dossier
CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (prescrizione termine dare/avere e
legittimazione alla restituzione) |
anno 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA: Secondo
una consolidata giurisprudenza, la controversia attinente alla spettanza e
liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione è riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm..
Essa ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere
dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle
regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai
rispettivi termini di decadenza.
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In ipotesi di decadenza del titolo edilizio, ai fini della decorrenza
dell'ordinario termine di prescrizione decennale relativo alla restituzione
di somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione,
il dies a quo deve essere individuato nel momento in cui il diritto al
rimborso può essere effettivamente esercitato dal privato, ossia nella data
di scadenza del termine di decadenza.
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Circa il diritto alla ripetizione di quanto versato, la giurisprudenza
amministrativa ha chiarito che il contributo di costruzione, essendo
strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire, non
è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio.
Conseguentemente, «nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il
permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo
edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi
dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme
corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la
restituzione. Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso
all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale
circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della
causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va
restituito. La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto
alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire
sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli
oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono
correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione,
per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il
sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del
contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata
con riferimento alla porzione non realizzata».
Unica eccezione ai principi sopra richiamati è costituita dall’ipotesi in cui la partecipazione agli oneri di
urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege,
ma assunta con un accordo nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica
correlato alla pianificazione territoriale.
Pertanto, dato che il contributo concessorio è strettamente connesso
all'attività di trasformazione del territorio, ove detta circostanza non si
verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria
obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito, con la
precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso
in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il
permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente.
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... per l'annullamento
della nota del Comune di Spoleto del 30.12.2020 con la quale veniva
rigettata la richiesta di ripetizione di parte della somma corrisposta a
titolo di contributo di costruzione relativamente ai permessi di costruire
n. 48268/2007 e 35284/11
e per l'accertamento del diritto della ricorrente alla ripetizione di parte
della somma corrisposta a titolo contributo di costruzione correlati ai
permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/2011,
nonché per la condanna del Comune di Spoleto alla restituzione di quanto
trattenuto indebitamente nei confronti della ricorrente pari ad euro
142.138,92 o della somma che risulti all'esito del giudizio.
...
1. La Gi.Ca.Im. s.r.l. ha agito per l’annullamento della nota
del Comune di Spoleto del 30.12.2020 con la quale è stata rigettata la
richiesta di ripetizione di parte della somma corrisposta a titolo di
contributo di costruzione relativamente ai permessi di costruire n.
48268/2007 e 35284/11, nonché per l’accertamento del proprio diritto alla
ripetizione detta somma e la conseguente condanna dell’Amministrazione
comunale alla restituzione di quanto trattenuto indebitamente.
2. Riferisce in punto di fatto la parte ricorrente di aver ottenuto, a
seguito di istanza presentata nell’ottobre del 2006 al Comune di Spoleto, il
permesso di costruire n. 48268/2007 per la realizzazione di tre edifici ad
uso abitativo e commerciale su un proprio lotto di terreno situato a Spoleto
loc. San Giovanni di Baiano, per complessivi mc 13.979,70; il titolo
abilitativo prevedeva che i lavori dovessero iniziare entro un anno e che la
validità del titolo abilitativo medesimo fosse di quattro anni dalla data di
rilascio. La crisi del settore immobiliare determinava un fermo
dell'attività.
La ricorrente chiedeva -ed otteneva- un nuovo permesso a costruire per i
lavori non ultimati n. 35284/2011; tuttavia a causa dell’ulteriore
aggravamento della crisi del settore immobiliare giungeva a decadenza anche
il secondo titolo abilitativo, con la realizzazione nelle more solo di una
delle tre palazzine previste, pari a mc 4.520,80.
In data 16.11.2020, la Gi.Ca.Im. inviava al Comune di
Spoleto una richiesta di rimborso del costo di costruzione [e oneri di
urbanizzazione] versato con riferimento alle cubature non realizzate.
Con nota prot. 65524 del 30.12.2020, il Responsabile del Servizio
edilizia del Comune di Spoleto ha affermato quanto segue: «[s]i contesta la
restituzione degli importi richiesti in quanto non dovuti in primis per il
lasso del tempo trascorso; infatti il primo Permesso di Costruire è del
2007. Inoltre si fa presente che anche la recente giurisprudenza ha ribadito
che il contributo di costruzione è strettamente connesso al concreto
esercizio della facoltà di costruire per cui non è dovuto in caso di
rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio (ovvero in ipotesi di
intervenuta decadenza del titolo edilizio). Fermo quanto sopra, si rende
comunque necessario procedere ad un sopralluogo sul posto alla presenza del
Tecnico comunale istruttore della pratica, del Direttore dei Lavori e del
Titolare della Ditta esecutrice degli stessi, per verificare l’effettivo
stato dei lavori, in relazione ai titoli rilasciati…».
3. Contestando la ricostruzione fatta propria dall’Amministrazione comunale,
la parte ricorrente ha rimarcato di aver interamente versato il costo di
costruzione per i mc 13.979,70 originariamente previsti per la realizzazione
delle tre palazzine per un importo complessivo di euro 210.073,00, come
risulta dal conteggio inserito all’interno del permesso a costruire. Stante
la mancata edificazione di due delle tre palazzine, la ricorrente ribadisce
la spettanza della restituzione di quanto pagato con riferimento alla
cubatura residua di mc. 9.458,80, pari ad euro 142.138,92, oltre interessi e
rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di Spoleto non contestando il
quantum versato bensì eccependo l’intervenuta prescrizione del diritto alla
ripetizione delle somme per essere le stesse state richieste oltre il
termine decennale dalla decadenza del titolo edilizio cui le stesse si
riferiscono, ovvero il permesso di costruire n. 48268 del 19.07.2007,
decaduto in data 09.08.2010, ossia dopo tre anni dall’inizio degli stessi
20.08.2007, non rilevando il nuovo permesso di costruire n. 35284/2011.
La difesa resistente ha, inoltre, eccepito l’inammissibilità del ricorso in
quanto rivolto avverso un atto non lesivo attesa la sua natura endo-procedimentale.
Infine, la difesa comunale ha affermato l’infondatezza
della censura attorea stante l’incertezza del presunto credito vantato; a
fronte della realizzazione parziale dei lotti nn. 2 e 3, consistente nella
demolizione di edificio esistente e nella esecuzione delle opere di
urbanizzazione con modifica sostanziale e permanente dello stato dei luoghi,
l’importo richiesto da controparte a titolo di restituzione dei costi di
costruzione sulle cubature non realizzate (due palazzine, lotti nn. 2 e 3)
del permesso di costruire n. 48268/2007 viene contestato come non dovuto in toto o comunque in gran parte per effetto delle opere che hanno comportato
la modifica definitiva dell’assetto edilizio dei lotti.
5. La parte ricorrente ha replicato contestando, in particolare, che sui
lotti nn. 2 e 3 vi sia stata alcuna trasformazione –non avendo del resto
l’area, situata in zona B1-zona di completamento urbano, necessità di essere
urbanizzata– ed evidenziando come sia incontestata la mancata realizzazione
di due dei tre fabbricati per i quali la società ricorrente ha versato
quanto dovuto a titolo di costo di costruzione.
...
7. Preliminarmente va ribadita la giurisdizione del giudice amministrativo
in ordine alla presente controversia, che concerne la debenza del contributo
di costruzione in materia edilizia e la ripetizione di quanto versato a tale
titolo.
Difatti, secondo una consolidata giurisprudenza, dalla quale il Collegio non
ravvisa ragioni per discostarsi, la controversia attinente alla spettanza e
liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione è riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.;
essa ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere
dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle
regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e
ai rispettivi termini di decadenza (cfr., ex plurimis, C.d.S., sez. IV, 30.08.2018, n. 5096; Id., sez. VI,
07.05.2015, n. 2294; TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 01.02.2022, n. 223; Id., 20.05.2020,
n. 858; TAR Abruzzo, L’Aquila, 29.12.2017, n. 610).
8. Si presenta infondata l’eccezione di prescrizione del credito sollevata
dal Comune resistente.
Giova rammentare che, in ipotesi di decadenza del titolo edilizio, ai fini
della decorrenza dell'ordinario termine di prescrizione decennale relativo
alla restituzione di somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione, il dies a quo deve essere individuato nel momento in
cui il diritto al rimborso può essere effettivamente esercitato dal privato,
ossia nella data di scadenza del termine di decadenza (ex multis, TAR
Abruzzo, L’Aquila, 29.12.2017, n. 610).
Nel caso di specie al permesso di costruire n. 48268/2007 ha fatto seguito
un secondo titolo abilitativo n. 35284/2011 del 12.10.2011, nel quale
si legge: “il presente atto costituisce nuovo permesso per i lavori non
ultimati di cui al permesso di costruire n. 48268 del 19/07/2007 – Restano
invariate tutte le condizioni e prescrizioni riportate su permesso
originario”. Il nuovo titolo avrebbe, quindi, consentito alla società
ricorrente di realizzare in toto le cubature per le quali aveva già versato
interamente gli oneri dovuti.
Il medesimo provvedimento espressamente prevede (pag. 3, punto 6) la
decadenza del titolo in caso di mancato inizio lavori entro un anno dalla
data di rilascio e, comunque, quattro anni dall’inizio dei lavori.
Risultando pacifico che la società ricorrente non ha avviato i lavori a
seguito del rilascio del nuovo titolo, lo stesso è decaduto trascorso un
anno dal rilascio, ossia il 12.10.2012, dies a quo per il computo della
prescrizione decennale relativo alla restituzione di somme pagate. Pertanto,
la pec inviata dalla società ricorrente in data 16.11.2020 (assunta al
protocollo comunale n. 58009 del 16.11.2020) è intervenuta prima dello
spirare del termine decennale di prescrizione.
9. Parimenti non meritevole di accoglimento è l’eccezione di inammissibilità
dell’impugnazione della nota prot. 65524 del 30.12.2020, in quanto,
come riconosciuto dalla stessa difesa comunale (pag. 2 della memoria di
discussione), con tale atto il Comune ha comunicato “la non debenza della
restituzione per prescrizione del diritto (stante il lasso di tempo
trascorso)”, pur ritenendo necessario effettuare un sopralluogo
sull’effettivo stato dei lavori.
10. Circa il diritto alla ripetizione di quanto versato, la giurisprudenza
amministrativa ha chiarito che il contributo di costruzione, essendo
strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire, non
è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio;
conseguentemente, «nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il
permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo
edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi
dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme
corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la
restituzione. Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso
all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale
circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della
causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va
restituito. La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto
alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire
sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli
oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono
correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione,
per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il
sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del
contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata
con riferimento alla porzione non realizzata» (C.d.S., sez. II, 15.06.2021, n. 4633; cfr.,
ex multis, C.d.S., sez. IV, 15.10.2019, n. 7020; C.d.S., A.P., 30.08.2018, n. 12; C.d.S., sez. IV,
07.03.2018, n.
1475).
Unica eccezione ai principi sopra richiamati è costituita dall’ipotesi –che
non ricorre nel caso in esame– in cui la partecipazione agli oneri di
urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta con un accordo nell’ambito di un rapporto di natura
pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale (C.d.S., sez. IV,
12.11.2018, n. 6339).
Pertanto, dato che il contributo concessorio è strettamente connesso
all'attività di trasformazione del territorio, ove detta circostanza non si
verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria
obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito, con la
precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso
in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il
permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (TAR Umbria,
sentenza 22.08.2022 n. 648 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, non
rilevano in termini di effettiva trasformazione del territorio, atta a
legittimare uno scomputo degli oneri di urbanizzazione versati, i lavori
preparatori di cantiere, in quanto non sono indici di un reale inizio dei
lavori di costruzione, quali, ad esempio gli interventi di ripulitura del
sito e approntamento del cantiere e dei materiali necessari per l'esecuzione
dei lavori.
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... per l'annullamento
della nota del Comune di Spoleto del 30.12.2020 con la quale veniva
rigettata la richiesta di ripetizione di parte della somma corrisposta a
titolo di contributo di costruzione relativamente ai permessi di costruire
n. 48268/2007 e 35284/11
e per l'accertamento del diritto della ricorrente alla ripetizione di parte
della somma corrisposta a titolo contributo di costruzione correlati ai
permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/2011,
nonché per la condanna del Comune di Spoleto alla restituzione di quanto
trattenuto indebitamente nei confronti della ricorrente pari ad euro
142.138,92 o della somma che risulti all'esito del giudizio.
...
Nel caso in esame è incontestato che sia stata realizzata solo una delle tre
palazzine originariamente previste –come provato dalle stesse foto del
sopralluogo 2021 depositate dalla difesa resistente– mentre prive di
riscontro appaiono le affermazioni comunali circa l’esecuzione di ulteriori
opere.
Difatti, dalle stesse foto aeree depositate dalla difesa comunale non è
evincibile la presenza di alcuna ulteriore opera al di fuori dal lotto n. 1;
in particolare, non è provata la realizzazione di alcuna strada, apparendo
quella visibile nelle immagini del 2008 e del 2011 piuttosto come una
traccia del cantiere, non più visibile nella foto del 2021 (doc. 11).
Al riguardo giova comunque rilevare che «secondo l’orientamento consolidato
della giurisprudenza, non rilevano in termini di effettiva trasformazione
del territorio, atta a legittimare uno scomputo degli oneri di
urbanizzazione versati, i lavori preparatori di cantiere, in quanto non sono
indici di un reale inizio dei lavori di costruzione, quali, ad esempio gli
interventi di ripulitura del sito e approntamento del cantiere e dei
materiali necessari per l'esecuzione dei lavori» (C.d.S. sez. IV, 11.01.2021, n. 349; cfr. C.d.S., sez. IV, 15.04.2013, n. 2027).
11. Per quanto esposto, il ricorso deve essere accolto, con l’annullamento
della nota prot. 65524 del 30.12.2020 e l’accertamento del diritto
della Gi.Ca.Im. s.r.l. alla ripetizione parziale delle somme
versate a titolo di contributo di costruzione relativamente ai permessi di
costruire n. 48268/2007 e 35284/2011, per la parte corrispondente a quanto non
realizzato.
Da quanto precede discende, di conseguenza, la condanna del Comune di
Spoleto alla restituzione di quota parte di quanto versato dalla ricorrente
a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione in relazione ai
permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/2011, per complessivi euro
142.138,92, oltre interessi nella misura legale dalla domanda fino
all’effettivo soddisfo.
Non può invece accogliersi la domanda relativa alla rivalutazione monetaria
di detta somma, trattandosi di debito di valuta e non di valore (TAR Umbria,
sentenza 22.08.2022 n. 648 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Oneri concessori assoggettati alla prescrizione decennale.
Con la
sentenza 09.12.2021 n. 7921, il TAR Campania
(Sez. VIII Napoli) interviene in materia di pagamento degli oneri concessori
conseguenti al rilascio del permesso di costruire, chiarendo i termini di
estinzione del diritto dell'ente locale a pretenderne il pagamento da parte
dei soggetti interessati all'intervento edilizio.
La pronuncia prende in esame il ricorso contro la determinazione
dirigenziale del responsabile dell'area tecnica-urbanistica di un Comune con
cui si chiedeva al ricorrente la corresponsione degli importi dovuti e non
versati a titolo di oneri concessori originati a seguito del rilascio del
permesso di costruire relativo a taluni immobili di sua proprietà aventi
natura commerciale. La doglianza si incentrava sul consistente lasso
temporale trascorso per l'emanazione del provvedimento amministrativo
accertativo rispetto alla data di rilascio del titolo edilizio.
Il Collegio campano rileva che le controversie inerenti all'attività
amministrativa di determinazione e liquidazione degli oneri concessori, sia
nella componente del costo di costruzione che in quella degli oneri di
urbanizzazione, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ai sensi dell'articolo 133, comma 1, lettera f), del Codice
del processo amministrativo. Invero, gli atti e i provvedimenti riguardanti
la debenza dei suddetti oneri vengono fatti rientrare tra quelli adottati
dalla Pa «in materia di urbanistica e edilizia, concernente tutti gli
aspetti dell'uso del territorio».
In considerazione della natura non tributaria di questi oneri (qualificati
come corrispettivo di diritto pubblico a titolo di partecipazione ai costi
delle opere di urbanizzazione), altrettanto da ricondurre alla giurisdizione
esclusiva amministrativa, sempre in virtù della citata disposizione
codicistica, sarebbero inoltre le controversie aventi a oggetto gli atti
esattivi emessi dal concessionario della riscossione ai fini del versamento
delle somme dovute per gli oneri stessi, nelle quali non vengano dedotte
censure derivanti da atti generali autoritativi riguardanti la
determinazione degli oneri presupposti di quello impugnato.
Nel vagliare il merito del ricorso, i magistrati partenopei affermano
l'orientamento secondo cui la pretesa azionabile dall'ente municipale per
esigere il pagamento degli oneri concessori è assoggettata all'ordinario
termine prescrizionale decennale ex articolo 2946 del codice civile.
Più segnatamente, essendo il fatto costitutivo dell'obbligo giuridico della
contribuzione concessoria (nelle sue due articolazioni) il rilascio del
permesso di costruire, allora è dalla data di tale rilascio (giorno,
appunto, da cui il diritto di credito pubblico può esser fatto valere) che
inizia il decorso del periodo di tempo ai fini della prescrizione decennale.
Spirato il previsto termine di dieci anni, nell'inerzia amministrativa di
atti di recupero, il diritto di credito nei confronti del soggetto onerato
deve ritenersi estinto per avvenuta prescrizione, escludendosi in capo alla
Pa il potere di differirne l'esercizio.
Secondo i giudici amministrativi napoletani, infine, non vale, ai fini
interruttivi del termine prescrizionale, il rilascio del certificato di
agibilità (successivo al permesso edificatorio), cui sia demandato –come nel
caso di specie– di accertare, a perfezionamento finale della pratica
edilizia, anche l'eventualità del mancato versamento di somme a titolo di
oneri concessori
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 13.12.2021). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
controversie attinenti la determinazione e la liquidazione degli oneri
concessori –nelle componenti sia del costo di costruzione sia degli oneri di
urbanizzazione- sono riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio
costituenti prerogativa della Pubblica amministrazione e, per questo,
riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi
dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a..
Peraltro, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
-ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.- anche le controversie
aventi ad oggetto la cartella di pagamento emessa dal concessionario della
riscossione relative alle somme dovute per oneri concessori, nelle quali non
vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi relativi
alla determinazione degli atti presupposti quello impugnato. Questo perché i
predetti oneri non hanno natura tributaria, bensì costituiscono un
corrispettivo di diritto pubblico a titolo di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione.
Deve infine osservarsi che le controversie in materia di determinazione e
pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di
un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza
che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del
processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione
ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti.
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Fondato, con rilievo assorbente, è la censura con la quale parte ricorrente
ha eccepito la prescrizione, ai sensi dell’art. 2946 cod. civ., della
pretesa azionata dall’amministrazione comunale.
Per giurisprudenza pacifica, il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico
avente ad oggetto il contributo di costruzione -articolato sulle due voci
inerenti, da un lato, agli oneri di urbanizzazione e, dall’altro,
al costo di costruzione- dal quale decorre il dies a quo per il decorso del
periodo di tempo ai fini della prescrizione decennale, è il rilascio della
concessione.
Anche secondo risalente giurisprudenza, il "dies a quo" per la prescrizione
dell'obbligo giuridico relativo al pagamento degli oneri concessori,
riguardo sia al costo di costruzione sia agli oneri di urbanizzazione,
decorre dal giorno del rilascio del titolo edilizio.
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Ai sensi dell’art. 2934 cod.
civ., un diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo
esercita per il tempo determinato dalla legge e, ai sensi dell’art. 2935
cod. civ., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto
può essere fatto valere.
Se, dunque, è dal giorno del rilascio della concessione che
l'amministrazione comunale può fare valere il suo diritto di credito, anche
fissando modalità e garanzie particolari, è dalla medesima data che decorre
la prescrizione del suo diritto.
Ne consegue che l'Amministrazione non ha alcun potere di differire
l'esercizio del suo diritto di credito sicché l'inerzia nell'emanazione
degli atti d’imposizione, di liquidazione ovvero di recupero del contributo
dovuto si configura quale mancato esercizio del diritto da parte del
creditore, idoneo a fare decorrere il periodo di prescrizione.
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1.- Il Comune di Trentola–Ducenta, con la Determinazione del Responsabile
dell’Area Tecnica Urbanistica n. 16 del 22.12.2016, ha richiesto alla
società ricorrente CI.Me. s.r.l., società attualmente sottoposta alle misure
previste dalla legge 203 del 1991, il pagamento delle somme asseritamente
dovute e non versate per un totale di € 55.973,32.
Dette somme sono relative al computo degli oneri concessori per alcuni
immobili di proprietà, insistenti nel Centro Commerciale J., originati a
seguito del rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 32 del
22.06.2006 e della successiva DIA prot. n. 8088 del 09.10.2006.
...
2.- In via preliminare, il Collegio, nel confermare l’orientamento di questa
Sezione dal quale non ha motivo di discostarsi, osserva che le controversie
attinenti la determinazione e la liquidazione degli oneri concessori –nelle
componenti sia del costo di costruzione sia degli oneri di urbanizzazione-
sono riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio costituenti
prerogativa della Pubblica amministrazione e, per questo, riservate alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133,
comma 1, lett. f), c.p.a. (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 09.10.2018, n.
5835, TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 24.10.2018, n. 1790, Consiglio di
Stato, Adunanza Plenaria 30.08.2018, n. 12).
Peraltro, secondo altrettanto costante e condivisa giurisprudenza, rientrano
nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo -ai sensi dell'art.
133, comma 1, lett. f), c.p.a.- anche le controversie aventi ad oggetto la
cartella di pagamento emessa dal concessionario della riscossione relative
alle somme dovute per oneri concessori, nelle quali non vengano dedotte
censure derivanti da atti generali autoritativi relativi alla determinazione
degli atti presupposti quello impugnato (così Cons. di Stato sez. IV,
21.08.2013, n. 4208; nonché Cass. SS.UU. 20.10.2006, n. 22514; TAR Sicilia,
Catania, 11.10.2016, n. 2531; TAR Sicilia, Palermo, 12.07.2016, n. 1730; TAR
Toscana, 11.02.2011, n. 265). Questo perché i predetti oneri non hanno
natura tributaria, bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico
a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione (cfr.,
Cons. Stato Sez. IV, n. 4208/2013 cit. nonché TAR Campania, Napoli,
18.11.2008, n. 19792).
Deve infine osservarsi che le controversie in materia di determinazione e
pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di
un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza
che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del
processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione
ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, n. 4208/2013; TAR Sicilia, Catania, 27.01.2017, n.
189; TAR Sicilia, Palermo, 10.11.2016, n. 2581; TAR Puglia, Bari,
03.12.2015, n. 1596; TAR Puglia, Lecce, 30.10.2015, n. 3114; TAR Sicilia,
Catania, 09.07.2015, n. 1881).
3.- Assodata la giurisdizione del giudice amministrativo, nel merito il
ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto.
3.1.- Fondato, con rilievo assorbente, è la censura con la quale parte
ricorrente ha eccepito la prescrizione, ai sensi dell’art. 2946 cod. civ.,
della pretesa azionata dall’amministrazione comunale.
Per giurisprudenza pacifica, il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico
avente ad oggetto il contributo di costruzione -articolato sulle due voci
inerenti, da un lato, agli oneri di urbanizzazione e, dall’altro,
al costo di costruzione (cfr., Ad. Plen. Cons. Stato, 12 del 2018)- dal
quale decorre il dies a quo per il decorso del periodo di tempo ai
fini della prescrizione decennale, è il rilascio della concessione (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 26.02.2013, n. 1188; 03.10.2012, n. 5201; 19.01.2009,
n. 216).
3.2.- Nella fattispecie in esame, il permesso di costruire n. 32/2006 è
stato rilasciato il 22.06.2006 e la DIA prot. n. 8088 è del 09.10.2006, ne
consegue che il termine di prescrizione decennale si è compiuto in relazione
al permesso di costruire il 22.06.2016 e in relazione alla DIA il
10.10.2016.
I comune di Trentola-Ducenta ha adottato e notificato l’impugnata
determinazione n. 16/2016 il 22.12.2016, pertanto dopo oltre dieci anni
dalla data di rilascio dei titoli edilizi.
Pur volendo considerare il provvedimento impugnato quale atto interruttivo
della prescrizione, è giocoforza dedurre che, alla data del 22.12.2016, il
diritto di credito dell’amministrazione nei confronti della ricorrente
debitrice si era ampiamente estinto per avvenuta prescrizione decennale,
espressamente eccepita dal debitore.
Anche secondo risalente giurisprudenza, il "dies a quo" per la
prescrizione dell'obbligo giuridico relativo al pagamento degli oneri
concessori, riguardo sia al costo di costruzione sia agli oneri di
urbanizzazione, decorre dal giorno del rilascio del titolo edilizio (cfr.
TAR Campania, Salerno, Sez. II, 29.11.2007 n. 2864; Cons. Stato, Sez. V,
25.10.1993 n. 1071 e 06.12.1999 n. 2058).
3.3.- Di quanto sopra, ne è consapevole la stessa amministrazione comunale,
la quale, nella motivazione della determinazione impugnata, chiarisce per
l’appunto che: “al fine di scongiurare la decorrenza dei termini
prescrittivi, sono stati presi in considerazione anche i certificati di
agibilità rilasciati, in considerazione della circostanza che, con il
rilascio del certificato di agibilità, l’Ufficio Tecnico ha modo di
accertare, a perfezionamento finale della pratica, anche eventuali somme non
versate a titolo di oneri concessori”.
L’indicazione appare un tentativo per rimediare all’avvenuto verificarsi
della prescrizione. Ed invero, come ammette la stessa amministrazione, il
rilascio del certificato di agibilità è stato preso in considerazione, non
per determinare l’ammontare delle somme da versare a titolo di oneri
concessori, quanto per verificare se questi siano stati effettivamente ed
integralmente versati.
Ai sensi dell’art. 2934 cod. civ., un diritto si estingue per prescrizione
quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge e,
ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., la prescrizione comincia a decorrere dal
giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Se, dunque, è dal giorno del rilascio della concessione che
l'amministrazione comunale può fare valere il suo diritto di credito, anche
fissando modalità e garanzie particolari, è dalla medesima data che decorre
la prescrizione del suo diritto.
Ne consegue che l'Amministrazione non ha alcun potere di differire
l'esercizio del suo diritto di credito sicché l'inerzia nell'emanazione
degli atti d’imposizione, di liquidazione ovvero di recupero del contributo
dovuto si configura quale mancato esercizio del diritto da parte del
creditore, idoneo a fare decorrere il periodo di prescrizione
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 09.12.2021 n. 7921 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Mancata
realizzazione delle opere e restituzione degli oneri di urbanizzazione.
Gli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte correlata
agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, hanno la
chiara funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in
riferimento alla realizzazione delle relative opere, sicché l’unico criterio
per determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura consiste nel
valutare il carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la
precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la
necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto
l’esigenza di utilizzare più intensamente quelli esistenti.
In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di costruzione
commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla
tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e
assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero
delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione
del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d.
compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà
immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota
del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione
«assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il
nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la
precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la
necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto
l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti».
---------------
Per costante giurisprudenza, nel caso in cui il privato rinunci o non
utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la
decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione,
anche ai sensi dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c.,
l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per
oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il
diritto del privato a pretenderne la restituzione.
Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all’attività di
trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si
verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria
obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito.
La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto alla
restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione
delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato
utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di
urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono
correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione,
per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il
sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del
contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata
con riferimento alla porzione non realizzata.
Unica eccezione ai principi sopra richiamati, l’ipotesi in cui la
partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di
un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta con un accordo
nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla
pianificazione territoriale.
---------------
11. La natura onerosa del titolo edilizio condiziona in senso restrittivo la
lettura delle disposizioni che in qualche modo derogano alla monetizzazione
degli importi. Già da prima del riordino disposto con il d.P.R. n. 380 del
2001 il rilascio dello stesso era subordinato al versamento del contributo
di urbanizzazione e di quello di costruzione.
Gli artt. 16 e 19 del
richiamato d.P.R., rispettivamente per l’edilizia residenziale e per quella
a destinazione industriale, artigianale, turistica, commerciale, direzionale
e di servizi, hanno chiaramente ribadito, sistematizzando la materia, che il
rilascio del permesso di costruire è subordinato alla corresponsione di un
contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al
costo di costruzione.
10.1. Gli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte correlata
agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, hanno la chiara funzione
di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in riferimento
alla realizzazione delle relative opere, sicché l’unico criterio per
determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura consiste nel
valutare il carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la
precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la
necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto
l’esigenza di utilizzare più intensamente quelli esistenti (cfr. sul punto
Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2018, n. 2694).
In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di costruzione
commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla
tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e
assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero
delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione
del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d.
compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà
immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota
del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione
«assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il
nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la
precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la
necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto
l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti» (cfr. Cons.
Stato, Sez. VI, 07.05.2015, n. 2294).
Il che è quanto accaduto nel caso di specie, in relazione a quanto ritenuto
necessario in funzione dell’intervento nella sua massima progettualità
espansiva, neppure interamente realizzata.
11. Va altresì ricordato come per costante giurisprudenza, nel caso in cui
il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando
sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla
Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c.,
l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per
oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il
diritto del privato a pretenderne la restituzione.
Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all’attività di
trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si
verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria
obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito.
La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto alla
restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione
delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato
utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di
urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono
correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione,
per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il
sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del
contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata
con riferimento alla porzione non realizzata (ex multis Consiglio di Stato,
sez. IV, 07.03.2018, n. 1475).
11.1. Unica eccezione ai principi sopra richiamati, l’ipotesi in cui la
partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di
un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta con un accordo
nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla
pianificazione territoriale (Cons. Stato, sez. IV, 12.11.2018, n. 6339)
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 15.06.2021 n. 4633 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Come
noto, “il contributo di
costruzione, essendo strettamente connesso al concreto esercizio della
facoltà di costruire, non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo
del titolo edificatorio.
Conseguentemente, allorché il privato rinunci al
permesso di costruire o non lo utilizzi, ovvero in ipotesi di intervenuta
decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ai sensi
dell’articolo 2033 c.c. o, comunque, dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di
restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione, e conseguentemente il diritto del
privato a pretenderne la restituzione […]
La giurisprudenza ha poi avuto
modo di chiarire che il diritto alla restituzione del contributo di
costruzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione
delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato
utilizzato solo parzialmente”.
---------------
Legittimato ad esigere la restituzione dell’indebito deve essere ritenuto il
soggetto che ha effettuato il pagamento privo di causa, mentre gli eventuali
rapporti interni fra obbligato principale e terzi rimangono privi di rilievo
nei confronti di chi deve restituire l’indebito ricevuto, dato che
legittimato attivo alla restituzione è sempre e solo il titolare del
patrimonio che deve essere reintegrato con la restituzione: nell'azione di
ripetizione d'indebito oggettivo la legittimazione attiva e passiva spettano
infatti solo al solvens e all'accipiens.
L’azione di ripetizione dell’indebito trae, infatti, origine dal pagamento
di un debito non dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha
effettuato e chi lo ha ricevuto.
Legittimato ad esigere la restituzione è,
quindi, il soggetto che ha effettuato il pagamento rivelatosi privo di
causa: ciò in quanto in base all’art. 2033 c.c., la legittimazione alla
proposizione dell’azione di ripetizione dell’indebito spetta a colui che ha
effettuato il pagamento; conseguentemente, stante quanto disposto dall’art.
81 c.p.c., non può ammettersi che un terzo soggetto faccia valere in
giudizio, in nome proprio, un diritto di cui non è titolare.
---------------
Ciò premesso, il Collegio rileva che l’opposizione proposta dal
Comune di Vicenza è destituita di fondamento.
L’ente resistente, infatti, non contesta che le somme di cui parte opposta
chiede la restituzione siano state effettivamente da quest’ultima versate a
titolo di pagamento degli oneri di urbanizzazione dovuti per il rilascio dei
titoli edilizi in precedenza indicati: deduce, tuttavia, che il Fallimento
non avrebbe diritto alla restituzione di tali importi, essendo stato
stipulato un contratto preliminare per l’alienazione dei terreni interessati
dall’intervento edilizio alla società Do.Br., in virtù del quale quest’ultima sarebbe subentrata al Fallimento nella titolarità del diritto
di credito vantato nei confronti del Comune di Vicenza.
Prescindendo dalla circostanza per cui, alla data odierna, non consta che
detto contratto preliminare sia stato seguito dalla stipula di un contratto
definitivo, giova rammentare che sulla scorta di consolidata giurisprudenza
alla quale questo Collegio ha già in precedenza aderito, l’azione esercitata
dal Fallimento deve essere qualificata come azione di ripetizione
dell’indebito oggettivo, ex art. 2033 c.c.: come noto, “il contributo di
costruzione, essendo strettamente connesso al concreto esercizio della
facoltà di costruire, non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo
del titolo edificatorio. Conseguentemente, allorché il privato rinunci al
permesso di costruire o non lo utilizzi, ovvero in ipotesi di intervenuta
decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ai sensi
dell’articolo 2033 c.c. o, comunque, dell’articolo 2041 c.c., l’obbligo di
restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione, e conseguentemente il diritto del
privato a pretenderne la restituzione […] La giurisprudenza ha poi avuto
modo di chiarire che il diritto alla restituzione del contributo di
costruzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione
delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato
utilizzato solo parzialmente” (cfr. Tar Lombardia-Milano, 09.04.2020, nr.
858).
Ciò posto il Collegio osserva ancora che, come questo TAR ha già avuto modo
di osservare, legittimato ad esigere la restituzione dell’indebito deve
essere ritenuto il soggetto che ha effettuato il pagamento privo di causa,
mentre gli eventuali rapporti interni fra obbligato principale e terzi
rimangono privi di rilievo nei confronti di chi deve restituire l’indebito
ricevuto, dato che legittimato attivo alla restituzione è sempre e solo il
titolare del patrimonio che deve essere reintegrato con la restituzione:
nell'azione di ripetizione d'indebito oggettivo la legittimazione attiva e
passiva spettano infatti solo al solvens e all'accipiens (in tal senso, Tar
Veneto, II Sez., 19.11.2020, nr. 1169; TAR Veneto, II Sez.,
19.12.2017, nr. 173/2018, in cui si richiama: Cassazione civile, Sez. III, 01.12.2009, n. 25276; Cassazione civile, Sez. I,
09.05.2007, n. 10634;
Cassazione civile, Sez. III, 04.08.2000, n. 10227).
L’azione di ripetizione dell’indebito trae, infatti, origine dal pagamento
di un debito non dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha
effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la restituzione è,
quindi, il soggetto che ha effettuato il pagamento rivelatosi privo di
causa: ciò in quanto in base all’art. 2033 c.c., la legittimazione alla
proposizione dell’azione di ripetizione dell’indebito spetta a colui che ha
effettuato il pagamento; conseguentemente, stante quanto disposto dall’art.
81 c.p.c., non può ammettersi che un terzo soggetto faccia valere in
giudizio, in nome proprio, un diritto di cui non è titolare (cfr. Tar
Lombardia, Milano, Sez. II, nr. 12.05.2016 nr. 1605; Tar Toscana, Sez.
III, 12.03.2014, n. 493; Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 12.02.2014, n. 444; Tar Campania, Napoli, Sez. V,
05.04.2011, n. 1916)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 14.04.2021 n. 476 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
domanda di ripetizione degli oneri concessori corrisposti a fronte di un
titolo abilitativo edilizio
decaduto per inutilizzo attiene a una posizione di diritto soggettivo che
rientra nella giurisdizione amministrativa esclusiva, ai sensi dell’art.
133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm..
Gli oneri concessori pagati per ottenere il permesso di costruire
costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico posto dalla legge a
carico del costruttore, di carattere generale e non tributario, che nei casi
di rinuncia, inutilizzazione o decadenza del titolo edilizio deve essere
restituito dall’Amministrazione.
Sulle somme anzidette spettano gli interessi legali dalla data della domanda
ma non la rivalutazione monetaria, trattandosi di pagamento di indebito
oggettivo, il quale genera la sola obbligazione di restituzione con gli
interessi ex art. 2033 cod. civ..
---------------
- Considerato che con ricorso notificato l’11.01.2019 e
depositato il successivo giorno 23, Co.V s.r.l. ha chiesto: a)
l’accertamento del silenzio-inadempimento del Comune di Cori sulla domanda
di restituzione degli oneri concessori (i.e. contributo di urbanizzazione e
costo di costruzione) versati in relazione al permesso di costruire n. 12
del 10.05.2017 n. 12; b) l’accertamento del diritto alla restituzione
dei suddetti oneri concessori in conseguenza del mancato utilizzo del
menzionato titolo edilizio e la susseguente condanna dell’Amministrazione
alla retrocessione della somma di euro 35.275,50, oltre interessi e
rivalutazione monetaria;
- Considerato che questa sezione staccata con sentenza 25.03.2019 n. 201 ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto avverso il
silenzio dell’Amministrazione ed ha disposto la conversione del rito ex art.
32 cod. proc. amm., per la domanda di accertamento del diritto della
ricorrente alla restituzione degli oneri concessori;
- Considerato preliminarmente che la domanda di ripetizione degli
oneri concessori corrisposti a fronte di un titolo abilitativo edilizio
decaduto per inutilizzo attiene a una posizione di diritto soggettivo che
rientra nella giurisdizione amministrativa esclusiva, ai sensi dell’art.
133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm. (TAR Campania, Salerno, sez. II, 28.01. 2020 n. 150; TAR Lazio, Roma, sez. II,
06.11.2018 n. 10729; TAR
Calabria, Catanzaro, sez. II, 24.10.2018 n. 1790; TAR Campania, Napoli,
sez. II, 11.04.2017 n. 1980);
- Considerato che gli oneri concessori pagati per ottenere il
permesso di costruire costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico
posto dalla legge a carico del costruttore, di carattere generale e non
tributario, che nei casi di rinuncia, inutilizzazione o decadenza del titolo
edilizio deve essere restituito dall’Amministrazione (Cons. Sic., sez. giur.,
09.10.2017 n. 427; TAR Lazio, Latina, sez. I, 21.06.2018 n. 349);
- Considerato che parte ricorrente ha comprovato in atti di aver
corrisposto al Comune di Cori la somma complessiva di euro 35.275,51 e in
particolare: a) la prima rata di euro 8.818,88, versata mediante bonifico
del 13.04.2017; b) la seconda rata di euro 8.818,87, corrisposta a mezzo
bonifico il giorno 30.10.2017; c) la terza rata di euro 8.818,88
versata tramite bonifico del 03.04.2018; d) la quarta rata di euro
8.818,88, pagata con bonifico del 28.09.2018;
- Considerato che Co.V s.r.l. ha pure comprovato che il permesso
di costruire cui si riferiscono i suddetti versamenti è stato archiviato dal
Comune di Cori con nota prot. n. 11207 del 05.11.2018;
- Dato atto che il Comune di Cori, neppure costituitosi in
giudizio, non ha eccepito l’inesistenza del diritto azionato dalla
ricorrente, né ne ha contestato la misura;
- Ritenuto che, pertanto, la pretesa vantata da Co.V s.r.l. sia
fondata e che il ricorso vada accolto;
- Ritenuto che sulle somme anzidette spettino gli interessi legali
dalla data della domanda ma non la rivalutazione monetaria, come chiesto
dalla ricorrente, trattandosi di pagamento di indebito oggettivo, il quale
genera la sola obbligazione di restituzione con gli interessi ex art. 2033
cod. civ. (cfr. TAR Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 12.12.2013 n. 649)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 10.07.2020 n. 259 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Mancato
uso del permesso di costruire, comune tenuto a restituire gli oneri di
urbanizzazione.
Il privato che rinunci o non utilizzi più il permesso di
costruire ha diritto a richiedere all’Amministrazione le somme versate a
titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costi di costruzione,
dovuti per l’ottenimento del permesso.
È quanto afferma il TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, con la
sentenza 02.05.2019 n. 426.
Il caso
Il Tribunale amministrativo per la Lombardia, sede distaccata di Brescia,
Sezione II, ha deciso che, in caso di rinuncia o mancato utilizzo del
permesso di costruire, «l’Amministrazione deve essere condannata, ai
sensi dell’articolo 2033 cod. civ., alla restituzione delle somme
indebitamente percepite a titolo di oneri di urbanizzazione e per costo di
costruzione, oltre interessi sino all’effettivo soddisfo, da calcolarsi, non
essendo stata provata la sua malafede, a decorrere dal giorno della domanda
e, quindi, dal giorno di notificazione dell’atto introduttivo».
La parte ricorrente, a seguito di un permesso di costruire, aveva
corrisposto all’Amministrazione comunale il pagamento dovuto per oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria, nonché per i costi di costruzione.
Tuttavia, il privato, successivamente, non ha mai dato seguito al permesso
di costruire, rinunciando all’esecuzione delle opere e non comunicando mai,
per l’appunto, la data di inizio dei lavori. Pertanto, presentava quindi una
richiesta di rimborso degli oneri di costruzione già pagati e riscossi dal
Comune. A seguito di tale richiesta, dato che il Comune rimaneva inerte
nonostante l’intervento di una diffida, il privato, con ricorso, ha
investito il Tar Brescia della questione.
Il Giudice, dopo aver verificato la tempestività della domanda, in accordo
col termine prescrizionale ordinario decennale, nell’accogliere il ricorso,
ha ricordato un precedente analogo del Tar Lombardia, Milano, Sezione II,
sentenza 07.01.2016, n. 12, secondo cui «il contributo concessorio è
strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio.
Pertanto, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento
risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare. Ne consegue
che, qualora il privato, rinunci o non utilizzi il permesso di costruire,
sorge in capo all’Amministrazione ex articolo 2033 c.c. l’obbligo di
restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione nonché, conseguentemente, il diritto
del privato a pretenderne la restituzione».
Diritto alla restituzione delle somme versate
La sentenza in commento si allinea a principi già affermati in
giurisprudenza.
In particolare, appare utile richiamare una sentenza analoga del Tar
Catania, 18.01.2013, n. 159, secondo cui, «Allorché il privato rinunci o
non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la
decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pa, anche ex articolo 2033
o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a
titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e
conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il
diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire
sia stato utilizzato solo parzialmente».
Del medesimo avviso anche Consiglio di Stato, Sezione IV, 20.05.2011, n.
3027, secondo cui, «Il pagamento effettuato per ottenere la concessione
edilizia seppure dovuto nel momento del rilascio di quest’ultima essendone
la condizione», nel momento in cui il permesso di costruzione non è
stato utilizzato dal privato, che aveva già provveduto al pagamento degli
oneri, «s’è trasformato, dal lato del Comune, per quanto già considerato,
in riscossione senza titolo di una somma che quest’ultimo è tenuto a
restituire a mente dell’articolo 2033 con decorrenza degli interessi dalla
data della domanda non potendo ritenersi la sua mala fede al momento della
riscossione stessa»
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 30.05.2019).
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SENTENZA
A seguito del rilascio del Permesso di Costruire n. 22/2010, la
ricorrente provvedeva, secondo quanto sostenuto in ricorso, a corrispondere
all’amministrazione comunale la somma di Euro 55.779,75 per oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria e costo di costruzione.
La stessa società rinunciava, però, all’esecuzione delle opere assentite e
per tale ragione non comunicava mai l’inizio dei lavori e, il 10.09.2013,
presentava una richiesta di rimborso degli oneri corrisposti.
Nel silenzio del Comune, la ricorrente, da un lato diffidava il
Comune al pagamento e, dall’altro, chiedeva allo stesso un permesso
di costruire in sanatoria relativamente a opere di ristrutturazione
edilizia, con formazione di 4 unità immobiliari, all’interno della residenza
“Ma.” in Località Cambrembo.
Con il permesso di costruire in sanatoria n. 01/2014, il Comune chiedeva,
quindi, alla Ju. srl, il pagamento dell’oblazione per 31.553,06 euro e, nel
corso dell’anno 2016, le parti formalizzavano la compensazione dei
rispettivi rapporti di debito–credito a mezzo di scritture contabili.
Il 28.09.2016, parte ricorrente chiedeva al Comune il pagamento del credito
residuo, per un importo pari a Euro 24.226,69, giustificando la propria
pretesa alla luce del principio secondo cui il pagamento
del contributo di costruzione non costituisce acquiescenza alla sua
imposizione e pertanto l’azione di ripetizione per indebito totale o
parziale è pienamente legittima vista la natura tributaria del contributo
(TAR Lombardia–Milano, sez. II, del 14.04.2004, n. 1463).
La domanda, così formulata, da ritenersi tempestiva in quanto proposta entro
il termine prescrizionale ordinario decennale, appare suscettibile di
positivo apprezzamento.
Essa trova fondamento nel fatto che “il contributo
concessorio è strettamente connesso all’attività di trasformazione del
territorio. Pertanto, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo
pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare. Ne
consegue che, qualora il privato rinunci o non utilizzi il permesso di
costruire, sorge in capo all’Amministrazione ex art. 2033 c.c. l’obbligo di
restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione nonché, conseguentemente, il diritto
del privato a pretenderne la restituzione; con la precisazione che il
diritto alla restituzione sorge non solo nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire
sia stato utilizzato solo parzialmente”
(TAR Lombardia–Milano, sez. II, del 07.01.2016, n. 12; in senso conforme:
TAR Sicilia–Catania, sez. II, del 27.01.2017, n. 189).
L’Amministrazione deve, dunque, essere condannata, ai sensi dell’art. 2033
cod. civ., alla restituzione della somma indebitamente percepita a titolo di
oneri di urbanizzazione e per costo di costruzione, pari ad euro 24.226,69
(il cui ammontare non è contestato), oltre interessi sino
all’effettivo soddisfo, da calcolarsi, non essendo stata provata la sua
malafede, a decorrere dal giorno della domanda e, quindi, dal giorno di
notificazione dell’atto introduttivo del presente giudizio.
Trattandosi di debito di valuta
(cfr. Cassazione civile, sez. lav., 20.12.1996, n. 11440), e non essendo
stata dimostrata la sussistenza del maggior danno ai sensi dell’art. 1224,
secondo comma, cod. civ. (TAR Campania Napoli, sez. IV, 02.04.2015, n.
1907), non è, invece, dovuta la rivalutazione monetaria. |
anno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La mancata realizzazione delle opere previste nel
permesso di costruire determina l’inesistenza del
presupposto dell’obbligo di corrispondere gli oneri di
urbanizzazione e il contributo per costo di costruzione.
Invero, tale obbligo economico trova la propria causa
nell’attività di trasformazione del territorio eseguita in
forza del titolo edilizio rilasciato.
Pertanto nel caso di specie, essendo l’opera oggetto del
permesso di costruire non realizzabile, stante la pacifica
impossibilità dell’allaccio alla rete idrica, il Comune è
tenuto a restituire le somme incassate quale contributo per
oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.
L’azione della ricorrente costituisce quindi un’azione di
ripetizione dell’indebito oggettivo, legittimamente fondata
sull’assenza dei presupposti del pagamento effettuato.
L’Amministrazione è quindi tenuta a restituire quanto pagato
dalla società istante, in forza dell’art. 2033 cod. civ..
Sulla somma da restituire maturano gli interessi legali
previsti dalla suddetta norma, con decorrenza dalla domanda
di restituzione dell’importo corrisposto in relazione al
permesso di costruire (inutilizzato).
Non spetta invece la rivalutazione monetaria o il maggior
danno previsto dall’art. 1224, comma 2, cod. civ.,
trattandosi di pagamento di indebito oggettivo, il quale
genera la sola obbligazione di restituzione con gli
interessi ex art. 2033 c.c., stante la buona fede del
Comune.
Peraltro, la ricorrente non ha fornito alcun principio di
prova in ordine all’esistenza di un nocumento superiore
all’importo corrispondente agli interessi legali.
---------------
Il Collegio osserva che, come riconosciuto dalla stessa
difesa del Comune, la mancata realizzazione delle opere
previste nel permesso di costruire determina l’inesistenza
del presupposto dell’obbligo di corrispondere gli oneri di
urbanizzazione e il contributo per costo di costruzione.
Invero, tale obbligo economico trova la propria causa
nell’attività di trasformazione del territorio eseguita in
forza del titolo edilizio rilasciato.
Pertanto nel caso di specie, essendo l’opera oggetto del
permesso di costruire non realizzabile, stante la pacifica
impossibilità dell’allaccio alla rete idrica, il Comune era
tenuto a restituire le somme incassate quale contributo per
oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.
L’azione della ricorrente costituisce quindi un’azione di
ripetizione dell’indebito oggettivo, legittimamente fondata
sull’assenza dei presupposti del pagamento effettuato.
L’Amministrazione è quindi tenuta a restituire quanto pagato
dalla società istante, in forza dell’art. 2033 cod. civ..
Sulla somma da restituire maturano gli interessi legali
previsti dalla suddetta norma, con decorrenza dalla domanda
di restituzione dell’importo corrisposto in relazione al
permesso di costruire n. 6/2007, ovvero dal 21.10.2010 (si
vedano la pagina 5 del ricorso e la pagina 4 della memoria
difensiva depositata in giudizio dal Comune).
Non spetta invece la rivalutazione monetaria o il maggior
danno previsto dall’art. 1224, comma 2, cod. civ.,
trattandosi di pagamento di indebito oggettivo, il quale
genera la sola obbligazione di restituzione con gli
interessi ex art. 2033 c.c., stante la buona fede del Comune
(TAR Lombardia, Milano, II, 18.09.2013, n. 2172). Peraltro,
la ricorrente non ha fornito alcun principio di prova in
ordine all’esistenza di un nocumento superiore all’importo
corrispondente agli interessi legali.
In conclusione, il ricorso va accolto quanto alla domanda di
ripetizione dell’indebito e di pagamento degli interessi
legali (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 12.10.2018 n. 1312 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Come è noto, la rinuncia al permesso di costruire
per intervenuta decadenza del titolo edilizio (ad esempio
per la scadenza dei termini iniziali o finali, ovvero per il
sopravvenire di previsioni urbanistiche contrastanti con le
opere non ancora realizzate), oppure per fatti, giuridici o
materiali che rendano in tutto o in parte non più
realizzabile l'intervento edilizio assentito, comporta
l'obbligo dell'Amministrazione di restituire, a domanda, le
somme precedentemente corrisposte a titolo di contributo di
costruzione, in quanto questo è strettamente connesso alla
trasformazione del territorio, con la conseguenza che, ove
tale trasformazione non si verifichi, il relativo pagamento
diviene privo di causa.
---------------
Come è noto, l’ambulatorietà e quindi la titolarità del
titolo edilizio incidono solo sul lato passivo
dell’obbligazione, nel senso che nel caso di trasferimento
del bene esse gravano sull'acquirente così come sullo stesso
gravano eventuali maggiori somme dovute, perché con la
voltura del titolo l’obbligo si è trasferito in capo al
cessionario (a condizione che la parte cedente non abbia
ancora iniziato l’edificazione).
Diverso è invece il caso in esame in cui rileva una
problematica di carattere civilistico di indebito oggettivo,
che trae origine dal pagamento di una somma non dovuta e che
inerisce esclusivamente al rapporto tra soggetto che ha
effettuato il versamento e chi lo ha ricevuto (come noto
l’art. 2033 c.c. dispone che “chi ha eseguito un pagamento
non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”), e che
implica che legittimato ad esigere la restituzione sia il
soggetto che ha effettuato il pagamento privo di causa,
mentre gli eventuali rapporti interni fra obbligato
principale e terzi rimangono privi di rilievo nei confronti
di chi deve restituire l’indebito ricevuto, dato che
legittimato attivo alla restituzione è sempre e solo il
titolare del patrimonio che deve essere reintegrato con la
restituzione: nell'azione di ripetizione d'indebito
oggettivo la legittimazione attiva e passiva spettano
infatti solo al solvens e all'accipiens.
Deve pertanto convenirsi con quanto ha affermato la
giurisprudenza che si è occupata di una vicenda del tutto
similare (cfr. Tar Toscana, Sez. III, 12.03.2014, n. 493: in
quel caso si trattava della restituzione di somme versate in
eccedenza, nel caso in esame si tratta della restituzione
dell’intera somma; in entrambi i casi si tratta di una
fattispecie di indebito oggettivo): “la titolarità del
permesso edilizio incide solo sul profilo passivo della
obbligazione relativa al pagamento del contributo ma nulla,
invece, ha a che vedere con l’azione di ripetizione
dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non
dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha
effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la
restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a
nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa”.
---------------
Nel merito il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Come è noto la rinuncia al permesso di costruire per
intervenuta decadenza del titolo edilizio (ad esempio per la
scadenza dei termini iniziali o finali, ovvero per il
sopravvenire di previsioni urbanistiche contrastanti con le
opere non ancora realizzate), oppure per fatti, giuridici o
materiali che rendano in tutto o in parte non più
realizzabile l'intervento edilizio assentito, comporta
l'obbligo dell'Amministrazione di restituire, a domanda, le
somme precedentemente corrisposte a titolo di contributo di
costruzione, in quanto questo è strettamente connesso alla
trasformazione del territorio, con la conseguenza che, ove
tale trasformazione non si verifichi, il relativo pagamento
diviene privo di causa (ex pluribus cfr. Tar Lazio,
Roma, Sez. II-bis, 12.03.2008, n. 2294).
La parte ricorrente svolge molteplici richiami
giurisprudenziali espressione di consolidati e condivisibili
principi secondo i quali gli oneri di urbanizzazione e il
costo di costruzione hanno natura di obbligazioni c.d. reali
o propter rem caratterizzate dalla stretta inerenza
alla res e destinate a circolare unitamente ad essa
per il carattere dell'ambulatorietà che le contraddistingue,
sicché nel caso di trasferimento del bene esse gravano
sull'acquirente.
Tali principi sono tuttavia inconferenti nel caso in esame,
perché, come è noto, l’ambulatorietà e quindi la titolarità
del titolo edilizio incidono solo sul lato passivo
dell’obbligazione, nel senso che nel caso di trasferimento
del bene esse gravano sull'acquirente così come sullo stesso
gravano eventuali maggiori somme dovute, perché con la
voltura del titolo l’obbligo si è trasferito in capo al
cessionario (a condizione che la parte cedente non abbia
ancora iniziato l’edificazione: ex pluribus cfr. Tar
Abruzzo, Pescara, 03.06.2014, n. 249; Tar Umbria,
17.09.2012, n. 363; Tar Toscana, Sez. III, 12.06.2012, n.
1126).
Diverso è invece il caso in esame in cui rileva una
problematica di carattere civilistico di indebito oggettivo,
che trae origine dal pagamento di una somma non dovuta e che
inerisce esclusivamente al rapporto tra soggetto che ha
effettuato il versamento e chi lo ha ricevuto (come noto
l’art. 2033 c.c. dispone che “chi ha eseguito un
pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha
pagato”), e che implica che legittimato ad esigere la
restituzione sia il soggetto che ha effettuato il pagamento
privo di causa, mentre gli eventuali rapporti interni fra
obbligato principale e terzi rimangono privi di rilievo nei
confronti di chi deve restituire l’indebito ricevuto, dato
che legittimato attivo alla restituzione è sempre e solo il
titolare del patrimonio che deve essere reintegrato con la
restituzione: nell'azione di ripetizione d'indebito
oggettivo la legittimazione attiva e passiva spettano
infatti solo al solvens e all'accipiens (ex
pluribus cfr. Cassazione civile, Sez. III, 01.12.2009,
n. 25276; Cassazione civile, Sez. I, 09.05.2007, n. 10634;
Cassazione civile, Sez. III, 04.08.2000, n. 10227).
Deve pertanto convenirsi con quanto ha affermato la
giurisprudenza che si è occupata di una vicenda del tutto
similare (cfr. Tar Toscana, Sez. III, 12.03.2014, n. 493: in
quel caso si trattava della restituzione di somme versate in
eccedenza, nel caso in esame si tratta della restituzione
dell’intera somma; in entrambi i casi si tratta di una
fattispecie di indebito oggettivo): “la titolarità del
permesso edilizio incide solo sul profilo passivo della
obbligazione relativa al pagamento del contributo ma nulla,
invece, ha a che vedere con l’azione di ripetizione
dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non
dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha
effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la
restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a
nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa”
(sostanzialmente negli stessi termini con riguardo ad altre
fattispecie di indebito oggettivo cfr. anche Tar Lombardia,
Milano, Sez. II, 12.02.2014, n. 444; Tar Campania, Napoli,
Sez. V, 05.04.2011, n. 1916).
Ne consegue che il ricorso deve essere respinto (TAR Veneto,
Sez. II,
sentenza 15.02.2018 n. 173 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pagamento degli oneri di urbanizzazione.
---------------
●
Edilizia – Oneri di urbanizzazione – Pagamento – Giorno di
scadenza che cade di sabato – Proroga al lunedì successivo –
Esclusione.
●
Edilizia – Oneri di urbanizzazione – Pagamento tardivo –
Riscossione delle sanzioni - Procedimento di imposizione
coattiva – Obbligo – Esclusione.
●
Edilizia – Oneri di urbanizzazione – Pagamento –
Interruzione della prescrizione – Presupposti –
Individuazione.
●
Edilizia – Oneri di costruzione – Pagamento rateale –
Sanzioni – Omessa escussione garanzia fidejussoria –
Irrilevanza ex se.
●
La disciplina che considera il sabato come festivo al fine
della proroga dei termini di scadenza non può essere
applicata anche ai termini per il pagamento delle somme
dovute per gli oneri di urbanizzazione (1).
●
Per la riscossione delle sanzioni relative al ritardato
pagamento degli oneri di urbanizzazione previsti dall’art.
42, d.P.R. 06.06.2001, n. 380 il Comune non è obbligato a
valersi del procedimento di imposizione coattiva stabilito
dal successivo art. 43, ma può avvalersi delle normali
azioni previste per l’esecuzione delle obbligazioni, tra cui
la procedura di ingiunzione di cui all'art. 118 c.p.a..
●
Affinché un atto abbia efficacia interruttiva della
prescrizione delle somme dovute a titolo di oneri di
urbanizzazione, è necessario che esso contenga
l'esplicitazione di una precisa pretesa e l'intimazione o la
richiesta di adempimento, idonea a manifestare
l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far
valere il proprio diritto nei confronti del soggetto
obbligato con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora,
senza che sia necessario l'uso di formule solenni o
l'osservanza di particolari adempimenti.
●
Un'amministrazione comunale ha il pieno potere di
applicare, nei confronti dell'intestatario di un titolo
edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per
il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri
relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di
pagamento dilazionato di detto contributo, abbia omesso di
escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa
scadenza dei singoli ratei di pagamento ovvero abbia
comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria del
pagamento presso il debitore principale (2).
---------------
(1)
Il Tar ha chiarito il sabato non è giorno festivo e la norma
dell’art. 155 c.p.c., che ad esso lo equipara a certi
effetti, ha come suo ambito di applicazione gli atti
processuali, così come all’ambito degli atti processuali è
rivolta l’analoga norma dell’art. 52, comma 5, c.p.a. che
anch’essa applica la proroga ai termini che scadono nella
giornata di sabato.
Il Tar ha affermato di non ignorare che la giurisprudenza ha
applicato la medesima norma anche ai termini del
procedimento amministrativo considerando prorogato al giorno
successivo (anzi al lunedì) il termine per il compimento di
un atto procedimentale in scadenza di sabato (Cons.
St., sez. VI, 07.09.2012, n. 4752).
Tuttavia l’equiparazione del sabato a giorno festivo non ha
carattere generale ma è limitata ai suddetti ambiti, come
peraltro si deduce anche da quelle pronunce secondo cui
l'equiparazione del sabato ai giorni festivi opera al solo
fine del compimento degli atti processuali svolti fuori
dell'udienza che scadono di sabato, onde consentire agli
avvocati di procedere il successivo lunedì ai relativi
adempimenti; a tutti gli altri effetti il sabato è
considerato giorno lavorativo, anche per quanto attiene alle
attività di ufficiali giudiziari e di addetti agli uffici
ricorsi, come dispone espressamente l'art. 155 c.p.c.,
applicabile al processo amministrativo ex art. 52, comma 5,
c.p.a..
Tanto è vero che questa regola vale solo per i termini che
si calcolano in avanti, e non anche per i termini che si
calcolano a ritroso; infatti l'art. 52, comma 5, c.p.a.
estende al sabato solo la "proroga di cui al comma 3",
ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e
dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co.
4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato,
esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a
ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al
venerdì (Cons.
St., sez V, 31.05.2011, n. 3252).
Data la premessa, la conseguenza è che l’equiparazione del
sabato a giorno festivo, ai fini della proroga al giorno
lavorativo successivo, non può applicarsi ai termini di
scadenza dei pagamenti dovuti per le rate inerenti ai costi
di costruzione e agli oneri di urbanizzazione, disciplinati
dalle regole di scadenza delle obbligazioni civili,
ovverosia dagli artt. 1187 e 2963 c.c. che, nel loro
combinato disposto, prevedono la proroga per i soli termini
in scadenza di giorno festivo, senza considerare il sabato a
tale stregua.
(2) Ha affermato il Tar –richiamando
Cons. St., A.P., 07.12.2016, n. 24– che non può
affermarsi l'esistenza di un onere collaborativo gravante
sull’Amministrazione creditrice, desumibile dai principi
generali in tema di correttezza e buona fede nei rapporti
obbligatori di tipo civilistico o dal principio di leale
collaborazione proprio dei rapporti intersoggettivi di
diritto pubblico, consistente in un obbligo di pronta
escussione della garanzia fideiussoria costituita a suo
favore o di sollecitazione del pagamento presso il debitore
principale.
Conseguentemente, nulla osta all'applicazione, nei confronti
dell'intestatario del titolo edilizio, delle sanzioni
pecuniarie previste dalla legge per il caso di ritardato od
omesso pagamento di oneri di costruzione e urbanizzazione (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 01.02.2018 n. 710 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
MASSIMA
2) Infondato si presenta il primo motivo di
ricorso, inerente alle somme dovute a titolo di ritardo nel
pagamento e, nello specifico, ai pagamenti della II rata di
costruzione in scadenza il 02.7.2011, della I rata degli
oneri di urbanizzazione in scadenza il 02.01.2010, e della
IV rata degli oneri di urbanizzazione in scadenza il
02.07.2011, risultati essere stati effettuati in ritardo di
due giorni.
Parte ricorrente ha dedotto in proposito l’assenza del
ritardo, in quanto la scadenza di pagamento coincideva con
il sabato e, in quanto tale, sarebbe dovuta intendersi come
prorogata al lunedì (giorno di effettuazione del pagamento).
Al riguardo parte ricorrente ha sostanzialmente dedotto che
l'art. 2963 c.c. prescrive “Se il termine scade in giorno
festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non
festivo”; l'art. 1187 c.c. stabilisce che “il termine
fissato per l'adempimento delle obbligazioni è computato
secondo le disposizioni dell'articolo 2963” e che “La
disposizione relativa alla proroga del termine che scade in
giorno festivo si osserva se non vi sono usi diversi”;
infine l'art. 155 c.p.c. include il sabato tra i giorni
festivi.
La disciplina che considera il sabato come festivo al fine
della proroga dei termini di scadenza andrebbe applicato,
secondo parte ricorrente, anche ai termini per il pagamento
delle somme dovute per gli oneri di urbanizzazione.
Il Collegio rileva come sia indubbiamente corretto che, in
caso di scadenza di un termine in giorno festivo, la sua
proroga al successivo giorno non festivo rappresenti un
principio di carattere generale, disciplinato dalla vigente
legislazione. Infatti, la previsione, d'ordine generale,
della suesposta proroga è contenuta nel secondo e terzo
comma dell'art. 2963 c.c. che stabilisce, con riferimento
alle modalità di computo del termine di prescrizione, che: "non
si computa il giorno nel corso del quale cade il momento
iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo
spirare dell'ultimo istante del giorno finale. Se il termine
scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno
seguente non festivo".
Il principio della posticipazione ipso iure al primo
giorno seguente non festivo è, altresì, evidenziato
dall'art. 1187 c.c., in tema di obbligazioni, che sancisce,
al secondo comma, che "la disposizione relativa alla
proroga del termine che scade in giorno festivo si osserva
se non vi sono usi diversi" e dall'art. 155, commi terzo
e quarto, c.p.c. secondo cui "i giorni festivi si
computano nel termine. Se il giorno di scadenza è festivo,
la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente
non festivo" (Cons. Stato Sez. VI, 07.09.2012, n. 4752),
nonché dall’art. 52, comma 3, c.p.a. che prevede la proroga
del giorno di scadenza festivo "al primo giorno seguente
non festivo".
La questione da esaminare è tuttavia la pretesa
equiparazione del sabato a giorno festivo.
Il sabato, difatti, non è giorno festivo e la norma
dell’art. 155 c.p.c. che ad esso lo equipara a certi effetti
ha come suo ambito di applicazione gli atti processuali,
così come all’ambito degli atti processuali è rivolta
l’analoga norma dell’art. 52, comma 5, c.p.a. che anch’essa
applica la proroga ai termini che scadono nella giornata di
sabato. Il Collegio non ignora che la giurisprudenza ha
applicato la medesima norma anche ai termini del
procedimento amministrativo considerando prorogato al giorno
successivo (anzi al lunedì) il termine per il compimento di
un atto procedimentale in scadenza di sabato (Cons. Stato
Sez. VI, 07.09.2012, n. 4752; Cons. Stato Sez. V,
04.03.2008, n. 824).
Tuttavia l’equiparazione del sabato a giorno festivo non ha
carattere generale ma è limitata ai suddetti ambiti, come
peraltro si deduce anche da quelle pronunce secondo cui
l'equiparazione del sabato ai giorni festivi opera al solo
fine del compimento degli atti processuali svolti fuori
dell'udienza che scadono di sabato, onde consentire agli
avvocati di procedere il successivo lunedì ai relativi
adempimenti; a tutti gli altri effetti il sabato è
considerato giorno lavorativo, anche per quanto attiene alle
attività di ufficiali giudiziari e di addetti agli uffici
ricorsi, come dispone espressamente l'art. 155 c.p.c.,
applicabile al processo amministrativo ex art. 52, comma 5,
c.p.a.
Tanto è vero che questa regola vale solo per i termini che
si calcolano in avanti, e non anche per i termini che si
calcolano a ritroso; infatti l'art. 52, co. 5, c.p.a.
estende al sabato solo la "proroga di cui al comma 3",
ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e
dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co.
4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato,
esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a
ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al
venerdì (Cons. Stato Sez. V, 31.05.2011, n. 3252).
Il Collegio ritiene, quindi, che l’equiparazione del sabato
a giorno festivo, ai fini della proroga al giorno lavorativo
successivo, non possa applicarsi ai termini di scadenza dei
pagamenti in esame dovuti per le rate inerenti ai costi di
costruzione e agli oneri di urbanizzazione, regolati in base
alle regole di scadenza delle obbligazioni civili, ovverosia
dagli artt. 1187 e 2963 c.c. che, nel loro combinato
disposto, prevedono la proroga per i soli termini in
scadenza di giorno festivo, senza considerare il sabato a
tale stregua.
...
5) Con il quarto motivo di ricorso la parte opponente
ha fatto presente la circostanza che era stata rilasciata
una garanzia per l’adempimento del debito in esame e che il
Comune non avrebbe potuto chiedere il pagamento delle
sanzioni non avendo proceduto alla previa escussione
dell’indicata garanzia fideiussoria.
Il motivo è infondato.
Il pagamento degli oneri concessori ha natura di prestazione
patrimoniale imposta, di carattere non tributario. Il
relativo sistema di pagamento è caratterizzato da uno
strumento a sanzioni crescenti sino al limite di importo
individuato dalla lett. c), dell' art. 42 D.P.R. n. 380 del
2001, con chiara funzione di deterrenza dell'inadempimento,
che trova applicazione, in base alla legge, al verificarsi
dell'inadempimento dell'obbligato principale. La sanzione
scatta automaticamente, quale effetto legale automatico
(Cons. Stato, sez. V, n. 5394 del 2011),
se l'importo dovuto
per il contributo di costruzione non è corrisposto alla
scadenza; mentre è sfornita di base normativa ogni opzione
interpretativa che correli il potere sanzionatorio del
Comune al previo esercizio dell'onere di sollecitazione del
pagamento presso il debitore principale, ovvero presso il
fideiussore. Solo eventuale, infatti, può essere la
parallela garanzia prestata per l'adempimento del debito
principale.
In tale sistema,
l'amministrazione comunale, allo scadere
del termine originario di pagamento della rata, ha solo la
facoltà di escutere immediatamente il fideiussore onde
ottenere il soddisfacimento del suo credito; ma ove ciò non
accada, l'amministrazione avrà comunque il dovere/potere di
sanzionare il ritardo nel pagamento con la maggiorazione del
contributo a percentuali crescenti all'aumentare del
ritardo. E, solo alla scadenza di tutti termini fissati al
debitore per l'adempimento (e quindi dopo aver applicato le
massime maggiorazioni di legge), l'amministrazione avrà il
potere di agire nelle forme della riscossione coattiva del
credito nei confronti del debitore principale (art. 43,
D.P.R. n. 380 del 2001).
L'amministrazione, se pure non è impedita dallo svolgere
attività sollecitatoria dei pagamenti in occasione delle
scadenze dei termini intermedi cui sono correlati gli
aumenti percentuali del contributo, è facultata ad attendere
il volontario pagamento da parte del debitore (e
eventualmente del suo fideiussore), salvo in ogni caso
restando il suo potere-dovere di applicare le sanzioni di
legge per il ritardato pagamento.
Il potere di sanzionare il pagamento tardivo, in definitiva,
è incondizionatamente previsto dall' art. 42 D.P.R. n. 380
del 2001 e la lettera della legge è chiara nell'assegnare
all'amministrazione il potere/dovere di applicare le
sanzioni al verificarsi di un unico presupposto fattuale, e
cioè il ritardo nel pagamento da parte dell'intestatario del
titolo edilizio, o di chi gli sia subentrato secundum
legem.
In definitiva, seguendo l’insegnamento dell’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato (Ad. Plen. 07.12.2016, n.
24)
un'amministrazione comunale ha il pieno potere di
applicare, nei confronti dell'intestatario di un titolo
edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per
il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri
relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di
pagamento dilazionato di detto contributo, abbia omesso di
escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa
scadenza dei singoli ratei di pagamento ovvero abbia
comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria del
pagamento presso il debitore principale.
Non può affermarsi l'esistenza di un onere collaborativo
gravante sulla Amministrazione creditrice, desumibile dai
principi generali in tema di correttezza e buona fede nei
rapporti obbligatori di tipo civilistico o dal principio di
leale collaborazione proprio dei rapporti intersoggettivi di
diritto pubblico, consistente in un obbligo di pronta
escussione della garanzia fideiussoria costituita a suo
favore o di sollecitazione del pagamento presso il debitore
principale. Conseguentemente, nulla osta all'applicazione,
nei confronti dell'intestatario del titolo edilizio, delle
sanzioni pecuniarie previste dalla legge per il caso di
ritardato od omesso pagamento di oneri di costruzione e
urbanizzazione. |
anno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Sugli obblighi del Comune a fronte del ritardo nel pagamento
dei contributi di urbanizzazione si era registrato, nella
giurisprudenza amministrativa, un marcato dissidio.
L’ordinanza cautelare aveva aderito alla tesi secondo cui il
Comune avrebbe l'obbligo —in nome del dovere di
cooperazione tra creditore e debitore previsto dall'art.
1175 cod. civ., e, comunque, del principio di imparzialità
ed efficacia che presiede all'azione amministrativa— di
escutere la garanzia prestata dal privato a tutela
dell'adempimento dell'obbligo contributivo: pena la
illegittimità delle sanzioni irrogate per il protrarsi
dell'inadempimento oltre il primo periodo di mora.
Si contrapponeva la posizione secondo cui la prestazione di
una fideiussione a garanzia del pagamento dei contributi di
costruzione avviene nell'interesse esclusivo del Comune
creditore e non anche dell'intestatario del permesso di
costruzione (su cui grava in via principale l'obbligo di
contribuzione); di conseguenza, di fronte al mancato
versamento dei contributi concessori nel termine stabilito,
l'Amministrazione non avrebbe l'obbligo di attivarsi
immediatamente contro il fideiussore allo scopo di
minimizzare le conseguenze negative a cui è esposto il
debitore principale in conseguenza dell'inadempimento.
L’Adunanza Plenaria, con sentenza 07.12.2016, n. 24 ha
risolto il contrasto, aderendo alla seconda posizione,
affermando che “un’amministrazione comunale ha il pieno
potere di applicare, nei confronti dell’intestatario di un
titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla
legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento
degli oneri relativi al contributo di costruzione anche ove,
in caso di pagamento dilazionato di detto contributo, abbia
omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito alla
infruttuosa scadenza dei singoli ratei di pagamento, ovvero
abbia comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria
del pagamento presso il debitore principale”.
Ha precisato che risulta sfornita di base normativa ogni
opzione interpretativa che correli il potere sanzionatorio
del Comune al previo esercizio dell’onere di sollecitazione
del pagamento presso il debitore principale ovvero presso il
fideiussore.
---------------
La prescrizione per la riscossione delle somme dovute a
titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione decorre dalla data di emanazione del
provvedimento concessorio ed è decennale.
Ai sensi dell'art. 28, l. 24.11.1981, n. 689, applicabile ex
art. 12 della stessa legge a tutte le sanzioni
amministrative di tipo afflittivo, il termine di
prescrizione della sanzione irrogata per ritardato pagamento
del contributo dovuto per gli oneri di urbanizzazione e per
il costo di costruzione è di cinque anni, e decorre
dal giorno in cui è stata commessa la violazione.
---------------
La disciplina degli abusi edilizi ha un carattere speciale e
non è omologabile al sistema sanzionatorio previsto, per la
generalità delle violazioni amministrative, dalla legge n.
689 del 1981.
E ciò sul rilievo che le sanzioni pecuniarie comminate per
abusi edilizi non sono sanzioni punitive (cioè correlate
esclusivamente alla responsabilità personale dell'autore
della violazione), ma costituiscono misure con finalità
ripristinatoria, di carattere meramente patrimoniale,
trasmissibili agli eredi.
---------------
1) Oggetto del presente ricorso è la richiesta di pagamento
dei costi di costruzione e degli oneri di urbanizzazione,
per un intervento di realizzazione di civile abitazione,
attivata attraverso lo strumento dell’ordinanza ingiunzione
ex art. 2 del r.d. n. 639 del 1910.
Con il presente ricorso viene chiesto l’annullamento delle
ordinanze, pur non prospettando vizi specifici rispetto ai
provvedimenti, né contestando il quantum, ma lamentando solo
la violazione dell’art. 1175 c.c. e dell’art. 42 DPR 380/2001,
perché in presenza delle polizze fidejussorie, il Comune
avrebbe dovuto rivolgersi tempestivamente all’assicurazione,
evitando in tal modo l’applicazione della sanzione di legge.
Viene poi eccepita la prescrizione di quanto richiesto.
2) Il primo motivo è infondato.
Sugli obblighi del Comune a fronte del ritardo nel pagamento
dei contributi di urbanizzazione si era registrato, nella
giurisprudenza amministrativa, un marcato dissidio.
L’ordinanza cautelare aveva aderito alla tesi secondo cui il
Comune avrebbe l'obbligo —in nome del dovere di
cooperazione tra creditore e debitore previsto dall'art.
1175 cod. civ., e, comunque, del principio di imparzialità
ed efficacia che presiede all'azione amministrativa— di
escutere la garanzia prestata dal privato a tutela
dell'adempimento dell'obbligo contributivo: pena la
illegittimità delle sanzioni irrogate per il protrarsi
dell'inadempimento oltre il primo periodo di mora (Sez. V, 09.12.2013, n. 5880, 2013, Sez. IV, 17.02.2014, n.
731).
Si contrapponeva la posizione secondo cui la prestazione di
una fideiussione a garanzia del pagamento dei contributi di
costruzione avviene nell'interesse esclusivo del Comune
creditore e non anche dell'intestatario del permesso di
costruzione (su cui grava in via principale l'obbligo di
contribuzione); di conseguenza, di fronte al mancato
versamento dei contributi concessori nel termine stabilito,
l'Amministrazione non avrebbe l'obbligo di attivarsi
immediatamente contro il fideiussore allo scopo di
minimizzare le conseguenze negative a cui è esposto il
debitore principale in conseguenza dell'inadempimento (Cons.
Stato, Sez. V, 20.11.2015 n. 5287, Sez. V 21.11.2014 n. 5734).
L’Adunanza Plenaria, con sentenza 07.12.2016, n. 24 ha
risolto il contrasto, aderendo alla seconda posizione,
affermando che “un’amministrazione comunale ha il pieno
potere di applicare, nei confronti dell’intestatario di un
titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla
legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento
degli oneri relativi al contributo di costruzione anche ove,
in caso di pagamento dilazionato di detto contributo, abbia
omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito alla
infruttuosa scadenza dei singoli ratei di pagamento, ovvero
abbia comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria
del pagamento presso il debitore principale”.
Ha precisato che risulta sfornita di base normativa ogni
opzione interpretativa che correli il potere sanzionatorio
del Comune al previo esercizio dell’onere di sollecitazione
del pagamento presso il debitore principale ovvero presso il
fideiussore.
Le ordinanze non risultano quindi censurabili, sotto i
profili sollevati, poiché nessun obbligo si configurava in
capo all’Amministrazione di escutere direttamente il
fideiussore.
Il primo motivo va quindi respinto.
3) L’eccezione di prescrizione è in parte fondata.
La prescrizione per la riscossione delle somme dovute a
titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione decorre dalla data di emanazione del
provvedimento concessorio (cfr.: Tar Sicilia Palermo II,
18.01.2012 n. 126) ed è decennale.
Ai sensi dell'art. 28, l. 24.11.1981, n. 689,
applicabile ex art. 12 della stessa legge a tutte le
sanzioni amministrative di tipo afflittivo, il termine di
prescrizione della sanzione irrogata per ritardato pagamento
del contributo dovuto per gli oneri di urbanizzazione e per
il costo di costruzione è di cinque anni, e decorre dal
giorno in cui è stata commessa la violazione.
Per le tre concessioni edilizie la situazione è pressoché
simile, poiché i titoli sono stati rilasciati nel 1996;
l’amministrazione ha chiesto il pagamento nel corso del 1999
e del 2000, ma poi, nonostante il mancato pagamento, il
successivo sollecito è solo del 16.06.2008.
Non sono prescritte le somme ancora dovute per il costo di
costruzione e gli oneri di urbanizzazione; risultano invece
prescritte le somme dovute a titolo di sanzione per
ritardato pagamento, essendo l’Amministrazione rimasta
inerte, dal 2000 al 2008, quindi per più di cinque anni.
La domanda di accertamento dell’intervenuta prescrizione va
quindi accolta limitatamente alle somme richieste a titolo
di sanzione.
4) Nell’atto di riassunzione gli eredi hanno introdotto una
eccezione, sull’assunto che le sanzioni pecuniarie non si
trasmettono agli eredi.
L’eccezione è infondata, in quanto la disciplina degli abusi
edilizi ha un carattere speciale e non è omologabile al
sistema sanzionatorio previsto, per la generalità delle
violazioni amministrative, dalla legge n. 689 del 1981; e
ciò sul rilievo che le sanzioni pecuniarie comminate per
abusi edilizi non sono sanzioni punitive (cioè correlate
esclusivamente alla responsabilità personale dell'autore
della violazione), ma costituiscono misure con finalità
ripristinatoria, di carattere meramente patrimoniale,
trasmissibili agli eredi (TAR Milano, sez. I,
05/12/2014, n. 2940)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.03.2017 n. 353 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La prescrizione degli oneri di urbanizzazione.
DOMANDA:
Nel 2002 una ditta ha presentato una pratica edilizia e
provveduto al versamento al Comune dei relativi oneri di
urbanizzazione nel marzo 2004. I lavori di cui alla pratica
non sono però mai stati eseguiti, l’ente non ha mai
rilasciato titolo abilitativo né il richiedente ha
presentato alcuna richiesta di rimborso degli oneri versati.
Nel dicembre 2004 la stessa ditta presentava una richiesta
di condono edilizio relativa allo stesso fabbricato. Il
Comune ha definendo la pratica di condono e richiede il
pagamento di quanto dovuto.
La ditta chiede la possibilità di compensare quanto deve
versare per il condono edilizio con la somma pagata a titolo
di oneri per la prima pratica edilizia con conseguente
recupero della differenza (il costo del condono è inferiore
a quanto versato a titolo di oneri di urbanizzazione).
Si chiede il vs. parere sulla possibilità da parte dell’Ente
di accettare tale compensazione anche alla luce della
prescrizione decennale.
RISPOSTA:
In via di principio le somme versate a titolo di oneri
concessori devono essere restituite all'interessato se alla
richiesta del titolo abilitativo non è poi effettivamente
seguita alcuna attività edilizia. Si tratta infatti di una
obbligazione strettamente connessa e fondata sul maggior
carico urbanistico che deriva dalla nuova costruzione la
quale, se non eseguita, fa quindi venir meno direttamente il
relativo presupposto applicativo.
Va tuttavia verificato se il credito non fosse già
prescritto al momento della richiesta di restituzione. Al
riguardo si osserva che, secondo i principi generali, il
termine dal quale inizia a decorrere il momento di
prescrizione decennale del diritto alla restituzione degli
oneri di urbanizzazione, derivante dal fatto che, a seguito
della intervenuta decadenza del titolo edilizio per mancato
inizio dei lavori nel termine di legge, l’intervento
edificatorio non è più stato realizzato, va individuato nel
momento in cui il diritto al rimborso può essere
effettivamente esercitato: coincidendo –detto termine– p.es.
nella data di scadenza del termine annuale di decadenza per
mancato inizio dei lavori relativi al titolo edilizio:
scaduto il termine per l’inizio dei lavori il privato ha
diritto di richiedere al Comune la restituzione delle somme
versate, non potendo dar corso all'intervento assentito
poiché i termini per potere iniziare i lavori sono scaduti,
senza incorrere nella decadenza.
In sostanza si ritiene in genere che il termine iniziale
della prescrizione decorra dalla data di rilascio del titolo
edilizio e cioè dal momento in cui il diritto al rimborso
poteva essere effettivamente esercitato. La giurisprudenza
amministrativa ha osservato che “per i diritti di
credito, la realizzazione dei quali esige un’attività del
creditore, la prescrizione decorre dal giorno in cui
l’attività poteva essere compiuta ed egli poteva, così,
mettersi in grado di esigere la prestazione dovuta … sia
perché l’inerzia del titolare del diritto assume rilevanza
dal momento in cui è possibile esercitare il diritto”
(v. Cons. Stato, Sez. V, 19.06.2003 n. 954; TAR Campania–SA-
Sez. II, 28.02.2008 n. 247).
D'altronde secondo lo stesso art. 2935 c.c., il termine di
prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il
diritto può essere fatto valere; pertanto, il diritto di
credito del titolare di una concessione edilizia non
utilizzata, di ottenere la restituzione dalla P.A. delle
somme corrisposte per oneri di urbanizzazione, decorre non
già dalla data del rilascio dell’atto di assenso
edificatorio, bensì dalla data in cui il titolare comunica
alla amministrazione la propria intenzione di rinunciare al
titolo abilitativo, o dalla data di adozione da parte della
P.A. del provvedimento che dichiara la decadenza del
permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali o
finali o per l’entrata in vigore delle previsioni
urbanistiche contrastanti (TAR Lombardia–Milano, sez. II,
24.03.2010, n. 728).
Ciò premesso e con riguardo alla fattispecie oggetto del
quesito, laddove si espone che la concessione non sia stata
mai rilasciata, si ritiene opportuno pertanto verificare, ai
fini di stabilire correttamente la data di decorrenza della
prescrizione, le ragioni per le quali in concreto il
procedimento edilizio, pur dopo il versamento degli oneri,
non sia proseguito fino al rilascio del provvedimento e se
eventualmente siano intercorse eventuali rinunce
dell’interessato, archiviazioni della pratica ecc. (in
difetto delle quali la decorrenza potrebbe anche ipotizzarsi
dal compimento del tempo previsto come necessario alla
definizione del procedimento.
L’amministrazione avrà inoltre cura di accertare se nella
fattispecie la eccezione di compensazione possa trovare
comunque luogo sulla base della regola di cui all'art. 1242,
2° comma, cod. civ. secondo cui “la prescrizione non
impedisce la compensazione se non era compiuta quando si è
verificata la coesistenza dei due debiti” (link
a
www.ancirisponde.ancitel.it). |
anno 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Venendo in considerazione una controversia
inerente alla contestazione di contributi di costruzione,
sussiste la giurisdizione di questo plesso di giustizia
amministrativa, ai sensi dell’art. 133, lett. f), del cod.
proc. amm..
In particolare, secondo quanto costantemente affermato dalla
giurisprudenza, le controversie attinenti alla
determinazione dell'an e del quantum dell'oblazione e del
contributo per oneri di urbanizzazione e per costo di
costruzione hanno ad oggetto diritti soggettivi delle parti
dell'obbligazione contributiva, e sono perciò devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi
dell'articolo 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.;
giurisdizione che “comprende la totalità degli aspetti
dell'uso del territorio, nessuno escluso (...): sicché deve
intendersi in essa inclusa la materia relativa alla
determinazione, liquidazione e riscossione degli oneri di
urbanizzazione".
La giurisdizione del giudice amministrativo in ordine ai
suddetti profili non viene meno a seguito dell’emissione
dell’ingiunzione di pagamento ai sensi dell’articolo 2 del
R.D. n. 639 del 1910.
E’ stato, infatti, da tempo chiarito che “per un principio
giurisprudenziale pacifico, in materia di opposizione
all’ingiunzione per la riscossione di entrate patrimoniali
dello Stato, la disposizione di cui all’art. 3 del R.D.
14.04.1910, n. 639 non reca deroga alle norme regolatrici
della giurisdizione nel vigente ordinamento giuridico e,
pertanto, non può essere invocata per ricondurre nella sfera
di competenza giurisdizionale del giudice ordinario vertenze
che, con riguardo alla natura dei rapporti dedotti ed alla
normativa ad essi relativa, debbano essere riservate alla
cognizione di altro giudice”.
A tal riguardo, va, altresì, osservato che la scelta del
mezzo attraverso il quale l’Amministrazione esercita la
propria pretesa creditoria è neutra rispetto alla materia
del contendere, sicché da essa non può certo dipendere il
riparto di giurisdizione.
---------------
Il Consiglio di Stato, pronunciatosi, anche di recente, sul
tema della decorrenza della prescrizione del diritto di
credito relativo al contributo per costo di costruzione ex
art. 11 l. n. 10/1977 (oggi art. 16 del d.p.r. 06.06.2001,
n. 380), ha affermato che il detto termine di prescrizione
comincia a decorrere dal momento stesso del rilascio della
concessione edilizia.
La disposizione dell’art. 11 della legge n. 10 del 1977, in
tema di “Versamento del contributo afferente alla
concessione”, stabilisce quanto segue: “La quota di
contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata
all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in
corso d’opera con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla
ultimazione delle opere”.
Da tale norma si desume, invero, che il fatto costitutivo
dell’obbligo giuridico del titolare della concessione
edilizia, di versare il contributo previsto, è rappresentato
dal rilascio della concessione medesima ed è a tale momento,
quindi, che occorre avere riguardo per la determinazione
dell’entità del contributo, divenendo il relativo credito
certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilevo, in senso contrario, può assumere la
circostanza che al Comune sia espressamente riconosciuta la
facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento
del contributo, atteso che l’atto di imposizione non ha
carattere autoritativo, ma si risolve in un mero atto
ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti
provvedimenti di carattere generale e la sua mancata
tempestiva adozione non implica alcun potere
dell’Amministrazione di differire il suo diritto di credito,
configurandosi, piuttosto, come mancato esercizio del
diritto stesso, idoneo a far decorrere il periodo di
prescrizione.
Detta decorrenza, secondo la giurisprudenza maggioritaria,
vale sia per la quota di contributo relativa agli oneri di
urbanizzazione che per quella relativa al costo di
costruzione.
---------------
...
per l'annullamento dell’ingiunzione adottata, ai sensi del
R.D. 14.04.1910 n. 639, a seguito dell’esecutività disposta
dal Consigliere Dirigente della Pretura di Cosenza in data
26.06.1998 e concernente il pagamento di contributi per la
costruzione di un fabbricato per civile abitazione pari
all’importo di £ 1.485.000.
...
1. Va premesso che, venendo in considerazione una controversia inerente
alla contestazione di contributi di costruzione, sussiste la
giurisdizione di questo plesso di giustizia amministrativa,
ai sensi dell’art. 133, lett. f), del cod. proc. amm. (cfr.
Cass. Civ. SS.UU., 16.03.2010, n. 6314; Cass. Civ. SS.UU.
14.07.2005, n. 14801; Consiglio di Stato, sez. IV,
21.08.2013, n. 4208; C.G.A. 18.03.2013, n. 371).
In particolare, secondo quanto costantemente affermato dalla
giurisprudenza, le controversie attinenti alla
determinazione dell'an e del quantum dell'oblazione e del
contributo per oneri di urbanizzazione e per costo di
costruzione hanno ad oggetto diritti soggettivi delle parti
dell'obbligazione contributiva, e sono perciò devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi
dell'articolo 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm. (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 21.08.2013, n. 4208; da
ultimo TAR Lombardia Milano, sez. II, 05.08.2015,
n. 1887); giurisdizione che “comprende la totalità degli
aspetti dell'uso del territorio, nessuno escluso (...):
sicché deve intendersi in essa inclusa la materia relativa
alla determinazione, liquidazione e riscossione degli oneri
di urbanizzazione" (Cass. civ., SS. UU., 20.10.2006, n.
22514).
La giurisdizione del giudice amministrativo in ordine ai
suddetti profili non viene meno a seguito dell’emissione
dell’ingiunzione di pagamento ai sensi dell’articolo 2 del
R.D. n. 639 del 1910.
E’ stato, infatti, da tempo chiarito che “per un principio
giurisprudenziale pacifico, in materia di opposizione
all’ingiunzione per la riscossione di entrate patrimoniali
dello Stato, la disposizione di cui all’art. 3 del R.D. 14.04.1910, n. 639 non reca deroga alle norme regolatrici
della giurisdizione nel vigente ordinamento giuridico e,
pertanto, non può essere invocata per ricondurre nella sfera
di competenza giurisdizionale del giudice ordinario vertenze
che, con riguardo alla natura dei rapporti dedotti ed alla
normativa ad essi relativa, debbano essere riservate alla
cognizione di altro giudice (cfr., di recente, Cass., SS. UU.
n. 1238 del 30.01.2002)” (Cons. Stato, Sez. VI, 29.11.2005, n. 6748).
A tal riguardo, va, altresì, osservato che la scelta del
mezzo attraverso il quale l’Amministrazione esercita la
propria pretesa creditoria è neutra rispetto alla materia
del contendere, sicché da essa non può certo dipendere il
riparto di giurisdizione (Cass. Civ. S.U., 08.02.2013,
n. 3043).
2. Passando all’esame del ricorso, va rilevata
l’infondatezza del primo motivo, secondo cui la
notificazione dell’ordinanza sarebbe inesistente, in quanto
effettuata in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 2
del r.d. n. 639/1910, non essendo stata notificata nelle
prescritte forme della citazione da un Ufficiale Giudiziario
addetto alla Pretura o da un Usciere addetto all’Ufficio di
Conciliazione, bensì tramite messo comunale.
Premesso che, nell’ambito della giurisdizione
amministrativa, l’ingiunzione de qua rileva non come atto
iniziale del procedimento di riscossione coattiva, ma come
atto di estrinsecazione formale della pretesa creditoria da
far valere nei termini prescrizionali (TAR Milano, sez. II, 12.04.2007, n. 1780; TAR Milano sez. II,
05.08.2015, n. 1887), eventuali vizi della notificazione non
incidono sulla validità dell’atto amministrativo, ma si
riflettono, semmai, sul termine di impugnazione, che decorre
dall’effettiva conoscenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 27.10.2003, n. 6631), con l’ulteriore conseguenza che
eventuali vizi sono sanati dal raggiungimento dello scopo.
Invero, nel caso, l’ordinanza, ancorché notificata per il
tramite del messo comunale (possibilità prevista solo con la
successiva legge n. 296 del 2006, art. 1, comma 158),
comunque, è stata ricevuta dal destinatario dell’atto, per
come ammesso in ricorso, e avverso la stessa sono state
fatte valere le doglianze di cui al presente.
Ne consegue, quindi, che la notificazione ha raggiunto lo
scopo, restando, pertanto, irrilevanti i vizi di
notificazione.
3. Parimenti infondato è il secondo motivo, con il quale, in
modo del tutto generico, i ricorrenti lamentano il difetto
di motivazione nell’atto impugnato, per l’asserita
incertezza sul credito e sull’importo dovuto, in mancanza di
indicazioni sulla circostanza che il credito afferisca ad
oneri di urbanizzazione o al costo di costruzione e in
mancanza di qualunque criterio che possa consentire l’esatta
indicazione dell’importo ingiunto.
3.1. Invero, l’atto appare sufficientemente idoneo ad
individuare la sua ragione giustificativa, facendo esso
riferimento al contributo da corrispondere relativo alla
costruzione in zona C in relazione alla concessione edilizia
n. 16 e alla variante n. 10 del 14/07/1984.
3.2. Peraltro, anche la contestazione relativa alla
quantificazione appare generica, mancando una specifica
censura in merito ed essendo onere del ricorrente
dimostrarne l’erroneità, opponendo la propria
quantificazione a quella dell’Amministrazione, il che non è
avvenuto nel caso di specie.
4. Fondato è, invece, il terzo motivo, con il quale i
ricorrenti contestano l’intervenuta prescrizione decennale
del credito de quo.
I ricorrenti espongono che il de cuius avrebbe realizzato un
fabbricato per civile abitazione in agro del Comune di
Marano Marchesato, giusta concessione edilizia n. 16/1980 e
successiva variante n. 10 al progetto esecutivo (che
dall’atto impugnato risulta del 14.07.1984); affermano,
altresì, che l’ultimazione dei lavori sarebbe avvenuta il 26.06.1985, senza che sia stato mai vantato il credito in
questione da parte dell’Amministrazione intimata.
Orbene, il Consiglio di Stato, pronunciatosi, anche di
recente (Cons. Stato, sez. IV, 10.01.2014, n. 2949; 16.01.2009 n. 216;
06.06.2008 n. 2686), sul tema della
decorrenza della prescrizione del diritto di credito
relativo al contributo per costo di costruzione ex art. 11
l. n. 10/1977 (oggi art. 16 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380),
ha affermato che il detto termine di prescrizione comincia a
decorrere dal momento stesso del rilascio della concessione
edilizia.
La disposizione dell’art. 11 della legge n. 10 del
1977, in tema di “Versamento del contributo afferente alla
concessione”, stabilisce quanto segue: “La quota di
contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata
all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in
corso d’opera con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla
ultimazione delle opere”.
Da tale norma si desume, invero,
che il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare
della concessione edilizia, di versare il contributo
previsto, è rappresentato dal rilascio della concessione
medesima ed è a tale momento, quindi, che occorre avere
riguardo per la determinazione dell’entità del contributo,
divenendo il relativo credito certo, liquido o agevolmente
liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilevo, in senso contrario, può assumere la
circostanza che al Comune sia espressamente riconosciuta la
facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento
del contributo, atteso che l’atto di imposizione non ha
carattere autoritativo, ma si risolve in un mero atto
ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti
provvedimenti di carattere generale e la sua mancata
tempestiva adozione non implica alcun potere
dell’Amministrazione di differire il suo diritto di credito,
configurandosi, piuttosto, come mancato esercizio del
diritto stesso, idoneo a far decorrere il periodo di
prescrizione (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 10.01.2014, n. 2949; Cons. Stato, Sez. V, 13.06.2003, n. 3332).
Detta decorrenza, secondo la giurisprudenza maggioritaria,
vale sia per la quota di contributo relativa agli oneri di
urbanizzazione che per quella relativa al costo di
costruzione.
4.1. Nel caso in esame, la concessione risulta essere stata
rilasciata nel 1980 e la variante in data 14.07.1984;
l’ultimazione dei lavori sarebbe avvenuta in data 26.06.1985, ma non risulta agli atti del giudizio comunicazione
della data di ultimazione degli stessi.
Orbene, l’impugnata ingiunzione è diventata esecutoria in
data 26.06.1998 ed è stata notificata in data 17.12.1998, ossia quando ormai il diritto di credito del
Comune si era estinto per compimento di oltre dieci anni dal
rilascio della variante (14.07.1984).
4.2. Va aggiunto che la prescrizione del credito sussiste
anche se si volesse seguire la tesi giurisprudenziale,
secondo cui, a norma dell’art. 11, comma 2, della legge 28.01.1977 n. 10 (oggi art. 16, comma 3, del d.p.r.
n. 380/2001), il termine prescrizionale comincia a decorrere
dal sessantesimo giorno successivo all’ultimazione delle
opere.
La citata disposizione va, infatti, coordinata con quella di
cui all’art. 4, comma 4, della stessa legge citata n. 10/1977
(oggi art. 15, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001), ai sensi del
quale “Il termine per l’inizio dei lavori non può essere
superiore ad un anno; il termine di ultimazione, entro il
quale l’opera deve essere abitabile o agibile, non può
essere superiore a tre anni e può essere prorogato, con
provvedimento motivato, solo per fatti esterni alla volontà
del concessionario …”.
Poiché la norma citata prevede che, comunque, l’opera deve
essere ultimata entro tre anni dal rilascio della
concessione, a tutto concedere, il “dies a quo” poteva
essere portato avanti di un triennio (al 14.07.1987),
per cui, anche in mancanza dell’allegazione della
dichiarazione di ultimazione lavori, delle due l’una, o i
lavori non erano ultimati alla scadenza dei tre anni e
allora la concessione edilizia era venuta meno, ovvero erano
terminati, e allora l’Amministrazione avrebbe dovuto
richiedere il pagamento del contributo in questione (cfr.
Consiglio di Stato, sez. IV, 16.01.2009, n. 216).
4.3. Alla luce delle considerazioni esposte, essendo
ampiamente trascorso il termine decennale di prescrizione,
il ricorso merita, per tale motivo, accoglimento (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 09.12.2015 n. 1846 -
link a www.giustizia-amministratva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
versamento di oneri di urbanizzazione riferibile ad opere
assentite ma non realizzate diventa rimborsabile nel momento
in cui matura la certezza che le opere stesse non saranno
più realizzate e si può concordare sul fatto che, in linea
di principio, in mancanza di un espresso atto di rinuncia
alla realizzazione delle opere da parte dell’interessato,
tale momento si può e si deve far coincidere con la scadenza
del termine di efficacia del titolo edilizio -dovendosi in
tal caso qualificare l’eventuale richiesta di rinnovo del
titolo, presentata dopo la scadenza di esso, quale atto
giuridico che fa rivivere l’obbligo del pagamento degli
oneri di urbanizzazione e che pertanto legittima
l’amministrazione comunale a ritenere quelli già percepiti e
riferibili alle opere assentite (nuovamente) in sede di
rinnovo del titolo edilizio.
Anche in giurisprudenza è già stato affermato che il diritto
al rimborso di oneri di urbanizzazione versati in relazione
ad opere mai iniziate può essere fatto valere dalla scadenza
del termine annuale entro il quale i lavori devono avere
inizio, e tale affermazione deve appunto correlarsi al
principio per cui il mancato inizio dei lavori entro l’anno
dal rilascio del permesso di costruire comporta la perdita
di efficacia del medesimo.
Mutatis mutandis alla medesima conclusione si deve pervenire
laddove le opere, benché iniziate tempestivamente, non siano
ultimate entro il triennio.
17.1.4. Si deve a questo punto rilevare che il versamento di
oneri di urbanizzazione riferibile ad opere assentite ma non
realizzate diventa rimborsabile nel momento in cui matura la
certezza che le opere stesse non saranno più realizzate e si
può concordare sul fatto che, in linea di principio, in
mancanza di un espresso atto di rinuncia alla realizzazione
delle opere da parte dell’interessato, tale momento si può e
si deve far coincidere con la scadenza del termine di
efficacia del titolo edilizio -dovendosi in tal caso
qualificare l’eventuale richiesta di rinnovo del titolo,
presentata dopo la scadenza di esso, quale atto giuridico
che fa rivivere l’obbligo del pagamento degli oneri di
urbanizzazione e che pertanto legittima l’amministrazione
comunale a ritenere quelli già percepiti e riferibili alle
opere assentite (nuovamente) in sede di rinnovo del titolo
edilizio-: anche in giurisprudenza è già stato affermato che
il diritto al rimborso di oneri di urbanizzazione versati in
relazione ad opere mai iniziate può essere fatto valere
dalla scadenza del termine annuale entro il quale i lavori
devono avere inizio (TAR Bologna, sez. II, n. 489/2013), e
tale affermazione deve appunto correlarsi al principio per
cui il mancato inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio
del permesso di costruire comporta la perdita di efficacia
del medesimo.
Mutatis mutandis alla medesima conclusione si deve
pervenire laddove le opere, benché iniziate tempestivamente,
non siano ultimate entro il triennio
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 14.08.2015 n. 1327 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: La
novazione soggettiva nei rapporti inerenti il titolo
edilizio avviene con la voltura non essendo, invece,
sufficiente, a realizzare tale effetto il mero acquisito
dell’immobile. Tant’è che, secondo la giurisprudenza, del
pagamento dei contributi di urbanizzazione risponde
direttamente e per intero il titolare della concessione
edilizia, essendo i successivi acquirenti estranei al
rapporto che al riguardo si è instaurato col Comune.
Peraltro, la titolarità del permesso edilizio incide solo
sul profilo passivo della obbligazione relativa al pagamento
del contributo ma nulla, invece, ha a che vedere con
l’azione di ripetizione dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non
dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha
effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la
restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a
nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa.
Nessuna rilevanza assume ai fini della legittimazione ad
esercitare l’azione in discorso il fatto che l’onere
economico del pagamento indebito sia poi stato trasferito da
parte del solvens su un soggetto terzo. Infatti, il
presupposto della azione di ripetizione, è esclusivamente
quello del pagamento di un debito non dovuto e non quello
dell’”arricchimento ai danni di altra persona” che è,
invece, proprio della diversa azione di arricchimento senza
causa.
La Sig.ra Giuliana Vitale ha acquistato nel 2009 una
porzione di fabbricato destinato a civile abitazione nel
comune di Pistoia.
La sua dante causa, Sig.ra Vettori Antonella, prima della
vendita aveva già presentato al predetto comune una d.i.a.
per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione e pagato i
relativi oneri di urbanizzazione.
I predetti oneri, in forza di apposito patto contrattuale,
sono stati poi posti a carico dell’acquirente che ha poi
portato a termine i lavori.
La Sig.ra Vitale si è, tuttavia, avveduta che l’ammontare
degli oneri di urbanizzazione richiesti dal Comune di
Pistoia superava la somma effettivamente dovuta.
In particolare, il predetto ente, in applicazione della
delibera consiliare n. 225 del 21/12/2007, aveva calcolato
gli oneri sulla base della superficie lorda dell’intero
fabbricato anziché prendere a riferimento la sola unità
immobiliare interessata dal progetto di ristrutturazione.
Ritenendo, anche sulla scorta di precedenti pronunce di
questo Tribunale Amministrativo, tale sistema di calcolo
palesemente illegittimo, la Sig.ra Vitale ha intentato
azione di ripetizione dell’indebito contro il Comune di
Pistoia per ottenere la ripetizione delle somme pagate in
eccesso a titolo di oneri di urbanizzazione.
Nel costituirsi in giudizio il Comune di Pistoia ha
preliminarmente eccepito la carenza di legittimazione attiva
della ricorrente osservando che l’azione di ripetizione
potrebbe essere esercitata solo da chi ha eseguito il
pagamento non dovuto e, quindi, nella specie, dalla Sig.ra
Vettori che ha versato alla tesoreria comunale le somme
richieste a titolo di oneri di urbanizzazione.
Al riguardo la ricorrente ha replicato di essere subentrata,
per effetto dell’acquisto dell’immobile, in tutti i rapporti
attivi e passivi facenti capo al titolo edilizio. Sicché,
così come l’obbligo di pagare gli oneri concessori (qualora
questi fossero ancora insoluti) si sarebbe trasferito su di
lei, allo stesso modo, essa sarebbe divenuta titolare
dell’azione di ripetizione di quanto indebitamente
corrisposto a tale titolo dalla sua dante causa.
Gli argomenti dedotti dalla ricorrente per contrastare
l’eccezione formulata dal Comune non appaiono, tuttavia,
convincenti.
Occorre in primo luogo osservare che la novazione soggettiva
nei rapporti inerenti il titolo edilizio avviene con la
voltura non essendo, invece, sufficiente, a realizzare tale
effetto il mero acquisito dell’immobile. Tant’è che, secondo
la giurisprudenza, del pagamento dei contributi di
urbanizzazione risponde direttamente e per intero il
titolare della concessione edilizia, essendo i successivi
acquirenti estranei al rapporto che al riguardo si è
instaurato col Comune (Cons. Stato, V, 26/06/1996 n. 793).
Peraltro, la titolarità del permesso edilizio incide solo
sul profilo passivo della obbligazione relativa al pagamento
del contributo ma nulla, invece, ha a che vedere con
l’azione di ripetizione dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non
dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha
effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la
restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a
nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa
(Cassazione civile sez. III, 01.12.2009 n. 25276;
TAR Napoli Campania sez. V, 05.04.2011 n. 1916).
Nessuna rilevanza assume ai fini della legittimazione ad
esercitare l’azione in discorso il fatto che l’onere
economico del pagamento indebito sia poi stato trasferito da
parte del solvens su un soggetto terzo. Infatti, il
presupposto della azione di ripetizione, è esclusivamente
quello del pagamento di un debito non dovuto e non quello
dell’”arricchimento ai danni di altra persona” che è,
invece, proprio della diversa azione di arricchimento senza
causa.
Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile per
difetto di legittimazione attiva (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 12.03.2014
n. 493 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
L’Ente civico è tenuto a
corrispondere il quantum che risulta essere stato
corrisposto dal ricorrente a titolo di oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria e di costi di
costruzione, maggiorato degli interessi legali, nella misura
vigente nel periodo dal versamento al soddisfo, e della
rivalutazione monetaria, ove nel periodo suindicato il tasso
d’inflazione sia superiore al tasso di interesse legale,
laddove il concessionario rinunci all'edificazione di quanto
richiesto.
---------------
Rinunciando all'esecuzione di una concessione edilizia
rilasciata, nulla deve invece essere restituito quali
diritti di segreteria, atteso che tale importo è una tariffa
stabilita per l’instaurazione e lo svolgimento del
procedimento amministrativo introdotto dalla domanda di
rilascio di permesso di costruire e non già correlata al
rilascio del titolo.
... avverso il silenzio inadempimento del Comune di Barletta
sull’istanza di restituzione degli oneri di urbanizzazione
relativi ad una domanda di permesso di costruire, mai
accolta ed oggetto di rinuncia da parte del ricorrente.
...
Considerato:
-
che, ai sensi dell’art. 16, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001,
“il rilascio del permesso di costruire comporta la
corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza
degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione, secondo le modalità indicate nel presente
articolo”;
-
che è evidente che il contributo concessorio sopra
specificato è strettamente connesso all’attività di
trasformazione del territorio assentita col titolo edilizio
rilasciato e quindi, ove tale circostanza non si verifichi,
il relativo pagamento risulta privo della causa
dell’originaria obbligazione di dare;
-
che, in assenza di restituzione, si determinerebbe in favore
del Comune un indebito oggettivo, ai sensi dell’art. 2033
c.c.;
-
che conseguentemente nella specie l’Ente civico intimato è
tenuto a corrispondere il quantum che risulta essere stato
corrisposto dal ricorrente a titolo di oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria e di costi di
costruzione, maggiorato degli interessi legali, nella misura
vigente nel periodo dal versamento al soddisfo, e della
rivalutazione monetaria, ove nel periodo suindicato il tasso
d’inflazione sia superiore al tasso di interesse legale;
-
che nulla deve invece essere restituito quali diritti di
segreteria, atteso che tale importo è una tariffa stabilita
per l’instaurazione e lo svolgimento del procedimento
amministrativo introdotto dalla domanda di rilascio di
permesso di costruire e non già correlata al rilascio del
titolo;
Ritenuto:
-
che, pertanto, il ricorso debba accogliersi, con le
precisazioni sopra fatte, e, per l’effetto, il Comune di
Barletta sia tenuto a riscontrare l’istanza del ricorrente
con provvedimento espresso, determinandosi a versare in suo
favore la somma suindicata nel termine indicato in
dispositivo, con l’avvertenza che, in assenza, sarà nominato
un commissario ad acta, che dovrà provvedere in sua
vece (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 08.11.2013 n. 1526 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Relativamente
al credito per restituzione di somme pagate a titolo di
oneri di urbanizzazione per mancato inizio dei lavori stessi
e conseguente decadenza della relativa concessione edilizia,
il dies a quo dell’ordinario termine di prescrizione
decennale del suddetto diritto, deve necessariamente essere
individuato nel momento in cui il diritto al rimborso poteva
essere effettivamente esercitato, e, pertanto, (nel caso di
specie) nella data di scadenza del termine annuale di
decadenza per mancato inizio dei lavori relativi a
concessione edilizia ritirata dall’interessata in data
22/04/1994.
E’ solo da tale momento, infatti, che l’odierna ricorrente
poteva esercitare il diritto in questione, mediante
richiesta al Comune di restituzione delle relative somme,
essendo sempre da tale momento spirato anche il termine per
potere iniziare i lavori concessionati senza incorrere nella
decadenza.
Sulla questione, la giurisprudenza amministrativa ha
osservato che “…per i diritti di credito, la realizzazione
dei quali esige un’attività del creditore, la prescrizione
decorre dal giorno in cui l’attività poteva essere compiuta
ed egli poteva, così, mettersi in grado di esigere la
prestazione dovuta …. sia perché l’inerzia del titolare del
diritto assume rilevanza dal momento in cui è possibile
esercitare il diritto…”.
Il Collegio osserva che il ricorso merita accoglimento.
Va rilevato che non è in contestazione –tra le parti– che la
concessione edilizia rilasciata alla ricorrente in data
10/01/1994 e da questa formalmente ritirata in data
22/04/1994, sia stata dichiarata decaduta dal Comune per
mancato inizio dei lavori entro il termine annuale
decorrente dalla data in cui il titolo è stato ritirato, e
nemmeno è oggetto di contestazione l’esistenza del credito
vantato dalla ricorrente nei confronti dell’Amministrazione
comunale debitrice. Resta, quindi, da risolvere la questione
relativa alla diversa decorrenza del termine ordinario di
prescrizione del diritto dalla ricorrente alla restituzione
delle somme in questione, al fine di accertare l’intervenuta
o meno prescrizione del credito in questione.
La ricorrente individua il dies a quo nella data del
22/04/1995, nella quale, in ragione dello spirare del
termine annuale di inizio dei lavori, è intervenuta la
decadenza della concessione edilizia ritirata il 22/04/1994,
con conseguente produzione di effetti quali: l’impossibilità
di realizzazione dell’intervento e, sotto diverso angolo di
visuale, la possibilità di esercitare il diritto alla
restituzione degli oneri urbanistici già corrisposti al
Comune.
La civica amministrazione, invece, come già si è accennato,
fa coincidere il termine iniziale della prescrizione con la
data di rilascio del titolo edilizio (10/01/1994) o, al
limite, con quella successiva di rilascio dello stesso
(22/04/1994).
Il Collegio ritiene di condividere la tesi della ricorrente,
in quanto, relativamente al credito per restituzione di
somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione per mancato
inizio dei lavori stessi e conseguente decadenza della
relativa concessione edilizia, il dies a quo
dell’ordinario termine di prescrizione decennale del
suddetto diritto, debba necessariamente essere individuato
nel momento in cui il diritto al rimborso poteva essere
effettivamente esercitato, e, pertanto, nel giorno
22/04/1995, ovvero nella data di scadenza del termine
annuale di decadenza per mancato inizio dei lavori relativi
a concessione edilizia ritirata dall’interessata in data
22/04/1994.
E’ solo da tale momento, infatti, che l’odierna ricorrente
poteva esercitare il diritto in questione, mediante
richiesta al Comune di restituzione delle relative somme,
essendo sempre da tale momento spirato anche il termine per
potere iniziare i lavori concessionati senza incorrere nella
decadenza.
Sulla questione, la giurisprudenza amministrativa ha
osservato che “…per i diritti di credito, la
realizzazione dei quali esige un’attività del creditore, la
prescrizione decorre dal giorno in cui l’attività poteva
essere compiuta ed egli poteva, così, mettersi in grado di
esigere la prestazione dovuta …. sia perché l’inerzia del
titolare del diritto assume rilevanza dal momento in cui è
possibile esercitare il diritto…” (v. Cons. Stato, Sez.
V, 19/06/2003 n. 954; TAR Campania –SA- Sez. II, 28/02/2008
n. 247).
Per le suesposte ragioni, il ricorso è accolto e, per
l’effetto, si accerta il diritto della ricorrente alla
restituzione, da parte del comune di Bologna, dell’importo a
suo tempo pagato a titolo di oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria di cui all’oggetto, con accessori di
legge dal dì del dovuto alla data del saldo completo del
debito, con conseguente condanna dello stesso Comune al
pagamento delle suddette somme di cui è debitore
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 01.07.2013 n. 489 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rimborso oneri concessori.
Allorché un privato rinunci o non
utilizzi il permesso di costruire a lui concesso, sorge in
capo alla p.a. concedente l'obbligo di restituzione delle
somme da costui corrisposte a titolo di contributo per oneri
di urbanizzazione e costi di costruzione.
Il Comune riferisce di avere ricevuto da una cittadina la
richiesta di restituzione degli oneri concessori da costei
pagati per l'edificazione di un fabbricato residenziale i
cui lavori non risultano mai essere iniziati e la cui
concessione a costruire è nel frattempo decaduta.
L'Ente chiede di sapere se la richiesta della cittadina sia
fondata e se, perciò, debba essere assunto il provvedimento
di rimborso.
La questione giuridica prospettata nel quesito è stata
oggetto di una recente pronuncia di un giudice
amministrativo, conforme ad altre sentenze più risalenti,
che porta a ritenere legittima la richiesta della cittadina
[1].
Il Tar Catania [2],
in un caso analogo a quello sopra rappresentato, ha,
infatti, deciso che: 'Allorché il privato rinunci o non
utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia
intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo
alla p.a., anche ex artt. 2033 [3]
o, comunque, 2041 [4]
c.c., l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a
titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione e conseguentemente il diritto del privato a
pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio è,
infatti, strettamente connesso all'attività di
trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza
non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della
causa dell'originaria obbligazione di dare cosicché
l'importo versato va restituito; il diritto alla
restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il
permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente
(cfr: CS, V, 02.02.1988 n. 105, 12.06.1995 n. 894 e
23.06.2003 n. 3714; TAR Lombardia, Sez. II, 24.03.2010, n.
728 e TAR Abruzzo 15.12.2006 n. 890, TAR Parma 07.04.1998 n.
149)'.
---------------
[1] Concorde è anche l'Anci, nel suo parere dd.
27.08.2012.
[2] Tar Catania, sez. I, 18.01.2013, n. 159.
[3] Art. 2033 c.c. Indebito oggettivo: 'Chi ha eseguito un
pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha
pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal
giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala
fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della
domanda'.
[4] Art. 2041 c.c. Azione generale di arricchimento: 'Chi,
senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra
persona è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a
indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione
patrimoniale. Qualora l'arricchimento abbia per oggetto una
cosa determinata, colui che l'ha ricevuta è tenuto a
restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda'
(28.06.2013 -
link a
www.regione.fvg.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Allorché il privato rinunci o non utilizzi il
permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la
decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a.,
anche ex artt. 2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di
restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo
per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e
conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la
restituzione.
Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso
all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove
tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento
risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di
dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto
alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la
mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove
il permesso di costruire sia stato utilizzato solo
parzialmente.
Sulle somme da restituire vanno applicati gli interessi al
tasso legale con decorrenza, nella peculiare fattispecie,
dalla data di ricezione da parte del Comune della richiesta
di restituzione inviata dagli odierni ricorrenti.
Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di
costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza
del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt.
2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle
somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il
diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il
contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso
all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove
tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento
risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di
dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto
alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la
mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove
il permesso di costruire sia stato utilizzato solo
parzialmente (cfr: CS, V, 02.02.1988 n. 105, 12.06.1995 n.
894 e 23.06.2003 n. 3714; TAR Lombardia, Sez. II,
24.03.2010, n. 728 e TAR Abruzzo 15.12.2006 n. 890, TAR
Parma 07.04.1998 n. 149).
Sulle somme da restituire vanno applicati gli interessi al
tasso legale con decorrenza, nella peculiare fattispecie,
dalla data di ricezione da parte del Comune (09.08.2011)
della richiesta di restituzione inviata dagli odierni
ricorrenti, atteso che questi ultimi, pur avendo inutilmente
dato luogo ad una complessa ed articolata attività
amministrativa, hanno poi tenuto un comportamento non
significativo che in ipotesi avrebbe potuto sfociare anche
in un riutilizzo del titolo abilitativo edilizio.
In conclusione, va dichiarato il diritto dei ricorrenti alla
restituzione, da parte del Comune di Tremestieri Etneo,
della somma di € 158.000,00 oltre interessi al tasso legale
a partire dal 09.08.2011 all’effettivo soddisfo, con
conseguente condanna del Comune medesimo al pagamento di
tali importi
(TAR Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 18.01.2013 n. 159 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Data
in sintesi la natura paritetica dell’atto di determinazione
del dovuto (ndr: contributo di costruzione), il privato il
quale versa in buona fede la somma richiestagli
dall’amministrazione per gli oneri in parola adempie ad una
obbligazione così come avverrebbe nei rapporti fra privati,
e con l’adempimento la estingue una volta per tutte, senza
che sia permesso all’amministrazione rimettere in
discussione il rapporto così definito con la richiesta di
conguagli.
Tuttavia, non mancano pronunce di segno contrario le quali
riconoscono all’amministrazione comunale il potere di
richiedere conguagli per oneri determinati precedentemente
in modo inesatto, vuoi riportandolo al più generale potere
di autotutela amministrativa, vuoi in base al rilievo
sostanziale per cui, così come al privato è consentito
ripetere somme versate in eccesso, anche all’amministrazione
deve essere accordata la possibilità di richiedere
conguagli.
Tutto ciò premesso, nel merito il primo motivo di ricorso è
nella sua assolutezza infondato. La ricorrente invoca a suo
favore l’orientamento giurisprudenziale per cui, data in
sintesi la natura paritetica dell’atto di determinazione del
dovuto, il privato il quale versa in buona fede la somma
richiestagli dall’amministrazione per gli oneri in parola
adempie ad una obbligazione così come avverrebbe nei
rapporti fra privati, e con l’adempimento la estingue una
volta per tutte, senza che sia permesso all’amministrazione
rimettere in discussione il rapporto così definito con la
richiesta di conguagli: in tal senso si esprime ad esempio
la particolarmente approfondita decisione C.G.A. Sicilia
02.03.2007 n. 64.
In proposito, il Collegio deve anzitutto puntualizzare che
tale orientamento non è incontroverso: così come ricorda
anche la decisione citata, non mancano pronunce di segno
contrario, le quali riconoscono all’amministrazione comunale
il potere di richiedere conguagli per oneri determinati
precedentemente in modo inesatto, vuoi riportandolo al più
generale potere di autotutela amministrativa, come la remota
C.d.S. sez. V 25.04.1966 n. 426, vuoi in base al rilievo
sostanziale per cui, così come al privato è consentito
ripetere somme versate in eccesso, anche all’amministrazione
deve essere accordata la possibilità di richiedere
conguagli, così come ritenuto da C.d.S. 06.051997 n. 458
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 15.11.2012 n. 1802 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Per
un verso, come tale, la determinazione dell'an e del
quantum del contributo concessorio non ha natura
autoritativa, giacché si tratta di un mero accertamento
dell'obbligazione contributiva, effettuato dalla p.a. in
base a rigidi parametri prefissati dalla legge e dai
regolamenti in tema di criteri impositivi, nei cui riguardi
essa è sfornita di potestà autoritative; conseguentemente,
la posizione del soggetto nei cui confronti è richiesto il
pagamento è di diritto soggettivo, non di interesse
legittimo e l'impugnazione del provvedimento del Comune è
soggetta all'ordinario termine di prescrizione.
Per un altro verso, ai sensi dell'art. 28, l.
24.11.1981 n. 689, applicabile ex art. 12 della stessa legge
a tutte le sanzioni amministrative di tipo affittivo, il
termine di prescrizione della sanzione irrogata per
ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di
urbanizzazione e per il costo di costruzione è di cinque
anni, e decorre dal giorno in cui è stata commessa la
violazione.
Preliminarmente, a superamento delle infondate eccezioni di
inammissibilità formulate dalla difesa comunale, va ribadito
che le controversie in materia di oneri d'urbanizzazione,
costo di costruzione e relative sanzioni per l'eventuale
ritardato pagamento, comprese quelle attinenti a domanda di
condono e relativa oblazione, sono attribuite alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e vertono
sull'esistenza o sulla misura di un'obbligazione
direttamente stabilita dalla legge.
In tale contesto per un verso, come tale, la
determinazione dell'an e del quantum del
contributo concessorio non ha natura autoritativa, giacché
si tratta di un mero accertamento dell'obbligazione
contributiva, effettuato dalla p.a. in base a rigidi
parametri prefissati dalla legge e dai regolamenti in tema
di criteri impositivi, nei cui riguardi essa è sfornita di
potestà autoritative; conseguentemente, la posizione del
soggetto nei cui confronti è richiesto il pagamento è di
diritto soggettivo, non di interesse legittimo e
l'impugnazione del provvedimento del Comune è soggetta
all'ordinario termine di prescrizione.
Per un altro verso, ai sensi dell'art. 28, l.
24.11.1981 n. 689, applicabile ex art. 12 della stessa legge
a tutte le sanzioni amministrative di tipo affittivo, il
termine di prescrizione della sanzione irrogata per
ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di
urbanizzazione e per il costo di costruzione è di cinque
anni, e decorre dal giorno in cui è stata commessa la
violazione (cfr., tra le altre, TAR Basilicata, 39/04/2008
n. 141; TAR Campania, Salerno, Sez, II, 22.04.2005 n. 647;
TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 08.10.2001 n. 1514; TAR
Sicilia, Catania, Sez. I, 08.05.2006 n. 701 e 08.03.2012, n.
600)
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 26.10.2012 n. 641 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il termine decennale di prescrizione
dell’obbligazione sul pagamento degli oneri concessori,
nell’ipotesi di mancata esplicita definizione dell’istanza
di condono, decorre dalla formazione del silenzio assenso e
questo, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/1985, si
forma dopo il termine di ventiquattro mesi decorrente dalla
data nella quale viene depositata la documentazione completa
a corredo della domanda di rilascio della concessione in
sanatoria.
Considerato che:
- è fondata la censura con cui parte ricorrente solleva la
maturata prescrizione del diritto a riscuotere sia gli oneri
concessori sia l’indennità risarcitoria paesaggistica, non
essendo peraltro intervenuti atti interruttivi;
- quanto al primo profilo, la difesa comunale mostra di
aderire al consolidato orientamento, condiviso dal Collegio,
secondo il quale il termine decennale di prescrizione
dell’obbligazione sul pagamento degli oneri concessori,
nell’ipotesi di mancata esplicita definizione dell’istanza
di condono, decorre dalla formazione del silenzio assenso e
questo, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/1985, si
forma dopo il termine di ventiquattro mesi decorrente dalla
data nella quale viene depositata la documentazione completa
a corredo della domanda di rilascio della concessione in
sanatoria (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 02.02.2012
n. 578; TAR Sicilia Catania, Sez. I, 12.05.2011 n. 1156;
TAR Sardegna, Sez. II, 17.11.2010 n. 2600);
- ebbene, nel caso di specie tale termine è abbondantemente
trascorso, in quanto la cartella esattoriale è stata
notificata il 18.10.2011 a fronte del perfezionamento
del silenzio assenso sulla pratica di condono realizzatosi
quasi tredici anni prima, in data 28.03.1998, atteso che,
come riferito dalla stessa difesa comunale nella sua memoria
difensiva, la documentazione completa per la sanatoria è
stata depositata il 28.03.1996 dall’allora proprietario
dell’immobile (Fiart Cantieri Italiani S.p.A.);
- quanto all’indennità risarcitoria, deve intendersi
prescritto anche il più breve termine quinquennale previsto
dall’art. 28 della legge n. 689/1981, che decorre,
vertendosi in materia di illecito permanente, a partire
dalla cessazione della situazione di illiceità, ossia
dall’emissione del provvedimento sanzionatorio determinativo
della misura dell’indennità (cfr. Consiglio di Stato, Sez.
IV, 11.04.2007 n. 1585; Consiglio di Stato, Sez. V, 13.07.2006 n. 4420; TAR Toscana, Sez. III, 16.11.2009
n. 1665);
- orbene, nella fattispecie il provvedimento sanzionatorio è
stato emesso nei confronti della ricorrente con la citata
nota comunale prot. n. 5065 del 06.02.2003, con
conseguente maturazione del termine prescrizionale al 06.02.2008, mentre la cartella di pagamento è stata
notificata ben oltre tale termine;
- né vale sostenere, come dedotto dalla difesa comunale, che
il potere sanzionatorio inerente all’indennità risarcitoria
paesaggistica può essere esercitato senza limiti di tempo,
poiché nella presente controversia si discute della
prescrizione del diritto sorto a seguito dell’esercizio del
predetto potere e non di un’ipotetica decadenza dalle
prerogative sanzionatorie in tema di illeciti paesaggistici;
- né sono convincenti le ulteriori obiezioni della difesa
comunale, con le quali si intende evidenziare che: a) i
termini prescrizionali sarebbero stati interrotti dalle
menzionate note prot. n. 5065 del 06.02.2003, prot. n.
22621 del 05.06.2003 e prot. n. 23480 del 28.06.2010;
b) la mancata corresponsione delle somme dovute a
conguaglio, come indicate nelle predette note, impedirebbe
la formazione del silenzio assenso sull’istanza di condono
secondo quanto previsto dall’art. 35 della legge n. 47/1985;
- si rimarca, difatti, quanto segue: aa) come già chiarito,
le note in parola, avendo evidente carattere recettizio, non
sono pervenute nella sfera di conoscenza della ricorrente
per nullità del procedimento di notifica, con conseguente
inconfigurabilità di effetti interruttivi dei termini
prescrizionali; bb) si tratta nel caso specifico non del
mancato pagamento di ratei dell’oblazione, che
effettivamente impedisce il perfezionamento del silenzio
assenso sull’istanza di condono, ma della diversa ipotesi
della richiesta di pagamento di somme dovute proprio in
ragione dell’esistenza di un valido titolo edilizio, sebbene
rilasciato in sanatoria (TAR Campania-Napoli,
sentenza 18.10.2012 n. 4147 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Il termine decennale di prescrizione
dell'obbligazione sul pagamento degli oneri concessori
decorre, nell'ipotesi di mancata esplicita definizione della
domanda di condono, dalla formazione del silenzio assenso e
questo, ai sensi dell'art. 35, l. 28.02.1985 n. 47, si forma
dopo il termine di ventiquattro mesi decorrente dalla data
nella quale viene depositata la documentazione completa a
corredo della domanda di concessione.
Il contributo di concessione dovuto, in caso di condono
edilizio, ai sensi dell'art. 37, l. 28.02.1985 n. 47, è
soggetto a prescrizione decennale, la quale decorre dal
momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935
c.c.). Il termine stesso decorre dall'emanazione della
concessione edilizia in sanatoria o, in alternativa, dalla
scadenza del termine perentorio di ventiquattro mesi dalla
presentazione della domanda, decorso il quale quest'ultima
si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento
di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio,
formandosi così il silenzio-assenso.
---------------
Posto che per gli oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione il "dies a quo" decorre dal rilascio della
concessione edilizia, e, quindi, da un momento in cui sono
esattamente noti tutti gli elementi utili alla
determinazione dell'entità del contributo, relativamente al
conguaglio dell'oblazione dovuta in caso di condono
edilizio, il "dies a quo" non può coincidere con la
presentazione della domanda, sfornita della documentazione
prescritta per la domanda di condono, richiesta ai fini
della corretta e definitiva determinazione dell'entità
dell'oblazione; sicché la decorrenza del termine di
prescrizione presuppone -tanto in favore della pubblica
amministrazione per l'eventuale conguaglio, quanto in favore
del privato per l'eventuale rimborso- che la pratica di
sanatoria edilizia sia definita in tutti i suoi aspetti e
siano, per l'effetto, precisamente determinabili, alla
stregua dei parametri stabiliti dalla legge, l'"an" ed il
"quantum" dell'obbligazione gravante sul privato; ciò che
riflette puntualmente la "ratio" sottesa all'art. 2935 c.c.
secondo il quale, in generale, la prescrizione non può
decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere
fatto valere.
Invero costituisce approdo consolidato in giurisprudenza quello per cui
“il termine decennale di prescrizione dell'obbligazione sul
pagamento degli oneri concessori decorre, nell'ipotesi di
mancata esplicita definizione della domanda di condono,
dalla formazione del silenzio assenso e questo, ai sensi
dell'art. 35, l. 28.02.1985 n. 47, si forma dopo il
termine di ventiquattro mesi decorrente dalla data nella
quale viene depositata la documentazione completa a corredo
della domanda di concessione.” (TAR Sardegna Cagliari,
sez. II, 17.11.2010, n. 2600);
”Il contributo di concessione dovuto, in caso di condono
edilizio, ai sensi dell'art. 37, l. 28.02.1985 n. 47,
è soggetto a prescrizione decennale, la quale decorre dal
momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935
c.c.). Il termine stesso decorre dall'emanazione della
concessione edilizia in sanatoria o, in alternativa, dalla
scadenza del termine perentorio di ventiquattro mesi dalla
presentazione della domanda, decorso il quale quest'ultima
si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento
di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio,
formandosi così il silenzio—assenso.” (TAR Trentino Alto
Adige Trento, sez. I, 09.12.2010, n. 234).
---------------
La censura non ha pregio,
laddove si consideri che per costante quanto pacifica
opzione ermeneutica (peraltro pienamente condivisa dal
Collegio in quanto aderente alla lettera della legge e non
collidente con la ratio che presiede alla formazione del
titolo abilitativo per silentium) “posto che per gli oneri
di urbanizzazione e costo di costruzione il "dies a quo"
decorre dal rilascio della concessione edilizia, e, quindi,
da un momento in cui sono esattamente noti tutti gli
elementi utili alla determinazione dell'entità del
contributo, relativamente al conguaglio dell'oblazione
dovuta in caso di condono edilizio, il "dies a quo" non può
coincidere con la presentazione della domanda, sfornita
della documentazione prescritta per la domanda di condono,
richiesta ai fini della corretta e definitiva determinazione
dell'entità dell'oblazione; sicché la decorrenza del termine
di prescrizione presuppone -tanto in favore della pubblica
amministrazione per l'eventuale conguaglio, quanto in favore
del privato per l'eventuale rimborso- che la pratica di
sanatoria edilizia sia definita in tutti i suoi aspetti e
siano, per l'effetto, precisamente determinabili, alla
stregua dei parametri stabiliti dalla legge, l'"an" ed il
"quantum" dell'obbligazione gravante sul privato; ciò che
riflette puntualmente la "ratio" sottesa all'art. 2935 c.c.
secondo il quale, in generale, la prescrizione non può
decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere
fatto valere.” (TAR Campania Salerno, sez. II, 03.06.2010, n. 8224)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.10.2012 n. 5201 - link a
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ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
La proroga della scadenza di un termine che cade
in un giorno festivo al successivo giorno non festivo
rappresenta un principio di carattere generale, disciplinato
dalla vigente legislazione.
Infatti, la previsione, d’ordine generale, della suesposta
proroga è contenuta nel secondo e terzo comma dell’art. 2963
del codice civile che stabilisce, con riferimento alle
modalità di computo del termine di prescrizione, che: “non
si computa il giorno nel corso del quale cade il momento
iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo
spirare dell’ultimo istante del giorno finale. Se il termine
scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno
seguente non festivo”.
Il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno
seguente non festivo è, altresì, evidenziato dall’art. 1187
del codice civile, in tema di obbligazioni, che sancisce, al
secondo comma, che “la disposizione relativa alla proroga
del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi
sono usi diversi” e dall’art. 155, commi terzo e quarto,
del c.p.c. secondo cui “i giorni festivi si computano nel
termine. Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è
prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”.
La vigente normativa, infine, disciplina anche le eccezioni
al suddetto principio: l’articolo 2964 del codice civile,
infatti, stabilisce i casi in cui la regola generale sopra
riportata non si applica e cioè i casi di norme aventi ad
oggetto l’interruzione e la sospensione della prescrizione.
Quanto sopra risulta anche confermato da consolidati
orientamenti giurisprudenziali secondo cui “il principio
fissato dall’art. 2963, terzo comma, del codice civile,
secondo il quale se il termine scade in un giorno festivo, è
prorogato di diritto al giorno seguente non festivo,
configura un principio generale, applicabile, in assenza di
diversa previsione anche in materia di decadenza, atteso che
l’art. 2964 dichiara inapplicabili alla decadenza soltanto
le norme relative alla interruzione e alla sospensione della
prescrizione”.
In conclusione, in relazione a quanto sin qui detto non
sembra esservi dubbio che il principio della posticipazione
ipso iure al primo giorno non festivo del termine che cade
in un giorno festivo sia applicabile anche alla fattispecie
de qua, atteso che il disposto dell’art. 155, comma 4, del c.p.c. e dell’art. 2963 del c.c. trovano applicazione anche
nel procedimento di controllo, essendo espressione di un
principio di carattere generale e che l’esercizio del potere di controllo di
legittimità sulle autorizzazioni paesaggistiche attribuito
all’Amministrazione statale, ai sensi dell’art. 159 del D.Lgs. n. 42 del 2004, è sottoposto al termine decadenziale
di sessanta giorni decorrente dalla ricezione della
documentazione completa.
---------------
6. Nel merito il Collegio osserva che, contrariamente a
quanto sostenuto dal giudice di primo grado, la proroga
della scadenza di un termine che cade in un giorno festivo
al successivo giorno non festivo rappresenta un principio di
carattere generale, disciplinato dalla vigente legislazione.
Infatti, la previsione, d’ordine generale, della suesposta
proroga è contenuta nel secondo e terzo comma dell’art. 2963
del codice civile che stabilisce, con riferimento alle
modalità di computo del termine di prescrizione, che: “non
si computa il giorno nel corso del quale cade il momento
iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo
spirare dell’ultimo istante del giorno finale. Se il termine
scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno
seguente non festivo”.
Il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno
seguente non festivo è, altresì, evidenziato dall’art. 1187
del codice civile, in tema di obbligazioni, che sancisce, al
secondo comma, che “la disposizione relativa alla proroga
del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi
sono usi diversi” e dall’art. 155, commi terzo e quarto,
del c.p.c. secondo cui “i giorni festivi si computano nel
termine. Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è
prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”.
La vigente normativa, infine, disciplina anche le eccezioni
al suddetto principio: l’articolo 2964 del codice civile,
infatti, stabilisce i casi in cui la regola generale sopra
riportata non si applica e cioè i casi di norme aventi ad
oggetto l’interruzione e la sospensione della prescrizione.
Quanto sopra risulta anche confermato da consolidati
orientamenti giurisprudenziali secondo cui “il principio
fissato dall’art. 2963, terzo comma, del codice civile,
secondo il quale se il termine scade in un giorno festivo, è
prorogato di diritto al giorno seguente non festivo,
configura un principio generale, applicabile, in assenza di
diversa previsione anche in materia di decadenza, atteso che
l’art. 2964 dichiara inapplicabili alla decadenza soltanto
le norme relative alla interruzione e alla sospensione della
prescrizione” (Cassazione Civile, Sez. V, sent. n. 15832
del 13.08.2004).
In conclusione, in relazione a quanto sin qui detto non
sembra esservi dubbio che il principio della posticipazione
ipso iure al primo giorno non festivo del termine che cade
in un giorno festivo sia applicabile anche alla fattispecie
de qua, atteso che il disposto dell’art. 155, comma 4, del c.p.c. e dell’art. 2963 del c.c. trovano applicazione anche
nel procedimento di controllo, essendo espressione di un
principio di carattere generale (Cons. di Stato, Sez. VI,
18.03.2011, n. 1661; Cass. Civ., Sez. II, 01.12.2010, n.
24375) e che l’esercizio del potere di controllo di
legittimità sulle autorizzazioni paesaggistiche attribuito
all’Amministrazione statale, ai sensi dell’art. 159 del
D.Lgs. n. 42 del 2004, è sottoposto al termine decadenziale
di sessanta giorni decorrente dalla ricezione della
documentazione completa.
7. Per quanto sin qui esposto l’appello è da ritenersi
fondato e va, pertanto, accolto e, per l’effetto, in riforma
della sentenza di primo grado va respinto il ricorso di
primo grado (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.09.2012 n. 4752)
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Alle nuove edificazioni e agli altri
interventi –comunque soggetti a titolo abilitativo–
corrisponde il pagamento di un contributo commisurato
all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo
di costruzione. La natura giuridica del predetto contributo
è quella di prestazione patrimoniale imposta, anche
indipendentemente dall’utilità specifica del singolo
concessionario, comunque tenuto a concorrere alla spesa
pubblica per le infrastrutture che debbono accompagnare ogni
nuovo insediamento edificatorio.
Il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo
di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a
carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi
delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei
benefici che la nuova costruzione ne ritrae.
Dalla natura di prestazione obbligatoriamente dovuta
discende che il privato non può esimersi dal pagamento del
contributo, e che l’amministrazione può riesaminare la
pratica anche dopo il rilascio del titolo che abilita
l’intervento edilizio: le vicende che coinvolgono il
permesso di costruire si sviluppano in autonomia, senza
interferire con le questioni che incidono su “an” e
“quantum” dell’obbligazione pecuniaria. Per tale ragione
l’amministrazione ha legittimamente fatto ricorso “ex post”
al potere di autotutela, pochi mesi dopo l’emissione del
titolo autorizzatorio e con largo anticipo rispetto al
compimento del termine prescrizionale (di 10 anni).
Sia nell’attuale normativa che in quella pregressa (art. 16
del D.P.R. 380/2001 e artt. 3, 5, 6 della L. 10/1977) alle
nuove edificazioni e agli altri interventi –comunque
soggetti a titolo abilitativo– corrisponde il pagamento di
un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione, nonché al costo di costruzione. La natura
giuridica del predetto contributo è quella di prestazione
patrimoniale imposta, anche indipendentemente dall’utilità
specifica del singolo concessionario, comunque tenuto a
concorrere alla spesa pubblica per le infrastrutture che
debbono accompagnare ogni nuovo insediamento edificatorio
(Consiglio di Stato, sez. VI – 25/08/2009 n. 5059).
Il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo
di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a
carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi
delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei
benefici che la nuova costruzione ne ritrae (cfr. per tutti
TAR Puglia Bari, sez. III – 10/02/2011 n. 243).
Dalla natura di prestazione obbligatoriamente dovuta
discende che il privato non può esimersi dal pagamento del
contributo, e che l’amministrazione può riesaminare la
pratica anche dopo il rilascio del titolo che abilita
l’intervento edilizio: le vicende che coinvolgono il
permesso di costruire si sviluppano in autonomia, senza
interferire con le questioni che incidono su “an” e “quantum”
dell’obbligazione pecuniaria. Per tale ragione
l’amministrazione ha legittimamente fatto ricorso “ex
post” al potere di autotutela, pochi mesi dopo
l’emissione del titolo autorizzatorio e con largo anticipo
rispetto al compimento del termine prescrizionale (di 10
anni) (TAR Marche – 31/01/2007 n. 8) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 10.08.2012 n. 1446 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Il termine di
prescrizione (decennale) per la riscossione del contributo
di concessione dovuto decorre dall'emanazione della
concessione edilizia.
Tali arresti giurisprudenziali costituiscono, peraltro,
puntuale applicazione del principio di cui all’art. 2935
c.c., secondo cui la prescrizione decorre dal giorno in cui
il diritto può essere fatto valere. L'obbligazione di
pagamento degli oneri concessori sorge, infatti, con il
rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è
concorde nel ritenere che la determinazione del contributo
dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al
momento in cui sorge l'obbligazione.
Il collegio
ritiene che il ricorso sia fondato per l’assorbente censura
relativa all’insussistenza, conseguente al decorso del
termine decennale di prescrizione, del potere esercitato dal
comune nel disporre la rideterminazione del contributo e nel
richiedere il conguaglio.
Per giurisprudenza costante, infatti, il termine di
prescrizione (decennale) per la riscossione del contributo
di concessione dovuto decorre dall'emanazione della
concessione edilizia (Cons. Stato, sez. IV, 16.01.2009, n.
216; 06.06.2008, n. 2686; sez. V, 13.06.2003, n. 3332).
Tali arresti giurisprudenziali costituiscono, peraltro,
puntuale applicazione del principio di cui all’art. 2935
c.c., secondo cui la prescrizione decorre dal giorno in cui
il diritto può essere fatto valere. L'obbligazione di
pagamento degli oneri concessori sorge, infatti, con il
rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è
concorde nel ritenere che la determinazione del contributo
dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al
momento in cui sorge l'obbligazione.
Essendo, dunque, trascorsi oltre tredici anni dal rilascio
della concessione edilizia (avvenuto il 07.08.1986) ed oltre
dodici anni dalla notificazione della stessa
(dell’11.05.1987), alla data dell’emanazione del
provvedimento impugnato (26.10.1999) il credito doveva in
ogni caso ritenersi estinto per prescrizione, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 2934, 2935 e 2946 c.c., non
essendo intervenuto alcun atto interruttivo della
prescrizione decennale e non potendo, quindi, il comune
intimato richiederne il pagamento (TAR Lombardia-Milano,
Sez. IV,
sentenza 07.05.2012 n. 1274 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Sulla prescrizione -o meno- di ogni
diritto dell’amministrazione a richiedere somme integrative
a distanza di oltre vent’anni dall’inoltro della domanda di
sanatoria e dal pagamento dell’oblazione autoliquidata.
Il Collegio ritiene fondato il ricorso in base
all’assorbente censura con la quale si deduce l’intervenuta
prescrizione di ogni diritto dell’amministrazione a
richiedere somme integrative a distanza di oltre vent’anni
dall’inoltro della domanda di sanatoria e dal pagamento
dell’oblazione autoliquidata.
In proposito, vanno in questa sede richiamate sinteticamente
le disposizioni di legge che disciplinano la prescrizione
delle pretese creditorie dei Comuni in tema di sanatoria
edilizia: da un lato, è stato stabilito dall’art. 35, co.
12, della L. 47/1985 in trentasei mesi il termine di
prescrizione “breve” per richiedere integrazioni o
conguagli dell’oblazione; mentre, dall’altra parte, soggiace
all’ordinario termine di prescrizione decennale il diritto
dell’ente pubblico a richiedere eventuali maggiorazioni
degli oneri concessori. Si richiama, sul punto, la seguente
giurisprudenza, anche di questa Sezione: Tar Catania, I,
1633/2007, 1987/2007, 4363/2010 e 557/2011; Tar Trentino
Alto Adige 234/2010; Tar Latina 1043/2009 e 1249/2008.
Il Collegio non ignora la più recente giurisprudenza del
giudice d’appello (sentenza C.G.A. n. 320/2011) in base alla
quale il termine di prescrizione breve (trentasei mesi) del
diritto al conguaglio previsto dall’art. 35, co. 12, per la
sanatoria disciplinata dalla L. 47/1985, non inizia a
decorrere prima che la documentazione da allegare alla
domanda sia completa.
Tuttavia, non può esser sottaciuto il fatto che nel caso di
specie –a fronte di una domanda di sanatoria presentata
dalla ricorrente nell’anno 1986– il Comune si sia attivato
per esaminare l’istanza e richiedere integrazione dei
documenti solo in data 16.12.2009, cioè a distanza di oltre
ventitre anni. Ciò consente di affermare che, da una parte,
ogni diritto ai conguagli richiesti sia definitivamente
estinto per l’avvenuta decorrenza del termine ordinario di
prescrizione decennale; né dall’altra parte potrebbe
predicarsi una diversa soluzione, perché sarebbe contrario
ad ogni principio buon andamento, efficienza e trasparenza
dell’azione amministrativa consentire in ogni tempo –anche a
distanza di molti anni- all’ente pubblico di formulare una
tardiva richiesta di integrazione documentale, all’evidente
fine di scongiurare il decorso di una prescrizione di fatto
già ampiamente maturata. Si ritiene, in altri termini, che
la richiesta proveniente dal Comune, avente ad oggetto
l’integrazione della documentazione necessaria al rilascio
della sanatoria edilizia, utile al fine di impedire il
perfezionarsi della prescrizione breve del diritto al
conguaglio dell’oblazione, non possa intervenire a distanza
di oltre vent’anni, quando già ogni pretesa risulta comunque
“coperta” dal decorso della prescrizione ordinaria
decennale.
In conclusione, allora, possono dirsi pacificamente decorsi
sia il termine breve di trentasei mesi che condiziona il
conguaglio dell’oblazione, sia quello ordinario decennale
che determina l’impossibilità giuridica di ridefinire gli
oneri concessori. Le pretese del Comune resistente vanno in
conclusione dichiarate prescritte, non rinvenendosi peraltro
negli scritti difensivi alcuna confutazione in ordine
all’eccepita prescrizione (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 24.04.2012 n. 1118 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La difformità tra gli interventi oggetto di
concessione edilizia e quelli effettivamente realizzati
legittima la richiesta di pagamento dei maggiori oneri
concessori.
E' legittimo il provvedimento con cui un Comune, a
distanza di cinque anni dal rilascio di una concessione
edilizia, chiede il pagamento di maggiori oneri concessori
in ragione di riscontrate difformità tra l'oggetto della
concessione e quanto effettivamente realizzato.
La ricorrente, ditta operante nel settore delle costruzioni
e titolare di una concessione edilizia, ha impugnato il
provvedimento con cui la società concessionaria del Comune
incaricata per la riscossione ha ingiunto alla medesima il
pagamento di maggiori oneri concessori.
Ha esposto che, a fondamento del contestato provvedimento,
vi erano gli esiti della verifica svolta sulla correttezza
degli oneri concessori determinati a suo tempo dalla civica
P.A. e versati dalla deducente in sede di rilascio di
concessione edilizia e successiva variante.
In considerazione di tanto, ha eccepito, oltre al resto, la
violazione dei principi in materia di autotutela
amministrativa, sia in relazione al periodo di tempo
ragionevole entro il quale la P.A. avrebbe potuto esercitare
il potere, sia con riguardo alla omessa comparazione dei
contrapposti interessi.
Il ricorso è stato rigettato.
Il G.A. di Ancona, in primis, ha rilevato come nella
vicenda non fosse configurabile l’esercizio del potere di
autotutela da parte del Comune, trattandosi di controversia
afferente diritti soggettivi.
Pertanto, ferma restando la facoltà per il destinatario
dell’atto con cui gli viene chiesto il pagamento degli oneri
concessori di agire eventualmente nei riguardi del creditore
per violazione del principio di buona fede, il giudicante ha
evidenziato come, in linea di principio, il pagamento degli
stessi oneri potesse essere chiesto dalla P.A. nel termine
di prescrizione decennale.
Al contempo, l’adito TAR ha rilevato la legittimità
dell’operato della società concessionaria che, in luogo di
un eventuale riesame della decisione assunta a suo tempo dal
Comune, aveva chiesto il pagamento di maggiori oneri
concessori in virtù di una nuova verifica dei dati
progettuali.
Di conseguenza, il Collegio, con riferimento al merito della
vicenda, ha chiarito come la richiesta di pagamento di
maggiori oneri concessori fosse derivata dalla circostanza
per cui alcune porzioni degli immobili realizzati erano
state erroneamente considerate come superfici non
residenziali e, dunque, non computate secondo le percentuali
previste dalla normativa di riferimento.
Invero, ha precisato che il contributo introdotto dalla L.
n. 10/1977 -poi confermato dall’attuale T.U. n. 380/2001- ha
due componenti, gli oneri di urbanizzazione, il cui calcolo
deve aver riguardo al volume dell’edificio realizzato e il
costo di costruzione da determinarsi in base alla
superficie.
Conseguentemente, avuto riguardo al vano tecnico
dell’ascensore di uno dei fabbricati realizzati, lo stesso
doveva essere computato, atteso che, ai sensi dell’art. 11,
Regolamento Regione Marche n. 6/1977, solo i vani tecnici
che fuoriescono dalla linea di gronda dell’edificio non
possono essere considerati ai fini della determinazione del
volume complessivo: nella specie, si trattava di locale
situato al piano interrato e che dunque non fuoriusciva
dalla linea di gronda.
Inoltre, ha osservato come negli elaborati grafici versati
agli atti, quello che la ricorrente aveva qualificato come “sottotetto
non abitabile” (e dunque volume tecnico), fosse in
realtà parte integrante del primo piano dell’edificio;
pertanto, l’altezza del primo piano era stata correttamente
calcolata dalla società di riscossione.
Per quanto riguarda la riduzione delle unità immobiliari
complessive, il G.A. marchigiano ha chiarito che se ciò non
aveva implicato aumento di superficie o di volume, aveva
invece inciso sulla classe di maggiorazione da applicare,
essendo stato realizzato un appartamento avente superficie
superiore a 110 mq.
Infine, anche per quanto attiene alle taverne, i calcoli
eseguiti dalla società di riscossione sono stati ritenuti
corretti stante l’evidente differenza fra cantina e taverna.
Difatti, nella variante all’originaria concessione, poiché i
locali interessati risultavano indicati espressamente come
taverne (munite per lo più di servizi igienici), gli stessi
sono stati ritenuti a servizio della residenza e dovevano
essere computati al 50% (art. 11, Regolamento regionale n.
6/1977).
Alla stregua di tanto, il TAR di Ancona, reputando corretti
i calcoli effettuati dalla società concessionaria, ha
respinto il gravame, per l’effetto confermando il
provvedimento di accertamento e richiesta in pagamento dei
maggiori oneri concessori (commento tratto da www.ipsoa.it -
TAR Marche,
sentenza 20.04.2012 n. 289 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
La prescrizione decennale del diritto
del Comune ad ottenere il pagamento del contributo
concessorio inizia a decorrere dalla data di presentazione
della domanda di condono.
Secondo consolidata giurisprudenza il silenzio-accoglimento
si perfeziona anche se mancano i presupposti per
l'accoglimento della domanda e addirittura -come affermato
dalla IV sezione del Consiglio di Stato 20.05.1999, n. 858-
per le "domande dirette alla concessione di costruzione
in sanatoria relative a opere compiute oltre la data
dell'01.10.1983, essendo il compimento delle opere abusive
entro la predetta data requisito necessario ai fini del
rilascio di provvedimento ai sensi e per gli effetti di cui
all'art. 35 della legge 28.02.1985 n. 47, ma non per il mero
verificarsi della fattispecie complessa di
silenzio-accoglimento" (cfr. Cons. Stato, Sez. V,
14.04.1993, n. 496, id. 26.10.1994, n. 1385, id. 07.12.1995,
n. 1672, id. 24.03.1997, n. 286), e che il silenzio assenso
così formatosi può essere rimosso solo mediante l'esercizio
del potere di annullamento di ufficio da parte del Comune
(cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24.03.1997, n. 286), misura di
autotutela che consente di contemperare il ripristino della
legalità con l'esigenza, pure avvertita dal legislatore, di
rendere effettivamente praticabile l'istituto del silenzio
accoglimento (così Cons. St., V, n. 4114/2006).
Il Collegio osserva che, per quanto riguarda l’asserito
difetto di motivazione in cui sarebbe incorso il Giudice di
primo grado, per non avere indicato le ragioni per le quali
è giunto alla determinazione di ritenere che nella specie si
fosse formato il silenzio-assenso e fosse intervenuta la
prescrizione decennale del diritto del Comune di pretendere
il pagamento del contributo concessorio, dalla
documentazione acquisita in giudizio si ricava che le
circostanze dedotte dal ricorrente a sostegno dell’avvenuta
formazione del silenzio–assenso risultavano comprovate (il
ricorrente aveva infatti prodotto in giudizio sia la copia
della domanda di condono edilizio, sia la copia delle
attestazioni dei versamenti della intera oblazione).
Non gravava pertanto sul TAR l’onere di fornire una
motivazione particolare in ordine alla sussistenza dei
presupposti per la formazione del silenzio–assenso. Non pare
tuttavia inutile aggiungere che, come correttamente osserva
l’appellato, la censura muove dall’assunto che il termine
decennale di prescrizione debba decorrere non già dal
compimento dei due anni successivi alla presentazione della
domanda di condono, ma dalla data del pagamento dell’ultima
rata del condono edilizio (pagamento eseguito il
04.10.1986).
Sennonché tale presupposto è errato dato che l’art. 35,
comma 18, della l. n. 47/1985 dispone chiaramente che “decorso
il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla
presentazione della domanda, quest'ultima si intende accolta
ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme
eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione
all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria
all'accatastamento…”. Il “dies a quo” dal quale
far decorrere il termine decennale di prescrizione va quindi
individuato nella data della presentazione della domanda di
condono (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.03.2012 n. 1364 - massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
In materia di prescrizione degli oneri
di urbanizzazione e dei contributi commisurati al costo di
costruzione, in assenza di diversa disposizione normativa,
il termine prescrizionale è quello ordinario decennale.
In materia di prescrizione degli oneri di urbanizzazione e
dei contributi commisurati al costo di costruzione, in
assenza di diversa disposizione normativa, il termine
prescrizionale è quello ordinario decennale (tra le tante,
TAR Campania Napoli, sez. VIII, 14.01.2011, n. 152). E’
evidente che se fosse condivisibile la tesi comunale,
sarebbe praticamente impossibile l’operatività del suddetto
meccanismo prescrizionale, atteso che il debitore sarebbe
costituito in mora automaticamente allo spirare del termine
ultimo di pagamento, senza la necessità di alcuna
attivazione da parte dell’amministrazione creditrice.
Deve inoltre rilevarsi che il modo di costituzione in mora
del debitore (ex persona, art. 1219, primo comma, c.c., o
ex re, art. 1219, secondo comma, n. 3), stesso codice),
rileva ai soli fini del risarcimento del danno e del
regolamento del rischio per il perimento della cosa oggetto
della prestazione e dell’impossibilità sopravvenuta (art.
1221 c.c.), ma non incide sul decorso della prescrizione. Se
è vero che la messa in mora del debitore, ex art. 1219,
primo comma, interrompe senz’altro la prescrizione (art.
2943, ultimo comma, c.c.), non è vera l’implicazione secondo
cui quando non occorre la messa in mora (mora ex re)
non occorra interrompere la prescrizione. Il decorso della
prescrizione opera indifferentemente per entrambe le
tipologie di obbligazioni dal giorno in cui il diritto può
essere fatto valere (art. 2935 c.c.).
Il fatto che le obbligazioni nei confronti delle pubbliche
amministrazioni siano di regola eseguibili al domicilio del
creditore (portabili) non ha nessuna incidenza, dunque, sul
decorso e sul regime interruttivo della prescrizione (TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 12.03.2012 n. 1237 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Sia ai sensi del previgente art. 11,
comma 2, L. n. 10/1977, sia ai sensi del vigente art. 16,
comma 3, DPR n. 380/2001 “la quota del contributo relativa
al costo di costruzione, determinata all’atto di rilascio, è
corrisposta in corso d’opera, con le modalità e garanzie
stabilite dal Comune non oltre 60 giorni dall’ultimazione
della costruzione”.
Pertanto, merita adesione l’orientamento giurisprudenziale
secondo cui per il credito a titolo di costo di costruzione
il dies a quo del termine ordinario prescrizionale non
decorre dalla data stabilita in concessione per
l’ultimazione dei lavori, ma da quella in cui l’opera è
stata effettivamente ultimata, tenuto conto che di questo
elemento di fatto deve essere data contezza
all'Amministrazione da parte del privato. Sicché, in difetto
di tale elemento, il termine prescrizionale non decorre nei
confronti dell’Amministrazione creditrice in quanto il
contributo relativo al costo di costruzione non può essere
esigibile prima della scadenza del sessantesimo giorno
dall'ultimazione delle opere, ai sensi dell'art. 11, comma
2, L. n. 10/1977 (ora sostituito dall’art. 16, comma 3, DPR
n. 380/2001), per cui solo la scadenza di detto termine può
determinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione
decennale del diritto, tenuto pure conto dell’art. 2935
C.C., secondo cui, in generale, la prescrizione non può
decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere
fatto valere.
Sia ai sensi del previgente art. 11, comma 2, L. n. 10/1977,
sia ai sensi del vigente art. 16, comma 3, DPR n. 380/2001 “la
quota del contributo relativa al costo di costruzione,
determinata all’atto di rilascio, è corrisposta in corso
d’opera, con le modalità e garanzie stabilite dal Comune non
oltre 60 giorni dall’ultimazione della costruzione”.
Pertanto, merita adesione l’orientamento giurisprudenziale
(TAR Catanzaro I,. n. 522 del 14.04.2011; TAR Napoli, II, n.
3147 dell’08.06.2009; TAR Sardegna, II, n. 9 del 14.01.2008;
TAR Umbria, n. 512 del 23.06.2003), secondo cui per il
credito a titolo di costo di costruzione il dies a quo
del termine ordinario prescrizionale non decorre dalla data
stabilita in concessione per l’ultimazione dei lavori, ma da
quella in cui l’opera è stata effettivamente ultimata,
tenuto conto che di questo elemento di fatto deve essere
data contezza all'Amministrazione da parte del privato.
Sicché, in difetto di tale elemento, il termine
prescrizionale non decorre nei confronti
dell’Amministrazione creditrice in quanto il contributo
relativo al costo di costruzione non può essere esigibile
prima della scadenza del sessantesimo giorno
dall'ultimazione delle opere, ai sensi dell'art. 11 comma 2,
L. n. 10/1977 (ora sostituito dall’art. 16, comma 3, DPR n.
380/2001), per cui solo la scadenza di detto termine può
determinare il dies a quo di decorrenza della
prescrizione decennale del diritto, tenuto pure conto
dell’art. 2935 C.C., secondo cui, in generale, la
prescrizione non può decorrere se non dal giorno in cui il
diritto può essere fatto valere.
Pertanto, poiché il ricorrente oltre a non aver comunicata
l’ultimazione dei lavori (circostanza esplicitamente dedotta
dal Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di
Pomarico nella nota prot. n. 6740 del 07.12.2011 e non
smentita dal ricorrente, per cui, nella specie, va applicato
il principio di non contestazione di cui al vigente art.
115, comma 1, C.P.C., previsto anche dall’art. 64, comma 2,
Cod. Proc. Amm.), non ha provato la conoscenza da parte del
Comune resistente dell’ultimazione delle opere assentite o
anche l’ultimazione dei lavori 10 anni prima della ricezione
della nota Responsabile Servizio Urbanistica Comune di
Pomarico prot. n. 2586 del 5.5.2011, deve ritenersi non
prescritto il diritto al pagamento del costo di costruzione,
la cui quantificazione di 2.891,49 € non è stata contestata
dal ricorrente (TAR Basilicata,
sentenza 15.02.2012 n. 71 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Se il termine di prescrizione per la
riscossione degli oneri concessori decorre dalla data di
emanazione del provvedimento, non può ragionevolmente
ritenersi che il termine per il pagamento decorra da una
data diversa.
L’art. 16 del D.P.R. 380 del 2001 (Contributo per il
rilascio del permesso di costruire), che corrisponde agli
artt. 3, 5 comma 1 e 6, commi 1, 4 e 5 della legge
28.01.1977, n. 10, dopo aver previsto (comma 1) che “il
rilascio del permesso di costruire comporta la
corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza
degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione, secondo le modalità indicate nel presente
articolo”, stabilisce (comma 2) che “la quota di
contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è
corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di
costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere
rateizzata…….”
La questione dunque si incentra sull’interpretazione
dell’espressione “all’atto del rilascio”, che dalla
legge è lasciata genericamente vaga, in quanto la
disposizione in questione non individua con esattezza se il
rilascio (e quindi, il momento di decorrenza del termine per
il pagamento degli oneri concessori) coincida col momento
della emanazione della concessione edilizia, o con quello
della notifica/comunicazione ovvero ancora, come sostenuto
dalla ricorrente, dal momento della sua “efficacia”.
Sulla questione il collegio esprime le seguenti
considerazioni.
Il termine “rilascio” lo si rinviene anche nell’art.
12 del D.P.R. 380 del 2001 (“Presupposti per il rilascio
del permesso di costruire”) e nelle disposizioni
successive.
In particolare l’art. 15 del D.P.R. 380/2001 stabilisce al
comma 2 che “il termine per l'inizio dei lavori non può
essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo”,
rilascio che, in base all’art. 20, viene fatto coincidere
con la sua emanazione, in quanto “il provvedimento
finale, che lo sportello unico provvede a notificare
all'interessato, e' adottato dal dirigente o dal
responsabile dell'ufficio”……
In realtà in giurisprudenza la questione non è pacifica, in
quanto, a fronte di un orientamento che nega la recettizietà
della concessione, “essendo di per sé idonea a produrre
gli effetti suoi propri fin dalla data della sua emanazione
indipendentemente dalla comunicazione all'interessato“
(così TAR Liguria, sez. I, 11.03.2003, n. 279), esistono
altri orientamenti favorevoli a far coincidere il rilascio
con la consegna del provvedimento all’interessato, nelle
forme facenti fede, almeno ai fini del decorso del termine
di decadenza per l’inizio e l’ultimazione dei lavori (TAR
Liguria, sez. I, 17.02.2011, n. 322; TAR Salerno, sez. II,
16.12.2009, n. 7923; TAR Catania, sez. I, 07.04.2009, n.
678).
Il collegio ritiene che questo secondo orientamento sia
fortemente influenzato dalla opportunità di evitare al
destinatario del provvedimento concessorio di incorrere in
una decadenza per un fatto in qualche modo ascrivibile
all’amministrazione procedente, in quanto la stessa deve
mettere in condizione il privato richiedente di venire a
conoscenza del contenuto del provvedimento concessorio, al
fine di poter procedere con i lavori entro gli effettivi
termini di legge (termini che non sarebbero effettivi se si
facessero decorrere dalla data di emanazione della
concessione edilizia).
È invece più coerente con il sistema ritenere che
determinati effetti automatici del provvedimento,
indipendenti dall’apporto del destinatario dello stesso,
dipendano dalla data di materiale emissione del
provvedimento amministrativo. Tra questi effetti, vi è anche
il decorso del termine per il pagamento degli oneri
concessori, che sono calcolati dal Comune e collegati
direttamente alla venuta in essere del permesso di
costruire.
In questo senso la liquidazione dei contributi per oneri
concessori discende direttamente e automaticamente dal
rilascio della concessione edilizia, la quale si configura
quale fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del
concessionario di corrispondere quanto determinato a titolo
di contributo (in questi termini, CGA, 13.12.2010 n. 1483),
e non con la successiva ed eventuale attuazione di esso, in
quanto la realizzazione delle opere assentite può difettare
per fatto del concessionario.
Coerentemente con questo, in giurisprudenza si è detto che
l'ordinario termine di prescrizione decennale per la
riscossione degli oneri di urbanizzazione decorre dalla data
di emanazione del provvedimento concessorio (cfr. Tar
Napoli, sez. II, 20.07.2007 n. 6891; id., 11.07.2006, n.
7392; Tar Catanzaro 22.11.2000 n. 1439; Tar Pescara
10.05.2002 n. 477).
Se dunque il termine di prescrizione per la riscossione
degli oneri concessori decorre dalla data di emanazione del
provvedimento, non può ragionevolmente ritenersi che il
termine per il pagamento decorra da una data diversa, anche
per le ragioni sopra esposte (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 18.01.2012 n. 126 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
La giurisprudenza amministrativa, a
motivo della natura di azione di accertamento e condanna
della domanda giudiziale volta ad ottenere il rimborso degli
oneri concessori, opina che l’azione possa essere esperita
anche senza la previa impugnazione della concessione
edilizia.
Si è infatti condivisibilmente affermato che “L'azione volta
alla declaratoria del diritto a vedersi restituite le
maggiori somme versate al Comune a titolo di oneri
concessori può essere proposta a prescindere
dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con il quale
viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di
accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario” e
altresì che la domanda di restituzione degli oneri
concessori “può essere proposta nel termine della
prescrizione ordinaria ed indipendentemente
dall'impugnazione di atti”, per cui riguardando diritti
soggettivi perfetti può essere proposta nell’ordinario
termine di prescrizione anziché in quello di decadenza che
astringe l’impugnazione di atti.
Si è in tale ottica da ultimo affermato che “la relativa
controversia (devoluta alla giurisdizione del giudice
amministrativo già dall'art. 16 della l. 28.01.977 n. 10) è
un giudizio di carattere civile relativo all'esistenza o
all'entità di un'obbligazione legale”.
---------------
L’art. 7 della L. 25.03.1982, n. 94 che reca il regime di
gratuità dell’autorizzazione edilizia –per gli immobili
vincolati, della concessione– non distingue tra uso
residenziale ed uso diverso degli immobili e si applica
indistintamente a qualsivoglia intervento di restauro e
risanamento conservativo stando alla “applicazione della
citata norma che non distingue tra edifici residenziali o
meno”.
Il regime della autorizzazione edilizia gratuita si sensi
dell'art. 7 l. 25.03.1982 n. 94, trova applicazione anche
per gli interventi di restauro e risanamento conservativo,
così come definiti dall'art. 31, lett. c), l. 05.08.1978 n.
457, siano essi afferenti ad edifici residenziali in senso
stretto ovvero ad edifici non residenziali, ma comunque
idonei allo svolgimento di attività umane” .
L'art. 7, comma 1, l. 25.03.1982 n. 94, secondo cui gli
interventi di risanamento conservativo sono sottoposti ad
autorizzazione gratuita, trova applicazione non solo nel
caso in cui il risanamento concerna immobili destinati ad
uso residenziale, ma, anche per gli edifici adibiti ad altri
usi (nella specie uso commerciale).
---------------
Sulle somme da restituire a titolo di oneri concessori non
spetta la rivalutazione monetaria ma solo gli interessi:
infatti, la domanda di rivalutazione monetaria avanzata con
riferimento all'indebito pagamento di oneri di
urbanizzazione deve essere respinta tenuto conto che
l'obbligazione di restituzione dell'indebito genera, ai
sensi dell'art. 2033 c.c., esclusivamente l'obbligazione
accessoria di interessi.
Deve in primo luogo scrutinarsi l’eccezione di
inammissibilità della domanda volta ad ottenere la
restituzione degli oneri concessori versati per il rilascio
della concessione edilizia del 1985 sollevata dal Comune
nella memoria dell’08.04.2011 sul rilievo che detta
concessione non è stata impugnata.
L’eccezione non ha pregio e va disattesa poiché la
giurisprudenza amministrativa a motivo della natura di
azione di accertamento e condanna della domanda giudiziale
volta ad ottenere il rimborso degli oneri in questione opina
che l’azione possa essere esperita anche senza la previa
impugnazione della concessione edilizia.
Si è infatti condivisibilmente affermato che “L'azione
volta alla declaratoria del diritto a vedersi restituite le
maggiori somme versate al Comune a titolo di oneri
concessori può essere proposta a prescindere
dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con il quale
viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di
accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario”
(TAR Puglia – Lecce, Sez. I. 07.04.2009, n. 686) e altresì
che la domanda di restituzione degli oneri concessori “può
essere proposta nel termine della prescrizione ordinaria ed
indipendentemente dall'impugnazione di atti” (TAR Lazio,
Sez. II, 17.05.2005, n. 3844), per cui riguardando diritti
soggettivi perfetti può essere proposta nell’ordinario
termine di prescrizione anziché in quello di decadenza che
astringe l’impugnazione di atti (TAR Campania – Napoli IV,
13.09.2004 n. 11949).
Si è in tale ottica da ultimo affermato che “la relativa
controversia (devoluta alla giurisdizione del giudice
amministrativo già dall'art. 16 della l. 28.01.977 n. 10) è
un giudizio di carattere civile relativo all'esistenza o
all'entità di un'obbligazione legale” (TAR Lombardia –
Brescia, Sez. I, 02.11.2010, n. 4519).
---------------
Secondo pacifica
giurisprudenza, condivisa dal Tribunale e contrariamente al
lontano precedente di cui a TAR Piemonte, Sez. I, n. 87/1994
dal quale il Collegio dissente, l’art. 7 della L.
25.03.1982, n. 94 che reca il regime di gratuità
dell’autorizzazione edilizia –per gli immobili vincolati,
della concessione– non distingue tra uso residenziale ed uso
diverso degli immobili e si applica indistintamente a
qualsivoglia intervento di restauro e risanamento
conservativo stando alla “applicazione della citata norma
che non distingue tra edifici residenziali o meno” (TAR
Toscana, Sez. II, 31.01.2000, n. 22).
Ancor più significativamente il Giudice amministrativo, nel
precedente correttamente segnalato dalla difesa della
ricorrente, ha avuto modo di precisare che “Il regime
della autorizzazione edilizia gratuita si sensi dell'art. 7
l. 25.03.1982 n. 94, trova applicazione anche per gli
interventi di restauro e risanamento conservativo, così come
definiti dall'art. 31, lett. c), l. 05.08.1978 n. 457, siano
essi afferenti ad edifici residenziali in senso stretto
ovvero ad edifici non residenziali, ma comunque idonei allo
svolgimento di attività umane” (TAR Liguria, Sez. I,
25.11.1999, n. 495; contra TAR Piemonte, sez. I, 03.03.1994,
n. 87).
Segnala il Collegio che il cennato principio di gratuità era
stato già espresso dal Consiglio di Stato che aveva chiarito
che “L'art. 7, comma 1, l. 25.03.1982 n. 94, secondo cui
gli interventi di risanamento conservativo sono sottoposti
ad autorizzazione gratuita, trova applicazione non solo nel
caso in cui il risanamento concerna immobili destinati ad
uso residenziale, ma, anche per gli edifici adibiti ad altri
usi (nella specie uso commerciale)” (Consiglio di Stato,
Sez. V, 24.07.1993, n. 799).
In accoglimento del presente motivo deve dunque dichiararsi
che illegittimamente il Comune di Torino ha preteso in sede
di rilascio della C.E. n. 396/1985 il costo di costruzione e
gli oneri di urbanizzazione per la porzione di immobile
destinata a terziario.
---------------
Si è affermato che sulle somme da restituire a titolo di
oneri concessori non spetta la rivalutazione monetaria ma
solo gli interessi: “La domanda di rivalutazione
monetaria avanzata con riferimento all'indebito pagamento di
oneri di urbanizzazione deve essere respinta tenuto conto
che l'obbligazione di restituzione dell'indebito genera, ai
sensi dell'art. 2033 c.c., esclusivamente l'obbligazione
accessoria di interessi” (Consiglio di Stato, Sez. IV,
24.7.1993, n. 799; TAR Emilia – Romagna, Parma, 07.04.1998,
n. 149; da ult. TAR Lombardia – Brescia, Sez. I, 02.11.2010,
n. 4519)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 01.12.2011 n. 1262 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Quantificazione oneri concessori -
Possibilità del privato di versare la maggiore somma da lui
quantificata - Sussiste - Possibilità di revisione
dell'importo per volontà unilaterale del privato - Non
sussiste - Ratio.
2. Concessione di costruzione - Contributi - Pagamento -
Ritardo - Escussione fideiussione - Obbligo della P.A. - Non
sussiste - Ratio.
3. Concessione di costruzione - Contributi - Diritto di
credito della P.A. - Termine di prescrizione decennale.
4. Concessione di costruzione - Contributi - Pagamento -
Ritardo o omissione - Sanzioni pecuniarie - Termine di
prescrizione quinquennale.
5. Concessione di costruzione - Contributi - Pagamento -
Omissione - Sanzioni pecuniarie - Termine di prescrizione
quinquennale - Dies a quo.
6. Oblazione e oneri concessori - Controversie in tema di
corretta quantificazione - Attengono a diritti soggettivi
delle parti - Configurabilità del vizio di difetto di
motivazione - Non sussiste - Ratio.
1. Qualora si verta in tema di diritti disponibili, la parte
promittente può liberamente assumere impegni patrimoniali a
prescindere da un obbligo normativo o, comunque, più onerosi
rispetto a quelli astrattamente previsti dalla legge (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 4015/2005, n. 1209/1999; TAR
Milano, sent. n. 196/2010): in particolare, a fronte di un
atto con cui il privato ha quantificato l'ammontare del
contributo dovuto per il rilascio di un permesso di
costruire ed ha assunto con la P.A. l'impegno a versare la
somma così quantificata, non è, quindi, consentito alla
parte promittente porre unilateralmente in discussione, in
un momento successivo, quanto da essa stessa dichiarato e
sottrarsi ad obblighi liberamente assunti, a meno che faccia
valere una causa di invalidità o un motivo di risoluzione
dell'accordo.
2. A fronte del ritardato pagamento degli oneri concessori,
la P.A. non ha un obbligo di attivarsi nei confronti del
garante per il recupero di quanto dovuto (cfr. TAR, Milano,
sent. n. 4405/2009, n. 4306/2009; Cons. di Stato, sent. n.
4419/2007, n. 6345/2005; TAR Salerno, sent.n. 1936/2008).
Infatti, la fideiussione che accompagna la rateizzazione del
pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità
di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al
pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata
unicamente nell'interesse della P.A., sulla quale non
incombe, quindi, alcun obbligo di preventiva escussione del
fideiussore; la garanzia sussidiaria serve a scongiurare che
il Comune possa irrimediabilmente perdere una entrata di
diritto pubblico, ma non alleggerisce affatto la posizione
del soggetto tenuto al pagamento, né attenua i doveri di
diligenza sullo stesso incombenti, né estingue di per sé
l'obbligazione principale (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
6345/2005).
3. Il diritto di credito della P.A. comunale avente ad
oggetto il pagamento del contributo dovuto per il rilascio
della concessione edilizia è soggetto all'ordinario termine
decennale di prescrizione, decorrente dalla data di rilascio
della concessione edilizia (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
2686/2008, n. 4302/2000).
4. Le sanzioni pecuniarie previste all'art. 42, D.P.R. n.
380/2001 per i casi di ritardato o omesso versamento del
contributo di costruzione sono soggette -in mancanza di una
diversa disciplina legale- al termine di prescrizione di
cinque anni stabilito dall'art. 28, Legge n. 689/1981 (cfr.
Cass. Civ., sent. n. 23633/2006; TAR Cagliari, sent. n.
70/2008; TAR, Salerno, sent. n. 647/2005; TAR Catanzaro,
sent. n. 1514/2001; TAR Catania, sent. n. 701/2006).
5. In caso di omesso pagamento del contributo, il dies a
quo del termine di prescrizione quinquennale va
individuato nella scadenza del termine di 240 giorni
successivi alla data prevista per il pagamento del
contributo (cfr. TAR Potenza, sent. n. 141/2008).
6. Le controversie relative all'an ed al quantum
delle somme dovute a titolo di oblazione e di oneri
concessori, riservate dalla legge alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, riguardano diritti
soggettivi delle parti, rispetto alle quali non è
configurabile il vizio di difetto di motivazione: infatti,
le operazioni di corretta quantificazione dell'oblazione e
degli atti concessori si esauriscono in una mera operazione
materiale che, se errata, può comportare soltanto la
violazione dei criteri fissati dalla normativa ovvero dalla
P.A. con norme di natura regolamentare e, quindi, la
sussistenza del solo vizio di violazione di legge, potendo
l'interessato, sulla base dei predetti criteri generali,
contestare l'erroneità della quantificazione operata dalla
P.A., evidenziando ad esempio l'erroneità dei calcoli ovvero
dei presupposti di fatto o di diritto (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 4217/2000; TAR Milano, sent. n. 97/2011 e n.
4455/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.09.2011 n. 2189 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il fatto costitutivo dell’obbligo
giuridico del titolare della concessione edilizia, di
versare il contributo previsto, è rappresentato dal rilascio
della concessione medesima, ed è a tale momento, quindi, che
occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del
contributo, divenendo il relativo credito certo, liquido o
agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilievo in senso contrario può assumere la
circostanza che al Comune sia espressamente riconosciuta la
facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento
del contributo, atteso che l’atto di imposizione non ha
carattere autoritativo ma si risolve in un mero atto
ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti
provvedimenti di carattere generale, e la sua mancata
tempestiva adozione non implica alcun potere
dell’Amministrazione di differire il suo diritto di credito,
configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto
stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione.
Sicché, il dies a quo da cui far decorrere il termine
decennale di prescrizione comincia decorrere dal momento
stesso del rilascio della concessione edilizia.
I ricorrenti ... hanno eccepito l’avvenuta prescrizione del
diritto di credito, tardivamente azionato dal Comune di
Poggiomarino dopo oltre dieci anni dal rilascio dei titoli
edilizi.
Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
Invero, sulla questione di diritto posta a base dell’odierna
controversia, concernente l’individuazione del dies a quo
da cui far decorrere il termine decennale di prescrizione,
sono state formulate in giurisprudenza diverse soluzioni
interpretative del quadro normativo di riferimento (artt. 1,
3, 4, 6 e 11, comma 2, della L. 28.01.1977 n. 10, vigente
ratione temporis).
Secondo un primo indirizzo, seguito in passato anche
da questa Sezione, la prescrizione del diritto al
contributo, rapportato al costo di costruzione, comincia a
decorrere dall’ultimazione delle opere, la cui prova deve
essere fornita da chi intende avvalersi della prescrizione
stessa, per cui il mancato assolvimento dell’onere pone a
carico dell’inadempiente il protrarsi dell’esercitabilità
dell’azione di recupero del credito, il cui termine
prescrizionale non inizia decorrere (cfr. TAR Calabria,
Catanzaro, Sezione II, 22.01.2007 n. 21; TAR Campania,
Napoli, Sezione II, 30.06.2004 n. 9821 e 11.07.2006 n.
7392). Una diversa opzione ermeneutica, valorizzando il
disposto dell’art. 4, comma 4, della L. n. 10/1977 –secondo
cui l’opera deve essere comunque ultimata (abitabile o
agibile), salvo proroga, entro tre anni dal rilascio della
concessione– sostiene che, in mancanza di una specifica
dichiarazione di ultimazione dei lavori, la prescrizione
inizia a decorrere ma il dies a quo deve essere
portato avanti di un triennio (cfr. in termini, con riguardo
ad altri ricorsi proposti contro lo stesso Comune di
Poggiomarino, TAR Campania, Sezione II, 23.10.1997 n. 2611 e
2612).
Secondo altro orientamento, riaffermato anche di
recente dal Giudice d’appello, il detto termine di
prescrizione comincia invece a decorrere dal momento stesso
del rilascio della concessione edilizia (cfr. TAR Campania,
Salerno, Sezione II, 04.04.2008 n. 474; Consiglio di Stato,
Sezione V, 13.06.2003 n. 3332 e Sezione IV, 16.01.2009 n.
216, con cui è stata riformata la sopra citata sentenza di
questa Sezione n. 7392/2006).
Il Collegio ritiene di aderire a quest’ultimo indirizzo, in
quanto fornisce la più convincente ricostruzione
interpretativa dell’insieme di previsioni normative sopra
evocate.
La disposizione dell’art. 11 della legge n. 10 del 1977, in
tema di Versamento del contributo afferente alla
concessione, stabilisce quanto segue: “La quota di
contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata
all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in
corso d’opera con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla
ultimazione delle opere”.
Come condivisibilmente argomentato nell’ultima decisione
citata del Consiglio di Stato (n. 216/2009), le cui
considerazioni vanno integralmente richiamate, da tale norma
si desume “che il fatto costitutivo dell’obbligo
giuridico del titolare della concessione edilizia, di
versare il contributo previsto, è rappresentato dal rilascio
della concessione medesima, ed è a tale momento, quindi, che
occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del
contributo, divenendo il relativo credito certo, liquido o
agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilievo in senso contrario può assumere la
circostanza che al Comune sia espressamente riconosciuta la
facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento
del contributo, atteso che l’atto di imposizione non ha
carattere autoritativo ma si risolve in un mero atto
ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti
provvedimenti di carattere generale, e la sua mancata
tempestiva adozione non implica alcun potere
dell’Amministrazione di differire il suo diritto di credito,
configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto
stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione”
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 28.06.2011 n. 3456 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Se è vero che l'atto di quantificazione
dei contributi concessori ha carattere "paritetico", e
quindi che non è espressione di discrezionalità, ciò non
significa che il rapporto giuridico sottostante
all’obbligazione per cui è causa abbia natura strettamente
privatistica e risponda, in quanto tale, ai canoni
civilistici.
Le norme civilistiche relative a contratti e obbligazioni si
riferiscono, infatti, a rapporti in cui le parti sono
titolari di diritti disponibili e godono di autonomia
negoziale nel definire l'assetto dei rispettivi interessi e
proprio tali caratteri giustificano la disciplina
riguardante i vizi della volontà, la tutela
dell'affidamento, gli effetti della condotta soggettiva
nell' ambito dell' autoresponsabilità: tutti principi,
questi, che postulano uno spazio di autonomia e che
implicano l'esercizio di una volontà negoziale.
L'obbligazione relativa al pagamento degli oneri concessori
è per contro di fonte legale e non negoziale: essa non
deriva da un atto di volontà del Comune, ma direttamente
dalla legge e dall'applicazione di rigidi parametri di
calcolo definiti in via regolamentare.
L'obbligazione de qua trova, infatti, presupposto e
fondamento in norme imperative, che impongono al titolare
del permesso di costruire di versare di un contributo
pubblico quale forma di compartecipazione ai costi per
l'urbanizzazione del territorio.
Tale contributo risponde ad un interesse pubblico e
configura un diritto indisponibile per l'Amministrazione.
Ne consegue che l'atto con il quale l'Ufficio quantifica gli
oneri de quibus non ha natura costitutiva, ma è meramente
ricognitivo di un credito preesistente, la cui
determinazione ha contenuto vincolato essendo effettuata
sulla base di parametri generali predeterminati.
---------------
Non è fondato l'assunto secondo cui gli oneri concessori non
potrebbero essere ricalcolati dopo il rilascio del permesso
di costruire, se inizialmente liquidati in modo erroneo.
Ciò in quanto, come già chiarito, l’atto con il quale
l'Amministrazione comunale quantifica i contributi in esame
ha carattere puramente ricognitivo e contabile, in quanto
l'ammontare del credito è predeterminato sulla base di
rigidi criteri di calcolo definiti con atto regolamentare.
Anche dopo il rilascio della concessione edilizia, pertanto,
il Comune può provvedere al corretto riconteggio del
contributo dovuto, a prescindere da un'espressa riserva in
tal senso, in quanto il credito esiste indipendentemente
dall'atto contabile che lo quantifica: la rettifica è
pertanto consentita ogni qual volta sia ravvisabile un
errore, dovuto a qualsiasi ragione, nella liquidazione o nel
calcolo del contributo concessorio.
--------------
Erroneo è l'assunto dei ricorrenti secondo cui il Comune
sarebbe vincolato "al contenuto della propria manifestazione
di volontà a titolo di autoresponsabilità per l'affidamento
incolpevole ingenerato nel soggetto obbligato", posto che
l'atto di quantificazione degli oneri concessori non è, in
senso proprio, una manifestazione di volontà
dell'Amministrazione ma il risultato di un mero calcolo
matematico, effettuato sulla base di parametri oggettivi
noti e comunque ben conoscibili dall'obbligato.
Ne consegue che l'atto comunale di liquidazione dei
contributi non è suscettibile di far sorgere alcun legittimo
affidamento in capo al privato, sia in ordine all’an
dell’obbligazione (salvo il caso speciale di esonero
previsto dalla legge) sia in ordine al quantum, in quanto
l'oggettività dei parametri da applicare rende vincolato il
conteggio, consentendone a priori la conoscibilità e la
verificabilità da parte dell' interessato.
Inoltre, se è vero che il pagamento rappresenta la modalità
principale di estinzione del debito, è altrettanto vero che
l'effetto estintivo si verifica se il pagamento è conforme
al titolo e solo il pagamento in conformità al titolo
fondativo del credito determina l'estinzione
dell'obbligazione, laddove il pagamento parziale determina
solo l'estinzione parziale della pretesa
dell'Amministrazione, che conserva il diritto all'eventuale
conguaglio fino allo spirare del termine di prescrizione del
corrispondente diritto.
---------------
Il credito in esame (ndr: contributo di costruzione in più
rispetto a quanto quantificato e comunicato in prima
istanza) si prescrive nel termine ordinario decennale,
decorrente dal rilascio del titolo edilizio.
Il richiamo dei ricorrenti al termine di prescrizione
quinquennale di cui all'art. 2948 c.c è quindi erroneo, in
quanto la facoltà riconosciuta al privato di rateizzare il
pagamento dei contributi concessori comporta solo una
dilazione del pagamento, ma non vale a qualificare il
credito come prestazione periodica, essendo la prestazione
in questione legata ad un unico fatto genetico costituito
dal rilascio del titolo edilizio.
---------------
L'obbligazione (ndr: versamento contributo di costruzione)
grava sul soggetto che ottiene il titolo edilizio e/o su
quello (eventualmente diverso) che materialmente realizza
l'opera, in quanto il contributo concessorio è dovuto in
funzione della realizzazione di un dato intervento edilizio
comportante un aumento del carico urbanistico, e quindi del
beneficiario del titolo edilizio.
L'originario titolare della concessione edilizia può
liberarsi, peraltro, com’è noto, dall'obbligo di pagamento
nel caso in cui alieni il terreno da edificare -ovvero
l'edificio in costruzione- cedendo il relativo titolo
edilizio mediante apposita volturazione. Con la "volturazione"
il Comune autorizza l'acquirente a subentrare nella
titolarità del permesso di costruire e nello stesso tempo
accetta l'accollo degli oneri concessori da parte
dell'acquirente stesso, con liberazione del precedente
titolare (cfr. TAR Puglia Lecce, Sez. II, 14.07.2003, n.
4731, secondo cui la volturazione assume il significato di
adesione del Comune alla convenzione in base alla quale
l'acquirente si accolla il debito del venditore relativo
agli oneri concessori, nonché il significato di
manifestazione della volontà di liberare il debitore
originario; inoltre TAR Campania-Napoli, Sez. V, 12.03.2008,
n. 1220, secondo cui il venir meno della titolarità della
concessione in capo all'originario concessionario, a seguito
della volturazione al subentrante, comporta anche il
trasferimento a carico ed a favore di quest'ultimo, dal
momento della volturazione, di tutti indistintamente i
diritti e gli obblighi connessi e/o derivanti dalla
concessione stessa.)
L'obbligazione de qua è dunque un'obbligazione ambulatoria
in quanto segue la titolarità del permesso di costruire: il
rapporto obbligatorio sorge in capo all'originario titolare
della concessione edilizia e si trasferisce poi su coloro ai
quali la concessione stessa venga volturata, poiché con la
volturazione questi ultimi subentrano nel diritto
all'edificazione.
Peraltro, una volta che la costruzione venga ultimata e sia
stato esercitato il diritto all'edificazione, il titolo
edilizio esaurisce la propria funzione e viene meno anche l'ambulatorietà
dell'obbligazione, che di norma si esaurisce con il
pagamento degli oneri ad opera del titolare della
concessione. Obbligato al pagamento dei contributi
concessori -e dell'eventuale conguaglio- resta quindi il
soggetto che ha esercitato i diritti derivanti dal permesso
di costruire, salvo che, con apposita convenzione, avente
valore tra le parti, l'onere venga pattiziamente trasferito
agli aventi causa del costruttore.
Invero, "l'acquirente a titolo particolare di un fabbricato
già realizzato non è, in difetto di accollo, obbligato al
pagamento degli oneri di urbanizzazione, a suo tempo dovuti
al momento del rilascio al venditore della relativa
concessione edilizia, secondo le ordinarie regole della
successione, per cui le obbligazioni si trasmettono
all'erede del debitore e non anche al predetto acquirente".
Con il secondo motivo i ricorrenti sostengono che, in
mancanza di un'espressa riserva di conguaglio all'atto
dell'originaria quantificazione, l'Ufficio Tecnico comunale
non poteva ricalcolare l'importo degli oneri concessori,
neppure in applicazione dei corretti criteri parametrici, in
quanto il Comune di Legnaro, applicando i principi
civilistici invocati nel motivo di censura, sarebbe rimasto
vincolato alla propria originaria dichiarazione di volontà a
titolo di autoresponsabilità per “l'affidamento
incolpevole" ingenerato nei privati.
A sostegno di tale tesi i ricorrenti invocano principi e
norme civilistiche relative ai contratti e alle obbligazioni
private, che tuttavia, a giudizio del Collegio, non sono
pertinenti alla natura del rapporto che sottostà alle
obbligazioni per cui è causa, e che per tale ragione non
possono essere utilmente applicati alla fattispecie.
Se è vero, infatti, come riconosce anche la difesa del
Comune intimato, che l'atto di quantificazione dei
contributi concessori ha carattere "paritetico", e
quindi che non è espressione di discrezionalità, ciò non
significa che il rapporto giuridico sottostante
all’obbligazione per cui è causa abbia natura strettamente
privatistica e risponda, in quanto tale, ai canoni
civilistici.
Le norme civilistiche relative a contratti e obbligazioni si
riferiscono, infatti, a rapporti in cui le parti sono
titolari di diritti disponibili e godono di autonomia
negoziale nel definire l'assetto dei rispettivi interessi e
proprio tali caratteri giustificano la disciplina
riguardante i vizi della volontà, la tutela
dell'affidamento, gli effetti della condotta soggettiva
nell' ambito dell' autoresponsabilità: tutti principi,
questi, che postulano uno spazio di autonomia e che
implicano l'esercizio di una volontà negoziale.
L'obbligazione relativa al pagamento degli oneri concessori
è per contro (cfr. sul punto C.d.S. Sez. V 13.06.2003 n.
3333) di fonte legale e non negoziale: essa non deriva da un
atto di volontà del Comune, ma direttamente dalla legge e
dall'applicazione di rigidi parametri di calcolo definiti in
via regolamentare.
L'obbligazione de qua trova, infatti, presupposto e
fondamento in norme imperative, che impongono al titolare
del permesso di costruire di versare di un contributo
pubblico quale forma di compartecipazione ai costi per
l'urbanizzazione del territorio.
Tale contributo risponde ad un interesse pubblico e
configura un diritto indisponibile per l'Amministrazione.
Ne consegue che l'atto con il quale l'Ufficio quantifica gli
oneri de quibus non ha natura costitutiva, ma è
meramente ricognitivo di un credito preesistente, la cui
determinazione ha contenuto vincolato essendo effettuata
sulla base di parametri generali predeterminati (cfr. C.d.S.
Sez. V 13.06.2003 n. 3333).
--------------
I caratteri peculiari dell'indicata obbligazione rendono
quindi inapplicabili in giudizio i principi civilistici
invocati dai ricorrenti.
In ordine agli specifici profili di censura va inoltre
rilevato, quanto segue.
Non è innanzitutto fondato l'assunto secondo cui gli oneri
concessori non potrebbero essere ricalcolati dopo il
rilascio del permesso di costruire, se inizialmente
liquidati in modo erroneo.
Ciò in quanto, come già chiarito, l’atto con il quale
l'Amministrazione comunale quantifica i contributi in esame
ha carattere puramente ricognitivo e contabile, in quanto
l'ammontare del credito è predeterminato sulla base di
rigidi criteri di calcolo definiti con atto regolamentare.
Anche dopo il rilascio della concessione edilizia, pertanto,
il Comune può provvedere al corretto riconteggio del
contributo dovuto, a prescindere da un'espressa riserva in
tal senso, in quanto il credito esiste indipendentemente
dall'atto contabile che lo quantifica: la rettifica è
pertanto consentita ogni qual volta sia ravvisabile un
errore, dovuto a qualsiasi ragione, nella liquidazione o nel
calcolo del contributo concessorio (Cons. St., Sez. V,
06.05.1997, n. 458).
---------------
Erroneo è conseguentemente l'assunto dei ricorrenti secondo
cui il Comune sarebbe vincolato "al contenuto della
propria manifestazione di volontà a titolo di
autoresponsabilità per l'affidamento incolpevole ingenerato
nel soggetto obbligato", posto che, anche qui come già
chiarito, l'atto di quantificazione degli oneri concessori
non è, in senso proprio, una manifestazione di volontà
dell'Amministrazione ma il risultato di un mero calcolo
matematico, effettuato sulla base di parametri oggettivi
noti e comunque ben conoscibili dall'obbligato.
Ne consegue che l'atto comunale di liquidazione dei
contributi non è suscettibile di far sorgere alcun legittimo
affidamento in capo al privato, sia in ordine all’an
dell’obbligazione (salvo il caso speciale di esonero
previsto dalla legge) sia in ordine al quantum, in
quanto l'oggettività dei parametri da applicare rende
vincolato il conteggio, consentendone a priori la
conoscibilità e la verificabilità da parte dell'
interessato.
Inoltre, se è vero che il pagamento rappresenta la modalità
principale di estinzione del debito, è altrettanto vero che
l'effetto estintivo si verifica se il pagamento è conforme
al titolo e solo il pagamento in conformità al titolo
fondativo del credito determina l'estinzione
dell'obbligazione, laddove il pagamento parziale determina
solo l'estinzione parziale della pretesa
dell'Amministrazione, che conserva il diritto all'eventuale
conguaglio fino allo spirare del termine di prescrizione del
corrispondente diritto.
Inappropriato è quindi il richiamo fatto dai ricorrenti alle
norme codicistiche in materia di errore e di annullabilità
del negozio per vizi del consenso (artt. 1427 e ss del
codice civile), poiché quelle norme ineriscono alla sola
materia dei contratti, laddove invece l'obbligazione al
pagamento degli oneri concessori è, come chiarito, di fonte
legale e di contenuto vincolato attenendo ad una prestazione
di diritto pubblico non disponibile.
La disciplina civilistica dell'errore quale vizio del
consenso è pertanto, parimenti inappropriata e quindi
inconferente.
---------------
Con il terzo motivo i
ricorrenti eccepiscono la prescrizione del diritto del
Comune al pagamento dei contributi concessori, sostenendo
che nella specie la prescrizione di tale diritto sarebbe
quinquennale ex art 2945 c.c. e che quindi, all’atto della
notifica del provvedimento impugnato, il diritto al
conguaglio sarebbe stato prescritto.
L'eccezione è tuttavia infondata, in quanto (cfr. C.d.S.
Sez. V 13.06.2003 n. 3333; TAR Campania-Salerno Sez. II -
04.04.2008 n. 474; TAR Puglia-Lecce, sez. I, 02.04.2007, n.
1382) il credito in esame si prescrive nel termine ordinario
decennale, decorrente dal rilascio del titolo edilizio,
costituito nella fattispecie dalla concessione edilizia n.
230/2001 del 08.10.2001.
La prescrizione non è dunque, nella specie, ancora maturata.
Il richiamo dei ricorrenti al termine di prescrizione
quinquennale di cui all'art. 2948 c.c è quindi erroneo, in
quanto la facoltà riconosciuta al privato di rateizzare il
pagamento dei contributi concessori comporta solo una
dilazione del pagamento, ma non vale a qualificare il
credito come prestazione periodica, essendo la prestazione
in questione legata ad un unico fatto genetico costituito
dal rilascio del titolo edilizio.
---------------
Con il quarto e ultimo motivo i ricorrenti
eccepiscono infine il loro difetto di legittimazione passiva
sostenendo che il pagamento degli oneri concessori
costituisce un'obbligazione propter rem e dunque "accede"
alla proprietà del bene: la relativa obbligazione si sarebbe
dunque trasferita agli acquirenti delle singole unità
immobiliari del condominio costruito dalla società, che ne
sarebbero i beneficiari e in quanto tali debitori del
conguaglio.
L'assunto non ha pregio per le ragioni che seguono.
Inconferente è, in primo luogo, il richiamo al regime delle
convenzioni di lottizzazione, per le quali si pone il
diverso problema della successione negli obblighi
convenzionali relativi alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione. Nella fatti specie si tratta, infatti, del
debito per il pagamento dei contributi concessori "tabellari"
per un intervento diretto.
L'art. 81 della L.R. n. 61/1985 (applicabile ratione
temporis), stabilisce che "la quota del contributo
relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al
Comune all’atto del ritiro della concessione" e che "la
quota relativa al costo di costruzione è determinata
all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in
corso d'opera ... e comunque non oltre 60 giorni
dall'ultimazione delle opere". Negli stessi termini
dispone ora l'art. 16 del D.P.R. n. 380/2001.
L'obbligazione, come correttamente sostiene la difesa della
parte resistente, grava dunque sul soggetto che ottiene il
titolo edilizio e/o su quello (eventualmente diverso) che
materialmente realizza l'opera, in quanto il contributo
concessorio è dovuto in funzione della realizzazione di un
dato intervento edilizio comportante un aumento del carico
urbanistico, e quindi del beneficiario del titolo edilizio.
L'originario titolare della concessione edilizia può
liberarsi, peraltro, com’è noto, dall'obbligo di pagamento
nel caso in cui alieni il terreno da edificare -ovvero
l'edificio in costruzione- cedendo il relativo titolo
edilizio mediante apposita volturazione. Con la "volturazione"
il Comune autorizza l'acquirente a subentrare nella
titolarità del permesso di costruire e nello stesso tempo
accetta l'accollo degli oneri concessori da parte
dell'acquirente stesso, con liberazione del precedente
titolare (cfr. TAR Puglia Lecce, Sez. II, 14.07.2003, n.
4731, secondo cui la volturazione assume il significato di
adesione del Comune alla convenzione in base alla quale
l'acquirente si accolla il debito del venditore relativo
agli oneri concessori, nonché il significato di
manifestazione della volontà di liberare il debitore
originario; inoltre TAR Campania-Napoli, Sez. V, 12.03.2008,
n. 1220, secondo cui il venir meno della titolarità della
concessione in capo all'originario concessionario, a seguito
della volturazione al subentrante, comporta anche il
trasferimento a carico ed a favore di quest'ultimo, dal
momento della volturazione, di tutti indistintamente i
diritti e gli obblighi connessi e/o derivanti dalla
concessione stessa.)
L'obbligazione de qua è dunque un'obbligazione
ambulatoria in quanto segue la titolarità del permesso di
costruire: il rapporto obbligatorio sorge in capo
all'originario titolare della concessione edilizia e si
trasferisce poi su coloro ai quali la concessione stessa
venga volturata, poiché con la volturazione questi ultimi
subentrano nel diritto all'edificazione.
Peraltro, una volta che la costruzione venga ultimata e sia
stato esercitato il diritto all'edificazione, il titolo
edilizio esaurisce la propria funzione e viene meno anche l'ambulatorietà
dell'obbligazione, che di norma si esaurisce con il
pagamento degli oneri ad opera del titolare della
concessione. Obbligato al pagamento dei contributi
concessori -e dell'eventuale conguaglio- resta quindi il
soggetto che ha esercitato i diritti derivanti dal permesso
di costruire, salvo che, con apposita convenzione, avente
valore tra le parti, l'onere venga pattiziamente trasferito
agli aventi causa del costruttore.
Invero, "l'acquirente a titolo particolare di un
fabbricato già realizzato non è, in difetto di accollo,
obbligato al pagamento degli oneri di urbanizzazione, a suo
tempo dovuti al momento del rilascio al venditore della
relativa concessione edilizia, secondo le ordinarie regole
della successione, per cui le obbligazioni si trasmettono
all'erede del debitore e non anche al predetto acquirente"
(Cons. St., Sez. V, 26.03.1996, n. 294; TAR Campania
Salerno, Sez. II, 26.09.2007, n. 1928)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 16.06.2011 n. 1042 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – TERMINI PROCESSUALI –
EQUIPARAZIONE DEL SABATO AI GIORNI FESTIVI – ESTENSIONE AI
TERMINI COMPUTABILI A RITROSO – ESCLUSIONE – art. 52 c.p.a.
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – DEPOSITO DI MEMORIE E DOCUMENTI
AI FINI DELL’UDIENZA DI DISCUSSIONE – PERENTORIETÀ DEI
TERMINI – art. 54 c.p.a.
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – REVOCAZIONE – RICORSO – OMESSA
INDICAZIONE DEI VIZI – INAMMISSIBILITÀ – art. 395 c.p.c.;
art. 106 c.p.a.
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – DECISIONE FONDATA SU RAGIONI
MANIFESTE O SU ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI CONSOLIDATI –
CONDANNA DELLA PARTE SOCCOMBENTE A UNA SOMMA DI DENARO –
art. 26 c.p.a.
●
Il sabato è equiparato ai giorni festivi ai soli fini del
compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza
che scadono in tale giornata, come la notifica e il deposito
di atti processuali; ai sensi dell’art. 52, 5° comma, cod.
proc. amm. l’equiparazione non vale però per i termini che
si computano a ritroso (quali il termine per il deposito dei
documenti o delle memorie, in vista dell’udienza di
discussione).
●
I termini per il deposito delle memorie o dei documenti, ai
sensi dell’art. 54 cod. proc. amm. sono perentori, perché
stabiliti a garanzia del contraddittorio e della corretta
organizzazione del lavoro del giudice.
●
È inammissibile il ricorso per revocazione nel quale non sia
indicata alcuna delle cause di revocazione previste
dall’art. 395 c.p.c..
●
Ai sensi dell’art. 26 cod. proc. amm., la parte
soccombente, quando la decisione sia fondata su ragioni
manifeste o su orientamenti giurisprudenziali consolidati,
può essere condannata al pagamento in favore dell’altra
parte di una somma di denaro equitativamente determinata, a
titolo di indennizzo per il danno lecito da processo (nella
specie, il collegio, in assenza di elementi contrari, ha
condannato la parte ricorrente ad una somma pari a quella
liquidata per spese di giudizio).
---------------
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE
– COMPUTO – CRITERIO – INDIVIDUAZIONE
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE
– SABATO – EQUIPARAZIONE AI GIORNI FESTIVI – LIMITE
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE
– SABATO – EQUIPARAZIONE AI GIORNI FESTIVI – APPLICABILITÀ
SOLO AI TERMINI CHE SI CALCOLANO IN AVANTI, E NON ANCHE A
QUELLI A RITROSO
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE –
TERMINE – PER IL DEPOSITO DI DOCUMENTI, MEMORIE E REPLICHE –
INDIVIDUAZIONE
●
Nel caso in cui la legge indica un termine processuale
riferendosi ad un certo numero di giorni liberi, il suddetto
numero di giorni esclude tanto il dies a quo quanto il dies
ad quem.
●
Ai sensi dell’art. 155, comma 5, c.p.c., aggiunto dall’art.
2 comma 1, l. 28.12.2005 n. 263 ed applicabile anche al
processo amministrativo, il sabato è da considerarsi
equiparato ai giorni festivi, ma limitatamente agli atti
processuali scadenti di sabato e da compiersi fuori
dell’udienza, mentre resta giorno lavorativo per l’attività
degli ufficiali giudiziari e per gli addetti all’ufficio
ricorsi.
●
Nel processo amministrativo la regola fissata dall’art. 155,
comma 5, c.p.c. in ordine all’equiparazione del sabato ai
giorni festivi, vale solo per i termini che si calcolano in
avanti, e non anche per quelli che si calcolano a ritroso,
atteso che l’art. 52, comma 5, c.p.a. estende al sabato solo
la proroga dei termini che scadono di giorno festivo, con la
conseguenza che un termine a ritroso, che scada di sabato,
non va anticipato al venerdì e, ove scada di domenica, va
anticipato al sabato, e non al venerdì.
●
Ai sensi dell’art. 73, comma 1°, c.p.a. le parti possono
produrre documenti nel termine perentorio di quaranta giorni
liberi prima dell’udienza, di trenta giorni liberi per le
memorie e di venti giorni liberi per le repliche, ma se
l’ultimo giorno libero cade in un giorno festivo il deposito
va anticipato a pena di esclusione al giorno precedente;
peraltro, ai sensi del precedente art. 52, comma 4°, c.p.a.,
detta regola non si applica per i termini a ritroso che
scadono di sabato
(massima tratta da www.scuolagiuridica.it).
---------------
6. Preliminare la sezione deve esaminare l’eccezione,
sollevata dalla difesa del comune, di tardività della
memoria difensiva depositata dalla parte ricorrente il
giorno lunedì 18.04.2011.
6.1. L’eccezione è fondata.
6.2. In ordine alla individuazione dei termini del processo
amministrativo ed ai criteri di computo degli stessi, in
virtù del rinvio operato dall’art. 39, co. 1, c.p.a. trova
applicazione la disciplina dettata dal codice di procedura
civile salve le deroghe tipizzate dal c.p.a..
Ai fini del computo dei termini si estende al processo
amministrativo la disciplina dettata dall’art. 155 c.p.c.;
il c.p.a. aggiunge a tale disciplina alcune precisazioni in
tema di giorno festivo e di sabato.
Quanto al caso in cui il giorno di scadenza sia festivo, la
proroga di diritto al primo giorno seguente non festivo
opera non solo per i termini legali, ma anche per quelli
fissati dal giudice (art. 52, co. 3, c.p.a.); inoltre, nel
caso di termini che si computano a ritroso (come per i
giorni liberi prima dell’udienza), la scadenza viene
anticipata al giorno antecedente non festivo (art. 52, co.
4, c.p.a. che recepisce un consolidato indirizzo della
giurisprudenza, cfr. Cass., 12.12.2003, n. 19041); è altresì
pacifico che quando la legge indica il termine riferendosi
ad un certo numero di giorni liberi, il suddetto numero di
giorni esclude tanto il dies a quo quanto il dies
ad quem (cfr., fra le tante, Cass., 12.12.2003, n. 19041
cit.; 20.05.2002, n. 7331).
Il sabato è stato equiparato ai festivi (in virtù della
novella di cui all’art. 2, co. 11, d.l. n. 263 del 2005, in
vigore dal 01.03.2006); l’equiparazione opera però al solo
fine del compimento degli atti processuali svolti fuori
dell’udienza che scadono di sabato, onde consentire agli
avvocati di procedere ai relativi adempimenti, concernenti i
termini di notifica e deposito che scadono di sabato, il
successivo lunedì; a tutti gli altri effetti il sabato è
considerato giorno lavorativo, anche per quanto attiene,
dunque, alle attività di ufficiali giudiziari e di addetti
agli uffici ricorsi, come dispone espressamente l’art. 155
c.p.c. (tanto emerge implicitamente dal decreto del
presidente del Consiglio di Stato n. 83 del 2010 che ha
disciplinato, con decorrenza 01.10.2010, gli orari di
apertura al pubblico dell’ufficio ricevimento ricorsi e
delle segreterie delle sezioni giurisdizionali del Consiglio
di Stato).
Il c.p.a. esplicita l’applicabilità della disciplina sul
sabato anche al processo amministrativo (art. 52, co. 5,
c.p.a., in tal senso si era già espressa la preferibile
giurisprudenza, cfr. Cons. St., sez. IV, 18.02.2008, n.
446).
Questa regola, però, vale solo per i termini che si
calcolano in avanti, e non anche per i termini che si
calcolano a ritroso; infatti l’art. 52, co. 5, c.p.a.
estende al sabato solo la <<proroga di cui al comma 3>>,
ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e
dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co.
4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato,
esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a
ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al
venerdì.
6.3. Le parti possono presentare memorie e repliche in vista
dell’udienza di discussione; prima del codice le parti
potevano produrre documenti fino a venti giorni liberi
anteriori al giorno fissato per l’udienza e presentare
memorie fino a dieci giorni liberi (art. 23, co. 4, l. Tar).
6.3.1. Il nuovo codice ha allungato tali termini, per meglio
garantire lo studio degli atti processuali ad opera del
giudice e delle parti ed ha aggiunto l’istituto delle
repliche (ammesso dalla precedente prassi); pertanto le
parti possono produrre documenti fino a quaranta giorni
liberi prima dell’udienza, memorie fino a trenta giorni
liberi e repliche fino a venti giorni liberi (art. 73, co.
1, c.p.a.); lo scopo della previsione è quello di consentire
alla controparte di disporre dei termini ivi previsti per
visionare altrui documenti e memorie.
Stante la su enucleata ratio legis, prima del codice
si è affermato che se l’ultimo giorno libero cade in giorno
festivo, il deposito va anticipato al giorno precedente pena
la tardività della produzione (cfr. Cons. giust. amm.
30.03.2009, n. 215); tanto è ora sancito espressamente dal
c.p.a. secondo cui per i termini computati a ritroso, quali
quelli in esame, la scadenza è anticipata al giorno
antecedente non festivo, ma la regola, come già visto, non
si applica per i termini a ritroso che scadono di sabato
(art. 52, co. 4, c.p.a.).
6.3.2. Prima del codice era disputata la natura perentoria o
meno dei termini per il deposito di documenti e memorie
prevalendo da ultimo la tesi che, quantomeno avuto riguardo
al termine per le memorie, questo fosse perentorio
integrando un precetto di ordine pubblico processuale a
garanzia dell’interesse del giudice a conoscere in tempo
utile gli atti processuali (cfr., da ultimo, Cons. St., sez.
V, n. 5245 del 2009; sez. VI, n. 4699 del 2008).
La questione ha trovato espressa soluzione nel c.p.a. a
tenore del quale la presentazione tardiva di memorie o
documenti può essere eccezionalmente autorizzata dal
collegio, su richiesta di parte, quando la produzione nel
termine di legge risulta estremamente difficile; in ogni
caso va assicurato il pieno rispetto del diritto delle
controparti al contraddittorio sugli atti tardivamente
depositati (art. 54, co. 1, c.p.a.).
Se ne desume che:
a) i termini di deposito di documenti, memorie e repliche sono
imposti a pena di decadenza;
b) il deposito tardivo è possibile solo se c’è un autorizzazione
del collegio che si atteggia a rimessione in termini per
errore scusabile, come ipotesi speciale di essa, di cui
condivide i presupposti;
c) va comunque garantito il contraddittorio.
La giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del
codice ha ribadito che tali termini sono perentori a
garanzia del contraddittorio e della corretta organizzazione
del lavoro del giudice (cfr. Cons. St., sez. V, 01.04.2011,
n. 2032; sez. V, 29.03.2011, n. 1910; sez. VI, 16.02.2011,
n. 984).
6.4. Facendo applicazione dei su esposti principi al caso di
specie, risulta evidente che il deposito della memoria
difensiva della società ricorrente, avvenuto lunedì
18.04.2011 in vista dell’udienza di discussione della
presente controversia fissata per il giorno 17.03.2011, è
tardivo perché effettuato oltre il termine ultimo per legge
individuato nel giorno sabato 16.04.2011.
6.5. Dall’assodata tardività della memoria depositata dalla
società ricorrente, dalla insussistenza dei presupposti per
la concessione dell’errore scusabile (alla luce dei rigorosi
principi da ultimo enucleati dall’adunanza plenaria di
questo Consiglio n. 3 del 2010), nonché dalla natura
meramente illustrativa delle comparse conclusionali,
discende l’inutilizzabilità processuale della memoria
depositata il 18.04.2011, in ordine all’integrazione o
specificazione di fatti costitutivi di domande ed eccezioni
non ritualmente proposte, con tutte le ulteriori conseguenze
connesse all’applicazione dell’art. 26 c.p.a. (cfr. Cons.
St., sez. V, 01.04.2011, n. 2032; 29.03.2011, n. 1926)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 31.05.2011 n. 3252
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGO:
La
quota di contributo afferente al costo di costruzione va
dunque determinata all’atto del rilascio della concessione
edilizia o del permesso di costruzione, ma deve essere
versata nel corso della costruzione e comunque nei sessanta
giorni dalla sua ultimazione.
La data del rilascio della concessione edilizia o del
permesso di costruzione è il momento in cui sorge
l’obbligazione contributiva rapportata al costo di
costruzione, e pertanto è da quella stessa data che
l’amministrazione comunale può far valere il suo diritto di
credito, ossia esercitare il potere di accertamento
dell’importo dovuto, con conseguente decorrenza della
prescrizione (decennale) del diritto medesimo il quale, sin
dal momento dell’adozione del provvedimento ampliativo della
sfera del richiedente la concessione o il permesso di
costruzione, è certo, liquido o agevolmente liquidabile ed
esigibile.
La suddetta obbligazione è di tipo “acausale”, perché
connessa alla mera utilizzazione edificatoria del
territorio, e perciò ritenuta di natura paratributaria, a
differenza dell’obbligazione per oneri di urbanizzazione che
deve, invece, ritenersi “causale” ed ha natura di
corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria,
dovuto dal titolare della concessione edilizia per la
partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione
connessi all’edificazione.
In ogni caso, per entrambe le obbligazioni il rilascio della
concessione edilizia o del permesso di costruzione
rappresenta il momento costitutivo dell’obbligo giuridico
-incombente sul beneficiario del provvedimento
autorizzatorio- di corrispondere le somme dovute per il
contributo di costruzione.
Con la conseguenza che l’omessa contestuale determinazione
di tale contributo o di una delle due voci che lo compongono
(oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) realizza,
sin dal momento del rilascio del titolo abilitativo
all’edificazione, una lesione attuale e concreta alla
finanza comunale, venendo a mancare, in capo all’ente
locale, la disponibilità piena ed immediata di entrate
contributive ad esso spettanti.
---------------
Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali –art. 58 della
legge 08.06.1990 n. 142– è previsto che l’azione di
responsabilità si prescrive col decorso del quinquennio
“dalla commissione del fatto”.
Tale espressione deve essere intesa nel senso che non è
sufficiente a dare inizio al periodo prescrizionale il
semplice compimento della condotta trasgressiva degli
obblighi di servizio dalla quale non sia ancora scaturito
alcun nocumento all’ente pubblico, posto che l’elemento
“fatto” comprende non solo la condotta del soggetto ma anche
l’evento dannoso che ad essa consegue.
Un indirizzo interpretativo del tutto analogo è stato poi
adottato a proposito dell’art. 1, secondo comma, della legge
14.01.1994, n. 20 (come sostituito con legge 20.12.1996, n.
639) -per il quale il diritto al risarcimento del danno si
prescrive in ogni caso in 5 anni, decorrenti dalla data in
cui si è verificato il “fatto dannoso” (ovvero, in caso
d’occultamento doloso del danno, dalla data della sua
scoperta)–, affermandosi che ai fini dell’individuazione del
“dies a quo” della prescrizione, ai sensi del citato art. 1
l. n. 20/1994 occorre avere riguardo alla fattispecie
costituita da condotta ed evento dannoso, che si completa al
verificarsi di quest’ultimo, vale a dire del depauperamento
dell’amministrazione o dell’ente.
---------------
L’adeguamento
annuo del costo di costruzione secondo l’indice ISTAT ...
rientra indiscutibilmente nell’ambito del procedimento
autorizzatorio di cui sopra, trattandosi di adempimento
strettamente connesso all’esatto computo del contributo
dovuto in relazione al permesso di costruire.
Anche per tale adempimento
l’ordinaria competenza a provvedere (appartenesse e)
appartenga al Responsabile della Unità Operativa
interessata, più che al Responsabile dell’Area di
riferimento (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”)
o agli organi deliberativi dell’Ente.
D’altro canto, l’aggiornamento in questione si risolve in
una operazione di calcolo da effettuarsi sulla base di un
parametro -la variazione ISTAT- fissato da prescrizioni
legislative (statali e regionali) alla stregua delle quali
si sarebbe dovuto provvedere automaticamente anno per anno,
senza alcuna possibilità di valutazioni ed apprezzamenti
discrezionali da parte degli organi di governo comunali
trattandosi, invero, di adeguamento comunque obbligatorio
per legge.
Sul punto le disposizioni di riferimento,
vale a dire l’art. 16, comma 9, del d.P.R. n. 380/2001
–testualmente riproduttivo, in parte qua, dell’art. 6, comma
3, della legge n. 10 del 1977– e l’art. 29, comma 3, della
legge regionale Emilia Romagna n. 31 del 2002, risultano
univocamente chiare e vincolanti nel prevedere che nei
periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali il
costo di costruzione è adeguato annualmente dai Comuni “in
ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione
accertata dall'Istituto nazionale di statistica”, con
l’ulteriore rilevante precisazione,
nella norma statale appena citata,
che all’adeguamento si procede anche “in eventuale assenza
di tali determinazioni” ed “autonomamente”.
---------------
Il mancato aggiornamento del costo di costruzione configura
una condotta omissiva dell’odierno convenuto qualificabile,
se non come dolosa, certamente come gravemente colposa.
Osserva il Collegio come nella fattispecie in esame
difettino i profili del c.d. dolo “erariale” o
“contrattuale” non risultando il comportamento del sig. ...
improntato a consapevole volontà del medesimo di agire in
violazione dei propri doveri d’ufficio e di arrecare un
ingiusto pregiudizio all’Ente.
Nella condotta del sunnominato ricorrono, tuttavia, gli
elementi della colpa grave, ove si consideri, anzitutto, che
l’aggiornamento annuale del costo di costruzione postulava
un dovere particolarmente pregnante e puntuale di diligenza
nell’adempimento di tale obbligo, specie per i connessi
rilevanti riflessi sulle finanze del Comune.
L’inadempienza si è protratta per svariati anni senza che il
convenuto abbia mai adottato, nell’ambito dell’autonomia di
competenze non meramente esecutive di cui in precedenza si è
fatto cenno, alcuna concreta, documentata iniziativa di
natura “operativa”, o anche solo “sollecitatoria” e/o
“propositiva”, volta a definire la vicenda dell’adeguamento
ISTAT di cui si discute; vicenda, occorre ribadirlo,
coinvolgente, in via diretta ed immediata, l’importante
attività gestionale in materia di edilizia privata
propriamente riservata all’Unità Operativa
(“Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”) della quale il
sig. ... era Responsabile.
In altre parole, viene qui in rilievo la prolungata,
ingiustificata inerzia del convenuto in ordine
all’adeguamento del costo di costruzione, inerzia da
ritenersi e valutarsi quale espressione di inescusabile e
macroscopica superficialità nella cura dell’attività
gestoria di un settore comunale, quello dell’edilizia
privata, di assoluto rilievo.
Il Collegio ritiene dunque sussistente una condotta
gravemente colposa del sig. ..., direttamente causativa del
danno alle finanze comunali perseguito in questa sede.
---------------
Non si può non evidenziare come abbia fatto assoluto
difetto, nella vicenda in esame, l’esercizio da parte dei
dirigenti succedutisi nella carica di Responsabile dell’Area
n. 3 (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”) dei
propri poteri di direttiva, di impulso e di controllo,
quando non sostitutivi, in relazione alla specifica attività
svolta dall’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”.
Resta il fatto che l’assenza di una
qualunque iniziativa da parte dei vari soggetti comunali (in
primis Consiglio, Giunta e dirigenti Responsabili dell’Area
3), comunque coinvolti dalla discussa problematica in
ragione delle rispettive attribuzioni, ha consentito che la
grave anomalia gestionale rappresentata dal mancato
adeguamento del costo di costruzione si protraesse per
diversi anni in una situazione di persistente inazione
dell’amministrazione; situazione che ha senza dubbio
contribuito al progressivo formarsi dell’ingente danno per
cui è causa.
Il mancato intervento degli altri soggetti
comunali interessati, concretizzatosi anch’esso in una
continuata ed assolutamente ingiustificabile inerzia, pur
non facendo venire meno la responsabilità per colpa grave
dell’odierno convenuto assuma, tuttavia, concorrente
rilevanza nella produzione dell’evento dannoso.
Tale apporto concausale, valutato
con riguardo all’insieme delle accennate condotte
“inattive”, appare complessivamente stimabile, per la
notevole incidenza che esso ha avuto sul protrarsi per anni
dell’inadempimento dell’obbligo di adeguamento del costo di
costruzione, nella misura del 75 per cento, con
corrispondente riduzione al 25 per cento della percentuale
di responsabilità restante a carico del sig. ....
1)
L’ipotesi di danno erariale sottoposta all’esame della Corte
è costituita –secondo la prospettazione accusatoria- dalle
minori entrate, per il complessivo importo di € 386.711,64,
derivanti al Comune di Vergato dal mancato adeguamento
annuale, relativamente al periodo 2000–2009, del costo di
costruzione ai fini della determinazione della quota di
contributo per il rilascio della concessione edilizia o del
permesso di costruire nuovi edifici.
Per tale evento dannoso è stato chiamato in giudizio il sig.
..., quale responsabile del Settore Urbanistica e Ambiente
dal 1999 al 2001 e, poi, della Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente” fino al 29.07.2009.
---------------
2)
Ai fini della migliore comprensione della causa è opportuno
premettere un breve excursus delle norme in materia
edificatoria coinvolte nella fattispecie.
2.a)
Si deve quindi partire dalla legge 28.01.1977, n. 10
sull’edificabilità dei suoli, che all’art. 1 stabiliva che “Ogni
attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia
del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa
relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a
concessione da parte del sindaco, ai sensi della presente
legge” soggiungendo, all’art. 3, che “la concessione
comporta la corresponsione di un contributo commisurato
all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo
di costruzione”.
Per il successivo art. 5 della legge n. 10 del 1977 appena
citata, “l'incidenza degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria, previsti dall'articolo 4 della legge
29.09.1964, n. 847, modificato dall'articolo 44 della legge
22.10.1971, n. 865, nonché dalle leggi regionali, è
stabilita, ai fini del precedente articolo 3, con
deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle
parametriche che la regione definisce, entro 120 giorni
dalla data di entrata in vigore della presente legge, per
classi di comuni in relazione…(comma 1).
Fino all'approvazione delle tabelle di cui al precedente
comma i comuni continuano ad applicare le disposizioni
adottate in attuazione della legge 06.08.1967, n. 765 (comma
2).
Nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche
da parte della regione entro il termine stabilito nel primo
comma e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni
provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del
consiglio comunale (comma 3)”.
Infine, l’art. 6 (nel testo sostituito dall’art. 7 l.
24.12.1993 n. 537) della medesima legge prevedeva che “il
costo di costruzione di cui all'articolo 3 della presente
legge per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle
regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per
l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma
della lettera g) del primo comma dell'art. 4 della L.
05.08.1978, n. 457” (comma 1), soggiungendo che “con
gli stessi provvedimenti di cui al primo comma, le regioni
identificano classi di edifici con caratteristiche superiori
a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per
l'edilizia agevolata, per le quali sono determinate
maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non
superiore al 50 per cento” (comma 2) e disponendo,
altresì, che “nei periodi intercorrenti tra le
determinazioni regionali di cui al primo comma, ovvero in
eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di
costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in
ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione
accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)”
(comma 3).
2.b)
I sopra citati artt. 1, 3, 5 e 6 (nonché gli artt. 4, 7, 8,
9, 10, 11, 12 e 16) della legge n. 10 del 1977 sono stati,
poi, espressamente abrogati dall'art. 136, commi 1 e 2, del
d.P.R. 06.06.2001, n. 380 – “Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia
(Testo A)”, a decorrere dal 30.06.2003, ai sensi
dell'art. 2, del decreto-legge 20.06.2002, n. 122, conv.,
con modificazioni, in legge 01.08.2002, n. 185.
Per quel che occupa, il predetto Testo unico, definite la
natura e le caratteristiche del permesso di costruire (v.
artt. 10–15), rilasciato “dal dirigente o responsabile
del competente ufficio comunale nel rispetto delle leggi,
dei regolamenti e degli strumenti urbanistici” (v. art.
13, comma 1), all’art. 16, ha raccolto le disposizioni
(legge 28.01.1977, n. 10, articoli 3; 5, comma 1; 6, commi
1, 4 e 5; 11; legge 05.08.1978, n. 457, art. 47; legge
24.12.1993, n. 537, art. 7; legge 29.09.1964, n. 847,
articoli 1, comma 1, lettere b) e c), e 4; legge 22.10.1971,
n. 865, art. 44; legge 11.03.1988, n. 67, art. 17; decreto
legislativo 05.02.1997, n. 22, art. 58, comma 1; legge
23.12.1998, n. 448, art. 61, comma 2) sul “contributo per
il rilascio del permesso di costruire” tra le quali
vanno segnalate le seguenti:
- “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il
rilascio del permesso di costruire comporta la
corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza
degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione, secondo le modalità indicate nel presente
articolo” (comma 1);
- “La quota di contributo relativa agli oneri di
urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio
del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato,
può essere rateizzata…” (comma 2);
- “La quota di contributo relativa al costo di
costruzione, determinata all'atto del rilascio, è
corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla
ultimazione della costruzione” (comma 3);
- “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è
determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai
costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti
dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo
comma dell'articolo 4 della legge 05.08.1978, n. 457. Con lo
stesso provvedimento le regioni identificano classi di
edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate
nelle vigenti disposizioni di legge per l'edilizia
agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del
detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per
cento. Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni
regionali, ovvero in eventuale assenza di tali
determinazioni, il costo di costruzione è adeguato
annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta
variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT). Il contributo afferente al
permesso di costruire comprende una quota di detto costo,
variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene
determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche
e delle tipologie delle costruzioni e della loro
destinazione ed ubicazione” (comma 9).
2.c)
Da ultimo, la legge regionale Emilia Romagna 25.11.2002, n.
31 (“Disciplina generale dell’edilizia") ha disposto,
all’art. 27 (“Contributo di costruzione”), che: “Fatti
salvi i casi di riduzione o esonero di cui all'art. 30, il
proprietario dell'immobile o colui che ha titolo per
chiedere il rilascio del permesso o per presentare la
denuncia di inizio attività è tenuto a corrispondere un
contributo commisurato all'incidenza degli oneri di
urbanizzazione nonché al costo di costruzione” (comma
1); “Il contributo di costruzione è quantificato dal
Comune per gli interventi da realizzare attraverso il
permesso di costruire ovvero dall'interessato per quelli da
realizzare con denuncia di inizio attività” (comma 2); “La
quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è
corrisposta al Comune all'atto del rilascio del permesso
ovvero all'atto della presentazione della denuncia di inizio
attività. Il contributo può essere rateizzato, a richiesta
dell'interessato” (comma 3); “La quota di contributo
relativa al costo di costruzione è corrisposta in corso
d'opera, secondo le modalità e le garanzie stabilite dal
Comune” (comma 4).
Al successivo art. 29, la stessa legge regionale ha
stabilito che “Il costo di costruzione per i nuovi
edifici è determinato almeno ogni cinque anni dal Consiglio
regionale con riferimento ai costi parametrici per
l'edilizia agevolata. Il contributo afferente al titolo
abilitativo comprende una quota di detto costo, variabile
dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata con
l'atto del Consiglio regionale in funzione delle
caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della
loro destinazione e ubicazione” (comma 1), e “Nei
periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, il
costo di costruzione è adeguato annualmente dai Comuni, in
ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione
accertata dall'Istituto nazionale di statistica” (comma
3).
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3)
In base alla delineata cornice normativa,
la quota di contributo afferente al costo di costruzione va
dunque determinata all’atto del rilascio della concessione
edilizia o del permesso di costruzione, ma deve essere
versata nel corso della costruzione e comunque nei sessanta
giorni dalla sua ultimazione.
Secondo giurisprudenza amministrativa ormai consolidata,
la data del rilascio della concessione
edilizia o del permesso di costruzione è il momento in cui
sorge l’obbligazione contributiva rapportata al costo di
costruzione, e pertanto è da quella stessa data che
l’amministrazione comunale può far valere il suo diritto di
credito, ossia esercitare il potere di accertamento
dell’importo dovuto, con conseguente decorrenza della
prescrizione (decennale) del diritto medesimo il quale, sin
dal momento dell’adozione del provvedimento ampliativo della
sfera del richiedente la concessione o il permesso di
costruzione, è certo, liquido o agevolmente liquidabile ed
esigibile (cfr.
Consiglio di Stato – Sez. IV, 06.06.2008 n. 2686; Sez. IV,
05.04.2006 n. 7219; Sez. V, 13.06.2003 n. 3332; TAR Marche
Ancona, 01.04.2004 n. 143; TAR Abruzzo Pescara, 10.05.2002
n. 477; TAR Calabria Catanzaro, 06.02.1996 n. 180).
Come ancora precisato dal giudice amministrativo,
la suddetta obbligazione è di tipo “acausale”,
perché connessa alla mera utilizzazione edificatoria del
territorio, e perciò ritenuta di natura paratributaria, a
differenza dell’obbligazione per oneri di urbanizzazione che
deve, invece, ritenersi “causale” ed ha natura di
corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria,
dovuto dal titolare della concessione edilizia per la
partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione
connessi all’edificazione
(cfr. TAR Lombardia Brescia, 03.12.2007 n. 1268; TAR Toscana
Firenze, Sez. III, 11.08.2004 n. 3181).
In ogni caso, per entrambe le obbligazioni
il rilascio della concessione edilizia o del permesso di
costruzione rappresenta il momento costitutivo dell’obbligo
giuridico -incombente sul beneficiario del provvedimento
autorizzatorio- di corrispondere le somme dovute per il
contributo di costruzione
(cfr. Consiglio di Stato – Sezione IV, 06.06.2008 n. 2686).
Con la conseguenza che l’omessa contestuale
determinazione di tale contributo o di una delle due voci
che lo compongono (oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione) realizza, sin dal momento del rilascio del
titolo abilitativo all’edificazione, una lesione attuale e
concreta alla finanza comunale, venendo a mancare, in capo
all’ente locale, la disponibilità piena ed immediata di
entrate contributive ad esso spettanti.
Analogamente è a dire, in termini di attualità ed
effettività del pregiudizio, con riguardo all’errata
determinazione del contributo in misura inferiore al dovuto;
ciò anche a voler prescindere dal carattere di definitività
attribuito da una certa giurisprudenza alla determinazione
del quantum della obbligazione contributiva a carico
del privato, con esclusione della possibilità per
l’amministrazione comunale che abbia erroneamente liquidato
l’ammontare del contributo, di richiedere successivamente,
in via di autotutela, un importo a titolo di conguaglio
(cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione
Siciliana, decisione n. 1007/2000).
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4)
Si può ora passare ad esaminare la questione della
prescrizione dell’azione di responsabilità eccepita dalla
difesa del convenuto.
Sul punto è appena da ricordare che nel
nuovo ordinamento delle autonomie locali –art. 58 della
legge 08.06.1990 n. 142– è previsto che l’azione di
responsabilità si prescrive col decorso del quinquennio “dalla
commissione del fatto”.
Tale espressione,
secondo giurisprudenza di questa Corte,
deve essere intesa nel senso che non è sufficiente a dare
inizio al periodo prescrizionale il semplice compimento
della condotta trasgressiva degli obblighi di servizio dalla
quale non sia ancora scaturito alcun nocumento all’ente
pubblico, posto che l’elemento “fatto” comprende non
solo la condotta del soggetto ma anche l’evento dannoso che
ad essa consegue
(cfr. Sez. II, 03.02.1999 n. 28/A; Sez. giurisd. reg. Lazio,
25.09.2000 n. 1544/R).
Un indirizzo interpretativo del tutto
analogo è stato poi adottato a proposito dell’art. 1,
secondo comma, della legge 14.01.1994, n. 20 (come
sostituito con legge 20.12.1996, n. 639) -per il quale il
diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso
in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato
il “fatto dannoso” (ovvero, in caso d’occultamento
doloso del danno, dalla data della sua scoperta)–,
affermandosi che ai fini dell’individuazione del “dies a
quo” della prescrizione, ai sensi del citato art. 1 l.
n. 20/1994 occorre avere riguardo alla fattispecie
costituita da condotta ed evento dannoso, che si completa al
verificarsi di quest’ultimo, vale a dire del depauperamento
dell’amministrazione o dell’ente
(cfr. Corte dei Conti – Sezioni II, 19.10.1998 n. 212/A).
Tanto premesso, ritiene il Collegio di non poter condividere
la tesi di parte attrice secondo la quale si tratterebbe,
nella specie, di illecito permanente caratterizzato dal
protrarsi nel tempo della condotta antidoverosa la quale
dovrebbe, perciò, essere considerata una condotta unica
continuata, con conseguente spostamento “in avanti”,
sino alla sua cessazione, del "dies a quo" per
l'inizio del computo del termine prescrizionale.
In realtà, la contestata vicenda di danno, pur nella sua
sostanziale unitarietà, risulta articolata in segmenti
temporali corrispondenti ai singoli anni controversi
(2000–2009), cui le specifiche minori entrate sono state
riferite.
D’altra parte, il criterio -poi confermato dalla Procura
attrice– per mezzo del quale il Comune di Vergato è
pervenuto alla determinazione del danno in discussione è
consistito proprio nel calcolare il mancato adeguamento del
costo di costruzione anno per anno, a partire dal 2000 fino
al 2009, individuando l’ammontare delle minori entrate per
ogni singolo esercizio finanziario ed il loro ammontare
complessivo (pari a € 386.711,64).
La decorrenza della prescrizione della domanda risarcitoria
va quindi stabilita tenendo conto del criterio appena
evidenziato, ovvero avendo riguardo al danno come perdita di
entrate contributive subita dal Comune in riferimento ad
ogni specifico anno oggetto di contestazione.
Resta da aggiungere che, non sussistendo nella fattispecie
alcun occultamento doloso, il mancato
adeguamento automatico del costo di costruzione era comunque
rilevabile, e dunque obiettivamente conoscibile, già
all’interno di ogni esercizio finanziario di riferimento,
attraverso le normali procedure di controllo e di revisione
previste dal T.U.EE.LL. (d.lgs. n. 267/2000).
Ne discende, ad avviso del Collegio, che il “dies a quo”
del termine prescrizionale deve essere fatto coincidere,
anno per anno, con la chiusura dell’esercizio finanziario di
riferimento, e pertanto, poiché il primo atto interruttivo
del termine prescrizionale (quinquennale) va individuato
nell’invito a dedurre emesso il 16.03.2010 dalla Procura
attrice, la pretesa risarcitoria azionata da quest’ultima
risulta prescritta in relazione al danno per le minori
entrate contributive riferite agli anni 2000, 2001, 2002,
2003 e 2004.
L’accertata parziale prescrizione del danno nei termini
appena specificati conduce a ritenere assorbita,
relativamente e limitatamente agli anni sopra indicati
(2000–2004), ogni ulteriore questione dedotta in atti.
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5)
Quanto, invece, alla parte restante del danno, costituita
dalla perdita di entrate contributive realizzata nel periodo
dall'01.01.2005 all’ottobre 2009, occorre prendere le mosse
dalla considerazione che tale periodo ricade interamente
sotto il vigore del citato Testo unico dell’edilizia (d.P.R.
n. 380 del 2001).
Questo corpo normativo è stato emanato –unitamente al d.lgs.
06.06.2001 n. 378, recante “Disposizioni legislative in
materia edilizia. (Testo B)” e al d.P.R. 06.06.2001 n. 379
recante “Disposizioni regolamentari in materia edilizia.
(Testo C)”- in esecuzione delle norme e dei principi di
cui alla legge 08.03.1999, n. 50 (“Delegificazione e
testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi
– Legge di semplificazione 1998”), che prevedeva, in
attuazione dell'art. 20, comma 1, della legge 15.03.1997, n.
59 (c.d. “legge Bassanini”), l’emanazione di
regolamenti (ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge
23.08.1988, n. 400) per la delegificazione e la
semplificazione dei procedimenti amministrativi (art. 1),
nonché il riordino delle norme legislative e regolamentari
disciplinanti varie fattispecie e materie “mediante
l'emanazione di testi unici riguardanti materie e settori
omogenei, comprendenti, in un unico contesto e con le
opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e
regolamentari” (art. 7).
Le norme del d.P.R. n. 380 del 2001 che interessano in
particolare ai fini dell’odierno giudizio sono già state
riportate al punto 2.b) della presente esposizione in
diritto, cui si rinvia.
Qui preme osservare che le norme anzidette hanno ripreso i
contenuti sostanziali delle preesistenti disposizioni della
legge n. 10 del 1977 in coerenza, peraltro, ai limiti di
intervento del legislatore delegato come segnati dai
principi e criteri direttivi fissati dall’art. 7, comma 2,
della legge n. 50 del 1999, tra cui il “coordinamento
formale delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti
di detto coordinamento, le modifiche necessarie per
garantire la coerenza logica e sistematica della normativa
anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio
normativo” (v. art. 7, comma 2, lett. d).
In altre parole, il legislatore delegato, con l’emanazione
del Testo unico in oggetto, ha realizzato un unico quadro
normativo delle preesistenti disposizioni nella materia che
occupa, effettuando un’opera di ricognizione, coordinamento
e razionalizzazione delle stesse senza, comunque, introdurre
innovazioni sostanziali rispetto al sistema normativo
previgente.
Ad avviso del Collegio, in un siffatto contesto non appare
quindi configurabile alcuna radicale discontinuità delle
disposizioni de quibus raccolte nel Testo unico n.
380 del 2001 rispetto a quelle della legge n. 10 del 1977
sulla edificabilità dei suoli, tale da poter giustificare,
per quanto qui interessa, dubbi ed incertezze applicative in
ordine alla determinazione del contributo afferente al costo
di costruzione.
Ciò anche a voler considerare l’aspetto innovativo riferito
alla sostituzione della concessione edilizia con il “permesso
di costruire”, che tuttavia non ha comportato modifiche
di rilevanza sostanziale alla disciplina del costo di
costruzione, come del resto può desumersi dal raffronto tra
le sopra riportate disposizioni degli artt. 3 (“contributo
per il rilascio della concessione”) e 6 (“determinazione
del costo di costruzione”) della legge n. 10 del 1977 e
le corrispondenti disposizioni dell’art. 16 (“contributo
per il rilascio del permesso di costruire”) del d.P.R.
n. 380 del 2001 nonché degli artt. 27 (“contributo di
costruzione”) e 29 (“costo di costruzione”) della
legge Emilia Romagna n. 31 del 2002.
Al riguardo, peraltro, non appare superfluo osservare che
nel presente giudizio oggetto di contestazione non è un
(ipotetico) “cattivo” uso del potere abilitativo del
Comune in ordine all’attività edificatoria, bensì il mancato
aggiornamento ISTAT, negli anni sopra specificati
(2005–2009), del costo di costruzione da determinarsi (ed
effettivamente determinato) all’atto del rilascio dei
provvedimenti di autorizzazione a costruire; provvedimenti
-giova sottolinearlo– che in questa sede non hanno formato
oggetto di alcuna censura.
---------------
6)
Passando al merito degli addebiti mossi a carico
dell’odierno convenuto, occorre anzitutto soffermarsi sulla
collocazione dell’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente” all’interno del sistema di
organizzazione del Comune come ridefinito (con deliberazione
di giunta n. 120 del 02.11.2000) a seguito dell’entrata in
vigore del decreto legislativo 18.08.2000 n. 267 (T.U. Enti
Locali), ed ordinato per “Aree” comprendenti, a loro
interno, più Unità Operative.
Orbene, la suddetta Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”, della quale il sig. ... è stato
Responsabile dal 2001 al luglio 2009, rappresenta
un’articolazione dell’Area n. 3 – “Servizi per la
Collettività ed il Territorio” comprendente, oltre alla
menzionata Unità, anche le Unità Operative "Attività
Produttive-Sportello unico-Turismo (escluso quello
culturale)", "Lavori Pubblici e manutenzione” e "Polizia
Municipale-Protezione civile".
Come desumibile dalla documentazione in atti (v. Statuto del
Comune e Piani Esecutivi di Gestione), l’Unità Operativa in
questione, sostitutiva (dall’anno 2001) del Settore “Urbanistica
e Ambiente”, ancorché costituisca, così come le altre
Unità Operative, una struttura interna (all’Area n. 3) di
tipo non apicale, risulta comunque dotata, negli specifici
ambiti di competenza, di autonomia funzionale e gestionale
per il conseguimento degli obiettivi programmati, con
imputazione dei relativi capitoli di bilancio (42035 - oneri
su costo di costruzione; 42036 – oneri di urbanizzazione
primaria; 42037 – oneri di urbanizzazione secondaria…).
D’altra parte, giusta quanto precisato dal Comune di
Vergato, e come sottolineato dalla Procura attrice, senza
alcuna contestazione difensiva sul punto, il geom. ...,
anche dopo la “trasformazione” del Settore “Urbanistica
e Ambiente” in Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”, all’esito allo svolgimento “delle
attività istruttorie di natura tecnica in materia
urbanistica ed edilizia” provvedeva “autonomamente
all’adozione del provvedimento finale” (v. “Prospetto
dotazione organica del servizio” trasmesso con nota
sindacale 08.01.2010, prot. n. 213), in piena continuità con
le funzioni di Responsabile di Settore precedentemente
esplicate.
In altre parole, anche successivamente alla creazione
-unitamente alla figura dei relativi Responsabili- delle
“Aree”, individuate come “strutture operative di massima
dimensione, finalizzate a garantire l’efficacia
dell’intervento nell’ambito di materie aventi
caratteristiche omogenee” (v. Statuto del Comune di
Vergato) ed articolate, a loro volta, in Unità Operative,
l’intero procedimento abilitativo edilizio, e quindi la
determinazione del contributo di costruzione (oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione) in sede di rilascio
del permesso di costruzione, continuava a fare capo, in via
diretta, al geom. ..., nella sua qualità di Responsabile
della Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”.
Tanto chiarito, va subito aggiunto che
l’adeguamento annuo del costo di costruzione secondo
l’indice ISTAT,
disciplinato dalla normativa dianzi richiamata (v. art. 16
d.P.R. n. 380/2001; artt. 27 e 29 l.reg. Emilia Romagna n.
31/2002), rientra indiscutibilmente
nell’ambito del procedimento autorizzatorio di cui sopra,
trattandosi di adempimento strettamente connesso all’esatto
computo del contributo dovuto in relazione al permesso di
costruire.
Appare perciò evidente, ad avviso del Collegio, che
anche per tale adempimento l’ordinaria competenza a
provvedere (appartenesse e) appartenga al Responsabile della
Unità Operativa interessata, più che al Responsabile
dell’Area di riferimento (“Servizi per la Collettività ed
il Territorio”) o agli organi deliberativi dell’Ente.
D’altro canto, l’aggiornamento in questione
si risolve in una operazione di calcolo da effettuarsi sulla
base di un parametro -la variazione ISTAT- fissato da
prescrizioni legislative (statali e regionali) alla stregua
delle quali si sarebbe dovuto provvedere automaticamente
anno per anno, senza alcuna possibilità di valutazioni ed
apprezzamenti discrezionali da parte degli organi di governo
comunali trattandosi, invero, di adeguamento comunque
obbligatorio per legge.
Sul punto le disposizioni di riferimento,
vale a dire l’art. 16, comma 9, del d.P.R. n. 380/2001
–testualmente riproduttivo, in parte qua, dell’art.
6, comma 3, della legge n. 10 del 1977– e l’art. 29, comma
3, della legge regionale Emilia Romagna n. 31 del 2002,
risultano univocamente chiare e vincolanti
nel prevedere che nei periodi intercorrenti tra le
determinazioni regionali il costo di costruzione è adeguato
annualmente dai Comuni “in ragione dell'intervenuta
variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica”, con l’ulteriore rilevante
precisazione,
nella norma statale appena citata, che
all’adeguamento si procede anche “in eventuale assenza di
tali determinazioni” ed “autonomamente”.
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7)
Per quanto precede, ritiene il Collegio che
nella fattispecie in esame, riguardo al mancato
adeguamento annuale del costo di costruzione, si sia
verificata una situazione di illegittima omissione a
provvedere da parte del Comune.
Omissione in primo luogo imputabile al
geom. ... il quale, nella sua veste di Responsabile della
competente Unità Operativa, avrebbe dovuto dare piena e
continuativa attuazione,
anche dopo l’entrata in vigore del Testo Unico
dell’edilizia, alla delibera del Consiglio
Comunale n. 58 del 29.09.1999 (di recepimento della
deliberazione del Consiglio Regionale n. 1108 in data
29.03.1999) aggiornando annualmente, con propria
determinazione, il costo di costruzione, così come stabilito
al punto 4) del dispositivo della delibera medesima;
adempimento, del resto, di non particolare complessità, già
curato dall’odierno convenuto in riferimento all’anno 2001
mediante l’adozione della determinazione n. 58 del
20.12.2000.
Né il contestato inadempimento può trovare valida
giustificazione nel documento denominato “Appunti per una
discussione della Giunta in merito alla pianificazione
urbanistica comunale e ai primi adempimenti conseguenti alla
nuova legge di disciplina dell’attività edilizia”
allegato dalla difesa del convenuto.
Trattasi infatti, come anche sottolineato dall’Organo
requirente, di documento –senza data e senza alcuna
sottoscrizione- del quale non è affatto chiara la
provenienza, privo comunque di qualsiasi valenza
autoritativa e decisoria ed inidoneo, pertanto, ad esplicare
efficacia vincolante nei confronti del convenuto, e ciò a
fronte –è bene ripeterlo- sia del perdurante obbligo,
normativamente espresso, di adeguare annualmente il costo di
costruzione, sia del menzionato atto deliberativo comunale (delib.
cons. n. 58 del 29.09.1999) che poneva tale incombente a
carico del “Capo Settore Urbanistica” (ora Unità
Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”).
Incombente, peraltro, mai revocato, né formalmente né
implicitamente, ed anzi ribadito, con richiamo testuale ai
precedenti e sottostanti provvedimenti regionale (delib.
cons. n. 1108/1999) e comunale (delib. cons. n. 58/1999),
dalla deliberazione di giunta n. 105 in data 08.10.2009 con
la quale, nel prendere atto “…della necessità di
procedersi all’aggiornamento del costo di costruzione ai
sensi della deliberazione di Consiglio Regionale n.
1108/1999 e della deliberazione di Consiglio Comunale n.
58/1999, alla luce delle intervenute variazioni dei costi di
costruzione accertata dall’ISTAT”, si disponeva che il
Responsabile della U.O. “Urbanistica Edilizia Privata e
Ambiente” avrebbe provveduto “all’aggiornamento
annuale ed autonomo del predetto costo di costruzione,
secondo le modalità di cui alla deliberazione di CR n.
1108/1999”.
Il che sta a confermare, con tutta evidenza, la piena e
perdurante validità ed efficacia delle due suindicate
delibere (regionale e comunale) del 1999 anche oltre
l’entrata in vigore del Testo unico dell’edilizia.
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8)
In sostanza, dunque, il mancato
aggiornamento del costo di costruzione configura,
ai fini del presente giudizio, una condotta
omissiva dell’odierno convenuto qualificabile, se non come
dolosa, certamente come gravemente colposa.
A questo riguardo, osserva il Collegio come
nella fattispecie in esame difettino i profili del
c.d. dolo “erariale” o “contrattuale”,
peraltro solo adombrato dalla Procura attrice,
non risultando il comportamento del sig. ...
improntato a consapevole volontà del medesimo di agire in
violazione dei propri doveri d’ufficio e di arrecare un
ingiusto pregiudizio all’Ente.
Nella condotta del sunnominato ricorrono,
tuttavia, gli elementi della colpa grave, ove si consideri,
anzitutto, che l’aggiornamento annuale del costo di
costruzione
-operazione, come già detto, di relativa semplicità-
postulava un dovere particolarmente
pregnante e puntuale di diligenza nell’adempimento di tale
obbligo, specie per i connessi rilevanti riflessi sulle
finanze del Comune.
Va inoltre evidenziato che l’inadempienza
si è protratta per svariati anni senza che il convenuto
abbia mai adottato, nell’ambito dell’autonomia di competenze
non meramente esecutive di cui in precedenza si è fatto
cenno, alcuna concreta, documentata iniziativa di natura “operativa”,
o anche solo “sollecitatoria” e/o “propositiva”,
volta a definire la vicenda dell’adeguamento ISTAT di cui si
discute; vicenda, occorre ribadirlo, coinvolgente, in via
diretta ed immediata, l’importante attività gestionale in
materia di edilizia privata propriamente riservata all’Unità
Operativa (“Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”)
della quale il sig. ... era Responsabile.
In altre parole, viene qui in rilievo la
prolungata, ingiustificata inerzia del convenuto in ordine
all’adeguamento del costo di costruzione, inerzia da
ritenersi e valutarsi quale espressione di inescusabile e
macroscopica superficialità nella cura dell’attività
gestoria di un settore comunale, quello dell’edilizia
privata, di assoluto rilievo.
Per quanto sin qui dedotto, il Collegio
ritiene dunque sussistente una condotta gravemente colposa
del sig. ..., direttamente causativa,
nella misura che si andrà a specificare,
del danno alle finanze comunali perseguito in questa sede.
---------------
9)
Ciò posto, la condotta omissiva del sunnominato va però
collocata in un certo contesto fattuale, del quale occorre
tenere debitamente conto ai fini della delimitazione della
responsabilità posta a carico del convenuto medesimo.
In particolare, con riferimento alla questione che ne
occupa, non risulta che i già menzionati “Appunti per una
discussione della Giunta in merito alla pianificazione
urbanistica comunale e ai primi adempimenti conseguenti alla
nuova legge di disciplina dell’attività edilizia” –ove
risulta annotato, a proposito del contributo di costruzione,
che “Anche in questo caso non sono necessarie, ora,
scelte particolari; occorre infatti attendere le nuove
determinazione del consiglio regionale e quindi le tabelle
per contributi e oneri rimangono quelle in vigore. E'
facoltà del Consiglio Comunale l'adeguamento del costo di
costruzione sulla semplice base dei dati ISTAT.”- siano
stati poi tradotti in formali deliberati del Comune
contenenti disposizioni o indicazioni in ordine
all’adeguamento del costo di costruzione.
In realtà, allo stato degli atti, nel periodo intercorso tra
la determinazione n. 58 del 28.12.2000 (oggetto:
Aggiornamento costo di costruzione) adottata dal geom. ... e
la delibera giuntale n. 105 in data 08.10.2009 (oggetto: “Aggiornamento
ISTAT costo di costruzione”) conseguente alla relazione
in pari data dell’arch. ... - subentrata al geom. ... nella
responsabilità dell’Unità Operativa Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente-, nessun organo comunale, elettivo e non,
risulta in alcun modo essersi formalmente attivato,
nell’ambito dell’esercizio delle proprie peculiari
competenze, perché le modalità dell’adeguamento ISTAT del
costo di costruzione ricevessero certa e sollecita
definizione nel vigore della nuova normativa statale e
regionale (d.P.R. n. 380/2001 e l.reg. Emilia Romagna n.
31/2002); fermo restando comunque, come già
sottolineato, l’obbligo, non la mera facoltà, del Comune di
provvedere a tale adeguamento.
D’altra parte, anche ammesso e non concesso
(stante il chiaro dettato normativo) che fosse effettiva
facoltà del Consiglio Comunale deliberare, sulla base di una
valutazione politica e discrezionale, in ordine
all’adeguamento o meno del costo di costruzione, in ogni
caso una tale decisione avrebbe dovuto essere formalizzata
con uno specifico atto consiliare (con piena assunzione
della conseguente responsabilità);
il che non è avvenuto, né le delibere di adozione di
variante al PRG (n. 39 dell’11-04-2003; n. 48 del
28-04-2003; n. 35 del 21-04-2009) richiamate nella memoria
di costituzione del convenuto (vedasi pag. 6), ed alla
stessa allegate, esprimono alcuna volontà
politico-amministrativa di mantenere fermo il costo
anzidetto.
Non si può, inoltre, non evidenziare come
abbia fatto assoluto difetto, nella vicenda in esame,
l’esercizio da parte dei dirigenti succedutisi nella carica
di Responsabile dell’Area n. 3 (“Servizi per la
Collettività ed il Territorio”) dei propri poteri di
direttiva, di impulso e di controllo, quando non
sostitutivi, in relazione alla specifica attività svolta
dall’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”.
In conclusione, al di là di ipotizzabili profili di
responsabilità la cui valutazione appartiene
prioritariamente alla competenza della Procura Requirente,
resta il fatto che l’assenza di una
qualunque iniziativa da parte dei vari soggetti comunali (in
primis Consiglio, Giunta e dirigenti Responsabili
dell’Area 3), comunque coinvolti dalla discussa problematica
in ragione delle rispettive attribuzioni, ha consentito che
la grave anomalia gestionale rappresentata dal mancato
adeguamento del costo di costruzione si protraesse per
diversi anni in una situazione di persistente inazione
dell’amministrazione; situazione che ha senza dubbio
contribuito al progressivo formarsi dell’ingente danno per
cui è causa.
Tutto ciò risulta ancora più evidente se si considera che, a
distanza di anni dall’entrata in vigore della nuova
normativa sull’edilizia, è bastata la relazione
dell’08.10.2009 dell’arch. ... per attivare il potere
deliberativo della Giunta e provvedere all’aggiornamento del
costo di costruzione (vedasi deliberazione n. 105 in data
08.10.2009) senza, peraltro, che nel frattempo il Consiglio
Regionale avesse adottato alcuna nuova determinazione in
materia.
Del resto, e vale la pena di rimarcarlo, nella menzionata
relazione si espone testualmente che “Le
procedure di approvazione dell'aggiornamento cambiano
secondo indirizzi interni ai Comuni,
che non si è potuto riscontrare, a volte
delibera di giunta, altre volte determina del responsabile
urbanistica-edilizia, ma il riscontro dell'aggiornamento si
è potuto avere in quasi tutti i comuni. Tuttavia la
scrivente si è premurata di contattare la Regione, dalla
quale ha ricevuto rassicurazioni sulla non rilevanza
relativamente alla procedura di approvazione, ma certezza
sull'obbligo dei comuni di procedere all'aggiornamento”
(vedasi pag. 4), a riprova del fatto che se
in precedenza i vari organi comunali avessero prestato,
ognuno nell’ambito delle proprie prerogative, maggiore cura
e attenzione circa la corretta applicazione della procedura
di calcolo del costo di costruzione, l’ammontare del danno
sarebbe risultato di gran lunga inferiore a quello poi
accertato, o forse non si sarebbe realizzato.
Ritiene pertanto il Collegio che nella dedotta vicenda
il mancato intervento degli altri soggetti
comunali interessati, concretizzatosi anch’esso in una
continuata ed assolutamente ingiustificabile inerzia, pur
non facendo venire meno la responsabilità per colpa grave
dell’odierno convenuto assuma, tuttavia, concorrente
rilevanza nella produzione dell’evento dannoso.
Tale apporto concausale, valutato con
riguardo all’insieme delle accennate condotte “inattive”,
appare complessivamente stimabile, per la notevole incidenza
che esso ha avuto sul protrarsi per anni dell’inadempimento
dell’obbligo di adeguamento del costo di costruzione, nella
misura del 75 per cento, con corrispondente riduzione al 25
per cento della percentuale di responsabilità restante a
carico del sig. ....
---------------
10)
Si pone, a questo punto, il problema della quantificazione
del danno derivato al Comune dal mancato adeguamento annuale
del costo di costruzione; ciò limitatamente al periodo
gennaio 2005–ottobre 2009, essendo il periodo precedente
coperto, come già detto, da prescrizione.
Al riguardo si deve tornare a rilevare che il danno in
questione è costituito dalle minori entrate contributive
conseguenti al minor importo, rispetto al dovuto, del costo
di costruzione quale determinato dallo stesso geom. ...
nell’ambito del rilascio dei permessi di costruire relativi
alle pratiche edilizie definite anno per anno.
Pratiche che come già evidenziato nel corso della presente
esposizione, e come anche osservato in citazione dalla
Procura attrice, non hanno formato oggetto, né in sede
amministrativa né in questa sede giurisdizionale, di alcuna
contestazione sotto alcun altro profilo diverso dal mancato
adeguamento ISTAT del costo di costruzione.
Ne consegue che i rilievi formulati dalla difesa del
convenuto per il periodo dal 2005 in poi, e riportati al
punto 6) della parte narrativa della presente sentenza (cui
si rimanda), appaiono non risolutivi per quanto qui ci
occupa, siccome involgenti aspetti e problematiche dei
titoli abilitativi a costruire (quali attività edilizie
dovessero scontare il costo di costruzione, quali fossero a
costo pieno, quali a costo ridotto, quali esenti; …diversità
dei costi da scontare a seconda delle varie tipologie di
attività…inapplicabilità di alcun tipo di adeguamento del
costo di costruzione per i permessi di costruire dei nuovi
edifici ad uso terziario; diversa disciplina per le pratiche
relative alle ristrutturazioni e alle DIA…) che non possono
influire sull’accertamento del quantum del costo di
costruzione non introitato dal Comune a causa della mancata
applicazione, anno per anno, del meccanismo adeguativo
previsto dalla normativa in materia.
Ciò in quanto il dato sostanziale su cui l’Amministrazione
ha computato, ai fini risarcitori, l’adeguamento annuale
ISTAT è il costo di costruzione, comprendente l’aumento (non
aggiornato) a suo tempo applicato, quale risultato del
relativo procedimento tecnico all’uopo utilizzato proprio
dal geom. ... nelle varie pratiche edilizie come trattate e
definite dallo stesso e che non possono ora, in questa sede,
essere sottoposte ad una verifica generalizzata stante, tra
l’altro, l’assoluta mancanza di indicazione, riguardo alle
stesse, di ulteriori circostanze ed elementi concreti e
specifici che sarebbe stato onere del convenuto allegare.
A tale proposito, giova richiamare testualmente alcuni
passaggi della nota prot. n. 7924 del 14.06.2010 inviata dal
Comune di Vergato alla Procura Regionale, ove si precisa -in
ordine alle modalità di calcolo del danno erariale– “che
il calcolo è stato disposto in relazione alle somme
effettivamente accertate per ciascun esercizio finanziario a
titolo di costo di costruzione (capitolo di entrata 4035-000
tit. 4 cat. 5, risorsa 44217), pertanto già separato
dall'introito per oneri di urbanizzazione (che compongono la
voce complessiva del contributo di costruzione dovuto dal
cittadino).
Per quanto concerne le osservazioni in ordine alla
legittimazione della richiesta del costo di costruzione di
cui alla memoria difensiva (e quindi alla differenziazione
tra edifici residenziali e terziari, alle verifiche relative
alla data di presentazione della pratica, alla distinzione
tra nuove costruzioni e ristrutturazioni) si precisa che il
calcolo è stato effettuato utilizzando come base sostanziale
gli accertamenti tecnici e l'istruttoria già compiuta dal
dipendente in ordine rispettivamente alla ricorrenza del
titolo legittimante la richiesta del costo di costruzione,
alla definizione dei parametri temporali di applicazione ed
alla definizione della base di calcolo (vale a dire
presupponendo in via esclusiva che l'applicazione del costo
di costruzione fosse erronea solo nella quantificazione
dell'importo unitario).
Diversamente opinando si dovrebbe ipotizzare una verifica
caso per caso con conseguente riesame istruttorio di
ciascuna pratica del periodo interessato, con conseguente
paralisi delle attività ordinarie dell'Ente. Per questo
motivo la formulazione del calcolo del danno erariale (pari
ad euro 386.711,64) è stata determinata dall'applicazione
per ciascun anno della % di aumento ISTAT effettivamente
dovuta e non applicata. Da tale somma è stato scomputato
l'aumento percentuale formalmente praticato con decorrenza
2001 (come di seguito specificato). Per la medesima ragione
nella quantificazione del danno non si è tenuto in
considerazione l'asserito arrotondamento eseguito dal
dipendente a € 500,00, posto che lo stesso non risulta
formalizzato in alcun atto…”.
La stessa Amministrazione comunale ha inoltre prodotto un
prospetto -a firma del Sindaco– di quantificazione delle
minori entrate contributive accertate anno per anno, nel
quale sono esposti, per il periodo che qui interessa
(2005-2009), i seguenti dati:
- esercizio 2005: “entrata accertata = € 303.674,06; atto
di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = €
556,59; ISTAT annuo = 4,3900%; ISTAT totale = € 119,7452%;
ISTAT totale = 19,7452%; aumento % ISTAT formalmente
applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento
formalmente applicato = € 298.158,13; aumento applicato su
totale accertato = € 5.515,9255; aumento effettivamente
dovuto su totale accertato = € 58.871,8626; minore entrata =
€ 53.355,9371”;
- esercizio 2006: “entrata accertata = € 296.041,52; atto
di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = €
577,55; ISTAT annuo = 3,7700%; ISTAT totale = € 124,2596%;
ISTAT totale = 24.2596%; aumento % ISTAT formalmente
applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento
formalmente applicato = € 290.693,69; aumento applicato su
totale accertato = € 5.377,8332; aumento effettivamente
dovuto su totale accertato = € 70.521,0503; minore entrata =
€ 65.143,2170”;
- esercizio 2007: “entrata accertata = € 254.035,98; atto
di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = €
595,58; ISTAT annuo = 3,1200%; ISTAT totale = € 128,1365%;
ISTAT totale = 28,1365%; aumento % ISTAT formalmente
applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento
formalmente applicato = € 249.421,68; aumento applicato su
totale accertato = € 4.614,3011; aumento effettivamente
dovuto su totale accertato = € 70.178,4628; minore entrata =
€ 65.564,1617”;
- esercizio 2008; “entrata accertata = € 206.657,90; atto
di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = €
625,36; ISTAT annuo = 5,000%; ISTAT totale = € 134,5433%;
ISTAT totale = 34,5433%; aumento % ISTAT formalmente
applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento
formalmente applicato = € 202.904,17; aumento applicato su
totale accertato = € 3.753,7272; aumento effettivamente
dovuto su totale accertato = € 70.089,7899; minore entrata =
€ 66.336,0627”;
- esercizio 2009: “entrata accertata = € 128.047,80; atto
di aggiornamento – sino ad aggiornamento (DGC 105/2009-DA3
145/2009); cc corretto = € 654,38; ISTAT annuo = 4,6400%;
ISTAT totale = € 140,7861%; ISTAT totale = 40,7861%; aumento
% ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata
depurata dell’aumento formalmente applicato = € 125.721,94;
aumento applicato su totale accertato = € 2.325,8560;
aumento effettivamente dovuto su totale accertato = €
51.277,0846; minore entrata = € 48.951,2286”.
Ebbene, ritiene il Collegio che i dati appena riportati
diano sufficientemente conto del complessivo importo,
determinato per arrotondamento in € 299.000, del danno
derivato al Comune da minori entrate contributive per
mancato adeguamento del costo di costruzione relativamente
alle pratiche edilizie definite dall’odierno convenuto nel
periodo gennaio 2005–ottobre 2009.
Né d’altra parte, a fronte di tali dati oggettivamente
accertati, il convenuto medesimo ha allegato elementi
probatori contrari, certi e concreti idonei a dimostrare
quanto dedotto nella memoria di costituzione sul fatto che “per
moltissime pratiche le entrate introitate dal Comune sono
state addirittura superiori a quelle che avrebbe potuto
pretendere con l'applicazione rigorosa della l.r. 31/2002
…., è pacifico che il danno richiesto non sia corretto, ma
sia molto maggiore di quello effettivamente e se del caso
sussistente subito dall'amministrazione” ed “addirittura
c'è ragione di credere che il Comune di Vergato non abbia
registrato alcuna perdita” (vedasi pag. 26 della memoria
difensiva).
Da quanto sopra considerato discende, dunque, che la quota
parte di danno addebitabile al sig. ..., pari al 25 per
cento dell’importo di € 299.000, risulta fissata in €
74.750.
Inoltre, sempre ad avviso del Collegio, ricorrono i
presupposti per un moderato esercizio del potere riduttivo
dell’addebito tenuto conto, in particolare, delle
circostanze di incertezza amministrativa nel cui contesto il
geom. ... ebbe ad operare all’epoca dei fatti di causa; tale
riduzione appare equamente calcolabile nella misura del 20
per cento, con susseguente determinazione dell’addebito nel
conclusivo importo (arrotondato) pari a € 60.000,
comprensivo degli accessori maturati sino alla presente
sentenza.
---------------
11)
Conclusivamente, va quindi affermata la responsabilità
amministrativa dell’odierno convenuto sig. ... per i fatti
di cui è causa, con conseguente condanna dello stesso al
risarcimento in favore del Comune di Vergato della somma di
€ 60.0000 (sessantamila), cui devono aggiungersi gli
interessi legali dalla data di deposito della presente
sentenza sino al saldo; salvo a tenere conto in sede di
esecuzione, nella sopra specificata misura del 25 per cento,
di quanto eventualmente altrimenti recuperato dal predetto
Comune, in via di autotutela ed a titolo di conguaglio, nei
confronti dei beneficiari dei provvedimenti autorizzatori
edilizi in relazione ai quali, nel periodo di riferimento
(2005-ottobre 2009), non si è provveduto alla determinazione
del costo di costruzione nella misura aggiornata (Corte dei
Conti, Sez. giurisdiz. Emilia Romagna,
sentenza 31.05.2011 n. 265). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’obbligazione di pagamento degli oneri
concessori sorge con il rilascio della concessione edilizia
e la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la
determinazione del contributo dovuto per gli oneri in
questione debba essere riferita al momento in cui sorge
l’obbligazione.
Il considerevole lasso di tempo decorso tra la presentazione
della domanda di sanatoria ed il rilascio della concessione
non può essere utilmente valorizzato nell’ottica della
individuazione di decorrenze del termine per la formazione
del silenzio-assenso (e, così, del decorso della
prescrizione) diverse da quelle normativamente indicate né
per sollecitare una non meglio specificata “giusta
mediazione” che tenga conto delle tariffe eventualmente più
favorevoli esistenti all’epoca della presentazione della
domanda di sanatoria.
L’obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge con
il rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è
concorde nel ritenere che la determinazione del contributo
dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al
momento in cui sorge l’obbligazione.
In tale contesto, il considerevole lasso di tempo decorso
tra la presentazione della domanda di sanatoria ed il
rilascio della concessione non può essere utilmente
valorizzato nell’ottica della individuazione di decorrenze
del termine per la formazione del silenzio-assenso (e, così,
del decorso della prescrizione) diverse da quelle
normativamente indicate né per sollecitare una non meglio
specificata “giusta mediazione” che tenga conto delle
tariffe eventualmente più favorevoli esistenti all’epoca
della presentazione della domanda di sanatoria (quanto a
quelle vigenti al momento di realizzazione dell’opera
abusiva, lo stesso ricorrente riconosce che sarebbe ingiusto
agevolare il responsabile) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.05.2011 n. 3116 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La prescrizione decennale del diritto a
conseguire il pagamento del contributo commisurato al costo
di costruzione, insieme agli oneri di urbanizzazione,
decorre dal giorno del rilascio della concessione ed ha un
termine prescrizionale decennale.
Con ricorso iscritto al n. 4638 del 2004, il Comune di
Terlizzi propone appello avverso la sentenza del Tribunale
amministrativo regionale per la Puglia, sezione terza, n.
900 del 26.02.2004 con la quale è stato respinto il ricorso
proposto dallo stesso Comune contro M.S. per l’accertamento
del diritto del Comune di Terlizzi a vedersi corrispondere
dal sig. Mario Scardino i contributi di urbanizzazione
relativi alla concessione edilizia n. 44/75, rilasciata
dallo stesso Comune in data 23.05.1980, nonché per la
condanna del resistente al pagamento in favore del Comune di
Terlizzi dei predetti contributi di urbanizzazione e degli
interessi maturati fino al 28.02.2003, pari alla complessiva
somma di € 60.204,86.
...
1. - L’appello, nella parte relativa all’eccepita avvenuta
prescrizione del diritto, è fondato e merita accoglimento.
2. - Occorre, infatti, evidenziare, che l’interruzione del
fatto prescrizionale, e la successiva sospensione per tutta
la durata del processo, opera anche in relazione a domande
rivolte ad autorità giudiziaria in concreto priva di
giurisdizione. Infatti, per l’interruzione della
prescrizione (ed ai fini della sospensione del corso della
stessa per tutta la durata del processo) rileva
esclusivamente che la parte abbia inteso chiedere tutela del
proprio diritto, mentre è del tutto ininfluente che il
giudice adito in prima battuta difetti del potere di
apprestargliela (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V,
18.11.2004, n. 7537; nella giurisprudenza civile, Cass.
civ., 28.05.1975, n. 2182; id. 30.03.1987, n. 2781; id.,
14.11.2002, n. 16032).
Pertanto, nella fattispecie in esame, nel computo del
calcolo prescrizionale deve essere tenuta in conto anche la
durata dei diversi processi incardinati davanti al giudice
civile. In relazione a questi, va precisato che,
contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure,
deve considerarsi idoneo ad interrompere il termine
prescrizionale anche il giudizio in opposizione proposto dal
debitore, iniziato in data 01.06.1985 e concluso con la
sentenza definitiva in grado di appello depositata il
14.03.1996.
Infatti, deve ricordarsi che il precetto, siccome atto non
diretto all’instaurazione di un giudizio né del processo
esecutivo, interrompe la prescrizione senza effetti
permanenti, ed il carattere solo istantaneo dell'efficacia
interruttiva sussiste anche nel caso in cui, dopo la sua
notificazione, l'intimato abbia proposto opposizione.
Tuttavia, se il creditore opposto si costituisce formulando
una domanda comunque tendente all'affermazione del proprio
diritto di procedere all'esecuzione (ed in tale categoria va
compresa certamente anche la mera richiesta di rigetto
dell'opposizione) compie un'attività processuale rientrante
nella fattispecie astratta prevista dal comma 2 dell'art.
2943 c.c., sicché, ai sensi del comma 2 dell'art. 2945 c.c.,
la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in
giudicato la sentenza che definisce il giudizio (Cassazione
civile, sez. III, 29.03.2007, n. 7737).
Pertanto, la prescrizione decennale del diritto a conseguire
il pagamento del contributo commisurato al costo di
costruzione, insieme agli oneri di urbanizzazione,
decorrente dal giorno del rilascio della concessione e
avente un termine prescrizionale decennale (ex plurimis,
Consiglio di Stato, sez. V, 13.06.2003, n. 3332; Consiglio
di Stato, sez. IV, 16.01.2009, n. 216), risulta essere stato
interrotto e sospeso sia in relazione alla sopracitata
iniziativa del debitore (per un totale di giorni 3939), sia
successivamente per merito dell’azione proposta dal Comune
(per un totale di giorni 1771). Lo spirare del termine
prescrizionale veniva quindi spostato al 09.01.2006, data in
cui risulta già incardinato il presente giudizio.
La prescrizione del diritto non può quindi ritenersi
compiuta ed in questo senso deve essere accolto l’appello
proposto dal Comune di Terlizzi
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.05.2011 n. 2618 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il credito del comune per oneri
concessori è assoggettato al regime di prescrizione
ordinaria decennale.
La mancanza dei documenti richiesti per
la concessione del condono edilizio impedisce il formarsi
del silenzio assenso?
Risulta fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalle
ricorrenti e riferita al credito vantato dal Comune per gli
oneri concessori dovuti; al riguardo la giurisprudenza è
concorde nell’assoggettare tale credito al regime di
prescrizione ordinaria decennale: “il ricorrente ha
dedotto l’illegittimità della richiesta dell’ulteriore
integrazione a titolo di oneri concessori. Al riguardo é
sufficiente ribadire le motivazioni appena prospettate sub
III, con la precisazione, che neanche con il regime
procedurale della l. 47/1985 si é mai dubitato che operi la
prescrizione decennale del conguaglio, stante che il termine
breve, come chiarito, riguarda la sola oblazione.” (Tar
Catania, I, 1633/2007; analogamente Tar Lecce, 3820/2005); “La
prescrizione degli oneri concessori soggiace all'ordinario
termine decennale di prescrizione, decorrente dall'atto del
rilascio della concessione.” (Tar Lecce, 3394/2004).
---------------
A margine va solo chiarito che la prescrizione è da
considerare maturata sia se il relativo termine viene fatto
decorrere dalla data di presentazione della domanda di
sanatoria; sia se si ha riguardo al momento in cui si è
formato tacitamente il titolo edilizio richiesto. A tale
ultimo riguardo, infatti, va chiarito che –come si postula
nel secondo motivo di ricorso– la concessine in sanatoria si
è formata per silentium, essendo decorsi i
ventiquattro mesi prescritti a tal fine dall’art. 35 della
L. 47/1985, che decorrono dal momento di presentazione della
domanda, a nulla rilevando l’eventuale incompletezza della
documentazione presentata.
Questa Sezione ha già avuto modo di precisare infatti che: “Secondo
la prima disposizione [art. 35 della L. 47/1985, n.d.r.], la
mancanza dei documenti richiesti per la concessione del
condono edilizio non impedisce il perfezionamento
dell'assenso per silenzio fino al momento in cui gli stessi
vengano prodotti.
La produzione dei documenti, infatti, non costituisce
requisito per la formazione del silenzio assenso;
diversamente, la legge avrebbe espressamente previsto la
formazione del silenzio assenso decorsi 24 mesi dalla
presentazione della domanda munita di tutti gli allegati ad
eccezione unicamente nell'ipotesi di immobili vincolati, nel
qual caso il termine decorre dal rilascio del nulla osta
degli enti di tutela, con conseguente procedibilità ed
ammissibilità della domanda ancorché carente documentalmente
(TAR Catania, I, 20.01.2004 n. 49; 11.03.2005, n. 418). (…)
Il silenzio assenso così formatosi può essere rimosso solo
mediante l'esercizio del potere di annullamento di ufficio
da parte del Comune (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24.03.1997,
n. 286), misura di autotutela che consente di contemperare
il ripristino della legalità con l'esigenza, pure avvertita
dal legislatore, di rendere effettivamente praticabile
l'istituto del silenzio accoglimento (cfr. Cons. Stato, Sez.
V, 07.12.1995, n. 1672).” (Tar Catania, I, 1633/2007)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 07.03.2011 n. 557 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Quanto al regime prescrizionale degli
oneri di urbanizzazione e dei contributi commisurati al
costo di costruzione, in assenza di diversa disposizione
normativa il termine è quello ordinario decennale.
Quanto al regime prescrizionale degli oneri di
urbanizzazione e dei contributi commisurati al costo di
costruzione, la giurisprudenza amministrativa ha precisato
che, in assenza di diversa disposizione normativa, il
termine è quello ordinario decennale (TAR Campania, Salerno,
30.12.2003 n. 2599) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 14.01.2011 n. 152 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
1. Contributo di costruzione - Obbligo
di restituzione, da parte della P.A. delle somme corrisposte
- Sussiste laddove il privato rinunci al permesso di
costruire o sia intervenuta la decadenza del titolo
edilizio.
2. Contributo di costruzione - Obbligo di restituzione, da
parte della P.A. delle somme corrisposte - In caso di
utilizzo soltanto parziale del permesso di costruire per
realizzazione di parte delle opere edilizie previste -
Sussiste per la quota di contributo di costruzione che è
stata calcolata con riferimento alle opere non realizzate.
3. Contributo di costruzione - Obbligo di restituzione, da
parte della P.A. delle somme corrisposte - Decorrenza del
termine di prescrizione - Dalla data in cui il titolare
comunica all'Amministrazione la propria intenzione di
rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione,
da parte della P.A. del provvedimento che dichiara la
decadenza del permesso di costruire.
4. Restituzione di somme indebitamente riscosse da parte
della P.A. - Diritto del privato agli interessi legali -
Sussiste.
5. Risarcimento del maggior danno rispetto agli interessi
legali richiesto a colui che abbia ricevuto in buona fede un
pagamento indebito - Va valutato con riguardo al periodo
successivo alla presentazione della domanda di restituzione
delle somme indebitamente pagate.
1.
Quando il privato rinunci al permesso di costruire o anche
quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio -per
scadenza dei termini iniziali o finali o per il sopravvenire
di previsioni urbanistiche introdotte o dallo strumento
urbanistico o da norme legislative o regolamentari,
contrastanti con le opere autorizzate e non ancora
realizzate- sorge in capo alla P.A. l'obbligo di
restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo
per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e,
conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la
restituzione, in quanto il contributo concessorio è
strettamente connesso all'attività di trasformazione del
territorio. Pertanto, ove tale circostanza non si verifichi,
il relativo pagamento risulta privo di causa, cosicché
l'importo versato va restituito.
2.
Il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in
cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma
anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato
soltanto parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli
oneri di urbanizzazione che la quota relativa al costo di
costruzione sono correlati, sia pure sotto profili
differenti, all'oggetto della costruzione.
L'avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie
consentite da un permesso di costruire comporta dunque il
sorgere, in capo al titolare, del diritto alla
rideterminazione del contributo ed alla restituzione della
quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla
porzione non realizzata.
3.
Ai sensi dell'art. 2935 c.c. il termine di prescrizione
comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere
fatto valere e, dunque, dalla data in cui il titolare
comunica all'Amministrazione la propria intenzione di
rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione,
da parte della P.A. del provvedimento che dichiara la
decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini
iniziali o finali o per l'entrata in vigore delle previsioni
urbanistiche contrastanti.
4.
Il privato, sulle somme indebitamente riscosse dalla P.A.,
ha diritto agli interessi legali i quali, qualora non vi
siano elementi che escludano la buona fede
dell'Amministrazione, spettano dalla data della domanda.
5.
Il risarcimento del maggior danno, rispetto agli interessi
legali, richiesto a colui che abbia ricevuto in buona fede
un pagamento indebito ai sensi dell'art. 2033 c.c., riguarda
il periodo successivo alla presentazione della domanda,
essendo irrilevante l'allegazione e la dimostrazione di aver
dovuto fare ricorso ad oneroso credito bancario in periodo
precedente la presentazione della domanda di restituzione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 24.03.2010 n. 728 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Allorché il privato rinunci al permesso
di costruire o anche quando sia intervenuta la decadenza del
titolo edilizio sorge in capo alla p.a. l’obbligo di
restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo
per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e
conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la
restituzione.
Il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in
cui la mancata realizzazione delle opere sia totale ma anche
ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo
parzialmente.
L’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie
consentite da un permesso di costruire comporta il sorgere
in capo al titolare del diritto alla rideterminazione del
contributo ed alla restituzione della quota di esso che è
stata calcolata con riferimento alla porzione non
realizzata.
Il termine di prescrizione, nel restituire la quota di
contributo di costruzione versata per mancata edificazione,
comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere
fatto valere, e, dunque, dalla data in cui il titolare
comunica alla amministrazione la propria intenzione di
rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione da
parte della p.a. del provvedimento che dichiara la decadenza
del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali
o finali o per l’entrata in vigore delle previsioni
urbanistiche contrastanti.
Sulle somme indebitamente riscosse dalla p.a., la ricorrente
ha diritto agli interessi legali, che, non essendovi
elementi per escludere la buona fede dell’amministrazione,
spettano dalla data della domanda.
La
giurisprudenza è concorde nel ritenere che, allorché il
privato rinunci al permesso di costruire o anche quando sia
intervenuta la decadenza del titolo edilizio -per scadenza
dei termini iniziali o finali o per il sopravvenire di
previsioni urbanistiche introdotte o dallo strumento
urbanistico o da norme legislative o regolamentari,
contrastanti con le opere autorizzate e non ancora
realizzate- sorga in capo alla p.a. l’obbligo di
restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo
per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e
conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la
restituzione (cfr. TAR Abruzzo, Pescara, 15.12.2006, n. 890;
Cons. Stato, sez. V, 22.02.1988, n. 105). Il contributo
concessorio è, difatti, strettamente connesso all’attività
di trasformazione del territorio, quindi, ove tale
circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta
privo di causa cosicché l’importo versato va restituito
(Cons. Stato, sez. V, 12.06.1995, n. 894; Tar Lazio, Roma,
sez. II-bis, 12.03.2008, n. 2294).
Il Collegio è dell’avviso che il diritto alla restituzione
sorga non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione
delle opere sia totale ma anche ove il permesso di costruire
sia stato utilizzato solo parzialmente, come è accaduto nel
caso di specie in cui è stato edificato solamente un
capannone industriale e non anche un edificio uso ufficio,
come, invece, previsto nel titolo edilizio.
Sia la quota per oneri di urbanizzazione -che compensa
l’aggravio del carico urbanistico della zona indotto dalla
nuova costruzione- che la quota per costo di costruzione
-che si giustifica per l'aumentata capacità contributiva del
titolare ed è pertanto commisurata al valore economico del
costo di costruzione, determinato sulla base di parametri
generali– sono, difatti, correlati, sia pur sotto profili
differenti, all’oggetto della costruzione: la realizzazione
solamente di uno dei due edifici oggetto del permesso di
costruire non può che comportare una riduzione dell’aggravio
del carico urbanistico della zona e manifestare una minore
capacità contributiva rispetto all’ipotesi in cui entrambe
le opere assentite fossero edificate.
L’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie
consentite da un permesso di costruire comporta, pertanto,
il sorgere in capo al titolare, del diritto alla
rideterminazione del contributo ed alla restituzione della
quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla
porzione non realizzata.
Ai sensi dell’art. 2935 c.c., il termine di prescrizione
comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere
fatto valere, e, dunque, dalla data in cui il titolare
comunica alla amministrazione la propria intenzione di
rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione da
parte della p.a. del provvedimento che dichiara la decadenza
del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali
o finali o per l’entrata in vigore delle previsioni
urbanistiche contrastanti.
Il Collegio non condivide quindi la posizione assunta dalla
amministrazione, non potendo la prescrizione iniziare a
decorrere da un momento, quello del rilascio del titolo
edilizio, in cui il diritto alla restituzione del contributo
non è ancora sorto non essendosi ancora verificati i fatti
impeditivi della edificazione sopra richiamati.
Il principio affermato nella sentenza del Consiglio di
Stato, 13.06.2003, n. 3332, richiamata dalla difesa
dell’amministrazione comunale non trova quindi applicazione
nel caso di specie: tale pronuncia, nell’individuare nel
rilascio della concessione edilizia il momento da cui inizia
a decorrere la prescrizione, fa, difatti, riferimento ad un
diritto differente rispetto a quello oggetto della presente
controversia, cioè quello del Comune al pagamento del
contributo.
Sulle somme indebitamente riscosse dalla p.a., la ricorrente
ha diritto agli interessi legali, che, non essendovi
elementi per escludere la buona fede dell’amministrazione,
spettano dalla data della domanda.
Non spetta, invece, il risarcimento del maggior danno.
L'eventuale maggior danno, rispetto agli interessi legali,
richiesto a colui che abbia ricevuto in buona fede un
pagamento indebito, ai sensi dell'art. 2033 c.c., riguarda
il periodo successivo alla presentazione della domanda;
irrilevante, di conseguenza, è l'allegazione e dimostrazione
di aver dovuto far ricorso ad oneroso credito bancario in
periodo precedente la presentazione della domanda di
restituzione (Cassazione civile, sez. lav., 13.04.2007, n.
8921).
La documentazione allegata dalla ricorrente non può, quindi,
ritenersi sufficiente ad assolvere l’onere della prova in
quanto dimostra una situazione di difficoltà economica della
società ed il ricorso al credito bancario in un momento
antecedente al 16.10.2001, data in cui la società ricorrente
ha domandato al Comune la restituzione dei quanto
indebitamente corrisposto
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.03.2010 n. 728 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
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EDILIZIA
PRIVATA: L’Amministrazione
(e per essa il concessionario appositamente incaricato)
dispone del potere, esercitatile entro il termine
prescrizionale, di pretendere il pagamento di quanto “ab
origine” dovuto dal richiedente il titolo edilizio, come
quest’ultimo ha il potere di pretendere, entro lo stesso
termine, la restituzione di quanto eventualmente pagato in
eccedenza.
Peraltro è vero che la liquidazione del contributo viene
effettuata dall’Amministrazione, ma tale liquidazione non dà
luogo ad un provvedimento (ancorché di carattere paritetico)
avente natura costitutiva. Si tratta, invece, di attività
meramente ricognitiva e contabile, perché frutto
dell’applicazione di criteri automatici di determinazione
del “quantum debeatur” (attraverso tabelle parametriche
applicabili a volumi e superfici di progetto), nonché di
norme giuridiche che nulla lasciano alla discrezionalità
dell’Ente riguardo all’ammontare effettivamente dovuto.
L’Amministrazione non esercita, pertanto, alcun potere
libero e discrezionale, tanto è vero che la determinazione
potrebbe essere effettuata anche dal richiedente in via del
tutto autonoma (come in effetti avviene quando esso contesta
l’illegittima pretesa di un contributo superiore a quanto
dovuto).
---------------
Il diritto di credito dell’Amministrazione comunale, avente
ad oggetto il pagamento degli oneri dovuti per il rilascio
della concessione edilizia, è soggetto all’ordinario termine
decennale di prescrizione, decorrente dalla data di rilascio
della concessione edilizia, in cui il relativo credito
diviene certo, agevolmente liquidabile ed esigibile.
Nel caso in esame, a giudizio del Collegio, non ricorre la
fattispecie dell’autotutela amministrativa in senso stretto,
cioè l’autoannullamento di atti illegittimi. Va, infatti,
osservato che il concessionario si limita a richiedere un
pagamento integrativo, senza disporre alcunché riguardo alla
precedente determinazione del contributo effettuata dal
Comune al momento del rilascio del titolo edilizio.
Questo, tuttavia, non esclude che l’Amministrazione (e per
essa il concessionario appositamente incaricato) disponga
comunque del potere, esercitatile entro il termine
prescrizionale, di pretendere il pagamento di quanto “ab
origine” dovuto dal richiedente il titolo edilizio, come
quest’ultimo ha il potere di pretendere, entro lo stesso
termine, la restituzione di quanto eventualmente pagato in
eccedenza.
Peraltro è vero che la liquidazione del contributo viene
effettuata dall’Amministrazione, ma tale liquidazione non dà
luogo ad un provvedimento (ancorché di carattere paritetico)
avente natura costitutiva. Si tratta, invece, di attività
meramente ricognitiva e contabile (cfr. Cons. St., Sez. IV,
06.06.2008, n. 2686), perché frutto dell’applicazione di
criteri automatici di determinazione del “quantum
debeatur” (attraverso tabelle parametriche applicabili a
volumi e superfici di progetto), nonché di norme giuridiche
che nulla lasciano alla discrezionalità dell’Ente riguardo
all’ammontare effettivamente dovuto.
L’Amministrazione non esercita, pertanto, alcun potere
libero e discrezionale, tanto è vero che la determinazione
potrebbe essere effettuata anche dal richiedente in via del
tutto autonoma (come in effetti avviene quando esso contesta
l’illegittima pretesa di un contributo superiore a quanto
dovuto).
Di conseguenza, volendo analizzare la vicenda in termini
paritetici e negoziali, l’errore è sempre riconoscibile da
parte del debitore che si comporti osservando i canoni di
correttezza e di ordinaria diligenza, il quale non può
quindi invocare la tutela di un inesistente legittimo
affidamento.
---------------
Deve inoltre essere considerato
infondato il terzo motivo del ricorso, con cui si deduce
l’applicabilità del termine triennale di cui all’art. 35,
comma 11, della L. 28.02.1985, n. 47, ormai infruttuosamente
decorso.
Al riguardo il Collegio condivide l’orientamento
giurisprudenziale secondo cui il diritto di credito
dell’Amministrazione comunale, avente ad oggetto il
pagamento degli oneri dovuti per il rilascio della
concessione edilizia, è soggetto all’ordinario termine
decennale di prescrizione, decorrente dalla data di rilascio
della concessione edilizia, in cui il relativo credito
diviene certo, agevolmente liquidabile ed esigibile (cfr.
Cons. St., Sez. IV, n. 2686/2008, cit.).
Peraltro va osservato che la disposizione invocata dalla
ricorrente rappresenta norma speciale applicabile ai
procedimenti in sanatoria che, come tale, deroga alla
disciplina generale solo per le fattispecie espressamente
considerate (TAR Marche,
sentenza 28.12.2009 n. 1475 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
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