dossier RUDERI |
anno 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di preesistente consistenza nella
ricostruzione di un rudere.
Secondo la concezione tradizionale, la
figura della “ristrutturazione edilizia”
presupponeva la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare provvisto di
murature perimetrali, strutture orizzontali
e copertura. Conseguentemente, era stata
sempre esclusa dalla giurisprudenza la
possibilità che la ricostruzione di un
rudere potesse ricondursi entro la nozione
di ristrutturazione, trattandosi, al
contrario, di un intervento del tutto nuovo.
Tuttavia il legislatore, con l’art. 30,
primo comma, del d.l. n. 69 del 2013
convertito con legge n. 98 del 2013, ha
profondamente innovato la disciplina
modificando l’art. 3, primo comma, lett. d),
del d.P.R. n. 380 del 2001 il quale
stabilisce ora che nell’ambito degli
interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi <<…anche quelli volti al
ripristino di edifici, o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti,
attraverso la loro ricostruzione, purché sia
possibile accertarne la preesistente
consistenza>>.
In sostanza, questa disposizione,
qualificando come interventi di
ristrutturazione edilizia anche quelli di
ricostruzione, consente di sostituire gli
immobili in precedenza andati distrutti con
nuovi edifici, e ciò anche nel caso in cui
gli strumenti urbanistici vigenti non
consentano la realizzazione di nuove
costruzioni. Si tutela in questo modo, non
solo l’interesse del privato, ma anche
l’interesse pubblico volto ad evitare la
permanenza di ruderi sul territorio.
Tuttavia, affinché la ricostruzione possa
qualificarsi come ristrutturazione, è
necessario che il nuovo edificio abbia le
stesse dimensioni di quello crollato. Questa
limitazione si ricava dall’ultima parte
della norma la quale, come visto, richiede
che sia possibile accertare la “preesistente
consistenza” dell’immobile.
...
Poiché, nel caso concreto, la richiesta di
rilascio del permesso di costruire
presentata dal ricorrente è stata respinta
proprio in quanto si è ritenuta non
dimostrata la preesistente consistenza
dell’immobile, per risolvere la controversia
in esame, occorre stabilire cosa si intenda
per “preesistente consistenza”, quale sia il
livello di precisione preteso dalla norma
con riguardo a tale elemento e in che modo
ne possa essere fornita la dimostrazione.
Per quanto riguarda il primo punto (nozione
di “preesistente consistenza”), possono
ritenersi condivisibili le conclusioni alle
quali è giunta la giurisprudenza secondo cui
gli interventi di ripristino di cui all’art.
3, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 380
del 2001 sono ammissibili a condizione che
siano determinabili le caratteristiche
essenziali dell’edificio preesistente (fra
cui volumetria, altezza, struttura
complessiva), con la conseguenza che anche
la mancanza di uno solo di questi elementi
determina l’insussistenza del requisito
previsto dalla norma. Parimenti
condivisibile risulta l’affermazione secondo
cui la verifica riguardante gli elementi
necessari per determinare la preesistente
consistenza non può essere rimessa ad
apprezzamenti meramente soggettivi o al
risultato di stime o calcoli effettuati su
dati parziali, ma deve invece basarsi su
dati certi, completi ed obiettivamente
apprezzabili..
Quando l’edificio crollato è stato
realizzato a seguito del rilascio di un
titolo edilizio, la preesistente consistenza
può essere facilmente dimostrata mediante la
produzione di quel titolo e della
documentazione progettuale ad esso allegata
nella quale sono riportate con precisione le
caratteristiche dimensionali del bene.
Il problema si pone però se, come nel caso
in esame, l’immobile sia stato edificato in
epoca antecedente all’anno 1967, quando la
realizzazione di nuove costruzioni non
presupponeva il rilascio di un titolo
edilizio, non essendo in questo caso
possibile disporre della suindicata
documentazione.
Ritiene il Collegio che, in queste
specifiche ipotesi, l’amministrazione non
possa pretendere la produzione di progetti
aventi data certa che dimostrino, con
assoluta precisione, tutte le
caratteristiche dimensionali dell’edificio
crollato, posto che questa pretesa
renderebbe di fatto inapplicabile la norma
di cui all’art. 3, primo comma, lett. d),
del d.P.R n. 380 del 2001 per gli immobili
edificati prima dell’anno 1967. Per questi
immobili, occorre quindi ammettere la
possibilità di fornire in modo diverso la
dimostrazione della preesistente
consistenza, producendo prove che
inevitabilmente non possiedono quel grado di
precisione che caratterizza la
documentazione progettuale, fermo restando
ovviamente che, anche in questo caso, la
prova deve comunque riguardare tutte le
caratteristiche essenziali dell’edificio
preesistente.
La possibilità di fornire prova diversa da
quella consistente nella documentazione
progettuale (e che inevitabilmente possiede
un minor grado di precisione rispetto a
quest’ultima) è del resto ammessa anche
dalla giurisprudenza sopra richiamata la
quale afferma che la prova della
preesistente consistenza può essere fornita
anche attraverso la produzione di
aerofotogrammetrie. Nello stesso senso è
orientata la giurisprudenza del giudice
amministrativo, il quale ammette che
l’accertamento della consistenza iniziale
del manufatto demolito o crollato può
fondarsi anche su documentazione
fotografica, aerofotogrammetrie e mappe
catastali, che consentano di delineare, con
un sufficiente grado di sicurezza, gli
elementi essenziali dell’edificio distrutto.
Ritiene il Collegio che, nell’apprezzamento
di queste diverse prove, l’Amministrazione
debba dare applicazione ai principi di buona
fede e proporzionalità, tenendo conto anche
delle caratteristiche dell’intervento che si
intende realizzare, nel senso che il livello
di precisione richiesto della prova fornita
deve essere proporzionale all’importanza di
tale intervento.
Da quanto illustrato discende che, se
l’immobile che si intende realizzare ha
dimensioni modeste e incide in maniera poco
significativa sul carico urbanistico, il
permesso di costruire deve essere rilasciato
quando dalla documentazione prodotta in sede
procedimentale emerga che il manufatto da
realizzare avrà sostanzialmente le stesse
dimensioni di quello andato distrutto, e ciò
anche nel caso in cui non sia possibile
risalire con estrema precisione a tutti i
dati dimensionali di quest’ultimo.
---------------
... per l'annullamento
- del provvedimento di Diniego al Permesso di Costruire del 13.11.2017, a firma del Capo Settore
Sviluppo del Territorio arch. Da.La., con cui il Comune di Biassono si
pronunciava negativamente sull'istanza
avanzata dal ricorrente per ottenere un
titolo per la ricostruzione del fabbricato
(piccolo magazzino) di sua proprietà, sito
in -OMISSIS-, parzialmente crollato a
seguito di un evento meteorologico
(nevicata) verificatosi nel 1985;
- se di necessità, del preavviso di diniego del 16.10.2017 (prot.
18217), a firma del Capo Ufficio Servizio
Edilizia Privata arch. Gi.Bo.;
- della nota datata 20.12.2017 con cui il Comune respingeva
l'istanza di riesame in autotutela del
diniego opposto;
- di ogni altro atto presupposto, antecedente, consequenziale e
connesso a quelli che precedono.
...
Con il primo motivo di ricorso,
l’interessato –dopo aver rilevato che la
sua istanza è stata respinta in quanto,
secondo quanto riportato nel provvedimento,
non sarebbe stata fornita la prova della
reale consistenza dell’edificio crollato–
sostiene che l’Amministrazione avrebbe
errato nel ritenere che gli interventi di
ristrutturazione edilizia da effettuarsi ai
sensi dell’art. 3, lett. d), del d.P.R. n.
380 del 2001 siano ammessi solo nel caso in
cui siano state provate con estrema
esattezza tutte le misure dell’immobile
andato distrutto.
Aggiunge la parte che, nel
corso del procedimento, sarebbero stati
peraltro forniti alla stessa Amministrazione
tutti gli elementi disponibili (fra cui
anche una dichiarazione sostitutiva di atto
di notorietà ed una aerofotogrammetria
risalente all’anno 1973) che, a suo dire,
sarebbero sufficienti per determinare le
reali dimensioni dell’edificio crollato, e
ciò anche considerando che l’immobile
sarebbe stato realizzato prima dell’anno
1967, quando non vi era la necessità di
conseguire titoli edilizi, e che per questa
ragione non esisterebbero attualmente i
progetti da cui ricavarne con estrema
precisione le esatte misure.
Queste censure sono riprese e sviluppate nel
secondo motivo di ricorso, con il quale
parte ricorrente sostiene ancora,
richiamando alcuni precedenti
giurisprudenziali, che l’aerofotogrammetria
costituirebbe documento sufficiente per
ricavare le dimensioni dell’edificio
crollato, tanto più che il rilievo aerofotogrammetrico del territorio comunale
sarebbe stato effettuato su incarico
all’epoca conferito dallo stesso Comune di
Biassono. La decisione assunta dalla
pubblica amministrazione sarebbe quindi
contraria al principio di collaborazione con
il privato cittadino, non avendo il
provvedimento di diniego neppure illustrato
le ragioni che hanno indotto il Comune a
considerare non rilevanti gli elementi
probatori prodotti in fase procedimentale
dal ricorrente.
Ritiene il Collegio che queste censure siano
fondate per le ragioni di seguito esposte.
Secondo la concezione tradizionale, la
figura della “ristrutturazione edilizia”
presupponeva la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare provvisto di
murature perimetrali, strutture orizzontali
e copertura. Conseguentemente, era stata
sempre esclusa dalla giurisprudenza la
possibilità che la ricostruzione di un
rudere potesse ricondursi entro la nozione
di ristrutturazione, trattandosi, al
contrario, di un intervento del tutto nuovo.
Tuttavia il legislatore, con l’art. 30,
primo comma, del d.l. n. 69 del 2013
convertito con legge n. 98 del 2013, ha
profondamente innovato la disciplina
modificando l’art. 3, primo comma, lett. d),
del d.P.R. n. 380 del 2001 il quale
stabilisce ora che nell’ambito degli
interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi <<…anche quelli volti al
ripristino di edifici, o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti,
attraverso la loro ricostruzione, purché sia
possibile accertarne la preesistente
consistenza>>.
In sostanza, questa disposizione,
qualificando come interventi di
ristrutturazione edilizia anche quelli di
ricostruzione, consente di sostituire gli
immobili in precedenza andati distrutti con
nuovi edifici, e ciò anche nel caso in cui
gli strumenti urbanistici vigenti non
consentano la realizzazione di nuove
costruzioni. Si tutela in questo modo, non
solo l’interesse del privato, ma anche
l’interesse pubblico volto ad evitare la
permanenza di ruderi sul territorio.
Tuttavia, affinché la ricostruzione possa
qualificarsi come ristrutturazione, è
necessario che il nuovo edificio abbia le
stesse dimensioni di quello crollato. Questa
limitazione si ricava dall’ultima parte
della norma la quale, come visto, richiede
che sia possibile accertare la “preesistente
consistenza” dell’immobile.
Poiché, nel caso concreto, la richiesta di
rilascio del permesso di costruire
presentata dal ricorrente è stata respinta
proprio in quanto si è ritenuta non
dimostrata la preesistente consistenza
dell’immobile, per risolvere la controversia
in esame, occorre stabilire cosa si intenda
per “preesistente consistenza”, quale sia il
livello di precisione preteso dalla norma
con riguardo a tale elemento e in che modo
ne possa essere fornita la dimostrazione.
Per quanto riguarda il primo punto (nozione
di “preesistente consistenza”), possono
ritenersi condivisibili le conclusioni alle
quali è giunta la giurisprudenza secondo cui
gli interventi di ripristino di cui all’art.
3, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 380
del 2001 sono ammissibili a condizione che
siano determinabili le caratteristiche
essenziali dell’edificio preesistente (fra
cui volumetria, altezza, struttura
complessiva), con la conseguenza che anche
la mancanza di uno solo di questi elementi
determina l’insussistenza del requisito
previsto dalla norma. Parimenti
condivisibile risulta l’affermazione secondo
cui la verifica riguardante gli elementi
necessari per determinare la preesistente
consistenza non può essere rimessa ad
apprezzamenti meramente soggettivi o al
risultato di stime o calcoli effettuati su
dati parziali, ma deve invece basarsi su
dati certi, completi ed obiettivamente
apprezzabili (cfr. Cass. pen. Sez. III, 28.04.2020, n. 13148; id.,
08.10.2015,
n. 45147).
Quando l’edificio crollato è stato
realizzato a seguito del rilascio di un
titolo edilizio, la preesistente consistenza
può essere facilmente dimostrata mediante la
produzione di quel titolo e della
documentazione progettuale ad esso allegata
nella quale sono riportate con precisione le
caratteristiche dimensionali del bene.
Il problema si pone però se, come nel caso
in esame, l’immobile sia stato edificato in
epoca antecedente all’anno 1967, quando la
realizzazione di nuove costruzioni non
presupponeva il rilascio di un titolo
edilizio, non essendo in questo caso
possibile disporre della suindicata
documentazione.
Ritiene il Collegio che, in queste
specifiche ipotesi, l’amministrazione non
possa pretendere la produzione di progetti
aventi data certa che dimostrino, con
assoluta precisione, tutte le
caratteristiche dimensionali dell’edificio
crollato, posto che questa pretesa
renderebbe di fatto inapplicabile la norma
di cui all’art. 3, primo comma, lett. d), del
d.P.R n. 380 del 2001 per gli immobili
edificati prima dell’anno 1967. Per questi
immobili, occorre quindi ammettere la
possibilità di fornire in modo diverso la
dimostrazione della preesistente
consistenza, producendo prove che
inevitabilmente non possiedono quel grado di
precisione che caratterizza la
documentazione progettuale, fermo restando
ovviamente che, anche in questo caso, la
prova deve comunque riguardare tutte le
caratteristiche essenziali dell’edificio
preesistente.
La possibilità di fornire prova diversa da
quella consistente nella documentazione
progettuale (e che inevitabilmente possiede
un minor grado di precisione rispetto a
quest’ultima) è del resto ammessa anche
dalla giurisprudenza sopra richiamata la
quale afferma che la prova della
preesistente consistenza può essere fornita
anche attraverso la produzione di
aerofotogrammetrie (cfr. Cass. pen. Sent. n.
45147 del 2015 cit.). Nello stesso senso è
orientata la giurisprudenza del giudice
amministrativo, il quale ammette che
l’accertamento della consistenza iniziale
del manufatto demolito o crollato può
fondarsi anche su documentazione
fotografica, aerofotogrammetrie e mappe
catastali, che consentano di delineare, con
un sufficiente grado di sicurezza, gli
elementi essenziali dell’edificio distrutto
(in tal senso, cfr. TAR Lombardia-Brescia, sez. I,
06.07.2020, n. 517;
TAR Campania-Napoli, sez. II, 23.12.2019, n. 6098; TAR Liguria, sez. I, 11.06.2020, n. 364).
Ritiene il Collegio che, nell’apprezzamento
di queste diverse prove, l’Amministrazione
debba dare applicazione ai principi di buona
fede e proporzionalità, tenendo conto anche
delle caratteristiche dell’intervento che si
intende realizzare, nel senso che il livello
di precisione richiesto della prova fornita
deve essere proporzionale all’importanza di
tale intervento.
Da quanto illustrato discende che, se
l’immobile che si intende realizzare ha
dimensioni modeste e incide in maniera poco
significativa sul carico urbanistico, il
permesso di costruire deve essere rilasciato
quando dalla documentazione prodotta in sede
procedimentale emerga che il manufatto da
realizzare avrà sostanzialmente le stesse
dimensioni di quello andato distrutto, e ciò
anche nel caso in cui non sia possibile
risalire con estrema precisione a tutti i
dati dimensionali di quest’ultimo.
Venendo ora al caso concreto, va osservato
che dalle foto prodotte in sede
procedimentale si evince che, nell’area dove
si intende realizzare l’intervento, sono
ancora presenti i ruderi di alcuni muri
perimetrali e di alcune colonne di sostegno
della copertura dell’immobile crollato. In
quella sede è stata inoltre prodotta una
aerofotogrammetria, da cui è possibile
ricavare che l’immobile distrutto era un
modesto edificio, avente altezza simile a
quella degli immobili adiacenti. Dal rilievo
fotogrammetrico è altresì possibile ricavare
la pendenza delle falde del tetto (cfr. doc.
4 di parte ricorrente).
L’Amministrazione, nel provvedimento
impugnato, non spiega le ragioni per le
quali si è ritenuto che la documentazione
prodotta in sede procedimentale dal
ricorrente non sia utile alla prova della
preesistente consistenza del manufatto. Solo
nelle memorie difensive, il Comune di
Biassono ha precisato che ciò si è
considerato dirimente ai fini del rigetto
dell’istanza è stata la mancata
dimostrazione dell’altezza. Anche nelle
memorie, tuttavia, non si precisano le
ragioni per la quali si è ritenuto che la
documentazione prodotta dal ricorrente non
sia idonea a dimostrare l’altezza del
fabbricato crollato. Queste mancanze
sarebbero già sufficienti per dichiarare
l’illegittimità del provvedimento.
In ogni caso, il Collegio deve osservare che
–poiché il fabbricato che si intende
ricostruire è stato realizzato in epoca
risalente, prima che vi fosse la necessità
di ottenimento del titolo edilizio– non è
possibile pretendere la prova assolutamente
esatta dei suoi dati dimensionali, fra cui
l’altezza, per affermare l’applicabilità
dell’art. 3, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001.
Ciò che si sarebbe dovuto infatti
verificare, anche considerando lo scarso
rilievo dimensionale del fabbricato e la sua
concreta destinazione (magazzino), è se il
privato, con la documentazione depositata
nel procedimento, abbia dimostrato di voler
realizzare un immobile avente un’altezza
che, in sostanza, non si discosta da quella
del bene distrutto così come ricavabile
dagli elementi a disposizione (altezza delle
colonne di sostegno della copertura, rilievo
fotogrammetrico, ecc…).
Per queste ragioni deve essere ribadita la
fondatezza delle censure in esame. Il
ricorso va pertanto accolto con conseguente
annullamento degli atti impugnati
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 18.11.2022 n. 2566 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Si
discute di un rudere ubicato su un’area
sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004.
Nel caso di specie, ritiene il Collegio che, in primo luogo non si sia
in presenza di un edificio “esistente”, e che, in ogni caso, l’intervento
progettato dai ricorrenti non costituisca “ristrutturazione edilizia”, ma
“nuova costruzione”, come giustamente ritenuto dall’Amministrazione
esistente.
Intanto, appunto, manca un edificio “esistente” da
ristrutturare. Certamente è esistito sull’area in questione un edificio in
epoca remota, attestato dalla sua iscrizione nel Catasto Napoleonico
(1811–1853) e successivamente nel Catasto Lombardo–Veneto (1854–1886); ma
già nel cessato Catasto (1887–1904) l’immobile perde la sua identificazione
strutturale e catastale precedentemente abbinata alla particella n. 1875 (“edificio
con corte di pertinenza di mq 290 di superficie”) e nel Nuovo Catasto
(dal 1905 in poi) viene depennato come fabbricato e incorporato con la
relativa area di pertinenza nella particella n. 1877 del Catasto Terreni.
In effetti, come attestato dalla documentazione (anche fotografica) in atti,
il rudere in questione si riduce a tracce della preesistente muratura
perimetrale, ormai inglobate da decenni all’interno della vegetazione
arborea che ha completamente colonizzato l’area.
Manca, quindi, il presupposto previsto dall’art. 12.5 del P.T.C. (“edificio
esistente”) affinché si possa persino ipotizzare un intervento di
ristrutturazione.
Peraltro, è noto che, con riferimento agli immobili sottoposti a
vincoli ai sensi del dlgs 22.01.2004, n. 42 e successive
modificazioni, gli interventi di ristrutturazione edilizia e quelli di
ripristino di edifici crollati o demoliti (come nel caso di specie) sono
ammissibili “soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio
preesistente”.
Così disponeva, infatti, l’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. 380/2021
nel testo in vigore alla data di adozione del provvedimento impugnato (“Rimane
fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del
dlgs 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni, gli
interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di
edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione
edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio
preesistente;”).
La norma è stata mantenuta e anzi resa ancora più stringente nella nuova
formulazione introdotta dall'art. 10, comma 1, lett. b), n. 2), D.L.
16.07.2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11.09.2020, n.
120, il quale ha previsto che, “con riferimento agli immobili sottoposti
a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al
dlgs 22.01.2004, n. 42, nonché a quelli ubicati nelle zone
omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi
di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio
preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.
...
Nel caso di specie, appare oggettivamente impossibile desumere dal rudere
attualmente esistente quale fosse la consistenza volumetrica dell’edificio
preesistente e, soprattutto, quale fosse la sua sagoma la quale, come detto, in ambito vincolato costituisce un
parametro inderogabile da rispettare in sede di ristrutturazione edilizia e
di ripristino di immobili demoliti o crollati.
Invero, per sagoma di intende “la conformazione planovolumetrica della
costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale,
così che le sole aperture che non prevedano superfici sporgenti vanno
escluse dalla nozione stessa di sagoma”; in sostanza, la sagoma indica la forma della
costruzione complessivamente intesa, ovvero il contorno che assume
l'edificio.
In tale contesto, la valutazione effettuata dall’Ente Parco circa la configurabilità, nel caso di specie, di una “nuova costruzione”
(vietata) e non di una “ristrutturazione edilizia” (consentita)
appare corretta e immune dalle censure di parte ricorrente.
Sicché, in definitiva, in mancanza di documentazione probatoria idonea ad attestare sia la
consistenza volumetrica originaria dell’edificio preesistente e sia
soprattutto la sagoma dell’edificio preesistente, correttamente è stata
esclusa, alla luce delle norme applicate, l’assentitibilità di un intervento
di “ristrutturazione edilizia” all’interno del contesto vincolato per
cui è causa, trattandosi di un intervento di “nuova costruzione”
espressamente vietato dallo strumento urbanistico attuativo del Parco.
---------------
... per l'annullamento:
- del provvedimento di diniego n. 365 Prot. del 06.02.2019, con il
quale il Parco dei Colli ha rigettato l'istanza per l'ottenimento di decreto
di conformità al Piano di Coordinamento del Parco e conseguente
autorizzazione paesaggistica di intervento di ristrutturazione di edificio
di antica formazione ai sensi dell'art. 146 del D.lgs. n. 42/2004;
- di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque
connesso, nonché, di eventuali atti medio tempore intervenuti e non
conosciuti.
...
1. Con il primo motivo, la parte ricorrente ha dedotto vizi di “Violazione
e/o falsa applicazione delle Norme Tecniche di Attuazione al Piano delle
Regole - Capo II – Definizioni Urbanistiche – 2.1 parametri edificatori -
del Piano di Gestione del Territorio del Comune di Ponteranica; dell’art.
12, comma 3 e 5, L.R. 8/1991 - Norme Tecniche di Attuazione del Piano di
Coordinamento del Parco dei Colli di Bergamo; dell’art. 146 comma del D.lgs.
n. 42/2004; Contraddittorietà tra più atti. Eccesso di potere per
travisamento ed erronea valutazione dei fatti”:
- il provvedimento impugnato ed il presupposto parere della
Commissione per il Paesaggio sarebbero illegittimi nella parte in cui hanno
ritenuto non assentibile l’intervento di ristrutturazione edilizia proposto
dai ricorrenti sul presupposto che, allo stato, sarebbe impossibile la
verifica della sagoma dell’edificio originario, di modo che l’intervento
costituirebbe una “nuova costruzione”, non ammissibile in zona ex
art. 12, comma 3, delle TTA del PTC del Parco;
- tali valutazioni sarebbero erronee e illegittime perché in
contrasto con le opposte considerazioni formulate dal Comune di Ponteranica
nella nota del 09.01.2018, con la quale è stata accertata la “precedente
esistenza del fabbricato e l’esatta identificazione planivolumetrica”,
sulla scorta della documentazione storico-fotografica allegata dai
richiedenti alla propria istanza;
- nel formulare tali valutazioni, il Comune di Ponteranica ha fatto
applicazione del punto V dell’art. 2.1. delle NTA del proprio PGT (in
materia di “Volume degli edifici (mc)”, laddove si prevede che “Il
volume degli edifici di antica formazione divenuti ruderi, dovrà essere
dimostrato attraverso il rinvenimento delle murature perimetrali ancora
esistenti, nonché da documentazione probatoria (accatastamenti, fotografie,
relazioni storiche) attestante la consistenza planivolumetrica e la
destinazione d’uso preesistente.”;
- il provvedimento impugnato sarebbe pertanto in contrasto con la
normativa applicata dal Comune di Ponteranica, in forza della quale quest’ultimo
ha riconosciuto l’esistenza planivolumetrica delle rimanenze edilizie del
vecchio Borgo di Rosciano e la facoltà per i ricorrenti di attuarne la
ristrutturazione edilizia;
- in definitiva, l’intervento richiesto dai ricorrenti avrebbe
dovuto essere assentito ai sensi dell’art. 12, comma 5, delle NTA del PTC
del Parco (L.R. 8/1991), il quale ammette gli interventi di ristrutturazione
edilizia degli edifici esistenti.
La censura, osserva il Collegio, non può essere condivisa.
1.1. Si discute di un rudere ubicato su un’area di proprietà dei ricorrenti
ricompresa all’interno del perimetro del Parco dei Colli di Bergamo e
sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004. In
particolare, l’area in questione è inclusa nella Zona C 1 “zona a parco
agricolo forestale”, disciplinata dall’art. 12 delle Norme Tecniche di
Attuazione del P.T.C. del Parco dei Colli di Bergamo (approvato con L.R.
13.04.1991 n. 8). Tale norma prevede che nella zona a parco
agricolo-forestale (C1) “sono vietate le nuove costruzioni” (art.
12.1); sono invece consentiti, previo parere del consorzio, gli interventi
–tra l’altro– di “ristrutturazione edilizia (…) degli edifici esistenti”
(art. 12.5).
1.2. Nel caso di specie, ritiene il Collegio che, in primo luogo non si sia
in presenza di un edificio “esistente”, e che, in ogni caso, l’intervento
progettato dai ricorrenti non costituisca “ristrutturazione edilizia”, ma
“nuova costruzione”, come giustamente ritenuto dall’Amministrazione
esistente.
1.3. Intanto, appunto, manca un edificio “esistente” da
ristrutturare. Certamente è esistito sull’area in questione un edificio in
epoca remota, attestato dalla sua iscrizione nel Catasto Napoleonico
(1811–1853) e successivamente nel Catasto Lombardo–Veneto (1854–1886); ma
già nel cessato Catasto (1887–1904) l’immobile perde la sua identificazione
strutturale e catastale precedentemente abbinata alla particella n. 1875 (“edificio
con corte di pertinenza di mq 290 di superficie”) e nel Nuovo Catasto
(dal 1905 in poi) viene depennato come fabbricato e incorporato con la
relativa area di pertinenza nella particella n. 1877 del Catasto Terreni.
In effetti, come attestato dalla documentazione (anche fotografica) in atti,
il rudere in questione si riduce a tracce della preesistente muratura
perimetrale, ormai inglobate da decenni all’interno della vegetazione
arborea che ha completamente colonizzato l’area.
Manca, quindi, il presupposto previsto dall’art. 12.5 del P.T.C. (“edificio
esistente”) affinché si possa persino ipotizzare un intervento di
ristrutturazione.
1.4. Peraltro, è noto che, con riferimento agli immobili sottoposti a
vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive
modificazioni, gli interventi di ristrutturazione edilizia e quelli di
ripristino di edifici crollati o demoliti (come nel caso di specie) sono
ammissibili “soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio
preesistente”.
Così disponeva, infatti, l’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. 380/2021
nel testo in vigore alla data di adozione del provvedimento impugnato (“Rimane
fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del
decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni, gli
interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di
edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione
edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio
preesistente;”).
La norma è stata mantenuta e anzi resa ancora più stringente nella nuova
formulazione introdotta dall'art. 10, comma 1, lett. b), n. 2), D.L.
16.07.2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11.09.2020, n.
120, il quale ha previsto che, “con riferimento agli immobili sottoposti
a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al
decreto legislativo 22.01.2004, n. 42, nonché a quelli ubicati nelle zone
omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi
di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di
ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio
preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.
1.5. Nel caso di specie, appare oggettivamente impossibile desumere dal
rudere attualmente esistente quale fosse la consistenza volumetrica
dell’edificio preesistente e, soprattutto, quale fosse la sua sagoma.
1.6. Sulla consistenza volumetrica dell’edificio preesistente il parere
preventivo reso dal Responsabile dell’Area tecnica del Comune di Ponteranica
nella fase istruttoria del procedimento de quo perviene a conclusioni
meramente congetturali, laddove ritiene di potere risalire alla consistenza
volumetrica del fabbricato originario assumendo come parametri di
riferimento la superficie del fabbricato desumibile dalle tracce perimetrali
dell’attuale rudere, e un’altezza “virtuale” pari a 3 metri, “non
essendo dimostrabile la consistenza dei piani e quindi l’altezza”.
1.7. Ma se già questa valutazione deduttiva e congetturale appare alquanto
opinabile, è oggettiva e indiscutibile l’impossibilità di desumere
dall’attuale stato del rudere quale fosse la sagoma dell’edificio
preesistente, la quale, come detto, in ambito vincolato, costituisce un
parametro inderogabile da rispettare in sede di ristrutturazione edilizia e
di ripristino di immobili demoliti o crollati.
Per sagoma di intende “la conformazione planovolumetrica della
costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale,
così che le sole aperture che non prevedano superfici sporgenti vanno
escluse dalla nozione stessa di sagoma” (Cassazione penale, sez. III,
20/05/2015, n. 20846); in sostanza, la sagoma indica la forma della
costruzione complessivamente intesa, ovvero il contorno che assume
l'edificio.
Nel caso di specie, della sagoma originaria non vi è traccia nella
documentazione in atti, sia nella progettazione di parte ricorrente sia
nelle –pur benevoli– valutazioni del tecnico comunale.
1.8. In tale contesto, la valutazione effettuata dall’Ente Parco circa la
configurabilità, nel caso di specie, di una “nuova costruzione”
(vietata) e non di una “ristrutturazione edilizia” (consentita)
appare corretta e immune dalle censure di parte ricorrente.
1.9. Né si rinviene alcun contrasto tra il diniego espresso dall’Ente Parco
e il parere favorevole espresso dal tecnico del Comune di Ponteranica,
tenuto conto:
- che nella valutazione della sussistenza dei presupposti per il
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica all’interno del proprio
territorio, l’Ente Parco è tenuto ad applicare le previsioni del proprio
strumento urbanistico, e non è condizionata dalle valutazioni -eventualmente
diverse- svolte al riguardo da altri enti con riguardo ad altri piani o
strumenti regolatori;
- che lo stesso tecnico comunale, nel ritenere la “coerenza”
del progetto di ristrutturazione rispetto allo strumento urbanistico
comunale, ha comunque richiamato espressamente la necessità del rispetto
delle norme urbanistiche e ambientali sovraordinate del “superiore PTC
Parco”, e quindi dell’”ottenimento dell’atto amministrativo (Decreto)
di compatibilità per la ricostruzione del rudere, allo stesso PTC Parco (…)
rilasciato dall’Ente parco preposto”;
- che in ogni caso, il provvedimento dell’Ente Parco appare
coerente anche con le previsioni della strumentazione urbanistica del Comune
di Ponteranica, tenuto conto che quest’ultima prevede che la volumetria degli
edifici di antica formazione divenuti ruderi possa essere desunta in via
deduttiva in presenza di due condizioni, entrambe insussistenti nella specie
in esame, vale a dire:
1) murature perimetrali ancora esistenti;
2) documentazione probatoria (quali accatastamenti, fotografie, relazioni
storiche) attestante la consistenza planovolumetrica e la destinazione d’uso
preesistente; nel caso di specie, della muratura perimetrale restano solo
tracce sparute e inglobate da vegetazione ultradecennale, e soprattutto
manca del tutto documentazione probatoria relativa alla preesistente
consistenza volumetrica del fabbricato, tanto che lo stesso tecnico comunale
l’ha dovuta dedurre in via meramente congetturale.
1.10 In definitiva, alle stregua di tali considerazioni, ritiene il Collegio
che, in mancanza di documentazione probatoria idonea ad attestare sia la
consistenza volumetrica originaria dell’edificio preesistente e sia
soprattutto la sagoma dell’edificio preesistente, correttamente sia stata
esclusa, alla luce delle norme applicate, l’assentitibilità di un intervento
di “ristrutturazione edilizia” all’interno del contesto vincolato per
cui è causa, trattandosi di un intervento di “nuova costruzione”
espressamente vietato dallo strumento urbanistico attuativo del Parco.
1.11. D’altra parte, la semplice visione dei rendering
tridimensionali del progetto di parte ricorrente (doc. 7, pag. 20) induce a
dubitare fortemente che l’edificio in progetto costituisca la “riproduzione
fedele della casa colonica così come appariva fini dai primi anni dell’’800”.
La censura in esame va quindi disattesa (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 02.11.2022 n. 1068 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
legittimo il diniego della richiesta "ristrutturazione edilizia"
circa la ricostruzione di un immobile diruto poiché materialmente non
possibile determinarne, con certezza, l’ingombro planivolumetrico ed il sedime.
La disciplina regionale, in accordo con quanto previsto
dal Legislatore nazionale, estende il concetto di ristrutturazione
edilizia all'ipotesi di edificio che non esiste più, ma di cui si
rinvengono resti sul territorio e di cui si può ricostruire la consistenza
originaria con un'indagine tecnica.
La giurisprudenza ha chiarito che l'accertamento della consistenza iniziale
del manufatto demolito o crollato deve fondarsi su dati certi ed obiettivi,
quali, ad esempio, documentazione fotografica, aerofotogrammetrie e mappe
catastali, che consentano di delineare, con un sufficiente grado di
sicurezza, gli elementi essenziali dell'edificio diruto.
E’ necessario e sufficiente, quindi, per qualificare l’intervento come
ristrutturazione edilizia, che l’originaria consistenza dell’edificio
sia individuabile sulla base di riscontri documentali o altri elementi certi
e verificabili; ove, invece non sia possibile l’individuazione certa dei
connotati essenziali del manufatto originario (mura perimetrali, strutture
orizzontali e copertura) attesa la mancanza di elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare,
scatta la qualificazione dell’intervento di ricostruzione come nuova
edificazione.
---------------
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato
già richiamato, «affinché si possa configurare un intervento di
ristrutturazione edilizia –che oggi (a seguito delle modifiche all'art.
3, comma 1, lett. d), del d.P.R. 380/2001 apportate dal d.l. 69/2013, conv.
con l. 98/2013), ricomprende anche l’attività di ripristino di edifici, o
parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro
ricostruzione– è necessario che sia possibile accertare l’originaria
consistenza del manufatto edilizio, con il corollario che deve essere
esclusa in radice la riconducibilità dell’attività di ricostruzione di un
rudere nell’alveo della ristrutturazione edilizia “nel caso in cui
manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto
costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in
cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di
copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come
edificio allo stato esistente”».
---------------
Come già rammentato, il discrimine perché possa
parlarsi di ristrutturazione edilizia e non di nuova costruzione
–ad eccezione delle ipotesi di premialità contemplate all’art. 3, comma 1,
lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001– è da rintracciarsi proprio il rispetto
delle preesistenti volumetrie.
Ciò, del resto, in linea con gli arresti giurisprudenziali per i quali la
ristrutturazione edilizia «presuppone come elemento indispensabile la
preesistenza del fabbricato nella consistenza e con le caratteristiche
planivolumetriche ed architettoniche proprie del manufatto che si vuole
ricostruire; non è sufficiente quindi che si dimostri che un immobile in
parte poi crollato o demolito è esistente, ma è necessario che si dimostri
oltre all'an anche il quantum e cioè l'esatta consistenza dell'immobile
preesistente del quale si chiede la ricostruzione; occorre, quindi, la
possibilità di procedere, con un sufficiente grado di certezza, alla
ricognizione degli elementi strutturali dell'edificio, in modo tale che,
seppur non necessariamente "abitato" o "abitabile", esso possa essere
comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità
strutturale, in relazione anche alla sua destinazione».
Altresì, «spetta
alla parte richiedente provare la preesistenza del fabbricato, le sue esatte
dimensioni e sagoma. I ruderi del preesistente fabbricato, poi, devono
essere idonei a consentire l’esatta configurazione di ciò che si asserisce
era già esistente, dovendosi in caso contrario parlare di nuova
costruzione … è quindi ancora oggi da escludere che la ricostruzione di
un rudere sia riconducibile nell’alveo della ristrutturazione edilizia
nel caso in cui manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e
le caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto
costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in
cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di
copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come
edificio allo stato esistente. In mancanza di elementi strutturali non è
infatti possibile valutare la consistenza dell’edificio da consolidare ed i
ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un’area non edificata».
---------------
3. E’ controversa la legittimità del diniego opposto dal Comune di Città
della Pieve all’istanza proposta dal sig. Le. per il rilascio di un permesso
di costruire per opere di ristrutturazione edilizia consistenti nella «ricostruzione
di un edificio con la medesima sagoma e volumetria dell’esistente» (così
nella Relazione tecnica, doc. 10 di parte ricorrente), ai sensi dell’art. 7,
comma 1, lett. d), della l.r. n. 1 del 2015.
L’odierno ricorrente, che ha acquistato il complesso immobiliare nel 2012,
ha chiesto al Comune di Città della Pieve la ricostruzione di un manufatto
non più esistente –già dalla data dell’acquisto, considerato che dal 2007
l’area è accatastata quale “prato”– producendo la documentazione
richiamata in fatto a riprova della preesistenza dello stesso e della sua
consistenza.
L’Amministrazione comunale ha negato il rilascio del permesso di costruire
in quanto: «la documentazione progettuale allegata all’istanza contiene
una ricostruzione planimetria dell’ingombro a terra del preesistente
edificio basata sulla materializzazione di coordinate topografiche fornite
dall’Agenzia del Territorio, Ufficio Provinciale di Perugia e da
rinvenimenti di alcuni “tratti di fondazione in loco, mentre la
ricostruzione delle parti in elevazione è stata desunta esclusivamente dalla
documentazione fotografica allegata alle precedenti pratiche edilizie
depositate agli atti di questo Ufficio Tecnico e da una foto aerea risalente
al volo del 17.10.1984 … pertanto … sulla scorta della documentazione
allegata all’istanza, la ricostruzione dell’ingombro volumetrico del
fabbricato indicata nelle tavole grafiche progettuali sia stata eseguita
sulla base di elementi che non dimostrino inequivocabilmente ed
oggettivamente la preesistente consistenza del fabbricato».
Di conseguenza, l’intervento proposto è stato ritenuto non conforme alla
vigente normativa in quanto non qualificabile come “ristrutturazione
edilizia”.
4. I primi due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente e si
presentano infondati, anche alla luce delle risultanze della verificazione
disposta dal Collegio, per quanto di seguito esposto.
4.1. Giova rammentare che ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. d), della
l.r. n. 1 del 2015 (nel testo vigente ratione temporis), negli
interventi di “ristrutturazione edilizia” sono altresì ricompresi «quelli
volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o
demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne
la preesistente consistenza».
La previsione normativa riprende la definizione di cui all’art. 3, comma 1,
lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, per cui «[c]ostituiscono inoltre
ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o
parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro
ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza».
Pertanto la disciplina regionale, in accordo con quanto previsto dal
Legislatore nazionale, estende il concetto di ristrutturazione all'ipotesi
di edificio che non esiste più, ma di cui si rinvengono resti sul territorio
e di cui si può ricostruire la consistenza originaria con un'indagine
tecnica (in tal senso cfr., ex multis, C.d.S., sez. VI, 03.10.2019,
n. 6654; TAR Toscana, sez. III, 26.05.2020, n. 631); la giurisprudenza ha
chiarito che l'accertamento della consistenza iniziale del manufatto
demolito o crollato deve fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali, ad
esempio, documentazione fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali,
che consentano di delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli
elementi essenziali dell'edificio diruto (in tal senso cfr. TAR Campania,
Napoli, sez. II, 23.12.2019, n. 6098; TAR Liguria, 11.06.2020, n. 364; Cass. pen., sez. III, 28.04.2020, n. 13148).
E’ necessario e sufficiente, quindi, per qualificare l’intervento come
ristrutturazione, che l’originaria consistenza dell’edificio sia
individuabile sulla base di riscontri documentali o altri elementi certi e
verificabili (Cass. pen, sez. III, 25.06.2015, n. 26713; Cass. pen., sez.
III, 30.09.2014, n. 40342); ove, invece non sia possibile l’individuazione
certa dei connotati essenziali del manufatto originario (mura perimetrali,
strutture orizzontali e copertura) attesa la mancanza di elementi
sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio
da recuperare, scatta la qualificazione dell’intervento di ricostruzione
come nuova edificazione (cfr. C.d.S., sez. IV, 17.09.2019, n. 6188; Id.
21.10.2014, n. 5174; C.d.S., sez. I, parere 27.05.2020 n. 1095; TAR
Veneto, sez. II, 09.07.2021, n. 910).
La disciplina regionale, all’art. 22, comma 4, del reg. reg. n. 2 del 2015,
è intervenuta a specificare quanto sopra, disponendo che «[q]uando
l'edificio non è individuabile nella sua interezza originaria, perché
parzialmente diruto, la sua consistenza, in assenza di chiari elementi
tipologici e costruttivi è definita da elementi sufficienti a determinare la
consistenza edilizia e l'uso dei manufatti, quali:
a) studi e analisi storico-tipologiche supportate anche da
documentazioni catastali o archivistiche;
b) documentazione fotografica che dimostri la consistenza
originaria dell'edificio;
c) atti pubblici di compravendita;
d) certificazione catastale».
4.2 Come già rammentato, il Collegio ha ritenuto di disporre verificazione «al
fine di accertare se -alla luce degli elementi prodotti in sede
procedimentale dall’odierno ricorrente e considerato il disposto degli artt.
7, comma 1, l.r. n. 1 del 2015 e 22 del reg. reg. n. 2 del 2015- sia
possibile determinare in modo oggettivo la consistenza dell’immobile
demolito (ingombro planivolumetrico e sedime) e se la stessa corrisponda con
quanto dichiarato in sede di istanza di titolo abilitativo edilizio».
Nella relazione depositata in data 31.03.2022 il Verificatore, dato conto
dell’esame degli atti di causa e di quanto emerso dall’incontro con le parti
nel corso delle operazioni di verifica, ha evidenziato che:
- dall’esame delle istanze presentate dal dante causa dell’odierno
ricorrente nel 1983 «si è riscontrata la totale mancanza di quegli
elaborati grafici (piante, prospetti e sezioni) che normalmente sono parte
integrante dei titoli abilitativi e che avrebbero potuto dare certezza sulla
consistenza del fabbricato rurale al tempo»;
- per quanto attiene al censimento del bene al Catasto Fabbricati
dell’Agenzia delle Entrate «lo stesso risulta essere stato registrato
solo al Catasto Terreni e, quindi, privo dei grafici indicanti le
destinazioni d’uso di ogni locale e relative altezze»;
- dall’esame della restante documentazione (fotografie, mappe
storiche e rilievi) sono emerse incongruità, per cui «l’estratto di mappa
catastale non corrisponde con certezza allo stato dei luoghi relativi agli
anni ‘80», non essendo inoltre possibile «una valida lettura delle
altezze»;
- «non essendo presenti riprese fotografiche di tutti i
prospetti che rappresentino per intero il bene, non è possibile conoscere
tutte le effettive altezze del fabbricato, sia in gronda che al colmo,
indispensabili per poter ricostruirne la sagoma».
In conclusione, il Verificatore ha evidenziato che «dall’esame
complessivo della documentazione e per quanto sopra esposto, [si] ritiene
che non sia oggettivamente possibile determinare con certezza l’ingombro
planivolumetrico e del sedime dell’edificio né, tanto meno, se quanto
dichiarato in sede di istanza di titolo abilitativo edilizio possa
corrispondere con le reali fattezze dell’immobile preesistente»,
confermando in tal modo quanto affermato dal Comune circa l’impossibilità di
definire la consistenza del preesistente manufatto e disvelando
l’infondatezza delle censure attoree.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato già richiamato, «affinché
si possa configurare un intervento di ristrutturazione edilizia –che oggi (a
seguito delle modifiche all'art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. 380/2001
apportate dal d.l. 69/2013, conv. con l. 98/2013), ricomprende anche
l’attività di ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati
o demoliti, attraverso la loro ricostruzione– è necessario che sia possibile
accertare l’originaria consistenza del manufatto edilizio, con il corollario
che deve essere esclusa in radice la riconducibilità dell’attività di
ricostruzione di un rudere nell’alveo della ristrutturazione edilizia “nel
caso in cui manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto
costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in
cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di
copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come
edificio allo stato esistente”» (TAR Veneto, sez. II, 09.07.2021, n.
910; cfr. C.d.S., sez. IV, 17.09.2019, n. 6188; Id. 21.10.2014, n. 5174; Id.,
sez. I, parere 27.05.2020, n. 1095).
Non si presentano meritevoli di condivisione le contestazioni mosse dalla
difesa attorea all’attività ed alle risultanze della verificazione.
Va evidenziato, in primo luogo, che l’ordinanza istruttoria non prevedeva la
necessità dell’effettuazione di un sopralluogo, rimettendone la facoltà alla
valutazione del tecnico incaricato, posto che le valutazioni del
verificatore dovevano essere effettuate sulla base delle risultanze degli
atti di causa; inoltre, risulta essere stato comunque garantito il
contraddittorio con le parti, che però nulla hanno ritenuto di aggiungere a
quanto già depositato in atti (cfr. verbale del 28.03.2022).
Né può condividersi l’affermazione di parte ricorrente circa l’ultroneità
dell’accertamento delle altezze del manufatto preesistente, stante
l’asserita sufficienza della verifica della S.U.C. (superficie utile
coperta) riferibile al preesistente manufatto al fine della comparazione con
quella progettualmente dichiarata dall’odierno ricorrente.
Come già rammentato, il discrimine perché possa parlarsi di ristrutturazione
edilizia e non di nuova costruzione –ad eccezione delle ipotesi di premialità contemplate all’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001–
è da rintracciarsi proprio il rispetto delle preesistenti volumetrie (cfr.
da ultimo TAR Puglia, Bari, sez. III, 28.10.2021, n. 1571).
Ciò, del resto, in linea con gli arresti giurisprudenziali per i quali la
ristrutturazione edilizia «presuppone come elemento indispensabile la
preesistenza del fabbricato nella consistenza e con le caratteristiche
planivolumetriche ed architettoniche proprie del manufatto che si vuole
ricostruire; non è sufficiente quindi che si dimostri che un immobile in
parte poi crollato o demolito è esistente, ma è necessario che si dimostri
oltre all'an anche il quantum e cioè l'esatta consistenza dell'immobile
preesistente del quale si chiede la ricostruzione; occorre, quindi, la
possibilità di procedere, con un sufficiente grado di certezza, alla
ricognizione degli elementi strutturali dell'edificio, in modo tale che,
seppur non necessariamente "abitato" o "abitabile", esso possa essere
comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità
strutturale, in relazione anche alla sua destinazione» (TAR Campania,
Salerno, sez. II, 08.07.2021 n. 1680; TAR Abruzzo, L'Aquila, sez. I, 18.12.2020, n. 530; C.d.S., sez. VI, 05.12.2016, n. 5106).
La giurisprudenza amministrativa ha anche recentemente ribadito che «spetta
alla parte richiedente provare la preesistenza del fabbricato, le sue esatte
dimensioni e sagoma. I ruderi del preesistente fabbricato, poi, devono
essere idonei a consentire l’esatta configurazione di ciò che si asserisce
era già esistente, dovendosi in caso contrario parlare di nuova costruzione
… è quindi ancora oggi da escludere che la ricostruzione di un rudere sia
riconducibile nell’alveo della ristrutturazione edilizia nel caso in cui
manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto
costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in
cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di
copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come
edificio allo stato esistente (cfr. Cons. St., sez. IV, sentenza n. 5174 del
21.10.2014, e TAR Lombardia, Brescia, sentenza n. 1167 del 26.09.2017).
In
mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare la
consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che
considerarsi alla stregua di un’area non edificata» (C.G.A.R.S., sez.
giur., 07.02.2022, n. 163; C.d.S., sez. IV, 17.09.2019, n. 6188) (TAR Umbria,
sentenza 01.10.2022 n. 723 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza si è già espressa nel senso che un manufatto costituito da
alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente
solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture
orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente.
In mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare la
consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che
considerarsi alla stregua di un’area non edificata.
E viepiù l’intervento non può rientrare tra gli “interventi di restauro e di
risanamento conservativo” che sono quelli rivolti a “conservare l'organismo
edilizio e ad assicurarne la funzionalità, mediante un insieme sistematico
di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali
dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni
d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle
previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani
attuativi…”, considerato quanto già esposto sulla impossibilità di
apprezzare l’effettiva consistenza del manufatto preesistente, che già nel
1973 era allo stato di rudere, privo di copertura e con murature ampiamente
crollate e considerato che lo stesso è stato oggetto di successivi
interventi abusivi che ne hanno radicalmente modificato la consistenza.
Invero, la finalità “del restauro e del risanamento conservativo è
quella di rinnovare l'organismo edilizio in modo sistematico e globale, pur
sempre però nel rispetto (perché sempre di conservazione si tratta) dei suoi
elementi essenziali tipologici, formali e strutturali” e “la ricostruzione
di un rudere non può rientrare, a livello concettuale, nell'ambito della
categoria del "restauro e risanamento conservativo", alla stregua della
caratterizzazione di quest'ultima, secondo quanto stabilito dal riportato
art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001…omissis…Il concetto di
costruzione esistente postula, invero, la possibilità di individuazione
della stessa come identità strutturale, in modo da farla giudicare presente
nella realtà materiale quale specifica entità urbanistico-edilizia
esistente nella attualità, sicché l'intervento edificatorio sulla stessa non
costituisce trasformazione urbanistico edilizia del territorio rilevante in
termini di nuova costruzione”.
---------------
Le censure di cui i primi quattro motivi di ricorso, che si
esaminano congiuntamente in quanto tra loro connesse, con cui si lamenta, in
sostanza, il difetto di motivazione e di istruttoria del provvedimento
impugnato e la asserita contraddittorietà con precedenti determinazioni con
riferimento alla erronea qualificazione dell’intervento in questione da
parte dell’amministrazione comunale, non sono fondate secondo quanto segue.
Diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, infatti, l’intervento in
questione non può essere qualificato come di restauro e risanamento
conservativo ex art. 3, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001 e
neppure di ristrutturazione edilizia ex lett. d) del medesimo articolo,
dal momento che il manufatto cui si riferiscono gli interventi e che si
assume di voler “ricostruire”, eliminando le superfetazioni e riportandolo
alla “consistenza originaria” di cui alle tavole allegate all’istanza
risalente al 1973, in realtà già nel 1973 era un edificio privo di copertura
e con murature ampiamente crollate, come si ricava dalla relativa pratica da
cui emerge anche che la Soprintendenza ha espresso parere contrario
all’approvazione del progetto presentato nel 1973 “per alterazione
paesistica”, per cui già allora non era possibile raggiungere un
significativo grado di sicurezza sui limiti dimensionali e morfologici
dell’originario manufatto che ora si vorrebbe “risanare”. L’impossibilità di
apprezzare l’effettiva consistenza del manufatto preesistente conduce già ad
escludere nel caso di specie la configurabilità di un intervento di
“ristrutturazione edilizia” e viepiù di “risanamento e restauro
conservativo”.
La ristrutturazione edilizia, infatti, ricomprende ex art. art. 3, comma 1,
lett. d), del d.P.R. n. 380/2001, nella dizione pro tempore vigente, anche
gli interventi volti “al ripristino di edifici, o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché
sia possibile accertarne la preesistente consistenza”, con la precisazione
che con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni “gli
interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di
edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione
edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e
caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e
non siano previsti incrementi di volumetria”.
E la giurisprudenza si è già espressa nel senso che un manufatto costituito
da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia
presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di
strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato
esistente. In mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile
valutare la consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono
che considerarsi alla stregua di un’area non edificata (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 6188 del 2019).
E viepiù l’intervento non può rientrare tra gli “interventi di restauro e di
risanamento conservativo” che sono quelli rivolti a “conservare l'organismo
edilizio e ad assicurarne la funzionalità, mediante un insieme sistematico
di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali
dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni
d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle
previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani
attuativi…”, considerato quanto già esposto sulla impossibilità di
apprezzare l’effettiva consistenza del manufatto preesistente, che già nel
1973 era allo stato di rudere, privo di copertura e con murature ampiamente
crollate e considerato che lo stesso è stato oggetto di successivi
interventi abusivi che ne hanno radicalmente modificato la consistenza.
...
Come
anche di recente ribadito dal Consiglio di Stato (cfr. sent. n. 6455 del
2020) la finalità “del restauro e del risanamento conservativo, infatti, è
quella di rinnovare l'organismo edilizio in modo sistematico e globale, pur
sempre però nel rispetto (perché sempre di conservazione si tratta) dei suoi
elementi essenziali tipologici, formali e strutturali” e “la ricostruzione
di un rudere non può rientrare, a livello concettuale, nell'ambito della
categoria del "restauro e risanamento conservativo", alla stregua della
caratterizzazione di quest'ultima, secondo quanto stabilito dal riportato
art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001…omissis…Il concetto di
costruzione esistente postula, invero, la possibilità di individuazione
della stessa come identità strutturale, in modo da farla giudicare presente
nella realtà materiale quale specifica entità urbanistico-edilizia
esistente nella attualità, sicché l'intervento edificatorio sulla stessa non
costituisce trasformazione urbanistico edilizia del territorio rilevante in
termini di nuova costruzione” (TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 02.09.2022 n. 5565 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'ambito
della ristrutturazione va esteso all'ipotesi della ricostruzione di edifici,
anche ridotti a rudere, dei quali sia possibile risalire alla consistenza
iniziale. Tuttavia, per quanto allargato, il concetto di ristrutturazione
non può ontologicamente prescindere dall'apprezzabile traccia di una
costruzione preesistente, mancando la quale non si ravvisa il tratto
distintivo fondamentale che caratterizza la ristrutturazione rispetto alla
nuova edificazione. Questo è rappresentato, a norma della definizione
generale dettata dall'art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, dalla
"trasformazione" di organismi edilizi, la quale presuppone che l'intervento
si riferisca a una porzione di territorio a sua volta già compiutamente
trasformata.
Detto altrimenti: “Con particolare riferimento alla ricostruzione di un
rudere, rientrano nella nozione di nuova costruzione non solo l'edificazione
di un manufatto su un'area libera, ma anche gli interventi di
ristrutturazione che, in ragione dell'entità delle modifiche apportate al
volume e alla collocazione del fabbricato, rendano l'opera realizzata nel
suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente sostanza,
rientrano nella nozione di nuova costruzione non solo l'edificazione di un
manufatto su un'area libera, ma anche gli interventi di ristrutturazione
che, in ragione dell'entità delle modifiche apportate al volume e alla
collocazione del fabbricato, rendano l'opera realizzata nel suo complesso
oggettivamente diversa da quella preesistente. In particolare, un manufatto
costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in
cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di
copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come
edificio allo stato esistente”.
---------------
È infondato anche il settimo motivo [Violazione di legge
(art. 146 D.lgs. 42/2004 in relazione all’art. 3, D.P.R. 380/2001 e ss.mm.ii.)
– Eccesso di potere (difetto di motivazione - illogicità - contraddittorietà -
difetto di istruttoria - travisamento – sviamento - straripamento di potere) -
Incompetenza], con cui si afferma l’erroneità delle argomentazioni poste a
fondamento del parere.
In particolare, secondo la ricorrente, l’intervento andrebbe qualificato
come risanamento conservativo e consolidamento o come ristrutturazione.
Tuttavia, secondo la stessa giurisprudenza richiamata in ricorso: “L'ambito
della ristrutturazione va esteso all'ipotesi della ricostruzione di edifici,
anche ridotti a rudere, dei quali sia possibile risalire alla consistenza
iniziale. Tuttavia, per quanto allargato, il concetto di ristrutturazione
non può ontologicamente prescindere dall'apprezzabile traccia di una
costruzione preesistente, mancando la quale non si ravvisa il tratto
distintivo fondamentale che caratterizza la ristrutturazione rispetto alla
nuova edificazione. Questo è rappresentato, a norma della definizione
generale dettata dall'art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, dalla
"trasformazione" di organismi edilizi, la quale presuppone che l'intervento
si riferisca a una porzione di territorio a sua volta già compiutamente
trasformata” (TAR Toscana, Firenze, Sez. III, 06/09/2021, n. 1151).
Detto altrimenti: “Con particolare riferimento alla ricostruzione di un
rudere, rientrano nella nozione di nuova costruzione non solo l'edificazione
di un manufatto su un'area libera, ma anche gli interventi di
ristrutturazione che, in ragione dell'entità delle modifiche apportate al
volume e alla collocazione del fabbricato, rendano l'opera realizzata nel
suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente sostanza,
rientrano nella nozione di nuova costruzione non solo l'edificazione di un
manufatto su un'area libera, ma anche gli interventi di ristrutturazione
che, in ragione dell'entità delle modifiche apportate al volume e alla
collocazione del fabbricato, rendano l'opera realizzata nel suo complesso
oggettivamente diversa da quella preesistente. In particolare, un manufatto
costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in
cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di
copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come
edificio allo stato esistente” (TAR Lazio, Roma, Sez. II-quater,
06/11/2018, n. 10729) (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 13.06.2022 n. 1655 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Presupposto
degli interventi di restauro e di intervento conservativo è che sia
possibile rispettare gli originari elementi tipologici, formali e
strutturali dell’edificio, al fine di conservare l’organismo edilizio e
assicurarne la funzionalità. Il risanamento conservativo costituisce
un’interventi di recupero sul patrimonio edilizio esistente, onde postula
necessariamente la preesistenza di un fabbricato, ossia di un organismo
edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, in
modo da poterla individuare come costruzione esistente, di modo che
l'intervento edificatorio sulla stessa non costituisca trasformazione
urbanistico edilizia del territorio rilevante in termini di nuova
costruzione.
Le nozioni di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia,
costituendo interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente,
postulano pertanto la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare o
risanare, ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali,
strutture orizzontali e coperture. E ciò senza considerare, nella
prospettiva assunta dall’Amministrazione, che detti presupposti sono
richiesti perfino per la ristrutturazione, attività diversa e più incisiva,
come sopra illustrato, dal restauro e dal risanamento conservativo.
Di conseguenza, la ricostruzione su ruderi o su un edificio demolito
costituisce nuova opera. “La ricostruzione dei ruderi di cui non si riesca a
provare l’originaria consistenza, ovvero dei quali siano venuti a mancare
tutti gli elementi idonei a verificarne sagoma e volumi va intesa invece
come nuova costruzione soggetta alle comuni regole edilizie”.
La dimostrazione della preesistenza del fabbricato nella sua consistenza
originaria e con le caratteristiche volumetriche e architettoniche proprie
del manufatto che si vuole risanare è impedita anche se manca uno solo degli
elementi da cui desumere l’originaria consistenza come quello relativo
all’altezza (desumibile dalla copertura). “La ricostruzione di un rudere non
è riconducibile nell'alveo della ristrutturazione edilizia laddove il
manufatto sia costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, oppure sia
presente solo parte della predetta muratura e sia privo di copertura e di
strutture orizzontali, atteso che lo stesso, in tale stato, non può essere
riconosciuto come edificio allo stato esistente”.
Per quanto riguarda gli interventi di ripristino di edifici diruti, “occorre
distinguere l'ipotesi in cui esista un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione
tale da consentire la sua fedele ricostruzione (nel qual caso è possibile
parlare di demolizione e ricostruzione, e dunque, di ristrutturazione)
dall'ipotesi in cui, invece, sussista un organismo edilizio dotato di sole
mura perimetrali e privo di copertura (nel qual caso, gli interventi in
questione non possono essere classificati come interventi di restauro e
risanamento conservativo, ma di nuova costruzione, attesa la mancanza di
elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche
dell'edificio da recuperare)”.
La giurisprudenza, pertanto, ritiene rilevante la misurazione di ogni
dimensione del precedente fabbricato per ritenere il medesimo esistente e
quindi restaurabile e risanabile.
---------------
In ogni caso, anche a ritenere che il Piano paesaggistico
ammetta la ristrutturazione, ai sensi dell’art. 3, comma 4, della l.r. n. 20
del 2000 (pure richiamata nel preambolo del provvedimento impugnato),
istitutiva del Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi di
Agrigento, in relazione alla Zona I archeologica non sono ammesse nuove
costruzioni e interventi di ristrutturazione ma “possono essere autorizzati,
nel rispetto dell'ambiente archeologico e paesaggistico, soltanto: a)
(omissis); b) (omissis); c) (omissis) d) gli interventi di manutenzione
ordinaria, restauro e risanamento conservativo di cui all'articolo 20,
lettere a) e b), della legge regionale 27.12.1978, n. 71”, che regola
la materia urbanistica sul territorio siciliano.
La normativa archeologica richiama quindi la nozione urbanistico-edilizia di
restauro e risanamento conservativo.
Ai sensi dell’art. 20, lett. c), della legge regionale urbanistica n. 71 del
1978 sono definiti interventi di restauro e di risanamento conservativo
“quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la
funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto
degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne
consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi
comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi
costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli
impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi
estranei all'organismo edilizio”. In base alla medesima disposizione si
distingue il restauro e risanamento conservativo così come sopra definito
dalla ristrutturazione di cui alla successiva lett. d (“quelli rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere
che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di
alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”).
La definizione (dettata in materia urbanistica ed edilizia, e fatta propria
dalla l.r. n. 20 del 2000, istitutiva del Parco archeologico e paesaggistico
della Valle dei Templi di Agrigento) di restauro e risanamento conservativo
contenuta nella legge regionale n. 71 del 1978 è riproposta con la lett. c),
art. 3, d.P.R. n. 380 del 2001, recepito nell’ordinamento regionale con il
rinvio dinamico di cui all’art. 1 l.r. n. 16 del 2016.
Secondo detta disciplina sono interventi di restauro e di risanamento
conservativo “gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo
edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di
opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali
dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni
d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle
previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani
attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il
rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli
elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso,
l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio”.
Anche in forza dell’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 detti interventi (di
restauro e risanamento conservativo) si distinguono dagli interventi di
ristrutturazione edilizia di cui alla successiva lett. d) dell’art. 3
(modificata dall'art. 1, comma 1, lett. a), del d.lgs. 27.12.2002 n. 301
e dall'art. 30, comma 1, lett. a), del d.l. 21.06.2013 n. 69).
Per molti dei corpi compresi nel progetto controverso l’Amministrazione ha
motivato il diniego qualificando gli interventi come nuove costruzioni e
facendo riferimento alla sopra richiamata normativa che vieta nell’area
interessata la realizzazione di nuove costruzioni.
La giurisprudenza amministrativa ha infatti affermato che “In materia
urbanistica sono interventi di nuova costruzione quelli di
trasformazione edilizia e urbanistica del territorio, non rientranti fra gli
interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e
risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia” (Cons. St., sez. II,
22.04.2021 n. 3264).
Alla qualificazione in termini di nuova costruzione di molti degli
interventi proposti ha contribuito la constatazione dell’impossibilità di
ricostruire la consistenza del manufatto originario, che rende non
classificabile come restauro e risanamento conservativo l’intervento
progettato.
In presenza di detta constatazione, è recessivo il richiamo alla circolare
della Soprintendenza 21.03.2014 n. 13879, con la quale è stato affermato
che rimane “affidato al responsabile del giudizio di ciascuna Soprintendenza
l’accertamento e la verifica della sussistenza di elementi fisici e
documenti che diano l’assoluta consistenza originaria dell’edifico da
ricostruire”, ma dopo aver precisato che un fabbricato privo di mura
perimetrali, strutture orizzontali e manto di copertura “non può essere
considerato edificio e, pertanto, non può essere oggetto di
ristrutturazione, ma soltanto di nuova costruzione” (in termini anche la
precedente nota 03.06.2013 n. 27162).
In tale contesto la circolare del 2014 contiene un riferimento a una
pronuncia del Consiglio di Stato la quale, in relazione alla ricostruzione
dei ruderi, ha stabilito, quale presupposto generale, la necessità di poter
determinare i connotati essenziali del precedente manufatto sulla base dei
muri perimetrali e delle strutture orizzontali e di copertura, al fine di
non qualificare l’intervento edilizio come nuova costruzione. Nella stessa
occasione, dopo avere precisato che “nel caso contrario potrebbe essere
discutibile la possibilità di evidenziare la consistenza”, ha ritenuto che
“la parziale mancanza fisica dei connotati essenziali di un edificio può
essere superata se è possibile darne evidenza certa”.
In base alla richiamata (risalente) giurisprudenza, a parte che detta
possibilità è ricondotta a una mancanza parziale dei connotati, è comunque
richiesta un’evidenza certa dei caratteri essenziale dell’edificio, che nel
caso di specie l’Amministrazione ha ritenuto non essere stata raggiunta.
Presupposto degli interventi di restauro e di intervento conservativo è
infatti che sia possibile rispettare gli originari elementi tipologici,
formali e strutturali dell’edificio, al fine di conservare l’organismo
edilizio e assicurarne la funzionalità. Il risanamento conservativo
costituisce un’interventi di recupero sul patrimonio edilizio esistente,
onde postula necessariamente la preesistenza di un fabbricato, ossia di un
organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, in modo da poterla individuare come costruzione esistente, di
modo che l'intervento edificatorio sulla stessa non costituisca
trasformazione urbanistico edilizia del territorio rilevante in termini di
nuova costruzione (Cons. St., sez. II, 24.10.2020 n. 6455).
Le nozioni di risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia,
costituendo interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente,
postulano pertanto la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare o
risanare, ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali,
strutture orizzontali e coperture. E ciò senza considerare, nella
prospettiva assunta dall’Amministrazione, che detti presupposti sono
richiesti perfino per la ristrutturazione, attività diversa e più incisiva,
come sopra illustrato, dal restauro e dal risanamento conservativo.
Di conseguenza, la ricostruzione su ruderi o su un edificio demolito
costituisce nuova opera. “La ricostruzione dei ruderi di cui non si riesca a
provare l’originaria consistenza, ovvero dei quali siano venuti a mancare
tutti gli elementi idonei a verificarne sagoma e volumi va intesa invece
come nuova costruzione soggetta alle comuni regole edilizie” (CGARS 07.11.2019 n. 949).
La dimostrazione della preesistenza del fabbricato nella sua consistenza
originaria e con le caratteristiche volumetriche e architettoniche proprie
del manufatto che si vuole risanare è impedita anche se manca uno solo degli
elementi da cui desumere l’originaria consistenza come quello relativo
all’altezza (desumibile dalla copertura). “La ricostruzione di un rudere non
è riconducibile nell'alveo della ristrutturazione edilizia laddove il
manufatto sia costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, oppure sia
presente solo parte della predetta muratura e sia privo di copertura e di
strutture orizzontali, atteso che lo stesso, in tale stato, non può essere
riconosciuto come edificio allo stato esistente” (Cons. St., sez. IV, 17.09.2019 n. 6188).
Per quanto riguarda gli interventi di ripristino di edifici diruti, “occorre
distinguere l'ipotesi in cui esista un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione
tale da consentire la sua fedele ricostruzione (nel qual caso è possibile
parlare di demolizione e ricostruzione, e dunque, di ristrutturazione)
dall'ipotesi in cui, invece, sussista un organismo edilizio dotato di sole
mura perimetrali e privo di copertura (nel qual caso, gli interventi in
questione non possono essere classificati come interventi di restauro e
risanamento conservativo, ma di nuova costruzione, attesa la mancanza di
elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche
dell'edificio da recuperare)” (Cons. St., sez. VI, 02.09.2020 n.
5350).
La giurisprudenza, pertanto, ritiene rilevante la misurazione di ogni
dimensione del precedente fabbricato per ritenere il medesimo esistente e
quindi restaurabile e risanabile (CGARS,
sentenza 11.04.2022 n. 444 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
ricostruzione di un rudere.
Per costante e tralatizia giurisprudenza del giudice amministrativo, spetta
alla parte richiedente provare la preesistenza del fabbricato, le sue esatte
dimensioni e sagoma.
I ruderi del preesistente fabbricato, poi, devono essere idonei a consentire
l’esatta configurazione di ciò che si asserisce era già esistente, dovendosi
in caso contrario parlare di nuova costruzione.
Nella presente fattispecie manca la prova delle dimensioni e della sagoma
del preesistente fabbricato.
Il concetto di rudere che consentirebbe una legittima ricostruzione è stato
definito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato:
“E' quindi ancora oggi da escludere che la ricostruzione di un rudere sia
riconducibile nell’alveo della ristrutturazione edilizia nel caso in cui
manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto
costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in
cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di
copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come
edificio allo stato esistente.
In mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare la
consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che
considerarsi alla stregua di un’area non edificata”.
---------------
1.Il signor Se.Ir. ricorre in appello per chiedere la riforma della sentenza
emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione
staccata di Catania, in data 05.12.2018.
2. L’odierna parte appellante, unitamente al coniuge, si era rivolta al
giudice amministrativo per chiedere l’annullamento dell'ordinanza di
demolizione n. 82 del 21.11.2016 emanata dal Comune di Mascali.
L’ordine di demolizione aveva ad oggetto opere edilizie realizzate sul
terreno sito in Mascali, Via ... n. ..., individuato in catasto al foglio 3
part. 128 di proprietà dei coniugi Se.Ir. e Ma.Za..
Le opere venivano così descritte: “un fabbricato composto da un piano
terra, della superficie di mq. 126,88, desitanto a civile abitazione
realizzato in cls armato (fondazioni, pilastri, travi e solaio in
latero-c.a.) ed un parte della copertura e a tetto in legno rifinito con
manto di tegole; da un piano primo-sottotetto della superficie di mq. 97,50
realizzato con struttura portante in cls armato (pilastri e travi) e
copertura in legno rifinita con manto di tegole, altro manufatto destinato a
deposito, della superficie di mq. 89,38, realizzato con struttura in ferro,
copertura in lamierino e parzialmente completato con muratura perimetrale in
blocchi di cls”.
3. Il ricorso, proposto da Se.Ir. e Ma.Za., veniva affidato ad un unico
motivo nel quale venivano articolate censure di violazione di legge, eccesso
di potere, difetto di motivazione, con le quali parte ricorrente contestava
che il Comune di Mascali aveva erroneamente qualificato le opere realizzate
in assenza di titolo edilizio mentre si tratterebbe di lavori di restauro e
recupero di un precedente ed esistente fabbricato per il quale i coniugi
appellanti avevano presentato "istanza al comune di Mascali per il
recupero e ricostruzione del vecchio fabbricato".
...
16. Per completezza di decisione il Collegio rileva che merita conferma
anche l’assunto del primo giudice che ha ritenuto infondate nel merito le
doglianze sottoposte al suo giudizio con il ricorso di primo grado e
sostanzialmente riproposte con l’atto di gravame.
L’assunto difensivo fondamentale è che nella presente fattispecie le opere
sarebbero da qualificare come opere di restauro e recupero di un precedente
ed esistente fabbricato.
Per costante e tralatizia giurisprudenza del giudice amministrativo spetta
alla parte richiedente provare la preesistenza del fabbricato, le sue esatte
dimensioni e sagoma.
I ruderi del preesistente fabbricato, poi, devono essere idonei a consentire
l’esatta configurazione di ciò che si asserisce era già esistente, dovendosi
in caso contrario parlare di nuova costruzione.
Nella presente fattispecie manca la prova delle dimensioni e della sagoma
del preesistente fabbricato.
Il concetto di rudere che consentirebbe una legittima ricostruzione è stato
definito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato.
“E' quindi ancora oggi da escludere che la ricostruzione di un rudere sia
riconducibile nell’alveo della ristrutturazione edilizia nel caso in cui
manchino elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto
costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in
cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di
copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come
edificio allo stato esistente (cfr. Cons. St., sez. IV, sentenza n. 5174 del
21.10.2014, e TAR Lombardia, Brescia, sentenza n. 1167 del 26.09.2017).
In mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare la
consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che
considerarsi alla stregua di un’area non edificata” (Cons. St., sez. IV
sent. 17.09.2019, n. 6188)
Nell’atto di compravendita, più volte richiamato da parte appellante a
sostegno delle proprie argomentazioni si legge di “insistenti ruderi di
fabbricato rurale”.
Nell’ordinanza di demolizione, frutto del verbale di sopralluogo, si
descrive quanto realizzato nei seguenti termini: “un fabbricato composto
da un piano terra, della superficie di mq. 126,88, destinato a civile
abitazione realizzato in cls. armato (fondazioni, pilastri, travi e solaio
in latero-c.a.) ed un parte della copertura e a tetto in legno rifinito con
manto di tegole; da un piano primo- sottotetto della superficie di mq. 97,50
realizzato con struttura portante in cls. armato (pilastri e travi) e
copertura in legno rifinita con manto di tegole, altro manufatto destinato a
deposito, della superficie di mq. 89,38, realizzato con struttura in ferro,
copertura in lamierino e parzialmente completato con muratura perimetrale in
blocchi di cls.” .
E’ da condividere la parte della sentenza impugnata ove si afferma che: “in
ogni caso, a prescindere da ogni questione sulla tipologia di opere risulta
dirimente la circostanza che nessun titolo edilizio risulta rilasciato per
le opere in questione con conseguente legittimità dell'ordine di demolizione
delle opere abusivamente realizzate”.
17. Sulla base della considerazione appena esplicitata il Collegio ritiene,
conseguentemente, infondati anche gli ulteriori profili di doglianza
riproposti con l’atto di appello (CGARS,
sentenza 07.02.2022 n. 163 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Integra
i reati di cui agli artt. 44 del
d.P.R. n. 380 del
2001 e 181 del d.Lgs. n. 42 del 2004 la ricostruzione di un "rudere" senza
il
preventivo rilascio del permesso di costruire e dell'autorizzazione
paesaggistica,
sia perché trattasi di intervento di nuova costruzione e non di
ristrutturazione di
un edificio preesistente, dovendo intendersi per quest'ultimo un organismo
edilizio
dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, sia perché
non è
applicabile l'art. 30 del d.l. n. 69 del 2013 (conv. in legge n. 98 del
2013), che,
per assoggettare gli interventi di ripristino o di ricostruzione di edifici
o parti di
essi, eventualmente crollati o demoliti, al regime semplificato della
S.C.I.A.
richiede, nelle zone vincolate, l'esistenza dei connotati essenziali di un
edificio
(pareti, solai e tetto), o, in alternativa, l'accertamento della
preesistente
consistenza dell'immobile in base a riscontri documentali, alla verifica
dimensionale del sito o ad altri elementi certi e verificabili, nonché, in
ogni caso, il rispetto della sagoma della precedente struttura.
---------------
1.3. Il terzo motivo -con cui si contesta la sussunzione degli interventi
edilizi
nella nozione di nuova costruzione anziché in quella di manutenzione
straordinaria- è, del pari, inammissibile, dal momento che trattasi di censura già
sollevata e
motivatamente disattesa dalla Corte d'appello.
Quest'ultima ha rilevato
(pag. 5)
che, dall'esame delle pratiche amministrative e delle relazioni tecniche
riguardanti
interventi nelle medesime aree di cui si discute, il fabbricato descritto in
imputazione coinciderebbe con un vecchio e diruto manufatto rurale presente
nella
medesima particella catastale che, al momento in cui venne redatta la
relazione
tecnica citata, doveva ancora essere oggetto di ristrutturazione al fine di
renderlo
idoneo alla destinazione di casa-vacanza.
Dunque il fabbricato non sarebbe
il
risultato di un mero intervento di manutenzione straordinaria, comunicato
con
C.I.L.A. e riguardante un diverso immobile, bensì di un vero e proprio
intervento
di nuova costruzione, per il quale erano necessari sia il permesso di
costruire che
l'autorizzazione paesaggistica, essendovi stato anche un aumento di volume
(come ben evidenziato a pag. 3 della sentenza di primo grado).
Dunque, deve ritenersi che la Corte distrettuale ha fatto corretta
applicazione
del principio in base al quale integra i reati di cui agli artt. 44 del
d.P.R. n. 380 del
2001 e 181 del d.Lgs. n. 42 del 2004 la ricostruzione di un "rudere" senza
il
preventivo rilascio del permesso di costruire e dell'autorizzazione
paesaggistica,
sia perché trattasi di intervento di nuova costruzione e non di
ristrutturazione di
un edificio preesistente, dovendo intendersi per quest'ultimo un organismo
edilizio
dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, sia perché
non è
applicabile l'art. 30 del d.l. n. 69 del 2013 (conv. in legge n. 98 del
2013), che,
per assoggettare gli interventi di ripristino o di ricostruzione di edifici
o parti di
essi, eventualmente crollati o demoliti, al regime semplificato della
S.C.I.A.
richiede, nelle zone vincolate, l'esistenza dei connotati essenziali di un
edificio
(pareti, solai e tetto), o, in alternativa, l'accertamento della
preesistente
consistenza dell'immobile in base a riscontri documentali, alla verifica
dimensionale del sito o ad altri elementi certi e verificabili, nonché, in
ogni caso, il
rispetto della sagoma della precedente struttura (Sez. 3, n. 40342 del
03/06/2014,
Rv. 260552) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
03.02.2022 n. 3763). |
anno 2021 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Dal
punto di vista generale, nelle controversie in materia edilizia, soggette
alla giurisdizione del giudice amministrativo, i principi di prova
concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel
tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie e mappe
catastali, tanto che la prova per testimoni è del tutto residuale.
---------------
L’art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 21.06.2013 n. 69, conv.
nella l. 09.08.2013 n. 98, nel modificare l’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 cit., in tema di
ristrutturazione edilizia, ha previsto che
rientrino in tale nozione anche gli interventi “volti al ripristino di
edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la
loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente
consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a
vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive
modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli
interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono
interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la
medesima sagoma dell’edificio preesistente”.
Per effetto di tale modifica legislativa, può ritenersi ormai superato
l’orientamento giurisprudenziale, maturato nel vigore del testo originario
del citato articolo, che riteneva necessaria, ai fini della qualificazione
dell’intervento come ristrutturazione edilizia, la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare, ossia di un organismo edilizio dotato di alcune
componenti essenziali, quali murature perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, posto che essa ha esteso l’ambito della ristrutturazione anche
alle ipotesi di ricostruzione di edifici, anche ridotti a rudere, dei quali
sia possibile risalire ad una consistenza iniziale.
Tuttavia, anche dopo la novella de qua risulta comunque necessario che la
consistenza iniziale dell’edificio in rovina sia dimostrata tanto sotto il
profilo dell’an –ossia che un certo immobile sia esistito– tanto sotto
quello del quantum, inteso come destinazione d’uso ed ingombro planivolumetrico complessivo del fabbricato crollato, potendo la prova della
esatta consistenza originaria, in assenza di elementi strutturali idonei,
essere raggiunta anche attraverso riscontri documentali od altri elementi
certi e verificabili, tra i quali documentazione fotografica,
aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di delineare, con
sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali dell’edificio diruto.
Pertanto, sebbene in astratto sia divenuto ammissibile un intervento di
ristrutturazione edilizia consistente nella ricostruzione di un rudere,
anche dopo il sopravvenire dell’art. 30, comma 1, lett. a), d.l. n. 69 del
2013, conv. nella l. n. 98 del 2013, è comunque indispensabile in concreto
la fornitura di una prova oggettiva dell’esatta consistenza originaria
dell’antica costruzione.
---------------
E' noto che in materia urbanistica incombe sul privato l’onere della prova
dell’ultimazione di un’opera entro una certa data, al fine di dimostrare, ad
esempio, che essa rientra fra quelle per le quali si può ottenere una
sanatoria speciale ovvero fra quelle per cui, ratione temporis, non era
richiesto un atto di assenso, in quanto realizzata legittimamente senza
titolo, essendo egli l’unico soggetto che ha la disponibilità di documenti e
di elementi di prova e che può dimostrare con ragionevole certezza l’epoca
di realizzazione del manufatto.
Nel caso che ci occupa, parte ricorrente non ha assolto all’onere probatorio
in argomento, perché a sostegno delle proprie ragioni cita, innanzitutto, le
dichiarazioni rese dal procedente proprietario del terreno, oltre che di
altri soggetti, che offrono una ricostruzione dei fatti palesemente
discordante con i dati oggettivi utilizzati dall’Amministrazione, sui quali
non potrebbero prevalere neppure se fossero trasfuse in una testimonianza.
Sicché, non avendo parte
ricorrente apportato al processo quantomeno un principio di prova utile a
sollevare fondati dubbi sull’esattezza del quadro fattuale ricostruito dal Comune resistente, non
sussistono i presupposti per disporre una verificazione, come pur da ella
richiesto.
Al riguardo, infatti, è noto che ad una situazione di assoluta
carenza probatoria non può porsi rimedio con l’attività istruttoria
giudiziale, giacché una tale opzione si tradurrebbe nell’inversione del
principio dell’onere della prova come regolato dagli artt. 2697 cod. civ. e
115 cod. proc. civ., e ciò ancorché nel processo amministrativo il sistema
probatorio sia retto dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, in
considerazione dell’assetto non paritetico dei rapporti fattuali e giuridici
intercorrenti tra il privato e l’Amministrazione; pertanto, affinché possano
essere attivati i poteri istruttori giudiziali, la parte ricorrente deve
quantomeno avanzare un principio di prova a sostegno delle proprie
deduzioni.
---------------
Avendo, poi, parte ricorrente argomentato anche sull’infondatezza di tali
ragioni ostative, si esamina nel merito la questione della consistenza e
dell’epoca di realizzazione del manufatto oggetto di intervento.
Sul punto si osserva che, dal punto di vista generale, nelle controversie in
materia edilizia, soggette alla giurisdizione del giudice amministrativo, i
principi di prova concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello
spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta,
aerofotogrammetrie e mappe catastali, tanto che la prova per testimoni è del
tutto residuale (Cons. Stato, sez. IV, 09.02.2016 n. 511; TAR Lazio,
Latina, sez. I, 30.03.2021 n. 207; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 29.03.2021 n. 2085; TAR Lazio, Latina, sez. I, 13.07.2020 n. 271; TAR
Piemonte, sez. II, 27.03.2013 n. 390; TAR Umbria, sez. I, 02.11.2011
n. 354).
Nel caso di specie, come si evince dalla lettura del verbale di sopralluogo
del 12.02.2014, il fabbricato rurale del quale i ricorrenti hanno
previsto la demolizione e ricostruzione è stato individuato in sito grazie
alla presenza di tracce di muratura in pietrame, collocate su un’area in cui
non esistono opere di urbanizzazione di nessun tipo e che è raggiungibile
solo percorrendo sentieri che si diramano dalla strada sterrata di accesso
alla proprietà. Le suddette tracce hanno consentito di identificare un
perimetro dell’edificio diruto che è discordante con quanto rappresentato
dall’ing. M.C. nella d.i.a. del 21.01.2013 e nelle successive
integrazioni documentali.
In particolare, è stato accertato che le murature de quibus non presentano
segni di fondazione e/o ringrossi e che, confrontando i rilievi
aerofotogrammetrici degli anni 1955, 1984, 1997 e 2004 con la mappa
catastale del 1923, utilizzata a fini di perimetrazione per l’apposizione
del vincolo idrogeologico, le tracce del fabbricato rurale distinto in
catasto al foglio n. 18, particella n. (ex) 223, risultano meno evidenti già
nel 1997. Inoltre, è emerso che il suddetto manufatto rurale di appena mq 17
ha poi generato un immobile distinto in catasto al foglio n. 18, particella
n. 1125, di ben mq 76, come da scheda del 23.03.2012, e che l’ampliamento
della consistenza iniziale può ritenersi posteriore al 2011, alla luce del
raffronto tra la citata aerofotogrammetria e le ortofoto geo-referenziate
fornite dal Corpo forestale dello Stato.
Tali circostanze appaiono decisive in senso ostativo all’ammissibilità
dell’intervento de quo nonostante la modifica normativa ricordata da parte
ricorrente ed intervenuta dopo la diffida del 22.02.2013, ma prima
dell’ordine di demolizione del 04.03.2014.
Infatti, l’art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 21.06.2013 n. 69, conv.
nella l. 09.08.2013 n. 98, nel modificare l’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 cit., in tema di
ristrutturazione edilizia, ha previsto che
rientrino in tale nozione anche gli interventi “volti al ripristino di
edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la
loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente
consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a
vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive
modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli
interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono
interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la
medesima sagoma dell’edificio preesistente”.
Per effetto di tale modifica legislativa, può ritenersi ormai superato
l’orientamento giurisprudenziale, maturato nel vigore del testo originario
del citato articolo, che riteneva necessaria, ai fini della qualificazione
dell’intervento come ristrutturazione edilizia, la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare, ossia di un organismo edilizio dotato di alcune
componenti essenziali, quali murature perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, posto che essa ha esteso l’ambito della ristrutturazione anche
alle ipotesi di ricostruzione di edifici, anche ridotti a rudere, dei quali
sia possibile risalire ad una consistenza iniziale (TAR Lombardia, Brescia,
sez. I, 06.7.2020 n. 517; in termini Cons. Stato, sez. VI, 03.10.2019 n. 6654; TAR Toscana, sez. III, 26.05.2020 n. 631).
Tuttavia, anche dopo la novella de qua risulta comunque necessario che la
consistenza iniziale dell’edificio in rovina sia dimostrata tanto sotto il
profilo dell’an –ossia che un certo immobile sia esistito– tanto sotto
quello del quantum, inteso come destinazione d’uso ed ingombro planivolumetrico complessivo del fabbricato crollato, potendo la prova della
esatta consistenza originaria, in assenza di elementi strutturali idonei,
essere raggiunta anche attraverso riscontri documentali od altri elementi
certi e verificabili, tra i quali documentazione fotografica,
aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di delineare, con
sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali dell’edificio diruto
(TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 06.07.2020 n. 517; TAR Liguria, sez. I,
11.06.2020 n. 364).
Pertanto, sebbene in astratto sia divenuto ammissibile un intervento di
ristrutturazione edilizia consistente nella ricostruzione di un rudere,
anche dopo il sopravvenire dell’art. 30, comma 1, lett. a), d.l. n. 69 del
2013, conv. nella l. n. 98 del 2013, è comunque indispensabile in concreto
la fornitura di una prova oggettiva dell’esatta consistenza originaria
dell’antica costruzione.
Ebbene, nel caso che ci occupa l’esigenza di una
simile dimostrazione è già presente nella diffida del 22.02.2013, ove
si fa riferimento alla “mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare”, ma è
compiutamente esplicitata nel verbale del 12.02.2004, successivo
all’art. 30, comma 1, lett. a), d.l. n. 69 cit., in cui la consistenza
iniziale del fabbricato rurale diruto è fatta risalire a data anteriore al
1923 ed è fissata in mq 17, laddove il nuovo accatastamento del 23.03.2012 e la d.i.a. del 21.01.2013 si riferiscono a una superficie di mq
76.
Così ricostruiti i termini della vicenda all’esame, è noto che in materia
urbanistica incombe sul privato l’onere della prova dell’ultimazione di
un’opera entro una certa data, al fine di dimostrare, ad esempio, che essa
rientra fra quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale
ovvero fra quelle per cui, ratione temporis, non era richiesto un atto di
assenso, in quanto realizzata legittimamente senza titolo, essendo egli
l’unico soggetto che ha la disponibilità di documenti e di elementi di prova
e che può dimostrare con ragionevole certezza l’epoca di realizzazione del
manufatto (ex multis: Cons. Stato, sez. VI, 20.01.2020 n. 454; sez. II,
24.07.2019 n. 5220; TAR Lazio, Latina, sez. I, 30.03.2021 n. 207;
sez. I, 08.06.2020 n. 194; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 03.06.2019
n. 2986).
Nel caso che ci occupa, parte ricorrente non ha assolto all’onere probatorio
in argomento, perché a sostegno delle proprie ragioni cita, innanzitutto,
le dichiarazioni rese dal procedente proprietario del terreno, oltre che di
altri soggetti, prodotte in atti il 13.11.2014, che offrono una
ricostruzione dei fatti palesemente discordante con i dati oggettivi
utilizzati dall’Amministrazione, sui quali non potrebbero prevalere neppure
se fossero trasfuse in una testimonianza (Cons. Stato, sez. IV, 09.02.2016 n. 511; TAR Lazio, Latina, sez. I, 13.07.2020 n. 271).
Nessuna prova oggettiva è stata, poi, addotta da parte ricorrente in ordine
al fatto che la maggiore consistenza accatastata dopo l’acquisto del fondo
nel 2011 e dichiarata in d.i.a. risalga effettivamente al 1952, epoca nella
quale non era richiesto il preventivo rilascio di concessione edilizia per
gli interventi di ampliamento e nuova costruzione ed anche successiva al
1950, soglia cronologica rilevante ai fini dell’applicabilità dell’art. 4,
comma 1, lett. d), l.reg. n. 21 cit., che è preclusa per i manufatti
antecedenti. Infatti, l’unico dato oggettivo e documentale su tali punti è
costituito dal sopralluogo condotto il 07.02.2014, dalle
aerofotogrammetrie e dalla cartografia poste dal Comune di Gaeta a
fondamento delle proprie determinazioni, che dimostrano la risalenza del
manufatto rurale diruto a data anteriore al 1923 una sua consistenza di soli
mq 17 e non di mq 76, come dichiarato dall’ing. M.C. Si tratta, quindi, di
dati del tutto incompatibili con quelli del ben più esteso immobile
realizzato, asseritamente in ricostruzione, sulla base della d.i.a. del 21.01.2013, anche tenendo conto della facoltà di ampliamento previste
dall’art. 4, comma 1, lett. d), l.reg. n. 21 cit.
A smentire la correttezza dell’accertamento operato dall’Amministrazione non
vale neppure la perizia tecnica a firma dell’ing. Wa.So. prodotta in
atti il 14.11.2014 e che, a dire di parte ricorrente, lascerebbe
emergere “macroscopici errori ed approssimazioni” dei rilievi utilizzati dal
Comune e dal Corpo forestale dello Stato.
In realtà, tale perizia, che investe anche la questione se l’area in parola
sia mai stata percorsa dal fuoco negli anni 2007 e 2012, dedica alla
questione che ci occupa il § 3 (pag. 5-6), ove si afferma che:
a) l’epoca di
costruzione dell’edificio diroccato è databile intorno agli anni 50 del
secolo scorso a cagione dei materiali e della tecnica costruttiva impiegata
(pietrame locale e malta bastarda con tecnica a secco), i quali
“mostrerebbero chiaramente un invecchiamento di oltre 50 anni”;
b) le reali
dimensioni del fabbricato non sono apprezzabili dalle foto satellitari per
la presenza della vegetazione locale che ostacola l’esatto rilievo,
rinviandosi contestualmente sul punto alla dichiarazione del precedente
proprietario B.M.
Tuttavia, a ben vedere, sia l’epoca di costruzione sia la maggiore
consistenza del fabbricato in tal modo ipotizzate non appaiono sostenute da
specifiche evidenze utili a minare la credibilità dell’accertamento operato
dall’Amministrazione, atteso che, innanzitutto, un invecchiamento dei ruderi
di oltre 50 anni è pienamente compatibile con la datazione dell’immobile
indicata dal Comune di Gaeta e riportata a data anteriore al 1923. Inoltre,
la perizia tralascia di considerare che l’Amministrazione non è giunta alle
proprie conclusioni esclusivamente in via cartolare, cioè mediante la
valutazione di materiale fotografico e di mappe, perché, come si evince dal
verbale del 12.02.2014, la considerazione di detti documenti è
successiva all’accesso ai luoghi ed alle misurazioni ivi eseguite da
personale dall’Amministrazione civica e dal Corpo forestale dello Stato il 07.02.2014, in presenza dell’ing. M.C. nella sua qualità di proprietario
e direttore dei lavori.
Al riguardo si rileva che, peraltro, detto sopralluogo si è tenuto poco dopo
che l’area di interesse era stata ripulita dalla vegetazione, operazione
questa che parte ricorrente dichiara essere stata compiuta in occasione
dell’accatastamento nel 2012 e della presentazione della d.i.a. nel 2013 (cfr.
pag. 11 della memoria del 13.11.2021), sì che le considerazioni sul
punto svolte dal tecnico di parte per sollevare dubbi sulla risoluzione
delle foto satellitari, in realtà, non possono obliterare gli accertamenti
eseguiti sul posto e con una vegetazione ridotta rispetto a quella esistente
al momento delle riprese da satellite o da aereo. Inoltre, resta inteso che
il riferimento operato dal perito alla dichiarazione del precedente
proprietario non può certo conferire alla relazione tecnica alcuna oggettiva
attendibilità sul punto.
Stante quanto sopra, non avendo parte ricorrente apportato al processo
quantomeno un principio di prova utile a sollevare fondati dubbi
sull’esattezza del quadro fattuale ricostruito dal Comune resistente, non
sussistono i presupposti per disporre una verificazione, come pur da ella
richiesto.
Al riguardo, infatti, è noto che ad una situazione di assoluta
carenza probatoria non può porsi rimedio con l’attività istruttoria
giudiziale, giacché una tale opzione si tradurrebbe nell’inversione del
principio dell’onere della prova come regolato dagli artt. 2697 cod. civ. e
115 cod. proc. civ., e ciò ancorché nel processo amministrativo il sistema
probatorio sia retto dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, in
considerazione dell’assetto non paritetico dei rapporti fattuali e giuridici
intercorrenti tra il privato e l’Amministrazione; pertanto, affinché possano
essere attivati i poteri istruttori giudiziali, la parte ricorrente deve
quantomeno avanzare un principio di prova a sostegno delle proprie deduzioni
(TAR Lazio, Roma, sez. II, 26.06.2020 n. 7232; sez. II, 08.01.2020
n. 133; conf.: Cons. Stato, sez. IV, 04.01.2018 n. 36; TAR Lombardia,
Brescia, sez. I, 26.09.2019 n. 845; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 02.07.2018 n. 4375).
In definitiva, può ritenersi accertato che l’intervento edificatorio in
questione sia consistito nella realizzazione di una nuova costruzione in
zona agricola e non in una ristrutturazione edilizia nella forma della
ricostruzione di un rudere, poiché la consistenza e la collocazione
cronologica per esso dichiarate dal ricorrente nella d.i.a. del 21.01.2013 e nella successiva integrazione documentale si sono rivelate non
corrette, non essendo sorrette da elementi oggettivi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’antico edificio da
recuperare mediante le speciali facoltà edificatorie consentite dall’art. 4,
comma 1, lett. d), l.reg. n. 21 cit. (TAR Lazio-Latina,
sentenza 27.12.2021 n. 700 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: È stato affermato da autorevole giurisprudenza che vi è
ristrutturazione
edilizia quando “la stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma –in quest’ultimo caso– con ricostruzione, se non fedele (per effetto della
modifica apportata al testo unico dal dlgs 27.12.2002
n. 301), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della
costruzione preesistente”.
In base alla normativa statale
di principio, dunque, un intervento di demolizione e ricostruzione che non
rispetti la sagoma dell’edificio preesistente –intesa quest’ultima come la
conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro
considerato in senso verticale e orizzontale– configura un intervento di
nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia.
Nel caso di specie,
non solo non si interviene su un singolo edificio ma si muta pesantemente la
configurazione planivolumetrica complessiva dell’intera area, quindi si è in
presenza di ristrutturazione urbanistica la quale sussiste allorquando, come
nel caso in esame, l’intervento è “rivolto a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con un altro diverso”.
---------------
Afferma ancora la giurisprudenza che “l’esigenza di un piano di
lottizzazione, quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia,
s’impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato
abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti
e, quindi, anche alla limitata funzione di armonizzare aree già compromesse
ed urbanizzate”.
È stato, altresì, precisato che “il criterio discretivo
tra l’intervento di demolizione e ricostruzione e la nuova costruzione è
costituito proprio, nel primo caso, dall’assenza di variazioni del volume,
dell’altezza o della sagoma dell’edificio, per cui, in assenza di tali
indefettibili e precise condizioni si deve parlare di intervento
equiparabile a nuova costruzione, da assoggettarsi alle regole proprie della
corrispondente attività edilizia. Tali criteri hanno un ancora maggiore
pregio interpretativo a seguito dell’ampliamento della categoria della
demolizione e ricostruzione operata dal d.lgs. n. 301 del 2002 in quanto
proprio perché non vi è più il limite della ‘fedele ricostruzione’ si
richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’edificio
preesistente nel senso che debbono essere presenti gli elementi
fondamentali, in particolare per i volumi, per cui la ristrutturazione
edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova
costruzione, debba conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio
preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio debba riprodurre le
precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi”.
---------------
V - Con il primo motivo del ricorso introduttivo, è contestata
la presunta violazione degli artt. 1 e 4 della L.R. 30.07.2009 n. 14, in
quanto il progetto presentato risulterebbe in deroga rispetto alle
previsioni urbanistiche comunali, come consentito, secondo l’argomentare
della ricorrente, dalle richiamate norme regionali e, pertanto, non
necessitante del preventivo strumento urbanistico attuativo.
Con il terzo motivo del gravame introduttivo, è altresì rilevata la presunta
violazione dell’art. 3, comma 1, lett. f), del T.U. dell’edilizia n.
380/2001. Si tratterebbe, a dire della ricorrente, di un intervento
straordinario di demolizione e ricostruzione da realizzare in deroga “alla
destinazione, agli indici e altri parametri dello strumento di
pianificazione”.
Sennonché, la realizzazione in deroga degli interventi di demolizione e
ricostruzione è ammessa dall’art. 1 della L.R. n. 14/2009 con riferimento
esclusivo agli indici e ai parametri relativi alla volumetria espressa.
Inoltre, l’art. 4 della medesima legge regionale sul “Piano Casa” ammette
interventi di demolizione e ricostruzione di edifici residenziali e non
residenziali, con incremento volumetrico con chiaro riferimento alle ipotesi
di ristrutturazione edilizia, non per la ristrutturazione urbanistica.
Nel
caso di specie, invece, si è in presenza di un complessivo cambio di
destinazione dell’area interessata che da produttiva diviene residenziale-commerciale, con inevitabile aggravio del peso urbanistico a
causa dei nuovi insediamenti abitativi. Inoltre, viene progettato un
edificio destinato ad attività commerciali, vale a dire una media struttura
di vendita. Infine, è posta la necessità di strutturare una nuova viabilità
interna, in relazione alla ridefinizione del layout della zona.
Si tratta, con ogni evidenza, di un insieme di interventi rivolti a
sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con un altro e diverso
disegno della zona, del lotto e della rete stradale interna.
È stato affermato da autorevole giurisprudenza che vi è ristrutturazione
edilizia quando “la stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma –in quest’ultimo caso– con ricostruzione, se non fedele (per effetto della
modifica apportata al testo unico dal decreto legislativo 27.12.2002
n. 301), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della
costruzione preesistente” (cfr.: Cons. Stato, sez. IV, 12.05.2014 n.
2397; id., sez. IV, 30.03.2013, n. 2972).
In base alla normativa statale
di principio, dunque, un intervento di demolizione e ricostruzione che non
rispetti la sagoma dell’edificio preesistente –intesa quest’ultima come la
conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro
considerato in senso verticale e orizzontale– configura un intervento di
nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia.
Nel caso di specie,
non solo non si interviene su un singolo edificio ma si muta pesantemente la
configurazione planivolumetrica complessiva dell’intera area, quindi si è in
presenza di ristrutturazione urbanistica la quale sussiste allorquando, come
nel caso in esame, l’intervento è “rivolto a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con un altro diverso” (cfr.: Cons. Stato, IV sezione,
01.09.2015 n. 4077; idem sez. V, 16.12.2010 n. 8948).
L’espressa convinzione della sussistenza di una ristrutturazione
urbanistica, quindi l’inapplicabilità dell’art. 1 della L.R. n. 9/2014 in
ordine alla deroga, impone il rispetto delle previsioni di cui allo
strumento urbanistico generale, secondo il quale, nella zona B/4, vi è
necessità dello strumento urbanistico attuativo e non può procedersi al
rilascio diretto del permesso.
Afferma ancora la giurisprudenza che “l’esigenza di un piano di
lottizzazione, quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia,
s’impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato
abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti
e, quindi, anche alla limitata funzione di armonizzare aree già compromesse
ed urbanizzate” (cfr.: Cons. Stato, sez. V, 29.02.2012 n. 1177; idem, IV,
13.10.2010 n. 7486).
È stato, altresì, precisato che “il criterio discretivo
tra l’intervento di demolizione e ricostruzione e la nuova costruzione è
costituito proprio, nel primo caso, dall’assenza di variazioni del volume,
dell’altezza o della sagoma dell’edificio, per cui, in assenza di tali
indefettibili e precise condizioni si deve parlare di intervento
equiparabile a nuova costruzione, da assoggettarsi alle regole proprie della
corrispondente attività edilizia. Tali criteri hanno un ancora maggiore
pregio interpretativo a seguito dell’ampliamento della categoria della
demolizione e ricostruzione operata dal d.lgs. n. 301 del 2002 in quanto
proprio perché non vi è più il limite della ‘fedele ricostruzione’ si
richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’edificio
preesistente nel senso che debbono essere presenti gli elementi
fondamentali, in particolare per i volumi, per cui la ristrutturazione
edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova
costruzione, debba conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio
preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio debba riprodurre le
precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 09.08.2018, n. 4880)” (cfr.: Cons. Stato, sez. II,
20.05.2019, n. 3208).
L’intervento edilizio proposto dalla ricorrente e denegato dal Comune
resistente non può considerarsi alla stregua di una mera istanza di
incremento volumetrico, mercé l’utilizzo della L.R. n. 9/2014. L’iniziativa
privata in esame, contiene, difatti, da un lato, la richiesta
dell’incremento volumetrico (soltanto per il quale la legge consente di
procedere in deroga agli strumenti urbanistici locali) ma, al contempo,
ridisegna l’impatto urbanistico dell’area il cui progetto non può che essere
sottoposto alle norme comunali che impediscono il rilascio diretto del
permesso.
Infondate, in conclusione, appaiono la prima e la terza censura riferite
alla violazione della L.R. n. 14/2009 e del T.U. sull’edilizia (TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 28.10.2021 n. 1571 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Come noto, per qualificare l'intervento di ricostruzione di un rudere come
ristrutturazione è necessario e sufficiente che l'originaria consistenza
dell'edificio sia accertabile nei suoi elementi essenziali, con adeguato
grado di sicurezza, sulla base di riscontri documentali od altri elementi
certi e verificabili cioè di organismo edilizio dotato delle mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura.
---------------
5.- Non meritano positiva considerazione nemmeno i motivi di gravame (dal n.
III al n. VIII) di carattere urbanistico-edilizio, con cui i ricorrenti
lamentano in particolare la violazione dell’art. 5.7 del RUE che prevedrebbe
un generale divieto di nuovi allevamenti intensivi nel territorio rurale e
consentirebbe di intervenire solamente sugli allevamenti “esistenti” posto
che, a loro dire, il progetto in questione non avrebbe ad oggetto un
allevamento esistente bensì un rudere.
In ogni caso, a detta dei ricorrenti,
non sarebbe comunque consentito un ampliamento del 20% dell’impianto
preesistente a norma del secondo comma del richiamato art. 5.7. RUE per
essere l’attuale capacità produttiva pari a zero.
5.1. - L’assunto dei ricorrenti, per quanto diffusamente argomentato, muove
da un’erronea lettura delle disposizioni del RUE approvato con delibera del
Consiglio dell’Unione n. 15 del 24.05.2018.
Per quel che qui rileva giova richiamare le seguenti disposizioni:
a) l’art. 5.1. comma 2, del RUE prevede che “Il RUE disciplina,
sulla base della ricognizione effettuata sull’intero territorio rurale
intercomunale, le trasformazioni del patrimonio edilizio esistente privo di
interesse storico architettonico, culturale e testimoniale”;
b) il secondo periodo della stessa norma specifica poi che il
patrimonio esistente è “disciplinato, oltre che dalle presenti Norme, da
quanto indicato negli elaborati R.D. che ne definiscono le specifiche
condizioni di trasformazione”;
c) l’art. 5.3.2. del RUE, rubricato “Interventi di recupero del
patrimonio edilizio esistente”, permette il recupero del patrimonio edilizio
esistente avente, tra le altre, la destinazione d’uso N.1.3b (ovvero,
allevamenti zootecnici intensivi), se “con regolare titolo abilitativo per
la destinazione d’uso in essere alla data di adozione del RUE”.
5.2. - Da tale normativa emerge, che, in via generale, ai fini del RUE, non
è rilevante se i fabbricati appartenenti al patrimonio esistente che deve
essere recuperato siano o meno a quel momento “attivi”, ovvero in grado di
esplicare la propria funzione, ma è sufficiente che questi esistano, che
siano stati oggetto di ricognizione da parte del RUE, anche a mezzo della
Scheda R.D., e che questi abbiano regolare titolo abilitativo per la
specifica destinazione d’uso alla data di adozione del RUE.
L’art. 5.7., che disciplina la fattispecie specifica degli allevamenti
zootecnici intensivi, si limita a muoversi all’interno di tali prescrizioni
di carattere generale, precludendo la realizzazione di nuovi impianti, ma al
contempo permettendo di “recuperare” gli impianti esistenti (concetto del
tutto distinto da “attivi”), attraverso loro ristrutturazione e/o
ampliamento fino al 20%.
Come già evidenziato seppur sommariamente in sede cautelare, la su indicata
disciplina consente in un’evidente ottica di recupero del patrimonio
esistente, il recupero degli impianti appunto “esistenti” da un punto di
vista urbanistico-edilizio e non già “attivi” ovvero in funzione, essendo
verosimile che l’impianto in questione sia stato dismesso se non nel 1983
comunque dalla prima metà degli anni ottanta, essendosi dunque richiesta la
semplice esistenza dei fabbricati in uno con la specifica destinazione
urbanistica.
La scheda RD n. 041-459 (pur impugnata dai ricorrenti) che ai sensi
dell’art. 5.1 del RUE “Ambiti e aree del territorio rurale” disciplina il
patrimonio edilizio ritenuto esistente, conferma -diversamente da quanto
argomentato dai ricorrenti- che l’Amministrazione comunale ha ritenuto
“esistente” il complesso immobiliare di cui si discute (pur definendone
mediocre lo stato di conservazione) con classificazione “N1.3b” ed
esclusione della delocalizzazione.
5.3. - Giova debitamente evidenziare come lo stesso RUE abbia individuato
gli insediamenti da delocalizzare in quanto posti in ambiti caratterizzati
da determinate fragilità (ambiti agricoli periurbani; ambiti compresi entro
una fascia di 500 mt. dal perimetro di territorio urbanizzato e
urbanizzabile; fasce di espansione inondabili), elencandoli appositamente
all’art. 5.10, “Interventi di delocalizzazione e riqualificazione del
comparto zootecnico”, senza farvi rientrare il complesso immobiliare di cui
si discute, a conferma della volontà del pianificatore di consentire il
mantenimento della destinazione ad allevamento zootecnico intensivo e la
ristrutturazione edilizia.
5.4. - Sul punto non può poi negarsi la circostanza fattuale secondo cui i
fabbricati in questione non siano classificabili quali meri ruderi.
Come noto, per qualificare l'intervento di ricostruzione di un rudere come
ristrutturazione è necessario e sufficiente che l'originaria consistenza
dell'edificio sia accertabile nei suoi elementi essenziali, con adeguato
grado di sicurezza, sulla base di riscontri documentali od altri elementi
certi e verificabili (ex multis TAR Lombardia Brescia, sez. I, 06.07.2020, n. 517; Consiglio di Stato, sez. VI,
03.10.2019, n. 6654) cioè di
organismo edilizio dotato delle mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura (ex multis TAR Puglia-Bari sez. III, 09.04.2018, n. 53;
Consiglio di Stato, sez. II, 15.12.2020, n. 8035).
Dalla documentazione anche fotografia depositata in giudizio si evince che i
fabbricati facenti parte dell’allevamento “esistente” presentano ancora le
pareti perimetrali in muratura (o lo scheletro) mentre alcuni presentano la
stessa copertura o quantomeno lo scheletro originariamente in eternit, si da
poterne ricostruire l’ingombro planivolumetrico e l’originaria consistenza.
5.5. - In definitiva deve dunque affermarsi che i fabbricati facente parte
dell’allevamento dismesso nella prima metà degli anni ottanta sono
“esistenti” ai sensi del RUE, delle schede RD ai sensi del RUE stesso e
della destinazione d’uso impressa sui titoli edilizi.
5.6. - In secondo luogo quanto in particolare al IV motivo di gravame, in
linea con quanto previsto dagli artt. 11 e 79 del PTCP, l’art. 5.7. secondo
comma del RUE consente quanto agli allevamenti zootecnici “esistenti”
l’ampliamento fino al 20% della “capacità produttiva esistente”,
ampliamento utilizzato nel progetto autorizzato.
Parte ricorrente quale prova della capacità produttiva esistente allega
denuncia delle variazioni nello stato e nelle rendite dei terreni presentata
il 21.09.1990 dal titolare pro tempore dell’allevamento avicolo, in
cui si dichiara una capacità produttiva di soli 55.000 animali l’anno,
nonché dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del custode (sino al
1982) del preesistente allevamento.
Va anzitutto evidenziata l’irrilevanza di tal ultima dichiarazione essendo
le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà -per giurisprudenza
consolidata- non utilizzabili nel processo amministrativo, potendo
costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e
concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l'attività istruttoria
dell'amministrazione (ex plurimis Consiglio di Stato sez. II, 05.02.2021, n. 1109). Non rilevante appare invero la stessa denuncia delle
variazioni nello stato e nelle rendite dei terreni presentata il 21.09.1990, trattandosi di denuncia esclusivamente a fini fiscali (art.
32, c. 2, lett. b, T.U.I.R.).
Appare invece ad avviso del Collegio necessaria sia per le argomentazioni
sopra esposte (punti 5.2 - 5.5.) che per l’obiettiva difficoltà del calcolo
dell’originaria capacità produttiva, una interpretazione logico funzionale
dell’art. 5.7. secondo comma del RUE che colleghi il concetto “capacità
produttiva esistente” alla potenzialità di produzione desumibile dalla
superficie utile allevabile ovvero dalla superficie destinata
specificatamente alla produzione.
Pure in questo caso, ad avviso del Collegio, è comunque dirimente il dato
dell’esistenza dell’allevamento intesa come complesso immobiliare e non come
attività, con la conseguenza che il computo della capacità produttiva
concretamente effettuato, seppur “virtuale” e non analitico, era di fatto
l’unico plausibile, essendo peraltro la superficie di allevamento un dato
certo ed immodificabile nel tempo, certificato nella stessa SCIA del 15.12.2014 presentata al Comune di San Mauro Pascoli avente ad oggetto i
lavori di manutenzione straordinaria di rimozione della copertura dei
capannoni in eternit.
5.7. - Inoltre, è altresì infondato l’assunto dei ricorrenti secondo cui il
complesso edilizio in questione avrebbe perso nel tempo la propria
destinazione d’uso, rilevando unicamente ex art. 10-bis L.R. n. 15/2013 la
destinazione prevista dai titoli edilizi conformemente alla disciplina
urbanistica, nel caso di specie incontrovertibilmente ad allevamento
zootecnico intensivo.
5.8. - Sono dunque infondati il terzo, quarto, quinto ed ottavo motivo del
ricorso
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
I,
sentenza 18.08.2021 n. 756 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
conformità al consolidato (e condiviso) orientamento della giurisprudenza,
si deve ritenere che gli interventi ricostruttivi,
sussumibili nel novero della ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. d), D.p.r. n. 380/2001 (in esito alle novità apportate con d.l. n.
69/2013, convertito dalla l. n. 98/2013), presuppongono “un minimo di
preesistenza edificata, ossia un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura.
Il concetto di costruzione esistente presuppone
la possibilità di individuazione della stessa come identità strutturale, in
modo da farla giudicare presente nella realtà materiale quale specifica
entità urbanistico-edilizia esistente nella attualità, sicché l’intervento
edificatorio sulla stessa non rileva quale trasformazione urbanistico-edilizia del territorio in termini di nuova costruzione. Deve,
cioè, trattarsi di un manufatto che, a prescindere dalla circostanza che sia
abitato o abitabile, possa essere comunque individuato nei suoi connotati
essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua
destinazione.
---------------
Ad avviso del Collegio nella fattispecie difetta il presupposto oggettivo
di applicazione dell’art. 7, co. 8-bis l.r. Campania n. 19/2009, come novellata
con l.r. n. 5/2011, conformemente a quanto ritenuto, sul punto,
dall’estensore del provvedimento impugnato.
In base a tale disposizione, “è consentito il recupero edilizio soltanto
agli aventi titolo alla data di entrata in vigore della presente legge, in
deroga agli strumenti urbanistici vigenti, mediante intervento di
ricostruzione in sito, di edifici diruti e ruderi, purché…”.
Ora, in conformità al consolidato (e condiviso) orientamento della
giurisprudenza, si deve ritenere che gli interventi ricostruttivi,
sussumibili nel novero della ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. d), D.p.r. n. 380/2001 (in esito alle novità apportate con d.l. n.
69/2013, convertito dalla l. n. 98/2013), presuppongono “un minimo di
preesistenza edificata, ossia un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura (Cons. Stato, sez. II, n.
8035 del 15.12.2020). Il concetto di costruzione esistente presuppone
la possibilità di individuazione della stessa come identità strutturale, in
modo da farla giudicare presente nella realtà materiale quale specifica
entità urbanistico-edilizia esistente nella attualità, sicché l’intervento
edificatorio sulla stessa non rileva quale trasformazione urbanistico-edilizia del territorio in termini di nuova costruzione. Deve,
cioè, trattarsi di un manufatto che, a prescindere dalla circostanza che sia
abitato o abitabile, possa essere comunque individuato nei suoi connotati
essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua
destinazione” (da Consiglio di Stato, 26.12.2020, n. 8337; cfr. Cons. Stato,
10.02.2004, n. 475 e 15.03.1990, n. 293; più di recente, sez. II,
24.10.2020, n. 6455).
Nella fattispecie, il manufatto indicato nell’atto d’acquisto (come anche
nei registri catastali) non si presenta all’attualità nello stato di rudere,
bensì in quello di rovine, trattandosi di meri “resti di mura” (cfr., sulla
distinzione fra ruderi e rovine, Consiglio di Stato,
10.02.2004, n. 475; conf.,
Tar Bolzano,
07.03.2006, n. 97). Dal corredo fotografico allegato alla perizia
di parte, versata in atti il 17.03.2014, si evince infatti che, allo stato,
non è presente null’altro che uno spigolo/porzione di un muro.
La mancanza del presupposto oggettivo di applicazione richiesto dall’art. 7,
co. 8-bis, l.r. Campania n. 19/2009 determina la legittimità del provvedimento
impugnato, anche in relazione al motivo di ricorso sub 3.4, posto che tale
ragione è stata ritualmente esposta nella comunicazione ex art. 10-bis l. n. 241/1990,
consentendo altresì l’assorbimento degli ulteriori profili dedotti dalla
p.a. e censurati dai ricorrenti (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 04.08.2021 n. 1881 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Affinché
si possa configurare un intervento di ristrutturazione edilizia –che oggi (a seguito delle modifiche all'art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. 380/2001 apportate dal d.l. 69/2013, conv. con
l. 98/2013), ricomprende anche l’attività di ripristino di edifici, o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione– è
necessario che sia possibile accertare l’originaria consistenza del
manufatto edilizio, con il corollario che deve essere esclusa in radice la riconducibilità dell’attività di ricostruzione di un rudere nell’alveo della
ristrutturazione edilizia “nel caso in cui manchino elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare:
in particolare, un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura
perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della
muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non
può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente”.
Nel caso di specie, il ricorrente non ha assolto all’onere probatorio che grava
su colui debba dimostrare la preesistente consistenza del fabbricato andato
distrutto o demolito, tenuto conto che, secondo la giurisprudenza, “...gli
interventi sul patrimonio edilizio esistente presuppongono necessariamente
un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura ovvero la possibilità di individuare l’edificio preesistente nella
sua identità strutturale, quale specifica entità urbanistico-edilizia
esistente nella attualità; declinandosi altrimenti l’intervento come volto a
realizzare una nuova costruzione e non la ricostruzione di un precedente
immobile”.
---------------
Il succitato provvedimento negativo si sottrae a tutte le
censure mosse dal ricorrente.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale consolidato, condiviso dal Collegio,
affinché si possa configurare un intervento di ristrutturazione edilizia –che oggi (a seguito delle modifiche all'art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. 380/2001 apportate dal d.l. 69/2013, conv. con
l. 98/2013), ricomprende anche l’attività di ripristino di edifici, o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione– è
necessario che sia possibile accertare l’originaria consistenza del
manufatto edilizio, con il corollario che deve essere esclusa in radice la riconducibilità dell’attività di ricostruzione di un rudere nell’alveo della
ristrutturazione edilizia “nel caso in cui manchino elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare:
in particolare, un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura
perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della
muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non
può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente” (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 17.09.2019, n. 6188; Id. 21.10.2014, n. 5174;
Consiglio di Stato, I Sezione, parere del 27.05.2020 n. 1095).
Il provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione, al caso di
specie, dei suesposti principi.
Le fonti storiche allegate dal ricorrente alla domanda di premesso di
costruire (fotografie che raffigurano l’immobile ad una certa distanza;
pianta catastale; articoli di giornale e una sentenza che ricostruiscono il
fatto di sangue avvenuto in prossimità del fabbricato nel 1926;
dichiarazioni di terzi che confermano l’esistenza del predetto fabbricato)
non offrono sicuri elementi per ricostruire con un sufficiente grado di
attendibilità i parametri edilizi fondamentali dell’edificio diruto, ormai
da circa novant’anni.
Dall’istruttoria svolta, e in particolare dagli esiti del sopralluogo svolto
dai tecnici comunali il 18.05.02018, documentando fotograficamente lo
stato dei luoghi, è emersa l’impossibilità di ricostruire con certezza la
consistenza originaria del fabbricato crollato sin dagli anni ’30 del secolo
scorso (nella relazione di sopralluogo di legge, in particolare, che “...1)
Non ci sono tracce planimetriche dell'esistenza del vecchio edificio
riportato nelle due foto storiche prodotte dal sig. Re.Gi., per
la pratica edilizia tendente a chiederne la ricostruzione in sito.
- Sono
accertabili sassi per lo più derivanti dal generale dissesto e crollo delle
vecchie "marogne" presenti in sito e che delimitano le balze in pendio.
- Ci
sono tre spezzoni dì stipiti di porta o di finestra, con cardini, ma al
riguardo non si ha la certezza che effettivamente siano appartenuti al
fabbricato in questione.
- Alcune pietre paiono essere state in qualche
maniera sistemate in fila, e mancano gli angolari murari che il tecnico
geom. Ca. ha rappresentato sui suoi disegni nello stato di fatto.
- Non
c'è nessun elemento che consenta di verificare le dimensioni planimetriche
di quella che si vorrebbe essere una precedente costruzione nel punto
individuato dalla mappa catastale.
- Non sono verificabili le dimensioni del
fabbricato riportate nella mappa catastale mancando ogni elemento
verificabile...”).
L’impossibilità di ricostruire con un sufficiente grado di attendibilità la
preesistente consistenza dell’immobile crollato ormai da circa novant’anni è
desumibile anche dal fatto che nelle tre richieste di titolo edilizio
presente dal ricorrente, dal 2016 al 2020, egli ha prospettato tre diversi
dimensionamenti del fabbricato originario:
- nella pratica edilizia n. 194/2016 le dimensioni dell’immobile sono state
calcolate in: lunghezza 10 metri, larghezza 5 metri ed altezza
matematicamente calcolata in 5,57 metri;
- nella pratica edilizia n. 230/2017, le dimensioni che precedono sono state
dapprima confermate e poi modificate con progetto (appena abbozzato)
allegato alla nota del 31.05.2018, che prevedeva una base di 9,80 x 4,10
metri ed un’altezza calcolata di 4,51 metri;
- nella pratica edilizia n. 22/2020, oggetto dell’impugnativa all’esame, la
base dell’edificio è stata individuata in 10,00/10.02 x 5,10/5,15 metri, con
altezza calcolata di 5,74 metri.
Il ricorrente non ha, in definitiva, assolto all’onere probatorio che grava
su colui debba dimostrare la preesistente consistenza del fabbricato andato
distrutto o demolito, tenuto conto che, secondo la giurisprudenza, “...gli
interventi sul patrimonio edilizio esistente presuppongono necessariamente
un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura ovvero la possibilità di individuare l’edificio preesistente nella
sua identità strutturale, quale specifica entità urbanistico-edilizia
esistente nella attualità; declinandosi altrimenti l’intervento come volto a
realizzare una nuova costruzione e non la ricostruzione di un precedente
immobile” (Cons. Stato Sez. II, 24.10.2020, n. 6455).
A ciò si aggiunga che, secondo quanto risulta dagli atti, i luoghi sono
stati modificati, attraverso la perimetrazione della base del presunto
edificio, mediante il collocamento di sassi e pietre varie, rendendo viepiù
impossibile approfondire e verificare ulteriormente l’originario stato dei
luoghi.
L’obiettiva impossibilità di verificare la consistenza dell’immobile diruto,
accertata nel corso del sopralluogo del maggio 2018, giustifica il
superamento delle valutazioni operate dal Comune, previo parere favorevole
vincolante della Soprintendenza. nelle precedenti autorizzazioni
paesaggistiche rilasciate sulla base di una ricostruzione dell’effettiva
consistenza dell’immobile diruto che si sono rivelate difformi rispetto alla
realtà accertata sul luogo dai tecnici comunali.
Del resto, si osserva che l’autorizzazione paesaggistica, pur essendo un
provvedimento prodromico al rilascio del titolo edilizio, non esaurisce
l’ambito d’indagine necessario ad assentire l’intervento, che dal punto di
vista edilizio deve essere scrutinato secondo le coordinate desumibili
dall’articolo 3, comma 1, lett. d), del T.U. Edilizia e dai principi
elaborati dalla giurisprudenza formatasi in materia.
Nel caso in esame, dagli atti di causa, si evince che l’intervento non
presentava criticità sotto il profilo della compatibilità con la tutela
paesaggistica, ma, come correttamente rilevato dal Comune, non poteva essere
qualificato come ristrutturazione edilizia, attesa l’impossibilità di
stabilire con un sufficiente grado di certezza i parametri edilizi
fondamentali dell’edificio diruto da circa novant’anni, presupposto
essenziale ai fini della qualificazione dell’intervento come
ristrutturazione edilizia.
Il provvedimento impugnato è immune dalle censure dedotte anche laddove ha
riscontrato la mancanza dei requisiti previsti dall’articolo 12 del DPR n.
380/2001 per il rilascio del permesso di costruire, in relazione alle opere
di urbanizzazione primaria concernenti la sistemazione della strada comunale
denominata “strada comunale di Mirabello”.
La documentazione prodotta dal ricorrente è stata, infatti, ritenuta dal
Comune inidonea rispetto all’obiettivo di realizzare una strada percorribile
in sicurezza per raggiungere l’abitazione oggetto d’intervento, con
valutazione che il Collegio reputa sorretta da adeguata istruttoria, non
affetta da travisamento del fatto né altrimenti illegittima.
Per tutto quanto sin qui esposto, il ricorso deve essere respinto (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 09.07.2021 n.
910 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Per
univa giurisprudenza, l’onere della prova dell’epoca di realizzazione di
un’opera edilizia incombe sul privato a ciò interessato, unico soggetto ad
essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di
dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto.
Tale prova non è stata fornita dall’interessato non potendosi a tal fine
ritenere sufficiente le risalenti risultanze catastali in quanto tali dati
non costituiscono fonte di prova certa sulla situazione di fatto esistente
sul piano immobiliare, rappresentando l’accatastamento un adempimento di
tipo fiscale-tributario, che fa stato ad altri fini, senza assurgere a
strumento idoneo —al di là di un mero valore indiziario— per evidenziare la
reale consistenza degli immobili interessati e la relativa conformità alla
disciplina urbanistico-edilizia. Parte ricorrente non ha, invero, fornito
alcun elemento a comprova della legittima edificazione della preesistenza.
Come chiarito anche dal Giudice d’Appello, deve escludersi che la
ricostruzione di un rudere sia riconducibile nell’alveo della
ristrutturazione edilizia nel caso in cui manchino elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare.
In mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare la
consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che
considerarsi alla stregua di un’area non edificata.
L’impossibilità di apprezzare la consistenza del manufatto preesistente
determina in radice l’esclusione della configurabilità di un intervento di
“ristrutturazione edilizia”, venendo in rilievo un intervento di nuova
costruzione.
---------------
3. La domanda di sanatoria ordinaria ha, infatti, ad oggetto
un intervento di ristrutturazione di un manufatto composto dal solo piano
terra avente la consistenza di circa 40 mq., con contestuale richiesta di
compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 42 del
2004.
3.1. Le deduzioni di parte ricorrente muovono dalla preesistenza del
manufatto, originariamente di maggiore consistenza ma in gran parte
diroccato, che sarebbe asseritamente stato sottoposto ad un mero intervento
di recupero.
3.2. Come emerge dalla documentazione versata in atti e, segnatamente, dal
provvedimento gravato, l’amministrazione ha rigettato la domanda di
sanatoria ordinaria in considerazione dell’assenza di evidenze a comprova
sia della legittimità della preesistenza asserita sia della effettiva
pregressa edificazione dell’immobile, tenuto conto, in specie, dei rilievi
aerofotogrammetrici esaminati nell’ambito dell’istruttoria svolta, tali da
evidenziare l’avvenuta edificazione del manufatto nel periodo intercorrente
tra l’11.08.2014 ed il 03.11.2015.
3.3. Per univa giurisprudenza (il che esime da citazioni specifiche) l’onere
della prova dell’epoca di realizzazione di un’opera edilizia incombe sul
privato a ciò interessato, unico soggetto ad essere nella disponibilità di
documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole
certezza l'epoca di realizzazione del manufatto.
3.4. Tale prova non è stata fornita dall’interessato non potendosi a tal
fine ritenere sufficiente le risalenti risultanze catastali in quanto tali
dati non costituiscono fonte di prova certa sulla situazione di fatto
esistente sul piano immobiliare, rappresentando l’accatastamento un
adempimento di tipo fiscale-tributario, che fa stato ad altri fini, senza
assurgere a strumento idoneo —al di là di un mero valore indiziario— per
evidenziare la reale consistenza degli immobili interessati e la relativa
conformità alla disciplina urbanistico-edilizia (cfr., ex multis, Consiglio
di Stato sez. VI, 09/02/2015, n. 631). Parte ricorrente non ha, invero,
fornito alcun elemento a comprova della legittima edificazione della
preesistenza.
3.5. Contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, inoltre,
l’istruttoria svolta dall’amministrazione, adeguatamente approfondita, ha
fatto emergere che il manufatto oggetto della domanda di sanatoria non
risulta dai rilievi aerofotogrammetrici esaminati, circostanza, questa, che,
oltre ad ulteriormente evidenziare l’inadeguatezza delle allegazioni
probatorie di parte del ricorrente consente di rilevare un ulteriore
rilevante profilo.
3.6. Come chiarito anche dal Giudice d’Appello, deve escludersi che la
ricostruzione di un rudere sia riconducibile nell’alveo della
ristrutturazione edilizia nel caso in cui manchino elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare
(cfr., ex multis, Cons. St., 17.09.2019, n. 6188). In mancanza di
elementi strutturali non è infatti possibile valutare la consistenza
dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alla
stregua di un’area non edificata (Cons. St., sez. V, sentenza n. 1025 del 15.03.2016).
3.7. L’impossibilità di apprezzare la consistenza del manufatto preesistente
determina in radice l’esclusione della configurabilità di un intervento di
“ristrutturazione edilizia”, venendo in rilievo un intervento di nuova
costruzione (TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 14.06.2021 n. 4047 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo condivisa giurisprudenza:
- <<Rientrano nella definizione di
"ristrutturazione edilizia" le opere di demolizione e di fedele ed originale
ricostruzione della parte in muratura d'un preesistente edificio pericolante
o di compromessa stabilità, le quali, per questa stessa loro natura, non
implicano alcun impatto negativo sull'interesse paesaggistico della zona -consistendo quest'ultimo nella tutela e nella conservazione dell'aspetto
esteriore dei luoghi, con specifico riferimento alla conservazione dei
caratteristici tipi edilizi esistenti-, né di conseguenza determinano la
violazione dell'autorizzazione resa dall'autorità>>; ed, ancora,
- <<Per qualificare l'intervento di
ricostruzione di un rudere come ristrutturazione, è necessario e sufficiente
che l'originaria consistenza dell'edificio sia accertabile nei suoi elementi
essenziali, con adeguato grado di sicurezza, sulla base di riscontri
documentali od altri elementi certi e verificabili>>.
Secondo quanto rilevato in tale sentenza alla luce della modifica
legislativa dell'art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001,
intervenuta ad opera dell'art. 30 del d.l. n. 69 del 2013, conv. in l. n.
98 del 2013, può ritenersi ormai superato l'orientamento giurisprudenziale
maturato nel vigore del testo originario del citato articolo, che riteneva
necessaria, ai fini della qualificazione dell'intervento come
ristrutturazione edilizia, la preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare, ossia di un organismo edilizio dotato di alcune componenti
essenziali, quali murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura.
La novella legislativa ha difatti esteso l'ambito della ristrutturazione
alle ipotesi di ricostruzione di edifici, anche ridotti a rudere, dei quali
sia possibile risalire ad una consistenza iniziale. La giurisprudenza
richiede poi che la consistenza iniziale debba essere dimostrata tanto sotto
il profilo dell'an (ossia che un certo immobile sia esistito) tanto sotto il
profilo del quantum, inteso come destinazione d'uso ed ingombro
planivolumetrico complessivo del fabbricato crollato.
La sentenza in esame ammette
la possibilità che la prova della esatta consistenza originaria, in assenza
di elementi strutturali idonei, possa essere raggiunta anche attraverso
riscontri documentali od altri elementi certi e verificabili..
---------------
Quanto sopra rilevato potrebbe valere nel caso in cui si intendesse offrire
una dimostrazione che le opere contestate sono state realizzate in un arco
temporale in cui non si richiedeva alcun titolo abilitativo edilizio ovvero
il titolo era stato, all’epoca, rilasciato e le opere successive siano mero
recupero e ripristino di volumi e superfici a lui legittimamente edificati.
Ma non sembra ciò essere avvenuto nel caso in esame.
Al riguardo con ordinanza n. 707 del 16.05.2017 questa sezione riteneva
l’istanza cautelare meritevole di accoglimento ai fini del riesame da parte
dell’Amministrazione comunale, alla luce delle circostanze allegate e della
documentazione depositata dal ricorrente, al tempo stesso onerando la
predetta Amministrazione di depositare agli atti della causa l’esito
dell’istruttoria e di tutta la documentazione ritenuta utile in esito al
riesame.
In ottemperanza alla predetta ordinanza, il Comune procedente ha depositato
una articolata relazione istruttoria resa dal Settore Pianificazione
Urbanistica del Comune di Ercolano prot. n. 30181 del 05/06/2017, con relativi
allegati tecnico-giuridici, costituiti da pertinente documentazione
fotografica descrittiva dello stato attuale dello immobile, nonché da
rilievi catastali relativi allo stato originario dello stesso cespite, in
uno allo stralcio della normativa urbanistica e paesaggistica vigente e
riconducibile alla zona interessata dalle contestate opere edilizie.
Ciò ha condotto la Sezione, con successiva ordinanza n. 1865 del 29.11.2017, a respingere l’istanza cautelare dopo aver considerato che: <<alla
luce della documentazione depositata dall’amministrazione comunale in esito
all’ordinanza n. 707/2017, ….. emerge che il manufatto oggetto di
contestazione, sia per diverso posizionamento -in quanto occupante una
parte dell’originaria area di sedime del fabbricato esistente al 1940 e
riportata nella relativa scheda di accatastamento- sia per le modalità
costruttive e la tipologia di materiale utilizzato e riscontrato sui luoghi
(realizzazione di opere in cemento armato), appare costituire non un mero
ampliamento del manufatto originario, bensì un edificio difforme ed eseguito
ex novo rispetto al comodo rurale preesistente sul terreno di cui alla p.lla
421 ex 19>>.
Approfondendo la predetta Relazione istruttoria si apprende che in sede di
sopralluogo, effettuato in data 03.02.2017, come da documentazione
fotografica allegata “si riscontrano lavori in corso per la realizzazione ex
novo di un manufatto allo stato grezzo, con struttura portante in c.a.
(travi di fondazioni, pilastri e solai di copertura, quest'ultimi in parte
già realizzati ed in parte con sola orditura di putrelle), muratura esterna
di tompagno e divisori interni, nel mentre non risultano visibili strutture
inerenti un vecchio manufatto”.
In merito alla preesistenza di un manufatto risalente al 1940, da ricerche
di Ufficio si è evidenziato che catastalmente nell'area in argomento è
riportato un fabbricato rurale di mq. 40, individuato nel NCT al fg. 14 del
Comune di Ercolano, particella n. 421, ex n 19 all'impianto meccanografico
del 12.02.1985 (allegati nn. 3 e 4).
Il manufatto, riscontrato in sede di sopralluogo, di forma rettangolare,
occupa tutta l'area posta in fondo al giardino, anche quella a confine con
l'ex Bosco Reale ove è posizionato il manufatto riportato nel mappale
catastale. Le modalità di costruzione del nuovo manufatto, che è realizzato
anche sull'area di sedime del manufatto riportato in catasto, non possono
considerarsi un ampliamento del vecchio manufatto e ciò per tipologia di
materiali (muri in c.a., struttura in c.a.) e soprattutto per la presenza di
travi di fondazioni in c.a., la cui realizzazione ha dovuto comportare di
fatto la demolizione di quanto preesistente e quindi dal punto di vista
urbanistico l'intervento consistite nella demolizione di un manufatto
preesistente e la costruzione di un nuovo e diverso manufatto (per
dimensioni, per tipologia di materiali).
Inoltre a pag. 5 del ricorso si afferma: "Verso la prima metà del mese di
gennaio 2017, a seguito delle avverse condizioni metereologiche verificatesi
durante i mesi di dicembre 2016 e gennaio 2017, (all. 7 della CTP) nonché
all'avanzato stato di degrado in cui versavano gli immobili riportati nella
scheda di accatastamento n. 10304079 del 10.02.1940, (documentazione
fotografica all. 7 CTP) i solai degli stessi collassarono, creando così il
crollo di gran parte delle murature perimetrali; successivamente al crollo
parziale degli immobili sopra descritti, il sig. Ve., intervenne —in
assenza di nessun titolo abilitativo—per rimuovere le parti ancora
pericolanti e ricostruire il tutto.", confermando di fatto quanto già detto
in precedenza.
Si comprende, allora la ragione per la quale –contrariamente a quanto
dedotto dal ricorrente che fa riferimento a preesistenze del manufatto- nel
provvedimento impugnato si rileva che “le opere abusive in parola
costituiscono costruzione ex novo che quindi anche esse ricadono negli
interventi di “nuova costruzione” di cui all'art. 10, comma I, lett. a), del d.P.R. n. 380/2001, per il quale si richiede il permesso di costruire".
Nel caso in cui si voglia tener conto del solo manufatto esistente (che si
ribadisce essere una demolizione e ricostruzione) -prosegue la Relazione-
l'intervento effettuato su di esso rientra nella tipologia degli "interventi
di ristrutturazione edilizia", giusta articolo 3, comma 1, lett. d), del
D.P.R. n. 380/2001 (allegato n. 5) che così recita: "interventi di
ristrutturazione edilizia, gli interventi rivolti a trasformare gli
organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono
portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella
demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente,
fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché
sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con
riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni, gli
interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di
edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione
edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio
preesistente".
Secondo condivisa giurisprudenza: <<Rientrano nella definizione di
"ristrutturazione edilizia" le opere di demolizione e di fedele ed originale
ricostruzione della parte in muratura d'un preesistente edificio pericolante
o di compromessa stabilità, le quali, per questa stessa loro natura, non
implicano alcun impatto negativo sull'interesse paesaggistico della zona -consistendo quest'ultimo nella tutela e nella conservazione dell'aspetto
esteriore dei luoghi, con specifico riferimento alla conservazione dei
caratteristici tipi edilizi esistenti-, né di conseguenza determinano la
violazione dell'autorizzazione resa dall'autorità>> (Consiglio di Stato sez.
V, 15/01/1997, n. 45); ed, ancora, <<Per qualificare l'intervento di
ricostruzione di un rudere come ristrutturazione, è necessario e sufficiente
che l'originaria consistenza dell'edificio sia accertabile nei suoi elementi
essenziali, con adeguato grado di sicurezza, sulla base di riscontri
documentali od altri elementi certi e verificabili>> (TAR Brescia,
(Lombardia) sez. I, 06/07/2020, n. 517).
Secondo quanto rilevato in tale sentenza alla luce della modifica
legislativa dell'art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001,
intervenuta ad opera dell'art. 30 del d.l. n. 69 del 2013, conv. in l. n.
98 del 2013, può ritenersi ormai superato l'orientamento giurisprudenziale
maturato nel vigore del testo originario del citato articolo, che riteneva
necessaria, ai fini della qualificazione dell'intervento come
ristrutturazione edilizia, la preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare, ossia di un organismo edilizio dotato di alcune componenti
essenziali, quali murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura.
La novella legislativa ha difatti esteso l'ambito della ristrutturazione
alle ipotesi di ricostruzione di edifici, anche ridotti a rudere, dei quali
sia possibile risalire ad una consistenza iniziale. La giurisprudenza
richiede poi che la consistenza iniziale debba essere dimostrata tanto sotto
il profilo dell'an (ossia che un certo immobile sia esistito) tanto sotto il
profilo del quantum, inteso come destinazione d'uso ed ingombro
planivolumetrico complessivo del fabbricato crollato.
La sentenza in esame ammette la possibilità che la prova della esatta
consistenza originaria, in assenza di elementi strutturali idonei, possa
essere raggiunta anche attraverso riscontri documentali od altri elementi
certi e verificabili. Ne consegue che il Comune resistente ha correttamente
applicato le disposizioni del Testo Unico sull’edilizia e il provvedimento
impugnato, diversamente da quanto dedotto, non necessitava di alcuna
motivazione ulteriore, anche in virtù del fatto che gli abusi accertati
ricadono in territorio soggetto a vincoli paesaggistici.
Sotto il profilo più strettamente paesaggistico, mette conto evidenziare
come l’impugnato provvedimento è stato emanato, dopo aver considerato che
l'intero territorio comunale di Ercolano, inoltre, è soggetto ai vincoli del
vigente P.R.G., approvato con D.P.R. Campania n. 2376 del 14.05.1975,
pubblicato sulla G.U. n. 177 del 1975, e del Piano Territoriale Paesistico
dei Comuni Vesuviani, approvato con D.M. BB.AA.CC. del 04.07.2002,
pubblicato sulla G.U. del 18.09.2002, serie generale n. 219.
L'immobile in argomento ricade nel vigente P.R.G. in zona omogenea
"Intensiva esistente" e nel
P.T.P. Comuni Vesuviani in zona "P.I. — Protezione Integrale".
A tal proposito, proprio in relazione alle prescrizioni imposte dal citato
PTP dei Comuni Vesuviani, va ribadito che l’area su cui ricadono le opere
realizzate dal ricorrente, oltre che essere ricompresa nella zonizzazione "P.I. Protezione Integrale”, è, altresì, disciplinata dall’ art. 7, 6° comma,
delle Norme Tecniche di Attuazione del predetto Piano paesistico, secondo
cui “... la ristrutturazione edilizia, con riferimento all’ art. 31, lett. d),
457/1978, (trasposto nell’ art. 3, 1° comma, DPR 380/2001), dovrà ammettersi
soltanto per gli edifici di recente impianto (realizzazione dopo il 1945),
con l’esclusione degli edifici di valore storico-artistico ed ambientale
paesistico nonché di quelli di cui ai punti 2 e 3 dell’art. 1 L. n. 1497/1939”
(cfr. art. 7, 6° comma, delle NTA del PTP dei Comuni Vesuviani, così come
testualmente richiamato alla pag. 2, penultimo capoverso della allegata
Relazione istruttoria comunale del 05/06/2017).
Sicché, come puntualmente rappresentato e dedotto nella richiamata Relazione
istruttoria comunale, tenuto conto della circostanza secondo cui, come
rilevabile dalla scheda di accatastamento n. 10304079 del 10/02/1940,
l’edificio preesistente, ricadente in proprietà Ve., è stato costruito
in periodo antecedente al 1940, consegue evidente la non autorizzabilità
delle contestate opere di ristrutturazione edilizie, in quanto aventi ad
oggetto un fabbricato realizzato antecedentemente all’anno 1945 e, dunque,
non assoggettabile, sotto il profilo paesaggistico, ai predetti interventi
di demolizione con ricostruzione.
Infine, secondo giurisprudenza condivisa, stante l’effettivo impatto che le
opere edilizie realizzate ingenerano sul bene tutelato, a legittimare
l’ordine di riduzione in pristino dello stato dei luoghi è sufficiente la
realizzazione di interventi di “nuova costruzione”, realizzati in totale
assenza del titolo abilitativo edilizio in zona peraltro assoggettata a
vincoli paesaggistici ed al D.L.vo 42/2004 e s.m. ed i., richiamato nelle
premesse dell'ordine demolitorio (cfr. TAR Roma, sez. I, 04/05/2016, n.
5114) (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 26.04.2021 n. 2730 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nelle
controversie in materia edilizia, soggette alla giurisdizione del giudice
amministrativo, i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione
dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei
ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie e mappe catastali, tanto che la prova
per testimoni è del tutto residuale.
---------------
... per l’annullamento dell’ordinanza urbanistica n. 1, prot. n. 813, del
09.03.2011, notificata il 02.04.2011, con cui è stato ingiunto ai ricorrenti
di ripristinare lo stato dei luoghi, in relazione all’avvenuta realizzazione
di una pista sterrata lunga circa m. 300 e larga circa m. 2,40, con scarpate
dell’altezza variabile tra m 0,2 e m 1,00, giacente sui terreni distinti in
catasto al foglio n. 11, mappali nn. 179, 404, 96, 403, 223, 405, 371 e 95,
tutti sottoposti a tutela idrogeologica e paesaggistica.
...
Considerato che nelle controversie in materia edilizia, soggette
alla giurisdizione del giudice amministrativo, i principi di prova oggettivi
concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel
tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie e mappe
catastali, tanto che la prova per testimoni è del tutto residuale (Cons.
Stato, sez. IV, 09.02.2016 n. 511; TAR Lazio, Latina, sez. I, 13.07.2020 n.
271; TAR Piemonte, sez. II, 27.03.2013 n. 390; TAR Umbria, sez. I,
02.11.2011 n. 354);
Ritenuto che, pertanto, la richiesta istruttoria in argomento non
sia utilmente valutabile, poiché non è possibile provare per testi fatti che
si pongano in contrasto con le risultanze oggettive poste dalla p.a. a
fondamento del provvedimento impugnato e segnatamente con gli esiti degli
accertamenti svolti in luogo da personale del Corpo forestale dello Stato e
dell’Amministrazione civica resistente, che in data 19.01.2011 hanno
appurato, tra l’altro, che “i lavori sono di recente realizzazione in
quanto il terreno delle scarpate non si è ancora inerbito e la terra sembra
essere stata movimentata da poco tempo”, dunque circostanze
incompatibili con la ricostruzione di un semplice intervento manutentivo che
i ricorrenti vorrebbero comprovare per testimoni (TAR
Lazio-Latina,
sentenza 30.03.2021 n. 207 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, nel testo
vigente ratione temporis, disponeva che tra gli
“interventi di ristrutturazione edilizia” erano ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e ricostruzione, con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie
per l’adeguamento alla normativa antisismica.
In ordine all’interpretazione di tale norma è più volte intervenuta la
giurisprudenza amministrativa, la quale ha chiarito che il concetto di
ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare, ossia di un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura, con la conseguenza che la
ricostruzione su ruderi o su un edificio che risulta da tempo demolito,
anche se soltanto in parte, costituisce a tutti gli effetti una nuova opera,
che, come tale, è soggetta alle comuni regole edilizie e paesaggistiche
vigenti al momento della riedificazione.
---------------
Il ricorso, che ha ad oggetto un diniego di sanatoria per la
ricostruzione di un rudere ubicato in zona agricola, va rigettato.
Invero, l’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, nel testo
vigente ratione temporis, disponeva, per quanto d’interesse, che tra gli
“interventi di ristrutturazione edilizia” erano ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e ricostruzione, con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie
per l’adeguamento alla normativa antisismica.
In ordine all’interpretazione di tale norma è più volte intervenuta la
giurisprudenza amministrativa, la quale ha chiarito che il concetto di
ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare, ossia di un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura, con la conseguenza che la
ricostruzione su ruderi o su un edificio che risulta da tempo demolito,
anche se soltanto in parte, costituisce a tutti gli effetti una nuova opera,
che, come tale, è soggetta alle comuni regole edilizie e paesaggistiche
vigenti al momento della riedificazione (Cons. Stato, sez. IV, 06.08.2019, n. 5588, 25.06.2013, n. 3456 e 13.10.2010, n. 7476).
Nella specie il diniego è stato motivato con riferimento al fatto che non
era stata data adeguata dimostrazione della reale consistenza e
conformazione della sagoma dell’immobile da ricostruire, non essendo,
all’uopo, sufficiente, il mero rinvenimento di parti di muratura o di tracce
di fondazioni più o meno vetuste, in mancanza di altri elementi certi.
Trattasi di una puntuale motivazione, che non è stata scalfita dalle
osservazioni procedimentali del ricorrente, il quale si è limitato a fare
riferimento alla documentazione fotografica prodotta, da cui risultavano
parti di fondazioni nei lati sud e ovest, nonché a un saggio dal lato nord,
da cui emergeva la sottostante muratura di fondazione; né ulteriori elementi
probatori sono stati forniti nel corso del giudizio.
Concludendo, per le ragioni suesposte, il ricorso è infondato e va rigettato
(TAR Sicilia-Palermo Sez. II,
sentenza 11.02.2021 n. 527 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In conformità a un indirizzo giurisprudenziale
consolidatissimo, grava sulla
parte privata l’onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni per
conseguire la sanatoria di un abuso edilizio, a partire dall’epoca della sua
realizzazione e dall’effettiva consistenza delle opere realizzate.
Gli
elementi probatori necessari a documentare l’attività realizzata si trovano
infatti nella disponibilità dell’autore degli abusi, di modo che la
distribuzione dell’onere probatorio risponde al principio della vicinanza
alla prova, da tempo invalso in ambito processualcivilistico e oggi
espressamente recepito dall’art. 64, co. 1, c.p.a..
Ne deriva che spetta all’interessato provare che l’intervento abusivo abbia
riguardato un fabbricato preesistente, come pure dimostrare la consistenza
originaria di quest’ultimo.
La prova, peraltro, non può essere data
attraverso autocertificazioni o dichiarazioni sostitutive rese dallo stesso
autore dell’abuso, ovvero dai tecnici incaricati da costui, le quali sono
sprovviste di valore certificativo o probatorio nei confronti
dell’amministrazione procedente e, al più, possono concorrere alla
formazione di un più ampio quadro indiziario, se unite ad altri e affidabili
riscontri oggettivi.
...
Per inciso, anche a voler prestare piena fede a dette dichiarazioni,
potrebbe considerarsi dimostrata la preesistenza delle fondazioni, ovvero di
“mura fatiscenti di originale struttura di fabbricati colonici”, vale a
dire, nella migliore delle ipotesi, dei resti di una costruzione non meglio
identificata e identificabile nelle sue componenti essenziali.
L’intervento, come anche sostenuto dalla difesa comunale, finirebbe così per
atteggiarsi a ricostruzione di un rudere, pacificamente riconducibile
nell’alveo della nuova opera soggetta a permesso di costruire.
---------------
2.1.1. Il ricorso è infondato.
L’art. 2, co. 1, della legge regionale toscana n. 53/2004 ammette a sanatoria
straordinaria le opere e gli interventi sottoposti a concessione edilizia,
ovvero a denuncia di inizio di attività, che siano stati realizzati con
variazioni essenziali dal titolo abilitativo o, comunque, in difformità
rispetto ad esso, anche se non conformi agli strumenti urbanistici; nonché
le opere e gli interventi sottoposti a denuncia di inizio attività
realizzati in assenza o in difformità dal titolo abilitativo, anche se non
conformi agli strumenti urbanistici.
Il legislatore toscano nell’esercizio delle sue prerogative (cfr. Corte Cost.,
28.06.2004, n. 196) ha dunque escluso dal “terzo condono”, per quanto
qui interessa, gli interventi soggetti al regime della concessione
edilizia/permesso di costruire realizzati in assenza del titolo. E, come
riferito inizialmente, il diniego qui impugnato si fonda proprio sulla
ritenuta inammissibilità a sanatoria dell’intervento realizzato dalla
ricorrente, qualificato dal Comune in termini di “costruzione ex novo”, in
quanto tale bisognosa di concessione/permesso di costruire, nella specie mai
richiesto e rilasciato.
La qualificazione dell’intervento riveste pertanto, ai fini della decisione,
un ruolo dirimente e preliminare rispetto agli ulteriori temi controversi.
Il Comune desume che si sarebbe in presenza di una nuova costruzione dalla
stessa istanza di sanatoria e dalla relazione tecnica alla stessa allegata,
che si limitano a riportare la descrizione del manufatto abusivo nel suo
stato attuale e finale, senza alcun riferimento a un’attività di restauro di
un fabbricato preesistente. E già nel contraddittorio procedimentale,
originato dalle osservazioni al preavviso di diniego, aveva appunto rilevato
come l’istanza di condono non facesse alcuna menzione di preesistenze
edilizie.
Di contro, la ricorrente sostiene che nell’istanza di sanatoria non si
parlerebbe mai di nuova costruzione, e che la prova della preesistenza
sarebbe stata fornita con la relazione tecnico-amministrativa del 19.04.2012, trasmessa al Comune a integrazione della pratica e successivamente
unita alle osservazioni formulate a norma dell’art. 10-bis l. n. 241/1990,
ove si attesta l’ubicazione del manufatto “nel medesimo luogo ove
risultavano mura fatiscenti di originale struttura di fabbricati colonici",
come attestato peraltro da atto pubblico di compravendita del 14.12.1999
(trascritto a Grosseto il 28.12.1999 RGN 18757, registrato ad Orbetello il
30.12.1999 al n. 597) intercorso tra la società ‘Is.Ro. di Ma.
E.C. s.a.s.” e la sig.ra An.An. (...)”.
Nella medesima relazione tecnico-amministrativa si legge altresì che la
costruzione “risulta essere stata riedificata su fondazioni comunque
preesistenti (restituzione in pristino)”.
Ricostruiti nel dettaglio gli argomenti delle parti, il collegio in primo
luogo ricorda che –in conformità a un indirizzo giurisprudenziale
consolidatissimo, dal quale non vi è ragione di discostarsi– grava sulla
parte privata l’onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni per
conseguire la sanatoria di un abuso edilizio, a partire dall’epoca della sua
realizzazione e dall’effettiva consistenza delle opere realizzate. Gli
elementi probatori necessari a documentare l’attività realizzata si trovano
infatti nella disponibilità dell’autore degli abusi, di modo che la
distribuzione dell’onere probatorio risponde al principio della vicinanza
alla prova, da tempo invalso in ambito processualcivilistico e oggi
espressamente recepito dall’art. 64, co. 1, c.p.a..
Ne deriva che spetta all’interessato provare che l’intervento abusivo abbia
riguardato un fabbricato preesistente, come pure dimostrare la consistenza
originaria di quest’ultimo. La prova, peraltro, non può essere data
attraverso autocertificazioni o dichiarazioni sostitutive rese dallo stesso
autore dell’abuso, ovvero dai tecnici incaricati da costui, le quali sono
sprovviste di valore certificativo o probatorio nei confronti
dell’amministrazione procedente e, al più, possono concorrere alla
formazione di un più ampio quadro indiziario, se unite ad altri e affidabili
riscontri oggettivi (fra le molte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27.04.2020, n. 2660; id., sez. II, 18.03.2020, n. 1929; id., sez. IV,
01.04.2019, n. 2115).
Nel caso in esame, le sole dichiarazioni asseverate riferibili alla
ricorrente o ai suoi tecnici sono quelle originariamente contenute nella
pratica di sanatoria (l’istanza di condono e la relazione tecnica allegata),
che, come si è visto, si limitano a descrivere lo stato attuale del
fabbricato e non fanno riferimento a preesistenze, né qualificano
l’intervento nei termini pretesi dalla signora An. (restauro e
risanamento conservativo).
La relazione tecnico-amministrativa dell’aprile 2012 e le osservazioni al
preavviso di diniego riferiscono, dal canto loro, che la preesistenza del
fabbricato sarebbe attestata dal contratto di acquisto della proprietà,
risalente al 14.12.1999, ma l’affermazione non può essere verificata,
stante la mancata produzione in giudizio del contratto, che pure deve
presumersi nella disponibilità della ricorrente.
Del pari, non è stata prodotta la relazione di accompagnamento a un’istanza
a suo tempo presentata da certo arch. Te. ai sensi dell’art. 13 della legge
n. 47/1985, anch’essa citata nelle osservazioni ex art. 10-bis e nella
relazione tecnico-amministrativa, e che confermerebbe l’avvenuta
riedificazione del fabbricato su fondazioni preesistenti.
Facendo applicazione dell’indirizzo interpretativo richiamato da principio,
gli elementi probatori a disposizione –che si riducono a dichiarazioni
provenienti dalla stessa parte interessata o dai suoi professionisti di
fiducia– sono del tutto inadeguati a dimostrare la preesistenza del
fabbricato.
Per inciso, anche a voler prestare piena fede a dette dichiarazioni,
potrebbe considerarsi dimostrata la preesistenza delle fondazioni, ovvero di
“mura fatiscenti di originale struttura di fabbricati colonici”, vale a
dire, nella migliore delle ipotesi, dei resti di una costruzione non meglio
identificata e identificabile nelle sue componenti essenziali. L’intervento,
come anche sostenuto dalla difesa comunale, finirebbe così per atteggiarsi a
ricostruzione di un rudere, pacificamente riconducibile nell’alveo della
nuova opera soggetta a permesso di costruire (cfr. TAR Toscana, sez. III,
22.02.2019, n. 286).
Né vale sostenere, da parte della ricorrente, che attraverso la nozione di
rudere il Comune abbia inteso integrare a posteriori la motivazione
dell’atto impugnato. Ribadito che la preesistenza del fabbricato non è stata
dimostrata, gli argomenti difensivi spesi dal Comune sono volti (non a
integrare il provvedimento impugnato, ma) a evidenziare come gli unici
elementi ricavabili dalla relazione tecnico-amministrativa della ricorrente
non permettano di risalire a una preesistenza definita nei suoi elementi
costitutivi, di modo che, a tutto voler concedere, non ne risentirebbe la
qualificazione dell’intervento in termini di nuova costruzione.
2.1.2. In forza di tutto quanto precede, il ricorso non può trovare
accoglimento (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 22.01.2021 n. 86 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
ristrutturazione edilizia presuppone come elemento indispensabile la
preesistenza del fabbricato nella consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed architettoniche proprie del manufatto che si vuole
ricostruire.
Non è sufficiente, quindi, che si dimostri che un immobile in parte poi
crollato o demolito è esistente, ma è necessario che si dimostri oltre all'an
anche il quantum e cioè l'esatta consistenza dell'immobile preesistente del
quale si chiede la ricostruzione.
Occorre, quindi, la possibilità di procedere, con un sufficiente grado di
certezza, alla ricognizione degli elementi strutturali dell'edificio, in
modo tale che, seppur non necessariamente “abitato” o “abitabile”, esso
possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come
identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione.
---------------
... per l'annullamento, previa sospensiva, del diniego permesso di costruire
n. 117 del 25.09.2019 del Comune dell’Aquila;
...
Viene in decisione il ricorso
avverso il diniego opposto all’istanza di rilascio del permesso titolo in
sanatoria con cambio di destinazione d’uso di un piccolo manufatto in legno,
che la ricorrente afferma di aver ricostruito in sostituzione di un
preesistente volume in muratura, del quale, prima della demolizione,
restavano alcuni muri perimetrali ed era visibile la linea di appoggio della
falda di copertura sul muro perimetrale di un adiacente fabbricato.
Preliminarmente deve essere chiarito che, come eccepito dal Comune, non
hanno alcun rilievo ai fini del decidere le critiche mosse dalla ricorrente
all’annullamento del permesso di costruire rilasciato per la fedele
ricostruzione di un preesistente fabbricato già adibito ad uso commerciale e
alla pedissequa ordinanza di demolizione.
Infatti sia l’annullamento, sia la pedissequa ordinanza di demolizione non
sono stati impugnati.
Pertanto il procedimento avviato ad istanza della ricorrente per la
sanatoria dell’intervento edilizio, ormai privo di titolo legittimante, si
inquadra nel modello tipico delineato dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001
dell’accertamento di conformità che presuppone la dimostrazione della doppia
conformità dell’intervento edilizio, alla normativa vigente sia al momento
in cui fu realizzato, sia alla data del rilascio del titolo in sanatoria.
Secondo quanto sostenuto nel ricorso il nuovo manufatto sarebbe la replica
dell’immobile -del quale sono visibili nelle ortofoto in atti (all. 5 della
memoria del 03.11.2020) i resti di mura perimetrali- non già, come invece
asserito nel provvedimento di diniego, della baracca di lamiere di minori
volume e superficie in quanto in parte appoggiata e in parte interna al
perimetro del fabbricato originario.
Su tale evidenza il tribunale ha accolto l’istanza cautelare, riservando al
merito l’accertamento della corrispondenza dei parametri plano-volumetrici
del nuovo edificio rispetto a quelli del manufatto preesistente, requisito
indispensabile che il diniego impugnato ritiene insussistente, per potersi
qualificare l’intervento come ristrutturazione ammessa sul sedime e con i
distacchi originari e non nuova costruzione soggetta al rispetto delle
distanze previste per la zona urbanistica ove ricade l’area interessata
dall’intervento.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che “La ristrutturazione
edilizia presuppone come elemento indispensabile la preesistenza del
fabbricato nella consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed
architettoniche proprie del manufatto che si vuole ricostruire. Non è
sufficiente quindi che si dimostri che un immobile in parte poi crollato o
demolito è esistente, ma è necessario che si dimostri oltre all'an anche il
quantum e cioè l'esatta consistenza dell'immobile preesistente del quale si
chiede la ricostruzione; occorre, quindi, la possibilità di procedere, con
un sufficiente grado di certezza, alla ricognizione degli elementi
strutturali dell'edificio, in modo tale che, seppur non necessariamente
“abitato” o “abitabile”, esso possa essere comunque individuato nei suoi
connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua
destinazione” (Consiglio di Stato, sez. VI, 05/12/2016, n. 5106).
Sulla base di detto orientamento il diniego gravato appare carente in punto
di istruttoria e di motivazione perché non considera che i muri superstiti
del preesistente manufatto sono assemblati con pietre e mattoni –come è
evidente dalle ortofoto in atti- e pertanto non può escludersi che il
manufatto del quale facevano parte, sia stato realizzato in epoca precedente
al 1967 in regime di edilizia libera e dunque assistito da un titolo
legittimante.
Sempre in via presuntiva, contrariamente a quanto affermato nel diniego,
neppure può escludersi che il nuovo fabbricato abbia un volume non eccedente
quello del preesistente manufatto in muratura.
Il Comune si è infatti concentrato erroneamente sul confronto fra il volume
del manufatto oggetto di sanatoria e quello della baracca in lamiere che non
ha alcuna rilevanza ai fini del procedimento di accertamento di conformità
richiesto dalla ricorrente.
L’istanza si sanatoria, come del resto l’istanza di rilascio del permesso di
costruire annullato, ha ad oggetto, come si evince chiaramente dalle
osservazioni endoprocedimentali a firma del tecnico incaricato (all. 21 del
ricorso), la verifica di conformità dell’edificio realizzato in sostituzione
del più ampio e più risalente manufatto in muratura, il cui volume peraltro
si sarebbe potuto accertare prendendo in considerazione il perimetro
delineato dai muri superstiti e la linea di ammorsamento della copertura
ancorata al fabbricato adiacente, ancora visibile sul muro perimetrale (cfr.
ortofoto precedenti al sisma del 2009 – all. 5 del ricorso).
Con specifico riferimento a detta linea di ammorsamento è presumibile che si
trattasse proprio e univocamente della copertura del manufatto crollato, non
essendovi elementi per inferire che su detta linea fosse ancorato un
preesistente balcone o camminamento esterno, in quanto detto muro
perimetrale è completamente privo di aperture.
In conclusione nessuna delle motivazioni addotte a sostegno del diniego
resiste alle censure dedotte nel ricorso:
- non la mancata dimostrazione della legittimità dell’esistente,
ovvero la conformità al regime urbanistico del fabbricato preesistente
all’intervento di demolizione perché il Comune ha erroneamente individuato
l’immobile “ante demolizione” nella baracca in lamiere e non nel
manufatto in pietra presumibilmente preesistente al 1967, che sia
nell’istanza di rilascio del permesso di costruire, sia nell’istanza di
sanatoria viene indicato come il volume preesistente oggetto di
ricostruzione;
- non per contrasto con l’art. 3 d.P.R. n. 380/2001 per la
ricostruzione con diverso volume, perché il volume preesistente è stato
calcolato nel diniego impugnato sulle dimensioni della baracca di lamiere e
non su quelle del preesistente fabbricato in muratura che la ricorrente ha
inteso demolire e ricostruire riproducendone le dimensioni presumibilmente
accertabili sulla base dei muri superstiti e della quota della copertura
misurabile dalla linea di ancoraggio all’edificio adiacente;
- non per contrasto con l’art. 3 d.P.R. n. 380/2001 per il mancato
rispetto delle distanze dai confini e dalla strada, perché il Comune non ha
considerato, che trattandosi di demolizione e ricostruzione, l’area di
sedime e, quindi, anche le distanze da osservare sono quelle originarie del
manufatto in muratura, ai sensi dell’art. 3 d.P.R. n. 380/2001 vigente
ratione temporis e dell’art. 46 delle NTA del PRG del Comune dell’Aquila
che, per gli interventi d demolizione e ricostruzione nella zona
residenziale delle frazioni, ove ricade l’area interessata dall’intervento
edilizio in esame, ammette la conservazione delle distanze preesistenti e la
ricostruzione sul ciglio stradale, esclusi gli aggetti e le proiezioni sugli
spazi pubblici (TAR
Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 18.12.2020 n. 530 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La questione del rilievo da dare alla fatiscenza del patrimonio edilizio
preesistente ai fini della configurabilità di un singolo intervento come
incidente sullo stesso, e non “nuova costruzione”, è già stata affrontata
più volte da questo Consiglio di Stato, con riferimento a quel particolare
tipo di attività edilizia che, con neologismo urbanistico ormai diffuso a
livello di disciplina comunale, va sotto la definizione di “ripristino
filologico”.
Esso si connota nel complesso delle attività, in verità anche
di eliminazione di volumetrie mediante abbattimento di eventuali
superfetazioni, per riportare alla consistenza “storica” complessi ormai diruti, o irrimediabilmente manomessi.
Non essendo il “ripristino filologico” una categoria edilizia definita, alla
quale possa ascriversi una determinata disciplina normativa, il relativo
inquadramento necessita di un’indagine specifica che abbia riguardo al
risultato che si intende conseguire, ma anche alla “base di partenza”
dell’intervento.
La giurisprudenza amministrativa sviluppatasi proprio con riferimento a
tale tipologia di intervento, riconducibile a seconda dei casi a risanamento
conservativo o ristrutturazione edilizia, ribadisce comunque come in
entrambi i casi si tratti di interventi di recupero sul patrimonio edilizio
“esistente”, traslati nell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 dal previgente art.
31 della legge n. 457/1978, che già li contemplava. La loro finalità di
“conservazione”, seppur lato sensu intesa, postula dunque pur sempre la
preesistenza di un fabbricato da ristrutturare o risanare, ossia di un
organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura.
Il concetto di costruzione esistente presuppone a sua volta la
possibilità di individuazione della stessa come identità strutturale, in
modo da farla giudicare presente nella realtà materiale quale specifica
entità urbanistico-edilizia esistente nella attualità, sicché l’intervento
edificatorio sulla stessa non rileva quale trasformazione urbanistico-edilizia
del territorio in termini di nuova costruzione. Deve, cioè, trattarsi di un
manufatto che, a prescindere dalla circostanza che sia abitato o abitabile,
possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come
identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione.
In buona sostanza, il rilascio di un titolo edilizio per procedere alla
ristrutturazione è subordinato alla possibilità di individuare, in maniera
pressoché certa, l’esatta cubatura e sagoma d’ingombro del fabbricato su cui
intervenire. Solo se è chiara la base di partenza, è possibile discutere
l’entità e la qualità delle modifiche apportabili senza travalicare i limiti
definitori della ristrutturazione.
Costituisce pertanto vera e propria
costruzione ex novo e non già ristrutturazione, né tanto meno restauro o
risanamento conservativo e, come tale, è soggetta a concessione edilizia
secondo le regole urbanistiche vigenti al momento dell’istanza del privato,
«la ricostruzione di un intero fabbricato, diruto da lungo tempo e del quale
residuavano, al momento della presentazione dell’istanza del privato, solo
piccole frazioni dei muri, di per sé inidonee a definire l’esatta volumetria
della preesistenza, in quanto l’effetto ricostruttivo così perseguito mira
non a conservare o, se del caso, a consolidare un edificio comunque definito
nelle sue dimensioni, né alla sua demolizione e fedele ricostruzione […]
bensì a realizzarne uno del tutto nuovo e diverso».
---------------
8. Il Collegio ritiene l’appello fondato, e come tale da accogliere.
9. La Sezione ritiene che la vicenda ruoti intorno a due nozioni essenziali:
da un lato, la definizione di ristrutturazione edilizia e la conseguente riconducibilità alla stessa di un’attività di “recupero”, inteso in senso
etimologico, di un antico complesso, solo in parte ancora empiricamente
percepibile, in altra invece “intuibile”, in ragione delle poche vestigia
residue di crolli generalizzati dovuti all’usura del tempo; dall’altro, le
regole rivenienti dalla legge regionale n. 20 del 1998, col preciso intento
di agevolare gli interventi di conversione in strutture ricettive di vecchi
fabbricati tipici dell’antica architettura rurale della zona (trulli,
masserie e simili).
Afferma il primo giudice che i confini della ristrutturazione edilizia, per
come definita all’art. 3, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001, sono diversi
nell’ipotesi in cui essa si concretizzi nella ricostruzione, previa
demolizione, rispetto a quella in cui, invece, non si demolisca alcunché. In
tale seconda ipotesi non è infatti necessario rispettare i limiti originari
di sagoma e di volume. Da qui, la ritenuta insufficienza istruttoria da
parte del Comune che non avrebbe adeguatamente valutato la documentazione
fornita allo scopo di attestare la preesistenza di corpi di fabbrica.
10. La ricostruzione non è sufficiente a fotografare la peculiarità della
fattispecie, limitandosi ad un’analisi definitoria teorica al punto da
inserirvi, quale elemento di forza, la non necessità di demolire previamente
alcunché, essendo gli edifici in controversia già a terra.
Né assume rilievo
il distinguo che il primo giudice ha inteso enfatizzare tra ristrutturazione
c.d. “leggera” e ristrutturazione “pesante”, riveniente dal combinato
disposto tra l’art. 3, lett. d), del T.U.E., che declina la relativa
definizione in termini generali, e l’art. 10, che ritaglia al suo interno i
casi in cui per le modifiche intervenute (alla sagoma, al volume, ai
prospetti, alle superfici e, nelle zone omogenee A, anche alla destinazione
d’uso) si rende necessario il permesso di costruire.
Nel caso di specie,
infatti, come ribadito dall’appellata nelle proprie memorie, essa non
rivendica la possibilità di realizzare la progettualità proposta mediante
semplice d.i.a. (oggi s.c.i.a.); la qualificazione dell’intervento come
ristrutturazione, ancorché “pesante” costituisce il necessario grimaldello
per accedere ai benefici della legge regionale n. 20 del 1998, approcciandosi ad una destinazione d’uso per la quale gli indici di
fabbricabilità previsti dalle N.T.A. del P.R.G. sono diversi e le
limitazioni, anche funzionali, alla edificabilità del suolo, strumentali
alla realizzazione della struttura ricettiva.
In sintesi, l’angolazione
prospettica dalla quale va riguardata la vicenda non è quella degli effetti
dell’attività di recupero, bensì della configurazione dell’immobile da
recuperare, recte, ancora prima, della esistenza “materiale”
dell’immobile stesso, le cui “cubature virtuali” devono traslare nella nuova
edificazione, in quanto continuativa della precedente.
11. La questione del rilievo da dare alla fatiscenza del patrimonio edilizio
preesistente ai fini della configurabilità di un singolo intervento come
incidente sullo stesso, e non “nuova costruzione”, è già stata affrontata
più volte da questo Consiglio di Stato, con riferimento a quel particolare
tipo di attività edilizia che, con neologismo urbanistico ormai diffuso a
livello di disciplina comunale, va sotto la definizione di “ripristino
filologico”.
Esso si connota nel complesso delle attività, in verità anche
di eliminazione di volumetrie mediante abbattimento di eventuali
superfetazioni, per riportare alla consistenza “storica” complessi ormai diruti, o irrimediabilmente manomessi.
Non essendo il “ripristino filologico” una categoria edilizia definita, alla
quale possa ascriversi una determinata disciplina normativa, il relativo
inquadramento necessita di un’indagine specifica che abbia riguardo al
risultato che si intende conseguire, ma anche alla “base di partenza”
dell’intervento.
12. La giurisprudenza amministrativa sviluppatasi proprio con riferimento a
tale tipologia di intervento, riconducibile a seconda dei casi a risanamento
conservativo o ristrutturazione edilizia, ribadisce comunque come in
entrambi i casi si tratti di interventi di recupero sul patrimonio edilizio
“esistente”, traslati nell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 dal previgente art.
31 della legge n. 457/1978, che già li contemplava. La loro finalità di
“conservazione”, seppur lato sensu intesa, postula dunque pur sempre la
preesistenza di un fabbricato da ristrutturare o risanare, ossia di un
organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura.
Il concetto di costruzione esistente presuppone a sua volta la
possibilità di individuazione della stessa come identità strutturale, in
modo da farla giudicare presente nella realtà materiale quale specifica
entità urbanistico-edilizia esistente nella attualità, sicché l’intervento
edificatorio sulla stessa non rileva quale trasformazione urbanistico-edilizia del territorio in termini di nuova costruzione. Deve,
cioè, trattarsi di un manufatto che, a prescindere dalla circostanza che sia
abitato o abitabile, possa essere comunque individuato nei suoi connotati
essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua
destinazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10.02.2004, n. 475 e 15.03.1990, n. 293; più di recente, sez. II, 24.10.2020, n. 6455).
In buona sostanza, il rilascio di un titolo edilizio per procedere alla
ristrutturazione è subordinato alla possibilità di individuare, in maniera
pressoché certa, l’esatta cubatura e sagoma d’ingombro del fabbricato su cui
intervenire. Solo se è chiara la base di partenza, è possibile discutere
l’entità e la qualità delle modifiche apportabili senza travalicare i limiti
definitori della ristrutturazione.
Costituisce pertanto vera e propria
costruzione ex novo e non già ristrutturazione, né tanto meno restauro o
risanamento conservativo e, come tale, è soggetta a concessione edilizia
secondo le regole urbanistiche vigenti al momento dell’istanza del privato,
«la ricostruzione di un intero fabbricato, diruto da lungo tempo e del quale
residuavano, al momento della presentazione dell’istanza del privato, solo
piccole frazioni dei muri, di per sé inidonee a definire l’esatta volumetria
della preesistenza, in quanto l’effetto ricostruttivo così perseguito mira
non a conservare o, se del caso, a consolidare un edificio comunque definito
nelle sue dimensioni, né alla sua demolizione e fedele ricostruzione […]
bensì a realizzarne uno del tutto nuovo e diverso» (Cons. Stato, Sez. V,
03.04.2000, n. 1906; id., 15.04.2004, n. 2142, 01.12.1991, n.
2021, 10.03.1997, n. 240 e 04.11.1994, n. 1261).
13. Né può addebitarsi al Comune alcuna carenza di istruttoria, tenuto
altresì conto che l’onere probatorio della consistenza del complesso
immobiliare gravava interamente sul privato richiedente.
I documenti prodotti, infatti, quali le mappe del catasto onciario e del
catasto urbano, gli elaborati grafici del P.R.G. e le riprese aeree
originali, da un lato confermano l’incontestata presenza in loco del
manufatto; dall’altro rilevano l’effettivo stato di macerie, talvolta
addirittura di singoli massi facenti presumibilmente parte di mura fondanti,
ma nulla dicono della effettiva consistenza del fabbricato, alla cui
ricostruzione si addiviene pertanto solo con un corposo sforzo di fantasia,
ispirandosi alle caratteristiche morfologiche comuni a quella specifica
tipologia.
Quanto alla relazione “sulla preesistenza planovolumetrica della masseria
Gh.” redatta dai progettisti di parte in data 02.03.2009 per
riscontrare la richiesta di integrazione istruttoria avanzata dagli uffici
comunali, a prescindere dalle interessanti digressioni storiche sulle
masserie in genere e su quella di cui è causa, in particolare, essa nulla
aggiunge alla ricostruzione della base “obiettiva” su cui si è fondata
l’ipotesi progettuale. Molti elementi architettonici vengono richiamati per
evocare il tipico assetto delle masserie e, quindi, presumibilmente, anche
di quella di cui è causa; ma sul piano descrittivo non può che darsi atto,
almeno con riferimento ad una consistente parte del complesso, che gli
edifici sono pressoché totalmente abbattuti.
In particolare, nel breve paragrafo rubricato proprio “documentazione
comprovante la volumetria da ricostruire” si fa riferimento ai “resti delle
fondamenta in situ” e alle riprese fotografiche aeree originali: le quali
peraltro, una volta prodotte (in prima battuta non erano state neppure
allegate alla relazione) non forniscono alcun elemento integrativo di
conoscenza, consentendo una visione vaga, e per linee piane, piuttosto che
per spessori.
Infine, si dà atto che alcune strutture originarie sono “quasi totalmente”
crollate (es., i vani con copertura a tetto a doppia falda, ovvero i
“voluminosi corpi di fabbrica, risalenti ai primi del ‘900”). Di alcune di
esse si ipotizza la presenza, elencandole descrittivamente (“sicuramente vi
erano”), quali quelle per la lavorazione e lo stoccaggio dei prodotti
caseari, i vani per alloggi del massaro e dei lavoratori, braccianti
agricoli, ecc. Ne emerge un quadro descrittivo di sicura suggestione
storica, ma assai scarsa aderenza alla realtà fattuale, che tenta di
ricostruire, non descrive per come è, valorizzando anche il futuro utilizzo
di materiali e tecniche architettoniche idonee ad evocarne le presumibili
sembianze originarie.
14. Da quanto detto emerge la correttezza del diniego opposto dal Comune di
Lecce alla richiesta di permesso di costruire per ristrutturazione edilizia,
riferita peraltro al complesso nella sua interezza e non limitata, come
forse sarebbe stato più opportuno, alle sole parti dello stesso
effettivamente insistenti ancora in loco. A ciò consegue anche
l’inapplicabilità della invocata legge regionale n. 20 del 1998, avente ad
oggetto le sole attività di consolidamento, restauro e ristrutturazione di
edifici rurali variamente denominati, rientranti nel regime giuridico della
l. 01.06.1939, n. 1089, da destinare a strutture ricettive.
Ne consegue
altresì anche quella delle N.T.A. invocate dall’appellata, in quanto
riferite al recupero di cubature da destinare a ricettività, non estensibili
alla normale attività edilizia consentita in ragione della destinazione
(agricola) della zona. Di tutto ciò peraltro si dava dettagliato conto nel
preavviso di diniego del 24.05.2010, evidenziando come con la progettualità complessiva proposta si sarebbe realizzato un aumento della
volumetria esistente, così ponendosi comunque in contrasto con il più volte
richiamato art. 1 della l.r. 22.07.1998, n. 20, che la vieta, almeno in
riferimento alle aree superficiarie.
15. Che tale sia la cornice ordinamentale corretta nella quale calare
l’odierna fattispecie è confermato altresì dal tenore letterale della legge
regionale.
Il richiamo ivi contenuto al rispetto comunque della volumetria fuori terra
“esistente”, evoca dunque la necessità che se ne possa computare l’esatta
consistenza; la necessità di salvaguardare prospetti e caratteristiche
architettoniche e artistiche dell’immobile, egualmente ne implica la piena
visualizzazione. La ratio, dunque, appare quella di recuperare da situazioni
di degrado il patrimonio storico-culturale di settore, laddove esso ancora
sussista, non ricostruirlo ex novo, seppur con modalità quanto più
rispettose possibile della loro plausibile configurazione effettiva.
16. Per quanto sopra detto l’appello deve essere accolto e, per l’effetto,
deve essere riformata la sentenza n. 1023 del 2011 della sez. staccata di
Lecce del TAR per la Puglia, con conseguente reiezione del ricorso n.r.g.
1829/2010 e conferma della determina del 14.07.2010, di diniego del
permesso di costruire richiesto (Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 15.12.2020 n. 8035 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nelle
controversie in materia edilizia, soggette alla giurisdizione del giudice
amministrativo, i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione
dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei
ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie e mappe catastali, tanto che la prova
per testimoni è del tutto residuale.
---------------
4.2 Neppure è suscettibile di condivisione il secondo motivo di
ricorso, posto che, all’esito dell’istruzione probatoria disposta dal
collegio su richiesta del ricorrente, gli elementi emersi attraverso
l’assunzione delle testimonianze de quibus non sono in grado di
superare le risultanze oggettive offerte dal Comune di Pontinia.
Al riguardo è sufficiente ricordare che nelle controversie in materia
edilizia, soggette alla giurisdizione del giudice amministrativo, i principi
di prova oggettivi concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello
spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta,
aerofotogrammetrie e mappe catastali, tanto che la prova per testimoni è del
tutto residuale (Cons. Stato, sez. IV, 09.02.2016 n. 511; TAR Piemonte, sez.
II, 27.03.2013 n. 390; TAR Umbria, sez. I, 02.11.2011 n. 354).
Nella specie, i dati oggettivi versati dall’Amministrazione offrono una
ricostruzione dei fatti non collimante con la prova testimoniale (peraltro
di due sui tre testi indicati), in quanto le fotografie satellitari
dell’area di cui è causa, risalenti al 2002, 2004 e 2019, dimostrano
l’esistenza del manufatto in questione soltanto a partire da quest’ultimo
anno, con la conseguenza che la prova dell’epoca di realizzazione della
suddetta autorimessa resiste al dato desumibile dalle suddette testimonianze
(Cons. Stato, sez. IV, 09.02.2016 n. 511) (TAR
Lazio-Latina,
sentenza 13.07.2020 n. 271 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001, nel testo modificato
dall'art. 30 del D.L. n. 69 del 2013, conv. in L. n. 98 del 2013,
ricomprende fra gli interventi di ristrutturazione edilizia anche
quelli "volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile
accertarne la preesistente consistenza.” Il successivo comma 2 dispone che
“Le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli
strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi (…)”.
La legge 98/2013 ha superato la previgente nozione di ristrutturazione, che
non ricomprendeva gli interventi finalizzati a ricostruire edifici allo
stato di rudere, sul presupposto che la demolizione e successiva
ricostruzione richiedesse necessariamente la sussistenza di un immobile da
ristrutturare.
La novella legislativa, infatti, “ha allargato il concetto di
ristrutturazione all'ipotesi di edificio che non esiste più, ma di cui si
rinvengono resti sul territorio e di cui si può ricostruire la consistenza
originaria con un'indagine tecnica.
L'accertamento della consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato
deve fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali, ad esempio, documentazione
fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di
delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali
dell'edificio diruto”.
E’ necessario e sufficiente, quindi, per qualificare l’intervento come
ristrutturazione, che l’originaria consistenza dell’edificio sia
individuabile sulla base di riscontri documentali od altri elementi certi e
verificabili.
Il vincolo della intellegibilità delle caratteristiche del fabbricato
demolito non include invece alcun limite in relazione alla maggiore o minore
risalenza nel tempo dell’intervento di demolizione.
In definitiva, la
qualificazione dell’intervento di ricostruzione come nuova edificazione
scatta ove sia impossibile l’individuazione certa dei connotati essenziali
del manufatto originario (mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura), attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento prot. n. 9887 di data 28.09.2016,
di diniego dell’istanza di autorizzazione del piano attuativo presentata per
un intervento di ricostruzione di fabbricato preesistente.
...
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
L'art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001, nel testo
modificato dall'art. 30 del D.L. n. 69 del 2013, conv. in L. n. 98 del 2013,
ricomprende fra gli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli "volti
al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o
demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne
la preesistente consistenza.” Il successivo comma 2 dispone che “Le
definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti
urbanistici generali e dei regolamenti edilizi (…)”.
La legge 98/2013 ha superato la previgente nozione di ristrutturazione, che
non ricomprendeva gli interventi finalizzati a ricostruire edifici allo
stato di rudere, sul presupposto che la demolizione e successiva
ricostruzione richiedesse necessariamente la sussistenza di un immobile da
ristrutturare.
La novella legislativa, infatti, “ha allargato il concetto di
ristrutturazione all'ipotesi di edificio che non esiste più, ma di cui si
rinvengono resti sul territorio e di cui si può ricostruire la consistenza
originaria con un'indagine tecnica (in tal senso cfr., ex multis, Cons. St.,
sez. VI, 03.10.2019, n. 6654; TAR Toscana, sez. III, 26.05.2020, n. 631).
L'accertamento della consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato
deve fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali, ad esempio, documentazione
fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di
delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali
dell'edificio diruto (in tal senso cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II,
23.12.2019, n. 6098).” (TAR Liguria Sez. I, 11.06.2020, n. 364; conforme
Cass. pen. Sez. III, 28.04.2020, n. 13148).
E’ necessario e sufficiente, quindi, per qualificare l’intervento come
ristrutturazione, che l’originaria consistenza dell’edificio sia
individuabile sulla base di riscontri documentali od altri elementi certi e
verificabili (Cass. pen. Sez. III, 25.06.2015, n. 26713; Cass. pen. Sez. III,
30.09.2014, n. 40342).
Il vincolo della intellegibilità delle caratteristiche del fabbricato
demolito non include invece alcun limite in relazione alla maggiore o minore
risalenza nel tempo dell’intervento di demolizione.
L’intervento di ricostruzione proposto dai ricorrenti mira a ricostruire un
edificio demolito presumibilmente negli anni ‘50, la cui consistenza è
evincibile sia dallo stato dei luoghi (conformazione della corte e segni
presenti sulla muratura del fabbricato adiacente) sia dalle mappe del
cessato catasto fabbricati, dal N.C.U.E. vigente e dalle schede catastali
risalenti all’anno 1994. Da tali elementi è possibile rilevare la
consistenza planimetrica del fabbricato originario.
La documentazione fotografica storica prodotta anche nel presente giudizio è
invece idonea ad attestarne la consistenza volumetrica e le caratteristiche
costruttive.
Inoltre il permesso di costruire del 1972, secondo le allegate tavole
prodotte in giudizio, già prevedeva la ricostruzione dell’immobile.
Sicché la consistenza originaria dell’edificio può dirsi accertabile.
La qualificazione dell’intervento di ricostruzione come nuova edificazione
scatta -infatti- ove sia impossibile l’individuazione certa dei connotati
essenziali del manufatto originario (mura perimetrali, strutture orizzontali
e copertura), attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare, circostanza che
qui non si verifica. Il fabbricato previsto ha infatti una sagoma, un
ingombro ed un impatto che risultano nella sostanza del tutto coincidenti
con la situazione pregressa.
Né in specie, trattandosi di area vincolata, l’intervento deve considerarsi
precluso in relazione alla prevista riduzione dell’altezza originaria
dell’edificio, atteso che la sagoma originaria è stata mantenuta e
l’allineamento con l’edificio limitrofo è stato introdotto modificando il
progetto originario, al fine di corrispondere ad una specifica prescrizione
imposta dalle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo paesistico, e
quindi mira ad una più efficace tutela dello stesso.
Priva di pregio risulta anche la motivazione allegata dal comune in
relazione all’interesse pubblico al mantenimento della destinazione della
corte ad area di sosta privata, atteso che detta valutazione risulta
inidonea a superare la ricorrenza dei presupposti di applicazione del
disposto normativo richiamato dai ricorrenti. Così come il richiamo alle
previsioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi,
sulle quali prevale –per espressa disposizione normativa– la qualificazione
operata dal TU.
Per le esposte considerazioni, in accoglimento dei motivi I, III e V e con
assorbimento dei restanti motivi di gravame, il ricorso va accolto (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 06.07.2020 n. 517 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Come
ha chiarito la giurisprudenza, mentre in precedenza la riedificazione di un
rudere era qualificata come nuova costruzione, la novella legislativa del
2013 ha allargato il concetto di ristrutturazione edilizia all’ipotesi di
edificio che non esiste più, ma di cui si rinvengono resti sul territorio e
di cui si può ricostruire la consistenza originaria con un’indagine tecnica.
L’accertamento della consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato
deve fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali, ad esempio, documentazione
fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di
delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali
dell’edificio diruto.
In proposito, prive di pregio sono le deduzioni della difesa civica, secondo
cui le risultanze catastali e la dichiarazione sostitutiva sarebbero
totalmente sfornite di qualsivoglia valore probatorio.
Infatti, è certamente vero che l’accatastamento fa stato solo ai fini
fiscali. Tuttavia, dati, planimetrie e mappe catastali possono comunque
costituire un elemento di prova in ordine alla situazione degli immobili,
specialmente se, come nella specie, si inseriscano in modo coerente nel
materiale probatorio acquisito agli atti.
Parimenti, in materia di dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, la
giurisprudenza ha chiarito che le stesse, seppur non sufficienti, da sole, a
costituire piena prova, possono comunque assumere valore indiziario,
contribuendo a formare un quadro complessivo di elementi concordanti.
In generale, sull’ammissibilità delle dichiarazioni scritte di terzi, si
richiama la consolidata giurisprudenza civile in materia di prove c.d.
atipiche, tra cui Cass. n. 792/2020 e n. 17932/2015, secondo cui tali
scritti, pur non avendo efficacia di prova testimoniale, sono rimessi alla
libera valutazione del giudice e possono fornire utili elementi di
convincimento, con la precisazione che tale orientamento, in quanto
espressione di principi generali, risulta applicabile al processo
amministrativo ex art. 39, comma 1, c.p.a..
---------------
... per l’annullamento del provvedimento del Comune di Varazze prot. n.
24276 del 26.10.2016, comunicato in data 11.11.2016, recante diniego di
permesso di costruire per demolizione e ricostruzione, con cambiamento di
destinazione d’uso, di fabbricato diruto;
...
1. Con i motivi I), II) e III) della narrativa in fatto, la
società ricorrente si duole che il Comune, in base ad una scorretta
interpretazione dell’art. 2, comma 1, lett. b), della L.R. n. 49/2009,
avrebbe negato rilievo alla determinazione del volume del magazzino
diroccato effettuata dal proprio tecnico, travisando le risultanze
documentali ed i calcoli conseguentemente eseguiti.
Le censure sono fondate.
1.1. Al fine di promuovere l’adeguamento ed il rinnovo del patrimonio
edilizio, la L.R. n. 49/2009 (c.d. Piano casa) consente una serie di
interventi in deroga ai piani urbanistici comunali, tra i quali la
demolizione e ricostruzione di fabbricati, con possibilità di incremento
fino al 35% della volumetria esistente (art. 7, comma 1).
In virtù dell’art. 2, comma 1, lett. b), della medesima L.R. n. 49/2009 è
suscettibile di intervento edilizio (nella specie, di demo-ricostruzione)
anche l’edificio diruto, vale a dire quello “di cui parti, anche
significative e strutturali, siano andate distrutte nel tempo ma di cui sia
possibile documentare l’originario inviluppo volumetrico complessivo e la
originaria configurazione tipologica, a fini della sua ricostruzione”.
La formulazione della norma è sostanzialmente analoga a quella dell’art. 3,
comma 1, lett. d), del d.p.r. n. 380/2001, nel testo modificato dall’art. 30
del d.l. n. 69/2013, conv. in l. n. 98/2013, che ricomprende fra gli
interventi di ristrutturazione anche quelli “volti al ripristino di
edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la
loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente
consistenza”.
Come ha chiarito la giurisprudenza, mentre in precedenza la riedificazione
di un rudere era qualificata come nuova costruzione, la novella legislativa
del 2013 ha allargato il concetto di ristrutturazione all’ipotesi di
edificio che non esiste più, ma di cui si rinvengono resti sul territorio e
di cui si può ricostruire la consistenza originaria con un’indagine tecnica
(in tal senso cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 03.10.2019, n.
6654; TAR Toscana, sez. III, 26.05.2020, n. 631).
L’accertamento della consistenza iniziale del manufatto demolito o crollato
deve fondarsi su dati certi ed obiettivi, quali, ad esempio, documentazione
fotografica, aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di
delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli elementi essenziali
dell’edificio diruto (in tal senso cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II,
23.12.2019, n. 6098).
1.2. In applicazione dei richiamati principi, ritiene il Collegio che la
deducente abbia prodotto plurimi e coerenti elementi che, oltre a costituire
una chiara testimonianza del manufatto sul territorio, permettono di
individuarne in maniera attendibile la pregressa effettiva consistenza.
In particolare, i seguenti documenti consentono di accertare dimensioni e
caratteristiche dell’edificio da ripristinare:
- la visura catastale della particella 244 del foglio 49 (doc. 10
ricorrente), classata quale ente urbano con superficie di mq. 29;
- la mappa catastale del foglio 49 (doc. 2 ricorrente), dalla quale
risulta che sulla particella 244 insisteva un fabbricato con antistante
corte scoperta;
- i rilievi fotografici del rudere (doc. 6 ricorrente), nei quali
sono visibili, seppur rovinate a terra, tre delle quattro colonne in cemento
armato e le tegole del tetto in laterizio alla marsigliese;
- le fotografie storiche (doc. 4 ricorrente), che, pur riprendendo
il rustico a lunga distanza, consentono comunque di tratteggiarne la sagoma;
- le aerofotogrammetrie del 1975 (doc. 5 ricorrente), nelle quali
risulta distintamente riconoscibile il tetto a due falde con copertura in
tegole marsigliesi;
- la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà delle due
precedenti proprietarie (doc. 10 ricorrente), le quali hanno attestato che
il magazzino aveva una pianta di circa mt. 5 x 5, era coperto da un tetto a
due falde e aveva un’altezza massima di mt. 3,5.
In proposito, prive di pregio sono le deduzioni della difesa civica, secondo
cui le risultanze catastali e la dichiarazione sostitutiva sarebbero
totalmente sfornite di qualsivoglia valore probatorio.
Infatti, è certamente vero che l’accatastamento fa stato solo ai fini
fiscali. Tuttavia, dati, planimetrie e mappe catastali possono comunque
costituire un elemento di prova in ordine alla situazione degli immobili (in
argomento cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 16.04.2015, n. 1957;
TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, 22.05.2020, n. 5424; TAR Calabria, Catanzaro,
sez. II, 05.05.2020, n. 780), specialmente se, come nella specie, si
inseriscano in modo coerente nel materiale probatorio acquisito agli atti
(in generale, sulla sinergia tra risultanze catastali ed assetto
urbanistico-edilizio del territorio, cfr. Cons. St., sez. II, 08.04.2020, n.
2326).
Parimenti, in materia di dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, la
giurisprudenza ha chiarito che le stesse, seppur non sufficienti, da sole, a
costituire piena prova, possono comunque assumere valore indiziario,
contribuendo a formare un quadro complessivo di elementi concordanti (in tal
senso cfr., ex aliis, Cons. St., sez. VI, 19.10.2018, n. 5988; TAR
Liguria, sez. I, 27.05.2020, n. 327; TAR Piemonte, sez. II, 10.01.2018, n.
45; in generale, sull’ammissibilità delle dichiarazioni scritte di terzi, si
richiama la consolidata giurisprudenza civile in materia di prove c.d.
atipiche, tra cui Cass. n. 792/2020 e n. 17932/2015, secondo cui tali
scritti, pur non avendo efficacia di prova testimoniale, sono rimessi alla
libera valutazione del giudice e possono fornire utili elementi di
convincimento, con la precisazione che tale orientamento, in quanto
espressione di principi generali, risulta applicabile al processo
amministrativo ex art. 39, comma 1, c.p.a.).
Pertanto, sulla base delle risultanze documentali sopra indicate e delle
misurazioni eseguite in loco (essendo le colonne crollate ma ancora
sostanzialmente integre), il tecnico della ricorrente ha individuato la
pianta del fabbricato in un rettangolo di mt. 5,27 x 4,05, con una
superficie di mq. 21,34, ed ha conseguentemente calcolato il volume
dell’edificio preesistente in mc. 67,01 (cfr. la tavola 5 di progetto, doc.
8 ricorrente).
La planimetria catastale prodotta dal Comune (doc. 8 resistente), lungi dal
porsi in contrasto con la suddetta ricostruzione, ne costituisce anzi piena
conferma, in quanto raffigura, sulla particella 244, sia il manufatto con
pianta rettangolare, avente base e altezza di dimensioni quasi uguali, sia
il cortile antistante.
Tale elaborato planimetrico risulta quindi perfettamente concordante con i
risultati delle misurazioni del professionista, che, come si è detto, ha
determinato la superficie della pianta del manufatto in mq. 21,34,
nell’ambito della maggior superficie dell’intero mappale pari a mq. 29, in
quanto comprendente anche la corte esterna.
Né la suddetta planimetria contrasta con la dichiarazione delle danti causa,
secondo cui la pianta dell’edificio era di circa mt. 5 x 5, dal momento che
proprio tale elaborato catastale dimostra che la base e l’altezza della
pianta avevano dimensioni quasi uguali, sì da risultare visivamente molto
simili ai lati di un quadrato.
Per quanto riguarda l’altezza del fabbricato, i tre pilastri in c.l.a.
presenti in situ misurano mt. 3 e, pertanto, comprovano che tale era
l’altezza di gronda. L’altezza di colmo è stata invece individuata dal
tecnico in circa mt. 3,5, partendo dal dato oggettivo che l’inclinazione
delle tegole marsigliesi non è mai inferiore al 30% e procedendo alla
ricostruzione grafica sulla base di tale parametro (cfr. doc. 10
ricorrente).
Anche la rappresentazione del tetto, quindi, coincide perfettamente con la
dichiarazione delle precedenti proprietarie, secondo cui la copertura aveva
un’altezza massima di mt. 3,5.
Infine, come osservato da parte ricorrente, il Comune ha travisato
l’elaborato predisposto dal professionista, in quanto ha ritenuto che questi
abbia incluso nel computo del volume anche l’area corrispondente alla corte
esterna. Dalla tavola n. 5 (doc. 8 ricorrente) risulta invece palese che il
perito ha correttamente quantificato la cubatura del manufatto preesistente,
prendendo come base la sola pianta di mq. 21,34 (e non l’intera superficie
del mappale di mq. 29).
È pertanto evidente che il tecnico della deducente ha ricostruito la
volumetria dell’edificio diroccato in maniera attendibile e tecnicamente
verificabile, sulla base di documenti e dati oggettivi.
Per contro, il diniego dell’amministrazione resistente si fonda su
un’erronea lettura del progetto presentato dall’esponente e si risolve, in
sostanza, in un’interpretazione abrogante dell’art. 2, comma 1, lett. b),
della L.R. n. 49/2009.
2. In relazione a quanto precede, il ricorso si appalesa fondato e va,
dunque, accolto (TAR Liguria, Sez.
I,
sentenza 11.06.2020 n. 364 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Mentre
in precedenza la riedificazione di un rudere era qualificata
come nuova costruzione, la novella legislativa del
2013 ha allargato il concetto di ristrutturazione
all’ipotesi di edificio che non esiste più, ma di cui si
rinvengono resti sul territorio e di cui si può ricostruire
la consistenza originaria con un’indagine tecnica.
L’accertamento della consistenza iniziale del manufatto
demolito o crollato deve fondarsi su dati certi ed
obiettivi, quali, ad esempio, documentazione fotografica,
aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di
delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli
elementi essenziali dell’edificio diruto.
---------------
E'
certamente vero che l’accatastamento fa stato solo ai fini
fiscali. Tuttavia, dati, planimetrie e mappe catastali
possono comunque costituire un elemento di prova in ordine
alla situazione degli immobili, specialmente se, come nella
specie, si inseriscano in modo coerente nel materiale
probatorio acquisito agli atti.
Parimenti, in materia di dichiarazioni sostitutive di atto
di notorietà, la giurisprudenza ha chiarito che le stesse,
seppur non sufficienti, da sole, a costituire piena prova,
possono comunque assumere valore indiziario, contribuendo a
formare un quadro complessivo di elementi concordanti (in
generale, sull’ammissibilità delle dichiarazioni scritte di
terzi, si richiama la consolidata giurisprudenza civile in
materia di prove c.d. atipiche secondo cui tali scritti, pur
non avendo efficacia di prova testimoniale, sono rimessi
alla libera valutazione del giudice e possono fornire utili
elementi di convincimento, con la precisazione che tale
orientamento, in quanto espressione di principi generali,
risulta applicabile al processo amministrativo ex art. 39,
comma 1, c.p.a.).
---------------
1. Con i motivi I), II) e III) della narrativa in
fatto, la società ricorrente si duole che il Comune, in base
ad una scorretta interpretazione dell’art. 2, comma 1, lett.
b) della L.R. n. 49/2009, avrebbe negato rilievo alla
determinazione del volume del magazzino diroccato effettuata
dal proprio tecnico, travisando le risultanze documentali ed
i calcoli conseguentemente eseguiti.
Le censure sono fondate.
1.1. Al fine di promuovere l’adeguamento ed il rinnovo del
patrimonio edilizio, la L.R. n. 49/2009 (c.d. Piano casa)
consente una serie di interventi in deroga ai piani
urbanistici comunali, tra i quali la demolizione e
ricostruzione di fabbricati, con possibilità di incremento
fino al 35% della volumetria esistente (art. 7, comma 1).
In virtù dell’art. 2, comma 1, lett. b), della medesima L.R.
n. 49/2009 è suscettibile di intervento edilizio (nella
specie, di demo-ricostruzione) anche l’edificio diruto, vale
a dire quello “di cui parti, anche significative e
strutturali, siano andate distrutte nel tempo ma di cui sia
possibile documentare l’originario inviluppo volumetrico
complessivo e la originaria configurazione tipologica, a
fini della sua ricostruzione”.
La formulazione della norma è sostanzialmente analoga a
quella dell’art. 3, comma 1, lett. d), del d.p.r. n.
380/2001, nel testo modificato dall’art. 30 del d.l. n.
69/2013, conv. in l. n. 98/2013, che ricomprende fra gli
interventi di ristrutturazione anche quelli “volti al
ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione,
purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.
Come ha chiarito la giurisprudenza, mentre in precedenza la
riedificazione di un rudere era qualificata come nuova
costruzione, la novella legislativa del 2013 ha
allargato il concetto di ristrutturazione all’ipotesi
di edificio che non esiste più, ma di cui si rinvengono
resti sul territorio e di cui si può ricostruire la
consistenza originaria con un’indagine tecnica (in tal senso
cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 03.10.2019, n.
6654; TAR Toscana, sez. III, 26.05.2020, n. 631).
L’accertamento della consistenza iniziale del manufatto
demolito o crollato deve fondarsi su dati certi ed
obiettivi, quali, ad esempio, documentazione fotografica,
aerofotogrammetrie e mappe catastali, che consentano di
delineare, con un sufficiente grado di sicurezza, gli
elementi essenziali dell’edificio diruto (in tal senso cfr.
TAR Campania, Napoli, sez. II, 23.12.2019, n. 6098).
1.2. In applicazione dei richiamati principi, ritiene il
Collegio che la deducente abbia prodotto plurimi e coerenti
elementi che, oltre a costituire una chiara testimonianza
del manufatto sul territorio, permettono di individuarne in
maniera attendibile la pregressa effettiva consistenza.
In particolare, i seguenti documenti consentono di accertare
dimensioni e caratteristiche dell’edificio da ripristinare:
- la visura catastale della particella 244 del foglio 49
(doc. 10 ricorrente), classata quale ente urbano con
superficie di mq. 29;
- la mappa catastale del foglio 49 (doc. 2 ricorrente),
dalla quale risulta che sulla particella 244 insisteva un
fabbricato con antistante corte scoperta;
- i rilievi fotografici del rudere (doc. 6 ricorrente),
nei quali sono visibili, seppur rovinate a terra, tre delle
quattro colonne in cemento armato e le tegole del tetto in
laterizio alla marsigliese;
- le fotografie storiche (doc. 4 ricorrente), che, pur
riprendendo il rustico a lunga distanza, consentono comunque
di tratteggiarne la sagoma;
- le aerofotogrammetrie del 1975 (doc. 5 ricorrente),
nelle quali risulta distintamente riconoscibile il tetto a
due falde con copertura in tegole marsigliesi;
- la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà delle
due precedenti proprietarie (doc. 10 ricorrente), le quali
hanno attestato che il magazzino aveva una pianta di circa
mt. 5 x 5, era coperto da un tetto a due falde e aveva
un’altezza massima di mt. 3,5.
In proposito, prive di pregio sono le deduzioni della difesa
civica, secondo cui le risultanze catastali e la
dichiarazione sostitutiva sarebbero totalmente sfornite di
qualsivoglia valore probatorio.
Infatti, è certamente vero che l’accatastamento fa stato
solo ai fini fiscali. Tuttavia, dati, planimetrie e mappe
catastali possono comunque costituire un elemento di prova
in ordine alla situazione degli immobili (in argomento cfr.,
ex multis, Cons. St., sez. IV, 16.04.2015, n. 1957;
TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, 22.05.2020, n. 5424; TAR
Calabria, Catanzaro, sez. II, 05.05.2020, n. 780),
specialmente se, come nella specie, si inseriscano in modo
coerente nel materiale probatorio acquisito agli atti (in
generale, sulla sinergia tra risultanze catastali ed assetto
urbanistico-edilizio del territorio, cfr. Cons. St., sez. II,
08.04.2020, n. 2326).
Parimenti, in materia di dichiarazioni sostitutive di atto
di notorietà, la giurisprudenza ha chiarito che le stesse,
seppur non sufficienti, da sole, a costituire piena prova,
possono comunque assumere valore indiziario, contribuendo a
formare un quadro complessivo di elementi concordanti (in
tal senso cfr., ex aliis, Cons. St., sez. VI,
19.10.2018, n. 5988; TAR Liguria, sez. I, 27.05.2020, n.
327; TAR Piemonte, sez. II, 10.01.2018, n. 45; in generale,
sull’ammissibilità delle dichiarazioni scritte di terzi, si
richiama la consolidata giurisprudenza civile in materia di
prove c.d. atipiche, tra cui Cass. n. 792/2020 e n.
17932/2015, secondo cui tali scritti, pur non avendo
efficacia di prova testimoniale, sono rimessi alla libera
valutazione del giudice e possono fornire utili elementi di
convincimento, con la precisazione che tale orientamento, in
quanto espressione di principi generali, risulta applicabile
al processo amministrativo ex art. 39, comma 1, c.p.a.).
Pertanto, sulla base delle risultanze documentali sopra
indicate e delle misurazioni eseguite in loco (essendo le
colonne crollate ma ancora sostanzialmente integre), il
tecnico della ricorrente ha individuato la pianta del
fabbricato in un rettangolo di mt. 5,27x4,05, con una
superficie di mq. 21,34, ed ha conseguentemente calcolato il
volume dell’edificio preesistente in mc. 67,01 (cfr. la
tavola 5 di progetto, doc. 8 ricorrente).
La planimetria catastale prodotta dal Comune (doc. 8
resistente), lungi dal porsi in contrasto con la suddetta
ricostruzione, ne costituisce anzi piena conferma, in quanto
raffigura, sulla particella 244, sia il manufatto con pianta
rettangolare, avente base e altezza di dimensioni quasi
uguali, sia il cortile antistante.
Tale elaborato planimetrico risulta quindi perfettamente
concordante con i risultati delle misurazioni del
professionista, che, come si è detto, ha determinato la
superficie della pianta del manufatto in mq. 21,34,
nell’ambito della maggior superficie dell’intero mappale
pari a mq. 29, in quanto comprendente anche la corte
esterna.
Né la suddetta planimetria contrasta con la dichiarazione
delle danti causa, secondo cui la pianta dell’edificio era
di circa mt. 5x5, dal momento che proprio tale elaborato
catastale dimostra che la base e l’altezza della pianta
avevano dimensioni quasi uguali, sì da risultare visivamente
molto simili ai lati di un quadrato.
Per quanto riguarda l’altezza del fabbricato, i tre pilastri
in c.l.a. presenti in situ misurano mt. 3 e,
pertanto, comprovano che tale era l’altezza di gronda.
L’altezza di colmo è stata invece individuata dal tecnico in
circa mt. 3,5, partendo dal dato oggettivo che
l’inclinazione delle tegole marsigliesi non è mai inferiore
al 30% e procedendo alla ricostruzione grafica sulla base di
tale parametro (cfr. doc. 10 ricorrente).
Anche la rappresentazione del tetto, quindi, coincide
perfettamente con la dichiarazione delle precedenti
proprietarie, secondo cui la copertura aveva un’altezza
massima di mt. 3,5.
Infine, come osservato da parte ricorrente, il Comune ha
travisato l’elaborato predisposto dal professionista, in
quanto ha ritenuto che questi abbia incluso nel computo del
volume anche l’area corrispondente alla corte esterna. Dalla
tavola n. 5 (doc. 8 ricorrente) risulta invece palese che il
perito ha correttamente quantificato la cubatura del
manufatto preesistente, prendendo come base la sola pianta
di mq. 21,34 (e non l’intera superficie del mappale di mq.
29).
È pertanto evidente che il tecnico della deducente ha
ricostruito la volumetria dell’edificio diroccato in maniera
attendibile e tecnicamente verificabile, sulla base di
documenti e dati oggettivi.
Per contro, il diniego dell’amministrazione resistente si
fonda su un’erronea lettura del progetto presentato
dall’esponente e si risolve, in sostanza, in
un’interpretazione abrogante dell’art. 2, comma 1, lett. b),
della L.R. n. 49/2009.
2. In relazione a quanto precede, il ricorso si appalesa
fondato e va, dunque, accolto (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 11.06.2020 n. 364 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Perché
si possa configurare un intervento di ristrutturazione edilizia –che
oggi ricomprende anche l’attività di ripristino di edifici, o
parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro
ricostruzione– è necessario sia possibile accertare l’originaria
consistenza del manufatto edilizio, con il corollario che deve essere
esclusa in radice la riconducibilità dell’attività di ricostruzione di un
rudere nell’alveo della ristrutturazione edilizia “nel caso in cui manchino
elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche
dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto costituito da
alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente
solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture
orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente”.
In mancanza di sufficienti elementi strutturali non è infatti possibile
valutare la consistenza originaria dell’edificio da consolidare ed eventuali
ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un’area non edificata.
---------------
8.1 Con l’unico ordine di doglianze, la ricorrente contesta il
diniego di permesso di costruire in sanatoria impugnato laddove avrebbe
erroneamente qualificato l’intervento edilizio di cui alla istanza del 02.09.2016 come “nuova costruzione”, omettendo di fare applicazione
della disciplina vigente in materia di ristrutturazioni edilizie e di
interventi di restauro e risanamento conservativo.
8.2 La censura è priva di pregio.
8.3 Per indirizzo giurisprudenziale consolidato, pienamente condiviso dal
Collegio, perché si possa configurare un intervento di ristrutturazione
edilizia –che oggi ricomprende anche l’attività di ripristino di edifici, o
parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro
ricostruzione– è necessario sia possibile accertare l’originaria
consistenza del manufatto edilizio, con il corollario che deve essere
esclusa in radice la riconducibilità dell’attività di ricostruzione di un
rudere nell’alveo della ristrutturazione edilizia “nel caso in cui manchino
elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche
dell’edificio da recuperare: in particolare, un manufatto costituito da
alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente
solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture
orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente”
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 17.09.2019, n. 6188; Id. 21.10.2014,
n. 5174).
In mancanza di sufficienti elementi strutturali non è infatti possibile
valutare la consistenza originaria dell’edificio da consolidare ed eventuali
ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un’area non edificata (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 15.03.2016, n. 1025).
8.4 Traslando i superiori principi all’odierno gravame, le conclusioni cui
perviene il provvedimento di diniego impugnato sfuggono alle proposte
censure.
Ed invero, l’intervento edilizio oggetto della istanza di sanatoria
presentata dalla ricorrente aveva le caratteristiche di una nuova
costruzione ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e), del D.P.R. n. 380 del
2001 e non di una ristrutturazione edilizia.
In tal senso depongono le risultanze degli accertamenti istruttori eseguiti
dall’Amministrazione procedente, e segnatamente il verbale di sopralluogo
compiuto in data 06.09.2016 da personale dello Sportello Unico
Edilizia e della Polizia Municipale, da cui si evince che “sul rudere
oggetto dei lavori e nell’adiacente corte, in luogo di un mero
consolidamento delle strutture murarie si realizzavano opere murarie prima
non esistenti. In particolare la porzione sud del rudere veniva ricostruita
ed elevata uniformemente fino alla quota massima di ml. 4,50 dal piano di
calpestio (ml. 5,90 misurati dal piede della scarpata sud, sottostante)
ricostruendo una consistente parte del paramento murario. La struttura
realizzata si configura come struttura muraria in elevazione (superiore a m.
3) e non come consolidamento di muratura esistente di cui alla iniziale CILA
prot. 35034/2016)”. Dal medesimo verbale risulta che sulla struttura muraria
in elevazione veniva realizzato un pergolato di 19,18 mq, inserito in un
contesto di opere di sistemazione del terreno fatte di nuova pavimentazione,
gradini e muri perimetrali.
Dalla documentazione fotografica della Polizia Municipale, acquisita al
procedimento e versata in atti, si evince altresì che prima dell’intervento
edilizio oggetto della istanza di sanatoria esisteva in loco esclusivamente
il rudere di una porzione di muro sul solo lato sud di un vecchio
fabbricato. Poiché tale rudere, per caratteristiche dimensionali, non
permetteva di risalire all’originaria consistenza del vecchio fabbricato
(ampiezza ed altezza), ne discende, in ossequio ai ricordati indirizzi
giurisprudenziali, l’impossibilità di fare nella specie applicazione della
disciplina della ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1, lett.
d), del D.P.R. n. 380 del 2001.
In altri termini, come correttamente dedotto dal Ministero riferente, la
ricostruzione di un rudere può essere ascritta alla ristrutturazione
edilizia soltanto se preesistano all’intervento le caratteristiche
dimensionali e strutturali dell’organismo edilizio originario che si intende
recuperare. Non nei casi in cui, come nella vicenda controversa, il rudere
consisteva nella rimanenza di un muro perimetrale, insistente soltanto su
uno dei quattro lati, privo di copertura e di strutture orizzontali. In tale
evenienza, deve essere difatti negata in radice la stessa preesistenza di un
organismo edilizio e, pertanto, deve ritenersi preclusa l’applicazione della
disciplina relativa alle ristrutturazioni edilizie.
8.5 Per gli argomenti che precedono, l’Amministrazione comunale ha
correttamente qualificato l’intervento edilizio oggetto dell’istanza di
permesso di costruire in sanatoria come “nuova costruzione”, facendo
conseguente applicazione della relativa disciplina sulle distanze dai
confini e dai fabbricati (Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 08.06.2020 n. 1095 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il “ripristino” di edifici,
per integrare ristrutturazione edilizia, richiede l’esistenza almeno di un
rudere o comunque di resti attestanti la passata presenza dell’edificio e
comportanti un impegno di suolo ancora in essere, a prescindere dalla loro
incapacità di rivelare la consistenza originaria dell’immobile, cui sia
necessario pervenire attraverso un’indagine storico-tecnica.
Nel vigore del testo originario dell’art. 3 DPR
380/2001, la giurisprudenza riteneva che, per aversi ristrutturazione
edilizia, fosse comunque necessaria la preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare, cioè di un fabbricato dotato di quelle componenti essenziali
–murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura– idonee come tali
ad assicurargli un minimo di consistenza ed a farlo giudicare presente nella
realtà materiale. La ricostruzione di ruderi, vale a dire residui edilizi
inidonei a identificare i connotati essenziali dell’edificio, veniva
pertanto ricondotta nell’alveo della nuova costruzione, non rilevando in
contrario la possibilità di risalire attraverso complesse indagini tecniche
all’originaria consistenza di un manufatto oramai non più esistente come
tale.
Tale indirizzo sembra destinato al superamento alla luce dell’intervento
legislativo che ha esteso l’ambito della ristrutturazione alle ipotesi di
ricostruzione di edifici, anche ridotti a rudere, dei quali sia possibile
risalire alla consistenza iniziale. Tuttavia, il collegio ritiene che, per
quanto allargato, il concetto di ristrutturazione non possa ontologicamente
prescindere quantomeno dall’apprezzabile traccia di una costruzione
preesistente, mancando la quale non si ravvisa il tratto distintivo
fondamentale che caratterizza la ristrutturazione rispetto alla nuova
edificazione e che è rappresentato, a norma della definizione generale
dettata dall’art. 3 d.P.R. n. 380/2001, dalla “trasformazione” di organismi
edilizi, la quale presuppone che l’intervento si riferisca a una porzione di
territorio a sua volta già compiutamente trasformata.
Connaturata alla ristrutturazione edilizia è la ragion d’essere del recupero
e della riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, strumentale alla
sempre più avvertita esigenza di contenere il consumo di suolo. E tale è la
ratio sottesa allo stesso art. 30 del d.l. n. 69/2013, come si ricava dai
lavori preparatori e, segnatamente, dalla relazione illustrativa del
decreto-legge, che dà conto della volontà del legislatore di estendere il
campo applicativo della ristrutturazione, includendovi anche la
ricostruzione degli edifici crollati o demoliti, proprio in vista
dell’obiettivo di evitare per quanto possibile l’ulteriore consumo del
territorio (“Al fine di favorire la riqualificazione del patrimonio edilizio
esistente ed evitare ulteriore consumo del territorio, si agevolano gli
interventi di ristrutturazione edilizia volti a ricostruire un edificio con
il medesimo volume dell'edificio demolito, ma anche con sagoma diversa dal
precedente, e si ricomprendono tra gli interventi di demolizione e
ricostruzione classificati come interventi di ristrutturazione edilizia
anche quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile
accertarne la preesistente consistenza”).
Se così è, il testo novellato dell’art. 3 d.P.R. n. 380/2001 deve essere
letto nel senso che il “ripristino” di edifici, per integrare
ristrutturazione, richieda l’esistenza almeno di un rudere o comunque di
resti attestanti la passata presenza dell’edificio e comportanti un impegno
di suolo ancora in essere, a prescindere dalla loro incapacità di rivelare
la consistenza originaria dell’immobile, cui sia necessario pervenire
attraverso un’indagine storico-tecnica.
---------------
2.4. Il ricorso è infondato.
2.4.1. Il provvedimento impugnato riposa su un assunto di fondo: che
l’intervento proposto dalla società ricorrente debba essere qualificato in
termini di nuova costruzione, e non di ristrutturazione edilizia, avuto
riguardo alla situazione di fatto consolidatasi a seguito dell’avvenuta
demolizione o crollo, sin dalla seconda metà degli anni ’60, del ponticello
preesistente.
Sul punto specifico, la ricorrente invoca di contro l’art. 3, co. 1, lett.
d), del d.P.R. n. 380/2001, che, nel testo modificato dall’art. 30 del d.l.
n. 69/2013, ammetterebbe la ricostruzione anche degli edifici crollati o
demoliti dei quali non siano rimaste tracce, a condizione che sia possibile
risalire alla loro consistenza originaria e indipendentemente dal tempo
trascorso dal crollo o dalla demolizione.
In effetti, a seguito della novella del 2013, l’art. 3 del d.P.R. n.
380/2001 include fra gli interventi di ristrutturazione edilizia il “ripristino
di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso
la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente
consistenza”, all’ulteriore condizione, per gli immobili sottoposti a
vincoli, che sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente.
Correlativamente, l’art. 134, co. 1, della legge urbanistica toscana n.
65/2014 qualifica oggi come interventi di “ristrutturazione edilizia
ricostruttiva” quelli consistenti nel “ripristino di edifici, o parti
di essi, crollati o demoliti, previo accertamento della originaria
consistenza e configurazione” (lett. h), dai quali distingue “il
ripristino di edifici, o parti di essi, crollati o demoliti, previo
accertamento della originaria consistenza e configurazione, attraverso
interventi di ricostruzione comportanti modifiche della sagoma originaria,
laddove si tratti di immobili sottoposti ai vincoli di cui al Codice”
(lett. i).
Nel vigore del testo originario dell’art. 3 cit., la giurisprudenza riteneva
che, per aversi ristrutturazione edilizia, fosse comunque necessaria la
preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, cioè di un fabbricato dotato
di quelle componenti essenziali –murature perimetrali, strutture orizzontali
e copertura– idonee come tali ad assicurargli un minimo di consistenza ed a
farlo giudicare presente nella realtà materiale. La ricostruzione di ruderi,
vale a dire residui edilizi inidonei a identificare i connotati essenziali
dell’edificio, veniva pertanto ricondotta nell’alveo della nuova
costruzione, non rilevando in contrario la possibilità di risalire
attraverso complesse indagini tecniche all’originaria consistenza di un
manufatto oramai non più esistente come tale (per tutte, cfr. Cons. Stato,
sez. VI, 05.12.2016, n. 5106, e i numerosi precedenti ivi citati).
Tale indirizzo sembra destinato al superamento alla luce dell’intervento
legislativo che ha esteso l’ambito della ristrutturazione alle ipotesi di
ricostruzione di edifici, anche ridotti a rudere, dei quali sia possibile
risalire alla consistenza iniziale. Tuttavia, il collegio ritiene che, per
quanto allargato, il concetto di ristrutturazione non possa ontologicamente
prescindere quantomeno dall’apprezzabile traccia di una costruzione
preesistente, mancando la quale non si ravvisa il tratto distintivo
fondamentale che caratterizza la ristrutturazione rispetto alla nuova
edificazione e che è rappresentato, a norma della definizione generale
dettata dall’art. 3 d.P.R. n. 380/2001, dalla “trasformazione” di
organismi edilizi, la quale presuppone che l’intervento si riferisca a una
porzione di territorio a sua volta già compiutamente trasformata (da ultimo,
cfr. Cons. Stato, sez. IV, 04.02.2020, n. 907).
Connaturata alla ristrutturazione edilizia è la ragion d’essere del recupero
e della riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, strumentale alla
sempre più avvertita esigenza di contenere il consumo di suolo. E tale è la
ratio sottesa allo stesso art. 30 del d.l. n. 69/2013, come si ricava
dai lavori preparatori e, segnatamente, dalla relazione illustrativa del
decreto-legge, che dà conto della volontà del legislatore di estendere il
campo applicativo della ristrutturazione, includendovi anche la
ricostruzione degli edifici crollati o demoliti, proprio in vista
dell’obiettivo di evitare per quanto possibile l’ulteriore consumo del
territorio (“Al fine di favorire la riqualificazione del patrimonio
edilizio esistente ed evitare ulteriore consumo del territorio, si agevolano
gli interventi di ristrutturazione edilizia volti a ricostruire un edificio
con il medesimo volume dell'edificio demolito, ma anche con sagoma diversa
dal precedente, e si ricomprendono tra gli interventi di demolizione e
ricostruzione classificati come interventi di ristrutturazione edilizia
anche quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile
accertarne la preesistente consistenza”).
Se così è, il testo novellato dell’art. 3 d.P.R. n. 380/2001 deve essere
letto nel senso che il “ripristino” di edifici, per integrare
ristrutturazione, richieda l’esistenza almeno di un rudere o comunque di
resti attestanti la passata presenza dell’edificio e comportanti un impegno
di suolo ancora in essere, a prescindere dalla loro incapacità di rivelare
la consistenza originaria dell’immobile, cui sia necessario pervenire
attraverso un’indagine storico-tecnica.
La conclusione non è smentita dalla giurisprudenza richiamata dalla
ricorrente, la quale, pur tratteggiando in termini generali i nuovi confini
della ristrutturazione edilizia a seguito del d.l. n. 69/2013, nel caso
concreto si trova a fare applicazione della disciplina anteriore e perciò
non approfondisce in fatto il tema della consistenza dei resti della
costruzione crollata (tema irrilevante ai fini di quella decisione, stante
la tradizionale equivalenza fra “rudere” ed “edificio non più
esistente” stabilita dall’interpretazione pretoria nel regime ante d.l.
n. 69/2013: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 03.10.2019, n. 6654, la quale, per di
più, riguarda il caso di un edificio ricostruito nella quasi immediatezza
del crollo)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 26.05.2020 n. 631 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sembra opportuno richiamare l'evoluzione normativa e giurisprudenziale in
materia di "ristrutturazione" avente ad oggetto un "rudere".
Prima della modifica legislativa intervenuta nel 2013, la formulazione
dell'art. 3 D.P.R. n. 380/2001 non apriva alla possibilità di ricondurre la
ricostruzione di un rudere entro la nozione di ristrutturazione, venendo al
contrario qualificata come intervento del tutto nuovo per il quale,
pertanto, doveva ritenersi indefettibile la sussistenza del permesso di
costruire.
In seguito alla modifica del suddetto art. 3, lett. d), con il c.d. Decreto
"del fare" (D.L. n. 69/2013), il concetto di ristrutturazione è stato
ampliato, limitando l'obbligo del rispetto della sagoma ai soli immobili
vincolati ai sensi del D.lgs. n. 42/2004, introducendo la possibilità di
ristrutturazione degli edifici crollati o demoliti.
La disposizione in esame, nella formulazione attualmente vigente, definisce
come "interventi di ristrutturazione edilizia" quelli «rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere
che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di
alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella
demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente,
fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica, nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché
sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che,
con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del dlgs 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di
demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici
crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia
soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente».
Il testo della norma consente di individuare due distinte ipotesi di
ristrutturazione:
- la prima attiene ad una tipologia di intervento che può
comportare il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, nonché l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti;
- la seconda, invece, considera la possibilità della
demolizione e ricostruzione nel rispetto dell'originaria volumetria ed, in
presenza di vincolo, anche della sagoma.
La giurisprudenza amministrativa ha denominato la prima ristrutturazione
"conservativa" e la seconda ristrutturazione "ricostruttiva".
Questa Corte, inoltre, ha avuto modo di precisare che, considerata la
disciplina vigente, gli interventi di ristrutturazione edilizia consistenti
nel ripristino o nella ricostruzione di edifici o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti, debbono ritenersi assoggettati a permesso
di costruire se non è possibile accertare la preesistente volumetria delle
opere, le quali, qualora ricadano in zona paesaggisticamente vincolata,
hanno l'obbligo di rispettare anche la precedente sagoma dell'edificio.
Diversamente, sono assoggettati alla procedura semplificata della SCIA gli
interventi aventi ad oggetto opere non rientranti in zona paesaggisticamente
vincolata, rispettando la preesistente volumetria, anche ove venga
modificata la sagoma dell'edificio.
---------------
2.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di cui
all'art. 606, lett. b) c.p.p. in relazione agli artt. 3, co. 1, lett. b) e/o
d), 10, 22, 23 D.P.R. n. 380/2001, nella parte in cui si disapplicano i
criteri imposti dalla predetta normativa, ai fini del riconoscimento della
tipologia di ristrutturazione de quo senza variazione di volume.
Si censura, in quanto contrario all'art. 3, co. 1, lett. b) e/o d), D.P.R.
n. 380/2001, l'apprezzamento operato dal giudice del riesame circa la non
riconducibilità dell'intervento edilizio alla tipologia della "manutenzione
straordinaria" e/o della "ristrutturazione edilizia" in conseguenza della
diversità di sagome dell'edificato risultante dai lavori eseguiti. Sia la
lett. b) che la lett. d) del summenzionato art. 3 escluderebbero, infatti,
l'apprezzabilità della sagoma ai fini della qualificazione dell'intervento
quale manutenzione straordinaria o ristrutturazione edilizia. Elemento da
valutare sarebbe infatti la sola volumetria.
Erroneamente, pertanto, il Tribunale di Messina avrebbe posto in essere una
comparazione tra la forma della pianta e la superficie della stessa, essendo
tali parametri sconosciuti alla disciplina di riferimento sopra richiamata.
Il ricorrente richiama, inoltre, l'art. 10, d.P.R. n. 380/2001 il quale, nel
catalogare gli interventi subordinati a permesso di costruire, vi riconduce
le ristrutturazioni che "comportino modifiche della volumetria
complessiva degli edifici" ovvero che "non comportino modificazioni
della sagoma" relativamente agli immobili "sottoposti a vincoli ai
sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42". Tra questi ultimi non
rientrerebbe quello oggetto del presente giudizio.
In ogni caso, ad avviso del ricorrente, ove vi fosse stata una modifica
della volumetria tra l'esistente ed il ristrutturato, l'intervento sarebbe
da ritenere legittimo in ragione dell'avvenuta presentazione della SCIA ai
sensi dell'art. 23, co. 1, lett. a), D.P.R. n. 380/2001. L'ordinanza sarebbe
dunque illegittima nella parte in cui sostituisce all'accertamento circa la
corrispondenza della volumetria il parametro della superficie e della
sagoma.
...
5. Non merita accoglimento anche il secondo motivo del ricorso.
Sembra opportuno richiamare l'evoluzione normativa e giurisprudenziale in
materia di "ristrutturazione" avente ad oggetto un "rudere".
Prima della modifica legislativa intervenuta nel 2013, la formulazione
dell'art. 3 D.P.R. n. 380/2001 non apriva alla possibilità di ricondurre la
ricostruzione di un rudere entro la nozione di ristrutturazione, venendo al
contrario qualificata come intervento del tutto nuovo per il quale,
pertanto, doveva ritenersi indefettibile la sussistenza del permesso di
costruire (Cass., Sez. III, 26.10.2007, n. 45240; Cass., Sez. III,
23.01.2007, n. 15054; Cass., Sez. III, 13.01.2006, n. 20776).
In seguito alla modifica del suddetto art. 3, lett. d), con il c.d. Decreto
"del fare" (D.L. n. 69/2013), il concetto di ristrutturazione è stato
ampliato, limitando l'obbligo del rispetto della sagoma ai soli immobili
vincolati ai sensi del D.lgs. n. 42/2004, introducendo la possibilità di
ristrutturazione degli edifici crollati o demoliti.
La disposizione in esame, nella formulazione attualmente vigente, definisce
come "interventi di ristrutturazione edilizia" quelli «rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere
che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di
alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella
demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente,
fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica, nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché
sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che,
con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di
demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici
crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia
soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente».
Il testo della norma consente di individuare due distinte ipotesi di
ristrutturazione:
- la prima attiene ad una tipologia di intervento che può
comportare il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, nonché l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti;
- la seconda, invece, considera la possibilità della
demolizione e ricostruzione nel rispetto dell'originaria volumetria ed, in
presenza di vincolo, anche della sagoma.
La giurisprudenza amministrativa ha denominato la prima ristrutturazione
"conservativa" e la seconda ristrutturazione "ricostruttiva"
(Cons. di Stato, Sez. V, 05.12.2014, n. 5988).
Questa Corte, inoltre, ha avuto modo di precisare che, considerata la
disciplina vigente, gli interventi di ristrutturazione edilizia consistenti
nel ripristino o nella ricostruzione di edifici o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti, debbono ritenersi assoggettati a permesso
di costruire se non è possibile accertare la preesistente volumetria delle
opere, le quali, qualora ricadano in zona paesaggisticamente vincolata,
hanno l'obbligo di rispettare anche la precedente sagoma dell'edificio.
Diversamente, sono assoggettati alla procedura semplificata della SCIA gli
interventi aventi ad oggetto opere non rientranti in zona paesaggisticamente
vincolata, rispettando la preesistente volumetria, anche ove venga
modificata la sagoma dell'edificio (Cass., Sez. III, 03.06.2014, n. 40342) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 28.04.2020 n. 13148). |
EDILIZIA PRIVATA:
Integra i reati di cui agli artt. 44 del
d.P.R. n. 380 del 2001 e 181 del d.lgs. n. 42 del 2004 la
ricostruzione di un "rudere" senza il preventivo rilascio
del permesso di costruire e dell'autorizzazione
paesaggistica, sia perché trattasi di intervento di nuova
costruzione e non di ristrutturazione di un edificio
preesistente, dovendo intendersi per quest'ultimo un
organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture
orizzontali e copertura, sia perché non è applicabile l'art.
30 del D.L. n. 69 del 2013 (conv. in legge n. 98 del 2013),
che, per assoggettare gli interventi di ripristino o di
ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, al regime semplificato della S.C.I.A.
richiede, nelle zone vincolate, l'esistenza dei connotati
essenziali di un edificio (pareti, solai e tetto), o, in
alternativa, l'accertamento della preesistente consistenza
dell'immobile in base a riscontri documentali, alla verifica
dimensionale del sito o ad altri elementi certi e
verificabili, nonché, in ogni caso, il rispetto della sagoma
della precedente struttura.
---------------
Né assume rilievo la deduzione difensiva che sul luogo della
edificazione esistesse "un rudere", in quanto i
Giudici di merito hanno rimarcato che non risultava fornita
la prova né dell'esistenza del vecchio fabbricato né della
sua consistenza, che sarebbe dovuta rimanere inalterata
nella sagoma e nel volume.
Va ricordato che questa Corte ha affermato che integra i
reati di cui agli artt. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 181
del d.lgs. n. 42 del 2004 la ricostruzione di un "rudere"
senza il preventivo rilascio del permesso di costruire e
dell'autorizzazione paesaggistica, sia perché trattasi di
intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione di
un edificio preesistente, dovendo intendersi per quest'ultimo
un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture
orizzontali e copertura, sia perché non è applicabile l'art.
30 del D.L. n. 69 del 2013 (conv. in legge n. 98 del 2013),
che, per assoggettare gli interventi di ripristino o di
ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, al regime semplificato della S.C.I.A.
richiede, nelle zone vincolate, l'esistenza dei connotati
essenziali di un edificio (pareti, solai e tetto), o, in
alternativa, l'accertamento della preesistente consistenza
dell'immobile in base a riscontri documentali, alla verifica
dimensionale del sito o ad altri elementi certi e
verificabili, nonché, in ogni caso, il rispetto della sagoma
della precedente struttura (Sez. 3, n. 40342 del 03/06/2014,
Rv. 260552 - 01) (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 17.04.2020 n. 12388). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Parere in merito alla possibilità di ricostruire
fabbricati non più esistenti di cui non si conoscono le
altezze originarie - Comune di Spigno Saturnia (Regione
Lazio,
nota 23.01.2020 n. 62118 di prot.). |
anno 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Ciò
che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione
è la già avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione
di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di
un "insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente"), ovvero la cui stessa
struttura fisica venga del tutto sostituita, ma -in quest'ultimo caso- con
ricostruzione, se non "fedele", comunque rispettosa della volumetria e,
nell'ipotesi di immobili vincolati, anche della sagoma della costruzione
preesistente.
Infatti, rientrano nella nozione di nuova costruzione non solo
l'edificazione di un manufatto su un'area libera, ma anche gli interventi di
ristrutturazione che, in ragione dell'entità delle modifiche apportate al
volume e alla collocazione del fabbricato, rendano l'opera realizzata nel
suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente.
È stato affermato in proposito che “La ristrutturazione edilizia
presuppone come elemento indispensabile la preesistenza del fabbricato nella
consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed architettoniche
proprie del manufatto che si vuole ricostruire”; non è sufficiente che si
dimostri che un immobile in parte poi crollato o demolito è esistente, ma è
necessario che si dimostri oltre all'an anche il quantum, cioè l'esatta
consistenza dell'immobile preesistente del quale si chiede la ricostruzione.
Occorre, quindi, la possibilità di procedere, con un sufficiente grado di
certezza, alla ricognizione degli elementi strutturali dell'edificio, in
modo tale che, seppur non necessariamente "abitato" o "abitabile", esso
possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali come
identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione (in casi
analoghi la giurisprudenza ha preteso che l'immobile esista quanto meno in
quelle strutture essenziali che, assicurandogli un minimo di consistenza,
possano farlo giudicare presente nella realtà materiale).
Del resto la c.d. demo-ricostruzione -ovvero un'incisiva forma di recupero
di preesistenze comunque assimilabile alla ristrutturazione edilizia-
tradizionalmente pretende la pressoché fedele ricostruzione di un fabbricato
identico a quello già esistente, dalla cui strutturale identificabilità,
come organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, non si può dunque, in ogni caso, prescindere.
L'attività di ricostruzione di ruderi deve considerarsi, a tutti gli
effetti, realizzazione di una nuova costruzione, avendo questi perduto i
caratteri dell'entità urbanistico-edilizia originaria sia in termini
strutturali che funzionali; imprescindibile condizione perché sia possibile
accertare la preesistente consistenza di ciò che si è demolito o è crollato,
è che tale accertamento venga effettuato con il massimo rigore e si fondi su
dati certi ed obiettivi, quali documentazione fotografica, cartografie, etc.,
in base ai quali sia inequivocabilmente individuabile la consistenza del
manufatto preesistente, e non dunque "studi storici" o rilevazioni inerenti
ad edifici simili che presentino maggiori elementi identificativi della
struttura per delineare la consistenza del manufatto crollato.
In definitiva, non è sufficiente che si dimostri che un immobile in parte
poi crollato o demolito è esistente, ma è necessario che si dimostri oltre
all'an anche il quantum, cioè l'esatta consistenza dell'immobile
preesistente del quale si chiede la ricostruzione; bisogna procedere, con un
sufficiente grado di certezza, alla ricognizione degli elementi strutturali
dell'edificio.
---------------
... per l'annullamento, previa sospensione, del provvedimento 20/06/2018
prot. n. 2748 di diniego della richiesta di permesso di costruire prot. n.
1665 dell’11/04/2018; del preavviso di diniego 29/05/2018 prot. n. 2387,
nonché degli atti presupposti.
...
1. Con il ricorso in esame parte ricorrente deduce la violazione dell’art.
3, comma 1, lett. d), del DPR n. 380/2001, della Legge n. 241/1990, nonché
l’eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria.
2. Il Collegio, preso atto della rinuncia di parte ricorrente
all’applicazione dell’art. 7, comma 8-bis, della L.R. n. 19/2009 e della
concentrazione del provvedimento di diniego sul rimanente motivo, ritiene in
via preliminare, quanto alla normativa rilevante ai fini del decidere, di
osservare che il D.L. n. 69/2013 (conosciuto anche come "Decreto del fare"),
convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 98/2013, intervenendo sul DPR
n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d), ha considerevolmente ampliato il
concetto di ristrutturazione, limitando l'obbligo del rispetto della sagoma
ai soli immobili vincolati ed introducendo la possibilità di
ristrutturazione degli edifici crollati o demoliti.
Oggi gli interventi di ristrutturazione sono essenzialmente quelli "rivolti
a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere
che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di
alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella
demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente,
fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica, nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché
sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con
riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del D.Lgs.
22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione
e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o
demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove
sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente".
2.1 E’ ben chiaro a questo Organo giudicante che ciò che contraddistingue la
ristrutturazione dalla nuova edificazione è la già avvenuta
trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si
conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un "insieme
sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o
in parte diverso dal precedente"), ovvero la cui stessa struttura fisica
venga del tutto sostituita, ma -in quest'ultimo caso- con ricostruzione, se
non "fedele", comunque rispettosa della volumetria e, nell'ipotesi di
immobili vincolati, anche della sagoma della costruzione preesistente.
Infatti, rientrano nella nozione di nuova costruzione non solo
l'edificazione di un manufatto su un'area libera, ma anche gli interventi di
ristrutturazione che, in ragione dell'entità delle modifiche apportate al
volume e alla collocazione del fabbricato, rendano l'opera realizzata nel
suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente (Cass. civile,
II, 30/06/2017, n. 16268).
È stato affermato in proposito che “La ristrutturazione edilizia
presuppone come elemento indispensabile la preesistenza del fabbricato nella
consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed architettoniche
proprie del manufatto che si vuole ricostruire” (Cons. Stato, IV,
15/09/2006, n. 5375); non è sufficiente che si dimostri che un immobile in
parte poi crollato o demolito è esistente, ma è necessario che si dimostri
oltre all'an anche il quantum, cioè l'esatta consistenza
dell'immobile preesistente del quale si chiede la ricostruzione.
Occorre, quindi, la possibilità di procedere, con un sufficiente grado di
certezza, alla ricognizione degli elementi strutturali dell'edificio, in
modo tale che, seppur non necessariamente "abitato" o "abitabile",
esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali come
identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione (in casi
analoghi la giurisprudenza ha preteso che l'immobile esista quanto meno in
quelle strutture essenziali che, assicurandogli un minimo di consistenza,
possano farlo giudicare presente nella realtà materiale: Cons. Stato, V,
21/10/2014, n. 5174; 15/03/1990, n. 293; 20/12/1985, n. 485).
2.2 Del resto la c.d. demo-ricostruzione -ovvero un'incisiva forma di
recupero di preesistenze comunque assimilabile alla ristrutturazione
edilizia- tradizionalmente pretende la pressoché fedele ricostruzione di un
fabbricato identico a quello già esistente, dalla cui strutturale identificabilità, come organismo edilizio dotato di mura perimetrali,
strutture orizzontali e copertura, non si può dunque, in ogni caso,
prescindere (Cons. Stato, V, 10/02/2004, n. 475).
L'attività di ricostruzione di ruderi deve considerarsi, a tutti gli
effetti, realizzazione di una nuova costruzione, avendo questi perduto i
caratteri dell'entità urbanistico-edilizia originaria sia in termini
strutturali che funzionali (Cons. Stato, VI, 05/12/2016, n. 5106);
imprescindibile condizione perché sia possibile accertare la preesistente
consistenza di ciò che si è demolito o è crollato, è che tale accertamento
venga effettuato con il massimo rigore e si fondi su dati certi ed
obiettivi, quali documentazione fotografica, cartografie, etc., in base ai
quali sia inequivocabilmente individuabile la consistenza del manufatto
preesistente, e non dunque "studi storici" o rilevazioni inerenti ad
edifici simili che presentino maggiori elementi identificativi della
struttura per delineare la consistenza del manufatto crollato.
In definitiva, non è sufficiente che si dimostri che un immobile in parte
poi crollato o demolito è esistente, ma è necessario che si dimostri oltre
all'an anche il quantum, cioè l'esatta consistenza
dell'immobile preesistente del quale si chiede la ricostruzione; bisogna
procedere, con un sufficiente grado di certezza, alla ricognizione degli
elementi strutturali dell'edificio.
3. Ciò premesso, l'onere della prova dell'ultimazione entro una certa data
di un'opera edilizia abusiva, allo scopo di dimostrare che essa rientra fra
quelle per le quali si può ottenere una sanatoria speciale, ovvero fra
quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis, incombe
sul privato a ciò interessato, unico soggetto ad essere nella disponibilità
di documenti e di elementi di prova in grado di dimostrare con ragionevole
certezza l'epoca di realizzazione del manufatto (cfr. Cons. Stato, VI,
05/03/2018, n. 1391).
Accade che il privato da un lato porti a sostegno della propria tesi
sulla realizzazione dell'intervento prima del 1967 elementi non implausibili
(aeorofotgrammetrie e dichiarazioni sostitutive di edificazione ante
01/09/1967) e, dall'altro, il Comune fornisca elementi incerti in
ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di
titolo edilizio.
Nella fattispecie, ciò ai fini dell’accoglimento del ricorso, parte
ricorrente ha fornito elementi quali:
- la planimetria catastale richiamata nell’atto pubblico del
24/10/1996 che comprova la reale consistenza in scala 1:200 dell’immobile
oggetto dell’intervento di ristrutturazione edilizia, ovvero piano terra e
primo piano rispettivamente di altezza mt. 3,80 e 3,70;
- la specificazione sempre in detto atto che il fabbricato è
composto di nove vani tra piano terra e primo piano;
- i rilievi fotografici dello stato di fatto indicati nella stessa
tavola in cui si nota che l’altezza dei muri perimetrali è maggiore dei mt.
3,80 del piano terra;
- la ricostruzione grafica dell’immobile sulla base dei voli
effettuati dall’Aeronautica militare.
3.1 Il Collegio con tali premesse, come peraltro ritenuto al concorrere di
simili presupposti da giurisprudenza (Cons. Stato, VI, 19/10/2018, n. 5988)
richiamata da parte ricorrente, è dell’avviso che, conformemente ai principi
sopra richiamati, la parte privata abbia fornito una serie di elementi
coerenti e plurimi in ordine alla consistenza dell'immobile preesistente,
previa ricognizione degli elementi strutturali dell'edificio, risultando
integrate le caratteristiche essenziali minime per poter essere oggetto di
un intervento di ristrutturazione.
Rispetto a tali elementi, non risulta che il Comune abbia svolto il
necessario approfondimento istruttorio e motivazionale, essendosi limitato a
formule generiche e sostanzialmente di stile; in pratica, dopo che
successivamente al preavviso di diniego del 29/05/2018 parte ricorrente
aveva rinunciato alla volumetria aggiuntiva dichiarando di voler rispettare
la sagoma ed il preesistente posizionamento sull’area di sedime, nella parte
dispositiva del provvedimento definitivo del 20/06/2018 (pag. 3) si è
insistito nel sottolineare ai punti 1.b) e 1.c) la non applicabilità della
L.R. n. 19/2009, ormai non più rilevante, mentre, al contrario, non sono
state puntualmente esplicitate le ragioni giuridiche a giustificazione della
reiezione a seguito di un’istruttoria che non poteva prescindere dai
sopraindicati documenti forniti dall’istante, non risultando così possibile
verificare l’avvenuto rispetto dei limiti della discrezionalità e della
giustificata restrizione della sfera giuridica della parte privata.
Inoltre, si è genericamente asserito che lo stabile sarebbe stato demolito
tra il 1981 ed il 1982, laddove tale assunto è smentito in atti, ove si
consideri che il fabbricato è tutt’oggi presente nella sua realtà materiale;
semmai una parte era stata oggetto di demolizione nell’ambito di un
procedimento di espropriazione finalizzato all’ampliamento della confinante
strada Madonna della Neve, ma trattasi di sezione che non era stata oggetto
di valutazione ai fini del calcolo della volumetria assentibile.
3.2 In altri termini, a fronte dei plurimi e coerenti documenti in ordine
alla consistenza dell'immobile preesistente, il Comune ha erroneamente
valutato che nelle controversie in materia edilizia, soggette alla
giurisdizione del giudice amministrativo, i principi di prova oggettivi
concernenti la collocazione dei manufatti, tanto nello spazio quanto nel
tempo, si rinvengono nei ruderi, nelle fondamenta, nelle aerofotogrammetrie
e nelle mappe catastali, ragion per cui la prova dell'epoca di realizzazione
si desume da dati oggettivi in ordine ai quali è onere del privato, che
contesti il dato dell'Amministrazione, fornire prova rigorosa della diversa
epoca di realizzazione dell'immobile, superando quella fornita dalla parte
pubblica (Cons. Stato, IV, 09/02/2016, n. 511).
Nel caso di specie, in particolare, la Pubblica Amministrazione non ha
fornito la necessaria prova, limitandosi a valutare come irrilevanti gli
elementi concreti forniti attraverso formule di stile non sufficienti alla
luce dei principi sopra richiamati, ciò sul presupposto che oggi sarebbe
presente solo parte della muratura perimetrale e l’intervento richiesto
ricadrebbe nella categoria della nuova costruzione.
4. In conclusione, il ricorso deve essere accolto con conseguente
annullamento dei provvedimenti oggetto di impugnazione (TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 23.12.2019 n. 6098 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: A
seguito della modifica legislativa, dovuta al d.l. 21.07.2013 n. 69, che ha
inserito nella lett. d) del comma 1 dell’art. 3 T.U.ED. il riferimento agli
interventi “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione” quest'ultimi, ad
oggi, rientrano nel concetto di "ristrutturazione edilizia" “purché sia
possibile accertarne la preesistente consistenza”.
Rispetto al regime previgente, quindi, il concetto di "ristrutturazione
edilizia" è stato allargato al caso di edificio che più non esiste, di cui
però la consistenza originaria si può ricostruire, evidentemente con
un’indagine tecnica, ipotesi che la giurisprudenza in precedenza escludeva.
---------------
1. L’appello è fondato e va accolto, ai sensi e nei limiti di quanto segue.
2. Il primo motivo di appello, centrato in sintesi sulla
impossibilità di assentire la costruzione sanata in base alle norme edilizie
vigenti in quel momento, è fondato ed assorbente.
2.1 Anzitutto, non è controverso in fatto quanto si è spiegato in narrativa,
ovvero che il fabbricato originario di proprietà della controinteressata
appellata è crollato il giorno 11.05.2006, che l’istanza per ottenere il
primo permesso di costruire è stata presentata circa sei mesi dopo,
precisamente il giorno 13.11.2006, e che il primo permesso di costruire è
stato rilasciato il 22.04.2008. Sul punto si è pronunciata la sentenza di I
grado (motivazione, § 4.2) e anche nel permesso di costruire originario
appena citato si legge, come detto in premesse, che il fabbricato esistente
era stato “oggetto di crollo” (doc. 1 in I grado ricorrente
appellante allegato al ricorso principale, cit.).
2.2 Ciò posto, nemmeno è controverso che l’immobile in questione si trovasse
in zona classificata dallo strumento urbanistico come zona omogenea B1,
disciplinata dall’art. 81 NTA, per cui gli interventi da realizzare
all’interno di essa erano subordinati all’approvazione di uno strumento
attuativo, indicato come piano particolareggiato o piano di recupero: il
testo della norma è riportato, per tutti, a p. 59 dell’appello, e sul punto,
dato per pacifico anche dalla sentenza di I grado (motivazione § 4), non vi
è contestazione.
2.3 A fronte di ciò, la sentenza di I grado ricorda in astratto che ai sensi
degli artt. 27, comma 4, e 31, comma 1, lett. d), della l. 05.08.1978 n.
458 quando la pianificazione urbanistica subordina il rilascio della
concessione edilizia, e quindi l’intervento di nuova costruzione per cui
essa è necessaria, all’approvazione di uno strumento attuativo, anche quando
essa non è ancora intervenuta sono consentiti gli interventi minori, e in
particolare gli interventi di ristrutturazione.
Tanto premesso, la sentenza in questione ritiene che l’intervento per cui è
causa rientri appunto in quest’ultima categoria, e quindi che la sanatoria
sia stata legittimamente rilasciata, trattandosi di intervento consentito,
dato che “avuto riguardo al limitato scarto temporale esistente tra il
crollo e l’istanza di ristrutturazione (circa sei mesi, verosimilmente
impegnati per la redazione del progetto, e tenuto conto altresì della pausa
estiva), è evidente che non si tratta di intervento ex novo attuato su area
precedentemente non interessata da alcun manufatto, ma di semplice
ristrutturazione di immobile (poco tempo prima) esistente” (motivazione,
§ 4.2 in fine).
2.4 Ad avviso del Collegio, che condivide sul punto quanto sostenuto dalla
difesa della ricorrente appellante, tale conclusione non va condivisa, alla
luce della giurisprudenza che si è soffermata su come vada qualificato
l’intervento che porta, genericamente, a ripristinare un immobile crollato.
La norma applicabile alla fattispecie è l’art. 3 del T.U. 06.06.2001 n. 380,
vigente all’epoca dei fatti, che aveva sostituito con identici contenuti
l’art. 31 della l. 458/1978. Al comma 1, lettera d), di questa norma, si
legge che si definiscono "interventi di ristrutturazione edilizia"
quelli che sono rivolti a “trasformare gli organismi edilizi mediante un
insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il
ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio,
l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi
anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria e sagoma di quella preesistente, fatte salve le sole innovazioni
necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”.
2.5 Argomentando dalla norma così formulata, la giurisprudenza riteneva
quindi che per parlare di ristrutturazione fosse sempre necessaria
l'esistenza dell'immobile nel suo complesso e non nelle singole parti, con
un minimo di consistenza idoneo a farlo ritenere presente nella realtà,
consistenza che comunque doveva essere dimostrata con esattezza; nel caso di
ristrutturazione di un rudere, qualificava invece l’intervento come nuova
costruzione, trattandosi di intervenire su un manufatto che ormai aveva
perduto i caratteri dell’originaria unità urbanistico edilizia: in questi
termini, per tutte, C.d.S. sez. VI 05.12.2016 n. 5106 e sez. IV 05.07.2000
n. 3735.
2.6 La situazione è cambiata invece a seguito di una ben precisa modifica
legislativa, dovuta al d.l. 21.07.2013 n. 69, e quindi posteriore al
provvedimento impugnato, che ha inserito nella lett. d) del comma 1
dell’art. 3 T.U appena esaminato il riferimento agli interventi “volti al
ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti,
attraverso la loro ricostruzione” che quindi ora rientrano nel concetto
di ristrutturazione “purché sia possibile accertarne la preesistente
consistenza”.
Rispetto al regime previgente, quindi, il concetto di ristrutturazione è
stato allargato al caso di edificio che più non esiste, di cui però la
consistenza originaria si può ricostruire, evidentemente con un’indagine
tecnica, ipotesi che la giurisprudenza in precedenza escludeva: si veda per
tutte la citata C.d.S. 5106/2016, secondo la quale “a nulla rileva che,
attraverso complesse attività tecniche, si riesca a risalire all'originaria
consistenza dell'edificio”.
2.7 Applicando i principi appena delineati al caso di specie, non risulta
che il permesso di costruire originario abbia in qualche modo dato conto
della possibilità di riconoscere sul posto, nonostante il crollo, i
caratteri essenziali della costruzione preesistente, il che si sarebbe
richiesto all’epoca dei fatti, dato che, come detto in narrativa, si
riferisce in modo esplicito alla costruzione di un “nuovo fabbricato”
(doc. 1 in I grado ricorrente appellante allegato al ricorso principale, cit.).
Il motivo va quindi accolto, perché in tali termini –mancando un difforme
accertamento della realtà dei fatti- si sarebbe dovuto rispettare l’art. 82
delle NTA, e quindi l’intervento assentito va ritenuto non conforme alle
norme vigenti all’epoca di realizzazione (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.10.2019
n. 6654 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ancora
oggi, è da escludere che la ricostruzione di un rudere sia riconducibile
nell’alveo della ristrutturazione edilizia nel caso in cui manchino elementi
sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio
da recuperare: in particolare, un manufatto costituito da alcune rimanenze
di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della
muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non
può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente.
In mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare la
consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che
considerarsi alla stregua di un’area non edificata.
Nel caso di specie, deve quindi convenirsi con il TAR che la risalente
assenza di copertura, unitamente al parziale crollo delle mura perimetrali,
costituisse già di per sé condizione sufficiente ad escludere la
riconducibilità dell’intervento assentito agli interventi di
ristrutturazione edilizia rientrando piuttosto tra quelli di nuova
costruzione.
---------------
L’impossibilità di apprezzare la consistenza del manufatto preesistente
conduce ad escludere, in radice, la configurabilità di un intervento di “ristrutturazione
edilizia” sia alla stregua dell’art. 31, comma 1, lett. d), della n. 457
del 1978 (richiamato dal PTP), sia in base l’attuale formulazione della
normativa statale in materia di ristrutturazione edilizia.
Quest’ultima, come noto, ricomprende oggi anche gli interventi volti «al
ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti,
attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la
preesistente consistenza», con la precisazione che «con riferimento
agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo
22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione
e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o
demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove
sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente» (art. 3,
comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001, come modificato dall'art. 30,
comma 1, lett. a), d.l. 21.06.2013, n. 69, convertito, con modificazioni,
dalla l. 09.08.2013, n. 98.
Alla stregua delle prefate disposizioni, è quindi ancora oggi da escludere
che la ricostruzione di un rudere sia riconducibile nell’alveo della
ristrutturazione edilizia nel caso in cui manchino elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare:
in particolare, un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura
perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della
muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non
può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente (cfr. Cons. St.,
sez. IV, sentenza n. 5174 del 21.10.2014, e TAR Lombardia, Brescia, sentenza
n. 1167 del 26.09.2017).
In mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare la
consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che
considerarsi alla stregua di un’area non edificata (Cons. St., sez. V,
sentenza n. 1025 del 15.03.2016).
Nel caso di specie, deve quindi convenirsi con il TAR che la risalente
assenza di copertura, unitamente al parziale crollo delle mura perimetrali,
costituisse già di per sé condizione sufficiente ad escludere la
riconducibilità dell’intervento assentito agli interventi di
ristrutturazione edilizia rientrando piuttosto tra quelli di nuova
costruzione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.09.2019 n. 6188 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
il tradizionale e consolidato indirizzo della giurisprudenza, la nozione di
ristrutturazione edilizia non può prescindere dalla preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare, cioè di un fabbricato dotato di quelle
componenti essenziali –murature perimetrali, strutture orizzontali e
copertura– idonee come tali ad assicurargli un minimo di consistenza ed a
farlo giudicare presente nella realtà materiale. Con la conseguenza che la
ricostruzione di ruderi, vale a dire residui edilizi inidonei a identificare
i connotati essenziali dell’edificio, deve essere ricondotta nell’alveo
della nuova costruzione, non rilevando in contrario la possibilità di
risalire attraverso complesse indagini tecniche all’originaria consistenza
di un manufatto oramai non più esistente come tale.
Tale orientamento non è mutato neppure a seguito della novella apportata
all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 dal d.l. n. 69/2013, giacché, per potersi
parlare di ristrutturazione, occorre pur sempre che i resti della
costruzione crollata o demolita presentino caratteristiche tali da
consentire di determinarne l’effettiva consistenza.
Nondimeno, se pure si volesse ritenere che le modifiche legislative del 2013
abbiano esteso la nozione di ristrutturazione all’attività di ricostruzione
dei ruderi, nel caso in esame il manufatto da ricostruire manca del tutto,
essendone stata a suo tempo eliminata ogni traccia. Il che impedisce in
radice di rinvenire nell’intervento in questione i contenuti della
“trasformazione” di un organismo edilizio esistente, che, lo si è visto,
rappresenta il tratto distintivo della ristrutturazione edilizia alla
stregua della definizione generale dettata dall’art. 3 d.P.R. n. 380/2001.
---------------
La società estera An., con sede nella Repubblica Slovacca, e i signori
Ro.Do. e Fr. Di Tr. sono, rispettivamente, proprietaria la prima e
usufruttuari i secondi di un complesso immobiliare ubicato nel Comune di
Montecarlo, alla via ... 18, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Nel luglio del 2017, essi hanno chiesto il rilascio del permesso di
costruire per riedificare un preesistente corpo di fabbrica costruito in
aderenza al fabbricato principale, e crollato nel 1988.
L’istanza è stata respinta dal Comune sul presupposto dell’assenza di prova
in ordine all’originaria consistenza dell’immobile, richiesta ai fini
dell’assenso alla ricostruzione dall’art. 134 della legge regionale toscana
n. 65/2014, e della qualificazione dell’intervento come nuova costruzione
non assentibile in zona vincolata.
...
2.1.1. Il ricorso è infondato.
L’art. 3, co. 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001 definisce interventi di
ristrutturazione edilizia quelli “rivolti a trasformare gli organismi
edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, e, nel
testo modificato dal d.l. n. 69/2013, vi include il ripristino di edifici, o
parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro
ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza
e, per gli immobili sottoposti a vincoli, all’ulteriore condizione che sia
rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente.
Correlativamente, la legge regionale toscana qualifica oggi come interventi
di “ristrutturazione edilizia ricostruttiva” quelli consistenti nel
“ripristino di edifici, o parti di essi, crollati o demoliti, previo
accertamento della originaria consistenza e configurazione”, dai quali
distingue “il ripristino di edifici, o parti di essi, crollati o
demoliti, previo accertamento della originaria consistenza e configurazione,
attraverso interventi di ricostruzione comportanti modifiche della sagoma
originaria, laddove si tratti di immobili sottoposti ai vincoli di cui al
Codice” (art. 134, co. 1, lett. h), n. 4, e lett. i) l.r. n. 65/2014).
Secondo il tradizionale e consolidato indirizzo della giurisprudenza, la
nozione di ristrutturazione edilizia non può prescindere dalla preesistenza
di un fabbricato da ristrutturare, cioè di un fabbricato dotato di quelle
componenti essenziali –murature perimetrali, strutture orizzontali e
copertura– idonee come tali ad assicurargli un minimo di consistenza ed a
farlo giudicare presente nella realtà materiale. Con la conseguenza che la
ricostruzione di ruderi, vale a dire residui edilizi inidonei a identificare
i connotati essenziali dell’edificio, deve essere ricondotta nell’alveo
della nuova costruzione, non rilevando in contrario la possibilità di
risalire attraverso complesse indagini tecniche all’originaria consistenza
di un manufatto oramai non più esistente come tale (fra le moltissime, cfr.
Cons. Stato, sez. VI, 05.12.2016, n. 5106, e i numerosi precedenti ivi
citati; id., sez. V, 21.10.2014, n. 5174 id., sez. V, 11.06.2013, n. 3221).
Tale orientamento non è mutato neppure a seguito della novella apportata
all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 dal ricordato d.l. n. 69/2013, giacché,
per potersi parlare di ristrutturazione, occorre pur sempre che i resti
della costruzione crollata o demolita presentino caratteristiche tali da
consentire di determinarne l’effettiva consistenza (cfr. Cons. Stato, sez.
V, 15.03.2016, n. 1025; TAR Lombardia–Milano, sez. II, 29.11.2017, n. 2287;
TAR Toscana, sez. I, 18.04.2017, n. 588).
Nondimeno, se pure si volesse ritenere che le modifiche legislative del 2013
abbiano esteso la nozione di ristrutturazione all’attività di ricostruzione
dei ruderi, nel caso in esame il manufatto da ricostruire manca del tutto,
essendone stata a suo tempo eliminata ogni traccia. Il che impedisce in
radice di rinvenire nell’intervento in questione i contenuti della “trasformazione”
di un organismo edilizio esistente, che, lo si è visto, rappresenta il
tratto distintivo della ristrutturazione edilizia alla stregua della
definizione generale dettata dall’art. 3 d.P.R. n. 380/2001.
L’argomento è dirimente. Per completezza della disamina, deve comunque
aggiungersi che l’originaria consistenza dell’immobile da ricostruire
neppure è stata adeguatamente dimostrata dai ricorrenti, la cui pretesa
risulta pertanto infondata sotto ogni profilo.
Del fabbricato demolito non vi sono rappresentazioni iconografiche, fatta
eccezione per la planimetria allegata alla denuncia di variazione catastale
presentata nel 1988, proprio a seguito della demolizione, che ne mostra
l’area di sedime.
A partire dall’area di sedime, i ricorrenti ricavano l’altezza massima del
fabbricato dai travicelli della copertura ancora visibili nella muratura
dell’edificio principale, per poi presumere che la copertura scendesse fino
al termine di quest’ultimo con la stessa pendenza della vecchia copertura
dell’adiacente porzione est. Il volume del fabbricato è ottenuto
moltiplicando la superficie dell’area di sedime per l’altezza media (si veda
la relazione tecnica a firma dell’ing. Le., in atti).
Come si vede, muovendo da un dato approssimativo, ma in qualche modo
verificabile (l’ampiezza dell’area di sedime si può ricavare dalla misura
delle pareti dell’edificio principale, in aderenza al quale era costruito
quello crollato), il calcolo del volume finisce per essere frutto di
un’ipotesi meramente congetturale, non essendovi elementi oggettivi dai
quali desumere la reale pendenza della copertura originaria. E, oltretutto,
non vi è prova che all’epoca della costruzione del fabbricato, poi demolito,
la copertura utilizzata dal tecnico dei ricorrenti come riferimento avesse
la medesima pendenza attuale (si tratta di porzione immobiliare
ristrutturata nel 2013, stando alla stessa relazione tecnica di parte
ricorrente, ma la consistenza delle opere di ristrutturazione non è nota).
Se tanto basta per evidenziare la
sostanziale arbitrarietà del calcolo volumetrico eseguito dai ricorrenti, a
maggior ragione gli scarsissimi elementi disponibili non permettono di
verificare il rispetto dell’identità di sagoma (intesa come perimetro
dell’edificio considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il suo
contorno, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli
sporti: per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27.01.2017, n. 353), requisito
indefettibilmente richiesto dal citato art. 3, co. 1, lett. d), d.P.R. n.
380/2001 per gli edifici vincolati, ovvero ricadenti in area vincolata (cfr.
TAR Toscana, sez. III, 05.04.2016, n. 582; Cass. pen., sez. III, 09.07.2018,
n. 39340).
Il diniego del permesso di costruire, in definitiva, appare assunto del
tutto legittimamente dal Comune di Montecarlo con riferimento
all’impossibilità di risalire alla consistenza dell’edificio da ricostruire
e all’irriducibilità dell’intervento nei confini della ristrutturazione
edilizia.
In contrario non rileva, evidentemente, il positivo giudizio reso dalla
Commissione comunale per il paesaggio, al quale sono estranee valutazioni di
tipo urbanistico-edilizio, ma che si limita all’accertamento della
compatibilità dell’intervento con il vincolo gravante sull’area. Nessuna
contraddittorietà è pertanto ravvisabile nelle scelte del Comune.
3. Alla luce delle considerazioni esposte, il ricorso non può trovare
accoglimento (TAR Toscana, Sez.
III,
sentenza 22.02.2019 n. 286 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione e caratteristiche preesistente edificio
crollato o demolito - Limiti e vincoli della discrezionalità
tecnica - Provvedimenti autorizzativi falsi -
Configurabilità del reato di falso ideologico - Art. 3, c.
1, lett. d), d.P.R. n. 380/2001
L’accertamento della preesistente
consistenza di un edificio crollato o demolito che si
intende ricostruire mediante ristrutturazione edilizia ai
sensi dell'art. 3, comma primo, lettera d), del d.P.R.
380/2001 non può ritenersi validamente effettuata sulla base
di studi storici o rilevazioni relativi ad edifici aventi
analoga tipologia, restando una simile verifica confinata
nell'ambito delle mere deduzioni soggettive e non offrendo
alcuna oggettiva evidenza.
Pertanto, la c.d. discrezionalità tecnica deve essere
vincolata alla verifica della conformità della situazione
fattuale alle previsioni normative.
Sicché, il reato di falso ideologico è pienamente
configurabile quando detto giudizio di conformità non sia
rispondente, ai parametri normativi richiesti per
l'emanazione di atti amministrativi, alla veridicità di
determinate situazioni fattuali quali necessari presupposti
per l'integrazione delle fattispecie giuridiche di
riferimento, ossia nei casi in cui l'agente, in presenza di
criteri di valutazione normativamente fissati o anche solo
di criteri tecnici generalmente accettati, se ne discosti
consapevolmente in modo da creare, con la propria idonea e
concreta condotta, una situazione di pericolo per il normale
svolgimento del traffico giuridico, impedendo all'atto
pubblico di adempiere alla funzione di affidamento che gli è
propria (Corte
di Cassazione, Sez. III,
sentenza 31.08.2018 n. 39340 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione edilizia - Provvedimenti autorizzativi
rilasciati su presupposti urbanistici e paesaggistici falsi
- Procedura - Esclusione degli apprezzamenti meramente
soggettivi - Criterio oggettivo della preesistente
"consistenza".
Nell'autorizzazione paesaggistica
vengono attestate la conformità urbanistica e la
compatibilità ambientale delle opere da edificare,
esprimendo quindi un giudizio in base alla rispondenza
dell'intervento edilizio ad oggettivi e preesistenti criteri
normativi, in quanto tale non caratterizzato da mera
discrezionalità tecnica, quanto, piuttosto, da una verifica
oggettiva che deve necessariamente fondarsi su dati certi ed
obiettivi, quali documentazione fotografica, cartografie,
volumetria, altezza, struttura complessiva, etc., in base ai
quali sia inequivocabilmente individuabile la consistenza
del manufatto preesistente.
Pertanto, gli interventi di ristrutturazione edilizia
consistenti nel ripristino o nella ricostruzione di edifici
o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, debbono
ritenersi assoggettati a permesso di costruire se non è
possibile accertare la preesistente volumetria delle opere,
le quali, qualora ricadano in zona paesaggisticamente
vincolata, hanno l'obbligo di rispettare anche la precedente
sagoma dell'edificio.
Sono, invece, soggetti alla procedura semplificata della
SCIA se si tratta di opere che non rientrano in zona
paesaggisticamente vincolata e rispettano la preesistente
volumetria, anche quando implicano una modifica della sagoma
dell'edificio (Corte
di Cassazione, Sez. III,
sentenza 31.08.2018 n. 39340 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
MODALITÀ ACCERTATIVE DELLA PREESISTENTE CONSISTENZA DI UN
EDIFICIO CROLLATO O DEMOLITO DA RICOSTRUIRSI CON
RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA.
L’accertamento della preesistente
consistenza di un edificio crollato o demolito che si
intende ricostruire mediante ristrutturazione edilizia ai
sensi del d.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d),
non può ritenersi validamente effettuata sulla base di studi
storici o rilevazioni relativi ad edifici aventi analoga
tipologia, restando una simile verifica confinata
nell’ambito delle mere deduzioni soggettive e non offrendo
alcuna oggettiva evidenza.
Il tema affrontato dalla Corte di cassazione con la sentenza
in esame attiene alla questione dell’individuazione del
titolo edilizio necessario al fine di realizzare interventi
di ricostruzione e demolizione di manufatti abusivi.
La vicenda processuale segue alla sentenza con cui la Corte
d’Appello aveva confermato la sentenza del tribunale che, a
sua volta, aveva affermato la responsabilità penale di un
imputato per il reato di cui all’art. 480 c.p.
Al medesimo veniva contestato il concorso nell’illecito
rilascio di un parere paesaggistico sulla base una relazione
tecnica, integrativa della domanda presentata dal
progettista, nella quale si attestava falsamente che le
opere previste nella proposta progettuale non comportavano
variazione di sagoma né aumenti delle volumetrie esistenti,
fatti indicati nell’imputazione come smentiti dall’esame
degli atti, trattandosi di intervento modificativo della
sagoma e degli indici planovolumetrici rispetto
all’esistente, considerando l’altezza non rilevabile, in
quanto il vecchio fabbricato rurale da ristrutturare
risultava crollato, come documentato dalle fotografie a
corredo della pratica edilizia.
Sarebbero stati così costituiti gli indispensabili falsi
presupposti che consentivano al tecnico comunale di
rilasciare il provvedimento autorizzatorio.
Avverso la detta sentenza proponeva ricorso per cassazione
l’imputato, in particolare sostenendo che i giudici
erroneamente non avrebbero preso in esame il contenuto del
d.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d), come
modificato dal D.L. n. 69 del 2013, art. 30, segnatamente
per quanto concerne la ristrutturazione dei ruderi.
Osservava, a tale proposito, che trattandosi di edificio
crollato, non potevano che prendersi in esame i parametri
murari ancora esistenti per risalire, attraverso uno studio
storico e rilevazioni inerenti edifici simili che presentino
maggiori elementi identificativi della struttura, per
delineare l’originaria consistenza del manufatto da
ristrutturare.
La Cassazione, nell’affermare il principio di cui in
massima, ha dato atto del significativo dato fattuale della
obiettiva impossibilità di individuare le originarie
caratteristiche costruttive dell’immobile crollato, definito
nelle sentenze di merito come “un mero ammasso di pietre
a secco con un accenno di andamento solo di due muri
perimetrali e di piccola parte di un terzo muro”.
Una tale evenienza giustificava, di per sé, secondo la
Cassazione, la possibilità di qualificare l’intervento come
ristrutturazione.
Quanto, poi, alla possibilità di risalire alla originaria
consistenza dell’edificio, ormai ridotto a rudere,
attraverso lo “studio storico” o rilevazioni inerenti
ad edifici simili che presentino maggiori elementi
identificativi della struttura per delineare la consistenza
del manufatto crollato, i giudici della S.C. hanno ricordato
la giurisprudenza consolidata in materia che impone estremo
rigore nella verifica della consistenza del preesistente
manufatto, da effettuarsi su dati oggettivi inconfutabili e
completi (Cass. pen., Sez. III, 22.01.2014, n. 5912, M. e
altri, CED, 258597; Id., Sez. III, 25.06.2015, n. 26713, P.,
inedita; Id., Sez. III, 13.10.2015, n. 48947, P.M. in proc.
P.,CED, 266031), ma hanno altresì aggiunto che ciò si
risolverebbe nel consentire la edificazione di volumi della
cui preesistenza non vi sarebbe alcuna certezza, sulla base
di mere supposizioni, tali essendo i risultati di eventuali
comparazioni con altri edifici le cui caratteristiche siano
analoghe e note.
La sentenza aveva, dunque, giustamente escluso la
correttezza della soluzione prospettata dalla difesa,
proprio sulla base della impossibilità di “dare contezza
specifica degli esatti limiti del preesistente” ed
escludendo, altrettanto correttamente, ogni validità del
mero richiamo dell’esistenza del manufatto nell’atto di
compravendita del terreno per la genericità del richiamo e
l’assenza di descrizione dello stesso (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 31.08.2018 n. 39340
- Urbanistica e
appalti 6/2018). |
EDILIZIA PRIVATA:
Considerata la disciplina ora vigente, gli
interventi di ristrutturazione edilizia consistenti nel
ripristino o nella ricostruzione di edifici o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti, debbono ritenersi
assoggettati a permesso di costruire se non è possibile
accertare la preesistente volumetria delle opere, le quali,
qualora ricadano in zona paesaggisticamente vincolata, hanno
l'obbligo di rispettare anche la precedente sagoma
dell'edificio. Sono, invece, soggetti alla procedura
semplificata della SCIA se si tratta di opere che non
rientrano in zona paesaggisticamente vincolata e rispettano
la preesistente volumetria, anche quando implicano una
modifica della sagoma dell'edificio.
Detti interventi impongono, quale imprescindibile
condizione, che sia possibile accertare la preesistente
consistenza di ciò che si è demolito o è crollato e che tale
accertamento deve essere effettuato con il massimo rigore e
deve necessariamente fondarsi su dati certi ed obiettivi,
quali documentazione fotografica, cartografie etc., in base
ai quali sia inequivocabilmente individuabile la consistenza
del manufatto preesistente.
L'utilizzazione del termine «consistenza», da parte del
legislatore, nell'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 380/2001
inevitabilmente include tutte le caratteristiche essenziali
dell'edifico preesistente (volumetria, altezza, struttura
complessiva, etc.), con la conseguenza che, in mancanza
anche di uno solo di tali elementi, necessari per la dovuta
attività ricognitiva, dovrà escludersi la sussistenza del
requisito richiesto dalla norma. Parimenti, detta verifica
non potrà essere rimessa ad apprezzamenti meramente
soggettivi o al risultato di stime o calcoli effettuati su
dati parziali, ma dovrà, invece, basarsi su dati certi,
completi ed obiettivamente apprezzabili.
---------------
Va esclusa la possibilità di risalire alla originaria
consistenza dell'edificio, ormai ridotto a rudere,
attraverso lo "studio storico" o rilevazioni inerenti ad
edifici simili che presentino maggiori elementi
identificativi della struttura per delineare la consistenza
del manufatto crollato.
Si tratta, invero, di un assunto che non può essere
assolutamente condiviso, non soltanto perché si pone in
evidente contrasto con i principi dianzi richiamati, che, lo
si ribadisce, impongono estremo rigore nella verifica della
consistenza del preesistente manufatto, da effettuarsi su
dati oggettivi inconfutabili e completi, ma anche perché si
risolverebbe nel consentire la edificazione di volumi della
cui preesistenza non vi sarebbe alcuna certezza, sulla base
di mere supposizioni, tali essendo i risultati di eventuali
comparazioni con altri edifici le cui caratteristiche siano
analoghe e note.
Va conseguentemente ribadito che l'art. 30 del d.l. n. 69
del 2013 (conv. in legge n. 98 del 2013) consente di
qualificare come "ristrutturazione edilizia" l'intervento di
ripristino o di ricostruzione di un edificio o di parte di
esso, eventualmente crollato o demolito, anche in caso di
modifica della sagoma dello stesso ove insistente su zona
non vincolata, a condizione però che sia possibile
accertarne, in base a riscontri documentali o altri elementi
certi e verificabili e non, quindi, ad apprezzamenti
meramente soggettivi, la preesistente "consistenza", intesa
come il complesso di tutte le caratteristiche essenziali
dell'edificio (volumetria, altezza, struttura complessiva,
etc.), con la conseguenza che la mancanza anche di uno solo
di tali elementi, necessari per la dovuta attività
ricognitiva, impedisce di ritenere sussistente il requisito
che la citata disposizione richiede per escludere, in
ragione della anzidetta qualificazione, la necessità di
preventivo permesso di costruire.
Va tuttavia ulteriormente affermato
che l'accertamento della preesistente consistenza di un
edificio crollato o demolito che si intende ricostruire
mediante ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3,
comma primo, lettera d), del d.PR. 380/2001 non può
ritenersi validamente effettuata sulla base di studi storici
o rilevazioni relativi ad edifici aventi analoga tipologia,
restando una simile verifica confinata nell'ambito delle
mere deduzioni soggettive e non offrendo alcuna oggettiva
evidenza.
---------------
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Occorre rilevare, con riferimento al primo motivo
di ricorso, che i fatti contestati risultano accertati in
data antecedente alle modifiche del 2013 all'art. 3 del
d.P.R. 380/2001, quando, in considerazione della disciplina
allora vigente, veniva esclusa la possibilità che la
ricostruzione di un rudere potesse ricondursi entro la
nozione di ristrutturazione, trattandosi, al contrario, di
un intervento del tutto nuovo (v. Sez. 3, n. 45240 del
26/10/2007, Scupola, Rv. 238464; Sez. 3, n. 15054 del
23/01/2007, Meli e altro, Rv. 236338; Sez. 3, n. 20776 del
13/01/2006, P.M. in proc. Polverino, Rv. 234467 ed altre
prec. conf.), ritenendosi che la mancanza dei suddetti
elementi strutturali, rendesse impossibile qualsiasi
valutazione circa l'esistenza e la consistenza dell'edifico
da consolidare.
Le decisioni dei giudici del merito sono successive alle
modifiche e di esse ha evidentemente tenuto conto la
decisione impugnata, la quale risulta conforme ai principi
affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione
all'ambito di operatività della disciplina attualmente in
vigore.
Come è noto, il d.l. 69/2013 (conosciuto anche come «decreto
del fare»), intervenendo sull'art. 3, comma 1, lett. d),
del d.P.R. 380/2001, ha considerevolmente ampliato il
concetto di ristrutturazione, limitando l'obbligo del
rispetto della sagoma ai soli immobili vincolati ed
introducendo la possibilità di ristrutturazione degli
edifici crollati o demoliti.
L'articolo 3, comma primo, lettera d), del d.P.R. 380/2001,
nella formulazione attualmente vigente, così definisce gli
interventi di ristrutturazione: «interventi rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali
interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di
alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione,
la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia
sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria di quello
preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica, nonché quelli
volti al ripristino di edifici, o parti di essi,
eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro
ricostruzione, purché sia possibile accertarne la
preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento
agli immobili sottoposti a vincoli ai se9si del decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni,
gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli
interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti
costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia
soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio
preesistente».
A tale proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto
modo di precisare che, considerata la disciplina ora
vigente, gli interventi di ristrutturazione edilizia
consistenti nel ripristino o nella ricostruzione di edifici
o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, debbono
ritenersi assoggettati a permesso di costruire se non è
possibile accertare la preesistente volumetria delle opere,
le quali, qualora ricadano in zona paesaggisticamente
vincolata, hanno l'obbligo di rispettare anche la precedente
sagoma dell'edificio. Sono, invece, soggetti alla procedura
semplificata della SCIA se si tratta di opere che non
rientrano in zona paesaggisticamente vincolata e rispettano
la preesistente volumetria, anche quando implicano una
modifica della sagoma dell'edificio (Sez. 3, n. 40342 del
03/06/2014, Quarta, Rv. 260551).
Si è anche ricordato che detti interventi impongono, quale
imprescindibile condizione, che sia possibile accertare la
preesistente consistenza di ciò che si è demolito o è
crollato e che tale accertamento deve essere effettuato con
il massimo rigore e deve necessariamente fondarsi su dati
certi ed obiettivi, quali documentazione fotografica,
cartografie etc., in base ai quali sia inequivocabilmente
individuabile la consistenza del manufatto preesistente (cfr.
Sez. 3, n. 5912 del 22/01/2014, Moretti e altri, Rv. 258597;
Sez. 3 n. 26713 del 25/06/2015, Petitto, non massimata. V.
anche Sez. 3, n. 48947 del 13/10/2015, P.M. in proc. Pompa,
Rv. 266031).
Si è ulteriormente stabilito che l'utilizzazione del termine
«consistenza», da parte del legislatore, nell'art. 3,
comma 1, lett. d), d.P.R. 380/2001 inevitabilmente include
tutte le caratteristiche essenziali dell'edifico
preesistente (volumetria, altezza, struttura complessiva,
etc.), con la conseguenza che, in mancanza anche di uno solo
di tali elementi, necessari per la dovuta attività
ricognitiva, dovrà escludersi la sussistenza del requisito
richiesto dalla norma. Parimenti, detta verifica non potrà
essere rimessa ad apprezzamenti meramente soggettivi o al
risultato di stime o calcoli effettuati su dati parziali, ma
dovrà, invece, basarsi su dati certi, completi ed
obiettivamente apprezzabili (Sez. 3, n. 45147 del
08/10/2015, Marzo e altri, Rv. 265444).
3. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha dato atto
del significativo dato fattuale della obiettiva
impossibilità di individuare le originarie caratteristiche
costruttive dell'immobile crollato, che definisce (pag. 5
della sentenza impugnata) come "un mero ammasso di pietre
a secco con un accenno di andamento solo di due muri
perimetrali e di piccola parte di un terzo muro".
Una tale evenienza giustifica, di per sé, la possibilità di
qualificare l'intervento come ristrutturazione ed evidenzia
la correttezza delle conclusioni cui sono pervenuti i
giudici dell'appello.
4. Il ricorrente pone tuttavia, a sostegno delle proprie
ragioni, un ulteriore questione, che è quella della
possibilità di risalire alla originaria consistenza
dell'edificio, ormai ridotto a rudere, attraverso lo "studio
storico" o rilevazioni inerenti ad edifici simili che
presentino maggiori elementi identificativi della struttura
per delineare la consistenza del manufatto crollato,
possibilità che è stata correttamente esclusa dai giudici
dell'appello.
Si tratta, invero, ad avviso del Collegio, di un assunto che
non può essere assolutamente condiviso, non soltanto perché
si pone in evidente contrasto con i principi dianzi
richiamati, che, lo si ribadisce, impongono estremo rigore
nella verifica della consistenza del preesistente manufatto,
da effettuarsi su dati oggettivi inconfutabili e completi,
ma anche perché si risolverebbe nel consentire la
edificazione di volumi della cui preesistenza non vi sarebbe
alcuna certezza, sulla base di mere supposizioni, tali
essendo i risultati di eventuali comparazioni con altri
edifici le cui caratteristiche siano analoghe e note.
La sentenza impugnata ha, dunque, giustamente escluso la
correttezza della soluzione prospettata dalla difesa,
proprio sulla base della impossibilità di "dare contezza
specifica degli esatti limiti del preesistente" ed
escludendo, altrettanto correttamente, ogni validità del
mero richiamo dell'esistenza del manufatto nell'atto di
compravendita del terreno per la genericità del richiamo e
l'assenza di descrizione dello stesso.
Va conseguentemente ribadito che l'art. 30 del d.l. n. 69
del 2013 (conv. in legge n. 98 del 2013) consente di
qualificare come "ristrutturazione edilizia"
l'intervento di ripristino o di ricostruzione di un edificio
o di parte di esso, eventualmente crollato o demolito, anche
in caso di modifica della sagoma dello stesso ove insistente
su zona non vincolata, a condizione però che sia possibile
accertarne, in base a riscontri documentali o altri elementi
certi e verificabili e non, quindi, ad apprezzamenti
meramente soggettivi, la preesistente "consistenza",
intesa come il complesso di tutte le caratteristiche
essenziali dell'edificio (volumetria, altezza, struttura
complessiva, etc.), con la conseguenza che la mancanza anche
di uno solo di tali elementi, necessari per la dovuta
attività ricognitiva, impedisce di ritenere sussistente il
requisito che la citata disposizione richiede per escludere,
in ragione della anzidetta qualificazione, la necessità di
preventivo permesso di costruire.
5. Va tuttavia ulteriormente affermato che l'accertamento
della preesistente consistenza di un edificio crollato o
demolito che si intende ricostruire mediante
ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3, comma primo,
lettera d), del d.PR. 380/2001 non può ritenersi validamente
effettuata sulla base di studi storici o rilevazioni
relativi ad edifici aventi analoga tipologia, restando una
simile verifica confinata nell'ambito delle mere deduzioni
soggettive e non offrendo alcuna oggettiva evidenza (Corte
di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 31.08.2018 n. 39340). |
anno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Secondo una consolidata giurisprudenza, i lavori
di rifacimento di un edificio diruto (c.d. rudere) sono
qualificabili come un intervento di nuova costruzione,
con conseguente necessità di un’apposita concessione
edilizia, e tale principio vale senz’altro in caso di
rifacimento di un organismo edilizio costituito da baracche
costruite in lamiere e mattoni, al quale non è applicabile
la disciplina degli interventi di
ristrutturazione edilizia, che ricomprende anche
quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la
stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente,
fatte salve le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla
normativa antisismica.
---------------
5. Ciò premesso, seppure tale questione fosse ritenuta
fondata, tuttavia la stessa non potrebbe assumere alcuna
concreta rilevanza con riferimento alla fattispecie in esame
in quanto -tenuto conto di quanto riferito dalla stessa
ricorrente in merito ai lavori di consolidamento eseguiti
nel 2009, nonché dell’attuale stato del manufatto,
risultante dalla documentazione fotografica in atti- vi è
motivo di ritenere che l’Amministrazione non fosse comunque
tenuta a motivare in ordine alla sussistenza dell’interesse
pubblico, concreto ed attuale, alla repressione dell’abuso,
non potendosi comunque configurare un affidamento meritevole
di tutela in capo alla ricorrente per le seguenti ragioni.
Innanzi tutto si deve rammentare che -secondo una
consolidata giurisprudenza (ex multis, TAR Molise
Campobasso, Sez. I, 12.02.2016, n. 64), meritevole di essere
condivisa- i lavori di rifacimento di un edificio diruto
(c.d. rudere) sono qualificabili come un intervento di
nuova costruzione, con conseguente necessità di
un’apposita concessione edilizia, e tale principio vale
senz’altro in caso di rifacimento di un organismo edilizio
costituito da baracche costruite in lamiere e mattoni, al
quale non è applicabile la disciplina degli interventi di
ristrutturazione edilizia, che ricomprende anche
quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la
stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente,
fatte salve le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla
normativa antisismica.
Ciò posto, dal confronto tra la documentazione fotografica
prodotta dalla ricorrente per dimostrare l’anno di
realizzazione del manufatto e quella allegata al verbale di
sopralluogo, che attesta l’attuale stato dei luoghi, si
desume che il manufatto, a seguito dell’intervento di
consolidamento eseguito nel 2009, non si configura più come
una semplice baracca in legno adibita a deposito di attrezzi
agricoli, bensì come una costruzione in muratura e legno,
munita di arredi interni, in relazione alla quale non v’è
dubbio che la ricorrente avrebbe dovuto preventivamente
richiedere il rilascio di un nuovo ed ulteriore titolo
abilitativo (TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 12.07.2017 n. 231 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' pacifico in giurisprudenza che la
ricostruzione dei ruderi vada considerata come realizzazione
di una nuova costruzione, quando la parte dell’opera
muraria ancora esistente non permette l’individuazione certa
dei connotati essenziali del manufatto originario (mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura), attesa la
mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare.
---------------
E’ stato sottolineato in proposito che <<La
ristrutturazione edilizia presuppone come elemento
indispensabile la preesistenza del fabbricato nella
consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed
architettoniche proprie del manufatto che si vuole
ricostruire.
Non è sufficiente che si dimostri che un immobile in parte
poi crollato o demolito è esistente, ma è necessario che si
dimostri oltre all’an anche il quantum e cioè l’esatta
consistenza dell'immobile preesistente del quale si chiede
la ricostruzione. Occorre, quindi, la possibilità di
procedere, con un sufficiente grado di certezza, alla
ricognizione degli elementi strutturali dell’edificio, in
modo tale che, seppur non necessariamente “abitato” o
“abitabile”, esso possa essere comunque individuato nei suoi
connotati essenziali, come identità strutturale, in
relazione anche alla sua destinazione (in casi analoghi la
giurisprudenza ha preteso che l’immobile esista quanto meno
in quelle strutture essenziali che, assicurandogli un minimo
di consistenza, possano farlo giudicare presente nella
realtà materiale).
Del resto, come chiarito dalla giurisprudenza, la c.d.
demo-ricostruzione –ovvero un’incisiva forma di recupero di
preesistenze comunque assimilabile alla ristrutturazione
edilizia– tradizionalmente pretende la pressoché fedele
ricostruzione di un fabbricato identico a quello già
esistente, dalla cui strutturale identificabilità, come
organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture
orizzontali e copertura, non si può dunque, in ogni caso,
prescindere.
L'attività di ricostruzione di ruderi è stata invece
concordemente considerata, a tutti gli effetti,
realizzazione di una nuova costruzione, avendo questi
perduto i caratteri dell’entità urbanistico-edilizia
originaria sia in termini strutturali che funzionali>>.
---------------
Il ricorrente censura la deliberazione comunale di
approvazione definitiva del PGT, nella parte in cui ha
disposto l’accoglimento dell’osservazione sull’inserimento
in cartografia di un fabbricato di sua proprietà (rudere),
condizionando la ricostruzione al riscontro di una
testimonianza materiale del 75% dei muri perimetrali e di
un’altezza di 1,5 metri.
Il gravame è fondato e merita accoglimento.
1. Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), del T.U.
edilizia, gli interventi di ristrutturazione
comprendono “il ripristino o la sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la
modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia
sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria di quello
preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti
al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione,
purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.
Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a
vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e
successive modificazioni, gli interventi di demolizione e
ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici
crollati o demoliti costituiscono interventi di
ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la
medesima sagoma dell'edificio preesistente”.
2. Sotto altro profilo, è pacifico in giurisprudenza che la
ricostruzione dei ruderi vada considerata come realizzazione
di una nuova costruzione, quando la parte dell’opera
muraria ancora esistente non permette l’individuazione certa
dei connotati essenziali del manufatto originario (mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura), attesa la
mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare
(TAR Campania-Napoli, sez. III – 27/02/2017 n. 1169).
2.1 E’ stato sottolineato in proposito che <<La
ristrutturazione edilizia presuppone come elemento
indispensabile la preesistenza del fabbricato nella
consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed
architettoniche proprie del manufatto che si vuole
ricostruire (Cons. Stato Sez. IV 15.09.2006 n. 5375).
Non è sufficiente che si dimostri che un immobile in parte
poi crollato o demolito è esistente, ma è necessario che si
dimostri oltre all’an anche il quantum e cioè l’esatta
consistenza dell'immobile preesistente del quale si chiede
la ricostruzione. Occorre, quindi, la possibilità di
procedere, con un sufficiente grado di certezza, alla
ricognizione degli elementi strutturali dell’edificio, in
modo tale che, seppur non necessariamente “abitato” o
“abitabile”, esso possa essere comunque individuato nei suoi
connotati essenziali, come identità strutturale, in
relazione anche alla sua destinazione (in casi analoghi la
giurisprudenza ha preteso che l’immobile esista quanto meno
in quelle strutture essenziali che, assicurandogli un minimo
di consistenza, possano farlo giudicare presente nella
realtà materiale: Cons. Stato, sez. V, 21.10.2014, n. 5174;
Cons. Stato, V, 15.03.1990, n. 293 e 20.12.1985, n. 485).
Del resto, come chiarito dalla giurisprudenza, la c.d.
demo-ricostruzione –ovvero un’incisiva forma di recupero di
preesistenze comunque assimilabile alla ristrutturazione
edilizia– tradizionalmente pretende la pressoché fedele
ricostruzione di un fabbricato identico a quello già
esistente, dalla cui strutturale identificabilità, come
organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture
orizzontali e copertura, non si può dunque, in ogni caso,
prescindere (Cons. Stato, sez. V, 10.02.2004, n. 475).
L'attività di ricostruzione di ruderi è stata invece
concordemente considerata, a tutti gli effetti,
realizzazione di una nuova costruzione (cfr. Cass.
pen. 20.02.2001, n. 13982; Cons. Stato, V, 01.12.1999, n.
2021), avendo questi perduto i caratteri dell’entità
urbanistico-edilizia originaria sia in termini strutturali
che funzionali>> (Consiglio di Stato, sez. VI –
05/12/2016 n. 5106).
3. Posto che (come appena visto) la giurisprudenza in
materia di recupero dei ruderi ha elaborato principi idonei
ad affrontare le singole fattispecie fattuali, la previsione
impugnata appare affetta da un evidente eccesso di potere.
In effetti, se non appare precluso al singolo Ente
l’esercizio della potestà pianificatoria in materia, nel
rispetto della previsione legislativa evocata e delle regole
generali elaborate dalla giurisprudenza, il Comune ha
deliberatamente introdotto vincoli rigidi proprio in
occasione del riscontro dell’istanza di parte ricorrente,
diretta a ottenere il riconoscimento cartografico del
fabbricato preesistente di sua proprietà.
3.1 Il vizio di eccesso di potere per sviamento consiste
nell'effettiva e comprovata divergenza fra l'atto e la sua
funzione tipica, ovvero nell'esercizio del potere per
finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la
norma attributiva dello stesso: ciò si verifica, in
particolare, allorquando l'atto posto in essere sia stato
determinato da un interesse diverso da quello pubblico (cfr.
TAR Toscana, sez. I – 30/03/2016 n. 535; Consiglio di Stato,
sez. V – 01/12/2014 n. 519).
Tuttavia è stato anche precisato che la censura predetta
deve essere supportata da precisi e concordanti elementi di
prova, idonei a dar conto delle divergenze dell'atto dalla
sua tipica funzione istituzionale, non essendo a tal fine
sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si
traducano nella dimostrazione dell'illegittima finalità
perseguita in concreto dall'organo amministrativo; né il
vizio in questione è ravvisabile allorquando –come nella
specie– l'atto asseritamente viziato risulta comunque
adottato nel rispetto delle norme che ne disciplinano la
forma e il contenuto e risulta in piena aderenza al fine
pubblico al quale è istituzionalmente preordinato (TAR
Piemonte, sez. I – 02/08/2016 n. 1102; 17/03/2016 n. 364;
TAR Emilia Romagna-Bologna, sez. I – 30/07/2015 n. 701).
3.2 Alla luce di quanto precede, affiora nel caso esaminato
l’introduzione di una norma urbanistica ad hoc che –a
fronte dell’istanza del privato interessato– impedisce il
recupero del rudere nella misura dal medesimo rappresentata.
L’inserimento in cartografia, sollecitato dal Sig. Ba., è
stato accompagnato da una disposizione di piano
immediatamente penalizzante nei suoi confronti, che appare
in diretta correlazione con la singola aspettativa concreta,
che viene platealmente frustrata.
3.3 L’accoglimento del ricorso non comporta il
riconoscimento della possibilità di procedere al recupero
del manufatto nel senso prospettato dal ricorrente.
L’istanza, tuttavia, dovrà essere esaminata alla luce del
T.U. dell’Edilizia, dei principi giurisprudenziali e delle
altre eventuali regole urbanistiche di cui il Comune sia
dotato.
4. In conclusione, il ricorso deve essere accolto (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 27.03.2017 n. 418 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Rilevanza penale della ristrutturazione di un rudere.
Integra il reato di cui all'art. 44,
lett. c), d.P.R. n. 380 2001 la ricostruzione di un "rudere"
senza il preventivo rilascio del permesso di costruire (o,
come nella specie, con permesso di costruire illecito o
rilasciato in violazione del parametro di legalità
urbanistica ed edilizia, costituito anche dalle prescrizioni
degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi ed -in
quanto applicabili- da quelle della stessa legge), sia
perché trattasi di intervento di nuova costruzione e non di
ristrutturazione di un edificio preesistente, dovendo
intendersi per quest'ultimo un organismo edilizio dotato di
mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, sia
perché non è applicabile l'art. 30 del D.L. n. 69 del 2013 (conv.
in legge n. 98 del 2013), che richiede, nelle zone come
nella specie vincolate, l'esistenza dei connotati essenziali
di un edificio (pareti, solai e tetto) o, in alternativa,
l'accertamento della preesistente consistenza dell'immobile
in base a riscontri documentali, alla verifica dimensionale
del sito o ad altri elementi certi e verificabili, nonché,
in ogni caso, il rispetto della sagoma della precedente
struttura.
---------------
3. Si tratta di una motivazione che non si presta, sia con
riferimento al primo che al secondo motivo di gravame (i
quali pertanto possono essere congiuntamente esaminati), ad
essere censurata per violazione di legge, avendo il
tribunale cautelare fatto buon uso dei principi più volte
affermati da questa Corte secondo i quali
integra il reato di cui all'art. 44, lett. c), d.p.r. n. 380
2001 la ricostruzione di un "rudere" senza il
preventivo rilascio del permesso di costruire (o, come nella
specie, con permesso di costruire illecito o rilasciato in
violazione del parametro di legalità urbanistica ed
edilizia, costituito anche dalle prescrizioni degli
strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi ed -in
quanto applicabili- da quelle della stessa legge), sia
perché trattasi di intervento di nuova costruzione e non di
ristrutturazione di un edificio preesistente, dovendo
intendersi per quest'ultimo un organismo edilizio dotato di
mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, sia
perché non è applicabile l'art. 30 del D.L. n. 69 del 2013 (conv.
in legge n. 98 del 2013), che richiede, nelle zone come
nella specie vincolate, l'esistenza dei connotati essenziali
di un edificio (pareti, solai e tetto) o, in alternativa,
l'accertamento della preesistente consistenza dell'immobile
in base a riscontri documentali, alla verifica dimensionale
del sito o ad altri elementi certi e verificabili, nonché,
in ogni caso, il rispetto della sagoma della precedente
struttura (Sez. 3,
n. 40342 del 03/06/2014, Quarta, Rv. 260552).
Anche il riferimento al mancato completamento del manufatto
abusivo, per indicare la presenza del periculum in mora,
è in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte
secondo cui l'esigenza di impedire la
prosecuzione dei lavori di edificazione di un immobile
abusivo ancora in corso è, di per sé, condizione sufficiente
per disporne e mantenerne il sequestro preventivo,
indipendentemente dalla natura ed entità degli interventi da
eseguire per ultimarlo
(ex multis, Sez. 3, n. 38216 del 28/09/2011, P.M. in
proc. Mastrantonio, Rv. 251302) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.12.2015 n. 48232 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione edilizia di edifici crollati o demoliti.
Con gli interventi modificativi apportati dal d.l. 69/2013 (noto
anche come «decreto del fare»), si è notevolmente ampliato
il concetto di
ristrutturazione, limitando l'obbligo del rispetto della
sagoma ai soli immobili
vincolati ed introducendo la possibilità di ristrutturazione
degli edifici crollati o
demoliti.
Considerata la
disciplina ora vigente,
gli interventi di ristrutturazione edilizia consistenti nel
ripristino o nella
ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, debbono
ritenersi assoggettati a permesso di costruire se non è
possibile accertare la
preesistente volumetria delle opere, le quali, qualora
ricadano in zona
paesaggisticamente vincolata, hanno l'obbligo di rispettare
anche la precedente
sagoma dell'edificio. Sono, invece, soggetti alla procedura
semplificata della SCIA
se si tratta di opere che non rientrano in zona paesaggisticamente vincolata e
rispettano la preesistente volumetria, anche quando
implicano una modifica della
sagoma dell'edificio.
Va richiamata l'attenzione anche sul fatto che
detti
interventi impongono,
quale imprescindibile condizione, che sia possibile
accertare la preesistente
consistenza di ciò che si è demolito o è crollato e che tale
accertamento dovrà
essere effettuato con il massimo rigore e dovrà
necessariamente fondarsi su dati
certi ed obiettivi, quali documentazione fotografica,
cartografie etc., in base ai
quali sia inequivocabilmente individuabile la consistenza
del manufatto
preesistente.
Tale principio è condiviso dal Collegio, il quale intende
darvi continuità,
con l'ulteriore precisazione che l'utilizzazione del termine
«consistenza», da
parte del legislatore, nell'art. 3, comma 1, lett. d), 380/2001
inevitabilmente include tutte le caratteristiche essenziali
dell'edifico
preesistente (volumetria, altezza, struttura complessiva,
etc.), con la
conseguenza che, in mancanza anche di uno solo di tali
elementi,
necessari per la dovuta attività ricognitiva, dovrà
escludersi la
sussistenza del requisito richiesto dalla norma.
Parimenti,
detta verifica
non potrà essere rimessa ad apprezzamenti meramente
soggettivi o al
risultato di stime o calcoli effettuati su dati parziali, ma
dovrà, invece,
basarsi su dati certi, completi ed obiettivamente
apprezzabili.
---------------
1. Il ricorso è infondato.
Va preliminarmente rilevato, con riferimento al primo motivo
di ricorso, che,
sulla base del contenuto della sentenza impugnata e del
ricorso, unici atti ai
quali, come è noto, questa Corte ha accesso, emerge che,
durante
l'espletamento del proprio servizio, personale del Corpo
Forestale dello Stato si
imbatteva in un manufatto in corso di realizzazione sulla
base di un permesso di
costruire (n. 42/2010) avente ad oggetto il «ripristino
parziale e la ristrutturazione
di un antichissimo fabbricato rurale, privo di copertura» e
relativo a «lavori edili
riferibili ad una preesistente costruzione, già in parte
diruta e poi integralmente
demolita».
Le opere realizzate risultavano eseguite in totale
difformità dal titolo
abilitativo, in quanto era stato realizzato un vano da
adibire a servizio igienico.
Per la parte in difformità era stato poi rilasciato un
permesso di costruire in
sanatoria (n. 4/2012) in considerazione della possibilità di
ampliamento, fino al
10% per motivi igienico-sanitari, prevista dai vigenti
strumenti urbanistici.
Il Tribunale rilevava la illegittimità del titolo
autorizzatorio del 2010, stante
l'inesistenza di un preesistente manufatto da ristrutturare,
perché quasi
interamente crollato, del quale non potevano determinarsi la
volumetria e la
sagoma originarie, escludendo, conseguentemente, la
possibilità della
ristrutturazione di un rudere. Conseguentemente, rilevava
anche l'inefficacia del
permesso in sanatoria, in quanto destinato a sanare
l'ampliamento di un
immobile abusivo.
La tesi della legittimità del permesso di costruire n.
42/2010 era invece
sostenuta dagli imputati, nell'appello, sulla base del fatto
che quell'atto aveva ad
oggetto due distinte fasi: una di ripristino e ricostruzione
delle parti mancanti del
manufatto e l'altra di ristrutturazione dello stesso.
La Corte territoriale, nel confutare le censure mosse dagli
appellanti, ha
negato la possibilità della ristrutturazione di un rudere e
negato, altresì, la
possibilità di applicare, nella fattispecie, l'art. 3 d.P.R.
380/2001 come modificato nel
2013.
2. Ritiene il Collegio che le conclusioni cui sono pervenuti
i giudici del
gravame siano corrette.
Occorre, in primo luogo, precisare che il reato contestato è
stato posto in
essere nel 2011, prima, dunque, delle modifiche legislative
richiamate dai
ricorrenti, così come la decisione del primo giudice, è
stata emessa, come
ricordato, nel 2012, con la conseguenza che il Tribunale non
poteva che tener
conto dell'art. 3 d.P.R. 380/2001 così come all'epoca
formulato e della
giurisprudenza formatasi sul tema, che escludeva la
possibilità di
ristrutturazione dei ruderi.
Con riferimento all'originario concetto di ristrutturazione
risultava, infatti, di
tutta evidenza che esso, così come individuato dalla
normativa previgente,
presupponeva la preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare provvisto di
murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura.
Conseguentemente, era
stata sempre esclusa la possibilità che la ricostruzione di
un rudere potesse
ricondursi entro la nozione di ristrutturazione,
trattandosi, al contrario, di un
intervento del tutto nuovo (v. Sez. 3, n. 45240 del
26/10/2007, Scupola, Rv.
238464; Sez. 3, n. 15054 del 23/01/2007, Meli e altro, Rv.
236338; Sez. 3, n. 20776
del 13/01/2006, P.M. in proc. Polverino, Rv. 234467 ed altre prec. conf.). Si
riteneva, infatti, che la mancanza dei suddetti elementi
strutturali, rendesse
impossibile qualsiasi valutazione circa l'esistenza e la
consistenza dell'edifico da
consolidare.
Con gli interventi modificativi apportati dal più volte
citato d.l. 69/2013 (noto
anche come «decreto del fare»), si è notevolmente ampliato
il concetto di
ristrutturazione, limitando l'obbligo del rispetto della
sagoma ai soli immobili
vincolati ed introducendo la possibilità di ristrutturazione
degli edifici crollati o
demoliti.
L'articolo 3, comma primo, lettera d), del D.P.R. 380/2001,
nella formulazione
attualmente vigente, così definisce gli interventi di
ristrutturazione: «interventi
rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un
insieme sistematico di
opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto
o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni
elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la
modifica e l'inserimento di
nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia
sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione
e ricostruzione con la
stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le
sole innovazioni
necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica,
nonché quelli volti al
ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, attraverso la
loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la
preesistente consistenza.
Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a
vincoli ai sensi del
decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive
modificazioni, gli
interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi
di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono
interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove
sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio
preesistente».
3. A tale proposito, la giurisprudenza di questa Corte,
richiamata anche dai
ricorrenti, ha avuto modo di precisare che,
considerata la
disciplina ora vigente,
gli interventi di ristrutturazione edilizia consistenti nel
ripristino o nella
ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, debbono
ritenersi assoggettati a permesso di costruire se non è
possibile accertare la
preesistente volumetria delle opere, le quali, qualora
ricadano in zona
paesaggisticamente vincolata, hanno l'obbligo di rispettare
anche la precedente
sagoma dell'edificio. Sono, invece, soggetti alla procedura
semplificata della SCIA
se si tratta di opere che non rientrano in zona paesaggisticamente vincolata e
rispettano la preesistente volumetria, anche quando
implicano una modifica della
sagoma dell'edificio (Sez. 3, n. 40342 del
03/06/2014, Quarta, Rv. 260551).
Va richiamata l'attenzione anche sul fatto che
detti
interventi impongono,
quale imprescindibile condizione, che sia possibile
accertare la preesistente
consistenza di ciò che si è demolito o è crollato e che tale
accertamento dovrà
essere effettuato con il massimo rigore e dovrà
necessariamente fondarsi su dati
certi ed obiettivi, quali documentazione fotografica,
cartografie etc., in base ai
quali sia inequivocabilmente individuabile la consistenza
del manufatto
preesistente (cfr. Sez. 3, n. 5912 del 22/01/2014, Moretti e
altri, Rv. 258597; Sez. 3
n. 26713 del 25/06/2015, Petitto, non massimata).
4. Tale principio è condiviso dal Collegio, il quale intende
darvi continuità,
con l'ulteriore precisazione che l'utilizzazione del termine
«consistenza», da
parte del legislatore, nell'art. 3, comma 1, lett. d), 380/2001
inevitabilmente include tutte le caratteristiche essenziali
dell'edifico
preesistente (volumetria, altezza, struttura complessiva,
etc.), con la
conseguenza che, in mancanza anche di uno solo di tali
elementi,
necessari per la dovuta attività ricognitiva, dovrà
escludersi la
sussistenza del requisito richiesto dalla norma. Parimenti,
detta verifica
non potrà essere rimessa ad apprezzamenti meramente
soggettivi o al
risultato di stime o calcoli effettuati su dati parziali, ma
dovrà, invece,
basarsi su dati certi, completi ed obiettivamente
apprezzabili.
5. Ciò posto, va rilevato che, nel caso in esame,
correttamente i giudici del
merito hanno stigmatizzato la singolarità del procedimento autorizzatorio che ha
riguardato l'intervento edilizio realizzato dai ricorrenti
laddove, in presenza di un
manufatto ormai in condizioni di rudere, si è, con unico
provvedimento, autorizzato il ripristino e, successivamente,
la ristrutturazione.
Si tratta di un'operazione che non sembra trovare altra
giustificazione,
almeno sulla base di quanto emerge dalla sentenza e dal
ricorso, se non quella di
rendere possibile, sull'edificio ormai in rovina,
un'attività allora non consentita
per le ragioni che la Corte territoriale e, prima ancora, il
Tribunale, hanno, come
si è detto, correttamente individuato.
6. La sentenza impugnata risulta parimenti corretta laddove
esclude
l'applicabilità, nella fattispecie, delle disposizioni che i
ricorrenti assumono
violate.
Osservano infatti i giudici del gravame che risulta
impossibile, sulla base
della mera disamina della documentazione fotografica in
atti, individuare in
maniera attendibile le caratteristiche originarie del
manufatto.
Tale assunto non viene minimamente intaccato dalle diverse
considerazioni
dei ricorrenti, i quali ritengono possibile la dimostrazione
della originaria
consistenza del manufatto sulla base della testimonianza
resa dal tecnico
comunale nel corso del dibattimento e parzialmente
riprodotta in ricorso.
Si tratta, invero, come risulta dalla mera lettura dei brani
riportati, di mere
valutazioni soggettive e mere ipotesi, la cui irrilevanza è
stata correttamente
ritenuta dai giudici del merito.
li motivo di ricorso appena esaminato risulta, pertanto,
infondato (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.11.2015 n. 45147 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Variare i volumi, la Scia non basta.
La Cassazione sulle ristrutturazioni.
Necessita del permesso a costruire, e non di sola Dia (oggi
Scia) la ricostruzione di un immobile demolito con
modificazioni tipologiche, variazione di destinazione d'uso
e con parziale incremento volumetrico. In seguito
all'innovazione legislativa (dl n. 69/2013, convertito nella
legge n. 98/2013) costituita dalla modificazione introdotta
nel dpr n. 380/2001 (testo unico edilizia) «il requisito del
rispetto della identità di sagoma non è più elemento
indefettibile onde operare la diagnosi differenziale fra gli
interventi di ristrutturazione edilizia necessitanti di
preventivo permesso a costruire e gli altri interventi
minori di risanamento conservativo assentibili anche tramite
la presentazione, allora, della Dia, ora, della Scia».
Tutto questo lo sostiene la Corte di cassazione penale, Sez.
III, con la
sentenza 25.06.2015 n.
26713.
Sottolineano i giudici di piazza Cavour proprio con riferimento alla
sopravvenuta innovazione legislativa (decreto fare) integra
il reato di cui all'articolo 44 del dpr n. 380 del 2001 la
ricostruzione di un edificio demolito senza il preventivo
rilascio del permesso di costruire.
Sia perché trattasi di
intervento di nuova costruzione e o di ristrutturazione, di
un edificio preesistente, dovendo intendersi per
quest'ultimo un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura, sia perché
non è applicabile l'articolo 30 del decreto del fare che,
per assoggettare gli interventi di ripristino o di
ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, al regime semplificato della Scia, o in
passato della Dia, richiede l'accertamento della
preesistente consistenza dell'immobile in base a riscontri
documentali, alla verifica dimensionale del sito o ad altri
elementi certi e verificabili.
Ricordiamo dal 21.08.2013, sono compresi tra gli interventi di ristrutturazione
edilizia anche quelli che consistono nella demolizione e
ricostruzione di un immobile con la stessa volumetria di
quello precedente, senza che sia necessario rispettarne la
sagoma
(articolo ItaliaOggi dell'11.07.2015). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione dopo il d.l. 69 del 2013.
E' ben vero che, per effetto del dl n.
69 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 98
del 2013 il requisito del rispetto della identità di sagoma
non è più elemento indefettibile onde operare la diagnosi
differenziale fra gli interventi di ristrutturazione
edilizia necessitanti di preventivo permesso a costruire e
gli altri interventi minori di risanamento conservativo
assentibili anche tramite la presentazione, allora, della
DIA ed, ora, della SCIA, ma non va, tuttavia, trascurato che
anche in questi casi è pur sempre necessario, onde accertare
che sia rimasta invariata anche la, preesistente volumetria,
che sia possibile operare la verifica della originaria
consistenza in base a riscontri documentali od altri
elementi certi è verificabili.
A questo punto non resta che da verificare se ed in che
termini la impugnata ordinanza sia rispettosa dei principi
legislativi in materia di ristrutturazione edilizia dettati,
principalmente, dagli artt. 3 e 10 del dPR n. 380 del 2001,
pure nel testo attualmente vigente a seguito della modifiche
apportate, da ultimo, dall'art. 30 del dl n. 69 del 2013,
come convertito dalla legge n. 98 del 2013, e,
subordinatamente al rispetto dei principi fondamentali
fissati dal legislatore nazionale in materia di governo del
territorio, dall'art. 79, comma 2, lettera d), della legge
della Regione Toscana n. 1 del 2005.
Deve in via del tutto prioritaria precisarsi che spetta
esclusivamente al legislatore nazionale, nell'esercizio
della sua competenza in ordine alla fissazione dei principi
fondamentali in tema di governo del territorio, dettare le
nozioni e le definizioni degli istituti fondamentali
rilevanti in tale materia.
Fra di esse vi è là indicazione delle tipologie di attività
edilizie soggette al permesso a costruire; fra queste,
secondo il chiaro tenore dell'art. 10 del dPR n. 380 del
2001, vi sono gli interventi di ristrutturazione edilizia
che "portino ad un organismo edilizio in tutto od in
parte diverso dal precedente e che comportino modifiche
della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti".
Più in particolare l'art. 3, comma 1, lettera d), del
medesimo dPR n. 380 del 2001, precisa che, nell'ambito degli
interventi di ristrutturazione edilizia, come tali
subordinati al rilascio del permesso à costruire, vanno
ricompresi "anche quelli consistenti, nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria di quello
preesistente fatte salve le sole innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti
al ripristino di edifici crollati o demoliti, attraverso la
(ori ricostruzione, purché sia possibile accertarne la
preesistente consistenza".
Sulla base dei riportati dati normativi dovrebbe concludersi
nel senso della corretta interpretazione che di essi ne è
stata fatta dal Tribunale di Grosseto; questo, infatti, ha
ritenuto che necessitassero di permesso a costruire, e non
di sola DIA, le opere realizzate dal P., trattandosi, alla
luce delle cognizione sommaria propria della presente fase
cautelare, della ricostruzione di manufatti demoliti con
modificazioni tipologiche, variazione di destinazione d'uso
'e un parziale loro incremento volumetrico.
A tale proposito, e, proprio con riferimento alla
sopravvenuta innovazione legislativa, costituita dalla
ricordata modificazione introdotta nell'art. 10, comma 1,
lettera c), del dPR n. 380 del 2001 per effetto della
entrata in vigore del dl n. 69 del 2013, convertito con
modificazioni dalla legge n. 98 del 2013, invocata dallo
stesso ricorrente, questa Corte ha avuto occasione di
precisare più volte che integra il reato di cui all'art. 44
del dPR n. 380 del 2001 la ricostruzione di un edificio
demolito senza il preventivo rilascio del permesso di
costruire, sia perché trattasi di intervento di nuova
costruzione e non di ristrutturazione, di un edificio
preesistente, dovendo intendersi per quest'ultimo un
organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture
orizzontali e copertura, sia perché non è applicabile l'art.
30 del D.L. n. 69 del 2013 (convertito, in legge n. 98 del
2013), che, per assoggettare gli interventi di ripristino o
di ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, al regime semplificato della SCIA, o in
passato della DIA, richiede l'accertamento dell'a
preesistente consistenza dell'immobile in base a riscontri
documentali, alla verifica dimensionale del sito o ad altri
elementi certi e verificabili (Corte di cassazione, Sezione
III penale, 30.09.2014, n. 40342).
E' ben vero che, come segnala lo stesso ricorrente, per
effetto della ricordata innovazione legislativa il requisito
del rispetto della identità di sagoma non è più elemento
indefettibile onde operare la diagnosi differenziale fra gli
interventi di ristrutturazione edilizia necessitanti di
preventivo permesso a costruire e gli altri interventi
minori di risanamento conservativo assentibili anche tramite
la presentazione, allora, della DIA ed, ora, della SCIA, ma
non va, tuttavia, trascurato che anche in questi casi è pur
sempre necessario, onde accertare che sia rimasta invariata
anche la, preesistente volumetria, che sia possibile operare
la verifica della originaria consistenza in base a riscontri
documentali od altri elementi certi è verificabili (Corte di
cassazione, Sezione III penale, 07.02.2014, n. 5912).
La circostanza che nel caso in esame tali elementi non sono
stati forniti dal ricorrente al giudice della cautela con la
necessaria efficacia probatoria, fa sì che non possa
ritenersi escluso, tanto più in questa fase cautelare,
caratterizzata, tenuto conto anche della natura reale del
vincolo disposto col provvedimento de Gip di Grosseto, da un
grado piuttosto sommario di cognizione, il fumus commissi
delicti idoneo a giustificare la adozione ed il
mantenimento del provvedimento oggetto di doglianza da parte
del P..
Né siffatta ricostruzione può dirsi contraddetta da quanto
il legislatore regionale ha disciplinato all'art. 79, comma
2, lettera d), della legge della Regione Toscana n. 1 del
2005, posto che tale disposizione consente che siano
assentibili a seguito di mera SCIA anche gli interventi di
ristrutturazione edilizia facenti seguito a precedenti
demolizioni ma solo nel caso in cui essi consistano nella
fedele ricostruzione dell'edificio preesistente,
intendendosi per tale quella realizzata con gli stessi
materiali o con materiali analoghi, con la stessa
collocazione e con lo stesso ingombro planivolumetrico;
requisiti tutti questi che, all'o stato degli atti, il
Tribunale di Grosseto non è stato messo in grado di
verificare ed in relazione ai quali non è stato eccepito dal
ricorrente il fatto che essi, sebbene esistenti e
suscettibili di verifica da parte del Tribunale maremmano,
non siano stati da questo presi nella dovuta considerazione
(Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 25.06.2015 n.
26713 - tratto da www.lexambiente.it). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Ruderi da ricostruire: non bastano le tracce.
Cassazione. Circoscritto il Dl del fare.
Più difficile ricostruire ruderi, se mancano segni concreti
della preesistenza:
lo sottolinea la Corte di Cassazione, Sez. III penale, con
sentenza 30.09.2014 n. 40342.
La questione si è posta all'indomani dell'entrata in vigore
del "decreto del fare" (69/2013). L'articolo 30, modificando
l'articolo 3 del Tu edilizia 380/2001, colloca le
ricostruzioni tra gli interventi di ristrutturazione
edilizia, sottraendoli alla più complessa ristrutturazione
urbanistica. La norma del 2013 richiede, per ricostruire,
una generica possibilità di accertare la preesistente
consistenza: basterebbero, quindi, generici rilievi desunti
da quelli depositati presso uffici pubblici (catasto) o
addirittura le fotografie da album personali, per poter
dimostrare una preesistenza e quindi ripristinare superfici
e volumi.
Ciò ha reso di colpo appetibili tutte le aree con
ruderi, spesso testimonianze di manufatti un tempo
particolarmente consistenti. L'unico limite starebbe nei
vincoli ambientali paesaggistici, ma per le zone non
vincolante, un rudere poteva diventare l'inizio di una
ritrovata edificabilità.
Ora la Cassazione adotta un'interpretazione restrittiva,
esigendo la presenza dei connotati essenziali di un edificio
(pareti, solai e tetto), in modo che possa essere
determinata la volumetria, ovvero che essa possa essere
oggettivamente desunta da apposita documentazione storica o
attraverso una verifica dimensionale sul luogo.
In precedenza, si richiedeva che il rudere consentisse
l'individuazione dei connotati essenziali di un edificio,
senza che fosse necessario dimostrarne l'abitazione: è stata
così ritenuta sufficiente un'immagine desunta da Google maps
(Tar Catanzaro 443/2014), oppure la riconoscibilità
dell'originaria area attraverso residui e segmenti
consistenti del muro perimetrale (Consiglio di Stato
735/2014).
Non bastano quindi «poche pietre in un declivio
erboso» (Tribunale di Trento 306/2013), e nemmeno può
recuperarsi ciò che era stato demolito cinquant'anni prima
(Consiglio giustizia amministrativa 1200/2010). Non ci sono
invece problemi se sono crollati il tetto e uno o più
solari: la ricostruzione in questi casi deve rispettare la
sagoma dell'edificio preesistente. Sagoma che tuttavia può
contenere una maggiore superficie rispetto a quella del
passato (articolo Il Sole 24 Ore dell'11.10.2014). |
EDILIZIA
PRIVATA: L'identificazione
catastale è richiesta al fine di consentire la trascrizione
che non ha alcuna efficacia sostanziale, adempiendo alla
limitata funzione di rendere l'atto opponibile ai terzi in
caso di conflitto tra più acquirenti del medesimo immobile.
---------------
Nel giudizio di impugnazione dell'ordinanza repressiva di un
abuso edilizio è onere del privato fornire la prova dello
"status quo ante", in quanto la p.a. non può di solito
materialmente accertare quale fosse la situazione
dell'intero suo territorio.
Chi realizza interventi, ritenuti abusivi, su immobili
esistenti, è tenuto a dimostrare rigorosamente, se intende
evitare le misure repressive di legge, lo stato della
preesistenza, proprio in applicazione del principio generale
di cui all'art. 2697 c.c..
In tali casi, il privato dispone, ed è normalmente in grado
di esibire, la documentazione idonea al fine di fornire
utili elementi di valutazione quali fotografie con data
certa dell'immobile, estratti delle planimetri catastali, il
progetto originario e i suoi allegati, ecc..
---------------
La giurisprudenza civile in numerose pronunce, sia di
merito (App. Roma Sez. I Sent., 23.11.2009: “non può
pronunciarsi una sentenza sostitutiva dell’obbligo di
concludere il contratto definitivo di compravendita di
immobile ex art. 2932 c.c. qualora sia giudizialmente
accertata la differenza tra le risultanze catastali e
l’effettiva consistenza dei beni immobili al momento del
trasferimento, in mancanza di concessione edilizia o di
successiva regolarizzazione di esse, e qualora il
promettente venditore non abbia provveduto alla
regolarizzazione con dichiarazione sostitutiva di
notorietà”) che di legittimità (ex aliis Cass. civ.
Sez. II, 19.11.2004, n. 21885 “nei contratti in materia di
compravendita immobiliare ai fini dell'individuazione
dell'immobile oggetto del trasferimento della proprietà
l'indicazione dei confini -che concerne punti oggettivi di
riferimento esterni consentendo perciò la massima
precisione- assume valore decisivo e prevalente rispetto
alle altre risultanze probatorie e, in particolare, ai dati
catastali, allorché si risolva nella descrizione dell'intero
perimetro e, a maggior ragione, quando trovi conferma in
altri dati obiettivi incontrovertibilmente conducenti al
fine, come la specificazione della superficie e la
dettagliata descrizione della composizione e della
collocazione dell'unità immobiliare nell'ambito di un più
vasto complesso così eliminando ogni margine di dubbio circa
la materiale consistenza dell'unità stessa. A tali fini,
pertanto, il ricorso ai dati catastali -che non solo hanno
natura tecnica e sono preordinati essenzialmente
all'assolvimento di funzioni tributarie ma anche spesso
sfuggono alla diretta percezione da parte dei contraenti- ha
solo carattere sussidiario, essendo ammesso unicamente
nell'ipotesi di indicazioni inadeguate o imprecise in ordine
ai confini”) ha rimarcato la impossibilità di far discendere
la prova della pregressa consistenza dell’immobile dalle
dette risultanze catastali.
La giurisprudenza amministrativa, dal canto proprio
interrogandosi sui concetti di “ripristino” e
“ristrutturazione”, ha avuto modo di enunciare taluni
importanti principi.
In particolare, nella condivisibile decisione prima indicata
si è avuto modo di chiarire che con il termine "ripristino"
s'intende, in campo edilizio, l'operazione volta ad ottenere
la ricostruzione di una cosa persa, non più esistente, di
cui lo strumento di pianificazione, come nel caso di specie
pure ne ha ritenuto corretta la riproposizione.
In altri termini, quanto al suo contenuto, il ripristino
deve tendere a ricostituire lo status edilizio quo ante, per
cui il risultato finale di un siffatto intervento su un
immobile non più presente perché demolito o comunque venuto
meno per ragioni svariate è appunto la ricostruzione
dell'edificio dov'era e com'era (nelle forme e consistenza
originariamente possedute dall'edificio).
Si è detto in particolare che anche laddove la disciplina
urbanistica comunale ritenga compatibile con la categoria
del restauro e quella del risanamento l'intervento di
ripristino, è necessario però che le parti originarie da
ricostruirsi siano documentate in modo "incontrovertibile",
nel senso che attraverso elementi oggettivi -caratterizzati
dalla assoluta certezza- deve essere comprovata la
preesistenza di quanto si vuole riedificare.
Se così è, è fuori discussione l'ammissibilità in linea
generale di un intervento di riedificazione di ciò che in
passato è stato (dal punto di vista edilizio) a mezzo,
appunto, della modalità del ripristino diventa dirimente
l'accertamento dell'esistenza incontrovertibile del
precedente manufatto e della sua effettiva consistenza.
Analoghi principi, peraltro, sono predicabili peraltro
allorché ci si voglia rifare alla categoria edilizia della
ristrutturazione, la cui nozione impone di assicurare la
piena conformità di volume, sagoma, e superficie tra vecchio
e nuovo fabbricato.
In sintesi ed in via generale: per ri-edificare si deve
provare che “pregresso” v’era, ed esatta consistenza del
pregresso: in carenza di tale prova non v’è spazio per il
rilascio di provvedimenti ampliativi.
Il Collegio ritiene di dovere premettere,
rispetto al partito esame delle censure dedotte, il proprio
convincimento circa la piena condivisibilità ed attualità
del principio (ex multis, Cass. civ. Sez. II, 11.08.2005, n.
16853) secondo il quale l'identificazione catastale è
richiesta al fine di consentire la trascrizione che non ha
alcuna efficacia sostanziale, adempiendo alla limitata
funzione di rendere l'atto opponibile ai terzi in caso di
conflitto tra più acquirenti del medesimo immobile.
Il principio, nel caso di specie, può essere nella sostanza
accostato a quello, -pure a più riprese predicato dalla
giurisprudenza amministrativa- secondo il quale (Cons.
Stato Sez. IV, 14.02.2012, n. 703) “nel giudizio di
impugnazione dell'ordinanza repressiva di un abuso edilizio
è onere del privato fornire la prova dello "status quo
ante", in quanto la p.a. non può di solito materialmente
accertare quale fosse la situazione dell'intero suo
territorio. Chi realizza interventi, ritenuti abusivi, su
immobili esistenti, è tenuto a dimostrare rigorosamente, se
intende evitare le misure repressive di legge, lo stato
della preesistenza, proprio in applicazione del principio
generale di cui all'art. 2697 c.c.. In tali casi, il privato
dispone, ed è normalmente in grado di esibire, la
documentazione idonea al fine di fornire utili elementi di
valutazione quali fotografie con data certa dell'immobile,
estratti delle planimetri catastali, il progetto originario
e i suoi allegati, ecc.”.
---------------
La premessa dalla quale è
necessario trarre le mosse (e che in parte è stata
anticipata nell’incipit della presente motivazione) riposa
nella considerazione che certamente le risultanze catastali, ex se considerate, non possono rivestire una
simile valenza.
La giurisprudenza civile di ciò è ben consapevole, ed in
numerose pronunce, sia di merito (App. Roma Sez. I Sent.,
23.11.2009: “non può pronunciarsi una sentenza sostitutiva
dell’obbligo di concludere il contratto definitivo di
compravendita di immobile ex art. 2932 c.c. qualora sia
giudizialmente accertata la differenza tra le risultanze
catastali e l’effettiva consistenza dei beni immobili al
momento del trasferimento, in mancanza di concessione
edilizia o di successiva regolarizzazione di esse, e qualora
il promettente venditore non abbia provveduto alla
regolarizzazione con dichiarazione sostitutiva di
notorietà”) che di legittimità (ex aliis Cass. civ. Sez. II, 19.11.2004, n. 21885 “nei contratti in materia di
compravendita immobiliare ai fini dell'individuazione
dell'immobile oggetto del trasferimento della proprietà
l'indicazione dei confini -che concerne punti oggettivi di
riferimento esterni consentendo perciò la massima precisione- assume valore decisivo e prevalente rispetto alle altre
risultanze probatorie e, in particolare, ai dati catastali,
allorché si risolva nella descrizione dell'intero perimetro
e, a maggior ragione, quando trovi conferma in altri dati
obiettivi incontrovertibilmente conducenti al fine, come la
specificazione della superficie e la dettagliata descrizione
della composizione e della collocazione dell'unità
immobiliare nell'ambito di un più vasto complesso così
eliminando ogni margine di dubbio circa la materiale
consistenza dell'unità stessa. A tali fini, pertanto, il
ricorso ai dati catastali -che non solo hanno natura
tecnica e sono preordinati essenzialmente all'assolvimento
di funzioni tributarie ma anche spesso sfuggono alla diretta
percezione da parte dei contraenti- ha solo carattere
sussidiario, essendo ammesso unicamente nell'ipotesi di
indicazioni inadeguate o imprecise in ordine ai confini”) ha
rimarcato la impossibilità di far discendere la prova della
pregressa consistenza dell’immobile dalle dette risultanze
catastali.
La giurisprudenza amministrativa, dal canto proprio (ex aliis si veda la completa ricostruzione contenuta nella
sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato
18.10.2010, n. 7540) interrogandosi sui concetti di
“ripristino” e “ristrutturazione”, ha avuto modo di
enunciare taluni importanti principi.
In particolare, nella condivisibile decisione prima indicata
si è avuto modo di chiarire che con il termine "ripristino"
s'intende, in campo edilizio, l'operazione volta ad ottenere
la ricostruzione di una cosa persa, non più esistente, di
cui lo strumento di pianificazione, come nel caso di specie
pure ne ha ritenuto corretta la riproposizione.
In altri termini, quanto al suo contenuto, il ripristino
deve tendere a ricostituire lo status edilizio quo ante, per
cui il risultato finale di un siffatto intervento su un
immobile non più presente perché demolito o comunque venuto
meno per ragioni svariate è appunto la ricostruzione
dell'edificio dov'era e com'era (nelle forme e consistenza
originariamente possedute dall'edificio).
Si è detto in particolare che anche laddove la disciplina
urbanistica comunale ritenga compatibile con la categoria
del restauro e quella del risanamento l'intervento di
ripristino, è necessario però che le parti originarie da
ricostruirsi siano documentate in modo "incontrovertibile",
nel senso che attraverso elementi oggettivi -caratterizzati
dalla assoluta certezza- deve essere comprovata la
preesistenza di quanto si vuole riedificare.
Se così è, è fuori discussione l'ammissibilità in linea
generale di un intervento di riedificazione di ciò che in
passato è stato (dal punto di vista edilizio) a mezzo,
appunto, della modalità del ripristino diventa dirimente
l'accertamento dell'esistenza incontrovertibile del
precedente manufatto e della sua effettiva consistenza.
Analoghi principi, peraltro, sono predicabili peraltro
allorché ci si voglia rifare alla categoria edilizia della
ristrutturazione, la cui nozione (pur comprendendo la
demolizione e la fedele e integrale ricostruzione: cfr Cons.
Stato, Sez. IV, 28.07.2005, n. 4011; Sez. V, 30.08.2006, n. 5061) impone di assicurare la piena conformità di
volume, sagoma, e superficie tra vecchio e nuovo fabbricato
(in tal senso Cons. Stato Sez. V 07.09.2004 n. 5791).
In sintesi ed in via generale: per ri-edificare si deve
provare che “pregresso” v’era, ed esatta consistenza
del pregresso: in carenza di tale prova non v’è spazio per
il rilascio di provvedimenti ampliativi
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.08.2014 n. 4208 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In tema di <ricostruzione dei ruderi> ai fini
della sussistenza dei presupposti per la demolizione e
ricostruzione (come “ristrutturazione edilizia”) è
necessario che l’edificio esista, con strutture perimetrali,
orizzontali e di copertura, con il risultato che si ha
invece intervento di “nuova edificazione” in caso di ruderi,
allorquando non si disponga di elementi attuali sufficienti
a dimostrare le dimensioni e le caratteristiche
dell’edificio da recuperare.
--------------
Circa la nuova disciplina introdotta del decreto-legge n.
69/2013 (convertito in legge n. 98/2013) è vero che la nuova
disciplina della <ricostruzione dei ruderi>, sposta
fattispecie che in passato sono state fatte rientrare negli
interventi di “nuova edificazione” nell’ambito delle
“ristrutturazione edilizia”; tuttavia ciò avviene a precise
condizioni previste dalla norma e cioè laddove si voglia
ricostruire un immobile crollato o demolito del quale “sia
possibile accertare la preesistente consistenza”.
Dunque non è sufficiente che si dimostri che un immobile è
esistito e che attualmente risulta crollato per potere
accedere alla sua ricostruzione come “ristrutturazione
edilizia”, ma è necessario che in concreto si dimostri non
solo il profilo dell’an (che un certo immobile attualmente
crollato è esistito) ma anche quello del quantum (che cioè
si dimostri l’esatta consistenza dell’immobile preesistente
del quale si richiede la ricostruzione); il risultato è che
se invece si riesce solo a dimostrare che in un certo luogo
vi era in passato un immobile oggi demolito, ma non si
riesce a dimostrarne la consistenza, la sua rinnovata
edificazione deve essere inquadrata come “nuova
costruzione”.
Dimostrare la “preesistente consistenza” vuol dire, come
anche parte ricorrente ammette, dar conto della
“destinazione d’uso e [del]l’ingombro planivolumetrico
complessivo del fabbricato crollato”, profilo quest’ultimo
che richiede certezza in punto di murature perimetrali e di
strutture orizzontali di copertura, ai fini del calcolo del
volume preesistente occupato dal fabbricato crollato.
--------------
Nel caso in esame elementi fattuali aventi un qualche grado
di certezza sull’effettivo ingombro planivilumetrico
dell’edificio preesistente non ci sono. Nel ricorso e nella
relazione tecnica allegata all’istanza di permesso di
costruire si dice apertamente che l’immobile che si intende
ricostruire non solo è crollato, ma è “non più
identificabile dai resti”.
La documentazione che parte ricorrente ha prodotto in sede
procedimentale e anche quella aggiuntiva prodotta in
giudizio, se danno conto della certa preesistenza
dell’immobile di cui si chiede la ricostruzione non
consentono di ritenere accertata la sua effettiva
consistenza; se dubbi suscita l’individuazione delle
dimensioni in pianta dell’edificio, che dovrebbero ricavarsi
da una vecchia mappa catastale e da un estratto del c.d.
Catasto Leopoldino (atti che non consentono di ricavare
elementi quantitativi certi), sicuramente inidoneo risulta
il calcolo dell’altezza dell’edificio crollato.
Quest’ultimo elemento (altezza dell’edificio) è infatti
ricavato da parte ricorrente applicando, ad una foto aerea
del 1965, la c.d. “teoria delle ombre”, cioè uno studio che
stima le altezze degli immobili dal confronto tra le ombre
dei vari edifici, ricavabili dalla foto, alcuni dei quali
ancora esistenti: come l’Amministrazione ha ben argomentato
nella relazione tecnica presentata, si tratta di calcoli con
margine di errore molto alto (sino a 8 metri) e quindi con
attendibilità assai ridotta, stante il fatto che si utilizza
una foto scattata a 2.800 metri di quota e in scala 1:
20.000, con il risultato che essa non risulta idonea ad
integrare la previsione normativa che richiede che sia
“accertata” la preesistente consistenza dell’immobile.
In tema di <ricostruzione
dei ruderi> la Sezione si è recentemente espressa con la
sentenza n. 1560 del 12.11.2013, nella quale è stato
richiamato l’orientamento giurisprudenziale prevalente
secondo cui, ai fini della sussistenza dei presupposti per
la demolizione e ricostruzione (come “ristrutturazione
edilizia”), è necessario che l’edificio esista, con
strutture perimetrali, orizzontali e di copertura, con il
risultato che si ha invece intervento di “nuova
edificazione” in caso di ruderi, allorquando non si
disponga di elementi attuali sufficienti a dimostrare le
dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare.
Nella presente controversia, tuttavia, parte ricorrente
richiama la nuova disciplina introdotta del decreto-legge n.
69 del 2013 (convertito in legge n. 98 del 2013), che ha sul
punto modificato l’art. 3, comma 1, lett. d), del DPR n. 380
del 2001, cioè la norma che definisce l’istituto della <ristrutturazione
edilizia>; a seguito di tale modifica rientrano nella
ristrutturazione edilizia anche gli interventi edilizi “volti
al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione,
purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”;
parte ricorrente ritiene che nella specie sussistano i
presupposti per assentire l’intervento edilizio richiesto
alla luce della nuova definizione normativa della
ristrutturazione edilizia.
Ma la tesi di parte ricorrente non convince.
Da un primo punto di vista è vero che la nuova disciplina
della <ricostruzione dei ruderi>, sposta fattispecie
che in passato sono state fatte rientrare negli interventi
di “nuova edificazione” nell’ambito delle “ristrutturazione
edilizia”; tuttavia ciò avviene a precise condizioni
previste dalla norma e cioè laddove si voglia ricostruire un
immobile crollato o demolito del quale “sia possibile
accertare la preesistente consistenza”.
Dunque non è sufficiente che si dimostri che un immobile è
esistito e che attualmente risulta crollato per potere
accedere alla sua ricostruzione come “ristrutturazione
edilizia”, ma è necessario che in concreto si dimostri
non solo il profilo dell’an (che un certo immobile
attualmente crollato è esistito) ma anche quello del
quantum (che cioè si dimostri l’esatta consistenza
dell’immobile preesistente del quale si richiede la
ricostruzione); il risultato è che se invece si riesce solo
a dimostrare che in un certo luogo vi era in passato un
immobile oggi demolito, ma non si riesce a dimostrarne la
consistenza, la sua rinnovata edificazione deve essere
inquadrata come “nuova costruzione”.
Dimostrare la “preesistente consistenza” vuol dire,
come anche parte ricorrente ammette, dar conto della “destinazione
d’uso e [del]l’ingombro planivolumetrico complessivo del
fabbricato crollato”, profilo quest’ultimo che richiede
certezza in punto di murature perimetrali e di strutture
orizzontali di copertura, ai fini del calcolo del volume
preesistente occupato dal fabbricato crollato.
Nel caso in esame elementi fattuali aventi un qualche grado
di certezza sull’effettivo ingombro planivilumetrico
dell’edificio preesistente non ci sono. Nel ricorso e nella
relazione tecnica allegata all’istanza di permesso di
costruire (doc. 2 dell’Amministrazione) si dice apertamente
che l’immobile che si intende ricostruire non solo è
crollato, ma è “non più identificabile dai resti”.
La documentazione che parte ricorrente ha prodotto in sede
procedimentale e anche quella aggiuntiva prodotta in
giudizio, se danno conto della certa preesistenza
dell’immobile di cui si chiede la ricostruzione non
consentono di ritenere accertata la sua effettiva
consistenza; se dubbi suscita l’individuazione delle
dimensioni in pianta dell’edificio, che dovrebbero ricavarsi
da una vecchia mappa catastale e da un estratto del c.d.
Catasto Leopoldino (atti che non consentono di ricavare
elementi quantitativi certi), sicuramente inidoneo risulta
il calcolo dell’altezza dell’edificio crollato; quest’ultimo
elemento (altezza dell’edificio) è infatti ricavato da parte
ricorrente applicando, ad una foto aerea del 1965, la c.d. “teoria
delle ombre”, cioè uno studio che stima le altezze degli
immobili dal confronto tra le ombre dei vari edifici,
ricavabili dalla foto, alcuni dei quali ancora esistenti:
come l’Amministrazione ha ben argomentato nella relazione
tecnica del 27.02.2014 (doc. 13 del deposito
dell’Amministrazione), si tratta di calcoli con margine di
errore molto alto (sino a 8 metri) e quindi con
attendibilità assai ridotta, stante il fatto che si utilizza
una foto scattata a 2.800 metri di quota e in scala 1:
20.000, con il risultato che essa non risulta idonea ad
integrare la previsione normativa che richiede che sia “accertata”
la preesistente consistenza dell’immobile
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 21.03.2014 n. 567 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nella
fattispecie, trattasi di un residuo di manufatto,
completamente diruto,
fondamentalmente costituito da segmenti del muro perimetrale
nemmeno idonei al riconoscimento dell’originaria area di
sedime.
Orbene, stante l’inesistenza di un fabbricato su cui
intervenire, appaiono del tutto non condivisibili le
affermazioni del primo giudice sulla possibilità della
ristrutturazione, in quanto tale intervento è espressamente
consentito, anche nella forma della ricostruzione previa
demolizione, in presenza di un edificio esistente,
circostanza qui non assodata, anzi esclusa dalle prove.
Non solo, l’inesistenza di un edificio su cui intervenire
esclude parimenti la possibilità di una realizzazione di
parcheggi ex legge 122 del 1990, visto che la legge
ricollega tale facoltà ai soli manufatti esistenti, anzi
impone uno stretto vincolo di pertinenzialità, non
concepibile in assenza dell’opera principale (da ultimo,
Consiglio di Stato, n. 3672/2013, che rimarca come l'art. 9
della legge 24.03.1989 n. 122, nella parte in cui assoggetta
la realizzazione di parcheggi ad autorizzazione gratuita e
non a concessione, costituisce norma eccezionale che,
derogando agli strumenti urbanistici e ai regolamenti
edilizi vigenti, deve intendersi riferita al parcheggio
realizzato nello stesso fabbricato ove sono situate le unità
immobiliari di cui il parcheggio costituisce pertinenza).
L’aspetto centrale della vicenda, come d’altronde avviene
spesso in tutte le questioni riguardanti l’edilizia, attiene
all’esatta individuazione della categoria di opera, in
relazione alla fondamentale distinzione tra interventi di
nuova costruzione e interventi sul patrimonio esistente.
Peraltro, tale dato di fatto è tutt’altro che pacifico tra
le parti, atteso che per gli appellati si tratta di un
fabbricato storico oggetto di dichiarazione di interesse
particolarmente importante, specificamente riconoscibile
nella sua sussistenza storica, mentre l’amministrazione lo
qualifica come rudere. Si tratta quindi di un accertamento
in fatto, peraltro di natura estremamente semplice, che non
può sfuggire alla cognizione del giudice.
Orbene, nella disamina degli atti, emerge come la difesa del
Comune de L’aquila abbia depositato un fascicolo
fotografico, da cui si ritrae una rappresentazione visiva,
immediata e lineare dell’aspetto dell’immobile. Si tratta di
un residuo di manufatto, completamente diruto,
fondamentalmente costituito da segmenti del muro perimetrale
nemmeno idonei al riconoscimento dell’originaria area di
sedime.
La prova fotografica fornita, lampante tanto da essere
ovvia, impone alla Sezione di ritenere del tutto infondata
la ricostruzione proposta dagli appellati, aderendo
pienamente alla qualificazione data dal Comune all’edificio.
Chiarite le coordinate fattuali, la disciplina
giuridica è immediatamente conseguente.
In primo luogo, stante l’inesistenza di un fabbricato su cui
intervenire, appaiono del tutto non condivisibili le
affermazioni del primo giudice (che peraltro si è basato
sulle argomentazioni degli originari ricorrenti “da
intendersi qui per riportate e trascritte”) sulla
possibilità della ristrutturazione, in quanto tale
intervento è espressamente consentito, anche nella forma
della ricostruzione previa demolizione, in presenza di un
edificio esistente, circostanza qui non assodata, anzi
esclusa dalle prove. Pertanto, va confermata la presenza dei
presupposti legittimanti l’atto di annullamento adottato dal
Comune di L’Aquila in ordine alla D.I.A. (prot. 984 in data
11.08.2005) relativa ai lavori di ristrutturazione
dell’immobile in questione.
In secondo luogo, l’inesistenza di un edificio su cui
intervenire esclude parimenti la possibilità di una
realizzazione di parcheggi ex lege 122 del 1990, visto che
la legge ricollega tale facoltà ai soli manufatti esistenti,
anzi impone uno stretto vincolo di pertinenzialità, non
concepibile in assenza dell’opera principale (da ultimo,
Consiglio di Stato, sez. IV, 10.07.2013 n. 3672, che
rimarca come l'art. 9 della legge 24.03.1989 n. 122, nella
parte in cui assoggetta la realizzazione di parcheggi ad
autorizzazione gratuita e non a concessione, costituisce
norma eccezionale che, derogando agli strumenti urbanistici
e ai regolamenti edilizi vigenti, deve intendersi riferita
al parcheggio realizzato nello stesso fabbricato ove sono
situate le unità immobiliari di cui il parcheggio
costituisce pertinenza) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.02.2014 n. 735 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione mediante demolizione e
costruzione ed accertamento della preesistente consistenza
del manufatto.
La previsione contenuta nell'art. 30 legge 98/2013 consente
di procedere a ristrutturazione di edificio crollato o
demolito a condizione che "sia possibile accertarne la
preesistente consistenza".
La norma non chiarisce attraverso
quali strumenti detto accertamento possa o debba essere
compiuto, ma la Corte considera indubitabile che il sistema
in vigore escluda si possa ricorrere a fonti non documentali
o comunque prive dei caratteri di certezza e verificabilità.
Depone per questa conclusione tutta la disciplina che regola
il procedimento che conduce al permesso di costruire
(Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 07.02.2014 n. 5912 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli interventi di ristrutturazione o di
manutenzione postulano «necessariamente la preesistenza di
un fabbricato da ristrutturare -ossia di un organismo
edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura-, onde la ricostruzione su ruderi o su un edificio
già da tempo demolito, anche se soltanto in parte,
costituisce una nuova opera e, come tale, è soggetta alle
comuni regole edilizie e paesistico-ambientali vigenti al
momento della riedificazione»
In proposito, va ribadito che gli
interventi di ristrutturazione o di manutenzione postulano
«necessariamente la preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare -ossia di un organismo edilizio dotato di
mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura-, onde
la ricostruzione su ruderi o su un edificio già da tempo
demolito, anche se soltanto in parte, costituisce una nuova
opera e, come tale, è soggetta alle comuni regole edilizie e paesistico-ambientali vigenti al momento della
riedificazione» (TAR Campania, questa sezione, Sent. n.
03588/2013 e 7049/2009; si vedano anche Consiglio di Stato,
sez. IV, 13.10.2010, n. 7476 e Cassazione penale sez. III, 21.10.2008 n. 42521)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 24.01.2014 n. 514 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il rudere cambia sagoma.
Vanno comunque rispettate volumetria e destinazione d'uso.
LE ALTRE CONSEGUENZE/
Sembra possibile ottenere, se ci sono ancora delle rate in
corso, la detrazione del 36% per i lavori già eseguiti.
Fra gli interventi di ristrutturazione edilizia sono ora
ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria di quello
preesistente, nonché quelli volti al ripristino di edifici,
o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti,
attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile
accertarne la preesistente consistenza.
Questa ampia formulazione, che abolisce l'obbligo di
rispettare la sagoma preesistente (salvo che per gli
immobili vincolati) pone stringenti problemi interpretativi
tanto connessi alle modalità di definizione e di prova della
consistenza degli edifici preesistenti, come quelli
sollevati dal lettore Stefano Vignudelli, quanto relativi al
momento di realizzazione dell'intervento qualificabile ora
come ristrutturazione.
Attenzione: possono godere della nuova classificazione del
l'intervento soltanto gli edifici realizzati legittimamente,
non essendo ammissibile che la nuova disposizione consenta
la ricostruzione di edifici abusivi costruiti in violazione
della disciplina urbanistica ed edilizia applicabile. Così,
l'edificio sorto su area inedificabile e nel frattempo
demolito o crollato non potrà essere riedificato.
Nel contempo, si può affermare che la ricostruzione delle
volumetrie demolite o crollate dovrà mantenere l'uso loro in
precedenza assegnato, salva comunque la possibilità di
utilizzare l'edificio ricostruito per le destinazioni
consentite dallo strumento urbanistico vigente.
Tanto premesso, venendo ai quesiti sul tema, è anzitutto
possibile affermare che per definire la consistenza degli
edifici demoliti o crollati soccorrono le misure
stereometriche (altezza, superficie, volume) stabilite dalla
vigente disciplina edilizia locale di riferimento. Si dovrà
quindi fare riferimento al piano regolatore e al regolamento
edilizio. Quanto alle modalità di prova della preesistente
consistenza, la documentazione principale cui fare
riferimento è sicuramente costituita dai progetti approvati
dal Comune. Per gli edifici più antichi, realizzati quando
il titolo non era necessario, soccorre ogni altro documento
utile a descrivere la situazione edilizia e, tra essi, i
rilievi catastali e le planimetrie allegate agli atti di
disposizione del bene (contratti di compravendita, affitto,
locazione e simili).
Inoltre, rispetto alla possibilità di avvalersi della nuova
disposizione per gli interventi realizzati prima della sua
entrata in vigore, sia rispetto alla possibilità di chiedere
la restituzione di quanto pagato in più a titolo di
contributo di costruzione, sia rispetto alla possibilità di
godere ora della detrazione Irpef allora vigente (41% o
36%), sia infine con riferimento alla possibilità di
ottenere la sanatoria edilizia per gli interventi allora
abusivi quale nuova opera ma legittimi se ritenuti di
ristrutturazione.
Sembra da escludere la restituzione del contributo pagato in
eccesso perché il pagamento è stato legittimamente richiesto
in base alla disciplina vigente al momento della
liquidazione del contributo stesso. A conclusione diversa
potrebbe giungersi rispetto ai pagamenti non ancora
effettuati.
Quanto al godimento dei benefici fiscali ancora fruibili,
non ci sarebbe motivo di negarli, specie ove il comune
accerti che l'intervento autorizzato come nuova costruzione
rientra ora nella definizione di ristrutturazione (ma devono
pronunciarsi le Entrate).
Infine, rispetto alla possibilità di ottenere la sanatoria
ai sensi dell'articolo 36 del Testo unico edilizia, la stesa
richiede la conformità dell'intervento sia al momento di
presentazione della domanda di sanatoria, sia al momento di
realizzazione dell'abuso, circostanza quest'ultima che non
potrebbe mai ricorrere in quanto prima del decreto del fare
la ricostruzione infedele corrispondeva a una nuova
costruzione (in ipotesi illegittima) (articolo Il Sole 24 Ore del
10.09.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
manufatto di cui è causa, ancorché diruto, non poteva essere
considerato un rudere al momento della presentazione della
DIA, in quanto era possibile identificare con chiarezza le
dimensioni e le caratteristiche dell’edificio originario.
Dalla predetta relazione, infatti, emerge che:
- la muratura perimetrale dell’immobile era su tutti i lati
esistente, anche se presentava in alcuni lati parti franate;
- il colmo del tetto era esistente, con le lastre d’ardesia
e i coppi di finitura ancora parzialmente in opera, mentre
solo un tratto era franato;
- la striscia del tetto a valle -in corrispondenza della
gronda- era esistente, con lastre d’ardesia in opera.
La presenza di tali elementi architettonici consentiva,
dunque, al fabbricato di essere individuato come organismo
edilizio avente una ben determinata sagoma e un ben
determinato volume e, quindi, di poter essere considerato
oggetto di opere di ristrutturazione.
In particolare, dalla relazione e dalla richiamata
documentazione fotografica risultano non solo le dimensioni
dell’originario fabbricato, ma anche le altezze con la
relativa copertura del tetto, nonché le aperture,
caratterizzate dalla presenza di finestre (o comunque di
apertura) a diversa altezza l’una dall’altra.
Osserva al riguardo il Collegio che, come si evince dalla
relazione dell’architetto Gianluca Mosto del 12.06.2009
e dalla documentazione fotografica versata in atti nel
processo di primo grado, il manufatto di cui è causa,
ancorché diruto, non poteva essere considerato un rudere al
momento della presentazione della DIA, in quanto era
possibile identificare con chiarezza le dimensioni e le
caratteristiche dell’edificio originario.
Dalla predetta relazione (la cui attendibilità è con
evidenza corroborata dalla documentazione fotografica
depositata nel corso del giudizio), infatti, emerge, in
relazione alla DIA n. 437 del 2006, che:
- la muratura perimetrale dell’immobile era su tutti i lati
esistente, anche se presentava in alcuni lati parti franate;
- il colmo del tetto era esistente, con le lastre d’ardesia
e i coppi di finitura ancora parzialmente in opera, mentre
solo un tratto era franato;
- la striscia del tetto a valle -in corrispondenza della
gronda- era esistente, con lastre d’ardesia in opera.
La presenza di tali elementi architettonici consentiva,
dunque, al fabbricato di essere individuato come organismo
edilizio avente una ben determinata sagoma e un ben
determinato volume e, quindi, di poter essere considerato
oggetto di opere di ristrutturazione (cfr. Cons. Stato, Sez.
V, 03.04.2000, n. 1906).
In particolare, dalla relazione e dalla richiamata
documentazione fotografica risultano non solo le dimensioni
dell’originario fabbricato, ma anche le altezze con la
relativa copertura del tetto, nonché le aperture,
caratterizzate dalla presenza di finestre (o comunque di
apertura) a diversa altezza l’una dall’altra (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 12.04.2013 n. 1995 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
giurisprudenza è ferma nel riconoscere i caratteri di
"rudere" in un manufatto "costituito da alcune rimanenze di
mura perimetrali" ovvero in un immobile in cui sia "presente
solo parte della muratura perimetrale, vi è assenza di
copertura e di strutture orizzontali".
Quanto agli interventi di ripristino di edifici diruti, la
giurisprudenza precisa la relativa nozione riportandola agli
organismi edilizi dotati di sole mura perimetrali e privi di
copertura e, correttamente, nega che essi possano essere
classificati come restauro e risanamento conservativo.
Essa pone, inoltre, una condivisibile distinzione tra le
ipotesi in cui esista un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di
conservazione tale da consentire la sua fedele
ricostruzione, nel quale caso è possibile parlare di
demolizione e fedele ricostruzione, e dunque di
ristrutturazione (o risanamento); e le ipotesi in cui,
invece, manchino elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare,
configurandosi in quest'evenienza, invero, un intervento di
nuova costruzione, per l'assenza degli elementi strutturali
dell'edificio, in modo tale che, seppur non necessariamente
"abitato" o "abitabile", esso possa essere comunque
individuato nei suoi connotati essenziali.
In ipotesi siffatte, si esclude che la ricostruzione di un
rudere possa essere ascritta ad ipotesi di ristrutturazione
edilizia e men che meno di risanamento conservativo,
integrando in sostanza un'attività di nuova costruzione,
attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare.
Si è già detto della condizione di estrema fatiscenza del
fabbricato diroccato, riscontrata in sede di sopralluogo e
avvalorata dalla documentazione fotografica versata in atti
(cfr. doc. 3, 8 e 9 fasc. resist.): il rudere si presenta
privo di copertura, di orizzontamenti e di strutture murarie
definite, oltre che in condizioni generali che non
consentono di definirne la consistenza originaria.
Orbene, la giurisprudenza è ferma nel riconoscere i
caratteri di "rudere" in un manufatto "costituito
da alcune rimanenze di mura perimetrali" (TAR Veneto,
Sez. II, 05.06.2008, n. 1667) ovvero in un immobile in cui
sia "presente solo parte della muratura perimetrale, vi è
assenza di copertura e di strutture orizzontali" (TAR
Salerno, Sez. II, 26.09.2007, n. 1927).
Quanto agli interventi di ripristino di edifici diruti, la
giurisprudenza precisa la relativa nozione riportandola agli
organismi edilizi dotati di sole mura perimetrali e privi di
copertura (TAR Napoli, sezione IV, 14.12.2006 n. 10553) e,
correttamente, nega che essi possano essere classificati
come restauro e risanamento conservativo (TAR Napoli, sez.
VIII, 04.03.2010, n. 1286 e sez. VI, 09.11.2009 n. 7049; TAR
Latina, 15.07.2009, n. 700).
Essa pone, inoltre, una condivisibile distinzione tra le
ipotesi in cui esista un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di
conservazione tale da consentire la sua fedele
ricostruzione, nel quale caso è possibile parlare di
demolizione e fedele ricostruzione, e dunque di
ristrutturazione (o risanamento); e le ipotesi in cui,
invece, manchino elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare,
configurandosi in quest'evenienza, invero, un intervento di
nuova costruzione (TAR Napoli, Sez. VIII, 04.03.2010, n.
1286; TAR Veneto sez. II, 05.06.2008, n. 1667), per
l'assenza degli elementi strutturali dell'edificio, in modo
tale che, seppur non necessariamente "abitato" o "abitabile",
esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati
essenziali (Cons. St., sez. V, 10.02.2004, n. 475).
In ipotesi siffatte, si esclude che la ricostruzione di un
rudere possa essere ascritta ad ipotesi di ristrutturazione
edilizia e men che meno di risanamento conservativo,
integrando in sostanza un'attività di nuova costruzione,
attesa la mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare
(TAR Napoli, 09.11.2009 n. 7049; Cons. St., Sez. VI,
15.09.2006 n. 5375)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 04.04.2013 n. 410 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Costituiscono
edifici diruti gli organismi edilizi dotati di sole mura
perimetrali e privi di copertura, escludendo che gli
interventi svolti sugli stessi possano essere classificati
come restauro e risanamento conservativo.
Inoltre, è stato chiarito che si deve distinguere tra le
ipotesi in cui esista un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di
conservazione tale da consentire la sua fedele
ricostruzione, nel quale caso è possibile parlare di
demolizione e fedele ricostruzione, e dunque di
ristrutturazione; e le ipotesi in cui, invece, manchino
elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell'edificio da recuperare, configurandosi
in quest'evenienza, invero, un intervento di nuova
costruzione, per l'assenza degli elementi strutturali
dell'edificio, in modo tale che esso possa essere comunque
individuato nei suoi connotati essenziali.
Al riguardo va ricordato che la
giurisprudenza ha specificato che costituiscono edifici diruti gli organismi edilizi dotati di sole mura perimetrali
e privi di copertura (cfr. TAR Campania, Sez. IV, 14.12.2006 n. 10553), escludendo che gli interventi
svolti sugli stessi possano essere classificati come
restauro e risanamento conservativo (cfr. TAR Campania,
Sez. VIII, 04.03.2010, n. 1286; idem, Sez. VI, 09.11.2009 n. 7049; TAR Latina, 15.07.2009, n. 700).
Inoltre, è stato chiarito che si deve distinguere tra le
ipotesi in cui esista un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato di
conservazione tale da consentire la sua fedele
ricostruzione, nel quale caso è possibile parlare di
demolizione e fedele ricostruzione, e dunque di
ristrutturazione; e le ipotesi in cui, invece, manchino
elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell'edificio da recuperare, configurandosi
in quest'evenienza, invero, un intervento di nuova
costruzione (cfr. TAR Veneto Venezia, sez. II, 05.06.2008,
n. 1667), per l'assenza degli elementi strutturali
dell'edificio, in modo tale che esso possa essere comunque
individuato nei suoi connotati essenziali (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V, 10.02.2004, n. 475)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 18.03.2013 n. 258 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Si ha ristrutturazione
edilizia solo in caso di preesistenza di un organismo
edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, e non anche nelle ipotesi di ricostruzione su
ruderi.
Ciò comporta, come riconosciuto da unanime giurisprudenza,
sia amministrativa sia del giudice penale, che la
ricostruzione su ruderi, o su di un edificio da tempo
demolito, costituisce nuova costruzione e, quindi, richiede
un'apposita concessione edilizia o il titolo corrispondente
secondo la vigente normativa.
Appare, peraltro, opportuno ricordare, anche alla luce di quanto
emerge dagli atti di causa, che si ha ristrutturazione
edilizia solo in caso di preesistenza di un organismo
edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, e non anche nelle ipotesi di ricostruzione su
ruderi.
Ciò comporta, come riconosciuto da unanime giurisprudenza,
sia amministrativa sia del giudice penale (CdS IV 1669/2007;
Sez. V, 15.04.2004 n. 2142; TAR Liguria, Sez. I, 24.01.2002 n. 53; Consiglio di Stato, Sez. V,
01.12.1991 n. 2021; Cass. penale, Sez. III, 20.02.2001, n.
658; id. 20.02.2001 n. 13982; 45240/07), che la
ricostruzione su ruderi, o su di un edificio da tempo
demolito, costituisce nuova costruzione e, quindi, richiede
un'apposita concessione edilizia o il titolo corrispondente
secondo la vigente normativa (cfr. anche, più di recente,
Tar Toscana, 437/2012).
Come già osservato, peraltro, la ricorrente non ha fornito
neanche un principio di prova della preesistenza delle
opere, oggetto della presunta manutenzione straordinaria,
confermando così la legittimità dell’ingiunzione di
demolizione di interventi edilizi recenti e privi di titolo
edilizio (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 11.01.2013 n. 52 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La ricostruzione su
ruderi o su di un edificio da tempo demolito costituisce
nuova costruzione e non certo restauro conservativo o
manutenzione straordinaria.
Inoltre, la giurisprudenza, dalla quale il Collegio non trova ragioni per
discostarsi, è da tempo consolidata nel ritenere che la
ricostruzione su ruderi o su di un edificio da tempo
demolito (perché di questo presumibilmente si tratta nel
caso in oggetto) costituisce nuova costruzione e non certo
restauro conservativo o manutenzione straordinaria (cfr. CdS
IV 1669/07; Sez. V, 15.04.2004 n. 2142; TAR Liguria,
Sez. I, 24.01.2002 n. 53; Consiglio di Stato, Sez. V, 01.12.1991 n. 2021; Cass. penale, Sez. III,
20.02.2001, n. 658; id. 20.02.2001 n. 13982; 45240/07) (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 11.01.2013 n. 51 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
La giurisprudenza ha
riportato la nozione di interventi di ripristino di edifici
diruti ad organismi edilizi dotati di sole mura perimetrali
e privi di copertura e non totalmente da ricostruire e ha
condivisibilmente negato che essi possano essere
classificati come restauro e risanamento conservativo.
A maggiore ragione si deve ritenere che, ove manchino del
tutto le mura perimetrali come è nel caso di specie laddove
rimangono solo delle impronte minimali sul terreno, la
ricostruzione non possa rientrare nel novero degli
interventi di restauro e risanamento conservativo.
Ne discende che la riconduzione dell’intervento richiesto
va, pertanto, effettuata ai sensi del citato art. 3 del
D.P.R. n. 380/2001, ove la scelta tra le possibili opzioni è
tra la nuova costruzione o la ristrutturazione edilizia e la
sussumibilità nell’una o nell’altra categoria dipende anche
dalla circostanza che la ricostruzione avvenga con la stessa
volumetria e sagoma della preesistenza oltreché dalla
ragionevole prossimità temporale della ricostruzione
rispetto alla demolizione.
Peraltro, ai fini della qualificazione di un intervento
ricostruttivo anche come ristrutturazione e non nuova
edificazione, non è sufficiente che un anteriore fabbricato
sia fisicamente individuabile in tutta la sua perimetrazione,
essendo indispensabile a soddisfare il requisito della sua
esistenza che non sia ridotto a spezzoni isolati, rovine,
ruderi e macerie.
Il Collegio rileva che l’intervento
richiesto ha ad oggetto il “restauro etico” di preesistenti
locali posti al piano terra del Castello Lauritano, crollati
molti anni fa, come dimostrato dalla documentazione
fotografica allegata, e dei quali residuano solo delle
tracce sul terreno.
Detti interventi non possono, pertanto, rientrare
nell'ambito della categoria "del consolidamento statico e
del restauro e risanamento conservativo" che, secondo la
definizione dell’art. 3, lettera c), del D.P.R. n. 380/2001,
sono quegli interventi edilizi rivolti a conservare
l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità
mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto
degli elementi tipologici, formali e strutturali
dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con
essi compatibili. Tali interventi comprendono il
consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi
costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi
accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze
dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei
all'organismo edilizio.
E, infatti, la giurisprudenza, anche di questo TAR,
rammentata dall’Amministrazione resistente, ha riportato la
nozione di interventi di ripristino di edifici diruti ad
organismi edilizi dotati di sole mura perimetrali e privi di
copertura e non totalmente da ricostruire (cfr. TAR
Campania, Napoli, IV, 14.12.2006 n. 10553) e ha
condivisibilmente negato che essi possano essere
classificati come restauro e risanamento conservativo (cfr.
TAR Campania, Napoli, IV, 23.12.2010, n. 28002; TAR
Campania, Napoli, VIII, 04.03.2010, n. 1286; TAR Campania,
Napoli, VI, 09.11.2009 n. 7049; TAR Lazio, Latina, 15.07.2009,
n. 700).
A maggiore ragione si deve ritenere che, ove manchino
del tutto le mura perimetrali come è nel caso di specie
laddove rimangono solo delle impronte minimali sul terreno,
la ricostruzione non possa rientrare nel novero degli
interventi di restauro e risanamento conservativo.
Ne discende che la riconduzione dell’intervento
richiesto va, pertanto, effettuata ai sensi del citato art.
3 del D.P.R. n. 380/2001, ove la scelta tra le possibili
opzioni è tra la nuova costruzione o la ristrutturazione
edilizia e la sussumibilità nell’una o nell’altra categoria
dipende anche dalla circostanza che la ricostruzione avvenga
con la stessa volumetria e sagoma della preesistenza
oltreché dalla ragionevole prossimità temporale della
ricostruzione rispetto alla demolizione.
Peraltro, ai fini della qualificazione di un intervento
ricostruttivo anche come ristrutturazione e non nuova
edificazione, non è sufficiente che un anteriore fabbricato
sia fisicamente individuabile in tutta la sua perimetrazione,
essendo indispensabile a soddisfare il requisito della sua
esistenza che non sia ridotto a spezzoni isolati, rovine,
ruderi e macerie (cfr. Cassazione civile, sez. II,
27.10.2009, n. 22688; TAR Campania, Napoli,IV, 15.6.2011 n.
3184).
Alla stregua di tali considerazioni discende che
correttamente l’Amministrazione comunale ha qualificato
l’intervento sul piano urbanistico come “nuova costruzione
piuttosto che ristrutturazione edilizia”, giacché all’esito
di una rigorosa verifica sulla consistenza emergente
dall’elemento fotografico, dal quale risulta la presenza di
tracce di murature sul sedime che risalirebbero agli inizi
del secolo scorso, la soluzione progettuale proposta non può
qualificarsi come restauro del preesistente, presentando,
peraltro, profili di notevole incertezza anche
sull’effettiva consistenza delle ulteriori integrazioni
aggiunte/aggiunte che si intendono effettuare, cospicue in
termini di superfici e volumetria
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza
26.11.2012 n. 4795 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
demolizione e successiva ricostruzione di un rudere è
qualificabile come intervento di nuova costruzione, in
quanto la ristrutturazione edilizia dev’essere sempre
rivolta alla conservazione di un edificio ancora esistente e
strutturalmente identificabile al momento dell’inizio dei
lavori.
Orbene, in materia edilizia, anche alla luce
delle disposizioni contenute nel T.U. 06.06.2001 n. 380,
la demolizione e successiva ricostruzione di un rudere è
qualificabile come intervento di nuova costruzione, in
quanto la ristrutturazione edilizia dev’essere sempre
rivolta alla conservazione di un edificio ancora esistente e
strutturalmente identificabile al momento dell’inizio dei
lavori (cfr. Cass. pen., Sez. III, 28.03.2003 n. 14455;
Cons. Stato, Sez. V, 10.02.2004 n. 475).
Ne consegue che, già sulla scorta del titolo di proprietà
esibito dalla parte ricorrente, ai fini richiesti
dall’interessato non potevano essere autorizzati semplici
lavori di ristrutturazione (TAR
Umbria,
sentenza
22.10.2012 n. 440 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La ricostruzione di un edificio diruto
deve qualificarsi, secondo consolidata
giurisprudenza, come nuova opera e, dunque,
non riconducibile ad un intervento di
semplice ristrutturazione.
La ricostruzione di un edificio diruto deve qualificarsi, secondo
consolidata giurisprudenza, come nuova opera
e, dunque, non riconducibile ad un
intervento di semplice ristrutturazione
(cfr. ex multis CdS, Sez. V, 15.04.2004,
n. 2142; TAR Campania, Sez. IV, 14.12.2006 n.
10553)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 29.06.2012 n. 3096 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Si intende per rudere un
manufatto costituito da alcune rimanenze di
mura perimetrali, ovvero un immobile in cui
sia presente solo parte della muratura
perimetrale, vi è assenza di copertura e di
strutture orizzontali, onde non può
certamente parlarsi di un edificio allo
stato esistente.
La giurisprudenza amministrativa ha –del resto– ben chiara la
differenza fra “edificio” e “rudere”; così
ad esempio: <<(…) si intende per rudere un
manufatto costituito da alcune rimanenze di
mura perimetrali, ovvero un immobile in cui
sia presente solo parte della muratura
perimetrale, vi è assenza di copertura e di
strutture orizzontali, onde non può
certamente parlarsi di un edificio allo
stato esistente>> (TAR Campania, Salerno,
sez. I, 16.02.2012, n. 240; si vedano anche
TAR Campania, Napoli, sez. IV, 23.12.2010,
n. 28002; Tribunale di Chieti, 02.01.2009, n.
2 e Cassazione penale, sez. III, 21.10.2008,
n. 42521) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.05.2012 n. 1429 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
ricostruzione di ruderi deve essere
considerata, a tutti gli effetti,
realizzazione di una nuova costruzione, non
essendo equiparabile alla ristrutturazione
edilizia, con la conseguenza che per la sua
realizzazione è necessario il permesso di
costruzione, non essendo possibile far
ricorso alla denuncia di inizio di attività,
ai sensi dell'art. 1, comma 6, l. 21.12.2001 n. 443.
... costituisce giurisprudenza consolidata e condivisibile che “la
ricostruzione di ruderi deve essere
considerata, a tutti gli effetti,
realizzazione di una nuova costruzione, non
essendo equiparabile alla ristrutturazione
edilizia, con la conseguenza che per la sua
realizzazione è necessario il permesso di
costruzione, non essendo possibile far
ricorso alla denuncia di inizio di attività,
ai sensi dell'art. 1, comma 6, l. 21.12.2001 n. 443” (C.d.S., IV, 15.09.2006,
n. 5375; conf. C.d.S., V, 10.02.2004,
n. 475; TAR Campania Napoli, sez. VIII,
04.03.2010, n. 1286)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza
08.02.2012 n. 207 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La ricostruzione di
un rudere non è ascrivibile ad ipotesi di
ristrutturazione edilizia e meno che meno di
risanamento conservativo, integrando in
sostanza un'attività di nuova costruzione,
attesa la mancanza di elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell'edificio da recuperare.
Intanto può
attuarsi un intervento di ristrutturazione
edilizia (di demolizione e ricostruzione) in
quanto esista un organismo edilizio dotato
di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura in stato di conservazione tale da
consentire la sua fedele ricostruzione,
mentre non è ravvisabile siffatto intervento
nei confronti di ruderi o edifici da tempo
demoliti, attesa la mancanza di elementi
sufficienti a testimoniare le dimensioni e
le caratteristiche dell'edificio da
recuperare, configurandosi in
quest'evenienza, invero, un intervento di
nuova costruzione, assoggettato ai limiti
stabiliti dalla vigente disciplina
urbanistica.
I
lavori di rifacimento di un rudere sono
qualificabili come nuova costruzione;
infatti, manca la possibilità di procedere
con certezza alla ricognizione delle
strutture portanti dell'edificio ormai
irriconoscibile.
Rispetto ad una costruzione che sia ridotta
allo stato di un rudere non è possibile
compiere una valutazione in termini di
compatibilità delle caratteristiche planovolumetriche tra lo stato dell'edificio
prima e dopo l'intervento di riedificazione,
per cui appare chiaro che la ricostruzione
di un edificio debba essere qualificata come
nuova costruzione, che deve essere assentita
mediante permesso a costruire, ai sensi
degli artt. 10 e 22 comma 3, t.u. 06.06.2001 n. 380.
In materia edilizia, la ricostruzione di un
rudere costituisce nuova costruzione in
quanto il concetto di ristrutturazione
edilizia richiede la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare, inteso quale
organismo edilizio dotato di elementi
strutturali, quali muri perimetrali,
strutture orizzontali e copertura, in
assenza dei quali non è possibile valutare
l'esistenza e la consistenza dell'edificio
stesso.
Entrando direttamente nel merito della questione concernente il regime
giuridico dettato per la ricostruzione di
edifici crollati (cd. ruderi), si deve
precisare quanto segue.
In Sicilia, sulla base della normativa
contenuta nell’art. 20, lett. c e d, della
L.R. 71/1978 (tuttora vigente) si distingue
tra interventi di “restauro e risanamento
conservativo”, da una parte, e di
“ristrutturazione edilizia”, dall’altra.
La giurisprudenza, da tempo, ritiene che
“Dall'analisi di tale disposizione [lett. c,
dell’art. 20, n.d.r.] e dal raffronto della
disposizione stessa con quella della
successiva lettera d) discende che gli
interventi edilizi che non comportino la
realizzazione di un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso debbano rientrare
nella nozione di restauro e risanamento
conservativo, e ciò anche nel caso limite in
cui del fabbricato originario sia rimasto
soltanto poco più delle fondazioni.” (CGA,
parere n. 151/1989), e ciò in quanto la
caratteristica tipica del restauro e del
risanamento conservativo siano da
individuare nel “rispetto degli elementi
tipologici, formali e strutturali
dell'organismo edilizio” (CGA sentenza n.
356/1994; Tar Catania 176/2007).
Per contro,
in sintonia con la ratio che ispira le
predette decisioni, si è affermato che
“Necessita di concessione edilizia, non
potendosi qualificare intervento di
manutenzione o di conservazione, ai sensi
dell'art. 20, lett. c), della legge
regionale 27.12.1978 n. 71, la
ricostruzione, a seguito dell'intervenuto
crollo, della vecchia costruzione, mediante
riedificazione di strutture radicalmente e
qualitativamente diverse da quelle
preesistenti” (Tar Catania, 975/1994).
Dalle illustrate decisioni si può trarre il
principio per cui la qualificazione
giuridica dell’intervento edilizio è
determinata dalla circostanza che il
progetto preveda o meno la realizzazione di
un edificio identico a quello preesistente.
Ove tale condizione ricorra, si adopererà lo
strumento del restauro e risanamento
conservativo; si tratterà di
ristrutturazione, invece, nel caso inverso.
Data questa premessa, allora, si può fare un
ulteriore passo avanti ed affermare che la
distinzione riportata sia valida –non solo
nei casi di interventi eseguiti su edifici
esistenti che si intende rimaneggiare, ma-
anche nelle ipotesi in cui l’oggetto
dell’attività edilizia sia precedentemente
demolito, o sia comunque crollato. La
ricostruzione di un edificio del tutto nuovo
e diverso da quello crollato richiederà una
nuova concessione; la ricostruzione fedele
del rudere, nel rispetto delle
caratteristiche formali e dimensionali
precedenti, sarà eseguibile sotto forma di
restauro e risanamento conservativo.
Deve essere però precisato che –in
quest’ultimo caso– la ricostruzione fedele
presuppone che vi sia certezza in ordine
alla caratteristiche dimensionali e formali
dell’edificio in rovina, in modo che possa
essere realizzata una sua fedele
ricostruzione. Quindi, ciò che rileva ai
fini dell’utilizzo dell’istituto del
restauro e risanamento conservativo è che
siano individuabili, od evincibili aliunde,
gli elementi compositivi della struttura da
ricostruire che ne rendono possibile la
fedele ricostruzione, restando marginale il
fatto che allo stato l’edificio si presenti
sotto forma di rudere.
Il principio appena affermato si ricava a
contrario anche dalla seguente
giurisprudenza formatasi con riguardo alla
legislazione nazionale:
- “La ricostruzione di
un rudere non è ascrivibile ad ipotesi di
ristrutturazione edilizia e meno che meno di
risanamento conservativo, integrando in
sostanza un'attività di nuova costruzione,
attesa la mancanza di elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell'edificio da recuperare”
(Tar Napoli, 1286/2010);
- “Intanto può
attuarsi un intervento di ristrutturazione
edilizia (di demolizione e ricostruzione) in
quanto esista un organismo edilizio dotato
di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura in stato di conservazione tale da
consentire la sua fedele ricostruzione,
mentre non è ravvisabile siffatto intervento
nei confronti di ruderi o edifici da tempo
demoliti, attesa la mancanza di elementi
sufficienti a testimoniare le dimensioni e
le caratteristiche dell'edificio da
recuperare, configurandosi in
quest'evenienza, invero, un intervento di
nuova costruzione, assoggettato ai limiti
stabiliti dalla vigente disciplina
urbanistica” (Tar Venezia, 1667/2008);
- “I
lavori di rifacimento di un rudere sono
qualificabili come nuova costruzione;
infatti, manca la possibilità di procedere
con certezza alla ricognizione delle
strutture portanti dell'edificio ormai
irriconoscibile.” (Tar Trieste, 749/2007);
- “Rispetto ad una costruzione che sia ridotta
allo stato di un rudere non è possibile
compiere una valutazione in termini di
compatibilità delle caratteristiche planovolumetriche tra lo stato dell'edificio
prima e dopo l'intervento di riedificazione,
per cui appare chiaro che la ricostruzione
di un edificio debba essere qualificata come
nuova costruzione, che deve essere assentita
mediante permesso a costruire, ai sensi
degli artt. 10 e 22 comma 3, t.u. 06.06.2001 n. 380.” (Tar Catanzaro, 1486/2007);
- “In materia edilizia, la ricostruzione di un
rudere costituisce nuova costruzione in
quanto il concetto di ristrutturazione
edilizia richiede la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare, inteso quale
organismo edilizio dotato di elementi
strutturali, quali muri perimetrali,
strutture orizzontali e copertura, in
assenza dei quali non è possibile valutare
l'esistenza e la consistenza dell'edificio
stesso” (Cass. pen., III; 20776/2006).
Le riportate massime sono tutte accomunate
dall’idea che la riedificazione di un rudere
richieda necessariamente l’istituto della
concessione per nuova costruzione, in
considerazione della obbiettiva
impossibilità di valutare la consistenza
dell’originario edificio. Se ne può
ricavare, a contrario, che valgano invece le
regole dettate in tema di ristrutturazione
(tramite ricostruzione) ove le dimensioni e
la forma del preesistente edificio siano in
qualche maniera ricavabili ab externo (anche
se ciò, probabilmente, costituisce una
eventualità non frequente) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 13.01.2012 n. 73 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Una ristrutturazione edilizia, e
maggior ragione una manutenzione
straordinaria, postulano necessariamente la
preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare -ossia di un organismo
edilizio dotato di mura perimetrali,
strutture orizzontali e copertura-, onde la
ricostruzione su ruderi o su un edificio già
da tempo demolito, anche se soltanto in
parte, costituisce una nuova opera e, come
tale, è soggetta alle comuni regole edilizie
vigenti al momento della riedificazione.
Ne consegue che la ricostruzione di ruderi
deve essere considerata, a tutti gli
effetti, realizzazione di una nuova
costruzione che non può essere equiparata al
recupero edilizio o alla manutenzione
straordinaria non essendoci nulla da
recuperare o manutenere come entità edilizia
esistente e quale unità abitativa e per
simile attività, perciò, deve essere
richiesta apposita concessione edilizia.
Secondo un
costante e consolidato orientamento
giurisprudenziale, una ristrutturazione
edilizia, e maggior ragione una manutenzione
straordinaria, postulano necessariamente la
preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare -ossia di un organismo
edilizio dotato di mura perimetrali,
strutture orizzontali e copertura-, onde la
ricostruzione su ruderi o su un edificio già
da tempo demolito, anche se soltanto in
parte, costituisce una nuova opera e, come
tale, è soggetta alle comuni regole edilizie
vigenti al momento della riedificazione
(Cons. Stato, sez. IV, 15.09.2006, n. 5375;
sez. V; 15.04.2004, n. 2142; 29.10.2001, n.
5642; 01.12.1999, n. 2021; 10.03.1997, n.
240).
Ne consegue che la ricostruzione di ruderi
–nel caso di specie, in base alla
documentazione fotografica in atti (vedi
foto nn. 3, 4, 5 e 6 allegate alla perizia
tecnica di parte ricorrente), non esistono
né mura perimetrali portanti, né strutture
orizzontali, né solaio ma, su un unico lato
prospiciente la via, una chiusura di mattoni
e lamiera di, evidente, recente costruzione
e ben distinta dal rudere del preesistente
muro di facciata, quest’ultimo presente in
minima parte ed addossato all’adiacente
edificio posto alla sua destra- deve essere
considerata, a tutti gli effetti,
realizzazione di una nuova costruzione che
non può essere equiparata al recupero
edilizio o alla manutenzione straordinaria
non essendoci nulla da recuperare o
manutenere come entità edilizia esistente e
quale unità abitativa e per simile attività,
perciò, deve essere richiesta apposita
concessione edilizia (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 04.01.2012 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Ricostruzione ruderi.
La ricostruzione su ruderi costituisce
sempre “nuova costruzione”, in quanto
il concetto di ristrutturazione edilizia
postula necessariamente la preesistenza di
un fabbricato da ristrutturare, cioè di un
organismo edilizio dotato delle murature
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura.
In mancanza di tali elementi strutturali non
è possibile valutare l'esistenza e la
consistenza dell'edificio da consolidare ed
i ruderi non possono che considerarsi alla
stregua di un'area non edificata (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 26.09.2011 n. 34768 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Edifici in rovina - Ricostruzione
- Superficie, volumetria e distanze -
Mantenimento del patrimonio giuridico
incorporato nell’edificio - Strumenti di
pianificazione sopravvenuti - Effetti.
La ricostruzione di edifici in rovina può
essere ricompresa tra gli interventi di
ristrutturazione. In proposito si osserva
che con la rovina dell’edificio il
patrimonio giuridico incorporato nello
stesso (superficie coperta, volumetria,
distanze dai confini e dagli altri edifici)
non scompare automaticamente ma diventa
latente e può riespandersi (v. TAR Brescia
Sez. I 13.05.2009 n. 1028).
Qualora però sopravvengano strumenti di
pianificazione che cancellano il rilievo
urbanistico del sedime (o elevano le
caratteristiche strutturali necessarie per
considerare esistente un edificio) si
interrompe il collegamento con la precedente
edificazione e i proprietari subiscono il
ridimensionamento economico del bene. Queste
scelte urbanistiche sono ampiamente
discrezionali e corrispondono all’esigenza
di garantire la certezza della situazione di
base su cui si innestano la programmazione e
la successiva trasformazione del territorio.
Se al contrario nei piani urbanistici
sopravvenuti il tema della riedificazione
degli immobili in rovina non viene
espressamente affrontato vale il principio
privatistico che tutela nella sua interezza
il diritto di proprietà, compresa la facoltà
di ricostituzione materiale del bene, con il
solo limite esterno dei diritti
incompatibili nel frattempo acquisiti dai
terzi (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 01.08.2011 n. 1228 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione rudere.
La ricostruzione di un “rudere”
costituisce nuova costruzione e non
ristrutturazione di edifico preesistente,
atteso che il concetto di ristrutturazione
sottende necessariamente la preesistenza di
un fabbricato da ristrutturare, inteso quale
organismo edilizio dotato delle mura
perimetrali, delle strutture orizzontali e
della copertura. In mancanza di tali
elementi strutturali non è possibile
valutare l’esistenza e la consistenza
dell’edifico da consolidare ed i ruderi non
possono che considerarsi alla stregua di
un’area non identificata.
La qualificazione di un immobile come rudere
non richiede, inoltre, necessariamente
un’indagine sulla volontà del proprietario
di abbandonare o comunque disfarsi del
manufatto non essendo previsto da alcuna
disposizione e risultando assorbente
l’impossibilità di individuare le
caratteristiche del manufatto preesistente
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.07.2011 n. 26379 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Interventi
di ripristino di edifici diruti non possano
essere classificati come restauro e
risanamento conservativo. La ricostruzione
su ruderi o su un edificio già da tempo
demolito, anche se soltanto in parte,
costituisce una nuova opera e, come tale, è
soggetta alle comuni regole edilizie vigenti
al momento della riedificazione.
Con specifico riferimento alle norme sulle
distanze si è ritenuto costituiscono
ristrutturazioni edilizie, con conseguente
esonero dall'osservanza delle prescrizioni
sulle distanze per le nuove costruzioni, gli
interventi su fabbricati ancora esistenti e,
dunque, su entità dotate quanto meno di
murature perimetrali, di strutture
orizzontali e di copertura, tali da
assolvere alle loro essenziali funzioni di
delimitazione, sostegno e protezione
dell'entità stessa.
Ai fini della qualificazione di un
intervento ricostruttivo come
ristrutturazione, da un lato, non è
sufficiente che un anteriore fabbricato sia
fisicamente individuabile in tutta la sua
perimetrazione, essendo indispensabile a
soddisfare il requisito della sua esistenza
che non sia ridotto a spezzoni isolati,
rovine, ruderi e macerie, e, dall'altro, che
la ricostruzione di esso, oltre ad essere
effettuata in piena conformità di sagoma, di
volume e di superficie, venga eseguita in un
tempo ragionevolmente prossimo a quello
della avvenuta demolizione per cause
naturali od opera dell'uomo.
Si evidenzia
che la giurisprudenza, anche di questa
Sezione, ha precisato la nozione di
interventi di ripristino di edifici diruti
riportandola ad organismi edilizi dotati di
sole mura perimetrali e privi di copertura e
non totalmente da ricostruire (TAR Campania,
Napoli, sezione IV, 14.12.2006 n. 10553) e,
correttamente, ha negato che essi possano
essere classificati come restauro e
risanamento conservativo (TAR Campania,
Napoli, sezione IV, 23.12.2010, n. 28002;
TAR Campania Napoli, sez. VIII, 04.03.2010,
n. 1286; TAR Campania, Napoli, sez. VI,
09.11.2009 n. 7049; TAR Lazio, Latina,
15.07.2009, n. 700).
Ancora più evidente è, nel caso di specie,
la non sussumibilità delle concrete opere
assentite sotto tale ultima categoria,
consistendo l’intervento in questione nella
ricostruzione di un edificio interamente
demolito intervenuta a notevole distanza di
tempo (oltre quaranta anni ) dalla sua
demolizione.
Non può quindi tenersi conto della
qualificazione effettuata dalle N.T.A., che
vanno sul punto disapplicate, e la
riconduzione dell’intervento alle categorie
edilizie note va effettuato ai seni del
citato art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, ove la
scelta tra le possibili opzioni sono nuova
costruzione o ristrutturazione edilizia.
Ai sensi del comma 1, lett. d), dell’art. 3
del predetto D.P.R. n. 380/2001, rientrano,
difatti, tra gli interventi di
ristrutturazione edilizia anche quelli
consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente, fatte salve
le sole innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica.
Nei casi di demolizione e ricostruzione,
pertanto, la sussumibilità dell’intervento
nell’una o nell’atra categoria dipende,
pertanto, dalla circostanza se la
ricostruzione sia avvenuta con la stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente
ed, in tal senso, la giurisprudenza ha
evidenziato la necessità, affinché si
rimanga nell’ambito della categoria della
ristrutturazione edilizia, della necessità
della fedeltà della ricostruzione del
manufatto, ovverosia che sussista piena
conformità di sagoma, di volume e di
superficie tra il vecchio ed il nuovo
manufatto.
La giurisprudenza ha, inoltre, evidenziato
l’importanza del fattore temporale nel senso
che il concetto di ristrutturazione edilizia
comprende anche la demolizione seguita dalla
fedele ricostruzione del manufatto, purché
tale ricostruzione e venga effettuata in un
tempo ragionevolmente prossimo a quello
della demolizione (TAR Campania Salerno,
sez. II, 21.10.2010, n. 11911).
Ed ancora viene posto il rilievo, accanto al
fattore temporale, quello collegato della
preesistenza dell’immobile assumendo che una
ristrutturazione edilizia postula
necessariamente la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare -ossia di un
organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura. Di conseguenza, la ricostruzione
su ruderi o su un edificio già da tempo
demolito, anche se soltanto in parte,
costituisce una nuova opera e, come tale, è
soggetta alle comuni regole edilizie vigenti
al momento della riedificazione (Consiglio
Stato , sez. IV, 13.10.2010, n. 7476; TAR
Umbria Perugia, sez. I, 05.02.2010, n. 54).
Con specifico riferimento alle norme sulle
distanze si è ritenuto costituiscono
ristrutturazioni edilizie, con conseguente
esonero dall'osservanza delle prescrizioni
sulle distanze per le nuove costruzioni, gli
interventi su fabbricati ancora esistenti e,
dunque, su entità dotate quanto meno di
murature perimetrali, di strutture
orizzontali e di copertura, tali da
assolvere alle loro essenziali funzioni di
delimitazione, sostegno e protezione
dell'entità stessa.
Ne consegue che, pur non esulando dal
concetto normativo di ristrutturazione
edilizia la demolizione del fabbricato ove
sia seguita dalla sua fedele ricostruzione,
ai fini della qualificazione di un
intervento ricostruttivo come
ristrutturazione, da un lato, non è
sufficiente che un anteriore fabbricato sia
fisicamente individuabile in tutta la sua
perimetrazione, essendo indispensabile a
soddisfare il requisito della sua esistenza
che non sia ridotto a spezzoni isolati,
rovine, ruderi e macerie, e, dall'altro, che
la ricostruzione di esso, oltre ad essere
effettuata in piena conformità di sagoma, di
volume e di superficie, venga eseguita in un
tempo ragionevolmente prossimo a quello
della avvenuta demolizione per cause
naturali od opera dell'uomo (Cassazione
civile, sez. II, 27.10.2009 , n. 22688).
Nel caso di specie la ricostruzione è
avvenuta rispetto ad un edificio
integralmente demolito più di 40 anni prima.
L’intervento deve considerarsi quindi nuova
costruzione ed, in quanto, tale assoggettato
alla normativa sulle distanze minime
prevista dall’art. 9 del D.M. 1444/1968
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 15.06.2011 n. 3184 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
edificazione su ruderi ha sempre natura di
nuova costruzione in quanto un rudere in
stato di rovina non rientra nel novero delle
costruzioni esistenti che possono essere
demolite e ricostruite.
Nella specie è incontestato che la domanda
di condono edilizio, prodotta
dall’interessata in data 14.03.1995, n.
25667, aveva ad oggetto un immobile
completamente distrutto a causa di un
incendio che, come tale, aveva perduto le
connotazioni essenziali dell’edificio: ciò
configurava l’intervento più che di tipo
conservativo di nuova costruzione.
In effetti, secondo il pacifico orientamento
giurisprudenziale, la edificazione su ruderi
ha sempre natura di nuova costruzione in
quanto “un rudere in stato di rovina non
rientra nel novero delle costruzioni
esistenti che possono essere demolite e
ricostruite” (cfr. Cons. Stato sez. V
10.02.2004, n. 475).
Analogamente: l'area su cui sorgono i ruderi
è da considerare alla stregua di area non
edificata (Cass. Sez. III sent. n.
20776/2006)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 14.06.2011 n. 515 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione - Presupposto -
Preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare - Ricostruzione su ruderi -
Nuova opera.
Il concetto di ristrutturazione postula
necessariamente la preesistenza di un
fabbricato da ristrutturare, ossia di un
organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura.
Di conseguenza, la ricostruzione su ruderi o
su un edificio già da tempo demolito, anche
se soltanto in parte, costituisce una nuova
opera e, come tale, è soggetta alle comuni
regole edilizie e paesistico-ambientali
vigenti al momento della riedificazione
(C.d.S. sez. IV 13.10.2010 n. 7476, C.d.S.
sez. IV 15.09.2006 n. 5375).
Ciò che contraddistingue la c.d.
ricostruzione di ruderi è la circostanza che
in tal caso la demolizione del fabbricato
preesistente avviene per ragioni
assolutamente autonome ed indipendenti dalla
volontà di effettuare un intervento di
ristrutturazione (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 09.06.2011 n. 847 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
diritto di ricostruzione di un edificio,
anche se risulta demolito all’atto del
rilascio della concessione edilizia, permane
fin quando un procedimento amministrativo
per il rilascio della concessione edilizia
non è concluso ed ha avuto completa
esecuzione.
Condizione determinante è che lo stato di
consistenza sia certo e sia stato verificato
dall’Amministrazione preposta al rilascio
della concessione.
È giurisprudenza consolidata, e questo
Collegio non ha ragione di discostarsene,
che il diritto di ricostruzione di un
edificio, anche se risulta demolito all’atto
del rilascio della concessione edilizia,
permane fin quando un procedimento
amministrativo per il rilascio della
concessione edilizia non è concluso ed ha
avuto completa esecuzione.
Condizione determinante è che lo stato di
consistenza sia certo e sia stato verificato
dall’Amministrazione preposta al rilascio
della concessione, fatto che nel caso di
specie non risulta contestato (Consiglio di
Stato n. 5162 del 21.10.2008, n. 1108 del
06.03.2006, TAR Bolzano 374 del 05.08.2004)
(TRGA Trentino Alto Adige-Bolzano,
sentenza 16.05.2011 n. 203 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
È esclusa dal concetto di
ristrutturazione la ricostruzione su ruderi,
che va invece assimilata a nuova
edificazione.
La giurisprudenza afferma costantemente che
l’intervento edilizio di ristrutturazione
edilizia presuppone, come elemento
indefettibile, la preesistenza, al momento
in cui si chiede la concessione, di una
fabbricato da ristrutturare, dotato di
murature perimetrali, di strutture
orizzontali e della copertura ritenendosi di
conseguenza esclusa dal concetto di
ristrutturazione la ricostruzione su ruderi
la quale va invece assimilata a nuova
edificazione (Cons. Stato, V, 26.09.1995 n.
1354; V, 04.11.1994 n. 1261).
Nel caso in esame, in cui è pacifico che
dell’edificio preesistente non è rimasto
alcun elemento essendo la costruzione
crollata, si è in presenza di una nuova
edificazione; in ogni caso l’intervento
determina una trasformazione dell’edificio a
suo tempo insistente nell’area con aumento
di superficie e cambio d’uso da superficie
accessoria a superficie abitativa con
alterazione dei profili, altezza, prospetti
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.03.2011 n. 1452 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Relativamente
agli interventi di ripristino di
edifici diruti, occorre distinguere l'ipotesi in cui
esista un organismo edilizio dotato di mura perimetrali,
strutture orizzontali e copertura in stato di conservazione
tale da consentire la sua fedele ricostruzione (nel qual
caso è possibile parlare di demolizione e ricostruzione, e
dunque di ristrutturazione), dall'ipotesi in cui,
invece, sussista un organismo edilizio dotato di sole mura
perimetrali e privo di copertura (nel qual caso gli
interventi in questione non possono essere classificati come
interventi di restauro e risanamento conservativo, ma di
nuova costruzione, attesa la mancanza di elementi
sufficienti a testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell'edificio da recuperare).
---------------
Fondata è invece l’azione di annullamento della concessione
edilizia, sotto il profilo –di carattere assorbente– dedotto
con il primo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti
hanno dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art.
31 L. 457/1978 e dell’art. 69 del P.U.C., per avere il
comune di Genova qualificato come restauro e risanamento
conservativo, anziché come nuova costruzione, un intervento
su di un manufatto privo di essenziali parti strutturali
(segnatamente, la copertura).
Difatti, “per quanto riguarda gli interventi di
ripristino di edifici diruti, occorre distinguere
l'ipotesi in cui esista un organismo edilizio dotato di
mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato
di conservazione tale da consentire la sua fedele
ricostruzione (nel qual caso è possibile parlare di
demolizione e ricostruzione, e dunque di ristrutturazione),
dall'ipotesi in cui, invece, sussista un organismo
edilizio dotato di sole mura perimetrali e privo di
copertura (nel qual caso gli interventi in questione non
possono essere classificati come interventi di restauro e
risanamento conservativo, ma di nuova costruzione, attesa la
mancanza di elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare)”
(TAR Campania, IV, 23.12.2010, n. 28002).
Donde l’erronea qualificazione dell’intervento, che –del
resto- anche qualora fosse qualificabile come
ristrutturazione, necessiterebbe comunque del reperimento
dei parcheggi pertinenziali ex art. EM3 1.8 del P.U.C.
(profilo dedotto con il quarto motivo di ricorso)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 17.02.2011 n. 322 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza quanto agli interventi di
ripristino di edifici diruti precisa la
relativa nozione riportandola agli organismi
edilizi dotati di sole mura perimetrali e
privi di copertura e, correttamente, nega
che essi possano essere classificati come
restauro e risanamento conservativo.
La giurisprudenza –anche di questa Sezione-,
quanto agli interventi di ripristino di
edifici diruti, precisa la relativa nozione
riportandola agli organismi edilizi dotati
di sole mura perimetrali e privi di
copertura (TAR Campania, Napoli, sezione IV,
14.12.2006 n. 10553) e, correttamente, nega
che essi possano essere classificati come
restauro e risanamento conservativo (TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 04.03.2010, n.
1286; TAR Campania, Napoli, sez. VI,
09.11.2009 n. 7049; TAR Lazio, Latina,
15.07.2009, n. 700).
Essa pone, inoltre, una condivisibile
distinzione tra le ipotesi in cui esista un
organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura in stato di conservazione tale da
consentire la sua fedele ricostruzione, nel
quale caso è possibile parlare di
demolizione e fedele ricostruzione, e dunque
di ristrutturazione; e le ipotesi in cui,
invece, manchino elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell'edificio da recuperare,
configurandosi in quest'evenienza, invero,
un intervento di nuova costruzione (TAR
Veneto Venezia, sez. II, 05.06.2008, n.
1667), per l’assenza degli elementi
strutturali dell'edificio, in modo tale che,
seppur non necessariamente "abitato"
o "abitabile", esso possa essere
comunque individuato nei suoi connotati
essenziali (Consiglio di Stato, sez. V,
10.02.2004, n. 475)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 23.12.2010 n. 28002 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia
costituiscono interventi di recupero sul patrimonio edilizio
esistente, onde i relativi concetti postulano
necessariamente la preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare o risanare, ossia di un organismo edilizio
dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, sicché la ricostruzione su ruderi o su di un
edificio già da qualche tempo demolito o diruto costituisce
nuova opera.
La giurisprudenza più recente ha affermato che “il
risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia
costituiscono interventi di recupero sul patrimonio edilizio
esistente, onde i relativi concetti postulano
necessariamente la preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare o risanare, ossia di un organismo edilizio
dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, sicché la ricostruzione su ruderi o su di un
edificio già da qualche tempo demolito o diruto costituisce
nuova opera" (TAR Campania Salerno, sez. II, 26.09.2007,
n. 1927; TAR Campania Napoli, sez. IV, 14.12.2006, n. 10553;
Consiglio Stato, sez. V, 15.04.2004, n. 2142) (TAR Liguria,
Sez. I,
sentenza 17.05.2010 n. 2751 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La nozione di ristrutturazione si
distingue pur sempre da quella di nuova costruzione per la
necessità che la ricostruzione sia identica per sagoma,
volumetria e superficie al fabbricato demolito.
La ricostruzione di un rudere non è ascrivibile ad ipotesi
di ristrutturazione edilizia e men che meno di risanamento
conservativo (come dedotto dai controinteressati nelle
memoria difensiva), integrando in sostanza un’attività di
nuova costruzione, attesa la mancanza di elementi
sufficienti a testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell’edificio da recuperare.
Ai sensi dell’art. 3, primo comma, lett. d), del D.P.R.
380/2001, per interventi di ristrutturazione edilizia si
intendono quelli “rivolti a trasformare gli organismi
edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono
portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso
dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o
la sostituzione di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento
di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi
di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le
sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica”.
Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, a cui il
Collegio ritiene di aderire, intanto può attuarsi un
intervento di ristrutturazione edilizia (come quello
indicato nella d.i.a.) in quanto esista un organismo
edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura in stato di conservazione tale da consentire la
sua fedele ricostruzione (Consiglio di Stato, Sez. V,
10.02.2004 n. 475; TAR Lazio, Latina, 15.07.2009, n. 700).
Difatti, la nozione di ristrutturazione si distingue pur
sempre da quella di nuova costruzione per la necessità che
la ricostruzione sia identica per sagoma, volumetria e
superficie al fabbricato demolito (Consiglio Stato, Sez. V,
01.04.2006, n. 2085; TAR Campania Napoli, Sez. II,
11.09.2009, n. 4949).
Viceversa, la ricostruzione di un rudere non è ascrivibile
ad ipotesi di ristrutturazione edilizia e men che meno di
risanamento conservativo (come dedotto dai controinteressati
nelle memoria difensiva), integrando in sostanza un’attività
di nuova costruzione, attesa la mancanza di elementi
sufficienti a testimoniare le dimensioni e le
caratteristiche dell’edificio da recuperare (TAR Campania,
Napoli, 09.11.2009 n. 7049; Consiglio di Stato, Sez. VI,
15.09.2006 n. 5375).
Nel concetto giuridico di rudere rientra, senza dubbio, il
caso di specie relativo al rifacimento di un organismo
edilizio dotato di sole mura perimetrali, e privo di
copertura (TAR Campania Napoli, Sez. II, 11.09.2009, n.
4949) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 04.03.2010 n. 1286 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Può
attuarsi un intervento di ristrutturazione
edilizia (di demolizione e ricostruzione) in
quanto esista un organismo edilizio dotato
di mura perimetrali, strutture orizzontali e
copertura in stato di conservazione tale da
consentire la sua fedele ricostruzione,
mentre non è ravvisabile siffatto intervento
nei confronti di ruderi o edifici da tempo
demoliti, attesa la mancanza di elementi
sufficienti a testimoniare le dimensioni e
le caratteristiche dell'edificio da
recuperare, configurandosi in
quest'evenienza, invero, un intervento di
nuova costruzione, assoggettato ai limiti
stabiliti dalla vigente disciplina
urbanistica.
Può attuarsi un intervento di
ristrutturazione edilizia (di demolizione e
ricostruzione) in quanto esista un organismo
edilizio dotato di mura perimetrali,
strutture orizzontali e copertura in stato
di conservazione tale da consentire la sua
fedele ricostruzione, mentre non è
ravvisabile siffatto intervento nei
confronti di ruderi o edifici da tempo
demoliti, attesa la mancanza di elementi
sufficienti a testimoniare le dimensioni e
le caratteristiche dell'edificio da
recuperare, configurandosi in
quest'evenienza, invero, un intervento di
nuova costruzione, assoggettato ai limiti
stabiliti dalla vigente disciplina
urbanistica (Così Tar Veneto Venezia, Sez.
II, 1667/2008).
Ritiene,
infatti, il Collegio di aderire ad un
consolidato indirizzo, recentemente ribadito
in giurisprudenza, secondo il quale “Ai
sensi degli artt. 10 e 22, comma 3, t.u.
06.06.2001, n. 380, le attività edilizie
consistenti nella demolizione e
ricostruzione che non avvengano nel rispetto
della stessa volumetria e sagoma del
manufatto preesistente, sono da qualificare
come nuove costruzioni, assoggettate al
permesso di costruire” (cfr. Consiglio
di Stato, sez. IV, 16.03.2007, n. 1276 ma v.
anche TAR Marche, 07.04.2006, n. 139;
Consiglio Stato, sez. V, 01.04.2006, n.
2085).
Ora, poiché rispetto ad una costruzione che
sia ridotta allo stato di rudere non è
possibile compiere una valutazione in
termini di compatibilità delle
caratteristiche planovolumetriche tra lo
stato dell’edificio prima e dopo
l’intervento di riedificazione, appare
chiaro come la ricostruzione di un edificio
allo stato di rudere debba essere
qualificata come nuova costruzione e debba
essere assentita mediante permesso a
costruire (cfr. TAR Calabria Catanzaro, Sez.
II, 14.12.2004, n. 2381 e Tar Catanzaro
1486/2007)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 09.02.2010 n. 131 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
ricostruzione su ruderi costituisce una
nuova costruzione.
Per
giurisprudenza costante gli interventi di
risanamento conservativo, di cui all’art.
31, lett. c), l. 05.08.1978 n. 457,
presuppongono necessariamente l’esistenza
dell’organismo edilizio, definito nelle sue
strutture verticali ed orizzontali e
relativa copertura, siccome finalizzato al
recupero degli immobili nella loro attuale
consistenza e nell’ambito degli spazi
concretamente identificabili, al pari della
ristrutturazione edilizia, laddove, invece,
la ricostruzione su ruderi, costituisce una
nuova costruzione (ex multis Cons.
St. Sez. V 23.06.1997 n. 704)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 30.07.2009 n. 4233 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
possibilità o meno di ricostruire un rudere
risultando leggibili la sagoma planimetrica,
definita dalle murature perimetrali, e la
sagoma in elevazione.
La ricorrente richiama la nota
giurisprudenza secondo cui l’intervento di
ripristino di un rudere deve essere
qualificato in termini di nuova costruzione
(TAR Veneto, sez. II, 05.06.2008, n. 567,
TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I,
22.11.2007, n. 749).
Obietta la controinteressata che questa
giurisprudenza si giustifica in base al
rilievo che nel caso dei ruderi difetta la
possibilità di individuare le loro
originarie caratteristiche plano
volumetriche, possibilità che invece
sussisteva nella fattispecie, in cui era
possibile, sulla base delle strutture
esistenti, individuare oggettivamente i
tratti essenziali del preesistente
fabbricato (quali altezza, posizione delle
falde del tetto, volumetria complessiva etc.
…).
Il Collegio condivide le argomentazioni
della ricorrente; un intervento di restauro
e risanamento conservativo –come risulta
dalla definizione dell’articolo 3 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380– presuppone la
preesistenza di un “organismo edilizio”
cioè di una struttura fornita di copertura,
tamponature esterne e strutture orizzontali
interne; nella fattispecie risulta che il
progetto si riferisce a un edificio diruto,
cioè ai resti di strutture edilizie andate
in rovina, per di più in epoca assai
risalente; la stessa relazione tecnica
depositata dalla controinteressata ammette
che “l’edificio risulta(va) privo di
quasi tutti gli orizzontamenti interni e di
gran parte della copertura”, pur
aggiungendo che “risultavano leggibili la
sagoma planimetrica, definita dalle murature
perimetrali e la sagoma in elevazione…”
e che “all’interno dell’involucro
restavano chiaramente leggibili sui
paramenti murari i fori di innesto dei solai
…” (che quindi non esistevano, come
sostenuto dalla ricorrente).
Alla luce di questi dato risulta che il
progetto autorizzato non costituisce un
intervento di restauro e risanamento
conservativo di un fabbricato preesistente
ma consiste piuttosto nel ripristino (nella
vera e propria ricostruzione, sia pure
utilizzando i resti ancora esistenti) di un
fabbricato in rovina; simile intervento
costituisce effettivamente una nuova
costruzione che, nella zona in
contestazione, è vietata dalle disposizioni
del P.R.G.
(TAR Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 15.07.2009 n. 700 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Ricostruzione di un
fabbricato in rovina.
Gli interventi di ristrutturazione edilizia,
ma anche di demolizione e di successiva
ricostruzione, presuppongono sempre che i
relativi lavori siano riferiti ad un
edificio esistente, ossia che esista un
organismo edilizio, seppur non
necessariamente abitato o abitabile,
connotato nei suoi connotati essenziali,
dotato di mura perimetrali, strutture
orizzontali e copertura in stato di
conservazione tale da consentire la sua
fedele ricostruzione (cfr., ex multis,
C.d.S., sez. V, 10.02.2004, n. 475), mentre
non possono essere ammessi tali interventi
nei confronti di ruderi o resti di edifici
da tempo demoliti, attesa la mancanza di
elementi sufficienti a testimoniare le
dimensioni e le caratteristiche
dell'edificio da recuperare (cfr., C.d.S.,
sez. IV, 15.09.2006, n. 5375), in cui si
configura un intervento di nuova
costruzione, assoggettato ai limiti
stabiliti dalla vigente disciplina
urbanistica (cfr., TAR Veneto, sez. II,
29.06.2006, n. 1944 e 05.06.2008, n. 1667)..
Da quanto precede consegue che gli
interventi di demolizione sono ammissibili
nei limiti dello stato fisionomico attuale
del fabbricato, senza alcuna possibilità di
recupero di parti strutturali che, anche se
originariamente esistenti, sono
successivamente venute meno per qualsiasi
evenienza.
Pertanto, è legittimo l'operato della
Amministrazione comunale che non assente un
intervento di ripristino di un manufatto
che, seppure in passato esistente, non è più
identificabile né nella sua posizione né
nelle dimensioni né nella volumetria, in
quanto ormai del tutto privo degli elementi
strutturali essenziali che lo possano ancora
connotare come un edificio, essendo tale
intervento correttamente individuabile quale
ricostruzione integrale su diverso sedime e,
quindi, una novella edificazione,
autorizzabile nei soli limiti previsti dalle
norme di piano (massima tratta da
www.studiospallino.it - TRGA Trentino Alto
Adige-Trento,
sentenza 08.01.2009 n. 3 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Ricostruzione di un
fabbricato in rovina.
La ricostruzione di un fabbricato, rovinato
da molto tempo e del quale residuavano, al
momento della presentazione dell'istanza di
ristrutturazione da parte del privato, solo
piccole frazioni dei muri, di per sé
inidonee a definire l'esatta volumetria
preesistente, costituisce vera e propria
costruzione "ex novo" e non già
ristrutturazione, né tampoco mero restauro o
risanamento conservativo e, come tale, è
soggetta a concessione edilizia secondo le
regole urbanistiche vigenti al momento
dell'istanza del privato, e non già a quelle
esistenti all'epoca in cui fu realizzato il
manufatto originario, in quanto l'effetto
ricostruttivo perseguito mira non già a
conservare o, se del caso, a consolidare un
edificio comunque definito nelle sue
dimensioni, né alla sua demolizione e fedele
ricostruzione, bensì a realizzarne uno del
tutto nuovo e diverso (massima tratta da
www.studiospallino.it - TRIBUNALE di Chieti,
sentenza 02.01.2009 n. 2). |
anno 2008 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Risanamento conservativo di
rudere (inammissibilità).
In presenza di un rudere, non si può parlare
di risanamento conservativo o di
ristrutturazione, in quanto tali interventi
presuppongono un organismo dotato di muri
perimetrali,strutture orizzontali e
copertura. Invero, in materia edilizia,
anche in base alle nuove disposizioni
contenute nel d. P.R. 06.06.2001 n. 380,
costituisce nuova costruzione l'intervento
di ricostruzione di un rudere, in quanto il
risanamento conservativo ed in genere gli
interventi di ristrutturazione con o senza
demolizioni devono essere contestualizzati
temporalmente nell'ambito di un intervento
unitario volto nel suo complesso alla
conservazione di un edificio che deve essere
ancora esistente e strutturalmente
identificabile al momento dell'inizio dei
lavori (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 14.11.2008 n. 42521 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione di un
rudere.
Il concetto di ristrutturazione postula
necessariamente la esistenza di un manufatto
da riedificare e consolidare dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura per cui i ruderi, che non
possiedono tali elementi, sono da
considerarsi una area non edificata
(Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 24.09.2008 n. 36542 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
rovina di un edificio, non importa a quali
cause dovuta, fa venire meno la possibilità
di ristrutturare l’edificio medesimo e
determina solo la possibilità di procedere
alla ricostruzione dello stesso.
Il concetto di ristrutturazione postula
necessariamente la preesistenza di un
organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, motivo per cui la ricostruzione
su ruderi va assimilata ad una nuova
edificazione.
In mancanza di norme contrarie, la
ricostruzione di manufatti, ancorché
crollati accidentalmente, soggiace alle
norme urbanistiche vigenti al momento in cui
viene emanato il permesso di costruire.
La
giurisprudenza amministrativa ritiene che “la
rovina di un edificio, non importa a quali
cause dovuta, fa venire meno la possibilità
di ristrutturare l’edificio medesimo (in
particolare: Consiglio di Stato sez V sent.
n. 819 del 1996) e determina solo la
possibilità di procedere alla ricostruzione
dello stesso”.
Il concetto di ristrutturazione, infatti,
postula necessariamente la preesistenza di
un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura, motivo per cui la ricostruzione
su ruderi -come quella in esame- va
assimilata ad una nuova edificazione
(Consiglio di Stato, sez. V, n. 1261 del 1994,
TAR Lombardia, Brescia n. 478/1996, TRGA
Trento n. 126 del 1996).
In mancanza di norme contrarie, la
ricostruzione di manufatti, ancorché
crollati accidentalmente, soggiace alle
norme urbanistiche vigenti al momento in cui
viene emanato il permesso di costruire
(Consiglio di stato, sez. V, n. 102 del
1989)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Ricostruzione di un
fabbricato in rovina.
Risanamento conservativo e ristrutturazione
edilizia costituiscono interventi di
recupero del patrimonio edilizio esistente
e, in quanto tali, postulano necessariamente
la preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare o risanare, ossia di un
organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura; pertanto, la ricostruzione su
ruderi o su di un edificio già da tempo
demolito (anche in parte) o diroccato deve
essere assentita non come intervento di
recupero, ma con concessione edilizia di
nuova opera, anche qualora l'intervento
proposto preveda il mantenimento (in luogo
della completa rimozione) delle residue
parti murarie della vecchia struttura
edilizia (massima tratta da
www.studiospallino.it -
TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 17.06.2008 n. 1213
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
possibilità o meno di ricostruire un rudere.
Risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia costituiscono
interventi di recupero sul patrimonio edilizio esistente (si veda in
proposito l’art. 31 della legge n. 457/1978, i cui contenuti sono stati
trasfusi nell’art. 3 del T.U. edilizia), onde i relativi concetti
postulano necessariamente la preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare o risanare, ossia di un organismo edilizio dotato di mura
perimetrali, strutture orizzontali e copertura.
Di conseguenza, la ricostruzione su ruderi o su di un edificio già da
tempo demolito (anche in parte) o diruto costituisce nuova opera (cfr.
Cons. Stato, V, 15-04-2004, n. 2142; V, 01-12-1991, n. 2021; 10-03-1997,
n. 240; 04-11-1994, n. 1261; TAR Calabria, Catanzaro, II, n. 2321/2004).
E ciò anche quando l’intervento proposto prevede il mantenimento (in
luogo della completa rimozione) delle residue parti murarie della
vecchia struttura edilizia.
Più precisamente, il concetto di costruzione esistente postula la
possibilità di individuazione della stessa come identità strutturale, in
modo da poterla ritenere presente nella realtà materiale quale specifica
entità urbanistico-edilizia, sicché l’intervento edificatorio sulla
stessa non costituisce trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio rilevante in termini di nuova costruzione.
Deve, pertanto, trattarsi di un manufatto che, a prescindere dalla
circostanza che sia abitato o abitabile, possa essere comunque
individuato, nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale,
in relazione anche alla sua destinazione (cfr. Cons. stato, V,
10-02-2004, n. 475; V, 15-03-1990, n. 293).
Esso dev’essere, cioè, un’entità edilizia già esistente e rilevante come
tale, giustificandosi solo in questo caso la non operatività dei
parametri edilizi previsti per le nuove costruzioni.
Tali caratteri non sono certamente individuabili nei cd. “ruderi”,
avendo questi perduto i caratteri della entità urbanistico-edilizia
originaria, sia in termini strutturali che funzionali.
Sicché a nulla rileva la circostanza che, attraverso complesse ed anche
attendibili attività tecniche, si riesca a risalire alla consistenza
originaria dell’edificio, considerato che quest’ultimo non esiste più
come entità edilizia rilevante nell’attualità.
Pertanto, la sua ricostituzione si configura come una nuova
trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, assoggettata al
rispetto delle relative prescrizioni
(TAR Sardegna, Sez.
II,
sentenza 17.06.2008 n. 1213
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ricostruzione su ruderi - Nuova
costruzione - Concetto di ristrutturazione
edilizia.
La ricostruzione su ruderi costituisce
sempre "nuova costruzione", in quanto il
concetto di ristrutturazione edilizia
postula necessariamente la preesistenza di
un fabbricato da ristrutturare, cioè di un
organismo edilizio dotato delle murature
perimetrali, strutture orizzontali e
copertura. In mancanza di tali elementi
strutturali non è possibile valutare
l'esistenza e la consistenza dell'edificio
da consolidare ed i ruderi non possono che
considerarsi alla stregua di un'area non
edificata [vedi Cass., Sez. III: 04.02.2003,
Pellegrino e 20.02.2001, ric. Perfetti;
nonché C. Stato, Sez. V: 28.05.2004, n.
3452; 15.04.2004, n. 2142; 01.12.1999, n.
2021; 04.08.1999, n. 398; 10.03.1997, n.
240] (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 16.06.2006 n. 20776 - link
a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione
edilizia.
Intanto può attuarsi un intervento di ristrutturazione edilizia (di
demolizione e ricostruzione) in quanto esista un organismo edilizio
dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura in stato
di conservazione tale da consentire la sua fedele ricostruzione. Non è,
invece, ravvisabile siffatto intervento nei confronti di ruderi o
edifici da tempo demoliti, attesa la mancanza di elementi sufficienti a
testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da
recuperare (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 05.06.2008
n. 1667 - link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione
edilizia mediante demolizione.
E’ illegittimo il permesso di costruire rilasciato per la esecuzione di
un intervento di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e
ricostruzione di un preesistente fabbricato, quando esso è inesistente
per essere residuati solo alcuni ruderi
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
04.06.2008 n. 22241
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione
ed ampliamento - Nozione e differenza - Manufatto che subisce il crollo
delle pareti - Qualificazione urbanistica - Fattispecie.
Un manufatto che subisce il crollo delle sue pareti, (nella specie, una
baracca di lamiera di circa mc. 32, -di per sé non definibile come
manufatto destinato ad abitazione), non può essere più considerato un
“edificio esistente”, e pertanto non consente la realizzazione di
edifici ex novo in base al principio della ristrutturazione edilizia,
che si caratterizza per la riedificazione che comporti “la piena
conformità di sagoma, volume e superficie tra il vecchio e il nuovo
manufatto”, ciò che per definizione va escluso quando si discuta di un
ampliamento di cubatura dell’edificio. Fattispecie: divieto di
realizzazione di una villetta in sostituzione della precedente baracca
destinata al ricovero degli attrezzi (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.04.2008 n. 1550
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Concetto
di ristrutturazione: manufatto crollato e
ricostruito non è ''esistente''.
Un manufatto, a
seguito del crollo delle sue pareti, non può
essere più considerato quale “edificio
esistente”, ai fini dell’applicazione delle
norme di piano che consentono l’ampliamento
di un originario “edificio esistente”
giacché per esso, pur continuando a esistere
nella sua materiale consistenza, non è
consentita la realizzazione di edifici ex
novo e divenuti inesistenti.
La ristrutturazione edilizia si caratterizza
per la riedificazione che comporti la piena
conformità di sagoma, volume e superficie
tra il vecchio e il nuovo manufatto
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.04.2008 n. 1550 - link
a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Permesso
di costruire - Per la ristrutturazione
edilizia del rudere di un immobile - Diniego
- Motivazione che fa riferimento alla
mancanza della materiale preesistenza
dell’immobile, al momento della
presentazione della domanda di rilascio di
permesso di costruire – Legittimità.
E’ legittimo il provvedimento di diniego della P.A. motivato nel senso che
non può parlarsi di ristrutturazione
edilizia presuppone l’elemento
indispensabile della materiale preesistenza
del fabbricato, a nulla rilevando il fatto
che il fabbricato risulti censito nelle
schede redatte in sede di redazione di PRG
che di per sé non dà diritto alla
ristrutturazione se al momento della
presentazione del progetto il
fabbricato non è più esistente (TAR
Marche, Sez. I,
sentenza 13.03.2008 n. 202
- link a www.ambientelegale.it). |
anno 2007 |
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EDILIZIA PRIVATA: Quando
la demolizione sia già avvenuta per rovina
(anche se dipesa dal proprietario) o per
eventi naturali con la conseguente
inefficacia del relativo titolo rilasciato,
la ricostruzione su ruderi può avvenire solo
dopo una nuova concessione e nel rispetto
della disciplina urbanistica vigente.
È incontestabile che nella definizione di “interventi
di ristrutturazione edilizia” rientri la
fattispecie della “demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria e
sagoma di quello preesistente”, visto
che questa è parte della nozione che ne dà
il D.P.R. 06.06.2001 n. 380 all’art. 3,
lett. d).
Tuttavia, l’intervenuta e non contestuale
demolizione del fabbricato rende di fatto
carente di oggetto la successiva richiesta
di demolizione e ricostruzione. Come afferma
la giurisprudenza “se ha luogo la
demolizione del fabbricato -oggetto di una
istanza di demolizione e di ricostruzione-
l'istanza stessa è inaccoglibile, per la
sopravvenuta carenza del suo elemento
oggettivo.
Infatti, l'Amministrazione deve valutare le
circostanze esistenti alla data di
conclusione del procedimento e non può che
constatare come -per l'avvenuta demolizione
dell'edificio- sia diversa l'attività
oggetto dell'istanza, rispetto a quella che
sarebbe assentita nel caso di suo
accoglimento (Sez. V, 4719 - 04.11.2003;
Sez. VI, 05.10.2001, n. 5253; 05.10.2001 n.
5253; Sez. IV, 05.07.2000, n. 3735; Sez. V,
23.03.2000, n. 1610; Sez. V, 23.03.2000, n.
1610; Sez. V, 03.07.1996, n. 819; Sez. V,
26.03.1996, n. 302).
Analogamente, quando sia chiesta una
concessione di ristrutturazione (con la
prevista demolizione del fabbricato e la sua
ricostruzione), l'avvenuta demolizione del
fabbricato comporta l'inaccoglibilità della
domanda, per il mutamento della situazione
di fatto e dalla inesistenza dell'edificio:
il proprietario, ove intenda far definire
positivamente la sua istanza, deve lasciare
la res adhuc integra e -se nel frattempo
demolisce l'edificio- ha l'onere di
presentare una nuova istanza per la
costruzione, con l'attivazione di un diverso
procedimento” (così testualmente
Consiglio di Stato IV, 19.02.2007, n. 867).
Secondo la più
comune nozione, “la ratio del principio
della ragionevole prossimità del tempo della
ricostruzione a quello della demolizione
(peraltro privo di alcun riscontro positivo)
va, infatti, individuata nell'esigenza di
assicurare un rapporto di necessaria
strumentalità dell'abbattimento alla
successiva ricostruzione e di evitare,
quindi, che tale vincolo venga interrotto
dal decorso di un lasso di tempo eccessivo,
rispetto alle esigenze ricostruttive, tra le
due fasi dell'intervento” (così
Consiglio di Stato IV, 07.09.2004, n. 5791,
in una fattispecie in cui la demolizione era
intervenuta sulla scorta di provvedimenti
giurisdizionale, ma che non aveva attinto
l’interezza del manufatto; vedi anche
Consiglio di Stato V, 08.08.2003 n. 4593).
Queste ragioni spingono la giurisprudenza a
ritenere che, quando la demolizione sia già
avvenuta per rovina (anche se dipesa dal
proprietario) o per eventi naturali con la
conseguente inefficacia del relativo titolo
rilasciato, la ricostruzione su ruderi può
avvenire solo dopo una nuova concessione e
nel rispetto della disciplina urbanistica
vigente (Consiglio di Stato V, 23.03.2000 n.
1610; vedi anche Consiglio di Stato V,
28.05.2004 n. 3452)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 06.12.2007 n. 15801 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione edilizia.
Il concetto di ristrutturazione edilizia postula
necessariamente la preesistenza di un fabbricato da
ristrutturare, vale a dire di un organismo edilizio dotato
delle murature perimetrali, strutture orizzontali e
copertura. Pertanto, la ricostruzione di un rudere
preesistente non può mai ricondursi nell'ambito di
operatività della "ristrutturazione edilizia", trattandosi
di intervento sostanzialmente "nuovo", che richiede
specifico e preventivo titolo abilitativo (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 05.12.2007 n. 45240
- link a www.lexambiente.it). |
anno 2001 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Quando (anche a seguito della sua
rovina per cause naturali) è integralmente
demolito un edificio o il manufatto per il
quale è stata rilasciata una concessione
edilizia (pur se di ristrutturazione), viene
meno l’esistenza del manufatto medesimo e
quindi anche l’efficacia della originaria
concessione, non importando se la rovina sia
avvenuta o meno per volontà del suo
titolare. La costruzione del nuovo
manufatto, pertanto, può avere luogo sulla
base di una ulteriore concessione, da
rilasciare nel rispetto delle previsioni
urbanistiche vigenti.
La costante giurisprudenza di questo
Consiglio ha più volte osservato che ai
sensi dell’art. 1 della legge 28.01.1977, n.
10, è soggetta al rilascio della concessione
edilizia ogni attività che comporti la
trasformazione del territorio attraverso
l’esecuzione di opere comunque attinenti
agli aspetti urbanistici ed edilizi, ove il
mutamento e l’alterazione abbiano un qualche
rilievo ambientale ed estetico, o anche solo
funzionale (Sez. V, 14.12.1994, n. 1486;
Sez. V, 23.01.1991, n. 64; Sez. V,
21.10.1985, n. 343).
In particolare, poiché il piano urbanistico
quale strumento di pianificazione indica
quali siano le consentite modificazioni del
territorio, il richiamato art. 1 della legge
n. 10 del 1977 richiede il rilascio della
concessione edilizia (e dunque il necessario
riscontro di conformità) quando si intenda
realizzare un intervento sul territorio con
la perdurante modifica dello stato dei
luoghi con materiale posto sul suolo, pur in
assenza di opere in muratura (Sez. V,
01.03.1993, n. 319; Sez. V, 23.01.1991; Sez.
II, 02.05.1990, n. 1092/1989; Sez. II,
11.10.1989, n. 1348/1988; Sez. V,
15.07.1983, n. 329), anche quando si tratti
di una «antenna saldamente ancorata al
suolo e visibile dai luoghi circostanti»
(Sez. V, 06.04.1998, n. 415).
Ciò posto, ritiene la Sezione che l’avvenuto
crollo dell’originario traliccio ha reso
irrilevante la questione se in relazione ad
esso si sia formato il silenzio assenso
sulla istanza di condono, poiché per la
ricostruzione era necessario l’ulteriore
rilascio di una concessione edilizia.
Per la consolidata giurisprudenza, quando
(anche a seguito della sua rovina per cause
naturali) è integralmente demolito un
edificio o il manufatto per il quale è stata
rilasciata una concessione edilizia (pur se
di ristrutturazione), viene meno l’esistenza
del manufatto medesimo e quindi anche
l’efficacia della originaria concessione,
non importando se la rovina sia avvenuta o
meno per volontà del suo titolare (Sez. V,
23.03.2000, n. 1610; Sez. V, 03.07.1996, n.
819; Sez. V, 26.03.1996, n. 302).
La costruzione del nuovo manufatto,
pertanto, può avere luogo sulla base di una
ulteriore concessione, da rilasciare nel
rispetto delle previsioni urbanistiche
vigenti
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.10.2001 n. 5253 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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