi, piuttosto, come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione.
Detta decorrenza, secondo la giurisprudenza maggioritaria, vale sia per la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione che per quella relativa al costo di costruzione.

---------------
... per l'annullamento dell’ingiunzione adottata, ai sensi del R.D. 14.04.1910 n. 639, a seguito dell’esecutività disposta dal Consigliere Dirigente della Pretura di Cosenza in data 26.06.1998 e concernente il pagamento di contributi per la costruzione di un fabbricato per civile abitazione pari all’importo di £ 1.485.000.
...
1. Va premesso che, venendo in considerazione una controversia inerente alla contestazione di contributi di costruzione, sussiste la giurisdizione di questo plesso di giustizia amministrativa, ai sensi dell’art. 133, lett. f), del cod. proc. amm. (cfr. Cass. Civ. SS.UU., 16.03.2010, n. 6314; Cass. Civ. SS.UU. 14.07.2005, n. 14801; Consiglio di Stato, sez. IV, 21.08.2013, n. 4208; C.G.A. 18.03.2013, n. 371).
In particolare, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza, le controversie attinenti alla determinazione dell'an e del quantum dell'oblazione e del contributo per oneri di urbanizzazione e per costo di costruzione hanno ad oggetto diritti soggettivi delle parti dell'obbligazione contributiva, e sono perciò devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'articolo 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm. (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 21.08.2013, n. 4208; da ultimo TAR Lombardia Milano, sez. II, 05.08.2015, n. 1887); giurisdizione che “comprende la totalità degli aspetti dell'uso del territorio, nessuno escluso (...): sicché deve intendersi in essa inclusa la materia relativa alla determinazione, liquidazione e riscossione degli oneri di urbanizzazione" (Cass. civ., SS. UU., 20.10.2006, n. 22514).
La giurisdizione del giudice amministrativo in ordine ai suddetti profili non viene meno a seguito dell’emissione dell’ingiunzione di pagamento ai sensi dell’articolo 2 del R.D. n. 639 del 1910.
E’ stato, infatti, da tempo chiarito che “per un principio giurisprudenziale pacifico, in materia di opposizione all’ingiunzione per la riscossione di entrate patrimoniali dello Stato, la disposizione di cui all’art. 3 del R.D. 14.04.1910, n. 639 non reca deroga alle norme regolatrici della giurisdizione nel vigente ordinamento giuridico e, pertanto, non può essere invocata per ricondurre nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice ordinario vertenze che, con riguardo alla natura dei rapporti dedotti ed alla normativa ad essi relativa, debbano essere riservate alla cognizione di altro giudice (cfr., di recente, Cass., SS. UU. n. 1238 del 30.01.2002)” (Cons. Stato, Sez. VI, 29.11.2005, n. 6748).
A tal riguardo, va, altresì, osservato che la scelta del mezzo attraverso il quale l’Amministrazione esercita la propria pretesa creditoria è neutra rispetto alla materia del contendere, sicché da essa non può certo dipendere il riparto di giurisdizione (Cass. Civ. S.U., 08.02.2013, n. 3043).
2. Passando all’esame del ricorso, va rilevata l’infondatezza del primo motivo, secondo cui la notificazione dell’ordinanza sarebbe inesistente, in quanto effettuata in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 2 del r.d. n. 639/1910, non essendo stata notificata nelle prescritte forme della citazione da un Ufficiale Giudiziario addetto alla Pretura o da un Usciere addetto all’Ufficio di Conciliazione, bensì tramite messo comunale.
Premesso che, nell’ambito della giurisdizione amministrativa, l’ingiunzione de qua rileva non come atto iniziale del procedimento di riscossione coattiva, ma come atto di estrinsecazione formale della pretesa creditoria da far valere nei termini prescrizionali (TAR Milano, sez. II, 12.04.2007, n. 1780; TAR Milano sez. II, 05.08.2015, n. 1887), eventuali vizi della notificazione non incidono sulla validità dell’atto amministrativo, ma si riflettono, semmai, sul termine di impugnazione, che decorre dall’effettiva conoscenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 27.10.2003, n. 6631), con l’ulteriore conseguenza che eventuali vizi sono sanati dal raggiungimento dello scopo.
Invero, nel caso, l’ordinanza, ancorché notificata per il tramite del messo comunale (possibilità prevista solo con la successiva legge n. 296 del 2006, art. 1, comma 158), comunque, è stata ricevuta dal destinatario dell’atto, per come ammesso in ricorso, e avverso la stessa sono state fatte valere le doglianze di cui al presente.
Ne consegue, quindi, che la notificazione ha raggiunto lo scopo, restando, pertanto, irrilevanti i vizi di notificazione.
3. Parimenti infondato è il secondo motivo, con il quale, in modo del tutto generico, i ricorrenti lamentano il difetto di motivazione nell’atto impugnato, per l’asserita incertezza sul credito e sull’importo dovuto, in mancanza di indicazioni sulla circostanza che il credito afferisca ad oneri di urbanizzazione o al costo di costruzione e in mancanza di qualunque criterio che possa consentire l’esatta indicazione dell’importo ingiunto.
3.1. Invero, l’atto appare sufficientemente idoneo ad individuare la sua ragione giustificativa, facendo esso riferimento al contributo da corrispondere relativo alla costruzione in zona C in relazione alla concessione edilizia n. 16 e alla variante n. 10 del 14/07/1984.
3.2. Peraltro, anche la contestazione relativa alla quantificazione appare generica, mancando una specifica censura in merito ed essendo onere del ricorrente dimostrarne l’erroneità, opponendo la propria quantificazione a quella dell’Amministrazione, il che non è avvenuto nel caso di specie.
4. Fondato è, invece, il terzo motivo, con il quale i ricorrenti contestano l’intervenuta prescrizione decennale del credito de quo.
I ricorrenti espongono che il de cuius avrebbe realizzato un fabbricato per civile abitazione in agro del Comune di Marano Marchesato, giusta concessione edilizia n. 16/1980 e successiva variante n. 10 al progetto esecutivo (che dall’atto impugnato risulta del 14.07.1984); affermano, altresì, che l’ultimazione dei lavori sarebbe avvenuta il 26.06.1985, senza che sia stato mai vantato il credito in questione da parte dell’Amministrazione intimata.
Orbene, il Consiglio di Stato, pronunciatosi, anche di recente (Cons. Stato, sez. IV, 10.01.2014, n. 2949; 16.01.2009 n. 216; 06.06.2008 n. 2686), sul tema della decorrenza della prescrizione del diritto di credito relativo al contributo per costo di costruzione ex art. 11 l. n. 10/1977 (oggi art. 16 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380), ha affermato che il detto termine di prescrizione comincia a decorrere dal momento stesso del rilascio della concessione edilizia.
La disposizione dell’art. 11 della legge n. 10 del 1977, in tema di “Versamento del contributo afferente alla concessione”, stabilisce quanto segue: “La quota di contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in corso d’opera con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione delle opere”.
Da tale norma si desume, invero, che il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia, di versare il contributo previsto, è rappresentato dal rilascio della concessione medesima ed è a tale momento, quindi, che occorre avere riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, divenendo il relativo credito certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilevo, in senso contrario, può assumere la circostanza che al Comune sia espressamente riconosciuta la facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, atteso che l’atto di imposizione non ha carattere autoritativo, ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale e la sua mancata tempestiva adozione non implica alcun potere dell’Amministrazione di differire il suo diritto di credito, configurandosi, piuttosto, come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 10.01.2014, n. 2949; Cons. Stato, Sez. V, 13.06.2003, n. 3332).
Detta decorrenza, secondo la giurisprudenza maggioritaria, vale sia per la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione che per quella relativa al costo di costruzione.
4.1. Nel caso in esame, la concessione risulta essere stata rilasciata nel 1980 e la variante in data 14.07.1984; l’ultimazione dei lavori sarebbe avvenuta in data 26.06.1985, ma non risulta agli atti del giudizio comunicazione della data di ultimazione degli stessi.
Orbene, l’impugnata ingiunzione è diventata esecutoria in data 26.06.1998 ed è stata notificata in data 17.12.1998, ossia quando ormai il diritto di credito del Comune si era estinto per compimento di oltre dieci anni dal rilascio della variante (14.07.1984).
4.2. Va aggiunto che la prescrizione del credito sussiste anche se si volesse seguire la tesi giurisprudenziale, secondo cui, a norma dell’art. 11, comma 2, della legge 28.01.1977 n. 10 (oggi art. 16, comma 3, del d.p.r. n. 380/2001), il termine prescrizionale comincia a decorrere dal sessantesimo giorno successivo all’ultimazione delle opere.
La citata disposizione va, infatti, coordinata con quella di cui all’art. 4, comma 4, della stessa legge citata n. 10/1977 (oggi art. 15, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001), ai sensi del quale “Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti esterni alla volontà del concessionario …”.
Poiché la norma citata prevede che, comunque, l’opera deve essere ultimata entro tre anni dal rilascio della concessione, a tutto concedere, il “dies a quo” poteva essere portato avanti di un triennio (al 14.07.1987), per cui, anche in mancanza dell’allegazione della dichiarazione di ultimazione lavori, delle due l’una, o i lavori non erano ultimati alla scadenza dei tre anni e allora la concessione edilizia era venuta meno, ovvero erano terminati, e allora l’Amministrazione avrebbe dovuto richiedere il pagamento del contributo in questione (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 16.01.2009, n. 216).
4.3. Alla luce delle considerazioni esposte, essendo ampiamente trascorso il termine decennale di prescrizione, il ricorso merita, per tale motivo, accoglimento (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 09.12.2015 n. 1846 - link a www.giustizia-amministratva.it).

EDILIZIA PRIVATAIl versamento di oneri di urbanizzazione riferibile ad opere assentite ma non realizzate diventa rimborsabile nel momento in cui matura la certezza che le opere stesse non saranno più realizzate e si può concordare sul fatto che, in linea di principio, in mancanza di un espresso atto di rinuncia alla realizzazione delle opere da parte dell’interessato, tale momento si può e si deve far coincidere con la scadenza del termine di efficacia del titolo edilizio -dovendosi in tal caso qualificare l’eventuale richiesta di rinnovo del titolo, presentata dopo la scadenza di esso, quale atto giuridico che fa rivivere l’obbligo del pagamento degli oneri di urbanizzazione e che pertanto legittima l’amministrazione comunale a ritenere quelli già percepiti e riferibili alle opere assentite (nuovamente) in sede di rinnovo del titolo edilizio.
Anche in giurisprudenza è già stato affermato che il diritto al rimborso di oneri di urbanizzazione versati in relazione ad opere mai iniziate può essere fatto valere dalla scadenza del termine annuale entro il quale i lavori devono avere inizio, e tale affermazione deve appunto correlarsi al principio per cui il mancato inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire comporta la perdita di efficacia del medesimo.
Mutatis mutandis alla medesima conclusione si deve pervenire laddove le opere, benché iniziate tempestivamente, non siano ultimate entro il triennio.

17.1.4. Si deve a questo punto rilevare che il versamento di oneri di urbanizzazione riferibile ad opere assentite ma non realizzate diventa rimborsabile nel momento in cui matura la certezza che le opere stesse non saranno più realizzate e si può concordare sul fatto che, in linea di principio, in mancanza di un espresso atto di rinuncia alla realizzazione delle opere da parte dell’interessato, tale momento si può e si deve far coincidere con la scadenza del termine di efficacia del titolo edilizio -dovendosi in tal caso qualificare l’eventuale richiesta di rinnovo del titolo, presentata dopo la scadenza di esso, quale atto giuridico che fa rivivere l’obbligo del pagamento degli oneri di urbanizzazione e che pertanto legittima l’amministrazione comunale a ritenere quelli già percepiti e riferibili alle opere assentite (nuovamente) in sede di rinnovo del titolo edilizio-: anche in giurisprudenza è già stato affermato che il diritto al rimborso di oneri di urbanizzazione versati in relazione ad opere mai iniziate può essere fatto valere dalla scadenza del termine annuale entro il quale i lavori devono avere inizio (TAR Bologna, sez. II, n. 489/2013), e tale affermazione deve appunto correlarsi al principio per cui il mancato inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire comporta la perdita di efficacia del medesimo.
Mutatis mutandis alla medesima conclusione si deve pervenire laddove le opere, benché iniziate tempestivamente, non siano ultimate entro il triennio (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 14.08.2015 n. 1327 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATALa novazione soggettiva nei rapporti inerenti il titolo edilizio avviene con la voltura non essendo, invece, sufficiente, a realizzare tale effetto il mero acquisito dell’immobile. Tant’è che, secondo la giurisprudenza, del pagamento dei contributi di urbanizzazione risponde direttamente e per intero il titolare della concessione edilizia, essendo i successivi acquirenti estranei al rapporto che al riguardo si è instaurato col Comune.
Peraltro, la titolarità del permesso edilizio incide solo sul profilo passivo della obbligazione relativa al pagamento del contributo ma nulla, invece, ha a che vedere con l’azione di ripetizione dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa.
Nessuna rilevanza assume ai fini della legittimazione ad esercitare l’azione in discorso il fatto che l’onere economico del pagamento indebito sia poi stato trasferito da parte del solvens su un soggetto terzo. Infatti, il presupposto della azione di ripetizione, è esclusivamente quello del pagamento di un debito non dovuto e non quello dell’”arricchimento ai danni di altra persona” che è, invece, proprio della diversa azione di arricchimento senza causa.

La Sig.ra Giuliana Vitale ha acquistato nel 2009 una porzione di fabbricato destinato a civile abitazione nel comune di Pistoia.
La sua dante causa, Sig.ra Vettori Antonella, prima della vendita aveva già presentato al predetto comune una d.i.a. per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione e pagato i relativi oneri di urbanizzazione.
I predetti oneri, in forza di apposito patto contrattuale, sono stati poi posti a carico dell’acquirente che ha poi portato a termine i lavori.
La Sig.ra Vitale si è, tuttavia, avveduta che l’ammontare degli oneri di urbanizzazione richiesti dal Comune di Pistoia superava la somma effettivamente dovuta.
In particolare, il predetto ente, in applicazione della delibera consiliare n. 225 del 21/12/2007, aveva calcolato gli oneri sulla base della superficie lorda dell’intero fabbricato anziché prendere a riferimento la sola unità immobiliare interessata dal progetto di ristrutturazione.
Ritenendo, anche sulla scorta di precedenti pronunce di questo Tribunale Amministrativo, tale sistema di calcolo palesemente illegittimo, la Sig.ra Vitale ha intentato azione di ripetizione dell’indebito contro il Comune di Pistoia per ottenere la ripetizione delle somme pagate in eccesso a titolo di oneri di urbanizzazione.
Nel costituirsi in giudizio il Comune di Pistoia ha preliminarmente eccepito la carenza di legittimazione attiva della ricorrente osservando che l’azione di ripetizione potrebbe essere esercitata solo da chi ha eseguito il pagamento non dovuto e, quindi, nella specie, dalla Sig.ra Vettori che ha versato alla tesoreria comunale le somme richieste a titolo di oneri di urbanizzazione.
Al riguardo la ricorrente ha replicato di essere subentrata, per effetto dell’acquisto dell’immobile, in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo al titolo edilizio. Sicché, così come l’obbligo di pagare gli oneri concessori (qualora questi fossero ancora insoluti) si sarebbe trasferito su di lei, allo stesso modo, essa sarebbe divenuta titolare dell’azione di ripetizione di quanto indebitamente corrisposto a tale titolo dalla sua dante causa.
Gli argomenti dedotti dalla ricorrente per contrastare l’eccezione formulata dal Comune non appaiono, tuttavia, convincenti.
Occorre in primo luogo osservare che la novazione soggettiva nei rapporti inerenti il titolo edilizio avviene con la voltura non essendo, invece, sufficiente, a realizzare tale effetto il mero acquisito dell’immobile. Tant’è che, secondo la giurisprudenza, del pagamento dei contributi di urbanizzazione risponde direttamente e per intero il titolare della concessione edilizia, essendo i successivi acquirenti estranei al rapporto che al riguardo si è instaurato col Comune (Cons. Stato, V, 26/06/1996 n. 793).
Peraltro, la titolarità del permesso edilizio incide solo sul profilo passivo della obbligazione relativa al pagamento del contributo ma nulla, invece, ha a che vedere con l’azione di ripetizione dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa (Cassazione civile sez. III, 01.12.2009 n. 25276; TAR Napoli Campania sez. V, 05.04.2011 n. 1916).
Nessuna rilevanza assume ai fini della legittimazione ad esercitare l’azione in discorso il fatto che l’onere economico del pagamento indebito sia poi stato trasferito da parte del solvens su un soggetto terzo. Infatti, il presupposto della azione di ripetizione, è esclusivamente quello del pagamento di un debito non dovuto e non quello dell’”arricchimento ai danni di altra persona” che è, invece, proprio della diversa azione di arricchimento senza causa.
Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.03.2014 n. 493 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: L’Ente civico è tenuto a corrispondere il quantum che risulta essere stato corrisposto dal ricorrente a titolo di oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e di costi di costruzione, maggiorato degli interessi legali, nella misura vigente nel periodo dal versamento al soddisfo, e della rivalutazione monetaria, ove nel periodo suindicato il tasso d’inflazione sia superiore al tasso di interesse legale, laddove il concessionario rinunci all'edificazione di quanto richiesto.
---------------
Rinunciando all'esecuzione di una concessione edilizia rilasciata, nulla deve invece essere restituito quali diritti di segreteria, atteso che tale importo è una tariffa stabilita per l’instaurazione e lo svolgimento del procedimento amministrativo introdotto dalla domanda di rilascio di permesso di costruire e non già correlata al rilascio del titolo.

... avverso il silenzio inadempimento del Comune di Barletta sull’istanza di restituzione degli oneri di urbanizzazione relativi ad una domanda di permesso di costruire, mai accolta ed oggetto di rinuncia da parte del ricorrente.
...
Considerato:
- che, ai sensi dell’art. 16, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo”;
- che è evidente che il contributo concessorio sopra specificato è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio assentita col titolo edilizio rilasciato e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare;
- che, in assenza di restituzione, si determinerebbe in favore del Comune un indebito oggettivo, ai sensi dell’art. 2033 c.c.;
- che conseguentemente nella specie l’Ente civico intimato è tenuto a corrispondere il quantum che risulta essere stato corrisposto dal ricorrente a titolo di oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e di costi di costruzione, maggiorato degli interessi legali, nella misura vigente nel periodo dal versamento al soddisfo, e della rivalutazione monetaria, ove nel periodo suindicato il tasso d’inflazione sia superiore al tasso di interesse legale;
- che nulla deve invece essere restituito quali diritti di segreteria, atteso che tale importo è una tariffa stabilita per l’instaurazione e lo svolgimento del procedimento amministrativo introdotto dalla domanda di rilascio di permesso di costruire e non già correlata al rilascio del titolo;
Ritenuto:
- che, pertanto, il ricorso debba accogliersi, con le precisazioni sopra fatte, e, per l’effetto, il Comune di Barletta sia tenuto a riscontrare l’istanza del ricorrente con provvedimento espresso, determinandosi a versare in suo favore la somma suindicata nel termine indicato in dispositivo, con l’avvertenza che, in assenza, sarà nominato un commissario ad acta, che dovrà provvedere in sua vece (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 08.11.2013 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARelativamente al credito per restituzione di somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione per mancato inizio dei lavori stessi e conseguente decadenza della relativa concessione edilizia, il dies a quo dell’ordinario termine di prescrizione decennale del suddetto diritto, deve necessariamente essere individuato nel momento in cui il diritto al rimborso poteva essere effettivamente esercitato, e, pertanto, (nel caso di specie) nella data di scadenza del termine annuale di decadenza per mancato inizio dei lavori relativi a concessione edilizia ritirata dall’interessata in data 22/04/1994.
E’ solo da tale momento, infatti, che l’odierna ricorrente poteva esercitare il diritto in questione, mediante richiesta al Comune di restituzione delle relative somme, essendo sempre da tale momento spirato anche il termine per potere iniziare i lavori concessionati senza incorrere nella decadenza.
Sulla questione, la giurisprudenza amministrativa ha osservato che “…per i diritti di credito, la realizzazione dei quali esige un’attività del creditore, la prescrizione decorre dal giorno in cui l’attività poteva essere compiuta ed egli poteva, così, mettersi in grado di esigere la prestazione dovuta …. sia perché l’inerzia del titolare del diritto assume rilevanza dal momento in cui è possibile esercitare il diritto…”.

Il Collegio osserva che il ricorso merita accoglimento.
Va rilevato che non è in contestazione –tra le parti– che la concessione edilizia rilasciata alla ricorrente in data 10/01/1994 e da questa formalmente ritirata in data 22/04/1994, sia stata dichiarata decaduta dal Comune per mancato inizio dei lavori entro il termine annuale decorrente dalla data in cui il titolo è stato ritirato, e nemmeno è oggetto di contestazione l’esistenza del credito vantato dalla ricorrente nei confronti dell’Amministrazione comunale debitrice. Resta, quindi, da risolvere la questione relativa alla diversa decorrenza del termine ordinario di prescrizione del diritto dalla ricorrente alla restituzione delle somme in questione, al fine di accertare l’intervenuta o meno prescrizione del credito in questione.
La ricorrente individua il dies a quo nella data del 22/04/1995, nella quale, in ragione dello spirare del termine annuale di inizio dei lavori, è intervenuta la decadenza della concessione edilizia ritirata il 22/04/1994, con conseguente produzione di effetti quali: l’impossibilità di realizzazione dell’intervento e, sotto diverso angolo di visuale, la possibilità di esercitare il diritto alla restituzione degli oneri urbanistici già corrisposti al Comune.
La civica amministrazione, invece, come già si è accennato, fa coincidere il termine iniziale della prescrizione con la data di rilascio del titolo edilizio (10/01/1994) o, al limite, con quella successiva di rilascio dello stesso (22/04/1994).
Il Collegio ritiene di condividere la tesi della ricorrente, in quanto, relativamente al credito per restituzione di somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione per mancato inizio dei lavori stessi e conseguente decadenza della relativa concessione edilizia, il dies a quo dell’ordinario termine di prescrizione decennale del suddetto diritto, debba necessariamente essere individuato nel momento in cui il diritto al rimborso poteva essere effettivamente esercitato, e, pertanto, nel giorno 22/04/1995, ovvero nella data di scadenza del termine annuale di decadenza per mancato inizio dei lavori relativi a concessione edilizia ritirata dall’interessata in data 22/04/1994.
E’ solo da tale momento, infatti, che l’odierna ricorrente poteva esercitare il diritto in questione, mediante richiesta al Comune di restituzione delle relative somme, essendo sempre da tale momento spirato anche il termine per potere iniziare i lavori concessionati senza incorrere nella decadenza.
Sulla questione, la giurisprudenza amministrativa ha osservato che “…per i diritti di credito, la realizzazione dei quali esige un’attività del creditore, la prescrizione decorre dal giorno in cui l’attività poteva essere compiuta ed egli poteva, così, mettersi in grado di esigere la prestazione dovuta …. sia perché l’inerzia del titolare del diritto assume rilevanza dal momento in cui è possibile esercitare il diritto…” (v. Cons. Stato, Sez. V, 19/06/2003 n. 954; TAR Campania –SA- Sez. II, 28/02/2008 n. 247).
Per le suesposte ragioni, il ricorso è accolto e, per l’effetto, si accerta il diritto della ricorrente alla restituzione, da parte del comune di Bologna, dell’importo a suo tempo pagato a titolo di oneri di urbanizzazione primaria e secondaria di cui all’oggetto, con accessori di legge dal dì del dovuto alla data del saldo completo del debito, con conseguente condanna dello stesso Comune al pagamento delle suddette somme di cui è debitore (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 01.07.2013 n. 489 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rimborso oneri concessori.
Allorché un privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire a lui concesso, sorge in capo alla p.a. concedente l'obbligo di restituzione delle somme da costui corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costi di costruzione.
Il Comune riferisce di avere ricevuto da una cittadina la richiesta di restituzione degli oneri concessori da costei pagati per l'edificazione di un fabbricato residenziale i cui lavori non risultano mai essere iniziati e la cui concessione a costruire è nel frattempo decaduta.
L'Ente chiede di sapere se la richiesta della cittadina sia fondata e se, perciò, debba essere assunto il provvedimento di rimborso.
La questione giuridica prospettata nel quesito è stata oggetto di una recente pronuncia di un giudice amministrativo, conforme ad altre sentenze più risalenti, che porta a ritenere legittima la richiesta della cittadina
[1].
Il Tar Catania
[2], in un caso analogo a quello sopra rappresentato, ha, infatti, deciso che: 'Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt. 2033 [3] o, comunque, 2041 [4] c.c., l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare cosicché l'importo versato va restituito; il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (cfr: CS, V, 02.02.1988 n. 105, 12.06.1995 n. 894 e 23.06.2003 n. 3714; TAR Lombardia, Sez. II, 24.03.2010, n. 728 e TAR Abruzzo 15.12.2006 n. 890, TAR Parma 07.04.1998 n. 149)'.
---------------
[1] Concorde è anche l'Anci, nel suo parere dd. 27.08.2012.
[2] Tar Catania, sez. I, 18.01.2013, n. 159.
[3] Art. 2033 c.c. Indebito oggettivo: 'Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda'.
[4] Art. 2041 c.c. Azione generale di arricchimento: 'Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l'arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l'ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda'
(28.06.2013 -
link a www.regione.fvg.it).

EDILIZIA PRIVATA: Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt. 2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione.
Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente.
Sulle somme da restituire vanno applicati gli interessi al tasso legale con decorrenza, nella peculiare fattispecie, dalla data di ricezione da parte del Comune della richiesta di restituzione inviata dagli odierni ricorrenti.

Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt. 2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (cfr: CS, V, 02.02.1988 n. 105, 12.06.1995 n. 894 e 23.06.2003 n. 3714; TAR Lombardia, Sez. II, 24.03.2010, n. 728 e TAR Abruzzo 15.12.2006 n. 890, TAR Parma 07.04.1998 n. 149).
Sulle somme da restituire vanno applicati gli interessi al tasso legale con decorrenza, nella peculiare fattispecie, dalla data di ricezione da parte del Comune (09.08.2011) della richiesta di restituzione inviata dagli odierni ricorrenti, atteso che questi ultimi, pur avendo inutilmente dato luogo ad una complessa ed articolata attività amministrativa, hanno poi tenuto un comportamento non significativo che in ipotesi avrebbe potuto sfociare anche in un riutilizzo del titolo abilitativo edilizio.
In conclusione, va dichiarato il diritto dei ricorrenti alla restituzione, da parte del Comune di Tremestieri Etneo, della somma di € 158.000,00 oltre interessi al tasso legale a partire dal 09.08.2011 all’effettivo soddisfo, con conseguente condanna del Comune medesimo al pagamento di tali importi (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 18.01.2013 n. 159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATAData in sintesi la natura paritetica dell’atto di determinazione del dovuto (ndr: contributo di costruzione), il privato il quale versa in buona fede la somma richiestagli dall’amministrazione per gli oneri in parola adempie ad una obbligazione così come avverrebbe nei rapporti fra privati, e con l’adempimento la estingue una volta per tutte, senza che sia permesso all’amministrazione rimettere in discussione il rapporto così definito con la richiesta di conguagli.
Tuttavia, non mancano pronunce di segno contrario le quali riconoscono all’amministrazione comunale il potere di richiedere conguagli per oneri determinati precedentemente in modo inesatto, vuoi riportandolo al più generale potere di autotutela amministrativa, vuoi in base al rilievo sostanziale per cui, così come al privato è consentito ripetere somme versate in eccesso, anche all’amministrazione deve essere accordata la possibilità di richiedere conguagli.

Tutto ciò premesso, nel merito il primo motivo di ricorso è nella sua assolutezza infondato. La ricorrente invoca a suo favore l’orientamento giurisprudenziale per cui, data in sintesi la natura paritetica dell’atto di determinazione del dovuto, il privato il quale versa in buona fede la somma richiestagli dall’amministrazione per gli oneri in parola adempie ad una obbligazione così come avverrebbe nei rapporti fra privati, e con l’adempimento la estingue una volta per tutte, senza che sia permesso all’amministrazione rimettere in discussione il rapporto così definito con la richiesta di conguagli: in tal senso si esprime ad esempio la particolarmente approfondita decisione C.G.A. Sicilia 02.03.2007 n. 64.
In proposito, il Collegio deve anzitutto puntualizzare che tale orientamento non è incontroverso: così come ricorda anche la decisione citata, non mancano pronunce di segno contrario, le quali riconoscono all’amministrazione comunale il potere di richiedere conguagli per oneri determinati precedentemente in modo inesatto, vuoi riportandolo al più generale potere di autotutela amministrativa, come la remota C.d.S. sez. V 25.04.1966 n. 426, vuoi in base al rilievo sostanziale per cui, così come al privato è consentito ripetere somme versate in eccesso, anche all’amministrazione deve essere accordata la possibilità di richiedere conguagli, così come ritenuto da C.d.S. 06.051997 n. 458 (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 15.11.2012 n. 1802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer un verso, come tale, la determinazione dell'an e del quantum del contributo concessorio non ha natura autoritativa, giacché si tratta di un mero accertamento dell'obbligazione contributiva, effettuato dalla p.a. in base a rigidi parametri prefissati dalla legge e dai regolamenti in tema di criteri impositivi, nei cui riguardi essa è sfornita di potestà autoritative; conseguentemente, la posizione del soggetto nei cui confronti è richiesto il pagamento è di diritto soggettivo, non di interesse legittimo e l'impugnazione del provvedimento del Comune è soggetta all'ordinario termine di prescrizione.
Per un altro verso, ai sensi dell'art. 28, l. 24.11.1981 n. 689, applicabile ex art. 12 della stessa legge a tutte le sanzioni amministrative di tipo affittivo, il termine di prescrizione della sanzione irrogata per ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di urbanizzazione e per il costo di costruzione è di cinque anni, e decorre dal giorno in cui è stata commessa la violazione.

Preliminarmente, a superamento delle infondate eccezioni di inammissibilità formulate dalla difesa comunale, va ribadito che le controversie in materia di oneri d'urbanizzazione, costo di costruzione e relative sanzioni per l'eventuale ritardato pagamento, comprese quelle attinenti a domanda di condono e relativa oblazione, sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e vertono sull'esistenza o sulla misura di un'obbligazione direttamente stabilita dalla legge.
In tale contesto per un verso, come tale, la determinazione dell'an e del quantum del contributo concessorio non ha natura autoritativa, giacché si tratta di un mero accertamento dell'obbligazione contributiva, effettuato dalla p.a. in base a rigidi parametri prefissati dalla legge e dai regolamenti in tema di criteri impositivi, nei cui riguardi essa è sfornita di potestà autoritative; conseguentemente, la posizione del soggetto nei cui confronti è richiesto il pagamento è di diritto soggettivo, non di interesse legittimo e l'impugnazione del provvedimento del Comune è soggetta all'ordinario termine di prescrizione.
Per un altro verso, ai sensi dell'art. 28, l. 24.11.1981 n. 689, applicabile ex art. 12 della stessa legge a tutte le sanzioni amministrative di tipo affittivo, il termine di prescrizione della sanzione irrogata per ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di urbanizzazione e per il costo di costruzione è di cinque anni, e decorre dal giorno in cui è stata commessa la violazione (cfr., tra le altre, TAR Basilicata, 39/04/2008 n. 141; TAR Campania, Salerno, Sez, II, 22.04.2005 n. 647; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 08.10.2001 n. 1514; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 08.05.2006 n. 701 e 08.03.2012, n. 600) (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 26.10.2012 n. 641 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il termine decennale di prescrizione dell’obbligazione sul pagamento degli oneri concessori, nell’ipotesi di mancata esplicita definizione dell’istanza di condono, decorre dalla formazione del silenzio assenso e questo, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/1985, si forma dopo il termine di ventiquattro mesi decorrente dalla data nella quale viene depositata la documentazione completa a corredo della domanda di rilascio della concessione in sanatoria.
Considerato che:
- è fondata la censura con cui parte ricorrente solleva la maturata prescrizione del diritto a riscuotere sia gli oneri concessori sia l’indennità risarcitoria paesaggistica, non essendo peraltro intervenuti atti interruttivi;
- quanto al primo profilo, la difesa comunale mostra di aderire al consolidato orientamento, condiviso dal Collegio, secondo il quale il termine decennale di prescrizione dell’obbligazione sul pagamento degli oneri concessori, nell’ipotesi di mancata esplicita definizione dell’istanza di condono, decorre dalla formazione del silenzio assenso e questo, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/1985, si forma dopo il termine di ventiquattro mesi decorrente dalla data nella quale viene depositata la documentazione completa a corredo della domanda di rilascio della concessione in sanatoria (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 02.02.2012 n. 578; TAR Sicilia Catania, Sez. I, 12.05.2011 n. 1156; TAR Sardegna, Sez. II, 17.11.2010 n. 2600);
- ebbene, nel caso di specie tale termine è abbondantemente trascorso, in quanto la cartella esattoriale è stata notificata il 18.10.2011 a fronte del perfezionamento del silenzio assenso sulla pratica di condono realizzatosi quasi tredici anni prima, in data 28.03.1998, atteso che, come riferito dalla stessa difesa comunale nella sua memoria difensiva, la documentazione completa per la sanatoria è stata depositata il 28.03.1996 dall’allora proprietario dell’immobile (Fiart Cantieri Italiani S.p.A.);
- quanto all’indennità risarcitoria, deve intendersi prescritto anche il più breve termine quinquennale previsto dall’art. 28 della legge n. 689/1981, che decorre, vertendosi in materia di illecito permanente, a partire dalla cessazione della situazione di illiceità, ossia dall’emissione del provvedimento sanzionatorio determinativo della misura dell’indennità (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 11.04.2007 n. 1585; Consiglio di Stato, Sez. V, 13.07.2006 n. 4420; TAR Toscana, Sez. III, 16.11.2009 n. 1665);
- orbene, nella fattispecie il provvedimento sanzionatorio è stato emesso nei confronti della ricorrente con la citata nota comunale prot. n. 5065 del 06.02.2003, con conseguente maturazione del termine prescrizionale al 06.02.2008, mentre la cartella di pagamento è stata notificata ben oltre tale termine;
- né vale sostenere, come dedotto dalla difesa comunale, che il potere sanzionatorio inerente all’indennità risarcitoria paesaggistica può essere esercitato senza limiti di tempo, poiché nella presente controversia si discute della prescrizione del diritto sorto a seguito dell’esercizio del predetto potere e non di un’ipotetica decadenza dalle prerogative sanzionatorie in tema di illeciti paesaggistici;
- né sono convincenti le ulteriori obiezioni della difesa comunale, con le quali si intende evidenziare che: a) i termini prescrizionali sarebbero stati interrotti dalle menzionate note prot. n. 5065 del 06.02.2003, prot. n. 22621 del 05.06.2003 e prot. n. 23480 del 28.06.2010; b) la mancata corresponsione delle somme dovute a conguaglio, come indicate nelle predette note, impedirebbe la formazione del silenzio assenso sull’istanza di condono secondo quanto previsto dall’art. 35 della legge n. 47/1985;
- si rimarca, difatti, quanto segue: aa) come già chiarito, le note in parola, avendo evidente carattere recettizio, non sono pervenute nella sfera di conoscenza della ricorrente per nullità del procedimento di notifica, con conseguente inconfigurabilità di effetti interruttivi dei termini prescrizionali; bb) si tratta nel caso specifico non del mancato pagamento di ratei dell’oblazione, che effettivamente impedisce il perfezionamento del silenzio assenso sull’istanza di condono, ma della diversa ipotesi della richiesta di pagamento di somme dovute proprio in ragione dell’esistenza di un valido titolo edilizio, sebbene rilasciato in sanatoria (TAR Campania-Napoli, sentenza 18.10.2012 n. 4147 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il termine decennale di prescrizione dell'obbligazione sul pagamento degli oneri concessori decorre, nell'ipotesi di mancata esplicita definizione della domanda di condono, dalla formazione del silenzio assenso e questo, ai sensi dell'art. 35, l. 28.02.1985 n. 47, si forma dopo il termine di ventiquattro mesi decorrente dalla data nella quale viene depositata la documentazione completa a corredo della domanda di concessione.
Il contributo di concessione dovuto, in caso di condono edilizio, ai sensi dell'art. 37, l. 28.02.1985 n. 47, è soggetto a prescrizione decennale, la quale decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.). Il termine stesso decorre dall'emanazione della concessione edilizia in sanatoria o, in alternativa, dalla scadenza del termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, decorso il quale quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio, formandosi così il silenzio-assenso.
---------------
Posto che per gli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione il "dies a quo" decorre dal rilascio della concessione edilizia, e, quindi, da un momento in cui sono esattamente noti tutti gli elementi utili alla determinazione dell'entità del contributo, relativamente al conguaglio dell'oblazione dovuta in caso di condono edilizio, il "dies a quo" non può coincidere con la presentazione della domanda, sfornita della documentazione prescritta per la domanda di condono, richiesta ai fini della corretta e definitiva determinazione dell'entità dell'oblazione; sicché la decorrenza del termine di prescrizione presuppone -tanto in favore della pubblica amministrazione per l'eventuale conguaglio, quanto in favore del privato per l'eventuale rimborso- che la pratica di sanatoria edilizia sia definita in tutti i suoi aspetti e siano, per l'effetto, precisamente determinabili, alla stregua dei parametri stabiliti dalla legge, l'"an" ed il "quantum" dell'obbligazione gravante sul privato; ciò che riflette puntualmente la "ratio" sottesa all'art. 2935 c.c. secondo il quale, in generale, la prescrizione non può decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Invero costituisce approdo consolidato in giurisprudenza quello per cui “il termine decennale di prescrizione dell'obbligazione sul pagamento degli oneri concessori decorre, nell'ipotesi di mancata esplicita definizione della domanda di condono, dalla formazione del silenzio assenso e questo, ai sensi dell'art. 35, l. 28.02.1985 n. 47, si forma dopo il termine di ventiquattro mesi decorrente dalla data nella quale viene depositata la documentazione completa a corredo della domanda di concessione.” (TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 17.11.2010, n. 2600);
Il contributo di concessione dovuto, in caso di condono edilizio, ai sensi dell'art. 37, l. 28.02.1985 n. 47, è soggetto a prescrizione decennale, la quale decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.). Il termine stesso decorre dall'emanazione della concessione edilizia in sanatoria o, in alternativa, dalla scadenza del termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, decorso il quale quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio, formandosi così il silenzio—assenso.” (TAR Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 09.12.2010, n. 234).
---------------
La censura non ha pregio, laddove si consideri che per costante quanto pacifica opzione ermeneutica (peraltro pienamente condivisa dal Collegio in quanto aderente alla lettera della legge e non collidente con la ratio che presiede alla formazione del titolo abilitativo per silentium) “posto che per gli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione il "dies a quo" decorre dal rilascio della concessione edilizia, e, quindi, da un momento in cui sono esattamente noti tutti gli elementi utili alla determinazione dell'entità del contributo, relativamente al conguaglio dell'oblazione dovuta in caso di condono edilizio, il "dies a quo" non può coincidere con la presentazione della domanda, sfornita della documentazione prescritta per la domanda di condono, richiesta ai fini della corretta e definitiva determinazione dell'entità dell'oblazione; sicché la decorrenza del termine di prescrizione presuppone -tanto in favore della pubblica amministrazione per l'eventuale conguaglio, quanto in favore del privato per l'eventuale rimborso- che la pratica di sanatoria edilizia sia definita in tutti i suoi aspetti e siano, per l'effetto, precisamente determinabili, alla stregua dei parametri stabiliti dalla legge, l'"an" ed il "quantum" dell'obbligazione gravante sul privato; ciò che riflette puntualmente la "ratio" sottesa all'art. 2935 c.c. secondo il quale, in generale, la prescrizione non può decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.” (TAR Campania Salerno, sez. II, 03.06.2010, n. 8224) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.10.2012 n. 5201 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: La proroga della scadenza di un termine che cade in un giorno festivo al successivo giorno non festivo rappresenta un principio di carattere generale, disciplinato dalla vigente legislazione.
Infatti, la previsione, d’ordine generale, della suesposta proroga è contenuta nel secondo e terzo comma dell’art. 2963 del codice civile che stabilisce, con riferimento alle modalità di computo del termine di prescrizione, che: “non si computa il giorno nel corso del quale cade il momento iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo spirare dell’ultimo istante del giorno finale. Se il termine scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo”.
Il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno seguente non festivo è, altresì, evidenziato dall’art. 1187 del codice civile, in tema di obbligazioni, che sancisce, al secondo comma, che “la disposizione relativa alla proroga del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi sono usi diversi” e dall’art. 155, commi terzo e quarto, del c.p.c. secondo cui “i giorni festivi si computano nel termine. Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”.
La vigente normativa, infine, disciplina anche le eccezioni al suddetto principio: l’articolo 2964 del codice civile, infatti, stabilisce i casi in cui la regola generale sopra riportata non si applica e cioè i casi di norme aventi ad oggetto l’interruzione e la sospensione della prescrizione.
Quanto sopra risulta anche confermato da consolidati orientamenti giurisprudenziali secondo cui “il principio fissato dall’art. 2963, terzo comma, del codice civile, secondo il quale se il termine scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo, configura un principio generale, applicabile, in assenza di diversa previsione anche in materia di decadenza, atteso che l’art. 2964 dichiara inapplicabili alla decadenza soltanto le norme relative alla interruzione e alla sospensione della prescrizione”.
In conclusione, in relazione a quanto sin qui detto non sembra esservi dubbio che il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno non festivo del termine che cade in un giorno festivo sia applicabile anche alla fattispecie de qua, atteso che il disposto dell’art. 155, comma 4, del c.p.c. e dell’art. 2963 del c.c. trovano applicazione anche nel procedimento di controllo, essendo espressione di un principio di carattere generale e che l’esercizio del potere di controllo di legittimità sulle autorizzazioni paesaggistiche attribuito all’Amministrazione statale, ai sensi dell’art. 159 del D.Lgs. n. 42 del 2004, è sottoposto al termine decadenziale di sessanta giorni decorrente dalla ricezione della documentazione completa.
---------------

6. Nel merito il Collegio osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di primo grado, la proroga della scadenza di un termine che cade in un giorno festivo al successivo giorno non festivo rappresenta un principio di carattere generale, disciplinato dalla vigente legislazione.
Infatti, la previsione, d’ordine generale, della suesposta proroga è contenuta nel secondo e terzo comma dell’art. 2963 del codice civile che stabilisce, con riferimento alle modalità di computo del termine di prescrizione, che: “non si computa il giorno nel corso del quale cade il momento iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo spirare dell’ultimo istante del giorno finale. Se il termine scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo”.
Il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno seguente non festivo è, altresì, evidenziato dall’art. 1187 del codice civile, in tema di obbligazioni, che sancisce, al secondo comma, che “la disposizione relativa alla proroga del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi sono usi diversi” e dall’art. 155, commi terzo e quarto, del c.p.c. secondo cui “i giorni festivi si computano nel termine. Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”.
La vigente normativa, infine, disciplina anche le eccezioni al suddetto principio: l’articolo 2964 del codice civile, infatti, stabilisce i casi in cui la regola generale sopra riportata non si applica e cioè i casi di norme aventi ad oggetto l’interruzione e la sospensione della prescrizione.
Quanto sopra risulta anche confermato da consolidati orientamenti giurisprudenziali secondo cui “il principio fissato dall’art. 2963, terzo comma, del codice civile, secondo il quale se il termine scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo, configura un principio generale, applicabile, in assenza di diversa previsione anche in materia di decadenza, atteso che l’art. 2964 dichiara inapplicabili alla decadenza soltanto le norme relative alla interruzione e alla sospensione della prescrizione” (Cassazione Civile, Sez. V, sent. n. 15832 del 13.08.2004).
In conclusione, in relazione a quanto sin qui detto non sembra esservi dubbio che il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno non festivo del termine che cade in un giorno festivo sia applicabile anche alla fattispecie de qua, atteso che il disposto dell’art. 155, comma 4, del c.p.c. e dell’art. 2963 del c.c. trovano applicazione anche nel procedimento di controllo, essendo espressione di un principio di carattere generale (Cons. di Stato, Sez. VI, 18.03.2011, n. 1661; Cass. Civ., Sez. II, 01.12.2010, n. 24375) e che l’esercizio del potere di controllo di legittimità sulle autorizzazioni paesaggistiche attribuito all’Amministrazione statale, ai sensi dell’art. 159 del D.Lgs. n. 42 del 2004, è sottoposto al termine decadenziale di sessanta giorni decorrente dalla ricezione della documentazione completa.
7. Per quanto sin qui esposto l’appello è da ritenersi fondato e va, pertanto, accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado va respinto il ricorso di primo grado (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 07.09.2012 n. 4752) - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Alle nuove edificazioni e agli altri interventi –comunque soggetti a titolo abilitativo– corrisponde il pagamento di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione. La natura giuridica del predetto contributo è quella di prestazione patrimoniale imposta, anche indipendentemente dall’utilità specifica del singolo concessionario, comunque tenuto a concorrere alla spesa pubblica per le infrastrutture che debbono accompagnare ogni nuovo insediamento edificatorio.
Il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae.
Dalla natura di prestazione obbligatoriamente dovuta discende che il privato non può esimersi dal pagamento del contributo, e che l’amministrazione può riesaminare la pratica anche dopo il rilascio del titolo che abilita l’intervento edilizio: le vicende che coinvolgono il permesso di costruire si sviluppano in autonomia, senza interferire con le questioni che incidono su “an” e “quantum” dell’obbligazione pecuniaria. Per tale ragione l’amministrazione ha legittimamente fatto ricorso “ex post” al potere di autotutela, pochi mesi dopo l’emissione del titolo autorizzatorio e con largo anticipo rispetto al compimento del termine prescrizionale (di 10 anni).

Sia nell’attuale normativa che in quella pregressa (art. 16 del D.P.R. 380/2001 e artt. 3, 5, 6 della L. 10/1977) alle nuove edificazioni e agli altri interventi –comunque soggetti a titolo abilitativo– corrisponde il pagamento di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione. La natura giuridica del predetto contributo è quella di prestazione patrimoniale imposta, anche indipendentemente dall’utilità specifica del singolo concessionario, comunque tenuto a concorrere alla spesa pubblica per le infrastrutture che debbono accompagnare ogni nuovo insediamento edificatorio (Consiglio di Stato, sez. VI – 25/08/2009 n. 5059).
Il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (cfr. per tutti TAR Puglia Bari, sez. III – 10/02/2011 n. 243).
Dalla natura di prestazione obbligatoriamente dovuta discende che il privato non può esimersi dal pagamento del contributo, e che l’amministrazione può riesaminare la pratica anche dopo il rilascio del titolo che abilita l’intervento edilizio: le vicende che coinvolgono il permesso di costruire si sviluppano in autonomia, senza interferire con le questioni che incidono su “an” e “quantum” dell’obbligazione pecuniaria. Per tale ragione l’amministrazione ha legittimamente fatto ricorso “ex post” al potere di autotutela, pochi mesi dopo l’emissione del titolo autorizzatorio e con largo anticipo rispetto al compimento del termine prescrizionale (di 10 anni) (TAR Marche – 31/01/2007 n. 8) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.08.2012 n. 1446 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il termine di prescrizione (decennale) per la riscossione del contributo di concessione dovuto decorre dall'emanazione della concessione edilizia.
Tali arresti giurisprudenziali costituiscono, peraltro, puntuale applicazione del principio di cui all’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. L'obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge, infatti, con il rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la determinazione del contributo dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al momento in cui sorge l'obbligazione.
Il collegio ritiene che il ricorso sia fondato per l’assorbente censura relativa all’insussistenza, conseguente al decorso del termine decennale di prescrizione, del potere esercitato dal comune nel disporre la rideterminazione del contributo e nel richiedere il conguaglio.
Per giurisprudenza costante, infatti, il termine di prescrizione (decennale) per la riscossione del contributo di concessione dovuto decorre dall'emanazione della concessione edilizia (Cons. Stato, sez. IV, 16.01.2009, n. 216; 06.06.2008, n. 2686; sez. V, 13.06.2003, n. 3332).
Tali arresti giurisprudenziali costituiscono, peraltro, puntuale applicazione del principio di cui all’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. L'obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge, infatti, con il rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la determinazione del contributo dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al momento in cui sorge l'obbligazione.
Essendo, dunque, trascorsi oltre tredici anni dal rilascio della concessione edilizia (avvenuto il 07.08.1986) ed oltre dodici anni dalla notificazione della stessa (dell’11.05.1987), alla data dell’emanazione del provvedimento impugnato (26.10.1999) il credito doveva in ogni caso ritenersi estinto per prescrizione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2934, 2935 e 2946 c.c., non essendo intervenuto alcun atto interruttivo della prescrizione decennale e non potendo, quindi, il comune intimato richiederne il pagamento (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 07.05.2012 n. 1274 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla prescrizione -o meno- di ogni diritto dell’amministrazione a richiedere somme integrative a distanza di oltre vent’anni dall’inoltro della domanda di sanatoria e dal pagamento dell’oblazione autoliquidata.
Il Collegio ritiene fondato il ricorso in base all’assorbente censura con la quale si deduce l’intervenuta prescrizione di ogni diritto dell’amministrazione a richiedere somme integrative a distanza di oltre vent’anni dall’inoltro della domanda di sanatoria e dal pagamento dell’oblazione autoliquidata.
In proposito, vanno in questa sede richiamate sinteticamente le disposizioni di legge che disciplinano la prescrizione delle pretese creditorie dei Comuni in tema di sanatoria edilizia: da un lato, è stato stabilito dall’art. 35, co. 12, della L. 47/1985 in trentasei mesi il termine di prescrizione “breve” per richiedere integrazioni o conguagli dell’oblazione; mentre, dall’altra parte, soggiace all’ordinario termine di prescrizione decennale il diritto dell’ente pubblico a richiedere eventuali maggiorazioni degli oneri concessori. Si richiama, sul punto, la seguente giurisprudenza, anche di questa Sezione: Tar Catania, I, 1633/2007, 1987/2007, 4363/2010 e 557/2011; Tar Trentino Alto Adige 234/2010; Tar Latina 1043/2009 e 1249/2008.
Il Collegio non ignora la più recente giurisprudenza del giudice d’appello (sentenza C.G.A. n. 320/2011) in base alla quale il termine di prescrizione breve (trentasei mesi) del diritto al conguaglio previsto dall’art. 35, co. 12, per la sanatoria disciplinata dalla L. 47/1985, non inizia a decorrere prima che la documentazione da allegare alla domanda sia completa.
Tuttavia, non può esser sottaciuto il fatto che nel caso di specie –a fronte di una domanda di sanatoria presentata dalla ricorrente nell’anno 1986– il Comune si sia attivato per esaminare l’istanza e richiedere integrazione dei documenti solo in data 16.12.2009, cioè a distanza di oltre ventitre anni. Ciò consente di affermare che, da una parte, ogni diritto ai conguagli richiesti sia definitivamente estinto per l’avvenuta decorrenza del termine ordinario di prescrizione decennale; né dall’altra parte potrebbe predicarsi una diversa soluzione, perché sarebbe contrario ad ogni principio buon andamento, efficienza e trasparenza dell’azione amministrativa consentire in ogni tempo –anche a distanza di molti anni- all’ente pubblico di formulare una tardiva richiesta di integrazione documentale, all’evidente fine di scongiurare il decorso di una prescrizione di fatto già ampiamente maturata. Si ritiene, in altri termini, che la richiesta proveniente dal Comune, avente ad oggetto l’integrazione della documentazione necessaria al rilascio della sanatoria edilizia, utile al fine di impedire il perfezionarsi della prescrizione breve del diritto al conguaglio dell’oblazione, non possa intervenire a distanza di oltre vent’anni, quando già ogni pretesa risulta comunque “coperta” dal decorso della prescrizione ordinaria decennale.
In conclusione, allora, possono dirsi pacificamente decorsi sia il termine breve di trentasei mesi che condiziona il conguaglio dell’oblazione, sia quello ordinario decennale che determina l’impossibilità giuridica di ridefinire gli oneri concessori. Le pretese del Comune resistente vanno in conclusione dichiarate prescritte, non rinvenendosi peraltro negli scritti difensivi alcuna confutazione in ordine all’eccepita prescrizione (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 24.04.2012 n. 1118 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La difformità tra gli interventi oggetto di concessione edilizia e quelli effettivamente realizzati legittima la richiesta di pagamento dei maggiori oneri concessori.
E' legittimo il provvedimento con cui un Comune, a distanza di cinque anni dal rilascio di una concessione edilizia, chiede il pagamento di maggiori oneri concessori in ragione di riscontrate difformità tra l'oggetto della concessione e quanto effettivamente realizzato.
La ricorrente, ditta operante nel settore delle costruzioni e titolare di una concessione edilizia, ha impugnato il provvedimento con cui la società concessionaria del Comune incaricata per la riscossione ha ingiunto alla medesima il pagamento di maggiori oneri concessori.
Ha esposto che, a fondamento del contestato provvedimento, vi erano gli esiti della verifica svolta sulla correttezza degli oneri concessori determinati a suo tempo dalla civica P.A. e versati dalla deducente in sede di rilascio di concessione edilizia e successiva variante.
In considerazione di tanto, ha eccepito, oltre al resto, la violazione dei principi in materia di autotutela amministrativa, sia in relazione al periodo di tempo ragionevole entro il quale la P.A. avrebbe potuto esercitare il potere, sia con riguardo alla omessa comparazione dei contrapposti interessi.
Il ricorso è stato rigettato.
Il G.A. di Ancona, in primis, ha rilevato come nella vicenda non fosse configurabile l’esercizio del potere di autotutela da parte del Comune, trattandosi di controversia afferente diritti soggettivi.
Pertanto, ferma restando la facoltà per il destinatario dell’atto con cui gli viene chiesto il pagamento degli oneri concessori di agire eventualmente nei riguardi del creditore per violazione del principio di buona fede, il giudicante ha evidenziato come, in linea di principio, il pagamento degli stessi oneri potesse essere chiesto dalla P.A. nel termine di prescrizione decennale.
Al contempo, l’adito TAR ha rilevato la legittimità dell’operato della società concessionaria che, in luogo di un eventuale riesame della decisione assunta a suo tempo dal Comune, aveva chiesto il pagamento di maggiori oneri concessori in virtù di una nuova verifica dei dati progettuali.
Di conseguenza, il Collegio, con riferimento al merito della vicenda, ha chiarito come la richiesta di pagamento di maggiori oneri concessori fosse derivata dalla circostanza per cui alcune porzioni degli immobili realizzati erano state erroneamente considerate come superfici non residenziali e, dunque, non computate secondo le percentuali previste dalla normativa di riferimento.
Invero, ha precisato che il contributo introdotto dalla L. n. 10/1977 -poi confermato dall’attuale T.U. n. 380/2001- ha due componenti, gli oneri di urbanizzazione, il cui calcolo deve aver riguardo al volume dell’edificio realizzato e il costo di costruzione da determinarsi in base alla superficie.
Conseguentemente, avuto riguardo al vano tecnico dell’ascensore di uno dei fabbricati realizzati, lo stesso doveva essere computato, atteso che, ai sensi dell’art. 11, Regolamento Regione Marche n. 6/1977, solo i vani tecnici che fuoriescono dalla linea di gronda dell’edificio non possono essere considerati ai fini della determinazione del volume complessivo: nella specie, si trattava di locale situato al piano interrato e che dunque non fuoriusciva dalla linea di gronda.
Inoltre, ha osservato come negli elaborati grafici versati agli atti, quello che la ricorrente aveva qualificato come “sottotetto non abitabile” (e dunque volume tecnico), fosse in realtà parte integrante del primo piano dell’edificio; pertanto, l’altezza del primo piano era stata correttamente calcolata dalla società di riscossione.
Per quanto riguarda la riduzione delle unità immobiliari complessive, il G.A. marchigiano ha chiarito che se ciò non aveva implicato aumento di superficie o di volume, aveva invece inciso sulla classe di maggiorazione da applicare, essendo stato realizzato un appartamento avente superficie superiore a 110 mq.
Infine, anche per quanto attiene alle taverne, i calcoli eseguiti dalla società di riscossione sono stati ritenuti corretti stante l’evidente differenza fra cantina e taverna.
Difatti, nella variante all’originaria concessione, poiché i locali interessati risultavano indicati espressamente come taverne (munite per lo più di servizi igienici), gli stessi sono stati ritenuti a servizio della residenza e dovevano essere computati al 50% (art. 11, Regolamento regionale n. 6/1977).
Alla stregua di tanto, il TAR di Ancona, reputando corretti i calcoli effettuati dalla società concessionaria, ha respinto il gravame, per l’effetto confermando il provvedimento di accertamento e richiesta in pagamento dei maggiori oneri concessori (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Marche, sentenza 20.04.2012 n. 289 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La prescrizione decennale del diritto del Comune ad ottenere il pagamento del contributo concessorio inizia a decorrere dalla data di presentazione della domanda di condono.
Secondo consolidata giurisprudenza il silenzio-accoglimento si perfeziona anche se mancano i presupposti per l'accoglimento della domanda e addirittura -come affermato dalla IV sezione del Consiglio di Stato 20.05.1999, n. 858- per le "domande dirette alla concessione di costruzione in sanatoria relative a opere compiute oltre la data dell'01.10.1983, essendo il compimento delle opere abusive entro la predetta data requisito necessario ai fini del rilascio di provvedimento ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 35 della legge 28.02.1985 n. 47, ma non per il mero verificarsi della fattispecie complessa di silenzio-accoglimento" (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14.04.1993, n. 496, id. 26.10.1994, n. 1385, id. 07.12.1995, n. 1672, id. 24.03.1997, n. 286), e che il silenzio assenso così formatosi può essere rimosso solo mediante l'esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte del Comune (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24.03.1997, n. 286), misura di autotutela che consente di contemperare il ripristino della legalità con l'esigenza, pure avvertita dal legislatore, di rendere effettivamente praticabile l'istituto del silenzio accoglimento (così Cons. St., V, n. 4114/2006).
Il Collegio osserva che, per quanto riguarda l’asserito difetto di motivazione in cui sarebbe incorso il Giudice di primo grado, per non avere indicato le ragioni per le quali è giunto alla determinazione di ritenere che nella specie si fosse formato il silenzio-assenso e fosse intervenuta la prescrizione decennale del diritto del Comune di pretendere il pagamento del contributo concessorio, dalla documentazione acquisita in giudizio si ricava che le circostanze dedotte dal ricorrente a sostegno dell’avvenuta formazione del silenzio–assenso risultavano comprovate (il ricorrente aveva infatti prodotto in giudizio sia la copia della domanda di condono edilizio, sia la copia delle attestazioni dei versamenti della intera oblazione).
Non gravava pertanto sul TAR l’onere di fornire una motivazione particolare in ordine alla sussistenza dei presupposti per la formazione del silenzio–assenso. Non pare tuttavia inutile aggiungere che, come correttamente osserva l’appellato, la censura muove dall’assunto che il termine decennale di prescrizione debba decorrere non già dal compimento dei due anni successivi alla presentazione della domanda di condono, ma dalla data del pagamento dell’ultima rata del condono edilizio (pagamento eseguito il 04.10.1986).
Sennonché tale presupposto è errato dato che l’art. 35, comma 18, della l. n. 47/1985 dispone chiaramente che “decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento…”. Il “dies a quo” dal quale far decorrere il termine decennale di prescrizione va quindi individuato nella data della presentazione della domanda di condono (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.03.2012 n. 1364 - massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di prescrizione degli oneri di urbanizzazione e dei contributi commisurati al costo di costruzione, in assenza di diversa disposizione normativa, il termine prescrizionale è quello ordinario decennale.
In materia di prescrizione degli oneri di urbanizzazione e dei contributi commisurati al costo di costruzione, in assenza di diversa disposizione normativa, il termine prescrizionale è quello ordinario decennale (tra le tante, TAR Campania Napoli, sez. VIII, 14.01.2011, n. 152). E’ evidente che se fosse condivisibile la tesi comunale, sarebbe praticamente impossibile l’operatività del suddetto meccanismo prescrizionale, atteso che il debitore sarebbe costituito in mora automaticamente allo spirare del termine ultimo di pagamento, senza la necessità di alcuna attivazione da parte dell’amministrazione creditrice.
Deve inoltre rilevarsi che il modo di costituzione in mora del debitore (ex persona, art. 1219, primo comma, c.c., o ex re, art. 1219, secondo comma, n. 3), stesso codice), rileva ai soli fini del risarcimento del danno e del regolamento del rischio per il perimento della cosa oggetto della prestazione e dell’impossibilità sopravvenuta (art. 1221 c.c.), ma non incide sul decorso della prescrizione. Se è vero che la messa in mora del debitore, ex art. 1219, primo comma, interrompe senz’altro la prescrizione (art. 2943, ultimo comma, c.c.), non è vera l’implicazione secondo cui quando non occorre la messa in mora (mora ex re) non occorra interrompere la prescrizione. Il decorso della prescrizione opera indifferentemente per entrambe le tipologie di obbligazioni dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.).
Il fatto che le obbligazioni nei confronti delle pubbliche amministrazioni siano di regola eseguibili al domicilio del creditore (portabili) non ha nessuna incidenza, dunque, sul decorso e sul regime interruttivo della prescrizione (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 12.03.2012 n. 1237 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sia ai sensi del previgente art. 11, comma 2, L. n. 10/1977, sia ai sensi del vigente art. 16, comma 3, DPR n. 380/2001 “la quota del contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto di rilascio, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e garanzie stabilite dal Comune non oltre 60 giorni dall’ultimazione della costruzione”.
Pertanto, merita adesione l’orientamento giurisprudenziale secondo cui per il credito a titolo di costo di costruzione il dies a quo del termine ordinario prescrizionale non decorre dalla data stabilita in concessione per l’ultimazione dei lavori, ma da quella in cui l’opera è stata effettivamente ultimata, tenuto conto che di questo elemento di fatto deve essere data contezza all'Amministrazione da parte del privato. Sicché, in difetto di tale elemento, il termine prescrizionale non decorre nei confronti dell’Amministrazione creditrice in quanto il contributo relativo al costo di costruzione non può essere esigibile prima della scadenza del sessantesimo giorno dall'ultimazione delle opere, ai sensi dell'art. 11, comma 2, L. n. 10/1977 (ora sostituito dall’art. 16, comma 3, DPR n. 380/2001), per cui solo la scadenza di detto termine può determinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione decennale del diritto, tenuto pure conto dell’art. 2935 C.C., secondo cui, in generale, la prescrizione non può decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Sia ai sensi del previgente art. 11, comma 2, L. n. 10/1977, sia ai sensi del vigente art. 16, comma 3, DPR n. 380/2001 “la quota del contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto di rilascio, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e garanzie stabilite dal Comune non oltre 60 giorni dall’ultimazione della costruzione”.
Pertanto, merita adesione l’orientamento giurisprudenziale (TAR Catanzaro I,. n. 522 del 14.04.2011; TAR Napoli, II, n. 3147 dell’08.06.2009; TAR Sardegna, II, n. 9 del 14.01.2008; TAR Umbria, n. 512 del 23.06.2003), secondo cui per il credito a titolo di costo di costruzione il dies a quo del termine ordinario prescrizionale non decorre dalla data stabilita in concessione per l’ultimazione dei lavori, ma da quella in cui l’opera è stata effettivamente ultimata, tenuto conto che di questo elemento di fatto deve essere data contezza all'Amministrazione da parte del privato. Sicché, in difetto di tale elemento, il termine prescrizionale non decorre nei confronti dell’Amministrazione creditrice in quanto il contributo relativo al costo di costruzione non può essere esigibile prima della scadenza del sessantesimo giorno dall'ultimazione delle opere, ai sensi dell'art. 11 comma 2, L. n. 10/1977 (ora sostituito dall’art. 16, comma 3, DPR n. 380/2001), per cui solo la scadenza di detto termine può determinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione decennale del diritto, tenuto pure conto dell’art. 2935 C.C., secondo cui, in generale, la prescrizione non può decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Pertanto, poiché il ricorrente oltre a non aver comunicata l’ultimazione dei lavori (circostanza esplicitamente dedotta dal Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Pomarico nella nota prot. n. 6740 del 07.12.2011 e non smentita dal ricorrente, per cui, nella specie, va applicato il principio di non contestazione di cui al vigente art. 115, comma 1, C.P.C., previsto anche dall’art. 64, comma 2, Cod. Proc. Amm.), non ha provato la conoscenza da parte del Comune resistente dell’ultimazione delle opere assentite o anche l’ultimazione dei lavori 10 anni prima della ricezione della nota Responsabile Servizio Urbanistica Comune di Pomarico prot. n. 2586 del 5.5.2011, deve ritenersi non prescritto il diritto al pagamento del costo di costruzione, la cui quantificazione di 2.891,49 € non è stata contestata dal ricorrente (TAR Basilicata, sentenza 15.02.2012 n. 71 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Se il termine di prescrizione per la riscossione degli oneri concessori decorre dalla data di emanazione del provvedimento, non può ragionevolmente ritenersi che il termine per il pagamento decorra da una data diversa.
L’art. 16 del D.P.R. 380 del 2001 (Contributo per il rilascio del permesso di costruire), che corrisponde agli artt. 3, 5 comma 1 e 6, commi 1, 4 e 5 della legge 28.01.1977, n. 10, dopo aver previsto (comma 1) che “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo”, stabilisce (comma 2) che “la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata…….
La questione dunque si incentra sull’interpretazione dell’espressione “all’atto del rilascio”, che dalla legge è lasciata genericamente vaga, in quanto la disposizione in questione non individua con esattezza se il rilascio (e quindi, il momento di decorrenza del termine per il pagamento degli oneri concessori) coincida col momento della emanazione della concessione edilizia, o con quello della notifica/comunicazione ovvero ancora, come sostenuto dalla ricorrente, dal momento della sua “efficacia”.
Sulla questione il collegio esprime le seguenti considerazioni.
Il termine “rilascio” lo si rinviene anche nell’art. 12 del D.P.R. 380 del 2001 (“Presupposti per il rilascio del permesso di costruire”) e nelle disposizioni successive.
In particolare l’art. 15 del D.P.R. 380/2001 stabilisce al comma 2 che “il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo”, rilascio che, in base all’art. 20, viene fatto coincidere con la sua emanazione, in quanto “il provvedimento finale, che lo sportello unico provvede a notificare all'interessato, e' adottato dal dirigente o dal responsabile dell'ufficio”……
In realtà in giurisprudenza la questione non è pacifica, in quanto, a fronte di un orientamento che nega la recettizietà della concessione, “essendo di per sé idonea a produrre gli effetti suoi propri fin dalla data della sua emanazione indipendentemente dalla comunicazione all'interessato“ (così TAR Liguria, sez. I, 11.03.2003, n. 279), esistono altri orientamenti favorevoli a far coincidere il rilascio con la consegna del provvedimento all’interessato, nelle forme facenti fede, almeno ai fini del decorso del termine di decadenza per l’inizio e l’ultimazione dei lavori (TAR Liguria, sez. I, 17.02.2011, n. 322; TAR Salerno, sez. II, 16.12.2009, n. 7923; TAR Catania, sez. I, 07.04.2009, n. 678).
Il collegio ritiene che questo secondo orientamento sia fortemente influenzato dalla opportunità di evitare al destinatario del provvedimento concessorio di incorrere in una decadenza per un fatto in qualche modo ascrivibile all’amministrazione procedente, in quanto la stessa deve mettere in condizione il privato richiedente di venire a conoscenza del contenuto del provvedimento concessorio, al fine di poter procedere con i lavori entro gli effettivi termini di legge (termini che non sarebbero effettivi se si facessero decorrere dalla data di emanazione della concessione edilizia).
È invece più coerente con il sistema ritenere che determinati effetti automatici del provvedimento, indipendenti dall’apporto del destinatario dello stesso, dipendano dalla data di materiale emissione del provvedimento amministrativo. Tra questi effetti, vi è anche il decorso del termine per il pagamento degli oneri concessori, che sono calcolati dal Comune e collegati direttamente alla venuta in essere del permesso di costruire.
In questo senso la liquidazione dei contributi per oneri concessori discende direttamente e automaticamente dal rilascio della concessione edilizia, la quale si configura quale fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del concessionario di corrispondere quanto determinato a titolo di contributo (in questi termini, CGA, 13.12.2010 n. 1483), e non con la successiva ed eventuale attuazione di esso, in quanto la realizzazione delle opere assentite può difettare per fatto del concessionario.
Coerentemente con questo, in giurisprudenza si è detto che l'ordinario termine di prescrizione decennale per la riscossione degli oneri di urbanizzazione decorre dalla data di emanazione del provvedimento concessorio (cfr. Tar Napoli, sez. II, 20.07.2007 n. 6891; id., 11.07.2006, n. 7392; Tar Catanzaro 22.11.2000 n. 1439; Tar Pescara 10.05.2002 n. 477).
Se dunque il termine di prescrizione per la riscossione degli oneri concessori decorre dalla data di emanazione del provvedimento, non può ragionevolmente ritenersi che il termine per il pagamento decorra da una data diversa, anche per le ragioni sopra esposte (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 18.01.2012 n. 126 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza amministrativa, a motivo della natura di azione di accertamento e condanna della domanda giudiziale volta ad ottenere il rimborso degli oneri concessori, opina che l’azione possa essere esperita anche senza la previa impugnazione della concessione edilizia.
Si è infatti condivisibilmente affermato che “L'azione volta alla declaratoria del diritto a vedersi restituite le maggiori somme versate al Comune a titolo di oneri concessori può essere proposta a prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario” e altresì che la domanda di restituzione degli oneri concessori “può essere proposta nel termine della prescrizione ordinaria ed indipendentemente dall'impugnazione di atti”, per cui riguardando diritti soggettivi perfetti può essere proposta nell’ordinario termine di prescrizione anziché in quello di decadenza che astringe l’impugnazione di atti.
Si è in tale ottica da ultimo affermato che “la relativa controversia (devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo già dall'art. 16 della l. 28.01.977 n. 10) è un giudizio di carattere civile relativo all'esistenza o all'entità di un'obbligazione legale”.
---------------
L’art. 7 della L. 25.03.1982, n. 94 che reca il regime di gratuità dell’autorizzazione edilizia –per gli immobili vincolati, della concessione– non distingue tra uso residenziale ed uso diverso degli immobili e si applica indistintamente a qualsivoglia intervento di restauro e risanamento conservativo stando alla “applicazione della citata norma che non distingue tra edifici residenziali o meno”.
Il regime della autorizzazione edilizia gratuita si sensi dell'art. 7 l. 25.03.1982 n. 94, trova applicazione anche per gli interventi di restauro e risanamento conservativo, così come definiti dall'art. 31, lett. c), l. 05.08.1978 n. 457, siano essi afferenti ad edifici residenziali in senso stretto ovvero ad edifici non residenziali, ma comunque idonei allo svolgimento di attività umane” .
L'art. 7, comma 1, l. 25.03.1982 n. 94, secondo cui gli interventi di risanamento conservativo sono sottoposti ad autorizzazione gratuita, trova applicazione non solo nel caso in cui il risanamento concerna immobili destinati ad uso residenziale, ma, anche per gli edifici adibiti ad altri usi (nella specie uso commerciale).
---------------
Sulle somme da restituire a titolo di oneri concessori non spetta la rivalutazione monetaria ma solo gli interessi: infatti, la domanda di rivalutazione monetaria avanzata con riferimento all'indebito pagamento di oneri di urbanizzazione deve essere respinta tenuto conto che l'obbligazione di restituzione dell'indebito genera, ai sensi dell'art. 2033 c.c., esclusivamente l'obbligazione accessoria di interessi.

Deve in primo luogo scrutinarsi l’eccezione di inammissibilità della domanda volta ad ottenere la restituzione degli oneri concessori versati per il rilascio della concessione edilizia del 1985 sollevata dal Comune nella memoria dell’08.04.2011 sul rilievo che detta concessione non è stata impugnata.
L’eccezione non ha pregio e va disattesa poiché la giurisprudenza amministrativa a motivo della natura di azione di accertamento e condanna della domanda giudiziale volta ad ottenere il rimborso degli oneri in questione opina che l’azione possa essere esperita anche senza la previa impugnazione della concessione edilizia.
Si è infatti condivisibilmente affermato che “L'azione volta alla declaratoria del diritto a vedersi restituite le maggiori somme versate al Comune a titolo di oneri concessori può essere proposta a prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario” (TAR Puglia – Lecce, Sez. I. 07.04.2009, n. 686) e altresì che la domanda di restituzione degli oneri concessori “può essere proposta nel termine della prescrizione ordinaria ed indipendentemente dall'impugnazione di atti” (TAR Lazio, Sez. II, 17.05.2005, n. 3844), per cui riguardando diritti soggettivi perfetti può essere proposta nell’ordinario termine di prescrizione anziché in quello di decadenza che astringe l’impugnazione di atti (TAR Campania – Napoli IV, 13.09.2004 n. 11949).
Si è in tale ottica da ultimo affermato che “la relativa controversia (devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo già dall'art. 16 della l. 28.01.977 n. 10) è un giudizio di carattere civile relativo all'esistenza o all'entità di un'obbligazione legale” (TAR Lombardia – Brescia, Sez. I, 02.11.2010, n. 4519).
---------------

Secondo pacifica giurisprudenza, condivisa dal Tribunale e contrariamente al lontano precedente di cui a TAR Piemonte, Sez. I, n. 87/1994 dal quale il Collegio dissente, l’art. 7 della L. 25.03.1982, n. 94 che reca il regime di gratuità dell’autorizzazione edilizia –per gli immobili vincolati, della concessione– non distingue tra uso residenziale ed uso diverso degli immobili e si applica indistintamente a qualsivoglia intervento di restauro e risanamento conservativo stando alla “applicazione della citata norma che non distingue tra edifici residenziali o meno” (TAR Toscana, Sez. II, 31.01.2000, n. 22).
Ancor più significativamente il Giudice amministrativo, nel precedente correttamente segnalato dalla difesa della ricorrente, ha avuto modo di precisare che “Il regime della autorizzazione edilizia gratuita si sensi dell'art. 7 l. 25.03.1982 n. 94, trova applicazione anche per gli interventi di restauro e risanamento conservativo, così come definiti dall'art. 31, lett. c), l. 05.08.1978 n. 457, siano essi afferenti ad edifici residenziali in senso stretto ovvero ad edifici non residenziali, ma comunque idonei allo svolgimento di attività umane” (TAR Liguria, Sez. I, 25.11.1999, n. 495; contra TAR Piemonte, sez. I, 03.03.1994, n. 87).
Segnala il Collegio che il cennato principio di gratuità era stato già espresso dal Consiglio di Stato che aveva chiarito che “L'art. 7, comma 1, l. 25.03.1982 n. 94, secondo cui gli interventi di risanamento conservativo sono sottoposti ad autorizzazione gratuita, trova applicazione non solo nel caso in cui il risanamento concerna immobili destinati ad uso residenziale, ma, anche per gli edifici adibiti ad altri usi (nella specie uso commerciale)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 24.07.1993, n. 799).
In accoglimento del presente motivo deve dunque dichiararsi che illegittimamente il Comune di Torino ha preteso in sede di rilascio della C.E. n. 396/1985 il costo di costruzione e gli oneri di urbanizzazione per la porzione di immobile destinata a terziario.
---------------
Si è affermato che sulle somme da restituire a titolo di oneri concessori non spetta la rivalutazione monetaria ma solo gli interessi: “La domanda di rivalutazione monetaria avanzata con riferimento all'indebito pagamento di oneri di urbanizzazione deve essere respinta tenuto conto che l'obbligazione di restituzione dell'indebito genera, ai sensi dell'art. 2033 c.c., esclusivamente l'obbligazione accessoria di interessi” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 24.7.1993, n. 799; TAR Emilia – Romagna, Parma, 07.04.1998, n. 149; da ult. TAR Lombardia – Brescia, Sez. I, 02.11.2010, n. 4519)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 01.12.2011 n. 1262 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Quantificazione oneri concessori - Possibilità del privato di versare la maggiore somma da lui quantificata - Sussiste - Possibilità di revisione dell'importo per volontà unilaterale del privato - Non sussiste - Ratio.
2. Concessione di costruzione - Contributi - Pagamento - Ritardo - Escussione fideiussione - Obbligo della P.A. - Non sussiste - Ratio.
3. Concessione di costruzione - Contributi - Diritto di credito della P.A. - Termine di prescrizione decennale.
4. Concessione di costruzione - Contributi - Pagamento - Ritardo o omissione - Sanzioni pecuniarie - Termine di prescrizione quinquennale.
5. Concessione di costruzione - Contributi - Pagamento - Omissione - Sanzioni pecuniarie - Termine di prescrizione quinquennale - Dies a quo.
6. Oblazione e oneri concessori - Controversie in tema di corretta quantificazione - Attengono a diritti soggettivi delle parti - Configurabilità del vizio di difetto di motivazione - Non sussiste - Ratio.

1. Qualora si verta in tema di diritti disponibili, la parte promittente può liberamente assumere impegni patrimoniali a prescindere da un obbligo normativo o, comunque, più onerosi rispetto a quelli astrattamente previsti dalla legge (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4015/2005, n. 1209/1999; TAR Milano, sent. n. 196/2010): in particolare, a fronte di un atto con cui il privato ha quantificato l'ammontare del contributo dovuto per il rilascio di un permesso di costruire ed ha assunto con la P.A. l'impegno a versare la somma così quantificata, non è, quindi, consentito alla parte promittente porre unilateralmente in discussione, in un momento successivo, quanto da essa stessa dichiarato e sottrarsi ad obblighi liberamente assunti, a meno che faccia valere una causa di invalidità o un motivo di risoluzione dell'accordo.
2. A fronte del ritardato pagamento degli oneri concessori, la P.A. non ha un obbligo di attivarsi nei confronti del garante per il recupero di quanto dovuto (cfr. TAR, Milano, sent. n. 4405/2009, n. 4306/2009; Cons. di Stato, sent. n. 4419/2007, n. 6345/2005; TAR Salerno, sent.n. 1936/2008).
Infatti, la fideiussione che accompagna la rateizzazione del pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse della P.A., sulla quale non incombe, quindi, alcun obbligo di preventiva escussione del fideiussore; la garanzia sussidiaria serve a scongiurare che il Comune possa irrimediabilmente perdere una entrata di diritto pubblico, ma non alleggerisce affatto la posizione del soggetto tenuto al pagamento, né attenua i doveri di diligenza sullo stesso incombenti, né estingue di per sé l'obbligazione principale (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 6345/2005).
3. Il diritto di credito della P.A. comunale avente ad oggetto il pagamento del contributo dovuto per il rilascio della concessione edilizia è soggetto all'ordinario termine decennale di prescrizione, decorrente dalla data di rilascio della concessione edilizia (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2686/2008, n. 4302/2000).
4. Le sanzioni pecuniarie previste all'art. 42, D.P.R. n. 380/2001 per i casi di ritardato o omesso versamento del contributo di costruzione sono soggette -in mancanza di una diversa disciplina legale- al termine di prescrizione di cinque anni stabilito dall'art. 28, Legge n. 689/1981 (cfr. Cass. Civ., sent. n. 23633/2006; TAR Cagliari, sent. n. 70/2008; TAR, Salerno, sent. n. 647/2005; TAR Catanzaro, sent. n. 1514/2001; TAR Catania, sent. n. 701/2006).
5. In caso di omesso pagamento del contributo, il dies a quo del termine di prescrizione quinquennale va individuato nella scadenza del termine di 240 giorni successivi alla data prevista per il pagamento del contributo (cfr. TAR Potenza, sent. n. 141/2008).
6. Le controversie relative all'an ed al quantum delle somme dovute a titolo di oblazione e di oneri concessori, riservate dalla legge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, riguardano diritti soggettivi delle parti, rispetto alle quali non è configurabile il vizio di difetto di motivazione: infatti, le operazioni di corretta quantificazione dell'oblazione e degli atti concessori si esauriscono in una mera operazione materiale che, se errata, può comportare soltanto la violazione dei criteri fissati dalla normativa ovvero dalla P.A. con norme di natura regolamentare e, quindi, la sussistenza del solo vizio di violazione di legge, potendo l'interessato, sulla base dei predetti criteri generali, contestare l'erroneità della quantificazione operata dalla P.A., evidenziando ad esempio l'erroneità dei calcoli ovvero dei presupposti di fatto o di diritto (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4217/2000; TAR Milano, sent. n. 97/2011 e n. 4455/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.09.2011 n. 2189 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia, di versare il contributo previsto, è rappresentato dal rilascio della concessione medesima, ed è a tale momento, quindi, che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, divenendo il relativo credito certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilievo in senso contrario può assumere la circostanza che al Comune sia espressamente riconosciuta la facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, atteso che l’atto di imposizione non ha carattere autoritativo ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale, e la sua mancata tempestiva adozione non implica alcun potere dell’Amministrazione di differire il suo diritto di credito, configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione.
Sicché, il dies a quo da cui far decorrere il termine decennale di prescrizione comincia decorrere dal momento stesso del rilascio della concessione edilizia.

I ricorrenti ... hanno eccepito l’avvenuta prescrizione del diritto di credito, tardivamente azionato dal Comune di Poggiomarino dopo oltre dieci anni dal rilascio dei titoli edilizi.
Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
Invero, sulla questione di diritto posta a base dell’odierna controversia, concernente l’individuazione del dies a quo da cui far decorrere il termine decennale di prescrizione, sono state formulate in giurisprudenza diverse soluzioni interpretative del quadro normativo di riferimento (artt. 1, 3, 4, 6 e 11, comma 2, della L. 28.01.1977 n. 10, vigente ratione temporis).
Secondo un primo indirizzo, seguito in passato anche da questa Sezione, la prescrizione del diritto al contributo, rapportato al costo di costruzione, comincia a decorrere dall’ultimazione delle opere, la cui prova deve essere fornita da chi intende avvalersi della prescrizione stessa, per cui il mancato assolvimento dell’onere pone a carico dell’inadempiente il protrarsi dell’esercitabilità dell’azione di recupero del credito, il cui termine prescrizionale non inizia decorrere (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sezione II, 22.01.2007 n. 21; TAR Campania, Napoli, Sezione II, 30.06.2004 n. 9821 e 11.07.2006 n. 7392). Una diversa opzione ermeneutica, valorizzando il disposto dell’art. 4, comma 4, della L. n. 10/1977 –secondo cui l’opera deve essere comunque ultimata (abitabile o agibile), salvo proroga, entro tre anni dal rilascio della concessione– sostiene che, in mancanza di una specifica dichiarazione di ultimazione dei lavori, la prescrizione inizia a decorrere ma il dies a quo deve essere portato avanti di un triennio (cfr. in termini, con riguardo ad altri ricorsi proposti contro lo stesso Comune di Poggiomarino, TAR Campania, Sezione II, 23.10.1997 n. 2611 e 2612).
Secondo altro orientamento, riaffermato anche di recente dal Giudice d’appello, il detto termine di prescrizione comincia invece a decorrere dal momento stesso del rilascio della concessione edilizia (cfr. TAR Campania, Salerno, Sezione II, 04.04.2008 n. 474; Consiglio di Stato, Sezione V, 13.06.2003 n. 3332 e Sezione IV, 16.01.2009 n. 216, con cui è stata riformata la sopra citata sentenza di questa Sezione n. 7392/2006).
Il Collegio ritiene di aderire a quest’ultimo indirizzo, in quanto fornisce la più convincente ricostruzione interpretativa dell’insieme di previsioni normative sopra evocate.
La disposizione dell’art. 11 della legge n. 10 del 1977, in tema di Versamento del contributo afferente alla concessione, stabilisce quanto segue: “La quota di contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in corso d’opera con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione delle opere”.
Come condivisibilmente argomentato nell’ultima decisione citata del Consiglio di Stato (n. 216/2009), le cui considerazioni vanno integralmente richiamate, da tale norma si desume “che il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia, di versare il contributo previsto, è rappresentato dal rilascio della concessione medesima, ed è a tale momento, quindi, che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, divenendo il relativo credito certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilievo in senso contrario può assumere la circostanza che al Comune sia espressamente riconosciuta la facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, atteso che l’atto di imposizione non ha carattere autoritativo ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale, e la sua mancata tempestiva adozione non implica alcun potere dell’Amministrazione di differire il suo diritto di credito, configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione
” (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 28.06.2011 n. 3456 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Se è vero che l'atto di quantificazione dei contributi concessori ha carattere "paritetico", e quindi che non è espressione di discrezionalità, ciò non significa che il rapporto giuridico sottostante all’obbligazione per cui è causa abbia natura strettamente privatistica e risponda, in quanto tale, ai canoni civilistici.
Le norme civilistiche relative a contratti e obbligazioni si riferiscono, infatti, a rapporti in cui le parti sono titolari di diritti disponibili e godono di autonomia negoziale nel definire l'assetto dei rispettivi interessi e proprio tali caratteri giustificano la disciplina riguardante i vizi della volontà, la tutela dell'affidamento, gli effetti della condotta soggettiva nell' ambito dell' autoresponsabilità: tutti principi, questi, che postulano uno spazio di autonomia e che implicano l'esercizio di una volontà negoziale.
L'obbligazione relativa al pagamento degli oneri concessori è per contro di fonte legale e non negoziale: essa non deriva da un atto di volontà del Comune, ma direttamente dalla legge e dall'applicazione di rigidi parametri di calcolo definiti in via regolamentare.
L'obbligazione de qua trova, infatti, presupposto e fondamento in norme imperative, che impongono al titolare del permesso di costruire di versare di un contributo pubblico quale forma di compartecipazione ai costi per l'urbanizzazione del territorio.
Tale contributo risponde ad un interesse pubblico e configura un diritto indisponibile per l'Amministrazione.
Ne consegue che l'atto con il quale l'Ufficio quantifica gli oneri de quibus non ha natura costitutiva, ma è meramente ricognitivo di un credito preesistente, la cui determinazione ha contenuto vincolato essendo effettuata sulla base di parametri generali predeterminati.
---------------
Non è fondato l'assunto secondo cui gli oneri concessori non potrebbero essere ricalcolati dopo il rilascio del permesso di costruire, se inizialmente liquidati in modo erroneo.
Ciò in quanto, come già chiarito, l’atto con il quale l'Amministrazione comunale quantifica i contributi in esame ha carattere puramente ricognitivo e contabile, in quanto l'ammontare del credito è predeterminato sulla base di rigidi criteri di calcolo definiti con atto regolamentare.
Anche dopo il rilascio della concessione edilizia, pertanto, il Comune può provvedere al corretto riconteggio del contributo dovuto, a prescindere da un'espressa riserva in tal senso, in quanto il credito esiste indipendentemente dall'atto contabile che lo quantifica: la rettifica è pertanto consentita ogni qual volta sia ravvisabile un errore, dovuto a qualsiasi ragione, nella liquidazione o nel calcolo del contributo concessorio.
--------------
Erroneo è l'assunto dei ricorrenti secondo cui il Comune sarebbe vincolato "al contenuto della propria manifestazione di volontà a titolo di autoresponsabilità per l'affidamento incolpevole ingenerato nel soggetto obbligato", posto che l'atto di quantificazione degli oneri concessori non è, in senso proprio, una manifestazione di volontà dell'Amministrazione ma il risultato di un mero calcolo matematico, effettuato sulla base di parametri oggettivi noti e comunque ben conoscibili dall'obbligato.
Ne consegue che l'atto comunale di liquidazione dei contributi non è suscettibile di far sorgere alcun legittimo affidamento in capo al privato, sia in ordine all’an dell’obbligazione (salvo il caso speciale di esonero previsto dalla legge) sia in ordine al quantum, in quanto l'oggettività dei parametri da applicare rende vincolato il conteggio, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell' interessato.
Inoltre, se è vero che il pagamento rappresenta la modalità principale di estinzione del debito, è altrettanto vero che l'effetto estintivo si verifica se il pagamento è conforme al titolo e solo il pagamento in conformità al titolo fondativo del credito determina l'estinzione dell'obbligazione, laddove il pagamento parziale determina solo l'estinzione parziale della pretesa dell'Amministrazione, che conserva il diritto all'eventuale conguaglio fino allo spirare del termine di prescrizione del corrispondente diritto.
---------------
Il credito in esame (ndr: contributo di costruzione in più rispetto a quanto quantificato e comunicato in prima istanza) si prescrive nel termine ordinario decennale, decorrente dal rilascio del titolo edilizio.
Il richiamo dei ricorrenti al termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 c.c è quindi erroneo, in quanto la facoltà riconosciuta al privato di rateizzare il pagamento dei contributi concessori comporta solo una dilazione del pagamento, ma non vale a qualificare il credito come prestazione periodica, essendo la prestazione in questione legata ad un unico fatto genetico costituito dal rilascio del titolo edilizio.
---------------
L'obbligazione (ndr: versamento contributo di costruzione) grava sul soggetto che ottiene il titolo edilizio e/o su quello (eventualmente diverso) che materialmente realizza l'opera, in quanto il contributo concessorio è dovuto in funzione della realizzazione di un dato intervento edilizio comportante un aumento del carico urbanistico, e quindi del beneficiario del titolo edilizio.
L'originario titolare della concessione edilizia può liberarsi, peraltro, com’è noto, dall'obbligo di pagamento nel caso in cui alieni il terreno da edificare -ovvero l'edificio in costruzione- cedendo il relativo titolo edilizio mediante apposita volturazione. Con la "volturazione" il Comune autorizza l'acquirente a subentrare nella titolarità del permesso di costruire e nello stesso tempo accetta l'accollo degli oneri concessori da parte dell'acquirente stesso, con liberazione del precedente titolare (cfr. TAR Puglia Lecce, Sez. II, 14.07.2003, n. 4731, secondo cui la volturazione assume il significato di adesione del Comune alla convenzione in base alla quale l'acquirente si accolla il debito del venditore relativo agli oneri concessori, nonché il significato di manifestazione della volontà di liberare il debitore originario; inoltre TAR Campania-Napoli, Sez. V, 12.03.2008, n. 1220, secondo cui il venir meno della titolarità della concessione in capo all'originario concessionario, a seguito della volturazione al subentrante, comporta anche il trasferimento a carico ed a favore di quest'ultimo, dal momento della volturazione, di tutti indistintamente i diritti e gli obblighi connessi e/o derivanti dalla concessione stessa.)
L'obbligazione de qua è dunque un'obbligazione ambulatoria in quanto segue la titolarità del permesso di costruire: il rapporto obbligatorio sorge in capo all'originario titolare della concessione edilizia e si trasferisce poi su coloro ai quali la concessione stessa venga volturata, poiché con la volturazione questi ultimi subentrano nel diritto all'edificazione.
Peraltro, una volta che la costruzione venga ultimata e sia stato esercitato il diritto all'edificazione, il titolo edilizio esaurisce la propria funzione e viene meno anche l'ambulatorietà dell'obbligazione, che di norma si esaurisce con il pagamento degli oneri ad opera del titolare della concessione. Obbligato al pagamento dei contributi concessori -e dell'eventuale conguaglio- resta quindi il soggetto che ha esercitato i diritti derivanti dal permesso di costruire, salvo che, con apposita convenzione, avente valore tra le parti, l'onere venga pattiziamente trasferito agli aventi causa del costruttore.
Invero, "l'acquirente a titolo particolare di un fabbricato già realizzato non è, in difetto di accollo, obbligato al pagamento degli oneri di urbanizzazione, a suo tempo dovuti al momento del rilascio al venditore della relativa concessione edilizia, secondo le ordinarie regole della successione, per cui le obbligazioni si trasmettono all'erede del debitore e non anche al predetto acquirente".

Con il secondo motivo i ricorrenti sostengono che, in mancanza di un'espressa riserva di conguaglio all'atto dell'originaria quantificazione, l'Ufficio Tecnico comunale non poteva ricalcolare l'importo degli oneri concessori, neppure in applicazione dei corretti criteri parametrici, in quanto il Comune di Legnaro, applicando i principi civilistici invocati nel motivo di censura, sarebbe rimasto vincolato alla propria originaria dichiarazione di volontà a titolo di autoresponsabilità per “l'affidamento incolpevole" ingenerato nei privati.
A sostegno di tale tesi i ricorrenti invocano principi e norme civilistiche relative ai contratti e alle obbligazioni private, che tuttavia, a giudizio del Collegio, non sono pertinenti alla natura del rapporto che sottostà alle obbligazioni per cui è causa, e che per tale ragione non possono essere utilmente applicati alla fattispecie.
Se è vero, infatti, come riconosce anche la difesa del Comune intimato, che l'atto di quantificazione dei contributi concessori ha carattere "paritetico", e quindi che non è espressione di discrezionalità, ciò non significa che il rapporto giuridico sottostante all’obbligazione per cui è causa abbia natura strettamente privatistica e risponda, in quanto tale, ai canoni civilistici.
Le norme civilistiche relative a contratti e obbligazioni si riferiscono, infatti, a rapporti in cui le parti sono titolari di diritti disponibili e godono di autonomia negoziale nel definire l'assetto dei rispettivi interessi e proprio tali caratteri giustificano la disciplina riguardante i vizi della volontà, la tutela dell'affidamento, gli effetti della condotta soggettiva nell' ambito dell' autoresponsabilità: tutti principi, questi, che postulano uno spazio di autonomia e che implicano l'esercizio di una volontà negoziale.
L'obbligazione relativa al pagamento degli oneri concessori è per contro (cfr. sul punto C.d.S. Sez. V 13.06.2003 n. 3333) di fonte legale e non negoziale: essa non deriva da un atto di volontà del Comune, ma direttamente dalla legge e dall'applicazione di rigidi parametri di calcolo definiti in via regolamentare.
L'obbligazione de qua trova, infatti, presupposto e fondamento in norme imperative, che impongono al titolare del permesso di costruire di versare di un contributo pubblico quale forma di compartecipazione ai costi per l'urbanizzazione del territorio.
Tale contributo risponde ad un interesse pubblico e configura un diritto indisponibile per l'Amministrazione.
Ne consegue che l'atto con il quale l'Ufficio quantifica gli oneri de quibus non ha natura costitutiva, ma è meramente ricognitivo di un credito preesistente, la cui determinazione ha contenuto vincolato essendo effettuata sulla base di parametri generali predeterminati (cfr. C.d.S. Sez. V 13.06.2003 n. 3333).
--------------
I caratteri peculiari dell'indicata obbligazione rendono quindi inapplicabili in giudizio i principi civilistici invocati dai ricorrenti.
In ordine agli specifici profili di censura va inoltre rilevato, quanto segue.
Non è innanzitutto fondato l'assunto secondo cui gli oneri concessori non potrebbero essere ricalcolati dopo il rilascio del permesso di costruire, se inizialmente liquidati in modo erroneo.
Ciò in quanto, come già chiarito, l’atto con il quale l'Amministrazione comunale quantifica i contributi in esame ha carattere puramente ricognitivo e contabile, in quanto l'ammontare del credito è predeterminato sulla base di rigidi criteri di calcolo definiti con atto regolamentare.
Anche dopo il rilascio della concessione edilizia, pertanto, il Comune può provvedere al corretto riconteggio del contributo dovuto, a prescindere da un'espressa riserva in tal senso, in quanto il credito esiste indipendentemente dall'atto contabile che lo quantifica: la rettifica è pertanto consentita ogni qual volta sia ravvisabile un errore, dovuto a qualsiasi ragione, nella liquidazione o nel calcolo del contributo concessorio (Cons. St., Sez. V, 06.05.1997, n. 458).
---------------
Erroneo è conseguentemente l'assunto dei ricorrenti secondo cui il Comune sarebbe vincolato "al contenuto della propria manifestazione di volontà a titolo di autoresponsabilità per l'affidamento incolpevole ingenerato nel soggetto obbligato", posto che, anche qui come già chiarito, l'atto di quantificazione degli oneri concessori non è, in senso proprio, una manifestazione di volontà dell'Amministrazione ma il risultato di un mero calcolo matematico, effettuato sulla base di parametri oggettivi noti e comunque ben conoscibili dall'obbligato.
Ne consegue che l'atto comunale di liquidazione dei contributi non è suscettibile di far sorgere alcun legittimo affidamento in capo al privato, sia in ordine all’an dell’obbligazione (salvo il caso speciale di esonero previsto dalla legge) sia in ordine al quantum, in quanto l'oggettività dei parametri da applicare rende vincolato il conteggio, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell' interessato.
Inoltre, se è vero che il pagamento rappresenta la modalità principale di estinzione del debito, è altrettanto vero che l'effetto estintivo si verifica se il pagamento è conforme al titolo e solo il pagamento in conformità al titolo fondativo del credito determina l'estinzione dell'obbligazione, laddove il pagamento parziale determina solo l'estinzione parziale della pretesa dell'Amministrazione, che conserva il diritto all'eventuale conguaglio fino allo spirare del termine di prescrizione del corrispondente diritto.
Inappropriato è quindi il richiamo fatto dai ricorrenti alle norme codicistiche in materia di errore e di annullabilità del negozio per vizi del consenso (artt. 1427 e ss del codice civile), poiché quelle norme ineriscono alla sola materia dei contratti, laddove invece l'obbligazione al pagamento degli oneri concessori è, come chiarito, di fonte legale e di contenuto vincolato attenendo ad una prestazione di diritto pubblico non disponibile.
La disciplina civilistica dell'errore quale vizio del consenso è pertanto, parimenti inappropriata e quindi inconferente.
---------------
Con il terzo motivo i ricorrenti eccepiscono la prescrizione del diritto del Comune al pagamento dei contributi concessori, sostenendo che nella specie la prescrizione di tale diritto sarebbe quinquennale ex art 2945 c.c. e che quindi, all’atto della notifica del provvedimento impugnato, il diritto al conguaglio sarebbe stato prescritto.
L'eccezione è tuttavia infondata, in quanto (cfr. C.d.S. Sez. V 13.06.2003 n. 3333; TAR Campania-Salerno Sez. II - 04.04.2008 n. 474; TAR Puglia-Lecce, sez. I, 02.04.2007, n. 1382) il credito in esame si prescrive nel termine ordinario decennale, decorrente dal rilascio del titolo edilizio, costituito nella fattispecie dalla concessione edilizia n. 230/2001 del 08.10.2001.
La prescrizione non è dunque, nella specie, ancora maturata.
Il richiamo dei ricorrenti al termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 c.c è quindi erroneo, in quanto la facoltà riconosciuta al privato di rateizzare il pagamento dei contributi concessori comporta solo una dilazione del pagamento, ma non vale a qualificare il credito come prestazione periodica, essendo la prestazione in questione legata ad un unico fatto genetico costituito dal rilascio del titolo edilizio.
---------------
Con il quarto e ultimo motivo i ricorrenti eccepiscono infine il loro difetto di legittimazione passiva sostenendo che il pagamento degli oneri concessori costituisce un'obbligazione propter rem e dunque "accede" alla proprietà del bene: la relativa obbligazione si sarebbe dunque trasferita agli acquirenti delle singole unità immobiliari del condominio costruito dalla società, che ne sarebbero i beneficiari e in quanto tali debitori del conguaglio.
L'assunto non ha pregio per le ragioni che seguono.
Inconferente è, in primo luogo, il richiamo al regime delle convenzioni di lottizzazione, per le quali si pone il diverso problema della successione negli obblighi convenzionali relativi alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Nella fatti specie si tratta, infatti, del debito per il pagamento dei contributi concessori "tabellari" per un intervento diretto.
L'art. 81 della L.R. n. 61/1985 (applicabile ratione temporis), stabilisce che "la quota del contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune all’atto del ritiro della concessione" e che "la quota relativa al costo di costruzione è determinata all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in corso d'opera ... e comunque non oltre 60 giorni dall'ultimazione delle opere". Negli stessi termini dispone ora l'art. 16 del D.P.R. n. 380/2001.
L'obbligazione, come correttamente sostiene la difesa della parte resistente, grava dunque sul soggetto che ottiene il titolo edilizio e/o su quello (eventualmente diverso) che materialmente realizza l'opera, in quanto il contributo concessorio è dovuto in funzione della realizzazione di un dato intervento edilizio comportante un aumento del carico urbanistico, e quindi del beneficiario del titolo edilizio.
L'originario titolare della concessione edilizia può liberarsi, peraltro, com’è noto, dall'obbligo di pagamento nel caso in cui alieni il terreno da edificare -ovvero l'edificio in costruzione- cedendo il relativo titolo edilizio mediante apposita volturazione. Con la "volturazione" il Comune autorizza l'acquirente a subentrare nella titolarità del permesso di costruire e nello stesso tempo accetta l'accollo degli oneri concessori da parte dell'acquirente stesso, con liberazione del precedente titolare (cfr. TAR Puglia Lecce, Sez. II, 14.07.2003, n. 4731, secondo cui la volturazione assume il significato di adesione del Comune alla convenzione in base alla quale l'acquirente si accolla il debito del venditore relativo agli oneri concessori, nonché il significato di manifestazione della volontà di liberare il debitore originario; inoltre TAR Campania-Napoli, Sez. V, 12.03.2008, n. 1220, secondo cui il venir meno della titolarità della concessione in capo all'originario concessionario, a seguito della volturazione al subentrante, comporta anche il trasferimento a carico ed a favore di quest'ultimo, dal momento della volturazione, di tutti indistintamente i diritti e gli obblighi connessi e/o derivanti dalla concessione stessa.)
L'obbligazione de qua è dunque un'obbligazione ambulatoria in quanto segue la titolarità del permesso di costruire: il rapporto obbligatorio sorge in capo all'originario titolare della concessione edilizia e si trasferisce poi su coloro ai quali la concessione stessa venga volturata, poiché con la volturazione questi ultimi subentrano nel diritto all'edificazione.
Peraltro, una volta che la costruzione venga ultimata e sia stato esercitato il diritto all'edificazione, il titolo edilizio esaurisce la propria funzione e viene meno anche l'ambulatorietà dell'obbligazione, che di norma si esaurisce con il pagamento degli oneri ad opera del titolare della concessione. Obbligato al pagamento dei contributi concessori -e dell'eventuale conguaglio- resta quindi il soggetto che ha esercitato i diritti derivanti dal permesso di costruire, salvo che, con apposita convenzione, avente valore tra le parti, l'onere venga pattiziamente trasferito agli aventi causa del costruttore.
Invero, "l'acquirente a titolo particolare di un fabbricato già realizzato non è, in difetto di accollo, obbligato al pagamento degli oneri di urbanizzazione, a suo tempo dovuti al momento del rilascio al venditore della relativa concessione edilizia, secondo le ordinarie regole della successione, per cui le obbligazioni si trasmettono all'erede del debitore e non anche al predetto acquirente" (Cons. St., Sez. V, 26.03.1996, n. 294; TAR Campania Salerno, Sez. II, 26.09.2007, n. 1928)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 16.06.2011 n. 1042 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – TERMINI PROCESSUALI – EQUIPARAZIONE DEL SABATO AI GIORNI FESTIVI – ESTENSIONE AI TERMINI COMPUTABILI A RITROSO – ESCLUSIONE – art. 52 c.p.a.
  
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – DEPOSITO DI MEMORIE E DOCUMENTI AI FINI DELL’UDIENZA DI DISCUSSIONE – PERENTORIETÀ DEI TERMINI – art. 54 c.p.a.
  
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – REVOCAZIONE – RICORSO – OMESSA INDICAZIONE DEI VIZI – INAMMISSIBILITÀ – art. 395 c.p.c.; art. 106 c.p.a.
  
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – DECISIONE FONDATA SU RAGIONI MANIFESTE O SU ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI CONSOLIDATI – CONDANNA DELLA PARTE SOCCOMBENTE A UNA SOMMA DI DENARO – art. 26 c.p.a.
  
Il sabato è equiparato ai giorni festivi ai soli fini del compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono in tale giornata, come la notifica e il deposito di atti processuali; ai sensi dell’art. 52, 5° comma, cod. proc. amm. l’equiparazione non vale però per i termini che si computano a ritroso (quali il termine per il deposito dei documenti o delle memorie, in vista dell’udienza di discussione).
  
I termini per il deposito delle memorie o dei documenti, ai sensi dell’art. 54 cod. proc. amm. sono perentori, perché stabiliti a garanzia del contraddittorio e della corretta organizzazione del lavoro del giudice.
  
È inammissibile il ricorso per revocazione nel quale non sia indicata alcuna delle cause di revocazione previste dall’art. 395 c.p.c..
  
Ai sensi dell’art. 26 cod. proc. amm., la parte soccombente, quando la decisione sia fondata su ragioni manifeste o su orientamenti giurisprudenziali consolidati, può essere condannata al pagamento in favore dell’altra parte di una somma di denaro equitativamente determinata, a titolo di indennizzo per il danno lecito da processo (nella specie, il collegio, in assenza di elementi contrari, ha condannato la parte ricorrente ad una somma pari a quella liquidata per spese di giudizio).
---------------

  
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE – COMPUTO – CRITERIO – INDIVIDUAZIONE
  
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE – SABATO – EQUIPARAZIONE AI GIORNI FESTIVI – LIMITE
  
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE – SABATO – EQUIPARAZIONE AI GIORNI FESTIVI – APPLICABILITÀ SOLO AI TERMINI CHE SI CALCOLANO IN AVANTI, E NON ANCHE A QUELLI A RITROSO
  
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE – PER IL DEPOSITO DI DOCUMENTI, MEMORIE E REPLICHE – INDIVIDUAZIONE
  
Nel caso in cui la legge indica un termine processuale riferendosi ad un certo numero di giorni liberi, il suddetto numero di giorni esclude tanto il dies a quo quanto il dies ad quem.
  
Ai sensi dell’art. 155, comma 5, c.p.c., aggiunto dall’art. 2 comma 1, l. 28.12.2005 n. 263 ed applicabile anche al processo amministrativo, il sabato è da considerarsi equiparato ai giorni festivi, ma limitatamente agli atti processuali scadenti di sabato e da compiersi fuori dell’udienza, mentre resta giorno lavorativo per l’attività degli ufficiali giudiziari e per gli addetti all’ufficio ricorsi.
  
Nel processo amministrativo la regola fissata dall’art. 155, comma 5, c.p.c. in ordine all’equiparazione del sabato ai giorni festivi, vale solo per i termini che si calcolano in avanti, e non anche per quelli che si calcolano a ritroso, atteso che l’art. 52, comma 5, c.p.a. estende al sabato solo la proroga dei termini che scadono di giorno festivo, con la conseguenza che un termine a ritroso, che scada di sabato, non va anticipato al venerdì e, ove scada di domenica, va anticipato al sabato, e non al venerdì.
  
Ai sensi dell’art. 73, comma 1°, c.p.a. le parti possono produrre documenti nel termine perentorio di quaranta giorni liberi prima dell’udienza, di trenta giorni liberi per le memorie e di venti giorni liberi per le repliche, ma se l’ultimo giorno libero cade in un giorno festivo il deposito va anticipato a pena di esclusione al giorno precedente; peraltro, ai sensi del precedente art. 52, comma 4°, c.p.a., detta regola non si applica per i termini a ritroso che scadono di sabato
(massima tratta da www.scuolagiuridica.it).
---------------
6. Preliminare la sezione deve esaminare l’eccezione, sollevata dalla difesa del comune, di tardività della memoria difensiva depositata dalla parte ricorrente il giorno lunedì 18.04.2011.
6.1. L’eccezione è fondata.
6.2. In ordine alla individuazione dei termini del processo amministrativo ed ai criteri di computo degli stessi, in virtù del rinvio operato dall’art. 39, co. 1, c.p.a. trova applicazione la disciplina dettata dal codice di procedura civile salve le deroghe tipizzate dal c.p.a..
Ai fini del computo dei termini si estende al processo amministrativo la disciplina dettata dall’art. 155 c.p.c.; il c.p.a. aggiunge a tale disciplina alcune precisazioni in tema di giorno festivo e di sabato.
Quanto al caso in cui il giorno di scadenza sia festivo, la proroga di diritto al primo giorno seguente non festivo opera non solo per i termini legali, ma anche per quelli fissati dal giudice (art. 52, co. 3, c.p.a.); inoltre, nel caso di termini che si computano a ritroso (come per i giorni liberi prima dell’udienza), la scadenza viene anticipata al giorno antecedente non festivo (art. 52, co. 4, c.p.a. che recepisce un consolidato indirizzo della giurisprudenza, cfr. Cass., 12.12.2003, n. 19041); è altresì pacifico che quando la legge indica il termine riferendosi ad un certo numero di giorni liberi, il suddetto numero di giorni esclude tanto il dies a quo quanto il dies ad quem (cfr., fra le tante, Cass., 12.12.2003, n. 19041 cit.; 20.05.2002, n. 7331).
Il sabato è stato equiparato ai festivi (in virtù della novella di cui all’art. 2, co. 11, d.l. n. 263 del 2005, in vigore dal 01.03.2006); l’equiparazione opera però al solo fine del compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono di sabato, onde consentire agli avvocati di procedere ai relativi adempimenti, concernenti i termini di notifica e deposito che scadono di sabato, il successivo lunedì; a tutti gli altri effetti il sabato è considerato giorno lavorativo, anche per quanto attiene, dunque, alle attività di ufficiali giudiziari e di addetti agli uffici ricorsi, come dispone espressamente l’art. 155 c.p.c. (tanto emerge implicitamente dal decreto del presidente del Consiglio di Stato n. 83 del 2010 che ha disciplinato, con decorrenza 01.10.2010, gli orari di apertura al pubblico dell’ufficio ricevimento ricorsi e delle segreterie delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato).
Il c.p.a. esplicita l’applicabilità della disciplina sul sabato anche al processo amministrativo (art. 52, co. 5, c.p.a., in tal senso si era già espressa la preferibile giurisprudenza, cfr. Cons. St., sez. IV, 18.02.2008, n. 446).
Questa regola, però, vale solo per i termini che si calcolano in avanti, e non anche per i termini che si calcolano a ritroso; infatti l’art. 52, co. 5, c.p.a. estende al sabato solo la <<proroga di cui al comma 3>>, ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co. 4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato, esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al venerdì.
6.3. Le parti possono presentare memorie e repliche in vista dell’udienza di discussione; prima del codice le parti potevano produrre documenti fino a venti giorni liberi anteriori al giorno fissato per l’udienza e presentare memorie fino a dieci giorni liberi (art. 23, co. 4, l. Tar).
6.3.1. Il nuovo codice ha allungato tali termini, per meglio garantire lo studio degli atti processuali ad opera del giudice e delle parti ed ha aggiunto l’istituto delle repliche (ammesso dalla precedente prassi); pertanto le parti possono produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a trenta giorni liberi e repliche fino a venti giorni liberi (art. 73, co. 1, c.p.a.); lo scopo della previsione è quello di consentire alla controparte di disporre dei termini ivi previsti per visionare altrui documenti e memorie.
Stante la su enucleata ratio legis, prima del codice si è affermato che se l’ultimo giorno libero cade in giorno festivo, il deposito va anticipato al giorno precedente pena la tardività della produzione (cfr. Cons. giust. amm. 30.03.2009, n. 215); tanto è ora sancito espressamente dal c.p.a. secondo cui per i termini computati a ritroso, quali quelli in esame, la scadenza è anticipata al giorno antecedente non festivo, ma la regola, come già visto, non si applica per i termini a ritroso che scadono di sabato (art. 52, co. 4, c.p.a.).
6.3.2. Prima del codice era disputata la natura perentoria o meno dei termini per il deposito di documenti e memorie prevalendo da ultimo la tesi che, quantomeno avuto riguardo al termine per le memorie, questo fosse perentorio integrando un precetto di ordine pubblico processuale a garanzia dell’interesse del giudice a conoscere in tempo utile gli atti processuali (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. V, n. 5245 del 2009; sez. VI, n. 4699 del 2008).
La questione ha trovato espressa soluzione nel c.p.a. a tenore del quale la presentazione tardiva di memorie o documenti può essere eccezionalmente autorizzata dal collegio, su richiesta di parte, quando la produzione nel termine di legge risulta estremamente difficile; in ogni caso va assicurato il pieno rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio sugli atti tardivamente depositati (art. 54, co. 1, c.p.a.).
Se ne desume che:
   a) i termini di deposito di documenti, memorie e repliche sono imposti a pena di decadenza;
   b) il deposito tardivo è possibile solo se c’è un autorizzazione del collegio che si atteggia a rimessione in termini per errore scusabile, come ipotesi speciale di essa, di cui condivide i presupposti; 
   c) va comunque garantito il contraddittorio.
La giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del codice ha ribadito che tali termini sono perentori a garanzia del contraddittorio e della corretta organizzazione del lavoro del giudice (cfr. Cons. St., sez. V, 01.04.2011, n. 2032; sez. V, 29.03.2011, n. 1910; sez. VI, 16.02.2011, n. 984).
6.4. Facendo applicazione dei su esposti principi al caso di specie, risulta evidente che il deposito della memoria difensiva della società ricorrente, avvenuto lunedì 18.04.2011 in vista dell’udienza di discussione della presente controversia fissata per il giorno 17.03.2011, è tardivo perché effettuato oltre il termine ultimo per legge individuato nel giorno sabato 16.04.2011.
6.5. Dall’assodata tardività della memoria depositata dalla società ricorrente, dalla insussistenza dei presupposti per la concessione dell’errore scusabile (alla luce dei rigorosi principi da ultimo enucleati dall’adunanza plenaria di questo Consiglio n. 3 del 2010), nonché dalla natura meramente illustrativa delle comparse conclusionali, discende l’inutilizzabilità processuale della memoria depositata il 18.04.2011, in ordine all’integrazione o specificazione di fatti costitutivi di domande ed eccezioni non ritualmente proposte, con tutte le ulteriori conseguenze connesse all’applicazione dell’art. 26 c.p.a. (cfr. Cons. St., sez. V, 01.04.2011, n. 2032; 29.03.2011, n. 1926) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 31.05.2011 n. 3252 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGO: La quota di contributo afferente al costo di costruzione va dunque determinata all’atto del rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione, ma deve essere versata nel corso della costruzione e comunque nei sessanta giorni dalla sua ultimazione.
La data del rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione è il momento in cui sorge l’obbligazione contributiva rapportata al costo di costruzione, e pertanto è da quella stessa data che l’amministrazione comunale può far valere il suo diritto di credito, ossia esercitare il potere di accertamento dell’importo dovuto, con conseguente decorrenza della prescrizione (decennale) del diritto medesimo il quale, sin dal momento dell’adozione del provvedimento ampliativo della sfera del richiedente la concessione o il permesso di costruzione, è certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile.
La suddetta obbligazione è di tipo “acausale”, perché connessa alla mera utilizzazione edificatoria del territorio, e perciò ritenuta di natura paratributaria, a differenza dell’obbligazione per oneri di urbanizzazione che deve, invece, ritenersi “causale” ed ha natura di corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria, dovuto dal titolare della concessione edilizia per la partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione connessi all’edificazione.
In ogni caso, per entrambe le obbligazioni il rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione rappresenta il momento costitutivo dell’obbligo giuridico -incombente sul beneficiario del provvedimento autorizzatorio- di corrispondere le somme dovute per il contributo di costruzione.
Con la conseguenza che l’omessa contestuale determinazione di tale contributo o di una delle due voci che lo compongono (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) realizza, sin dal momento del rilascio del titolo abilitativo all’edificazione, una lesione attuale e concreta alla finanza comunale, venendo a mancare, in capo all’ente locale, la disponibilità piena ed immediata di entrate contributive ad esso spettanti.
---------------
Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali –art. 58 della legge 08.06.1990 n. 142– è previsto che l’azione di responsabilità si prescrive col decorso del quinquennio “dalla commissione del fatto”.
Tale espressione deve essere intesa nel senso che non è sufficiente a dare inizio al periodo prescrizionale il semplice compimento della condotta trasgressiva degli obblighi di servizio dalla quale non sia ancora scaturito alcun nocumento all’ente pubblico, posto che l’elemento “fatto” comprende non solo la condotta del soggetto ma anche l’evento dannoso che ad essa consegue.
Un indirizzo interpretativo del tutto analogo è stato poi adottato a proposito dell’art. 1, secondo comma, della legge 14.01.1994, n. 20 (come sostituito con legge 20.12.1996, n. 639) -per il quale il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in 5 anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il “fatto dannoso” (ovvero, in caso d’occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta)–, affermandosi che ai fini dell’individuazione del “dies a quo” della prescrizione, ai sensi del citato art. 1 l. n. 20/1994 occorre avere riguardo alla fattispecie costituita da condotta ed evento dannoso, che si completa al verificarsi di quest’ultimo, vale a dire del depauperamento dell’amministrazione o dell’ente.
---------------
L
’adeguamento annuo del costo di costruzione secondo l’indice ISTAT ... rientra indiscutibilmente nell’ambito del procedimento autorizzatorio di cui sopra, trattandosi di adempimento strettamente connesso all’esatto computo del contributo dovuto in relazione al permesso di costruire.
An
che per tale adempimento l’ordinaria competenza a provvedere (appartenesse e) appartenga al Responsabile della Unità Operativa interessata, più che al Responsabile dell’Area di riferimento (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”) o agli organi deliberativi dell’Ente.
D’altro canto, l’aggiornamento in questione si risolve in una operazione di calcolo da effettuarsi sulla base di un parametro -la variazione ISTAT- fissato da prescrizioni legislative (statali e regionali) alla stregua delle quali si sarebbe dovuto provvedere automaticamente anno per anno, senza alcuna possibilità di valutazioni ed apprezzamenti discrezionali da parte degli organi di governo comunali trattandosi, invero, di adeguamento comunque obbligatorio per legge.
Sul punto le disposizioni di riferimento
, vale a dire l’art. 16, comma 9, del d.P.R. n. 380/2001 –testualmente riproduttivo, in parte qua, dell’art. 6, comma 3, della legge n. 10 del 1977– e l’art. 29, comma 3, della legge regionale Emilia Romagna n. 31 del 2002, risultano univocamente chiare e vincolanti nel prevedere che nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali il costo di costruzione è adeguato annualmente dai Comuni “in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica”, con l’ulteriore rilevante precisazione, nella norma statale appena citata, che all’adeguamento si procede anche “in eventuale assenza di tali determinazioni” ed “autonomamente”.

---------------
Il mancato aggiornamento del costo di costruzione configura una condotta omissiva dell’odierno convenuto qualificabile, se non come dolosa, certamente come gravemente colposa.
Osserva il Collegio come nella fattispecie in esame difettino i profili del c.d. dolo “erariale” o “contrattuale” non risultando il comportamento del sig. ... improntato a consapevole volontà del medesimo di agire in violazione dei propri doveri d’ufficio e di arrecare un ingiusto pregiudizio all’Ente.
Nella condotta del sunnominato ricorrono, tuttavia, gli elementi della colpa grave, ove si consideri, anzitutto, che l’aggiornamento annuale del costo di costruzione postulava un dovere particolarmente pregnante e puntuale di diligenza nell’adempimento di tale obbligo, specie per i connessi rilevanti riflessi sulle finanze del Comune.
L’inadempienza si è protratta per svariati anni senza che il convenuto abbia mai adottato, nell’ambito dell’autonomia di competenze non meramente esecutive di cui in precedenza si è fatto cenno, alcuna concreta, documentata iniziativa di natura “operativa”, o anche solo “sollecitatoria” e/o “propositiva”, volta a definire la vicenda dell’adeguamento ISTAT di cui si discute; vicenda, occorre ribadirlo, coinvolgente, in via diretta ed immediata, l’importante attività gestionale in materia di edilizia privata propriamente riservata all’Unità Operativa (“Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”) della quale il sig. ... era Responsabile.
In altre parole, viene qui in rilievo la prolungata, ingiustificata inerzia del convenuto in ordine all’adeguamento del costo di costruzione, inerzia da ritenersi e valutarsi quale espressione di inescusabile e macroscopica superficialità nella cura dell’attività gestoria di un settore comunale, quello dell’edilizia privata, di assoluto rilievo.
Il Collegio ritiene dunque sussistente una condotta gravemente colposa del sig. ..., direttamente causativa del danno alle finanze comunali perseguito in questa sede.

---------------
Non si può non evidenziare come abbia fatto assoluto difetto, nella vicenda in esame, l’esercizio da parte dei dirigenti succedutisi nella carica di Responsabile dell’Area n. 3 (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”) dei propri poteri di direttiva, di impulso e di controllo, quando non sostitutivi, in relazione alla specifica attività svolta dall’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”.
R
esta il fatto che l’assenza di una qualunque iniziativa da parte dei vari soggetti comunali (in primis Consiglio, Giunta e dirigenti Responsabili dell’Area 3), comunque coinvolti dalla discussa problematica in ragione delle rispettive attribuzioni, ha consentito che la grave anomalia gestionale rappresentata dal mancato adeguamento del costo di costruzione si protraesse per diversi anni in una situazione di persistente inazione dell’amministrazione; situazione che ha senza dubbio contribuito al progressivo formarsi dell’ingente danno per cui è causa.
I
l mancato intervento degli altri soggetti comunali interessati, concretizzatosi anch’esso in una continuata ed assolutamente ingiustificabile inerzia, pur non facendo venire meno la responsabilità per colpa grave dell’odierno convenuto assuma, tuttavia, concorrente rilevanza nella produzione dell’evento dannoso.
Tale apporto concausale, valutato con riguardo all’insieme delle accennate condotte “inattive”, appare complessivamente stimabile, per la notevole incidenza che esso ha avuto sul protrarsi per anni dell’inadempimento dell’obbligo di adeguamento del costo di costruzione, nella misura del 75 per cento, con corrispondente riduzione al 25 per cento della percentuale di responsabilità restante a carico del sig. ....

1) L’ipotesi di danno erariale sottoposta all’esame della Corte è costituita –secondo la prospettazione accusatoria- dalle minori entrate, per il complessivo importo di € 386.711,64, derivanti al Comune di Vergato dal mancato adeguamento annuale, relativamente al periodo 2000–2009, del costo di costruzione ai fini della determinazione della quota di contributo per il rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruire nuovi edifici.
Per tale evento dannoso è stato chiamato in giudizio il sig. ..., quale responsabile del Settore Urbanistica e Ambiente dal 1999 al 2001 e, poi, della Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente” fino al 29.07.2009.
---------------
2) Ai fini della migliore comprensione della causa è opportuno premettere un breve excursus delle norme in materia edificatoria coinvolte nella fattispecie.
2.a) Si deve quindi partire dalla legge 28.01.1977, n. 10 sull’edificabilità dei suoli, che all’art. 1 stabiliva che “Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del sindaco, ai sensi della presente legge” soggiungendo, all’art. 3, che “la concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
Per il successivo art. 5 della legge n. 10 del 1977 appena citata, “l'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, previsti dall'articolo 4 della legge 29.09.1964, n. 847, modificato dall'articolo 44 della legge 22.10.1971, n. 865, nonché dalle leggi regionali, è stabilita, ai fini del precedente articolo 3, con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, per classi di comuni in relazione…(comma 1).
Fino all'approvazione delle tabelle di cui al precedente comma i comuni continuano ad applicare le disposizioni adottate in attuazione della legge 06.08.1967, n. 765 (comma 2).
Nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione entro il termine stabilito nel primo comma e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale (comma 3)
”.
Infine, l’art. 6 (nel testo sostituito dall’art. 7 l. 24.12.1993 n. 537) della medesima legge prevedeva che “il costo di costruzione di cui all'articolo 3 della presente legge per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell'art. 4 della L. 05.08.1978, n. 457” (comma 1), soggiungendo che “con gli stessi provvedimenti di cui al primo comma, le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l'edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento” (comma 2) e disponendo, altresì, che “nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali di cui al primo comma, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)” (comma 3).
2.b) I sopra citati artt. 1, 3, 5 e 6 (nonché gli artt. 4, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 16) della legge n. 10 del 1977 sono stati, poi, espressamente abrogati dall'art. 136, commi 1 e 2, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 – “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)”, a decorrere dal 30.06.2003, ai sensi dell'art. 2, del decreto-legge 20.06.2002, n. 122, conv., con modificazioni, in legge 01.08.2002, n. 185.
Per quel che occupa, il predetto Testo unico, definite la natura e le caratteristiche del permesso di costruire (v. artt. 10–15), rilasciato “dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici” (v. art. 13, comma 1), all’art. 16, ha raccolto le disposizioni (legge 28.01.1977, n. 10, articoli 3; 5, comma 1; 6, commi 1, 4 e 5; 11; legge 05.08.1978, n. 457, art. 47; legge 24.12.1993, n. 537, art. 7; legge 29.09.1964, n. 847, articoli 1, comma 1, lettere b) e c), e 4; legge 22.10.1971, n. 865, art. 44; legge 11.03.1988, n. 67, art. 17; decreto legislativo 05.02.1997, n. 22, art. 58, comma 1; legge 23.12.1998, n. 448, art. 61, comma 2) sul “contributo per il rilascio del permesso di costruire” tra le quali vanno segnalate le seguenti:
- “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo” (comma 1);
- “La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata…” (comma 2);
- “La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione” (comma 3);
- “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell'articolo 4 della legge 05.08.1978, n. 457. Con lo stesso provvedimento le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l'edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento. Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione” (comma 9).
2.c) Da ultimo, la legge regionale Emilia Romagna 25.11.2002, n. 31 (“Disciplina generale dell’edilizia") ha disposto, all’art. 27 (“Contributo di costruzione”), che: “Fatti salvi i casi di riduzione o esonero di cui all'art. 30, il proprietario dell'immobile o colui che ha titolo per chiedere il rilascio del permesso o per presentare la denuncia di inizio attività è tenuto a corrispondere un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione” (comma 1); “Il contributo di costruzione è quantificato dal Comune per gli interventi da realizzare attraverso il permesso di costruire ovvero dall'interessato per quelli da realizzare con denuncia di inizio attività” (comma 2); “La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune all'atto del rilascio del permesso ovvero all'atto della presentazione della denuncia di inizio attività. Il contributo può essere rateizzato, a richiesta dell'interessato” (comma 3); “La quota di contributo relativa al costo di costruzione è corrisposta in corso d'opera, secondo le modalità e le garanzie stabilite dal Comune” (comma 4).
Al successivo art. 29, la stessa legge regionale ha stabilito che “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato almeno ogni cinque anni dal Consiglio regionale con riferimento ai costi parametrici per l'edilizia agevolata. Il contributo afferente al titolo abilitativo comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata con l'atto del Consiglio regionale in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione e ubicazione” (comma 1), e “Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, il costo di costruzione è adeguato annualmente dai Comuni, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica” (comma 3).
---------------
3) In base alla delineata cornice normativa, la quota di contributo afferente al costo di costruzione va dunque determinata all’atto del rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione, ma deve essere versata nel corso della costruzione e comunque nei sessanta giorni dalla sua ultimazione.
Secondo giurisprudenza amministrativa ormai consolidata,
la data del rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione è il momento in cui sorge l’obbligazione contributiva rapportata al costo di costruzione, e pertanto è da quella stessa data che l’amministrazione comunale può far valere il suo diritto di credito, ossia esercitare il potere di accertamento dell’importo dovuto, con conseguente decorrenza della prescrizione (decennale) del diritto medesimo il quale, sin dal momento dell’adozione del provvedimento ampliativo della sfera del richiedente la concessione o il permesso di costruzione, è certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile (cfr. Consiglio di Stato – Sez. IV, 06.06.2008 n. 2686; Sez. IV, 05.04.2006 n. 7219; Sez. V, 13.06.2003 n. 3332; TAR Marche Ancona, 01.04.2004 n. 143; TAR Abruzzo Pescara, 10.05.2002 n. 477; TAR Calabria Catanzaro, 06.02.1996 n. 180).
Come ancora precisato dal giudice amministrativo,
la suddetta obbligazione è di tipo “acausale”, perché connessa alla mera utilizzazione edificatoria del territorio, e perciò ritenuta di natura paratributaria, a differenza dell’obbligazione per oneri di urbanizzazione che deve, invece, ritenersi “causale” ed ha natura di corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria, dovuto dal titolare della concessione edilizia per la partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione connessi all’edificazione (cfr. TAR Lombardia Brescia, 03.12.2007 n. 1268; TAR Toscana Firenze, Sez. III, 11.08.2004 n. 3181).
In ogni caso, per entrambe le obbligazioni il rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione rappresenta il momento costitutivo dell’obbligo giuridico -incombente sul beneficiario del provvedimento autorizzatorio- di corrispondere le somme dovute per il contributo di costruzione (cfr. Consiglio di Stato – Sezione IV, 06.06.2008 n. 2686).
Con la conseguenza che l’omessa contestuale determinazione di tale contributo o di una delle due voci che lo compongono (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) realizza, sin dal momento del rilascio del titolo abilitativo all’edificazione, una lesione attuale e concreta alla finanza comunale, venendo a mancare, in capo all’ente locale, la disponibilità piena ed immediata di entrate contributive ad esso spettanti.
Analogamente è a dire, in termini di attualità ed effettività del pregiudizio, con riguardo all’errata determinazione del contributo in misura inferiore al dovuto; ciò anche a voler prescindere dal carattere di definitività attribuito da una certa giurisprudenza alla determinazione del quantum della obbligazione contributiva a carico del privato, con esclusione della possibilità per l’amministrazione comunale che abbia erroneamente liquidato l’ammontare del contributo, di richiedere successivamente, in via di autotutela, un importo a titolo di conguaglio (cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, decisione n. 1007/2000).
---------------
4) Si può ora passare ad esaminare la questione della prescrizione dell’azione di responsabilità eccepita dalla difesa del convenuto.
Sul punto è appena da ricordare che
nel nuovo ordinamento delle autonomie locali –art. 58 della legge 08.06.1990 n. 142– è previsto che l’azione di responsabilità si prescrive col decorso del quinquennio “dalla commissione del fatto”.
Tale espressione, secondo giurisprudenza di questa Corte, deve essere intesa nel senso che non è sufficiente a dare inizio al periodo prescrizionale il semplice compimento della condotta trasgressiva degli obblighi di servizio dalla quale non sia ancora scaturito alcun nocumento all’ente pubblico, posto che l’elemento “fatto” comprende non solo la condotta del soggetto ma anche l’evento dannoso che ad essa consegue (cfr. Sez. II, 03.02.1999 n. 28/A; Sez. giurisd. reg. Lazio, 25.09.2000 n. 1544/R).
Un indirizzo interpretativo del tutto analogo è stato poi adottato a proposito dell’art. 1, secondo comma, della legge 14.01.1994, n. 20 (come sostituito con legge 20.12.1996, n. 639) -per il quale il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il “fatto dannoso” (ovvero, in caso d’occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta)–, affermandosi che ai fini dell’individuazione del “dies a quo” della prescrizione, ai sensi del citato art. 1 l. n. 20/1994 occorre avere riguardo alla fattispecie costituita da condotta ed evento dannoso, che si completa al verificarsi di quest’ultimo, vale a dire del depauperamento dell’amministrazione o dell’ente (cfr. Corte dei Conti – Sezioni II, 19.10.1998 n. 212/A).
Tanto premesso, ritiene il Collegio di non poter condividere la tesi di parte attrice secondo la quale si tratterebbe, nella specie, di illecito permanente caratterizzato dal protrarsi nel tempo della condotta antidoverosa la quale dovrebbe, perciò, essere considerata una condotta unica continuata, con conseguente spostamento “in avanti”, sino alla sua cessazione, del "dies a quo" per l'inizio del computo del termine prescrizionale.
In realtà, la contestata vicenda di danno, pur nella sua sostanziale unitarietà, risulta articolata in segmenti temporali corrispondenti ai singoli anni controversi (2000–2009), cui le specifiche minori entrate sono state riferite.
D’altra parte, il criterio -poi confermato dalla Procura attrice– per mezzo del quale il Comune di Vergato è pervenuto alla determinazione del danno in discussione è consistito proprio nel calcolare il mancato adeguamento del costo di costruzione anno per anno, a partire dal 2000 fino al 2009, individuando l’ammontare delle minori entrate per ogni singolo esercizio finanziario ed il loro ammontare complessivo (pari a € 386.711,64).
La decorrenza della prescrizione della domanda risarcitoria va quindi stabilita tenendo conto del criterio appena evidenziato, ovvero avendo riguardo al danno come perdita di entrate contributive subita dal Comune in riferimento ad ogni specifico anno oggetto di contestazione.
Resta da aggiungere che, non sussistendo nella fattispecie alcun occultamento doloso,
il mancato adeguamento automatico del costo di costruzione era comunque rilevabile, e dunque obiettivamente conoscibile, già all’interno di ogni esercizio finanziario di riferimento, attraverso le normali procedure di controllo e di revisione previste dal T.U.EE.LL. (d.lgs. n. 267/2000).
Ne discende, ad avviso del Collegio, che il “dies a quo” del termine prescrizionale deve essere fatto coincidere, anno per anno, con la chiusura dell’esercizio finanziario di riferimento, e pertanto, poiché il primo atto interruttivo del termine prescrizionale (quinquennale) va individuato nell’invito a dedurre emesso il 16.03.2010 dalla Procura attrice, la pretesa risarcitoria azionata da quest’ultima risulta prescritta in relazione al danno per le minori entrate contributive riferite agli anni 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004.
L’accertata parziale prescrizione del danno nei termini appena specificati conduce a ritenere assorbita, relativamente e limitatamente agli anni sopra indicati (2000–2004), ogni ulteriore questione dedotta in atti.
---------------
5) Quanto, invece, alla parte restante del danno, costituita dalla perdita di entrate contributive realizzata nel periodo dall'01.01.2005 all’ottobre 2009, occorre prendere le mosse dalla considerazione che tale periodo ricade interamente sotto il vigore del citato Testo unico dell’edilizia (d.P.R. n. 380 del 2001).
Questo corpo normativo è stato emanato –unitamente al d.lgs. 06.06.2001 n. 378, recante “Disposizioni legislative in materia edilizia. (Testo B)” e al d.P.R. 06.06.2001 n. 379 recante “Disposizioni regolamentari in materia edilizia. (Testo C)”- in esecuzione delle norme e dei principi di cui alla legge 08.03.1999, n. 50 (“Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998”), che prevedeva, in attuazione dell'art. 20, comma 1, della legge 15.03.1997, n. 59 (c.d. “legge Bassanini”), l’emanazione di regolamenti (ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23.08.1988, n. 400) per la delegificazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi (art. 1), nonché il riordino delle norme legislative e regolamentari disciplinanti varie fattispecie e materie “mediante l'emanazione di testi unici riguardanti materie e settori omogenei, comprendenti, in un unico contesto e con le opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari” (art. 7).
Le norme del d.P.R. n. 380 del 2001 che interessano in particolare ai fini dell’odierno giudizio sono già state riportate al punto 2.b) della presente esposizione in diritto, cui si rinvia.
Qui preme osservare che le norme anzidette hanno ripreso i contenuti sostanziali delle preesistenti disposizioni della legge n. 10 del 1977 in coerenza, peraltro, ai limiti di intervento del legislatore delegato come segnati dai principi e criteri direttivi fissati dall’art. 7, comma 2, della legge n. 50 del 1999, tra cui il “coordinamento formale delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo” (v. art. 7, comma 2, lett. d).
In altre parole, il legislatore delegato, con l’emanazione del Testo unico in oggetto, ha realizzato un unico quadro normativo delle preesistenti disposizioni nella materia che occupa, effettuando un’opera di ricognizione, coordinamento e razionalizzazione delle stesse senza, comunque, introdurre innovazioni sostanziali rispetto al sistema normativo previgente.
Ad avviso del Collegio, in un siffatto contesto non appare quindi configurabile alcuna radicale discontinuità delle disposizioni de quibus raccolte nel Testo unico n. 380 del 2001 rispetto a quelle della legge n. 10 del 1977 sulla edificabilità dei suoli, tale da poter giustificare, per quanto qui interessa, dubbi ed incertezze applicative in ordine alla determinazione del contributo afferente al costo di costruzione.
Ciò anche a voler considerare l’aspetto innovativo riferito alla sostituzione della concessione edilizia con il “permesso di costruire”, che tuttavia non ha comportato modifiche di rilevanza sostanziale alla disciplina del costo di costruzione, come del resto può desumersi dal raffronto tra le sopra riportate disposizioni degli artt. 3 (“contributo per il rilascio della concessione”) e 6 (“determinazione del costo di costruzione”) della legge n. 10 del 1977 e le corrispondenti disposizioni dell’art. 16 (“contributo per il rilascio del permesso di costruire”) del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché degli artt. 27 (“contributo di costruzione”) e 29 (“costo di costruzione”) della legge Emilia Romagna n. 31 del 2002.
Al riguardo, peraltro, non appare superfluo osservare che nel presente giudizio oggetto di contestazione non è un (ipotetico) “cattivo” uso del potere abilitativo del Comune in ordine all’attività edificatoria, bensì il mancato aggiornamento ISTAT, negli anni sopra specificati (2005–2009), del costo di costruzione da determinarsi (ed effettivamente determinato) all’atto del rilascio dei provvedimenti di autorizzazione a costruire; provvedimenti -giova sottolinearlo– che in questa sede non hanno formato oggetto di alcuna censura.
---------------
6) Passando al merito degli addebiti mossi a carico dell’odierno convenuto, occorre anzitutto soffermarsi sulla collocazione dell’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente” all’interno del sistema di organizzazione del Comune come ridefinito (con deliberazione di giunta n. 120 del 02.11.2000) a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 18.08.2000 n. 267 (T.U. Enti Locali), ed ordinato per “Aree” comprendenti, a loro interno, più Unità Operative.
Orbene, la suddetta Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”, della quale il sig. ... è stato Responsabile dal 2001 al luglio 2009, rappresenta un’articolazione dell’Area n. 3 – “Servizi per la Collettività ed il Territorio” comprendente, oltre alla menzionata Unità, anche le Unità Operative "Attività Produttive-Sportello unico-Turismo (escluso quello culturale)", "Lavori Pubblici e manutenzione” e "Polizia Municipale-Protezione civile".
Come desumibile dalla documentazione in atti (v. Statuto del Comune e Piani Esecutivi di Gestione), l’Unità Operativa in questione, sostitutiva (dall’anno 2001) del Settore “Urbanistica e Ambiente”, ancorché costituisca, così come le altre Unità Operative, una struttura interna (all’Area n. 3) di tipo non apicale, risulta comunque dotata, negli specifici ambiti di competenza, di autonomia funzionale e gestionale per il conseguimento degli obiettivi programmati, con imputazione dei relativi capitoli di bilancio (42035 - oneri su costo di costruzione; 42036 – oneri di urbanizzazione primaria; 42037 – oneri di urbanizzazione secondaria…).
D’altra parte, giusta quanto precisato dal Comune di Vergato, e come sottolineato dalla Procura attrice, senza alcuna contestazione difensiva sul punto, il geom. ..., anche dopo la “trasformazione” del Settore “Urbanistica e Ambiente” in Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”, all’esito allo svolgimento “delle attività istruttorie di natura tecnica in materia urbanistica ed edilizia” provvedeva “autonomamente all’adozione del provvedimento finale” (v. “Prospetto dotazione organica del servizio” trasmesso con nota sindacale 08.01.2010, prot. n. 213), in piena continuità con le funzioni di Responsabile di Settore precedentemente esplicate.
In altre parole, anche successivamente alla creazione -unitamente alla figura dei relativi Responsabili- delle “Aree”, individuate come “strutture operative di massima dimensione, finalizzate a garantire l’efficacia dell’intervento nell’ambito di materie aventi caratteristiche omogenee” (v. Statuto del Comune di Vergato) ed articolate, a loro volta, in Unità Operative, l’intero procedimento abilitativo edilizio, e quindi la determinazione del contributo di costruzione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) in sede di rilascio del permesso di costruzione, continuava a fare capo, in via diretta, al geom. ..., nella sua qualità di Responsabile della Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”.
Tanto chiarito, va subito aggiunto che
l’adeguamento annuo del costo di costruzione secondo l’indice ISTAT, disciplinato dalla normativa dianzi richiamata (v. art. 16 d.P.R. n. 380/2001; artt. 27 e 29 l.reg. Emilia Romagna n. 31/2002), rientra indiscutibilmente nell’ambito del procedimento autorizzatorio di cui sopra, trattandosi di adempimento strettamente connesso all’esatto computo del contributo dovuto in relazione al permesso di costruire.
Appare perciò evidente, ad avviso del Collegio, che
anche per tale adempimento l’ordinaria competenza a provvedere (appartenesse e) appartenga al Responsabile della Unità Operativa interessata, più che al Responsabile dell’Area di riferimento (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”) o agli organi deliberativi dell’Ente.
D’altro canto,
l’aggiornamento in questione si risolve in una operazione di calcolo da effettuarsi sulla base di un parametro -la variazione ISTAT- fissato da prescrizioni legislative (statali e regionali) alla stregua delle quali si sarebbe dovuto provvedere automaticamente anno per anno, senza alcuna possibilità di valutazioni ed apprezzamenti discrezionali da parte degli organi di governo comunali trattandosi, invero, di adeguamento comunque obbligatorio per legge.
Sul punto
le disposizioni di riferimento, vale a dire l’art. 16, comma 9, del d.P.R. n. 380/2001 –testualmente riproduttivo, in parte qua, dell’art. 6, comma 3, della legge n. 10 del 1977– e l’art. 29, comma 3, della legge regionale Emilia Romagna n. 31 del 2002, risultano univocamente chiare e vincolanti nel prevedere che nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali il costo di costruzione è adeguato annualmente dai Comuni “in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica”, con l’ulteriore rilevante precisazione, nella norma statale appena citata, che all’adeguamento si procede anche “in eventuale assenza di tali determinazioni” ed “autonomamente.
---------------
7) Per quanto precede, ritiene il Collegio che nella fattispecie in esame, riguardo al mancato adeguamento annuale del costo di costruzione, si sia verificata una situazione di illegittima omissione a provvedere da parte del Comune.
Omissione in primo luogo imputabile al geom. ... il quale, nella sua veste di Responsabile della competente Unità Operativa, avrebbe dovuto dare piena e continuativa attuazione, anche dopo l’entrata in vigore del Testo Unico dell’edilizia, alla delibera del Consiglio Comunale n. 58 del 29.09.1999 (di recepimento della deliberazione del Consiglio Regionale n. 1108 in data 29.03.1999) aggiornando annualmente, con propria determinazione, il costo di costruzione, così come stabilito al punto 4) del dispositivo della delibera medesima; adempimento, del resto, di non particolare complessità, già curato dall’odierno convenuto in riferimento all’anno 2001 mediante l’adozione della determinazione n. 58 del 20.12.2000.
Né il contestato inadempimento può trovare valida giustificazione nel documento denominato “Appunti per una discussione della Giunta in merito alla pianificazione urbanistica comunale e ai primi adempimenti conseguenti alla nuova legge di disciplina dell’attività edilizia” allegato dalla difesa del convenuto.
Trattasi infatti, come anche sottolineato dall’Organo requirente, di documento –senza data e senza alcuna sottoscrizione- del quale non è affatto chiara la provenienza, privo comunque di qualsiasi valenza autoritativa e decisoria ed inidoneo, pertanto, ad esplicare efficacia vincolante nei confronti del convenuto, e ciò a fronte –è bene ripeterlo- sia del perdurante obbligo, normativamente espresso, di adeguare annualmente il costo di costruzione, sia del menzionato atto deliberativo comunale (delib. cons. n. 58 del 29.09.1999) che poneva tale incombente a carico del “Capo Settore Urbanistica” (ora Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”).
Incombente, peraltro, mai revocato, né formalmente né implicitamente, ed anzi ribadito, con richiamo testuale ai precedenti e sottostanti provvedimenti regionale (delib. cons. n. 1108/1999) e comunale (delib. cons. n. 58/1999), dalla deliberazione di giunta n. 105 in data 08.10.2009 con la quale, nel prendere atto “…della necessità di procedersi all’aggiornamento del costo di costruzione ai sensi della deliberazione di Consiglio Regionale n. 1108/1999 e della deliberazione di Consiglio Comunale n. 58/1999, alla luce delle intervenute variazioni dei costi di costruzione accertata dall’ISTAT”, si disponeva che il Responsabile della U.O. “Urbanistica Edilizia Privata e Ambiente” avrebbe provveduto “all’aggiornamento annuale ed autonomo del predetto costo di costruzione, secondo le modalità di cui alla deliberazione di CR n. 1108/1999”.
Il che sta a confermare, con tutta evidenza, la piena e perdurante validità ed efficacia delle due suindicate delibere (regionale e comunale) del 1999 anche oltre l’entrata in vigore del Testo unico dell’edilizia.
---------------
8) In sostanza, dunque, il mancato aggiornamento del costo di costruzione configura, ai fini del presente giudizio, una condotta omissiva dell’odierno convenuto qualificabile, se non come dolosa, certamente come gravemente colposa.
A questo riguardo, osserva il Collegio come
nella fattispecie in esame difettino i profili del c.d. dolo “erariale” o “contrattuale, peraltro solo adombrato dalla Procura attrice, non risultando il comportamento del sig. ... improntato a consapevole volontà del medesimo di agire in violazione dei propri doveri d’ufficio e di arrecare un ingiusto pregiudizio all’Ente.
Nella condotta del sunnominato ricorrono, tuttavia, gli elementi della colpa grave, ove si consideri, anzitutto, che l’aggiornamento annuale del costo di costruzione -operazione, come già detto, di relativa semplicità- postulava un dovere particolarmente pregnante e puntuale di diligenza nell’adempimento di tale obbligo, specie per i connessi rilevanti riflessi sulle finanze del Comune.
Va inoltre evidenziato che
l’inadempienza si è protratta per svariati anni senza che il convenuto abbia mai adottato, nell’ambito dell’autonomia di competenze non meramente esecutive di cui in precedenza si è fatto cenno, alcuna concreta, documentata iniziativa di natura “operativa”, o anche solo “sollecitatoria” e/o “propositiva”, volta a definire la vicenda dell’adeguamento ISTAT di cui si discute; vicenda, occorre ribadirlo, coinvolgente, in via diretta ed immediata, l’importante attività gestionale in materia di edilizia privata propriamente riservata all’Unità Operativa (“Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”) della quale il sig. ... era Responsabile.
In altre parole,
viene qui in rilievo la prolungata, ingiustificata inerzia del convenuto in ordine all’adeguamento del costo di costruzione, inerzia da ritenersi e valutarsi quale espressione di inescusabile e macroscopica superficialità nella cura dell’attività gestoria di un settore comunale, quello dell’edilizia privata, di assoluto rilievo.
Per quanto sin qui dedotto,
il Collegio ritiene dunque sussistente una condotta gravemente colposa del sig. ..., direttamente causativa, nella misura che si andrà a specificare, del danno alle finanze comunali perseguito in questa sede.
---------------
9) Ciò posto, la condotta omissiva del sunnominato va però collocata in un certo contesto fattuale, del quale occorre tenere debitamente conto ai fini della delimitazione della responsabilità posta a carico del convenuto medesimo.
In particolare, con riferimento alla questione che ne occupa, non risulta che i già menzionati “Appunti per una discussione della Giunta in merito alla pianificazione urbanistica comunale e ai primi adempimenti conseguenti alla nuova legge di disciplina dell’attività edilizia” –ove risulta annotato, a proposito del contributo di costruzione, che “Anche in questo caso non sono necessarie, ora, scelte particolari; occorre infatti attendere le nuove determinazione del consiglio regionale e quindi le tabelle per contributi e oneri rimangono quelle in vigore. E' facoltà del Consiglio Comunale l'adeguamento del costo di costruzione sulla semplice base dei dati ISTAT.”- siano stati poi tradotti in formali deliberati del Comune contenenti disposizioni o indicazioni in ordine all’adeguamento del costo di costruzione.
In realtà, allo stato degli atti, nel periodo intercorso tra la determinazione n. 58 del 28.12.2000 (oggetto: Aggiornamento costo di costruzione) adottata dal geom. ... e la delibera giuntale n. 105 in data 08.10.2009 (oggetto: “Aggiornamento ISTAT costo di costruzione”) conseguente alla relazione in pari data dell’arch. ... - subentrata al geom. ... nella responsabilità dell’Unità Operativa Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente-, nessun organo comunale, elettivo e non, risulta in alcun modo essersi formalmente attivato, nell’ambito dell’esercizio delle proprie peculiari competenze, perché le modalità dell’adeguamento ISTAT del costo di costruzione ricevessero certa e sollecita definizione nel vigore della nuova normativa statale e regionale (d.P.R. n. 380/2001 e l.reg. Emilia Romagna n. 31/2002);
fermo restando comunque, come già sottolineato, l’obbligo, non la mera facoltà, del Comune di provvedere a tale adeguamento.
D’altra parte,
anche ammesso e non concesso (stante il chiaro dettato normativo) che fosse effettiva facoltà del Consiglio Comunale deliberare, sulla base di una valutazione politica e discrezionale, in ordine all’adeguamento o meno del costo di costruzione, in ogni caso una tale decisione avrebbe dovuto essere formalizzata con uno specifico atto consiliare (con piena assunzione della conseguente responsabilità); il che non è avvenuto, né le delibere di adozione di variante al PRG (n. 39 dell’11-04-2003; n. 48 del 28-04-2003; n. 35 del 21-04-2009) richiamate nella memoria di costituzione del convenuto (vedasi pag. 6), ed alla stessa allegate, esprimono alcuna volontà politico-amministrativa di mantenere fermo il costo anzidetto.
Non si può, inoltre, non evidenziare come abbia fatto assoluto difetto, nella vicenda in esame, l’esercizio da parte dei dirigenti succedutisi nella carica di Responsabile dell’Area n. 3 (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”) dei propri poteri di direttiva, di impulso e di controllo, quando non sostitutivi, in relazione alla specifica attività svolta dall’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”.
In conclusione, al di là di ipotizzabili profili di responsabilità la cui valutazione appartiene prioritariamente alla competenza della Procura Requirente,
resta il fatto che l’assenza di una qualunque iniziativa da parte dei vari soggetti comunali (in primis Consiglio, Giunta e dirigenti Responsabili dell’Area 3), comunque coinvolti dalla discussa problematica in ragione delle rispettive attribuzioni, ha consentito che la grave anomalia gestionale rappresentata dal mancato adeguamento del costo di costruzione si protraesse per diversi anni in una situazione di persistente inazione dell’amministrazione; situazione che ha senza dubbio contribuito al progressivo formarsi dell’ingente danno per cui è causa.
Tutto ciò risulta ancora più evidente se si considera che, a distanza di anni dall’entrata in vigore della nuova normativa sull’edilizia, è bastata la relazione dell’08.10.2009 dell’arch. ... per attivare il potere deliberativo della Giunta e provvedere all’aggiornamento del costo di costruzione (vedasi deliberazione n. 105 in data 08.10.2009) senza, peraltro, che nel frattempo il Consiglio Regionale avesse adottato alcuna nuova determinazione in materia.
Del resto, e vale la pena di rimarcarlo, nella menzionata relazione si espone testualmente che “
Le procedure di approvazione dell'aggiornamento cambiano secondo indirizzi interni ai Comuni, che non si è potuto riscontrare, a volte delibera di giunta, altre volte determina del responsabile urbanistica-edilizia, ma il riscontro dell'aggiornamento si è potuto avere in quasi tutti i comuni. Tuttavia la scrivente si è premurata di contattare la Regione, dalla quale ha ricevuto rassicurazioni sulla non rilevanza relativamente alla procedura di approvazione, ma certezza sull'obbligo dei comuni di procedere all'aggiornamento” (vedasi pag. 4), a riprova del fatto che se in precedenza i vari organi comunali avessero prestato, ognuno nell’ambito delle proprie prerogative, maggiore cura e attenzione circa la corretta applicazione della procedura di calcolo del costo di costruzione, l’ammontare del danno sarebbe risultato di gran lunga inferiore a quello poi accertato, o forse non si sarebbe realizzato.
Ritiene pertanto il Collegio che nella dedotta vicenda
il mancato intervento degli altri soggetti comunali interessati, concretizzatosi anch’esso in una continuata ed assolutamente ingiustificabile inerzia, pur non facendo venire meno la responsabilità per colpa grave dell’odierno convenuto assuma, tuttavia, concorrente rilevanza nella produzione dell’evento dannoso.
Tale apporto concausale, valutato con riguardo all’insieme delle accennate condotte “inattive”, appare complessivamente stimabile, per la notevole incidenza che esso ha avuto sul protrarsi per anni dell’inadempimento dell’obbligo di adeguamento del costo di costruzione, nella misura del 75 per cento, con corrispondente riduzione al 25 per cento della percentuale di responsabilità restante a carico del sig. ....
---------------
10) Si pone, a questo punto, il problema della quantificazione del danno derivato al Comune dal mancato adeguamento annuale del costo di costruzione; ciò limitatamente al periodo gennaio 2005–ottobre 2009, essendo il periodo precedente coperto, come già detto, da prescrizione.
Al riguardo si deve tornare a rilevare che il danno in questione è costituito dalle minori entrate contributive conseguenti al minor importo, rispetto al dovuto, del costo di costruzione quale determinato dallo stesso geom. ... nell’ambito del rilascio dei permessi di costruire relativi alle pratiche edilizie definite anno per anno.
Pratiche che come già evidenziato nel corso della presente esposizione, e come anche osservato in citazione dalla Procura attrice, non hanno formato oggetto, né in sede amministrativa né in questa sede giurisdizionale, di alcuna contestazione sotto alcun altro profilo diverso dal mancato adeguamento ISTAT del costo di costruzione.
Ne consegue che i rilievi formulati dalla difesa del convenuto per il periodo dal 2005 in poi, e riportati al punto 6) della parte narrativa della presente sentenza (cui si rimanda), appaiono non risolutivi per quanto qui ci occupa, siccome involgenti aspetti e problematiche dei titoli abilitativi a costruire (quali attività edilizie dovessero scontare il costo di costruzione, quali fossero a costo pieno, quali a costo ridotto, quali esenti; …diversità dei costi da scontare a seconda delle varie tipologie di attività…inapplicabilità di alcun tipo di adeguamento del costo di costruzione per i permessi di costruire dei nuovi edifici ad uso terziario; diversa disciplina per le pratiche relative alle ristrutturazioni e alle DIA…) che non possono influire sull’accertamento del quantum del costo di costruzione non introitato dal Comune a causa della mancata applicazione, anno per anno, del meccanismo adeguativo previsto dalla normativa in materia.
Ciò in quanto il dato sostanziale su cui l’Amministrazione ha computato, ai fini risarcitori, l’adeguamento annuale ISTAT è il costo di costruzione, comprendente l’aumento (non aggiornato) a suo tempo applicato, quale risultato del relativo procedimento tecnico all’uopo utilizzato proprio dal geom. ... nelle varie pratiche edilizie come trattate e definite dallo stesso e che non possono ora, in questa sede, essere sottoposte ad una verifica generalizzata stante, tra l’altro, l’assoluta mancanza di indicazione, riguardo alle stesse, di ulteriori circostanze ed elementi concreti e specifici che sarebbe stato onere del convenuto allegare.
A tale proposito, giova richiamare testualmente alcuni passaggi della nota prot. n. 7924 del 14.06.2010 inviata dal Comune di Vergato alla Procura Regionale, ove si precisa -in ordine alle modalità di calcolo del danno erariale– “che il calcolo è stato disposto in relazione alle somme effettivamente accertate per ciascun esercizio finanziario a titolo di costo di costruzione (capitolo di entrata 4035-000 tit. 4 cat. 5, risorsa 44217), pertanto già separato dall'introito per oneri di urbanizzazione (che compongono la voce complessiva del contributo di costruzione dovuto dal cittadino).
Per quanto concerne le osservazioni in ordine alla legittimazione della richiesta del costo di costruzione di cui alla memoria difensiva (e quindi alla differenziazione tra edifici residenziali e terziari, alle verifiche relative alla data di presentazione della pratica, alla distinzione tra nuove costruzioni e ristrutturazioni) si precisa che il calcolo è stato effettuato utilizzando come base sostanziale gli accertamenti tecnici e l'istruttoria già compiuta dal dipendente in ordine rispettivamente alla ricorrenza del titolo legittimante la richiesta del costo di costruzione, alla definizione dei parametri temporali di applicazione ed alla definizione della base di calcolo (vale a dire presupponendo in via esclusiva che l'applicazione del costo di costruzione fosse erronea solo nella quantificazione dell'importo unitario).
Diversamente opinando si dovrebbe ipotizzare una verifica caso per caso con conseguente riesame istruttorio di ciascuna pratica del periodo interessato, con conseguente paralisi delle attività ordinarie dell'Ente. Per questo motivo la formulazione del calcolo del danno erariale (pari ad euro 386.711,64) è stata determinata dall'applicazione per ciascun anno della % di aumento ISTAT effettivamente dovuta e non applicata. Da tale somma è stato scomputato l'aumento percentuale formalmente praticato con decorrenza 2001 (come di seguito specificato). Per la medesima ragione nella quantificazione del danno non si è tenuto in considerazione l'asserito arrotondamento eseguito dal dipendente a € 500,00, posto che lo stesso non risulta formalizzato in alcun atto…
”.
La stessa Amministrazione comunale ha inoltre prodotto un prospetto -a firma del Sindaco– di quantificazione delle minori entrate contributive accertate anno per anno, nel quale sono esposti, per il periodo che qui interessa (2005-2009), i seguenti dati:
- esercizio 2005: “entrata accertata = € 303.674,06; atto di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = € 556,59; ISTAT annuo = 4,3900%; ISTAT totale = € 119,7452%; ISTAT totale = 19,7452%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 298.158,13; aumento applicato su totale accertato = € 5.515,9255; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 58.871,8626; minore entrata = € 53.355,9371”;
- esercizio 2006: “entrata accertata = € 296.041,52; atto di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = € 577,55; ISTAT annuo = 3,7700%; ISTAT totale = € 124,2596%; ISTAT totale = 24.2596%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 290.693,69; aumento applicato su totale accertato = € 5.377,8332; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 70.521,0503; minore entrata = € 65.143,2170”;
- esercizio 2007: “entrata accertata = € 254.035,98; atto di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = € 595,58; ISTAT annuo = 3,1200%; ISTAT totale = € 128,1365%; ISTAT totale = 28,1365%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 249.421,68; aumento applicato su totale accertato = € 4.614,3011; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 70.178,4628; minore entrata = € 65.564,1617”;
- esercizio 2008; “entrata accertata = € 206.657,90; atto di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = € 625,36; ISTAT annuo = 5,000%; ISTAT totale = € 134,5433%; ISTAT totale = 34,5433%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 202.904,17; aumento applicato su totale accertato = € 3.753,7272; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 70.089,7899; minore entrata = € 66.336,0627”;
- esercizio 2009: “entrata accertata = € 128.047,80; atto di aggiornamento – sino ad aggiornamento (DGC 105/2009-DA3 145/2009); cc corretto = € 654,38; ISTAT annuo = 4,6400%; ISTAT totale = € 140,7861%; ISTAT totale = 40,7861%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 125.721,94; aumento applicato su totale accertato = € 2.325,8560; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 51.277,0846; minore entrata = € 48.951,2286”.
Ebbene, ritiene il Collegio che i dati appena riportati diano sufficientemente conto del complessivo importo, determinato per arrotondamento in € 299.000, del danno derivato al Comune da minori entrate contributive per mancato adeguamento del costo di costruzione relativamente alle pratiche edilizie definite dall’odierno convenuto nel periodo gennaio 2005–ottobre 2009.
Né d’altra parte, a fronte di tali dati oggettivamente accertati, il convenuto medesimo ha allegato elementi probatori contrari, certi e concreti idonei a dimostrare quanto dedotto nella memoria di costituzione sul fatto che “per moltissime pratiche le entrate introitate dal Comune sono state addirittura superiori a quelle che avrebbe potuto pretendere con l'applicazione rigorosa della l.r. 31/2002 …., è pacifico che il danno richiesto non sia corretto, ma sia molto maggiore di quello effettivamente e se del caso sussistente subito dall'amministrazione” ed “addirittura c'è ragione di credere che il Comune di Vergato non abbia registrato alcuna perdita” (vedasi pag. 26 della memoria difensiva).
Da quanto sopra considerato discende, dunque, che la quota parte di danno addebitabile al sig. ..., pari al 25 per cento dell’importo di € 299.000, risulta fissata in € 74.750.
Inoltre, sempre ad avviso del Collegio, ricorrono i presupposti per un moderato esercizio del potere riduttivo dell’addebito tenuto conto, in particolare, delle circostanze di incertezza amministrativa nel cui contesto il geom. ... ebbe ad operare all’epoca dei fatti di causa; tale riduzione appare equamente calcolabile nella misura del 20 per cento, con susseguente determinazione dell’addebito nel conclusivo importo (arrotondato) pari a € 60.000, comprensivo degli accessori maturati sino alla presente sentenza.
---------------
11) Conclusivamente, va quindi affermata la responsabilità amministrativa dell’odierno convenuto sig. ... per i fatti di cui è causa, con conseguente condanna dello stesso al risarcimento in favore del Comune di Vergato della somma di € 60.0000 (sessantamila), cui devono aggiungersi gli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza sino al saldo; salvo a tenere conto in sede di esecuzione, nella sopra specificata misura del 25 per cento, di quanto eventualmente altrimenti recuperato dal predetto Comune, in via di autotutela ed a titolo di conguaglio, nei confronti dei beneficiari dei provvedimenti autorizzatori edilizi in relazione ai quali, nel periodo di riferimento (2005-ottobre 2009), non si è provveduto alla determinazione del costo di costruzione nella misura aggiornata (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Emilia Romagna, sentenza 31.05.2011 n. 265).

EDILIZIA PRIVATA: L’obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge con il rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la determinazione del contributo dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al momento in cui sorge l’obbligazione.
Il considerevole lasso di tempo decorso tra la presentazione della domanda di sanatoria ed il rilascio della concessione non può essere utilmente valorizzato nell’ottica della individuazione di decorrenze del termine per la formazione del silenzio-assenso (e, così, del decorso della prescrizione) diverse da quelle normativamente indicate né per sollecitare una non meglio specificata “giusta mediazione” che tenga conto delle tariffe eventualmente più favorevoli esistenti all’epoca della presentazione della domanda di sanatoria.

L’obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge con il rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la determinazione del contributo dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al momento in cui sorge l’obbligazione.
In tale contesto, il considerevole lasso di tempo decorso tra la presentazione della domanda di sanatoria ed il rilascio della concessione non può essere utilmente valorizzato nell’ottica della individuazione di decorrenze del termine per la formazione del silenzio-assenso (e, così, del decorso della prescrizione) diverse da quelle normativamente indicate né per sollecitare una non meglio specificata “giusta mediazione” che tenga conto delle tariffe eventualmente più favorevoli esistenti all’epoca della presentazione della domanda di sanatoria (quanto a quelle vigenti al momento di realizzazione dell’opera abusiva, lo stesso ricorrente riconosce che sarebbe ingiusto agevolare il responsabile) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.05.2011 n. 3116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La prescrizione decennale del diritto a conseguire il pagamento del contributo commisurato al costo di costruzione, insieme agli oneri di urbanizzazione, decorre dal giorno del rilascio della concessione ed ha un termine prescrizionale decennale.
Con ricorso iscritto al n. 4638 del 2004, il Comune di Terlizzi propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione terza, n. 900 del 26.02.2004 con la quale è stato respinto il ricorso proposto dallo stesso Comune contro M.S. per l’accertamento del diritto del Comune di Terlizzi a vedersi corrispondere dal sig. Mario Scardino i contributi di urbanizzazione relativi alla concessione edilizia n. 44/75, rilasciata dallo stesso Comune in data 23.05.1980, nonché per la condanna del resistente al pagamento in favore del Comune di Terlizzi dei predetti contributi di urbanizzazione e degli interessi maturati fino al 28.02.2003, pari alla complessiva somma di € 60.204,86.
...
1. - L’appello, nella parte relativa all’eccepita avvenuta prescrizione del diritto, è fondato e merita accoglimento.
2. - Occorre, infatti, evidenziare, che l’interruzione del fatto prescrizionale, e la successiva sospensione per tutta la durata del processo, opera anche in relazione a domande rivolte ad autorità giudiziaria in concreto priva di giurisdizione. Infatti, per l’interruzione della prescrizione (ed ai fini della sospensione del corso della stessa per tutta la durata del processo) rileva esclusivamente che la parte abbia inteso chiedere tutela del proprio diritto, mentre è del tutto ininfluente che il giudice adito in prima battuta difetti del potere di apprestargliela (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 18.11.2004, n. 7537; nella giurisprudenza civile, Cass. civ., 28.05.1975, n. 2182; id. 30.03.1987, n. 2781; id., 14.11.2002, n. 16032).
Pertanto, nella fattispecie in esame, nel computo del calcolo prescrizionale deve essere tenuta in conto anche la durata dei diversi processi incardinati davanti al giudice civile. In relazione a questi, va precisato che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, deve considerarsi idoneo ad interrompere il termine prescrizionale anche il giudizio in opposizione proposto dal debitore, iniziato in data 01.06.1985 e concluso con la sentenza definitiva in grado di appello depositata il 14.03.1996.
Infatti, deve ricordarsi che il precetto, siccome atto non diretto all’instaurazione di un giudizio né del processo esecutivo, interrompe la prescrizione senza effetti permanenti, ed il carattere solo istantaneo dell'efficacia interruttiva sussiste anche nel caso in cui, dopo la sua notificazione, l'intimato abbia proposto opposizione. Tuttavia, se il creditore opposto si costituisce formulando una domanda comunque tendente all'affermazione del proprio diritto di procedere all'esecuzione (ed in tale categoria va compresa certamente anche la mera richiesta di rigetto dell'opposizione) compie un'attività processuale rientrante nella fattispecie astratta prevista dal comma 2 dell'art. 2943 c.c., sicché, ai sensi del comma 2 dell'art. 2945 c.c., la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio (Cassazione civile, sez. III, 29.03.2007, n. 7737).
Pertanto, la prescrizione decennale del diritto a conseguire il pagamento del contributo commisurato al costo di costruzione, insieme agli oneri di urbanizzazione, decorrente dal giorno del rilascio della concessione e avente un termine prescrizionale decennale (ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. V, 13.06.2003, n. 3332; Consiglio di Stato, sez. IV, 16.01.2009, n. 216), risulta essere stato interrotto e sospeso sia in relazione alla sopracitata iniziativa del debitore (per un totale di giorni 3939), sia successivamente per merito dell’azione proposta dal Comune (per un totale di giorni 1771). Lo spirare del termine prescrizionale veniva quindi spostato al 09.01.2006, data in cui risulta già incardinato il presente giudizio.
La prescrizione del diritto non può quindi ritenersi compiuta ed in questo senso deve essere accolto l’appello proposto dal Comune di Terlizzi (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.05.2011 n. 2618 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il credito del comune per oneri concessori è assoggettato al regime di prescrizione ordinaria decennale.
La mancanza dei documenti richiesti per la concessione del condono edilizio impedisce il formarsi del silenzio assenso?
Risulta fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalle ricorrenti e riferita al credito vantato dal Comune per gli oneri concessori dovuti; al riguardo la giurisprudenza è concorde nell’assoggettare tale credito al regime di prescrizione ordinaria decennale: “il ricorrente ha dedotto l’illegittimità della richiesta dell’ulteriore integrazione a titolo di oneri concessori. Al riguardo é sufficiente ribadire le motivazioni appena prospettate sub III, con la precisazione, che neanche con il regime procedurale della l. 47/1985 si é mai dubitato che operi la prescrizione decennale del conguaglio, stante che il termine breve, come chiarito, riguarda la sola oblazione.” (Tar Catania, I, 1633/2007; analogamente Tar Lecce, 3820/2005); “La prescrizione degli oneri concessori soggiace all'ordinario termine decennale di prescrizione, decorrente dall'atto del rilascio della concessione.” (Tar Lecce, 3394/2004).
---------------
A margine va solo chiarito che la prescrizione è da considerare maturata sia se il relativo termine viene fatto decorrere dalla data di presentazione della domanda di sanatoria; sia se si ha riguardo al momento in cui si è formato tacitamente il titolo edilizio richiesto. A tale ultimo riguardo, infatti, va chiarito che –come si postula nel secondo motivo di ricorso– la concessine in sanatoria si è formata per silentium, essendo decorsi i ventiquattro mesi prescritti a tal fine dall’art. 35 della L. 47/1985, che decorrono dal momento di presentazione della domanda, a nulla rilevando l’eventuale incompletezza della documentazione presentata.
Questa Sezione ha già avuto modo di precisare infatti che: “Secondo la prima disposizione [art. 35 della L. 47/1985, n.d.r.], la mancanza dei documenti richiesti per la concessione del condono edilizio non impedisce il perfezionamento dell'assenso per silenzio fino al momento in cui gli stessi vengano prodotti.
La produzione dei documenti, infatti, non costituisce requisito per la formazione del silenzio assenso; diversamente, la legge avrebbe espressamente previsto la formazione del silenzio assenso decorsi 24 mesi dalla presentazione della domanda munita di tutti gli allegati ad eccezione unicamente nell'ipotesi di immobili vincolati, nel qual caso il termine decorre dal rilascio del nulla osta degli enti di tutela, con conseguente procedibilità ed ammissibilità della domanda ancorché carente documentalmente (TAR Catania, I, 20.01.2004 n. 49; 11.03.2005, n. 418). (…) Il silenzio assenso così formatosi può essere rimosso solo mediante l'esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte del Comune (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24.03.1997, n. 286), misura di autotutela che consente di contemperare il ripristino della legalità con l'esigenza, pure avvertita dal legislatore, di rendere effettivamente praticabile l'istituto del silenzio accoglimento (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 07.12.1995, n. 1672)
.” (Tar Catania, I, 1633/2007) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 07.03.2011 n. 557 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quanto al regime prescrizionale degli oneri di urbanizzazione e dei contributi commisurati al costo di costruzione, in assenza di diversa disposizione normativa il termine è quello ordinario decennale.
Quanto al regime prescrizionale degli oneri di urbanizzazione e dei contributi commisurati al costo di costruzione, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che, in assenza di diversa disposizione normativa, il termine è quello ordinario decennale (TAR Campania, Salerno, 30.12.2003 n. 2599) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 14.01.2011 n. 152 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: 1. Contributo di costruzione - Obbligo di restituzione, da parte della P.A. delle somme corrisposte - Sussiste laddove il privato rinunci al permesso di costruire o sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio.
2. Contributo di costruzione - Obbligo di restituzione, da parte della P.A. delle somme corrisposte - In caso di utilizzo soltanto parziale del permesso di costruire per realizzazione di parte delle opere edilizie previste - Sussiste per la quota di contributo di costruzione che è stata calcolata con riferimento alle opere non realizzate.
3. Contributo di costruzione - Obbligo di restituzione, da parte della P.A. delle somme corrisposte - Decorrenza del termine di prescrizione - Dalla data in cui il titolare comunica all'Amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione, da parte della P.A. del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire.
4. Restituzione di somme indebitamente riscosse da parte della P.A. - Diritto del privato agli interessi legali - Sussiste.
5. Risarcimento del maggior danno rispetto agli interessi legali richiesto a colui che abbia ricevuto in buona fede un pagamento indebito - Va valutato con riguardo al periodo successivo alla presentazione della domanda di restituzione delle somme indebitamente pagate.

1. Quando il privato rinunci al permesso di costruire o anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio -per scadenza dei termini iniziali o finali o per il sopravvenire di previsioni urbanistiche introdotte o dallo strumento urbanistico o da norme legislative o regolamentari, contrastanti con le opere autorizzate e non ancora realizzate- sorge in capo alla P.A. l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione, in quanto il contributo concessorio è strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio. Pertanto, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo di causa, cosicché l'importo versato va restituito.
2. Il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato soltanto parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pure sotto profili differenti, all'oggetto della costruzione.
L'avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie consentite da un permesso di costruire comporta dunque il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata.
3. Ai sensi dell'art. 2935 c.c. il termine di prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e, dunque, dalla data in cui il titolare comunica all'Amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione, da parte della P.A. del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali o finali o per l'entrata in vigore delle previsioni urbanistiche contrastanti.
4. Il privato, sulle somme indebitamente riscosse dalla P.A., ha diritto agli interessi legali i quali, qualora non vi siano elementi che escludano la buona fede dell'Amministrazione, spettano dalla data della domanda.
5. Il risarcimento del maggior danno, rispetto agli interessi legali, richiesto a colui che abbia ricevuto in buona fede un pagamento indebito ai sensi dell'art. 2033 c.c., riguarda il periodo successivo alla presentazione della domanda, essendo irrilevante l'allegazione e la dimostrazione di aver dovuto fare ricorso ad oneroso credito bancario in periodo precedente la presentazione della domanda di restituzione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.03.2010 n. 728 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Allorché il privato rinunci al permesso di costruire o anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio sorge in capo alla p.a. l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione.
Il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente.
L’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie consentite da un permesso di costruire comporta il sorgere in capo al titolare del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata.
Il termine di prescrizione, nel restituire la quota di contributo di costruzione versata per mancata edificazione, comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, e, dunque, dalla data in cui il titolare comunica alla amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione da parte della p.a. del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali o finali o per l’entrata in vigore delle previsioni urbanistiche contrastanti.
Sulle somme indebitamente riscosse dalla p.a., la ricorrente ha diritto agli interessi legali, che, non essendovi elementi per escludere la buona fede dell’amministrazione, spettano dalla data della domanda.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che, allorché il privato rinunci al permesso di costruire o anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio -per scadenza dei termini iniziali o finali o per il sopravvenire di previsioni urbanistiche introdotte o dallo strumento urbanistico o da norme legislative o regolamentari, contrastanti con le opere autorizzate e non ancora realizzate- sorga in capo alla p.a. l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione (cfr. TAR Abruzzo, Pescara, 15.12.2006, n. 890; Cons. Stato, sez. V, 22.02.1988, n. 105). Il contributo concessorio è, difatti, strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo di causa cosicché l’importo versato va restituito (Cons. Stato, sez. V, 12.06.1995, n. 894; Tar Lazio, Roma, sez. II-bis, 12.03.2008, n. 2294).
Il Collegio è dell’avviso che il diritto alla restituzione sorga non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, come è accaduto nel caso di specie in cui è stato edificato solamente un capannone industriale e non anche un edificio uso ufficio, come, invece, previsto nel titolo edilizio.
Sia la quota per oneri di urbanizzazione -che compensa l’aggravio del carico urbanistico della zona indotto dalla nuova costruzione- che la quota per costo di costruzione -che si giustifica per l'aumentata capacità contributiva del titolare ed è pertanto commisurata al valore economico del costo di costruzione, determinato sulla base di parametri generali– sono, difatti, correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione: la realizzazione solamente di uno dei due edifici oggetto del permesso di costruire non può che comportare una riduzione dell’aggravio del carico urbanistico della zona e manifestare una minore capacità contributiva rispetto all’ipotesi in cui entrambe le opere assentite fossero edificate.
L’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie consentite da un permesso di costruire comporta, pertanto, il sorgere in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata.
Ai sensi dell’art. 2935 c.c., il termine di prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, e, dunque, dalla data in cui il titolare comunica alla amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione da parte della p.a. del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali o finali o per l’entrata in vigore delle previsioni urbanistiche contrastanti.
Il Collegio non condivide quindi la posizione assunta dalla amministrazione, non potendo la prescrizione iniziare a decorrere da un momento, quello del rilascio del titolo edilizio, in cui il diritto alla restituzione del contributo non è ancora sorto non essendosi ancora verificati i fatti impeditivi della edificazione sopra richiamati.
Il principio affermato nella sentenza del Consiglio di Stato, 13.06.2003, n. 3332, richiamata dalla difesa dell’amministrazione comunale non trova quindi applicazione nel caso di specie: tale pronuncia, nell’individuare nel rilascio della concessione edilizia il momento da cui inizia a decorrere la prescrizione, fa, difatti, riferimento ad un diritto differente rispetto a quello oggetto della presente controversia, cioè quello del Comune al pagamento del contributo.
Sulle somme indebitamente riscosse dalla p.a., la ricorrente ha diritto agli interessi legali, che, non essendovi elementi per escludere la buona fede dell’amministrazione, spettano dalla data della domanda.
Non spetta, invece, il risarcimento del maggior danno.
L'eventuale maggior danno, rispetto agli interessi legali, richiesto a colui che abbia ricevuto in buona fede un pagamento indebito, ai sensi dell'art. 2033 c.c., riguarda il periodo successivo alla presentazione della domanda; irrilevante, di conseguenza, è l'allegazione e dimostrazione di aver dovuto far ricorso ad oneroso credito bancario in periodo precedente la presentazione della domanda di restituzione (Cassazione civile, sez. lav., 13.04.2007, n. 8921).
La documentazione allegata dalla ricorrente non può, quindi, ritenersi sufficiente ad assolvere l’onere della prova in quanto dimostra una situazione di difficoltà economica della società ed il ricorso al credito bancario in un momento antecedente al 16.10.2001, data in cui la società ricorrente ha domandato al Comune la restituzione dei quanto indebitamente corrisposto
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.03.2010 n. 728 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: L’Amministrazione (e per essa il concessionario appositamente incaricato) dispone del potere, esercitatile entro il termine prescrizionale, di pretendere il pagamento di quanto “ab origine” dovuto dal richiedente il titolo edilizio, come quest’ultimo ha il potere di pretendere, entro lo stesso termine, la restituzione di quanto eventualmente pagato in eccedenza.
Peraltro è vero che la liquidazione del contributo viene effettuata dall’Amministrazione, ma tale liquidazione non dà luogo ad un provvedimento (ancorché di carattere paritetico) avente natura costitutiva. Si tratta, invece, di attività meramente ricognitiva e contabile, perché frutto dell’applicazione di criteri automatici di determinazione del “quantum debeatur” (attraverso tabelle parametriche applicabili a volumi e superfici di progetto), nonché di norme giuridiche che nulla lasciano alla discrezionalità dell’Ente riguardo all’ammontare effettivamente dovuto.
L’Amministrazione non esercita, pertanto, alcun potere libero e discrezionale, tanto è vero che la determinazione potrebbe essere effettuata anche dal richiedente in via del tutto autonoma (come in effetti avviene quando esso contesta l’illegittima pretesa di un contributo superiore a quanto dovuto).
---------------
Il diritto di credito dell’Amministrazione comunale, avente ad oggetto il pagamento degli oneri dovuti per il rilascio della concessione edilizia, è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione, decorrente dalla data di rilascio della concessione edilizia, in cui il relativo credito diviene certo, agevolmente liquidabile ed esigibile.

Nel caso in esame, a giudizio del Collegio, non ricorre la fattispecie dell’autotutela amministrativa in senso stretto, cioè l’autoannullamento di atti illegittimi. Va, infatti, osservato che il concessionario si limita a richiedere un pagamento integrativo, senza disporre alcunché riguardo alla precedente determinazione del contributo effettuata dal Comune al momento del rilascio del titolo edilizio.
Questo, tuttavia, non esclude che l’Amministrazione (e per essa il concessionario appositamente incaricato) disponga comunque del potere, esercitatile entro il termine prescrizionale, di pretendere il pagamento di quanto “ab origine” dovuto dal richiedente il titolo edilizio, come quest’ultimo ha il potere di pretendere, entro lo stesso termine, la restituzione di quanto eventualmente pagato in eccedenza.
Peraltro è vero che la liquidazione del contributo viene effettuata dall’Amministrazione, ma tale liquidazione non dà luogo ad un provvedimento (ancorché di carattere paritetico) avente natura costitutiva. Si tratta, invece, di attività meramente ricognitiva e contabile (cfr. Cons. St., Sez. IV, 06.06.2008, n. 2686), perché frutto dell’applicazione di criteri automatici di determinazione del “quantum debeatur” (attraverso tabelle parametriche applicabili a volumi e superfici di progetto), nonché di norme giuridiche che nulla lasciano alla discrezionalità dell’Ente riguardo all’ammontare effettivamente dovuto.
L’Amministrazione non esercita, pertanto, alcun potere libero e discrezionale, tanto è vero che la determinazione potrebbe essere effettuata anche dal richiedente in via del tutto autonoma (come in effetti avviene quando esso contesta l’illegittima pretesa di un contributo superiore a quanto dovuto).
Di conseguenza, volendo analizzare la vicenda in termini paritetici e negoziali, l’errore è sempre riconoscibile da parte del debitore che si comporti osservando i canoni di correttezza e di ordinaria diligenza, il quale non può quindi invocare la tutela di un inesistente legittimo affidamento.
---------------
Deve inoltre essere considerato infondato il terzo motivo del ricorso, con cui si deduce l’applicabilità del termine triennale di cui all’art. 35, comma 11, della L. 28.02.1985, n. 47, ormai infruttuosamente decorso.
Al riguardo il Collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il diritto di credito dell’Amministrazione comunale, avente ad oggetto il pagamento degli oneri dovuti per il rilascio della concessione edilizia, è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione, decorrente dalla data di rilascio della concessione edilizia, in cui il relativo credito diviene certo, agevolmente liquidabile ed esigibile (cfr. Cons. St., Sez. IV, n. 2686/2008, cit.).
Peraltro va osservato che la disposizione invocata dalla ricorrente rappresenta norma speciale applicabile ai procedimenti in sanatoria che, come tale, deroga alla disciplina generale solo per le fattispecie espressamente considerate
(TAR Marche, sentenza 28.12.2009 n. 1475  - link a www.giustizia-amministrativa.it).