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46-CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE (rateizzato e/o ritardato versamento)
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48-DEFINIZIONI INTERVENTI EDILIZI
49-DIA e SCIA
50-DIAP
51-DISTANZA dagli ALLEVAMENTI ANIMALI
52-DISTANZA dai CONFINI
53-DISTANZA dai CORSI D'ACQUA - DEMANIO MARITTIMO/LACUALE
54-DISTANZA dalla FERROVIA

55-DISTANZA dalle PARETI FINESTRATE
56-DURC
57-EDICOLA FUNERARIA
58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
59-ESPROPRIAZIONE
60-GESTIONE ASSOCIATA FUNZIONI COMUNALI
61-INCARICHI LEGALI e/o RESISTENZA IN GIUDIZIO
62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
65-L.R. 12/2005
66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
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dossier EDIFICIO UNIFAMILIARE
anno 2024

EDILIZIA PRIVATA: La “ratio” dell’esenzione di cui cui all’art. 17, comma 3, lett. b), del TUE è quella di favorire gli edifici unifamiliari, quindi la piccola proprietà immobiliare, meritevole di un trattamento contributivo differenziato per agevolare interventi di ristrutturazione o di limitato ampliamento di unità immobiliari destinate al soddisfacimento dei bisogni abitativi di una famiglia;
Insomma si tratta di un’esenzione da contributo per finalità di carattere eminentemente sociale laddove la finalità della norma è quella di garantire una “decorosa sistemazione abitativa”.
---------------

... per l'annullamento
- per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
   dell'Avviso di rilascio del Permesso di Costruire n. 72/2018, prot. n. 13345 del 04.09.2018, notificato in pari data, nella parte in cui dispone che, ai fini del rilascio del Permesso di Costruire, debba essere pagato il contributo di costruzione ammontante complessivamente ad € 25.332,12 (doc. 1), e di ogni atto presupposto o conseguente o comunque connesso alla liquidazione del contributo di costruzione e l'accertamento del diritto della ricorrente all'esonero dal pagamento del contributo di costruzione e comunque della non debenza dello stesso o, eventualmente, del minore importo da corrispondere, con richiesta di restituzione della somma indebitamente pagata, pari ad € 25.332,12 o a quella diversa somma che risulterà in corso di causa;
- per quanto riguarda i motivi aggiunti:
   per l’annullamento degli atti già impugnati con ricorso introduttivo del giudizio e per l’accoglimento delle altre domande ivi formulate, nonché per l’accertamento e la declaratoria del diritto in capo alla ricorrente allo scomputo del contributo di costruzione e/o alla riconduzione ad equità degli impegni assunti mediante sottoscrizione di atto unilaterale d’obbligo allegato al permesso di costruire n. 72/2018.
...
1. La signora An.Ci. otteneva dal Comune di Olginate (LC) il permesso di costruire (PdC) n. 72/2018 per il restauro conservativo di un fabbricato adibito a residenza rurale, per la ristrutturazione del fabbricato ad uso deposito e il suo mutamento di destinazione d’uso in fabbricato residenziale, con riguardo ad un compendio immobiliare sito alla via ... n. 1.
Con il ricorso principale in epigrafe la stessa contestava la pretesa del Comune di ottenere il pagamento del contributo di costruzione per euro 25.332,12 in relazione al permesso di cui è causa.
Contestualmente era chiesto l’accertamento del diritto all’esonero dal pagamento del contributo, con richiesta di restituzione delle somme pagate.
Con ricorso per motivi aggiunti –sottoscritto da un nuovo difensore che aveva sostituito quello originario– l’esponente confermava la propria richiesta di esenzione dal pagamento del contributo di costruzione per l’intervento edilizio di cui è causa e contestualmente chiedeva l’accertamento della non debenza o in ogni caso la riduzione delle somme da essa dovute ai sensi dell’art. 21 delle norme di attuazione (NTA) del Piano di Governo del Territorio (PGT, vale a dire lo strumento urbanistico generale comunale ai sensi degli articoli 7 e seguenti della legge regionale n. 12 del 2005).
...
2. Il ricorso principale ed i motivi aggiunti possono essere trattati congiuntamente, attesa la loro omogeneità.
2.1 Nel primo motivo del gravame principale e nel motivo aggiunto n. 3 (continua la numerazione del ricorso introduttivo) l’esponente lamenta la violazione sotto vari profili degli articoli 16 e 17 del DPR n. 380 del 2001 (Testo Unico dell’edilizia o anche solo “TUE”) e degli articoli 43 e 44 della legge regionale sul governo del territorio n. 12 del 2005.
La tesi di parte ricorrente è che il proprio intervento edilizio non dovrebbe essere assoggettato a contributo di costruzione, dovendo applicarsi l’ipotesi di esenzione di cui all’art. 17, comma 3, lettera b), del TUE, che prevede la gratuità degli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, degli edifici unifamiliari.
La censura non merita condivisione.
La “ratio” dell’esenzione di cui sopra è quella di favorire gli edifici unifamiliari, quindi la piccola proprietà immobiliare, meritevole di un trattamento contributivo differenziato per agevolare interventi di ristrutturazione o di limitato ampliamento di unità immobiliari destinate al soddisfacimento dei bisogni abitativi di una famiglia; insomma si tratta di un’esenzione da contributo per finalità di carattere eminentemente sociale (cfr. TAR Lombardia, Brescia, Sezione I, sentenza n. 449 del 2018, peraltro richiamata seppure impropriamente dall’esponente, nella quale si evidenzia correttamente che la finalità della norma è quella di garantire una “decorosa sistemazione abitativa”; si veda anche nello stesso senso, TAR Veneto, Sezione II, sentenza n. 289 del 2019).
Dalla documentazione versata in giudizio appare però evidente che l’immobile di cui è causa non può essere minimamente ricondotto all’ipotesi di cui al succitato art. 17 del TUE.
Il complesso immobiliare ricade in zona A1 agricola ed è costituito da un fabbricato principale un tempo destinato ad abitazione del coltivatore diretto e da un altro fabbricato ad uso stalla o deposito.
L’intervento assentito con il PdC di cui è causa comporta la ristrutturazione con cambio d’uso da rurale a residenziale, la creazione di un pergolato ad uso parcheggio, la sistemazione dell’area esterna con realizzazione di un cancello carrabile sulla via Bedesco (cfr. il doc. 1 della ricorrente).
La relazione tecnica di progetto (cfr. il doc. 3 della ricorrente) ammette che quest’ultimo riguarda “la ristrutturazione dell’esistente fabbricato rurale allo scopo di renderlo idoneo all’uso abitativo” (si veda pag. 3 della relazione, punto 1.3).
Inoltre, se il fabbricato principale è considerato in “discrete condizioni”, quello accessorio è definito come fatiscente e in parte crollato, sicché sullo stesso dovranno realizzarsi interventi importanti per creare un’unità abitativa, con nuovi locali ad uso bagno e lavanderia (si vedano sul punto anche le fotografie degli immobili, doc. 19 della ricorrente e le planimetrie degli interventi, in particolare quella doc. 13 della ricorrente).
A ciò si aggiunga che il complesso immobiliare non può certamente qualificarsi come edificio unifamiliare; è sufficiente a tale proposito ancora la lettura della relazione di progetto e delle fotografie allegate, che individuano con chiarezza due strutture distinte (cfr. ancora il doc. 3 della ricorrente).
Anche la documentazione catastale evidenzia due diverse unità immobiliari (cfr. i documenti n. 1 e n. 2 del resistente).
Non si tratta, quindi, di un edificio unifamiliare, senza contare che la trasformazione in residenza del vecchio edificio fatiscente un tempo adibito ad uso stalla e fienile implica un aumento della superficie utile ben superiore alla misura di legge del 20%.
Nello stesso ricorso principale (cfr. pag. 14) l’esponente ammette peraltro che l’immobile è composto da ben nove vani per una superficie abitabile di circa 200 metri quadrati, il che appare di per sé incompatibile con la nozione di “edificio unifamiliare”.
Non può neppure sostenersi, come invece viene affermato nei motivi aggiunti, che l’intervento edilizio non darebbe luogo ad aumento del carico urbanistico in quanto anche il vecchio edificio abitato dal coltivatore diretto aveva comunque destinazione residenziale.
L’argomento difensivo è privo di pregio, considerato che si realizza la trasformazione ad uso abitativo del fabbricato ad uso deposito (stalla e fienile), senza contare che la vecchia casa del coltivatore diretto è ormai di fatto non più abitabile, sicché la creazione della nuova e più ampia residenza darà luogo ad incremento del carico urbanistico.
I motivi n. 1 e n. 3 devono quindi rigettarsi (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 13.03.2024 n. 719 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nell'intervento edilizio di ampliamento del fabbricato unifamiliare, la superficie residenziale (passata da mq. 82,88 a mq. 116,56) ha subito un incremento del 40,63%, mentre la superficie accessoria (passata da mq. 18,22 a mq. 46,51) ha subito un incremento del 155%.
Per entrambe le tipologie di superficie, l’intervento edilizio ha comportato un incremento superiore al 20% di quella esistente e, pertanto, non può (poteva) considerarsi gratuito ex art. 17, comma 3, lett. b), del DPR n. 380/2001.

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... per l'accertamento e la declaratoria del diritto del ricorrente all'esenzione, ai sensi dell'art. 17, comma 3, lett. b), del D.P.R. 06.06.2001 n. 380, dal pagamento del contributo di costruzione di cui al precedente art. 16 del medesimo D.P.R. in relazione all'intervento edilizio di ampliamento del proprio fabbricato unifamiliare, con conseguente annullamento e/o disapplicazione della nota del Comune di Monte San Vito n. 6995 del 26.06.2009 limitatamente alla parte contenente la determinazione e quantificazione del predetto contributo, insieme agli atti successivi.
...
1. Il ricorrente allega di essere proprietario di un edificio unifamiliare di civile citazione (composto da vani residenziali e vani accessori) e di aver chiesto, al Comune di Monte San Vito, il permesso di costruire per un ampliamento della destinazione residenziale sull’area di sedime occupata dai vani accessori di cui era prevista la totale demolizione.
Il Comune, nell’assentire il progetto, ha chiesto il pagamento del contributo concessorio che, tuttavia, il ricorrente contesta ritenendo trattasi di intervento edilizio gratuito, ex art. 17, comma 3, lett. b), del DPR n. 380/2001, poiché l’ampliamento è inferiore al 20% della superficie esistente.
L’amministrazione comunale si è costituita per resistere al gravame.
2. Va innanzitutto disattesa l’eccezione di tardività del ricorso. L’odierna controversia riguarda diritti soggettivi paritetici tutelabili entro il termine di prescrizione di 10 anni (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 30/08/2018 n. 12).
3. Con un’unica ed articolata censura viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 16 e 17 del DPR n. 380/2001 nonché eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità dell’azione amministrativa.
In particolare viene dedotto che l’amministrazione, nell’effettuare il proprio calcolo della misura dell’ampliamento (concludendo che fosse superiore al 20%), abbia erroneamente escluso il computo del corpo accessorio che viene demolito per lasciare spazio all’ampliamento residenziale.
La superficie di tale struttura andava invece computata poiché parte integrante dell’edificio unifamiliare originario.
Le censure non possono trovare condivisione.
In disparte la riconducibilità dell’intervento alla parziale nuova costruzione (come sostiene il Comune anche attraverso i propri scritti difensivi) o alla ristrutturazione con ampliamento (come sostiene parte ricorrente), a giudizio del Collegio la controversia va risolta confrontando le superfici dell’edificio prima e dopo l’intervento (al netto dei muri come emerge dagli elaborati progettuali depositati dal Comune in data 12/01/2010 e non oggetto di contestazione).
L’esistente era così composto:
SUPERFICIE RESIDENZIALE
   PT cucina mq. 15,12;
   PT vano soggiorno mq. 26,54;
   P1 camera mq. 15,12;
   P1 disimpegno mq. 3, 57;
   P1 bagno mq. 4,50;
   P1 camera mq. 18,03,
per un totale di mq. 82,88 oltre alla scala interna di superficie non quantificata.
SUPERFICIE ACCESSORIA
   PT ripostiglio mq. 3,76;
   PT deposito mq. 14,46,
per un totale di mq. 18,22.
L’edificio, dopo l’ampliamento, presenta la seguente configurazione:
SUPERFICIE RESIDENZIALE
   PT + P1 mq. 82,88 come da esistente oltre alla scala interna di superficie non quantificata;
   PT nuovo bagno mq. 4,62;
   PT nuovo disimpegno mq. 1,37;
   PT nuova camera mq. 15,33,
per un totale di mq. 116, 56 oltre alla scala interna.
SUPERFICIE ACCESSORIA
   P1 nuova terrazza mq. 46,51.
Da quanto sopra si può quindi facilmente dedurre che la superficie residenziale (passata da mq. 82,88 a mq. 116,56) ha subito un incremento del 40,63%, mentre la superficie accessoria (passata da mq. 18,22 a mq. 46,51) ha subito un incremento del 155%.
Per entrambe le tipologie di superficie, l’intervento edilizio ha comportato un incremento superiore al 20% di quella esistente e, pertanto, non poteva considerarsi gratuito ex art. 17, comma 3, lett. b), del DPR n. 380/2001.
4. Il ricorso va quindi respinto (TAR Marche, sentenza 27.02.2024 n. 191 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di una piscina interrata (con volumetria lorda pari a 123,28 mc e con una superficie lorda pari a 68,49 mq) al servizio della propria abitazione unifamiliare è da qualificarsi come "nuova costruzione". Inoltre, il medesimo intervento è oneroso.
La giurisprudenza nettamente prevalente ritiene che la piscina interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell’edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio giacché “la piscina, in considerazione della sua consistenza modificativa dell'assetto del territorio, rappresenta una nuova costruzione e non può essere ricompresa tra gli interventi di manutenzione straordinaria o minori, di cui all'art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001”.
In materia, si richiamano altresì i seguenti principi affermati dalla recente giurisprudenza:
   - “Pure infondata è la terza censura con cui parte ricorrente lamenta che la piscina avrebbe carattere pertinenziale e non richiederebbe il permesso di costruire.
E infatti, giova richiamare anche sul punto l’orientamento dominante della giurisprudenza amministrativa secondo cui la realizzazione di una piscina non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire [...]
Pertanto, è da escludere che, nella fattispecie, possano trovare applicazione le normative invocate con le censure che prevedono titoli di autoamministrazione (s.c.i.a.) compatibili unicamente con la conservazione delle preesistenze, in funzione della tutela del diritto di proprietà senza alcuna “innovazione” sul territorio e la cui mancanza è sanzionabile solo pecuniariamente.
Non appare poi corretta l’affermazione di parte ricorrente secondo cui la realizzazione di una piscina e la sostituzione del suolo agricolo con pavimentazione non immuti lo stato dei luoghi e non abbia impatto paesaggistico, tenuto conto che si tratta di modifiche sostanziali alla configurazione del territorio sul quale tali opere insistono; sotto questo profilo la circostanza che la piscina interrata e la pavimentazione non si sviluppino in verticale, non esclude che esse alterino la consistenza dei suoli e costituiscano interventi edilizi sostanzialmente innovativi e modificativi dell’assetto edilizio del territorio, senza che, come detto, residui alcun margine di ponderazione tra interessi pubblici e privati, come, invece, preteso da parte attrice”;
   - “6.2. Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”, fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella civilistica. […]
6.5. In particolare, è stato condivisibilmente affermato che “le piscine non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio. L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio cui accede.
La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all’uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula, pertanto, il previo rilascio dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire” […]
7. Orbene dal momento che la costruzione della piscina, in relazione alla sua consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio (nella specie, trattasi di un’opera interrata, avente una superficie totale di circa 62,50 mq.), non può essere ascritta al novero degli “interventi di manutenzione straordinaria” e degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del2001, rientrando invece nel novero degli interventi di nuova costruzione, ne deriva che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del d.P.R. n. 380cit., per la relativa edificazione è richiesto il permesso di costruire, trattandosi di attività qualificabile come intervento di nuova costruzione, che comporta la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”.
In applicazione dei richiamati principi giurisprudenziali, risulta pertanto corretta la qualificazione da parte dell’Amministrazione comunale dell’intervento oggetto di segnalazione quale “nuova costruzione”.
---------------
E' destituita di fondamento la tesi difensiva della ricorrente laddove sostiene che l’esclusione dell’onerosità dell’intervento edilizio in questione dovrebbe desumersi da quanto previsto dall’art. 17, comma 3, lett. b), D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale “Il contributo di costruzione non è dovuto: […] b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
Secondo la ricorrente, infatti, se la legge, al fine di favorire la piccola proprietà immobiliare, ha escluso in questi casi l’obbligo del pagamento del contributo di costruzione, a maggior ragione dovrebbe esserne esente, a pena di irrazionalità del sistema, la realizzazione di una piscina pertinenziale non eccedente il 20% del volume dell'edificio principale.
Al riguardo, premesso che l’intervento oggetto di segnalazione non può pacificamente qualificarsi né come ristrutturazione né come ampliamento ai sensi della predetta norma (la quale, peraltro, avendo natura eccezionale, non può essere applicata analogicamente), il Collegio ritiene che non sussista la prospettata irrazionalità del sistema paventata da parte ricorrente.
Ed invero, secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza, “…l’esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare: l’edificio unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato”.
Ciò posto, essendo la ratio della citata norma di esclusione dal contributo di costruzione quella di agevolare gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare, non risulta ravvisabile alcuna irragionevolezza nel non contemplare tra le predette ipotesi di esclusione la costruzione di un nuovo manufatto esterno all’abitazione non strettamente connesso alle citate necessità abitative del nucleo familiare.
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La sig.ra -OMISSIS- ha presentato al Comune di -OMISSIS- una segnalazione certificata di inizio attività, protocollata dall’ente in data -OMISSIS-, per la realizzazione di una piscina interrata (con volumetria lorda pari a 123,28 mc e con una superficie lorda pari a 68,49 mq) al servizio della propria abitazione unifamiliare.
Con provvedimento prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS- il Comune di -OMISSIS- –rilevato che “La costruzione di nuova piscina interrata al servizio della residenza privata costituisce opera di nuova costruzione e non di ristrutturazione, ancorché riferita a pertinenza, accessorio, o qualsivoglia definizione del nuovo manufatto interrato venga utilizzata dal Segnalante: per tale motivo è assoggettata a Permesso di Costruire ovvero a SCIA sostitutiva del permesso di Costruire…”– ha ordinato alla sig.ra -OMISSIS- di non effettuare l’intervento segnalato, avvertendo che qualunque opera eseguita sarebbe stata priva di titolo abilitativo.
Avverso tale provvedimento, la sig.ra -OMISSIS- ha proposto ricorso davanti a questo Tribunale chiedendone l’annullamento.
...
La ricorrente, con unico motivo di ricorso, censura il provvedimento impugnato per violazione degli artt. 3, comma 1, lett. e), 17, comma 3, lett. b), D.P.R. n. 380/2001 e 27 l.r. n. 12/2005, in quanto avrebbe erroneamente qualificato l’intervento oggetto di segnalazione quale “nuova costruzione”, soggetta a permesso di costruire o a SCIA ad esso alternativa, e non quale attività edilizia “gratuita” soggetta a semplice SCIA.
Il ricorso è infondato.
In primo luogo, parte ricorrente sostiene che la costruzione di una piscina di volume inferiore al 20% dell’edificio principale consisterebbe in un intervento pertinenziale non rientrante tra quelli indicati dall’art. 3, comma 1, lett. e.6), D.P.R. n. 380/2001 (“gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale”), e quindi non qualificabile quale “intervento di nuova costruzione”.
La tesi non è condivisibile.
Ed invero, in un precedente analogo questa Sezione ha rilevato che “La giurisprudenza nettamente prevalente, che il Collegio condivide, ritiene che la piscina interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell’edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio giacché “la piscina, in considerazione della sua consistenza modificativa dell'assetto del territorio, rappresenta una nuova costruzione e non può essere ricompresa tra gli interventi di manutenzione straordinaria o minori, di cui all'art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001” (TAR Piemonte, sez. II, 02/08/2022, n. 703; TAR Napoli, sez. VII, 16/03/2017, n. 1503)” (Tar Lombardia–Brescia, sent. n. 993/2022).
In materia, si richiamano altresì i seguenti principi affermati dalla recente giurisprudenza:
   - “Pure infondata è la terza censura con cui parte ricorrente lamenta che la piscina avrebbe carattere pertinenziale e non richiederebbe il permesso di costruire. E infatti, giova richiamare anche sul punto l’orientamento dominante della giurisprudenza amministrativa secondo cui la realizzazione di una piscina non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire (TAR Campania, Napoli, sez. III, 07.01.2020, n. 42; TAR Campania, Salerno, sez. II, 18.04.2019, n. 642) [...] Pertanto, è da escludere che, nella fattispecie, possano trovare applicazione le normative invocate con le censure che prevedono titoli di autoamministrazione (s.c.i.a.) compatibili unicamente con la conservazione delle preesistenze, in funzione della tutela del diritto di proprietà senza alcuna “innovazione” sul territorio e la cui mancanza è sanzionabile solo pecuniariamente. Non appare poi corretta l’affermazione di parte ricorrente secondo cui la realizzazione di una piscina e la sostituzione del suolo agricolo con pavimentazione non immuti lo stato dei luoghi e non abbia impatto paesaggistico, tenuto conto che si tratta di modifiche sostanziali alla configurazione del territorio sul quale tali opere insistono; sotto questo profilo la circostanza che la piscina interrata e la pavimentazione non si sviluppino in verticale, non esclude che esse alterino la consistenza dei suoli e costituiscano interventi edilizi sostanzialmente innovativi e modificativi dell’assetto edilizio del territorio, senza che, come detto, residui alcun margine di ponderazione tra interessi pubblici e privati, come, invece, preteso da parte attrice” (Tar Campania–Napoli, sent. n. 3874/2020);
   - “6.2. Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”, fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella civilistica. […] 6.5. In particolare, è stato condivisibilmente affermato che “le piscine non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio. L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio cui accede. La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all’uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula, pertanto, il previo rilascio dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire” (TAR Campania, Napoli, sez. III, 09/09/2020, n. 3730; Cons. di Stato, sent. n. 35/2016)” […] 7. Orbene dal momento che la costruzione della piscina, in relazione alla sua consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio (nella specie, trattasi di un’opera interrata, avente una superficie totale di circa 62,50 mq.), non può essere ascritta al novero degli “interventi di manutenzione straordinaria” e degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del2001, rientrando invece nel novero degli interventi di nuova costruzione, ne deriva che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del d.P.R. n. 380cit., per la relativa edificazione è richiesto il permesso di costruire, trattandosi di attività qualificabile come intervento di nuova costruzione, che comporta la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio” (Tar Puglia–Lecce, sent. n. 845/2022).
In applicazione dei richiamati principi giurisprudenziali, risulta pertanto corretta la qualificazione da parte dell’Amministrazione comunale dell’intervento oggetto di segnalazione quale “nuova costruzione”.
La ricorrente sostiene inoltre che l’esclusione dell’onerosità dell’intervento edilizio in questione dovrebbe desumersi da quanto previsto dall’art. 17, comma 3, lett. b), D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale “Il contributo di costruzione non è dovuto: […] b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
Secondo la ricorrente, infatti, se la legge, al fine di favorire la piccola proprietà immobiliare, ha escluso in questi casi l’obbligo del pagamento del contributo di costruzione, a maggior ragione dovrebbe esserne esente, a pena di irrazionalità del sistema, la realizzazione di una piscina pertinenziale non eccedente il 20% del volume dell'edificio principale.
Anche tale tesi risulta destituita di fondamento.
Premesso che l’intervento oggetto di segnalazione, come anche ammesso dalla ricorrente, non può pacificamente qualificarsi né come ristrutturazione né come ampliamento ai sensi della predetta norma (la quale, peraltro, avendo natura eccezionale, non può essere applicata analogicamente), il Collegio ritiene che non sussista la prospettata irrazionalità del sistema paventata da parte ricorrente.
Ed invero, secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza, da cui il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi, “…l’esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare: l’edificio unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato (TAR Lombardia-Milano, sez. IV – 02/07/2014 n. 1707)” (Tar Lombardia–Brescia, sent. n. 449/2018, cfr. di recente Tar Emilia Romagna, Bologna, sent. n. 848/2022).
Ciò posto, essendo la ratio della citata norma di esclusione dal contributo di costruzione quella di agevolare gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare, non risulta ravvisabile alcuna irragionevolezza nel non contemplare tra le predette ipotesi di esclusione la costruzione di un nuovo manufatto esterno all’abitazione non strettamente connesso alle citate necessità abitative del nucleo familiare.
Alla luce di tutte le argomentazioni suesposte, il ricorso risulta infondato e deve essere respinto (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 11.01.2024 n. 11 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 9 della legge n. 10/1977 stabilisce per le ipotesi dallo stesso previste l’esenzione dal contributo di cui al precedente art. 3, provvedendo esclusivamente ad individuare –in deroga al principio di onerosità del permesso di costruire- delle fattispecie tipiche di esenzione, senza in alcun modo voler concepire una forma di concessione differente rispetta a quello di carattere generale.
Con riferimento all’interpretazione del citato art. 9, lett. d), della legge n. 10/1977 quale ipotesi di esenzione dal pagamento del contributo concessorio “per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20% di edifici unifamiliari”, occorre rammentare che, secondo la costante giurisprudenza in materia di edilizia il pagamento degli oneri concessori rappresenta la regola, con la conseguenza che si impone un’interpretazione restrittiva delle deroghe, da ritenere, pertanto, quali ipotesi tassativamente previste dalla legge.
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L’art. 9, comma 1, lett. d), della legge n. 10/1977, nel prevedere che il contributo non è dovuto per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari, si pone l’obiettivo di esentare dal contributo concessorio ogni intervento edilizio sugli edifici esistenti destinati all'abitazione di un solo nucleo familiare.
Il legislatore, pertanto, individua -quali beneficiari dell’esenzione- i nuclei familiari, per l’appunto proprietari di alloggi unifamiliari, nell’ottica di migliorare in loro favore le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi.
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla compartecipazione alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è correlato all'aumento di valore che consegue all'intervento. Pertanto, si giustifica la sottrazione all'imposizione dell'aumento di valore che la famiglia consegue per effetto della ristrutturazione solo per le finalità di ordine sociale sopra individuate.
Ne discende la condivisibilità della tesi sostenuta dal giudice di primo grado secondo cui che la deroga all’onerosità della concessione prevista dal citato art. 9 della legge n. 10/1977 (ora art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001) ha “un fondamento sociale, con l'effetto che la nozione di edificio unifamiliare non deve avere una accezione strutturale, ma socio-economica, coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole per gli interventi di ristrutturazione dell'abitazione di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie”.
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1. La sig.ra Ol.Ca. ha chiesto la riforma della sentenza n. 631, depositata l’01.10.2018, con la quale il giudice di primo grado ha respinto la domanda volta all’annullamento della clausola della concessione edilizia n. 67/96 del 16.09.1996 che ha imposto il pagamento di 34.550.290 di vecchie lire, a titolo di oneri di urbanizzazione, e di 13.600.000 milioni di vecchie lire, a titolo di contributo di concessione, e alla conseguente declaratoria del diritto alla restituzione delle somme versate, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.
1.2. L’appellante ha esposto che:
   a) ha ottenuto dal Comune di Ancona la concessione edilizia n. 67/96 per la demolizione e ricostruzione di un edificio unifamiliare per civile abitazione e cambio d'uso con opere di annesso agricolo, ubicato in via ... n. 32, concessione seguita da due varianti;
   b) con nota del 17.11.1998 ha fatto riserva avverso la clausola di onerosità, essendo la concessione stata sottoposta al pagamento di 34.550.290 di vecchie lire, a titolo di oneri di urbanizzazione, e di 13.600.000 milioni di vecchie lire, a titolo di contributo di concessione;
   c) con lettera del 15.07.1999 prot. n. 49817 il Comune di Ancona ha richiesto il versamento di 13.600.000 di vecchie lire, corrispondente al costo di costruzione;
   d) con nota del 28.07.1999 la sig.ra Ca. ha dedotto che il termine di pagamento di tale importo non era ancora scaduto, attesa la proroga correlata alle varianti intervenute e con successiva nota dell’11.08.1999 ha osservato che la concessione è stata illegittimamente sottoposta ad onerosità, dovendo esserne esente, ai sensi dell’art. 9, lett. d), della legge n. 10/1977, rientrando la demolizione e ricostruzione nella nozione di ristrutturazione, e ai sensi dell'art. 11 della medesima legge, atteso che l'istante ha dovuto eseguire a proprie spese le opere di urbanizzazione;
   e) con nota dell’11.10.1999 il Comune ha reiterato quanto affermato il 15.07.1999 e il 30.12.1999 la sig.ra Ca. ha versato la somma richiesta, riservandosi di agire per la restituzione di tutto quanto pagato.
1.3. L’appellante deduce l’erroneità della sentenza di primo grado laddove, pur dando atto dell’esistenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui l'esenzione dal costo di costruzione, di cui alla lettera d) dell'art. 9 della legge n. 10/1977, fosse applicabile anche agli interventi di demolizione e ricostruzione, afferma “la deroga all’onerosità della concessione prevista dall’art. 9 della legge n. 10 del 1977 (successivamente sostituito dall’art. 17, comma 3, lett. b), del DPR n. 380 del 2001) ha un fondamento sociale, con l'effetto che la nozione di edificio unifamiliare non deve avere una accezione strutturale ma socio-economica, coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole per gli interventi di ristrutturazione dell'abitazione di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie (Tar Campania Salerno, 22.06.2015, n. 1416; Tar Lombardia Milano, 10.10.1996, n. 1480; Tar Toscana, 26.04.2017, n. 616; Tar Marche, 09.01.2018, n. 9).”.
In particolare l’appellante lamenta che l'interpretazione restrittiva seguita dal giudice di primo grado, frutto di un più recente orientamento della giurisprudenza, si porrebbe in contrasto con l'art. 111 Cost. essendo mancata un'attenta ponderazione degli effetti del mutamento dell'interpretazione normativa a significativa distanza dall'introduzione del giudizio e dal rilascio del titolo edilizio, nonché deduce l’erroneità della sentenza laddove afferma che parte istante non avrebbe assolto all’onere probatorio relativo al carattere unifamiliare del fabbricato non avendo il Comune contestato che si trattasse di una ex tipica casa colonica delle campagne marchigiane, che l’intervento fosse qualificabile come ristrutturazione e che l'ampliamento fosse contenuto nel 20%.
La sentenza sarebbe erronea anche per la parte in cui ha negato l’applicabilità dell’art. 11 della legge n. 10/1977 in quanto, secondo la giurisprudenza anche in assenza di un atto d'obbligo l'amministrazione potrebbe tenere conto della domanda di scomputo delle opere già realizzate senza il previo dettato comunale ove sussista la relativa previsione, anche se solo in forma generica, nella concessione edilizia ovvero la discrezionale determinazione di accettazione ex post delle opere da parte del Comune che secondo parte istanze dovrebbe desumersi nel caso di specie dal parere favorevole della C.E. del 22.07.1997.
2. Il Comune di Ancona si è costituito in giudizio ed ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità della produzione in giudizio da parte dell’appellante chiedendo lo stralcio e la cancellazione dei seguenti documenti nuovi depositati:
"2. relazione arch. Ro.Pa. 05.07.1999; 3. concessione in variante; 4. relazione arch. Ro.Pa. 17.11.1998.", nonché l’inammissibilità dell’appello per genericità ed assenza di specificità delle censure che integrano una mera richiesta di riesame dei motivi di impugnazione formulati in primo grado.
2.1. Nel merito il Comune ha concluso per il rigetto dell’appello e per la conferma della sentenza di primo grado che correttamente avrebbe escluso l’applicabilità alla fattispecie in esame dell’esenzione dall’onerosità, ai sensi dell’art. 9, lett. d), della legge n. 10/1977, così come l’applicabilità dell’art. 11 della medesima legge n. 10/1977.
...
5. L’appello non è fondato nel merito e va respinto, circostanza che esime il Collegio dall’esame delle eccezioni preliminari, ivi compresa quella di inammissibilità della produzione di nuovi documenti da parte dell’appellante in considerazione della loro non rilevanza ai fini della decisione.
6. Il Collegio osserva che l’art. 9 della legge n. 10/1977 stabilisce per le ipotesi dallo stesso previste l’esenzione dal contributo di cui al precedente articolo 3, provvedendo esclusivamente ad individuare –in deroga al principio di onerosità del permesso di costruire- delle fattispecie tipiche di esenzione, senza in alcun modo voler concepire una forma di concessione differente rispetta a quello di carattere generale (Consiglio di Stato, IV sez., 01.06.2020, n. 3405).
Con riferimento all’interpretazione del citato art. 9, lett. d), della legge n. 10/1977 quale ipotesi di esenzione dal pagamento del contributo concessorio “per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20% di edifici unifamiliari”, occorre rammentare che, secondo la costante giurisprudenza in materia di edilizia il pagamento degli oneri concessori rappresenta la regola, con la conseguenza che si impone un’interpretazione restrittiva delle deroghe, da ritenere, pertanto, quali ipotesi tassativamente previste dalla legge (Consiglio di stato, IV sez., 07.06.2018, n. 3422; Consiglio di stato, V sez., 07.05.2013, n. 2467).
7. Nel caso di specie dalla documentazione in atti emerge che l’intervento assentito è consistito in una demolizione e ricostruzione dell’edificio di cui si controverte, nonché nel cambio di destinazione d’uso dello stesso da rurale a residenziale e che sin dal suo rilascio la concessione è stata sottoposta a “contributo per complessive £. 48.150.290, di cui £. 34.550.290 per oneri di urbanizzazione e £. 13.600.000 per costo di costruzione”.
7. A fronte della contestazione della clausola di onerosità da parte dell’appellante, il Collegio osserva che l’art. 9, comma 1, lettera d), della legge n. 10/1977, nel prevedere che il contributo non è dovuto per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari, si pone l’obiettivo di esentare dal contributo concessorio ogni intervento edilizio sugli edifici esistenti destinati all'abitazione di un solo nucleo familiare. Il legislatore, pertanto, individua -quali beneficiari dell’esenzione- i nuclei familiari, per l’appunto proprietari di alloggi unifamiliari, nell’ottica di migliorare in loro favore le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi.
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla compartecipazione alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è correlato all'aumento di valore che consegue all'intervento. Pertanto, si giustifica la sottrazione all'imposizione dell'aumento di valore che la famiglia consegue per effetto della ristrutturazione solo per le finalità di ordine sociale sopra individuate.
7.1. Ne discende la condivisibilità della tesi sostenuta dal giudice di primo grado secondo cui che la deroga all’onerosità della concessione prevista dal citato art. 9 della legge n. 10/1977 (ora art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001) ha “un fondamento sociale, con l'effetto che la nozione di edificio unifamiliare non deve avere una accezione strutturale, ma socio-economica, coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole per gli interventi di ristrutturazione dell'abitazione di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie”.
7.2. Nel caso in esame dalla documentazione allegata non risulta l’esatta consistenza dell’edificio e continua a mancare la prova del suo carattere di edificio unifamiliare nel senso appena detto di “piccola proprietà immobiliare” meritevole di un trattamento differenziato, prova che avrebbe dovuto essere fornita dall’appellante.
Al contrario l’importo elevato degli oneri concessori sembra far deporre diversamente soprattutto con riguardo alla consistenza dell’edificio.
7.3. Né, infine, sussiste il lamentato contrasto con l’art. 111 Cost. in quanto il giudice di primo grado ha applicato un orientamento giurisprudenziale consolidatosi da lungo tempo, rammentando anche che in precedenza vi era stato un contrasto tra orientamenti diversi.
E, infatti, il contrasto tra diversi orientamenti della giurisprudenza in ordine alla medesima questione non integra una lesione del diritto ad un processo equo e giusto, né può ingenerare un legittimo affidamento in capo alla parte che la sua causa sarà decisa secondo uno piuttosto che secondo l’altro orientamento (Consiglio di Stato, Sez. VII, sentenza 09.01.2024 n. 302 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2023

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza è costante nell’affermare che la concessione gratuita è una figura eccezionale, mentre la regola è quella dell’onerosità: infatti, la norma che la prevede, l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001 -ai sensi del quale “il contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”- è sempre stata intesa come previsione derogatoria rispetto alla suindicata regola e, dunque, da interpretare restrittivamente.
La chiara finalità della previsione dettata all’art. 17, c. 3, lett. b), è di natura sociale, essendo essa diretta ad apprestare un concreto strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per quegli interventi di adeguamento dell'immobile che siano effettivamente funzionali alle necessità abitative del nucleo familiare.
Pertanto, nell'accezione socio-economica assunta dalla suddetta norma di carattere eccezionale, il concetto di "edificio unifamiliare" coincide, in concreto, con la piccola proprietà immobiliare, con la conseguenza che soltanto se presenti tali caratteri l'immobile unifamiliare è meritevole di un trattamento differenziato.
Invero, è stato ritenuto non manifestamente illogico o irrazionale definire "edificio unifamiliare", non soggetto al pagamento del contributo concessorio, "un alloggio che abbia ... una superficie utile non superiore a 110 mq'', con l'ulteriore previsione che "le limitazioni di cui ai bagni ed alla superficie utile possono essere superate" nel "caso in cui venga dimostrato che nell'alloggio la superficie utile per abitante non è superiore a 20 mq . ... ".
La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell'art. 9, comma 1, della L. 28/01/1977 n. 10, "in relazione al quale la giurisprudenza aveva avuto modo di chiarire che il carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche dell'edificio, in ragione del volume, della superficie, del numero e della funzione e caratteristica dei vani, in rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da parte di un unico nucleo familiare".
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Nel caso di specie, per le ampie dimensioni del fabbricato –una volumetria di 982 mc e una superficie di oltre di 300 mq- e per essere destinato ad un nucleo familiare che, al momento del rilascio del permesso di costruire, era composto da tre sole persone, il medesimo edificio non può qualificarsi quale “piccola proprietà immobiliare” e non è, quindi, meritevole di esenzione dal contributo di costruzione.
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Il sig. Gi.Co. ha contestato la decisione del Comune di Colle Brianza di assoggettare a contributo di costruzione (pari a euro 20.602,20) l’intervento edilizio di ristrutturazione e ampliamento dell’immobile di sua proprietà, oggetto del permesso di costruire n. 14/2012, deducendone l’illegittimità per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 17, comma 3, lett. b), d.P.R. n. 380/2001, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, arbitrarietà, ingiustizia manifesta, sviamento di potere.
...
Il Comune di Colle Brianza ha negato l’esenzione dal contributo di costruzione prevista all’art. 17, c. 3, lett. b), d.P.R. n. 380/2001, in caso di “interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”, ritenendo non riconducibile a tale fattispecie l’abitazione di proprietà del sig. Co., occupata da un nucleo di tre persone, avente una volumetria oggetto di ristrutturazione di 877,58 mc oltre a un volume di 105,02 mc di ampliamento.
Il ricorrente ha contestato la legittimità di tale decisione deducendo la violazione dell’art. 17, c. 3, lett. b), d.P.R. n. 380/2001 e il travisamento dei fatti: nel caso di specie sussisterebbero i presupposti richiesti dalla norma, poiché l’edificio è strutturalmente destinato all’uso abitativo di un solo nucleo familiare, la destinazione ad esclusiva residenza abitativa preesiste all’intervento e permane anche dopo di esso e l’intervento edilizio non ha carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità dell’edificio medesimo.
A suo avviso, l’utilizzo di un criterio dimensionale per individuare la nozione di edificio unifamiliare non sarebbe corretto ma, quand’anche volesse essere farsi ricorso ad esso, l’intervento edilizio sull’immobile –un edificio strutturato su due livelli: un piano terra (di 151,45 mq) e un piano seminterrato (di 151,45 mq) i cui locali non sono abitabili, avendo un’altezza non superiore a 2,60 m.- andrebbe comunque esente dal contributo.
Il ricorso è infondato.
La giurisprudenza è costante nell’affermare che la concessione gratuita è una figura eccezionale, mentre la regola è quella dell’onerosità: infatti, la norma che la prevede, l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001 -ai sensi del quale “il contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”- è sempre stata intesa come previsione derogatoria rispetto alla suindicata regola (cfr. C.d.S., Sez. IV, 14.02.2018, n. 945; Sez. V, 07.05.2013, n. 2467, e 24.03.2006, n. 1523; sull’art. 9 cit. cfr. Corte cost., ord. 23.06.1988, n. 714; C.d.S., Sez. V, 06.02.2003, n. 617) e, dunque, da interpretare restrittivamente (C.d.S., Sez. IV, 01.06.2020, n. 3405).
La chiara finalità della previsione dettata all’art. 17, c. 3, lett. b), è di natura sociale, essendo essa diretta ad apprestare un concreto strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per quegli interventi di adeguamento dell'immobile che siano effettivamente funzionali alle necessità abitative del nucleo familiare.
Pertanto, nell'accezione socio-economica assunta dalla suddetta norma di carattere eccezionale, il concetto di "edificio unifamiliare" coincide, in concreto, con la piccola proprietà immobiliare, con la conseguenza che soltanto se presenti tali caratteri l'immobile unifamiliare è meritevole di un trattamento differenziato (TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 02.07.2014, n. 1707, che ha ritenuto non manifestamente illogico o irrazionale definire "edificio unifamiliare", non soggetto al pagamento del contributo concessorio, "un alloggio che abbia ... una superficie utile non superiore a 110 mq'', con l'ulteriore previsione che "le limitazioni di cui ai bagni ed alla superficie utile possono essere superate" nel "caso in cui venga dimostrato che nell'alloggio la superficie utile per abitante non è superiore a 20 mq . ... ").
La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell'art. 9, comma 1, della L. 28/01/1977 n. 10, "in relazione al quale la giurisprudenza (cfr. TAR 07.09.1999 n. 770; TAR Veneto 30.03.1996 n. 480) aveva avuto modo di chiarire che il carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche dell'edificio, in ragione del volume, della superficie, del numero e della funzione e caratteristica dei vani, in rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da parte di un unico nucleo familiare" (cfr. TAR Brescia, sez. I , 13.05.2011 n. 713).
Nel caso di specie, l’edificio oggetto dell’intervento edilizio si struttura su due piani, con un piano terra di 151,45 mq (articolato in un ampio soggiorno con cucina a vista, un piccolo ripostiglio due stanze da letto e bagni) e un piano seminterrato anch’esso di 151,45 mq (con un ampio locale destinato a taverna, bagno, cantina, ripostiglio, lavanderia, magazzino, locale caldaia e locale ricovero attrezzi) (doc. 8).
Al piano seminterrato, alcuni locali, per quanto formalmente non abitabili, hanno comunque altezze ragguardevoli e destinazioni tali da consentirne, di fatto, un uso abitativo (la taverna e il bagno). Anche i locali adibiti a deposito, lavanderia, magazzino, cantina, centrale termica e ricovero attrezzi, per quanto non abitabili, vanno, comunque, ad incrementare le dimensioni dell’edificio e non possono essere ritenuti privi di rilievo.
Proprio per le sue ampie dimensioni –una volumetria di 982 mc e una superficie di oltre di 300 mq- e per essere destinato ad un nucleo familiare che, al momento del rilascio del permesso di costruire, era composto da tre sole persone, non può qualificarsi quale “piccola proprietà immobiliare” e non è quindi meritevole di esenzione dal contributo di costruzione.
Per le ragioni esposte il ricorso è infondato e deve essere respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 19.12.2023 n. 3093 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il criterio orientativo generale in materia è quello della onerosità del permesso di costruire. Il contributo di costruzione –come anche di recente evidenziato dal Consiglio di Stato nella sua più autorevole composizione (cfr. Adunanza Plenaria n. 12 del 2018)- rappresenta un corrispettivo di diritto pubblico nel quale si concretizza la compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione.
In sostanza, fatte salve le ipotesi di esenzione dal contributo indicate dall’art. 17, comma 3, del DPR 380/2001, il contributo è sempre dovuto, sicché le ipotesi di esenzione non possono configurarsi in casi non previsti dalla norma citata.
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Con specifico riguardo all’ipotesi di esenzione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b), la giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare come tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo contributivo contenute nell'art. 17 D.P.R. n. 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lett. b) della norma in parola, secondo cui "il contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari" - che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è preposta.
La ratio dell'esenzione di cui alla norma citata va, cioè, rinvenuta nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di "edificio unifamiliare" richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide "con la piccola proprietà immobiliare", poiché soltanto ove presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato.
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla compartecipazione alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è correlato all'aumento di valore che consegue all'intervento.
Pertanto la sottrazione all'imposizione dell'aumento di valore che la famiglia consegue per effetto della ristrutturazione si giustifica solo per le finalità di ordine sociale sopra individuate.
Altresì, circa gli estremi per l’applicazione dell’esenzione di cui al ridetto art. 17, comma 3, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001 pacifica giurisprudenza circoscrive l’operatività agli interventi che non abbiano mutato sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile, e non ne abbiano elevato in modo apprezzabile il valore economico.
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5. Il ricorso è infondato e va respinto.
Osserva preliminarmente il Collegio che il criterio orientativo generale in materia è quello della onerosità del permesso di costruire. Il contributo di costruzione –come anche di recente evidenziato dal Consiglio di Stato nella sua più autorevole composizione (cfr. Adunanza Plenaria n. 12 del 2018)- rappresenta un corrispettivo di diritto pubblico nel quale si concretizza la compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione.
In sostanza, fatte salve le ipotesi di esenzione dal contributo indicate dall’art. 17, comma 3, del DPR 380/2001, il contributo è sempre dovuto, sicché le ipotesi di esenzione non possono configurarsi in casi non previsti dalla norma citata.
Con specifico riguardo all’ipotesi di esenzione di cui all’art. 17, comma 3, lettera b), la giurisprudenza (cfr. TAR Veneto, Sez. II, 05.03.2019, n. 289; TAR Sez. I, Brescia, 26.04.2018, n. 449; TAR Toscana, Sez. III, 26.04.2017 n. 616; TAR Campania, Salerno, Sez. I, 22.06.2015 n. 1416; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 21.11.2014 n. 2180 e TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 02.07.2014 n. 1707) ha avuto modo di evidenziare come tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo contributivo contenute nell'art. 17 D.P.R. n. 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b) della norma in parola, secondo cui "il contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari" - che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è preposta.
La ratio dell'esenzione di cui alla norma citata va, cioè, rinvenuta nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di "edificio unifamiliare" richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide "con la piccola proprietà immobiliare", poiché soltanto ove presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato.
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla compartecipazione alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è correlato all'aumento di valore che consegue all'intervento.
Pertanto la sottrazione all'imposizione dell'aumento di valore che la famiglia consegue per effetto della ristrutturazione si giustifica solo per le finalità di ordine sociale sopra individuate (cfr. TAR Veneto, sez. II, 05/03/2019, n. 289; TAR sez. I, Brescia, 26/04/2018, n. 449; TAR Toscana, Sez. III, 26.04.2017 n. 616, TAR Campania, Salerno, Sez. I, 22.06.2015 n. 1416, TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 21.11.2014 n. 2180 e TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 02.07.2014 n. 1707; TAR Piemonte, 02.05.2022, n. 412).
5.1. Tanto premesso in linea generale, ritiene il Collegio che nel caso di specie queste finalità di ordine sociale non possano ritenersi sussistenti, tenuto conto della rilevanza dell'intervento assentito che ha evidentemente causato un sostanziale mutamento del fabbricato ed un apprezzabile aumento del suo valore economico.
È tranciante la lettura della relazione tecnica allegata al progetto di ristrutturazione (allegato 004 del deposito documentale del Comune di -OMISSIS- del 10.07.2023, pagg. 2 e 3), nella quale il tecnico incaricato evidenzia, per un verso, come “…L’intervento proposto prevede la fusione in un’unica unità immobiliare delle due distinte costruzioni da cui è attualmente costituito l’immobile in oggetto. Ciò comporta la ridistribuzione di ambienti e funzioni oltre al necessario miglioramento delle caratteristiche prestazionali dell’edificio…” e, per altro verso, che “…Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio...”.
In sostanza, la lettura della documentazione in atti esclude che nella fattispecie possano sussistere gli estremi per l’applicazione dell’esenzione di cui al ridetto art. 17, comma 3, lettera b), del D.P.R. n. 380 del 2001 di cui, come già detto, pacifica giurisprudenza, circoscrive l’operatività agli interventi che, a differenza di quanto risulta nella fattispecie, non abbiano mutato sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile, e non ne abbiano elevato in modo apprezzabile il valore economico (cfr. TAR Bologna, Sez. II, 26.10.2022, n. 848).
6. In conclusione per le ragioni esposte il ricorso è destituito di fondamento giuridico e va pertanto respinto (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 31.10.2023 n. 3249 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In primis, devesi considerare che:
   - l’art. 17, comma 3, lett. a), del d.p.r. n. 380/2001 stabilisce che «il contributo di costruzione non è dovuto … per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'art. 12 della l. 09.05.1975 n. 153»;
   - come enunciato dal Consiglio di Stato, «trattasi di una scelta evidentemente di favore ancorata alla sussistenza di due condizioni, una oggettiva, costituita dal rapporto con la conduzione del fondo, l'altra soggettiva, ovvero la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale del richiedente … in quanto norma derogatoria di una regola rispondente comunque a finalità di ordine generale, ne è evidente la necessaria lettura di rigore che le amministrazioni chiamate ad applicarla devono darne».
In secundis:
   - l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.p.r. n. 380/2001 stabilisce che «il contributo di costruzione non è dovuto … per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari»;
   - ebbene, il ricorrente neppure è riuscito a dimostrare, ai sensi dell’art. 64, comma 1, cod. proc. amm., che il progetto approvato col PdC n. 59/2023 concernesse un “edificio unifamiliare”, ossia quella tipologia edilizia cui unicamente la disposizione citata circoscrive la propria portata applicativa, senza margini per interpretazioni estensive, incompatibili con la natura derogatoria ed eccezionale della premialità dalla stessa contemplata;
   - viceversa, il compendio immobiliare sottoposto all’assentita ristrutturazione edilizia, piuttosto che configurarsi a guisa di “edificio unifamiliare”, si presenta articolato in due distinti fabbricati, l’uno padronale, distribuito su tre piani (terra, primo e sottotetto) e ragguagliante una volumetria complessivamente pari a ben mc 3.889,85, e l’altro colonico, costituito da un unico piano terraneo e ragguagliante una volumetria complessivamente pari a mc 991,28;
   - non solo: come eccepito dal Comune, senza ricevere smentita ex adverso, il progetto assentito prevede la suddivisione del compendio immobiliare in parola in un numero di cinque unità abitative, debordante, all’evidenza, dal nesso di strumentalità all’esercizio imprenditoriale agricolo;
   - al riguardo, la giurisprudenza ha condivisibilmente statuito che: «La ratio dell'esenzione prevista dall'art. 17 del d.p.r. n. 380 del 2001 … risiede … nel promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l'operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l'entità strutturale e la dimensione spaziale dell'immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico …
Sotto un profilo più generale si deve osservare, condividendo, sul tema, il consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa, che la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l'intervento determini un incremento del peso insediativo con un'oggettiva rivalutazione dell'immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza ha statuito che l'esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore).
La chiara finalità della norma è di natura sociale, essendo essa diretta ad apprestare un concreto strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per quegli interventi di adeguamento dell'immobile che siano effettivamente funzionali alle necessità abitative del nucleo familiare.
Pertanto, nell'accezione socio-economica assunta dalla suddetta norma di carattere eccezionale, il concetto di "edificio unifamiliare" coincide, in concreto, con la piccola proprietà immobiliare, con la conseguenza che soltanto se presenti tali caratteri l'immobile unifamiliare è meritevole di un trattamento differenziato».
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Da ultimo,
nel contempo:
   - per giurisprudenza consolidata, la quota di contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve la prioritaria funzione di compensare la collettività per l’ulteriore carico urbanistico generato da un nuovo intervento edilizio, mediante redistribuzione dei costi sociali delle opere di urbanizzazione all’uopo necessarie; e si rende, quindi, esigibile, se e in quanto detto intervento comporti un incremento della domanda di servizi nella zona di relativa localizzazione, e cioè imponga all’amministrazione di sostenere le spese per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio;
   - se così è, e cioè se il pagamento degli oneri di urbanizzazione è da intendersi dovuto solo nel caso in cui l'intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico, è evidente che la modalità di recupero del manufatto preesistente mediante restauro conservativo e ristrutturazione, senza ampliamenti o mutamenti delle destinazioni d’uso, così come prevista nel progetto assentito col PdC n. 59/2023, è insuscettibile di generare l’obbligazione ex art. 16, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, la cui insorgenza è sinallagmaticamente ancorata a tutti gli interventi implicanti una trasformazione funzionale o strutturale con incidenza quali-quantitativa sul carico urbanistico.

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Premesso che:
   - col ricorso in epigrafe, Be.Er.Ma. (in appresso, B.E.M.) agiva per:
-- l’annullamento, previa sospensione, della nota prot. n. 22412/2023, con la quale il Responsabile dell’Area Urbanistica – Edilizia Privata – Demanio – Patrimonio del Comune di Capaccio Paestum, con riferimento ai lavori assentiti col permesso di costruire (PdC) n. 59/2023 e consistenti nel “restauro e risanamento conservativo di un fabbricato diruto esistente”, ubicato in Capaccio Paestum, località Filette, e censito in catasto al figlio 17, particella 405, sub 2, 3, 4, 5 e 6, aveva determinato, ai sensi ex art. 16 del d.p.r. n. 380/2001, la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione nella misura di € 7.982,49 e la quota di contributo relativa al costo di costruzione nella misura di € 35.949,25;
-- l’accertamento negativo dell’obbligazione di pagamento delle somme richiestegli a titolo di contributo di costruzione;
-- la condanna del Comune di Capaccio Paestum alla restituzione delle somme indebitamente versategli a titolo di contributo di costruzione;
   - a sostegno dell’esperito gravame, deduceva, in estrema sintesi, che:
-- ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. a) e b), del d.p.r. n. 380/2001, egli avrebbe dovuto considerarsi esonerato dall’obbligo di pagamento del contributo di costruzione, l’intervento assentito ricadendo in zona agricola, essendo funzionale all’esercizio dell’attività imprenditoriale agricola del B. e consistendo in una mera ristrutturazione edilizia senza ampliamenti;
-- a fronte di quest’ultima connotazione progettuale, nonché dell’insussistenza di previsioni di mutamenti delle originarie destinazioni d’uso, non sarebbe stato configurabile alcun aggravio del carico urbanistico e non si sarebbe, quindi, giustificato l’addebito della quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione;
...
Considerato, innanzitutto, che:
   - l’art. 17, comma 3, lett. a), del d.p.r. n. 380/2001 stabilisce che «il contributo di costruzione non è dovuto … per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'articolo 12 della l. 09.05.1975 n. 153»;
   - come enunciato da Cons. Stato, sez. II, n. 235/2022, «trattasi di una scelta evidentemente di favore ancorata alla sussistenza di due condizioni, una oggettiva, costituita dal rapporto con la conduzione del fondo, l'altra soggettiva, ovvero la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale del richiedente … in quanto norma derogatoria di una regola rispondente comunque a finalità di ordine generale, ne è evidente la necessaria lettura di rigore che le amministrazioni chiamate ad applicarla devono darne»;
   - nel caso in esame, la sussistenza dell’indefettibile requisito oggettivo per la fruizione dell’esonero dal pagamento del contributo di costruzione, costituito dalla preordinazione funzionale dell’intervento assentito rispetto alla conduzione del fondo ed alle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ossia dalla sua connessione alla gestione dell’attività agricola entro l’aera di relativa localizzazione, non è comprovata da parte ricorrente, ai sensi dell’art. 64, comma 1, cod. proc. amm., ed è, anzi, sconfessata sia dalle evidenze documentali afferenti agli indirizzi della residenza (Roma, via ..., n. 85) del B. e della sede dell’impresa in sua titolarità (Agropoli, via ..., n. 112) –entrambi diversi da quelli corrispondenti al complesso edilizio ubicato in Capaccio Paestum, località Filette, e censito in catasto al figlio 17, particella 405, sub 2, 3, 4, 5 e 6–, sia dalle evidenze documentali afferenti alla natura ed all’entità dell’opera progettata, consistente nella ristrutturazione di un ingente compendio immobiliare (articolato in un grosso fabbricato padronale e in un annesso fabbricato colonico) e debordante la soglia dell’inerenza all’attività agricola;
   - a prescindere dal possesso del requisito soggettivo integrato dalla qualifica di imprenditore agricolo, non risulta, cioè, verificata, in capo al B., la necessità di risiedere all’interno del fondo onde assicurare la produttività dell’azienda agricola in sua titolarità (sul punto, cfr. Cons. giust. amm. sic., sez. giur., n. 973/2021); né, tanto meno, risulta verificato il nesso di strumentalità tra l’intervento assentito e la conduzione del fondo (sul punto, cfr. TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. I, n. 426/2016, secondo cui «la mera indicazione dell'impiego del bene e della sua localizzazione non soddisfa la dimostrazione del nesso di strumentalità tra l'opera per cui è chiesto il titolo edilizio e l'attività agricola, atteso che non tutte le opere realizzate in zona agricola sono, per tale solo fatto, funzionali alla conduzione del fondo, sicché spetta al privato fornire un riscontro documentale di tale destinazione»);
Considerato, poi, che:
   - l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.p.r. n. 380/2001 stabilisce che «il contributo di costruzione non è dovuto … per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari»;
   - ebbene, il ricorrente neppure è riuscito a dimostrare, ai sensi dell’art. 64, comma 1, cod. proc. amm., che il progetto approvato col PdC n. 59/2023 concernesse un “edificio unifamiliare”, ossia quella tipologia edilizia cui unicamente la disposizione citata circoscrive la propria portata applicativa, senza margini per interpretazioni estensive, incompatibili con la natura derogatoria ed eccezionale della premialità dalla stessa contemplata;
   - viceversa, il compendio immobiliare sottoposto all’assentita ristrutturazione edilizia, piuttosto che configurarsi a guisa di “edificio unifamiliare”, si presenta articolato in due distinti fabbricati, l’uno padronale, distribuito su tre piani (terra, primo e sottotetto) e ragguagliante una volumetria complessivamente pari a ben mc 3.889,85, e l’altro colonico, costituito da un unico piano terraneo e ragguagliante una volumetria complessivamente pari a mc 991,28;
   - non solo: come eccepito dal Comune di Capaccio Paestum, senza ricevere smentita ex adverso, il progetto assentito prevede la suddivisione del compendio immobiliare in parola in un numero di cinque unità abitative, debordante, all’evidenza, dal nesso di strumentalità all’esercizio imprenditoriale agricolo;
   - al riguardo, TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, n. 848/2022 ha condivisibilmente statuito che: «La ratio dell'esenzione prevista dall'art. 17 del d.p.r. n. 380 del 2001 … risiede … nel promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l'operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l'entità strutturale e la dimensione spaziale dell'immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico …
Sotto un profilo più generale si deve osservare, condividendo, sul tema, il consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa, che la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l'intervento determini un incremento del peso insediativo con un'oggettiva rivalutazione dell'immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 09.05.2012, n. 2136) ha statuito che l'esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore).
La chiara finalità della norma è di natura sociale, essendo essa diretta ad apprestare un concreto strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per quegli interventi di adeguamento dell'immobile che siano effettivamente funzionali alle necessità abitative del nucleo familiare.
Pertanto, nell'accezione socio-economica assunta dalla suddetta norma di carattere eccezionale, il concetto di "edificio unifamiliare" coincide, in concreto, con la piccola proprietà immobiliare, con la conseguenza che soltanto se presenti tali caratteri l'immobile unifamiliare è meritevole di un trattamento differenziato (TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 02.07.2014, n. 1707)
»;
Considerato, nel contempo, che:
   - per giurisprudenza consolidata, la quota di contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve la prioritaria funzione di compensare la collettività per l’ulteriore carico urbanistico generato da un nuovo intervento edilizio, mediante redistribuzione dei costi sociali delle opere di urbanizzazione all’uopo necessarie; e si rende, quindi, esigibile, se e in quanto detto intervento comporti un incremento della domanda di servizi nella zona di relativa localizzazione, e cioè imponga all’amministrazione di sostenere le spese per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1586/2021; n. 148/2022; sez. II, n. 235/2022; n. 5297/2022; TAR Toscana, Firenze, sez. III, n. 607/2022; TAR Campania, Napoli, sez. VII, n. 1550/2023; sez. IV, n. 6272/2023);
   - se così è, e cioè se il pagamento degli oneri di urbanizzazione è da intendersi dovuto solo nel caso in cui l'intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 2611/2004; n. 4950/2015; TAR Piemonte, Torino, sez. II, n. 1009/2013; TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 2198/2018; TAR Campania, Napoli, sez. VII, n. 207/2021), è evidente che la modalità di recupero del manufatto preesistente mediante restauro conservativo e ristrutturazione, senza ampliamenti o mutamenti delle destinazioni d’uso, così come prevista nel progetto assentito col PdC n. 59/2023 (cfr. Relazione tecnica a corredo dell’istanza del 13.12.2022, prot. n. 52387), è insuscettibile di generare l’obbligazione ex art. 16, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, la cui insorgenza è sinallagmaticamente ancorata a tutti gli interventi implicanti una trasformazione funzionale o strutturale con incidenza quali-quantitativa sul carico urbanistico;
Ritenuto, quindi, che:
   - stante la ravvisata fondatezza del solo ordine di doglianze in ultimo scrutinato, il ricorso in epigrafe va accolto limitatamente ad esso;
   - conseguentemente, va annullata in parte qua la gravata nota prot. n. 22412/2023, va negativamente accertato, nella misura di € 7.982,49, il credito con essa vantato (a titolo quota di contributo di costruzione relativa agli oneri di urbanizzazione) nei confronti del B. e va condannato il Comune di Capaccio Paestum alla restituzione della corrispondente somma indebitamente percepita (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 24.10.2023 n. 2376 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' infondato il motivo di ricorso, in appello, laddove si lamenta che il Tar avrebbe errato nel ritenere sussistente l’ipotesi di esonero dal pagamento del contributo previsto dall’art. 17, comma 3, lett. b), T.U. edilizia, in quanto edificio unifamiliare, poiché la giurisprudenza amministrativa esclude il diritto al beneficio, in caso di edifici di grandi dimensioni, come accade nel caso di specie, trattandosi di immobile che sviluppa oltre 600 mc. di volumi abitabili, in contrasto con il parametro di cui all’art. 3 del D.M. 1444 del 1968 assunto a riferimento dalla giurisprudenza amministrativa.
E’ indubbiamente vero che la giurisprudenza amministrativa più recente, in merito alla ipotesi di esonero dal contributo riferita agli edifici unifamiliari, prevista dall’art. 17, comma 3, lett. b), T.U. edilizia, ha precisato che deve essere rispettata una regola implicita di proporzionalità tra le dimensioni dell’immobile e la funzione sociale di accoglienza di un nucleo familiare, computando un massimo di 80 mc. per ciascun componente il nucleo familiare, mutuando tale parametro dall’art. 3 del D.M. n. 1444 del 1968, mentre nel caso di specie l’immobile cuba 626 mc. per una superficie utile di circa 200 mq., superiore al predetto parametro.
In senso opposto reputa il Collegio che nel caso di specie debba essere valorizzato il parametro successivamente introdotto dalla Regione Piemonte con l’art. 48, commi 1 e 1-bis, della legge regionale n. 56 del 1977, come integrata dall’art. 43 della l.r. 3/2015, secondo cui nel territorio piemontese possono essere eseguiti senza titolo e non sono onerosi i mutamenti di destinazione d'uso di unità immobiliari pari fino a 700 mc (interventi che possono anche determinare un aumento del carico urbanistico).
E’ vero, come eccepisce il Comune, che la disposizione, introdotta nel 2015, è successiva all’intervento in contestazione e alla richiesta di pagamento del comune e quindi non dovrebbe applicarsi per il principio del tempus regit actum ma è anche vero che tale disposizione sopravvenuta rileva certamente a fini interpretativi, nella individuazione del parametro normativo massimo di cubatura ritenuto compatibile con la non onerosità dell’intervento.
La legge statale, infatti, non solo non contempla in modo espresso tale limite ma neppure indica il relativo parametro di riferimento che è necessariamente variabile, da regione a regione, in relazione alle caratteristiche territoriali di densità della popolazione oltre che socio-economiche, non potendosi comparare, per intuitive ragioni, immobili posti in contesti rurali periferici con quelli situati in zone fortemente urbanizzate, tenuto conto che un immobile di 600 mc. e 200 mq., nel primo caso rappresenta una ordinaria fattispecie di abitazione unifamiliare della classe media, nella seconda configura invece una abitazione di lusso che non giustifica la finalità sociale dell’esonero.
Del resto la più risalente giurisprudenza della sezione aveva ritenuto che “Come appare evidente, l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il Legislatore che gli interventi edilizi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione”, a conferma che solo successivamente si è ritenuto di inserire il limite dimensionale –per finalità di contrasto ad iniziative speculative– invero non richiesto dalla legge sicché neppure si pone un problema di interpretazione restrittiva rispetto ad un presupposto normativo non previsto (il limite dimensionale dell’abitazione), valendo piuttosto la regola opposta, del diritto all’esonero nel caso di alloggi unifamiliari, ferma la necessità, intrinseca alla ratio della disposizione, di operare una verifica sui limiti massimi ammissibili che tenga conto, caso per caso, anche delle caratteristiche delle diverse zone geografiche e di quelle socio economiche di contesto, al fine di prevenire intenti speculativi che travalichino la finalità di tutela del diritto sociale all’abitazione.
E’ indubbiamente vero che l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, contemplando una previsione derogatoria al principio di onerosità da cui discende l’obbligo di corrispondere il contributo di costruzione, debba essere interpretato in senso restrittivo ma ciò non può implicare la introduzione di presupposti normativi non contemplati dalla fattispecie se non nei limiti in cui gli stessi possano ritenersi oggettivamente desumibili dalla ratio della stessa e nei limiti della ragionevolezza.
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Nel caso di specie le dimensioni dell’immobile non sono tali da evidenziare finalità speculative, come si desume
   - sia dal parametro legale successivamente introdotto dal legislatore regionale (ma che evidentemente codifica indici socio-economico-territoriali preesistenti)
   - sia dal fatto che il volume complessivo e la superficie utile non sono mutate,
a conferma che l’immobile è rimasto adibito alle originarie, effettive, esigenze abitative del nucleo familiare che con l’intervento ha legittimamente inteso migliorare la fruibilità interni degli spazi, oltre che i profili igienico-sanitari (modifica dell’altezza interpiano e creazione di un bagno), prevedendo anche locali di servizio.
Il parametro desunto dall’art. 3 del D.M. n. 1444 del 1968 può essere impiegato come criterio sussidiario per la verifica della congruità dei limiti dimensionali, in mancanza di indicazioni rinvenibili nella legislazione regionale ma ha comunque natura non vincolante bensì orientativa e, come tale, è suscettibile di confutazione da parte degli interessati che potranno dimostrarne in giudizio la inattendibilità, tenuto conto delle caratteristiche geografiche e socio economiche in cui si colloca l’immobile ma anche del fatto che l’edificio unifamiliare, nonostante la ristrutturazione, continui a soddisfare esigenze abitative ordinarie, in quanto immutate nel tempo.
Del resto lo stesso precedente citato dalla appellante precisa
   - “che la nozione di “edifici unifamiliari” va intesa in un’accezione non tanto strutturale –come pretende il Comune–, ma socio-economica, cioè riguardante la piccola proprietà immobiliare, poiché soltanto questa è meritevole di un trattamento differenziato”
laddove, come evidenziato, il riferimento alla accezione “socio-economica” va invero più opportunamente operato adattando il concetto giuridico al contesto geografico, territoriale e socio-economico che può condizionare in modo rilevante lo standard medio ordinario della abitazione adibita alle primarie esigenze di vita familiari: in particolare, come già evidenziato,
   - in contesti rurali e, in generale, meno urbanizzati, si registrano presenze di immobili unifamiliari di dimensioni sicuramente superiori al parametro dell’art. 3 del D.M. 1444 del 1968 –che peraltro, come noto, assolve ad altri finalità– e che comunque, pur non essendo necessariamente riconducibili al concetto di “piccola” proprietà immobiliare, sono, ciò non di meno, meritevoli del beneficio di legge, in quanto coerenti con la ratio di assicurare il diritto alla casa, secondo uno standard di adeguatezza ordinario, coerente con il contesto socio-economico di riferimento, rispetto al quale restano invece certamente escluse le abitazioni di lusso e quelle di dimensioni oggettivamente esorbitanti, come già chiarito nel precedente richiamato.

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I signori Cl.Mi. e Al.Se. in data 26.11.2010 hanno presentato denuncia di inizio attività n. 2033/2010 per la ristrutturazione del fabbricato unifamiliare residenziale di loro proprietà in via ... n. 39 nel Comune di Cambiano.
Il progetto prevedeva il rifacimento dei due solai esistenti e del balcone, modifiche alla tramezzatura interna, il rifacimento degli intonaci e dei pavimenti, la modifica delle aperture esterne, la realizzazione di un nuovo bagno al piano primo, la realizzazione del collettore solare, il recupero della legnaia da adibirsi a locale da sgombero.
L’edificio, essendo stato costruito prima del 1975 era già abitabile in via di fatto, su entrambi i piani, sebbene i locali fossero, prima della ristrutturazione, di altezza interna pari a 2,55 mt., inferiore all’altezza minima di 2,70 mt. prescritta dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975.
L’intervento di ristrutturazione consentiva di ottenere, per tutti i piani, un’altezza di 2,70 mt. mediante la demolizione e ricostruzione dei solai interni.
Per effetto dell’intervento di ristrutturazione non si determinavano incrementi di volume o di superficie utile o cambio di destinazione d’uso né veniva aumentato il numero di unità immobiliari.
Poiché il Comune di Cambiano determinava il contributo di costruzione, ai sensi dell’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, in euro 9.749,35 i ricorrenti adivano il Tar per il Piemonte sostenendo la gratuità dell’intervento e deducendo, conseguentemente, la violazione degli artt. 11, 16, 17 e 22 del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché eccesso di potere sotto diversi profili.
Con sentenza 21.04.2017 n. 532 il Tar per il Piemonte ha accolto il ricorso rilevando che il contributo di costruzione non era dovuto in quanto:
   - non vi era stato incremento del carico urbanistico, come erroneamente ritenuto dal Comune, anche perché non si trattava di d.i.a. alternativa a permesso di costruire ma di una ristrutturazione c.d. leggera;
   - la gratuità dell’intervento andava riconosciuta anche alla luce della previsione dell’art. 17, terzo comma – lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi di ristrutturazione di edificio unifamiliare.
   - ha assorbito le ulteriori censure riferite alle delibere di Consiglio comunale ed alla delibera regionale n. 179/CR-4170 del 1977 di cui i ricorrenti avevano chiesto la disapplicazione nella parte in cui applicavano il contributo di costruzione anche agli interventi non comportanti aumento del carico urbanistico;
   - ha condannato il Comune alle spese di lite.
Avverso la predetta sentenza ha interposto appello il Comune di Cambiano per chiederne la integrale riforma in quanto errata in diritto.
...
1. Con un primo motivo il Comune lamenta che il Tar avrebbe errato nel ritenere assorbita la questione della legittimità della delibera del Consiglio Regionale 26.05.1977 n. 179/CR - 4170 e di quelle comunali nn. 100 e 101 del 13.09.1977 di determinazione del contributo di costruzione, nella parte in cui ne dispongono espressamente l’applicazione anche in caso di assenza di incremento di carico urbanistico, poiché, trattandosi del presupposto logico-giuridico necessario della richiesta di pagamento, occorreva esaminare preventivamente la loro legittimità. Nel merito osserva che i ricorrenti avrebbero dovuto impugnare formalmente i predetti atti per chiederne l’annullamento, non potendosi nel caso di specie invocare il potere di disapplicazione del giudice amministrativo.
2. Con un secondo motivo deduce che il Tar avrebbe errato nel ritenere insussistente un incremento di carico urbanistico, pur in presenza di fattispecie di ristrutturazione leggera mediante d.i.a., ricorrendo nel caso di specie:
   a) un mutamento della realtà strutturale con modifica dell’altezza interpiano da 2.55 ml. a 2,70 ml.; una diversa distribuzione interna degli spazi; la praticabilità del tetto con apertura di due finestre;
   b) una maggiore fruibilità urbanistica dell’immobile considerato che per effetto della d.i.a. si passa da una abitabilità di fatto, tollerata, ad una di diritto, con altezza interpiano a 2,70 conforme al D.M. 05.07.1975;
   c) un conseguente incremento di valore dell’immobile.
Si tratterebbe infatti di ipotesi in cui la giurisprudenza amministrativa ha invero rivenuto sussistente l’incremento del carico urbanistico, affermando l’obbligo del pagamento del contributo di costruzione.
3. Con un terzo motivo lamenta che il Tar avrebbe errato nel ritenere sussistente l’ipotesi di esonero dal pagamento del contributo previsto dall’art. 17, comma 3, lett. b), T.U. edilizia, in quanto edificio unifamiliare, poiché la giurisprudenza amministrativa esclude il diritto al beneficio, in caso di edifici di grandi dimensioni, come accade nel caso di specie, trattandosi di immobile che sviluppa oltre 600 mc. di volumi abitabili, in contrasto con il parametro di cui all’art. 3 del D.M. 1444 del 1968 assunto a riferimento dalla giurisprudenza amministrativa.
4. Con un quarto motivo si duole della statuizione del Tar sulle spese di lite, rimarcando l’ingiustizia della decisione di condannare l'amministrazione comunale nonostante abbia agito in ottemperanza a norme che non poteva disattendere (la delibera regionale e quelle del Consiglio comunale.
Così sinteticamente esposti i motivi di appello, il Collegio reputa di poter prendere le mosse dalla terza doglianza, in applicazione del criterio della ragione più liquida (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015, § 5.3. lett. a) punto IV).
Il motivo è infondato.
E’ indubbiamente vero che la giurisprudenza amministrativa più recente, in merito alla ipotesi di esonero dal contributo riferita agli edifici unifamiliari, prevista dall’art. 17, comma 3, lett. b), T.U. edilizia, ha precisato che deve essere rispettata una regola implicita di proporzionalità tra le dimensioni dell’immobile e la funzione sociale di accoglienza di un nucleo familiare, computando un massimo di 80 mc. per ciascun componente il nucleo familiare, mutuando tale parametro dall’art. 3 del D.M. n. 1444 del 1968, mentre nel caso di specie l’immobile cuba 626 mc. per una superficie utile di circa 200 mq., superiore al predetto parametro.
Tali rilevanti dimensioni, per il Comune appellante, sarebbero incompatibili con la finalità sociale che giustifica la misura di esonero, finalizzata a garantire il diritto alla casa; inoltre, trattandosi di disposizione derogatoria rispetto alla regola della onerosità, sarebbe di stretta interpretazione.
In senso opposto reputa il Collegio che nel caso di specie debba essere valorizzato il parametro successivamente introdotto dalla Regione Piemonte con l’art. 48, commi 1 e 1-bis, della legge regionale n. 56 del 1977, come integrata dall’art. 43 della l.r. 3/2015, secondo cui nel territorio piemontese possono essere eseguiti senza titolo e non sono onerosi i mutamenti di destinazione d'uso di unità immobiliari pari fino a 700 mc (interventi che possono anche determinare un aumento del carico urbanistico).
E’ vero, come eccepisce il Comune, che la disposizione, introdotta nel 2015, è successiva all’intervento in contestazione e alla richiesta di pagamento del comune e quindi non dovrebbe applicarsi per il principio del tempus regit actum ma è anche vero che tale disposizione sopravvenuta rileva certamente a fini interpretativi, nella individuazione del parametro normativo massimo di cubatura ritenuto compatibile con la non onerosità dell’intervento.
La legge statale infatti non solo non contempla in modo espresso tale limite ma neppure indica il relativo parametro di riferimento che è necessariamente variabile, da regione a regione, in relazione alle caratteristiche territoriali di densità della popolazione oltre che socio-economiche, non potendosi comparare, per intuitive ragioni, immobili posti in contesti rurali periferici con quelli situati in zone fortemente urbanizzate, tenuto conto che un immobile di 600 mc. e 200 mq., nel primo caso rappresenta una ordinaria fattispecie di abitazione unifamiliare della classe media, nella seconda configura invece una abitazione di lusso che non giustifica la finalità sociale dell’esonero.
Del resto la più risalente giurisprudenza della sezione (cfr. Sez. IV, 11.10.2006, n. 6065), aveva ritenuto che “Come appare evidente, l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il Legislatore che gli interventi edilizi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione”, a conferma che solo successivamente si è ritenuto di inserire il limite dimensionale –per finalità di contrasto ad iniziative speculative– invero non richiesto dalla legge sicché neppure si pone un problema di interpretazione restrittiva rispetto ad un presupposto normativo non previsto (il limite dimensionale dell’abitazione), valendo piuttosto la regola opposta, del diritto all’esonero nel caso di alloggi unifamiliari, ferma la necessità, intrinseca alla ratio della disposizione, di operare una verifica sui limiti massimi ammissibili che tenga conto, caso per caso, anche delle caratteristiche delle diverse zone geografiche e di quelle socio economiche di contesto, al fine di prevenire intenti speculativi che travalichino la finalità di tutela del diritto sociale all’abitazione.
E’ indubbiamente vero che l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, contemplando una previsione derogatoria al principio di onerosità da cui discende l’obbligo di corrispondere il contributo di costruzione, debba essere interpretato in senso restrittivo (come rammentato da Cons. Stato, sez. II, 12.04.2021 n. 2939) ma ciò non può implicare la introduzione di presupposti normativi non contemplati dalla fattispecie se non nei limiti in cui gli stessi possano ritenersi oggettivamente desumibili dalla ratio della stessa e nei limiti della ragionevolezza.
Nel caso di specie le dimensioni dell’immobile non sono tali da evidenziare finalità speculative, come si desume sia dal parametro legale successivamente introdotto dal legislatore regionale (ma che evidentemente codifica indici socio-economico-territoriali preesistenti) sia dal fatto che il volume complessivo e la superficie utile non sono mutate, a conferma che l’immobile è rimasto adibito alle originarie, effettive, esigenze abitative del nucleo familiare che con l’intervento ha legittimamente inteso migliorare la fruibilità interni degli spazi, oltre che i profili igienico-sanitari (modifica dell’altezza interpiano e creazione di un bagno), prevedendo anche locali di servizio.
Il parametro desunto dall’art. 3 del D.M. n. 1444 del 1968 può essere impiegato come criterio sussidiario per la verifica della congruità dei limiti dimensionali, in mancanza di indicazioni rinvenibili nella legislazione regionale ma ha comunque natura non vincolante bensì orientativa e, come tale, è suscettibile di confutazione da parte degli interessati che potranno –come accaduto nel presente giudizio- dimostrarne in giudizio la inattendibilità, tenuto conto delle caratteristiche geografiche e socio-economiche in cui si colloca l’immobile ma anche del fatto che l’edificio unifamiliare, nonostante la ristrutturazione, continui a soddisfare esigenze abitative ordinarie, in quanto immutate nel tempo.
Del resto lo stesso precedente citato dalla appellante (Cons. Stato, sez. II, 12.04.2021 n. 2939) precisa che “che la nozione di “edifici unifamiliari” va intesa in un’accezione non tanto strutturale –come pretende il Comune–, ma socio-economica, cioè riguardante la piccola proprietà immobiliare, poiché soltanto questa è meritevole di un trattamento differenziato” laddove, come evidenziato, il riferimento alla accezione “socio-economica” va invero più opportunamente operato adattando il concetto giuridico al contesto geografico, territoriale e socio-economico che può condizionare in modo rilevante lo standard medio ordinario della abitazione adibita alle primarie esigenze di vita familiari: in particolare, come già evidenziato, in contesti rurali e, in generale, meno urbanizzati, si registrano presenze di immobili unifamiliari di dimensioni sicuramente superiori al parametro dell’art. 3 del D.M. 1444 del 1968 –che peraltro, come noto, assolve ad altri finalità– e che comunque, pur non essendo necessariamente riconducibili al concetto di “piccola” proprietà immobiliare, sono, ciò non di meno, meritevoli del beneficio di legge, in quanto coerenti con la ratio di assicurare il diritto alla casa, secondo uno standard di adeguatezza ordinario, coerente con il contesto socio-economico di riferimento, rispetto al quale restano invece certamente escluse le abitazioni di lusso e quelle di dimensioni oggettivamente esorbitanti, come già chiarito nel precedente richiamato.
Alla luce delle considerazioni che precedono il motivo deve, pertanto, essere respinto (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.09.2023 n. 8323 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La ristrutturazione senza ampliamento, mediante demolizione e ricostruzione, di un edificio unifamiliare a destinazione abitativa sconta il pagamento del contributo di costruzione (quindi, va esclusa dall’ambito di applicazione dell’art. 17, comma 2, lett. b), del d.p.r. n. 380/2001) poiché trattasi di nuova costruzione, stante la diversità rispetto alla sagoma e alla volumetria preesistente.
Deve essere richiamata la pronuncia della Corte Costituzionale del 26.06.1991 n. 296, avente ad oggetto la previgente previsione di cui all'art. 9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 che -analogamente all'art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001- esonerava dal contributo "gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari".
La Corte Costituzionale, con la suddetta sentenza interpretativa di rigetto, ha escluso l'illegittimità della norma, nella parte in cui non comprendeva, nella previsione di esenzione dal contributo, accanto all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per cento, anche quella dell'integrale ricostruzione del fabbricato demolito, adibito ad abitazione unifamiliare, su area immediatamente adiacente.
In quell'occasione, la Corte ha osservato che, ai fini del riconoscimento dell'esonero in questione, "il concetto di ristrutturazione mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo" ed ha ritenuto quindi pienamente giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale ricostruzione.
Il criterio che distingue l'intervento di demolizione e ricostruzione e la nuova costruzione è rappresentato dall'assenza di variazioni del volume, dell'altezza o della sagoma dell'edificio, di conseguenza, in mancanza di tali indefettibili e precise condizioni, l'intervento deve essere configurato come una nuova costruzione.
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... per l'accertamento
   - della non debenza del contributo di costruzione richiesto dal Comune di Vignale Monferrato in misura di euro 10.539,17,
e per la condanna del Comune alla restituzione degli importi corrisposti dal sig. Sa.Pa. a tale titolo, oltre interessi legali e rivalutazione dalla data del pagamento al saldo effettivo.
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In data 31.05.2017 il ricorrente presentò richiesta di permesso di costruire avente a oggetto la ristrutturazione senza ampliamento, mediante demolizione e ricostruzione, di un edificio unifamiliare a destinazione abitativa.
Il Comune di Vignale Monferrato, con nota del 19.03.2018 (confermata con atto del 16.07.2018), ha denegato l’esenzione dal contributo di costruzione, sull’assunto che si trattava di nuova costruzione, stante la diversità rispetto alla sagoma e alla volumetria preesistente.
L’interessato, pur di ottenere il titolo edilizio, ha accettato di versare il contributo di costruzione.
Pagata la prima rata, l’amministrazione gli ha rilasciato il permesso di costruire in data 07.08.2018.
Avverso la determinazione del Comune il ricorrente è insorto deducendo che l’intervento edilizio in questione costituisce una ristrutturazione edilizia esentata dal contributo di costruzione ex art. 17 del d.p.r. n. 380/2001, stante la mantenuta destinazione abitativa e la volumetria (pari a mc. 816,59) inferiore a quella preesistente (mc. 1032,63).
Il ricorrente evidenzia che il contributo di costruzione rispecchia i vantaggi economici derivanti dalla trasformazione edilizia e che il caso di specie rientra nei limiti della ristrutturazione edilizia ricostruttiva, essendo rispettata la volumetria preesistente.
...
Le censure sono infondate.
Deve essere richiamata la pronuncia della Corte Costituzionale del 26.06.1991 n. 296, avente ad oggetto la previgente previsione di cui all'art. 9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 che -analogamente all'art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001- esonerava dal contributo "gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari".
La Corte Costituzionale, con la suddetta sentenza interpretativa di rigetto, ha escluso l'illegittimità della norma, nella parte in cui non comprendeva, nella previsione di esenzione dal contributo, accanto all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per cento, anche quella dell'integrale ricostruzione del fabbricato demolito, adibito ad abitazione unifamiliare, su area immediatamente adiacente.
In quell'occasione, la Corte ha osservato che, ai fini del riconoscimento dell'esonero in questione, "il concetto di ristrutturazione mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo" ed ha ritenuto quindi pienamente giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale ricostruzione (TAR Piemonte, II, 26.05.2020, n. 322).
Il criterio che distingue l'intervento di demolizione e ricostruzione e la nuova costruzione è rappresentato dall'assenza di variazioni del volume, dell'altezza o della sagoma dell'edificio, di conseguenza, in mancanza di tali indefettibili e precise condizioni, l'intervento deve essere configurato come una nuova costruzione (Cons. Stato, IV, 23.03.2022, n. 2106).
Nel caso di specie, la notevole diversità della sagoma comporta una discontinuità tra la struttura demolita e l’edificio costruito, discontinuità che emerge dal prospetto planivolumetrico depositato in giudizio (documento n. 13) e che induce a ritenere che l’opera per la quale è stata richiesta l’esenzione costituisce nuova costruzione.
Il citato prospetto è dirimente nel raffigurare la mancanza di un nesso di continuità e la notevole diversità, nella conformazione esterna, nel contorno e nella perimetrazione, dell’edificio da costruire rispetto a quello da demolire.
Pertanto, l’edificio realizzato dal ricorrente in forza del permesso di costruire, per il quale è stato richiesto dal Comune il contestato contributo, costituisce nuova costruzione, come tale esclusa dall’ambito di applicazione dell’art. 17, comma 2, lett. b), del d.p.r. n. 380/2001.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 13.01.2023 n. 45 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2022

EDILIZIA PRIVATA: Il carattere eccezionale e derogatorio della regola generale di tale tipologia di norme prevedenti esenzioni (i.e., art. 17 del DPR n. 380/2001 e, avuto riguardo alla normativa edilizia regionale, art. 32 L.R. Emilia Romagna n. 15/2013), ne impone un’interpretazione restrittiva e rigorosa, ancorata agli specifici parametri normativi di riferimento vigenti all’epoca dei fatti di cui è causa.
La ratio dell’esenzione prevista dall’art. 17 del DPR n. 380 del 2001 (e dall’art. 32 L.R. n. 15 del 2013) risiede infatti, secondo pacifica giurisprudenza, nel “promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
Sotto un profilo più generale si deve osservare che la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza ha statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore).
La chiara finalità della norma è di natura sociale, essendo essa diretta ad apprestare un concreto strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per quegli interventi di adeguamento dell’immobile che siano effettivamente funzionali alle necessità abitative del nucleo familiare.
Pertanto, nell’accezione socio-economica assunta dalla suddetta norma di carattere eccezionale, il concetto di “edificio unifamiliare” coincide, in concreto, con la piccola proprietà immobiliare, con la conseguenza che soltanto se presenti tali caratteri l’immobile unifamiliare è meritevole di un trattamento differenziato.
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Parimenti da escludersi è l’applicazione, all’intervento effettuato dalla ricorrente, dell’esenzione dal pagamento del contributo per costo di costruzione prevista dall’art. 17 del DPR n. 380 del 2001 e, avuto riguardo alla normativa edilizia regionale, dall’art. 32 L.R. Emilia Romagna n. 15 del 2013.
Il Tribunale osserva, sul punto, che il carattere eccezionale e derogatorio della regola generale di tale tipologia di norme prevedenti esenzioni, ne impone un’interpretazione restrittiva e rigorosa, ancorata agli specifici parametri normativi di riferimento vigenti all’epoca dei fatti di cui è causa (v. TAR Lombardia –BS- sez. I, 26/04/2018 n. 449).
La ratio dell’esenzione prevista dall’art. 17 del DPR n. 380 del 2001 (e dall’art. 32 L.R. n. 15 del 2013) risiede infatti, secondo pacifica giurisprudenza, condivisa da questo Tribunale, nel “promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico" (v. TAR –BS- n. 449 del 2018 cit.).
Sotto un profilo più generale si deve osservare, condividendo, sul tema, il consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa, che la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VIII – 09/05/2012 n. 2136) ha statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore).
La chiara finalità della norma è di natura sociale, essendo essa diretta ad apprestare un concreto strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per quegli interventi di adeguamento dell’immobile che siano effettivamente funzionali alle necessità abitative del nucleo familiare. Pertanto, nell’accezione socio-economica assunta dalla suddetta norma di carattere eccezionale, il concetto di “edificio unifamiliare” coincide, in concreto, con la piccola proprietà immobiliare, con la conseguenza che soltanto se presenti tali caratteri l’immobile unifamiliare è meritevole di un trattamento differenziato (TAR Lombardia-Milano, sez. IV – 02/07/2014 n. 1707).
Nel caso in trattazione, invece, il Collegio deve rilevare l’insussistenza di alcuno dei suddetti parametri indicati quale presupposto dell’esenzione del permesso di costruire relativo ai lavori de quibus, stante che l’edificio residenziale ex novo edificato dalla ricorrente è di accertate maggiori dimensioni sia in pianta che in altezza rispetto al manufatto preesistente poi demolito e che esso ha certamente un maggiore valore rispetto a quello originario, trattandosi, appunto, di fabbricato di maggiori dimensioni e di nuova costruzione (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 26.10.2022 n. 848 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOggetto: casi di non applicazione dell’esonero dal contributo di costruzione per edifici unifamiliari (Regione Emilia Romagna, nota 19.10.2022 n. 1079603-3 di prot.).
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Il XXX quesito concerne la demolizione con ricostruzione di un edificio unifamiliare rispetto al quale si chiede se sia o meno esonerato dal contributo di costruzione.
E’ noto infatti che la ristrutturazione edilizia e l’ampliamento del 20% del volume complessivo degli edifici unifamiliari usufruiscono di tale beneficio, stabilito dall’art. 32, comma 1, lett. f), della LR n. 15 del 2013 e dall’analogo art. 17 del DPR n. 380 del 2001. (...continua).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di specie non sono ravvisabili i presupposti richiesti dalla norma ai fini della esenzione (prevista dalla lett. b) dell’art. 17 T.U. Edilizia “per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”), dal momento che i lavori di ripristino riguardano residenze storiche da destinare ad agriturismo, sicché il relativo intervento non è riconducibile alle esigenze tipiche del nucleo familiare.
Invero, "Le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo contributivo contenute nell'art. 17, d.P.R. n. 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b) («Il contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari») che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è preposta.
La ratio dell'esenzione di cui all'art. 17, comma 3, lett. b), consiste, dunque, nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di «edificio unifamiliare» richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide «con la piccola proprietà immobiliare», poiché soltanto ove presenti tali caratteri appare meritevole di un trattamento differenziato”.
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4.2. La ricorrente sostiene inoltre che le opere in questione potrebbero, comunque, beneficiare della distinta ipotesi di esenzione prevista dalla lett. b) dell’art. 17 T.U. Edilizia “per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
Anche in questo caso non sono ravvisabili i presupposti richiesti dalla norma ai fini della esenzione, dal momento che i lavori di ripristino riguardano residenze storiche da destinare ad agriturismo, sicché il relativo intervento non è riconducibile alle esigenze tipiche del nucleo familiare: “Le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo contributivo contenute nell'art. 17, d.P.R. n. 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b) («Il contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari») che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è preposta.
La ratio dell'esenzione di cui all'art. 17, comma 3, lett. b), consiste, dunque, nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di «edificio unifamiliare» richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide «con la piccola proprietà immobiliare», poiché soltanto ove presenti tali caratteri appare meritevole di un trattamento differenziato
” (TAR Veneto, Sez. II, 05.03.2019 n. 289) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 26.09.2022 n. 1461 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla nozione di edificio unifamiliare.
L’edificio ristrutturato dai ricorrenti non appartiene alla categoria degli edifici unifamiliari. Invero:
   (d) per attribuire la suddetta qualificazione si deve tenere conto delle indicazioni implicite nell’art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001, o desumibili dal contesto in cui tale norma si colloca. È quindi possibile fissare i seguenti criteri: (1) eccezionalità del regime di gratuità; (2) autonomia della costruzione; (3) collegamento con la vita familiare;
   (e) per quanto riguarda il primo criterio, è evidente che l’esonero dal contributo di costruzione è un beneficio speciale, di stretta interpretazione. La perdita di gettito per le finanze pubbliche è trasferibile alla fiscalità generale solo se collegata a situazioni oggettive, esattamente verificabili e controllabili. Il divieto di interpretazioni estensive o analogiche è codificato a livello regionale dall’art. 43, comma 2, della LR 11.03.2005 n. 12, in base al quale il contributo di costruzione non è dovuto, o è ridotto, “nei casi espressamente previsti dalla legge”;
   (f) i criteri riferiti all’autonomia della costruzione e al collegamento con la vita familiare rappresentano rispettivamente il punto di vista esterno e quello interno da cui si possono osservare le caratteristiche dell’edificio;
   (g) osservato dall’esterno, un edificio è unifamiliare se non costituisce parte di un complesso più ampio e coordinato, come ad esempio un condominio, un residence o una casa a schiera. Anche se vi sono accessi separati, l’elemento che rileva è il coordinamento tra le varie abitazioni all’interno di un progetto unitario. L’esistenza di un simile collegamento impone di considerare il risultato complessivo, e non i singoli moduli abitativi, benché fruibili autonomamente. Una diversa interpretazione comporterebbe il risultato irragionevole di estendere la gratuità del titolo edilizio a interventi di grande impatto urbanistico;
   (h) occorre sottolineare che, una volta costruita come parte di un progetto unitario, la singola abitazione non diventa unifamiliare al momento della ristrutturazione, tranne quando vi sia una specifica norma di favore riferita a un determinato contributo pubblico (v. ad esempio l’art. 119 del DL 19.05.2020 n. 34, ai fini della detrazione del 110 per cento per gli interventi di efficientamento energetico e gli altri lavori ivi indicati);
   (i) non impediscono invece la qualificazione come edificio unifamiliare i collegamenti materiali, anche strutturali, con altri fabbricati, purché non dipendenti da una progettazione unitaria. È quindi irrilevante la presenza di muri perimetrali comuni, quando sia chiaro che gli edifici confinanti si sono sviluppati nel tempo in modo del tutto indipendente. Parimenti, non assume alcun rilievo il fatto che vi sia un percorso di accesso condiviso o collocato su terreno di terzi;
   (j) oltre che autonomo nel senso sopra descritto, un edificio per poter essere qualificato come unifamiliare deve essere idoneo esclusivamente allo svolgimento della vita di una famiglia. Non sono ammissibili utilizzazioni miste, ma anche quando l’unica destinazione sia quella residenziale è necessario applicare una nozione oggettiva di utilizzazione familiare. Non è sufficiente che i proprietari compongano una famiglia e dichiarino di utilizzare da soli tutti gli spazi come un’unica abitazione, ma occorre stabilire se tali spazi corrispondano a quelli che una famiglia media ha a disposizione nell’attuale situazione del mercato immobiliare;
   (k) se vi è sproporzione, in quanto la volumetria eccede chiaramente i bisogni di una famiglia media, il Comune non può accettare il rischio che l’edificio diventi di fatto plurifamiliare attraverso successive modifiche interne. L’amministrazione conserva il controllo sull’impatto urbanistico solo quando le dimensioni dell’edificio siano tali da rendere oggettivamente impossibile, o molto difficile, l’insediamento di altri nuclei familiari;
   (l) in mancanza di un limite dimensionale fissato direttamente nel regolamento edilizio, possono essere utilizzati i parametri che costituiscono principi della materia, come la volumetria per abitante teorico stabilita dall’art. 3, comma 3, del DM 1444/1968 ai fini del dimensionamento degli standard urbanistici. Sono comunque utilizzabili anche altri dati, più vicini alla situazione locale. Nello specifico, prendendo il rapporto di 100 mc/abitante, già sovrastimato, in quanto comprensivo delle destinazioni non residenziali ma strettamente connesse alle residenze, appare evidente che l’edificio dei ricorrenti (1.240 mc) è fuori scala, ossia non può essere considerato oggettivamente unifamiliare;
   (m) ne consegue che il contributo di costruzione calcolato dal Comune deve essere corrisposto.
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1. I ricorrenti sono proprietari dal 09.06.2017 di un edificio situato nel Comune di Sorisole, in via ..., destinato a diventare l’abitazione del nucleo familiare. Nel PGT l’immobile è classificato all’interno degli “Ambiti di valorizzazione dei tessuti storici”.
2. Per la ristrutturazione dell’edificio i ricorrenti hanno presentato una prima SCIA in data 07.08.2017.
La relazione tecnica allegata evidenzia che “[l]'immobile si presenta in condizioni di semiabbandono, ed è distribuito su tre piani; al piano terra troviamo locali accessori distribuiti su vari ambienti, con pavimentazione presente solo nella parte dell'ingresso, per il resto dell'unità immobiliare vi è ancora presenza di terriccio. Al piano primo troviamo la parte abitata e al piano [sottotetto] il vecchio fienile con grandi aperture sia verso Ovest che verso Est”.
L’intervento edilizio, in questa fase, prevedeva soprattutto demolizioni e opere di consolidamento.
3. Con una SCIA in variante di data 29.12.2017 l’insieme delle opere è stato così descritto: “[i]l progetto prevede il mantenimento di un'unica unità immobiliare distribuita su tre piani, come da stato di fatto, dove al piano terra troviamo locali accessori (SNR), quali taverna, cantina, lavanderia e un locale pluriuso, [e] al piano primo il piano abitativo composto da zona giorno, lato Est e zona notte che guarda verso Ovest; il piano sottotetto, pur avendo altezze «sfruttabili», sarà lasciato come locale accessorio a servizio del piano primo, comunque comunicante con il piano sottostante”.
È stata prevista anche una nuova copertura, con inserimento dello spessore necessario per garantire l’isolamento termico e l’aerazione.
La maggiore altezza “non farà altro che staccare ed evidenziare il nostro edificio da quelli limitrofi: già nello stato di fatto l'edificio a Sud risulta, pur di poco, più alto sul fronte Est, cosa assai più evidente sul fronte Ovest dove la differenza è notevole, e in questo caso il nostro edificio resterà sempre più basso. Per tale maggior altezza, si è già preso contatto con i vicini per la sottoscrizione di un accordo di buon vicinato”.
Nella relazione tecnica si precisa inoltre che l’accesso all’edificio, carrale e pedonale, avviene attraverso la proprietà di terzi, nello specifico sul giardino dei genitori di uno dei ricorrenti.
4. Infine, con una terza SCIA di data 26.10.2018 è stato previsto il “recupero del sottotetto in reparto notte senza modificare le altezze interne, ricavando la nuova zona abitabile all'interno del volume esistente”.
5. Con nota di data 07.05.2018 il responsabile del Settore Gestione del Territorio ha chiesto ai ricorrenti il pagamento della somma di € 22.393,96 a titolo di contributo di costruzione ex art. 16 del DPR 06.06.2001 n. 380. L’importo è riferito alle prime due SCIA.
6. In relazione alla terza SCIA, il responsabile del Settore Gestione del Territorio, con nota di data 09.10.2019, ha fissato in € 8.795,69 il contributo di costruzione dovuto per il recupero del sottotetto.
7. Il progettista, con nota di data 08.05.2018, ha chiesto per conto dei ricorrenti l’applicazione del regime di gratuità ex art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001, sostenendo che l’edificio avrebbe dovuto essere qualificato come unifamiliare.
8. La risposta del responsabile del Settore Gestione del Territorio, contenuta in una nota di data 14.06.2018, è stata però negativa. Il contributo di costruzione è stato imposto per le seguenti ragioni:
   (a) ai sensi dell’art. 3 del DM 02.04.1968 n. 1444, non possono essere definiti unifamiliari gli edifici che abbiano una volumetria superiore a 100 mc per ciascun componente del nucleo familiare, da identificare attraverso l'anagrafe comunale (v. TAR Milano Sez. II 26.04.2006 n. 1062). L'edificio dei ricorrenti ha una volumetria di circa 1.240 mc, e dunque potrebbe considerarsi unifamiliare solo se destinato a una famiglia di 12 persone (1.240/100 = 12,40 abitanti);
   (b) gli edifici unifamiliari devono essere strutturalmente e funzionalmente indipendenti (v. TAR Brescia, Sez. I, 13.05.2011 n. 713), mentre nel caso in esame vi è un muro divisorio in comproprietà, non costruito in semplice aderenza ex art. 877 c.c., sul quale si appoggiano le strutture orizzontali e la copertura sia dell'una sia dell'altra proprietà. Manca quindi il requisito dell’indipendenza strutturale;
   (c) la gratuità del titolo edilizio ha lo scopo di incentivare la funzionalità e l'usabilità dell'immobile a esclusivo vantaggio della famiglia che vi abita (v. TAR Ancona Sez. I 10.05.2012 n. 310), ma nel caso in esame l’edificio è disabitato;
   (d) l’incremento del carico urbanistico è evidente, in quanto “[è] indubbio che l'intervento proposto comporterà una rivalutazione del valore economico dell'immobile, e la trasformazione di tutti i locali del piano terra e del piano sottotetto da superfici non residenziali a residenziali, pur senza aumento di cubatura”.
9. L’onerosità del titolo edilizio è stata ribadita dal responsabile del Settore Gestione del Territorio con nota di data 23.11.2018, e dal legale del Comune con nota di data 31.01.2019.
10. Nel presente ricorso, notificato il 03.07.2019 e depositato il 24.07.2019, viene chiesto l’accertamento della non debenza del contributo di costruzione. Viene inoltre chiesto il risarcimento del danno derivante dalla perdita del credito d'imposta.
Non avendo versato il contributo di costruzione, in quanto considerato non dovuto, i ricorrenti non hanno infatti potuto ottenere l’agibilità, e di conseguenza non hanno potuto trasferire la residenza nell’edificio ristrutturato, perdendo il credito d’imposta di cui avevano usufruito al momento dell’acquisto nel 2017.
11. La tesi del ricorso è che l’immobile, essendo di proprietà esclusiva dei ricorrenti e destinato ad abitazione del nucleo familiare composto dagli stessi, dovrebbe essere qualificato come unifamiliare, indipendentemente dalle dimensioni e dall’aumento di superficie residenziale verificatosi in esito ai lavori.
12. Il Comune si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso, ed eccependone l’inammissibilità come azione di accertamento svincolata dalla tempestiva impugnazione dei provvedimenti che hanno stabilito l’importo dovuto. Nelle proprie difese il Comune espone inoltre che i ricorrenti, nonostante l’assenza di agibilità, hanno trasferito la residenza nell’edificio in esame (v. verbale di accertamento di infrazione di data 18.02.2019).
13. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni:
   (a) nella materia edilizia, dove si intrecciano diritti e interessi legittimi, si può ritenere ammissibile un’azione di accertamento finalizzata a conseguire la certezza del diritto sulle obbligazioni pecuniarie conseguenti alla qualificazione dei lavori. È vero che dal provvedimento contenente la qualificazione discende anche la misura del contributo di costruzione, e dunque è sempre possibile impugnare il suddetto provvedimento per azzerare o ridurre la pretesa economica dell’amministrazione. È però ugualmente possibile chiedere direttamente che sia accertata la non debenza del contributo di costruzione, sulla base di una diversa qualificazione dei lavori;
   (b) in questo secondo caso, non vi è elusione dei termini impugnatori, in quanto le pretese economiche, avendo la natura di diritti, sono sottoposte ai normali termini di prescrizione. Vista la parità sostanziale delle posizioni in conflitto, nello stesso termine a disposizione del Comune per ottenere la condanna dei privati al pagamento dell’importo dovuto per i lavori già eseguiti, i privati possono chiedere in via preventiva l’accertamento dell’insussistenza dell’obbligazione pecuniaria. L’interesse a chiarire la propria posizione debitoria giustifica un’azione di accertamento in luogo della semplice eccezione;
   (c) nel merito, l’edificio ristrutturato dai ricorrenti non appartiene alla categoria degli edifici unifamiliari;
   (d) come evidenziato in un precedente di questo TAR (v. sentenza n. 154 del 15.02.2021), per attribuire la suddetta qualificazione si deve tenere conto delle indicazioni implicite nell’art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001, o desumibili dal contesto in cui tale norma si colloca. È quindi possibile fissare i seguenti criteri: (1) eccezionalità del regime di gratuità; (2) autonomia della costruzione; (3) collegamento con la vita familiare;
   (e) per quanto riguarda il primo criterio, è evidente che l’esonero dal contributo di costruzione è un beneficio speciale, di stretta interpretazione. La perdita di gettito per le finanze pubbliche è trasferibile alla fiscalità generale solo se collegata a situazioni oggettive, esattamente verificabili e controllabili. Il divieto di interpretazioni estensive o analogiche è codificato a livello regionale dall’art. 43, comma 2, della LR 11.03.2005 n. 12, in base al quale il contributo di costruzione non è dovuto, o è ridotto, “nei casi espressamente previsti dalla legge”;
   (f) i criteri riferiti all’autonomia della costruzione e al collegamento con la vita familiare rappresentano rispettivamente il punto di vista esterno e quello interno da cui si possono osservare le caratteristiche dell’edificio;
   (g) osservato dall’esterno, un edificio è unifamiliare se non costituisce parte di un complesso più ampio e coordinato, come ad esempio un condominio, un residence o una casa a schiera. Anche se vi sono accessi separati, l’elemento che rileva è il coordinamento tra le varie abitazioni all’interno di un progetto unitario. L’esistenza di un simile collegamento impone di considerare il risultato complessivo, e non i singoli moduli abitativi, benché fruibili autonomamente. Una diversa interpretazione comporterebbe il risultato irragionevole di estendere la gratuità del titolo edilizio a interventi di grande impatto urbanistico;
   (h) occorre sottolineare che, una volta costruita come parte di un progetto unitario, la singola abitazione non diventa unifamiliare al momento della ristrutturazione, tranne quando vi sia una specifica norma di favore riferita a un determinato contributo pubblico (v. ad esempio l’art. 119 del DL 19.05.2020 n. 34, ai fini della detrazione del 110 per cento per gli interventi di efficientamento energetico e gli altri lavori ivi indicati);
   (i) non impediscono invece la qualificazione come edificio unifamiliare i collegamenti materiali, anche strutturali, con altri fabbricati, purché non dipendenti da una progettazione unitaria. È quindi irrilevante la presenza di muri perimetrali comuni, quando sia chiaro che gli edifici confinanti si sono sviluppati nel tempo in modo del tutto indipendente. Parimenti, non assume alcun rilievo il fatto che vi sia un percorso di accesso condiviso o collocato su terreno di terzi;
   (j) oltre che autonomo nel senso sopra descritto, un edificio per poter essere qualificato come unifamiliare deve essere idoneo esclusivamente allo svolgimento della vita di una famiglia. Non sono ammissibili utilizzazioni miste, ma anche quando l’unica destinazione sia quella residenziale è necessario applicare una nozione oggettiva di utilizzazione familiare. Non è sufficiente che i proprietari compongano una famiglia e dichiarino di utilizzare da soli tutti gli spazi come un’unica abitazione, ma occorre stabilire se tali spazi corrispondano a quelli che una famiglia media ha a disposizione nell’attuale situazione del mercato immobiliare;
   (k) se vi è sproporzione, in quanto la volumetria eccede chiaramente i bisogni di una famiglia media, il Comune non può accettare il rischio che l’edificio diventi di fatto plurifamiliare attraverso successive modifiche interne. L’amministrazione conserva il controllo sull’impatto urbanistico solo quando le dimensioni dell’edificio siano tali da rendere oggettivamente impossibile, o molto difficile, l’insediamento di altri nuclei familiari;
   (l) in mancanza di un limite dimensionale fissato direttamente nel regolamento edilizio, possono essere utilizzati i parametri che costituiscono principi della materia, come la volumetria per abitante teorico stabilita dall’art. 3, comma 3, del DM 1444/1968 ai fini del dimensionamento degli standard urbanistici. Sono comunque utilizzabili anche altri dati, più vicini alla situazione locale. Nello specifico, prendendo il rapporto di 100 mc/abitante, già sovrastimato, in quanto comprensivo delle destinazioni non residenziali ma strettamente connesse alle residenze, appare evidente che l’edificio dei ricorrenti (1.240 mc) è fuori scala, ossia non può essere considerato oggettivamente unifamiliare;
   (m) ne consegue che il contributo di costruzione calcolato dal Comune deve essere corrisposto.
14. In conclusione, il ricorso deve essere respinto, sia per quanto riguarda la domanda di accertamento, sia relativamente alla domanda risarcitoria (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 02.05.2022 n. 423 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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Al riguardo si legga anche:
  
ESONERO DAL CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE, QUALIFICAZIONE DI EDIFICIO UNIFAMILIARE - Il TAR Brescia fissa i criteri per attribuire la qualificazione di edificio unifamiliare ai fini dell’esonero dal contributo di costruzione per gli interventi di ristrutturazione e ampliamento (20.05.2022 - link a www.legislazionetecnica.it).

EDILIZIA PRIVATA: In considerazione della tipologia di intervento (demolizione e ricostruzione dell’edificio) nonché nel cambio di destinazione d’uso dello stesso da rurale a residenziale e che, quindi, l’immobile non presentava, già prima dello stesso, le caratteristiche dell’abitazione servente le esigenze di un unico nucleo familiare, e del fatto che lo stesso muta addirittura destinazione (da rurale e residenziale), non può applicarsi l’art. 17, comma 3, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001.
Invero, “tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo contributivo contenute nell'art. 17 d.P.R. n. 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b –secondo cui "il contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari"- che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è preposta.
Come affermato dalla giurisprudenza maggioritaria, la ratio dell'esenzione di cui all'art. 17, c. 3, lett. b,) va rinvenuta nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di "edificio unifamiliare" richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide "con la piccola proprietà immobiliare" poiché soltanto ove presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato.
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla compartecipazione alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è correlato all'aumento di valore che consegue all'intervento.
Pertanto, si giustifica la sottrazione all'imposizione dell'aumento di valore che la famiglia consegue per effetto della ristrutturazione solo per le finalità di ordine sociale sopra individuate.
Nel caso di specie, queste finalità non possono ritenersi sussistenti, tenuto conto delle dimensioni del fabbricato, ancorché unifamiliare -stante il consistente numero di vani (14)- e della rilevanza dell'intervento, realizzato mediante demolizione e ricostruzione.
Con riguardo a quest’ultimo aspetto va richiamata la pronuncia della Corte Costituzionale del 26.06.1991 n. 296 avente ad oggetto la previgente previsione di cui all'art. 9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 che -analogamente all’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001- esonerava dal contributo "gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari".
La Corte Costituzionale con questa sentenza interpretativa di rigetto […] ha escluso l’illegittimità della norma, nella parte in cui non comprendeva, nella previsione di esenzione dal contributo, accanto all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per cento, anche quella dell'integrale ricostruzione del fabbricato demolito, adibito ad abitazione unifamiliare, su area immediatamente adiacente.
In quell’occasione, la Corte ha osservato che, ai fini del riconoscimento dell’esonero in questione, “il concetto di ristrutturazione mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo” ed ha ritenuto quindi pienamente giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale ricostruzione”.
A conferma di tale lettura giunge ulteriore giurisprudenza che ha sancito che “ai fini dell'esonero dall'obbligo contributivo di cui all'art. 17, co. 3, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001(T.U. Edilizia) -norma che stabilisce che il contributo di costruzione non è dovuto "per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari"- la destinazione ad esclusiva residenza abitativa di un solo nucleo familiare deve preesistere rispetto all'intervento di ristrutturazione, e deve permanere anche dopo tale intervento: il manufatto oggetto dell'intervento deve essere, inoltre, ante opera, unifamiliare”.
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1. Il sig. Mi. è comproprietario, insieme con la coniuge, di un immobile sito nel Comune di Corneliano d’Alba (CN), meglio identificato al NCT, F. 4 part. 341.
L’immobile, acquistato nel 2006, si presentava in stato di abbandono e collabente tanto che il proprietario realizzava primi interventi di consolidamento (riguardanti le mura perimetrali e la copertura) per i quali però non chiedeva alcuna autorizzazione.
In ragione di ciò –in disparte l’avvio di un procedimento penale a suo carico ai sensi dell’art. 44, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001– presentava, in data 24.06.2020, una istanza di permesso a costruire in sanatoria.
In data 11.08.2020 lo stesso avanzava richiesta di rilascio di un permesso a costruire per ulteriori opere di ristrutturazione dell’edificio edificio con cambio a destinazione residenziale.
L’amministrazione, unificando i due procedimenti, rilasciava un unico permesso di costruire (n. 425 del 28.04.2021).
Il provvedimento è oneroso e l’amministrazione, oltre ad aver addebitato una somma a titolo di oblazione, ha determinato con apposito provvedimento (prot. n. 1940 del 14.04.2021, che fa seguito a precedenti atti ed in particolare alla nota prot. 5679 del 11.12.2020 e prot. n. 1422 del 17.03.2021) un contributo di costruzione così composto: oneri di urbanizzazione per euro 10.674,68 (ridotto in accoglimento della richiesta e dell’impegno dell’interessato ad eseguire a sue spese le opere di urbanizzazione primaria per l’erogazione dei servizi essenziali) e costo di costruzione per euro 18.017,92.
2. Avverso i provvedimenti di definizione del citato contributo nonché del permesso di costruire, nella misura in cui prevede tale onerosità, è insorto l’interessato con ricorso notificato in data 28.06.2021, ritualmente depositato avanti questo Tribunale, con il quale lamenta violazione di legge ed eccesso di potere sotto plurimi profili, chiede l’accertamento della gratuità dell’intervento nonché la condanna alla restituzione di quanto già versato alle casse comunali.
...
3. Il ricorso è parzialmente fondato.
...
5. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione dell’art. 17, comma 3, lett. b), e dell’art. 22, comma 7, del D.P.R. 380/2001; eccesso di potere per insussistenza ed erronea valutazione dei presupposti; difetto di istruttoria e di ponderazione dei fatti, irragionevolezza dell’azione amministrativa; motivazione incongruente e/o contraddittoria, illogicità manifesta, irragionevolezza e travisamento dei fatti, perplessità.
Il ricorrente contesta la debenza del contributo per la parte di costo di costruzione (quantificata dall’amministrazione in euro 18.017,92), per il fatto che l’intervento sarebbe qualificabile come ristrutturazione di edificio unifamiliare mediante parziale demolizione e ricostruzione senza variazione di sagoma, superficie e volumetria. Ciò includerebbe l’intervento tra quelli esentati dal contributo dall’art. 17, comma 3, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001.
La doglianza non persuade.
Dagli atti di causa emerge che l’intervento assentito si presenta come demolizione e ricostruzione dell’edificio di cui si controverte nonché nel cambio di destinazione d’uso dello stesso da rurale a residenziale.
Come già riconosciuto da questo Tribunale “tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo contributivo contenute nell'art. 17 d.P.R. n. 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b –secondo cui "il contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari"- che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è preposta.
Come affermato dalla giurisprudenza maggioritaria che questo Collegio condivide, la ratio dell'esenzione di cui all'art. 17, c. 3, lett. b,) va rinvenuta nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di "edificio unifamiliare" richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide "con la piccola proprietà immobiliare" poiché soltanto ove presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato (TAR Veneto, sez. II, 05/03/2019, n. 289; TAR sez. I, Brescia, 26/04/2018, n. 449; TAR Toscana, Sez. III, 26.04.2017 n. 616, TAR Campania, Salerno, Sez. I, 22.06.2015 n. 1416, TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 21.11.2014 n. 2180 e TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 02.07.2014 n. 1707).
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla compartecipazione alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è correlato all'aumento di valore che consegue all'intervento.
Pertanto, si giustifica la sottrazione all'imposizione dell'aumento di valore che la famiglia consegue per effetto della ristrutturazione solo per le finalità di ordine sociale sopra individuate. Nel caso di specie, queste finalità non possono ritenersi sussistenti, tenuto conto delle dimensioni del fabbricato, ancorché unifamiliare -stante il consistente numero di vani (14)- e della rilevanza dell'intervento, realizzato mediante demolizione e ricostruzione (cfr. TAR Napoli, Campania sez. VIII, 09/05/2012, n. 2136).
Con riguardo a quest’ultimo aspetto va richiamata la pronuncia della Corte Costituzionale del 26.06.1991 n. 296 avente ad oggetto la previgente previsione di cui all'art. 9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 che -analogamente all’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001- esonerava dal contributo "gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari".
La Corte Costituzionale con questa sentenza interpretativa di rigetto […] ha escluso l’illegittimità della norma, nella parte in cui non comprendeva, nella previsione di esenzione dal contributo, accanto all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per cento, anche quella dell'integrale ricostruzione del fabbricato demolito, adibito ad abitazione unifamiliare, su area immediatamente adiacente.
In quell’occasione, la Corte ha osservato che, ai fini del riconoscimento dell’esonero in questione, “il concetto di ristrutturazione mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo” ed ha ritenuto quindi pienamente giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale ricostruzione
” (TAR Piemonte, 26/05/2020, sent. n. 322).
A conferma di tale lettura giunge ulteriore giurisprudenza che ha sancito che “ai fini dell'esonero dall'obbligo contributivo di cui all'art. 17, co. 3, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001(T.U. Edilizia) -norma che stabilisce che il contributo di costruzione non è dovuto "per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari"- la destinazione ad esclusiva residenza abitativa di un solo nucleo familiare deve preesistere rispetto all'intervento di ristrutturazione, e deve permanere anche dopo tale intervento: il manufatto oggetto dell'intervento deve essere, inoltre, ante opera, unifamiliare” (TAR Lombardia Milano Sez. II Sent., 24/07/2012, n. 2070).
Orbene, in considerazione della tipologia di intervento, del fatto che l’immobile non presentava, già prima dello stesso, le caratteristiche dell’abitazione servente le esigenze di un unico nucleo familiare, e del fatto che lo stesso muta addirittura destinazione (da rurale e residenziale), non può dirsi violato l’art. 17, comma 3, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001.
Il secondo motivo è pertanto infondato (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 02.05.2022 n. 412 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza amministrativa ha precisato che la previsione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b), del DPR 380/2001 ha “carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore)”, in quanto derogatoria alla regola generale che impone la corresponsione del contributo quale “obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia” e, in particolare, quale “corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo manufatto”.
L’esenzione in esame rinviene la propria ratio in esigenze <<di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile alle necessità abitative del nucleo familiare: l'edificio unifamiliare, nell'accezione socio economica assunta dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato>>”.
In sostanza, la disposizione in esame ha <<la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione>>.
La disposizione è, quindi, diretta <<a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l'operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l'entità strutturale e la dimensione spaziale dell'immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico>>.
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Con ricorso, notificato il 30.10.2019 e depositato il 29.11.2019, Ti.Lu. -che in virtù di testamento pubblico del 27/09/1999, riceveva dal bisnonno, Ti.Lu., un fondo agricolo con annesso fabbricato rurale e capannoni adibiti sempre all’attività agricola- riferisce, in fatto, che:
   - il di lui bisnonno, Ti.Lu., con prot. n. 25215/86, depositava presso il Comune di Benevento domanda di condono edilizio ai sensi della Legge 47/1985, (allegando alla suddetta domanda relazione tecnica illustrativa, planimetria degli immobili e bollettini postali comprovanti il versamento dell’oblazione) con la quale chiedeva che venissero sanate le costruzioni da lui realizzate consistenti in una ampliamento di mq. 18,02 della propria abitazione rurale (realizzazione di un bagnetto e ampliamento della cucina) nonché un deposito pari a complessivi mq 72,62 adibito a ricovero di merce e mezzi agricoli nonché a forno e in parte a pollaio e le opere realizzate insistevano su terreno avente destinazione agricola;
   - con il deposito della istanza di sanatoria, il Ti.Lu. aveva provveduto anche al pagamento dell’oblazione calcolata tenendo conto del periodo in cui le opere erano state realizzate (anno di ultimazione 1974) e della attività connessa alla conduzione agricola per un totale di superficie realizzata abusivamente pari a mq. 61.59 e pari a 323,28 mc., opere che sono state accatastate dal richiedente nell’agosto del 1986 come da documentazione che si allega (all. n. 3);
   - la pratica giaceva presso il Comune di Benevento per oltre 33 anni senza che l’Ente avesse mai emesso alcun provvedimento o richiesto alcun documento, tant’è che soltanto a seguito di richiesta di permesso di costruire formulata dal ricorrente, il citato Comune si accorgeva finalmente dell’esistenza della suddetta pratica e chiedeva una integrazione della stessa e, precisamente, una relazione tecnica che comprovasse la idoneità statica del fabbricato, documento previsto dal legislatore successivamente alla domanda di condono del Ti.;
   - a tanto provvedeva tempestivamente il ricorrente come da documentazione del 30/07/2019 depositata in data 02/08/2019 al prot. n. 71462 presso il Comune di Benevento Sportello Unico delle Attività Produttive che, conseguentemente emetteva provvedimento dirigenziale intitolato “Atto di determinazione delle somme dovute a titolo di sanatoria”, con il quale, a riscontro della domanda di sanatoria di abuso edilizio presentata da Ti.Lu., in data 05.09.1986 con protocollo n. 25125, relativamente all’ampliamento di un fabbricato rurale sito alla c.da San Domenico, “Vista la documentazione integrativa prodotta in data 02/08/2019 con protocollo n. 71462 dalla ditta Ti.Lu.”, ”Considerato che per l’abuso commesso l’oblazione versata è congrua”, “determinava la somma da versare per contributo di costruzione in euro 64.872,69”.
Date tali premesse e preso atto che l’atto con il quale è stata determinata la somma dovuta a titolo di sanatoria era incomprensibile non essendo stato chiarito dall’Ente, seppur formalmente richiesto, i criteri adottati e, in ogni caso, errato, Ti.Lu., nella spiegata qualità, ha impugnato, innanzi a questo Tribunale, il predetto atto.
...
Il ricorso è infondato nei termini di seguito precisati.
...
Con la seconda censura si chiede, in via gradata, l’esenzione soltanto parziale dell’onere di costruzione, atteso che il comune ha omesso di valutare che le opere che riguardano il fabbricato rurale sono consistite in un ampliamento non superiore al 20% dell’edificio unifamiliare, come previsto sia dall’art. 9 della legge 10/1977 che dall’art. 17 del DPR 380/2001: “3. Il contributo di costruzione non è dovuto: ... b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari; “).
Pertanto, il ricorrente chiede che sia decurtato l’importo relativo al fabbricato unifamiliare consistente nell’ampliamento dello stesso pari a 18 mq essendo lo stesso non superiore al 20% dell’edifico unifamiliare come da perizia che si allega. Ne consegue che va decurtato tale importo.
La censura non coglie nel segno.
In primo luogo la previsione dell’esenzione di cui alla lettera b) riguarda gli interventi al di fuori delle zone agricole, mentre per le opere in zona agricola (come quella per cui vi è causa) è applicabile unicamente -ove ovviamente ne sussistano i relativi presupposti- l’esenzione di cui alla lettera a), ossia quella relativa alle residenze degli imprenditori agricoli a titolo principale.
In ogni caso, non risultano provati né in sede amministrativa né tanto in giudizio i presupposti di applicabilità della normativa de qua, ossia la natura unifamiliare dell’edificio e l’ampliamento inferiore al 20%.
In argomento, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che la riferita previsione ha “carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore)” (cfr. TAR per la Lombardia – sede di Brescia, sez. I, 26.04.2018, n. 449), in quanto derogatoria alla regola generale che impone la corresponsione del contributo quale “obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia” (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 07.02.2017, n. 728), e, in particolare, quale “corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo manufatto” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 29.10.2015, n. 4950).
L’esenzione in esame rinviene la propria ratio in esigenze <<di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile alle necessità abitative del nucleo familiare: l'edificio unifamiliare, nell'accezione socio economica assunta dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato>>” (TAR per la Lombardia–Brescia, sez. I, 26.04.2018, n. 449; TAR per la Lombardia–Milano, Sez. IV, 02.07.2014, n. 1707).
In sostanza, la disposizione in esame ha <<la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione>> (Consiglio di Stato, Sez. IV, 11.10.2006, n. 6065).
La disposizione è, quindi, diretta <<a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l'operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l'entità strutturale e la dimensione spaziale dell'immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico>> (TAR per la Lombardia – sede di Brescia, sez. I, 26.04.2018, n. 449).
Nel caso di specie, parte ricorrente non ha fornito prova della riconducibilità degli interventi condonati nella previsione normativa invocata (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 22.10.2021 n. 6655 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulle caratteristiche dimensionali dell'edificio unifamiliare.
Secondo un dato normativo costantemente affermato dalla giurisprudenza espressasi in materia, la concessione edilizia gratuita è una figura eccezionale, mentre la regola è quella dell’onerosità: infatti, la norma che la prevede (art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001, che ha sostituito l’art. 9, primo comma, lett. d), della l. n. 10/1977) è sempre stata intesa come previsione derogatoria rispetto alla su indicata regola e, dunque, da interpretare restrittivamente.
Invero, il principio generale dell’onerosità del permesso di costruire, introdotto dall’art. 1 della l. n. 10/1977, è stato confermato dall’art. 16 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia) che, dopo aver fatti salvi i casi di gratuità previsti dal successivo art. 17, subordina di regola il rilascio del titolo edilizio de quo al pagamento di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione. Integrando l’art. 17 cit. una deroga al principio generale dell’onerosità, ne discende che le ipotesi di esonero dal versamento del contributo ivi elencate costituiscono l’eccezione ed hanno carattere tassativo.
In secondo luogo, la giurisprudenza consolidata ha individuato la ratio dell’esenzione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b), cit., nell’esigenza di tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, con il corollario che la nozione di “edifici unifamiliari” va intesa in un’accezione non tanto strutturale –come pretende il Comune–, ma socio-economica, cioè riguardante la piccola proprietà immobiliare, poiché soltanto questa è meritevole di un trattamento differenziato.
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Se è vero che nella norma in esame non viene detto che l’edificio soggetto all’intervento di ristrutturazione ed ampliamento debba avere ab origine carattere unifamiliare, è però altrettanto vero che un fabbricato bifamiliare o, ancor di più, plurifamiliare, poi reso unifamiliare tramite mutamento di destinazione d’uso di alcuni locali che lo compongono, difficilmente potrà rientrare nel concetto di “piccola proprietà immobiliare” a cui ha riguardo la “ratio socio-economica” della norma stessa: ciò, attese le caratteristiche dimensionali e volumetriche che esso acquisisce in ragione dell’intervento che lo rende “unifamiliare”, le quali lo porteranno verosimilmente a fuoriuscire dal concetto in discorso.
Da questo punto di vista, perciò, non è condivisibile la sentenza appellata, lì dove adduce a propria motivazione la mancanza, nel tessuto normativo, di elementi concreti che l’immobile deve possedere per poter essere considerato come appartenente alla categoria degli “edifici unifamiliari”.
Da un lato, ai fini dell’individuazione della nozione di “edifici unifamiliari” è stato ritenuto legittimo ricorrere a criteri estratti da altri complessi normativi (si pensi all’art. 3 del d.m. n. 1444/1968), con l’unico limite di non stravolgere la portata della disciplina da applicare.
D’altro lato, la stessa sentenza appellata ha menzionato la possibilità di utilizzare indici oggettivi per definire detta categoria, al fine di escludere che costituiscano edifici unifamiliari, nel senso rilevante per l’art. 17 cit., gli immobili di lusso, ovvero quelli di grandi dimensioni, pur lamentando la mancata esplicitazione di tali indici da parte del Legislatore.
Ma se è vero che difetta un’indicazione esplicita degli indici in questione, è altresì vero che la stessa è deducibile dalla ratio legis: da questa, infatti, è dato ricavare la contrarietà allo spirito della legge di un’opzione ermeneutica che consenta che vadano esenti dagli oneri concessori interventi di ristrutturazione ed ampliamento di immobili di lusso, o –com’è nella vicenda in esame– di ampie dimensioni già prima dell’intervento.
In altre parole, non rilevano le dimensioni e le caratteristiche possedute dall’edificio dopo l’intervento di ristrutturazione ed ampliamento oggetto di controversia. Nemmeno rileva che dopo l’intervento di ristrutturazione ed ampliamento l’immobile abbia perduto (almeno in potenza) la natura unifamiliare che aveva acquisito per effetto della D.I.A. presentata.
Ciò che conta è, invece, che alla data di presentazione dell’istanza di permesso di costruire l’immobile non avesse le caratteristiche per rientrare nella “piccola proprietà immobiliare” e per poter così beneficiare della deroga alla regola dell’onerosità, contenuta nella norma in esame.
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... per l’annullamento e/o la riforma della sentenza 24.07.2012 n. 2070 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Milano, Sezione Seconda.
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Viene in decisione la sentenza del TAR Lombardia–Milano, Sez. II, n. 2070/2012 del 24.07.2012, che ha annullato i permessi di costruire nn. 10/2008 e 21/2011 rilasciati alla sig.ra Lo. dal Comune di Casciago (VA), nella parte in cui hanno assoggettato gli interventi assentiti a contributo concessorio, ed ha condannato il Comune a restituire le somme percepite a tale titolo (rispettivamente: € 17.508,93 ed € 100,00).
Il primo giudice ha osservato come l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001 –la norma che, come detto, dispone la gratuità del permesso di costruire per opere di ristrutturazione ed ampliamento (non oltre il 20%) degli edifici unifamiliari– non rechi alcuna definizione della nozione di “edificio unifamiliare”. Per usufruire del beneficio previsto dalla norma, basta ad avviso del TAR –il quale ha richiamato la giurisprudenza espressasi in argomento– che l’edificio sia destinato in toto, prima dell’intervento, ad esclusiva residenza abitativa di un unico nucleo familiare. Non occorre, invece, il requisito preteso dall’Amministrazione comunale e cioè che l’edificio sia, oltre che funzionalmente, anche strutturalmente unifamiliare, nel senso che abbia avuto impresso detto carattere ab origine, sin dalla sua costruzione.
Nel caso di specie –precisa la sentenza– i requisiti di legge sussistono, dal momento che l’immobile è divenuto unifamiliare a seguito della D.I.A. del 22.01.2008 e dunque prima dell’intervento per cui è causa.
La tesi del Comune della necessità che l’immobile abbia destinazione strutturale, oltre che funzionale, ad uso unifamiliare, è priva di base normativa, in quanto nella legge mancano gli elementi per definire quali siano gli edifici unifamiliari, sicché essa porta ad approdi arbitrari ed indefiniti, non riuscendo a spiegare quali elementi concreti l’immobile debba possedere per essere qualificato come “edificio unifamiliare”. Sulla base di tali elementi, la sentenza esclude che il meccanismo posto in essere nella fattispecie in esame dalla sig.ra Lo. possa configurarsi come scissione artificiosa di un solo titolo edilizio in due, ai fini dell’elusione del suvvisto art. 17, e che costituisca un’operazione in frode alla legge.
Nell’appello il Comune di Casciago contesta il percorso argomentativo del primo giudice, insistendo in specie sul carattere fraudolento ed elusivo della legge dell’operazione posta in essere dal privato, anche alla stregua del dato temporale che dimostrerebbe, nel susseguirsi immediato della D.I.A. e del permesso di costruire, l’artificiosità della scissione dell’intervento edilizio in due. Rimarca come nel caso in esame prima della D.I.A. presentata il 22.01.2008 l’immobile fosse composto da almeno due unità immobiliari, mentre dopo gli interventi realizzati dalla sig.ra Lo. esso si articola in n. 1 abitazione e n. 3 box, che si sviluppano su una superficie di mq. 297,78 (includendo i tre box ed escludendo i balconi e il fabbricato accessorio, staccato dall’abitazione).
Il Comune insiste, inoltre, nel sostenere che l’esenzione dal contributo concessorio –avente carattere eccezionale– sarebbe ammessa solo per edifici oggettivamente e ab origine unifamiliari, non resi tali in conseguenza dell’intervento programmato. Richiama sul punto l’indirizzo giurisprudenziale per il quale la nozione di “unifamiliarità” si ricava dalle caratteristiche architettoniche dell’edificio, in virtù del volume, della superficie, del numero e della funzione dei vani, in rapporto alle esigenze ed alla possibilità del suo utilizzo da parte di un unico nucleo familiare. Richiama, inoltre, la giurisprudenza che, in ragione dell’eccezionalità dell’art. 17, comma 3, lett. b), cit., ha ristretto la nozione di “edificio unifamiliare” ad immobili di volumetria limitata (fino a mc. 100 per ciascun componente del nucleo familiare) sulla base di indici desunti da altri complessi normativi.
L’assunto del TAR, per cui sarebbe sufficiente la destinazione in concreto dell’immobile a un solo nucleo familiare, si porrebbe –lamenta l’appellante– in contraddizione con la ratio legis, che sarebbe di derivazione sociale, mirando la norma a tutelare la piccola proprietà immobiliare, meritevole di un trattamento differenziato per le opere di adeguamento alle necessità abitative del nucleo familiare. Il progetto di ristrutturazione proposto dalla sig.ra Lo. farebbe, inoltre, sorgere dubbi sul possibile utilizzo bifamiliare o comunque non totalmente residenziale dell’immobile.
In ultima analisi –sostiene il Comune appellante– affinché un intervento edilizio possa godere del beneficio eccezionale e derogatorio dell’esenzione dal pagamento degli oneri, non è sufficiente che l’edificio sia presumibilmente destinato ad abitazione di un solo nucleo familiare; occorrono, invece, due caratteristiche, entrambe non sussistenti nell’immobile per cui è causa: l’originaria unifamiliarità dell’immobile stesso e, secondariamente, l’idoneità delle opere ad adeguare la casa già unifamiliare alle necessità abitative del nucleo familiare. Pertanto, la sentenza appellata sarebbe errata lì dove ha ritenuto di prescindere dalle caratteristiche strutturali e dimensionali dell’edificio, senza considerare che nella specie l’intervento ha riguardato una superficie di circa mq. 297, assai lontana dall’essere riconducibile alla “piccola proprietà immobiliare”, e che l’immobile si configura strutturalmente composto da almeno due unità immobiliari.
L’appellata replica ai motivi dell’appello, obiettando, in estrema sintesi, che la pretesa che l’edificio unifamiliare sia tale ab origine non ha nessun appiglio normativo, mentre ciò che conta è che esso abbia acquisito tale caratteristica ab origine ante opera, cioè prima dell’intervento di ristrutturazione ed ampliamento: il che è quanto verificatosi nel caso di specie.
Rammenta, inoltre, di aver rinunciato al permesso di costruire n. 18/2007, rilasciato a titolo oneroso, a causa delle difficoltà di ottenere il finanziamento necessario per effettuare l’intervento: sarebbero stati gli stessi Uffici del Comune, presso cui si era recata per rappresentare il problema, a suggerirle di intraprendere l’operazione contestata, dapprima presentando la D.I.A. per cambio d’uso di parte dei locali dell’edificio (in modo da renderlo confacente alle esigenze del proprio nucleo familiare e, quindi, unifamiliare) e poi, una volta trasformato l’immobile, presentando “in qualunque tempo” una nuova istanza per la ristrutturazione e l’ampliamento, non onerosi, dello stesso.
Così riportate le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che l’appello sia fondato e da accogliere.
Preliminarmente, non si possono desumere elementi ostativi ad una pronuncia nel merito dell’appello dalla circostanza che il Comune ha proceduto senza riserve a restituire alla sig.ra Lo. le somme da costei versate a titolo di oneri concessori.
Si è trattato, infatti, del mero adempimento, ad opera della P.A., di una sentenza esecutiva del G.A., che, in difetto di indicazioni espresse in tal senso, non può comportare acquiescenza e/o rinuncia alle pretese fatte valere nell’appello: ciò, tanto più che la condanna alla restituzione delle predette somme era altresì comprensiva della corresponsione degli interessi, di tal ché l’eventuale ritardo della P.A. nel pagamento l’avrebbe esposta al rischio di danno erariale.
Nel merito, si riportano le ragioni che depongono per la riforma della sentenza appellata.
In primo luogo –e soprattutto– il primo giudice non ha considerato un dato normativo costantemente affermato dalla giurisprudenza espressasi in materia, e cioè che la concessione gratuita è una figura eccezionale, mentre la regola è quella dell’onerosità: infatti, la norma che la prevede (art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001, che ha sostituito l’art. 9, primo comma, lett. d), della l. n. 10/1977) è sempre stata intesa come previsione derogatoria rispetto alla su indicata regola (cfr. C.d.S., Sez. IV, 14.02.2018, n. 945; Sez. V, 07.05.2013, n. 2467, e 24.03.2006, n. 1523; sull’art. 9 cit. cfr. Corte cost., ord. 23.06.1988, n. 714; C.d.S., Sez. V, 06.02.2003, n. 617) e, dunque, da interpretare restrittivamente (C.d.S., Sez. IV, 01.06.2020, n. 3405).
Invero, il principio generale dell’onerosità del permesso di costruire, introdotto dall’art. 1 della l. n. 10/1977, è stato confermato dall’art. 16 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia) che, dopo aver fatti salvi i casi di gratuità previsti dal successivo art. 17, subordina di regola il rilascio del titolo edilizio de quo al pagamento di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione. Integrando l’art. 17 cit. una deroga al principio generale dell’onerosità, ne discende che le ipotesi di esonero dal versamento del contributo ivi elencate costituiscono l’eccezione ed hanno carattere tassativo (C.d.S., Sez. V, 11.01.2006, n. 51).
In secondo luogo, la giurisprudenza consolidata ha individuato la ratio dell’esenzione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b), cit., nell’esigenza di tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, con il corollario che la nozione di “edifici unifamiliari” va intesa in un’accezione non tanto strutturale –come pretende il Comune–, ma socio-economica, cioè riguardante la piccola proprietà immobiliare, poiché soltanto questa è meritevole di un trattamento differenziato (v. per tutte TAR Veneto, Sez. II, 05.03.2019, n. 289).
Orbene, nel caso di specie ci si trova dinanzi ad un immobile bifamiliare su due piani, portato, subito prima dell’intervento per cui è causa, ad essere unifamiliare, ma mantenendo intatta la sua consistenza dimensionale e volumetrica. Tale consistenza –come affermato dalla stessa appellata– è quella di un edificio (costruito negli anni ’50 del Novecento) che, al momento dell’acquisto da parte della sig.ra Lo., era composto da due unità immobiliari, collocate l’una al piano rialzato e l’altra al piano primo, ciascuna di mq. 110 circa, tra loro speculari, nel senso di avere entrambe disimpegno, cucina, soggiorno, bagno e due camere da letto.
A seguito della D.I.A. –aggiunge l’appellata– l’edificio è stato reso unifamiliare e gli spazi interni sono stati distribuiti nel seguente modo: il piano terra è stato modificato in “zona giorno”, composta da soggiorno, cucina e studio; “al piano rialzato” (rectius: primo) i vani precedentemente destinati a soggiorno e cucina sono stati trasformati in camere da letto.
Ad avviso del Collegio, è evidente che l’immobile, una volta divenuto unifamiliare per effetto della D.I.A. presentata il 22.01.2008, fuoriesce dalla nozione di “piccola proprietà immobiliare”, cui si riferisce –secondo la condivisibile giurisprudenza sopra riportata– la previsione derogatoria della gratuità della concessione contenuta nell’art. 17, comma 3, lett. b) del Testo Unico dell’Edilizia, che si ispira ad una “ratio socio-economica” alla quale sono estranei, invece, gli immobili di lusso, ovvero di ampie dimensioni (com’è nel caso di specie).
Per questo verso, dunque, può rilevare anche l’elemento strutturale su cui insiste il Comune. Infatti, se è vero che –come nota il TAR ed insiste ad eccepire la sig.ra Lo.– nella norma in esame non viene detto che l’edificio soggetto all’intervento di ristrutturazione ed ampliamento debba avere ab origine carattere unifamiliare, è però altrettanto vero che un fabbricato bifamiliare o, ancor di più, plurifamiliare, poi reso unifamiliare tramite mutamento di destinazione d’uso di alcuni locali che lo compongono, difficilmente potrà rientrare nel concetto di “piccola proprietà immobiliare” a cui ha riguardo la “ratio socio-economica” della norma stessa: ciò, attese le caratteristiche dimensionali e volumetriche che esso acquisisce in ragione dell’intervento che lo rende “unifamiliare”, le quali lo porteranno verosimilmente –e hanno portato senz’altro l’edificio di proprietà della sig.ra Lo.– a fuoriuscire dal concetto in discorso.
Da questo punto di vista, perciò, non è condivisibile la sentenza appellata, lì dove adduce a propria motivazione la mancanza, nel tessuto normativo, di elementi concreti che l’immobile deve possedere per poter essere considerato come appartenente alla categoria degli “edifici unifamiliari”.
Da un lato, ai fini dell’individuazione della nozione di “edifici unifamiliari” è stato ritenuto legittimo ricorrere a criteri estratti da altri complessi normativi (si pensi all’art. 3 del d.m. n. 1444/1968), con l’unico limite di non stravolgere la portata della disciplina da applicare (C.d.S., Sez. II, parere n. 1402 del 24.10.1984; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 26.04.2006, n. 1062).
D’altro lato, la stessa sentenza appellata ha menzionato la possibilità di utilizzare indici oggettivi per definire detta categoria, al fine di escludere che costituiscano edifici unifamiliari, nel senso rilevante per l’art. 17 cit., gli immobili di lusso, ovvero quelli di grandi dimensioni, pur lamentando la mancata esplicitazione di tali indici da parte del Legislatore. Ma se è vero che difetta un’indicazione esplicita degli indici in questione, è altresì vero che la stessa è deducibile dalla ratio legis: da questa, infatti, è dato ricavare la contrarietà allo spirito della legge di un’opzione ermeneutica che consenta che vadano esenti dagli oneri concessori interventi di ristrutturazione ed ampliamento di immobili di lusso, o –com’è nella vicenda in esame– di ampie dimensioni già prima dell’intervento.
In altre parole, non rilevano le dimensioni e le caratteristiche possedute dall’edificio dopo l’intervento di ristrutturazione ed ampliamento oggetto di controversia, sulle quali insiste il Comune. Nemmeno rileva che, come adombrato dal Comune e fortemente contestato dall’appellata, dopo l’intervento di ristrutturazione ed ampliamento l’immobile abbia perduto (almeno in potenza) la natura unifamiliare che aveva acquisito per effetto della D.I.A. del 22.01.2008.
Ciò che conta è, invece, che alla data di presentazione dell’istanza di permesso di costruire (28.02.2008) l’immobile non avesse le caratteristiche per rientrare nella “piccola proprietà immobiliare” e per poter così beneficiare della deroga alla regola dell’onerosità, contenuta nella norma in esame (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 12.04.2021 n. 2939 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADevono essere escluse le case a schiera dalla nozione di "edificio unifamiliare".
   (a) l’art. 9, comma 1-d, della legge 10/1977, ora riprodotto nell’art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001, esonera dal contributo di costruzione gli edifici unifamiliari, ma non contiene una definizione di questa categoria di edifici. Tuttavia, qualche indicazione si può ricavare dal contesto, che elenca altri interventi edilizi agevolati, tutti chiaramente caratterizzati dalla presenza di profili di interesse pubblico;
   (b) per collocare nella giusta prospettiva le norme sopra citate è quindi necessario partire dal presupposto che l’esonero dal contributo di costruzione è un beneficio speciale, di stretta interpretazione. La perdita di gettito per le finanze pubbliche è trasferibile alla fiscalità generale solo se collegata a situazioni particolari, esattamente verificabili e controllabili;
   (c) può essere utile a questo scopo il confronto con un’altra fattispecie di esenzione, quella riferita agli interventi in zona agricola. Per questi interventi l’esenzione riguarda le “residenze” degli imprenditori agricoli, mentre al di fuori delle zone agricole il riferimento, come si è visto, è agli “edifici unifamiliari”. Solo nel primo caso il legislatore utilizza un criterio funzionale, senza richiedere verifiche sulle caratteristiche degli edifici, evidentemente perché viene ritenuto necessario nell’interesse dell’attività agricola che gli imprenditori agricoli possano sempre risiedere nello stesso luogo in cui si trovano i fondi da coltivare;
   (d) dove invece si parla di edifici unifamiliari risulta implicita una duplice condizione, ossia che si tratti di edifici, e quindi di costruzioni strutturalmente autonome, e che le dimensioni e la distribuzione degli spazi interni siano congruenti con la presenza di un solo nucleo familiare. Qui il legislatore non persegue finalità incentivanti. Le norme riflettono piuttosto la presunzione che i piccoli edifici residenziali richiedano meno opere di urbanizzazione rispetto alle altre costruzioni. In questi termini, le minori entrate per le finanze pubbliche rimangono confinate a ipotesi ben delimitate e facilmente prevedibili in sede di pianificazione urbanistica;
   (e) appare pertanto corretta l’interpretazione dell’art. 9, comma 1-d, della legge 10/1977 fornita dal Comune nella deliberazione della giunta, con il doppio criterio strutturale e funzionale. Parimenti corretta risulta l’esclusione delle case a schiera dalla nozione di edificio unifamiliare. È vero che ciascun modulo è funzionalmente autonomo, ma la struttura dell’edificio è data dalla somma dei vari moduli, e l’impatto complessivo dell’edificazione, come pure il suo valore economico, supera ampiamente l’ordine di grandezza degli edifici destinati a una singola famiglia. Non vi è più alcuna proporzione, e del resto sarebbe irragionevole utilizzare una previsione speciale riguardante i piccoli edifici residenziali per esonerare dal contributo di costruzione importanti interventi di trasformazione del territorio;
   (f) se un edificio non può essere qualificato come unifamiliare quando viene costruito, non è ammissibile che porzioni dello stesso vengano poi considerate edifici unifamiliari quando sono sottoposte singolarmente a ristrutturazione o manutenzione. Per accedere ai benefici fiscali è necessario che una previsione normativa deroghi all’art. 9, comma 1-d, della legge 10/1977 e all’art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001, equiparando agli edifici unifamiliari le unità immobiliari funzionalmente indipendenti situate all'interno di edifici plurifamiliari. Questo è avvenuto, ad esempio, con l’art. 119 del DL 19.05.2020 n. 34, che però vale unicamente ai fini della detrazione del 110 per cento per gli interventi di efficientamento energetico e gli altri lavori ivi indicati;
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   (g) quanto sopra esposto è riferibile a maggior ragione all’edificio in esame, che è stato progettato come strutturalmente unitario, con una connessione tra le varie porzioni superiore a quella normalmente riscontrabile nelle case a schiera. Anche i caratteri architettonici sono i medesimi per ogni porzione, circostanza che ha impedito la realizzazione del cappotto esterno. L’edificio si trova sostanzialmente in una condizione analoga a quella dei condomini, con la sola variante che tutti gli appartamenti dispongono di un ingresso separato, e non sono presenti scale comuni;
   (h) non può essere accolta neppure la domanda subordinata, relativa al rimborso degli oneri di urbanizzazione. Come si è visto sopra, infatti, la ristrutturazione ha consentito di recuperare a un uso più intenso alcuni locali, grazie alla modifica della scala della soffitta e all’inserimento di finestre nelle pareti e di un abbaino e lucernari sulla copertura. In questo modo, il sottotetto e gli spazi in precedenza privi dei rapporti aeroilluminanti possono essere pienamente sfruttati a fini residenziali. Di qui l’incremento del carico urbanistico e la necessità di versare i corrispondenti oneri di urbanizzazione.
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... per l'annullamento:
   - del provvedimento del responsabile dello Sportello Edilizia di data 16.06.2017, con il quale, in relazione al permesso di costruire di pari data, è stato determinato l’importo del contributo di costruzione per la ristrutturazione di una porzione di edificio residenziale in via ...;
   - del provvedimento del responsabile dello Sportello Edilizia di data 04.09.2017, con il quale è stata confermata l’onerosità del permesso di costruire di data 16.06.2017, nell’importo già stabilito (€ 8.871,64);
   - con disapplicazione della deliberazione della giunta n. 995 di data 05.04.1978, con la quale è stata formulata la definizione di “edificio unifamiliare” ai fini dell’esenzione dal contributo di costruzione ai sensi dell’art. 9, comma 1-d, della legge 28.01.1977 n. 10;
...
1. In data 16.06.2017 il Comune di Brescia ha rilasciato al ricorrente il permesso di costruire per la ristrutturazione di un’unità immobiliare residenziale situata in via ....
2. Con contestuale provvedimento del responsabile dello Sportello Edilizia è stato determinato il contributo di costruzione. La somma richiesta è pari complessivamente a € 8.871,64, di cui € 3.627,03 per oneri di urbanizzazione e € 5.244,61 come contributo sul costo di costruzione.
3. In data 19.07.2017 il ricorrente ha contestato il carattere oneroso del permesso di costruire, chiedendo l’applicazione dell’art. 17, comma 3-b, del DPR 06.06.2001 n. 380, che esonera dal contributo di costruzione gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari. Nella prospettazione del ricorrente, l’unità immobiliare ristrutturata costituirebbe edificio unifamiliare, in quanto si tratta di una porzione di edificio terra-cielo, autonoma rispetto agli altri appartamenti, con un ingresso separato e un proprio numero civico.
4. Il responsabile dello Sportello Edilizia, con provvedimento di data 04.09.2017, ha confermato l’onerosità del permesso di costruire. La decisione richiama la deliberazione della giunta n. 995 di data 05.04.1978, che contiene la definizione di edificio unifamiliare ai sensi dell’art. 9, comma 1-d, della legge 28.01.1977 n. 10, norma poi confluita nell’art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001 (“Per edificio unifamiliare deve intendersi quello comprendente un alloggio che per conformazione strutturale e funzionale costituisca dimora di un unico nucleo familiare. Non devono, pertanto, considerarsi edifici unifamiliari le case a schiera anche se composte da unità abitative addossate tra di loro”).
5. Il ricorrente ha provveduto a eseguire il pagamento del contributo di costruzione in data 16.10.2017, riservandosi di agire per la ripetizione di quanto versato.
6. Contro la quantificazione e la conferma del contributo di costruzione il ricorrente ha presentato impugnazione, formulando censure che possono essere sintetizzate come segue:
   (i) irragionevolezza, in quanto un edificio unifamiliare non sarebbe tale per le caratteristiche strutturali ma per la funzione socioeconomica, e dunque coinciderebbe con la piccola proprietà immobiliare;
   (ii) in via subordinata, erronea qualificazione dell’intervento edilizio, che non comporterebbe incremento del carico urbanistico, e dunque non dovrebbe essere assoggettato al pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Oltre all’annullamento degli atti impugnati è stato chiesto il rimborso dell’intero contributo di costruzione, e in via subordinata della parte corrispondente agli oneri di urbanizzazione, con interessi legali dalla domanda al saldo.
7. Il Comune si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.
8. Per meglio inquadrare l’intervento edilizio, è necessario riportare alcuni dettagli della relazione tecnica descrittiva di data 20.12.2016. L’edificio consiste in una palazzina con 4 unità immobiliari, ed è stato realizzato negli anni Trenta del Novecento da una cooperativa edile costituita da mutilati e invalidi di guerra. L’area è classificata dal PGT nei “Tessuti della città storica”, dove sono ammessi interventi di ristrutturazione che conservino l’integrità degli edifici e garantiscano la permanenza dell’unitarietà del linguaggio architettonico. L’intervento edilizio in esame non aggiunge volumetria esterna, ma riorganizza gli spazi interni.
In particolare, sono realizzate due finestre in allineamento al piano rialzato e al primo piano per garantire i rapporti aeroilluminanti richiesti dalla nuova distribuzione dei locali, ed è reso più agevole l’accesso al sottotetto mediante la sostituzione della scala. La copertura è stata rifatta, con l’inserimento di due lucernari e di un abbaino per illuminare il sottotetto. Non è stato previsto il cappotto esterno, per non alterare i caratteri architettonici originari dell’edificio, ma sono state posizionate delle contropareti interne. I calcoli strutturali e antisismici necessari per l’intervento di ristrutturazione sono stati effettuati in relazione all’intero edificio.
9. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni:
   (a) l’art. 9, comma 1-d, della legge 10/1977, ora riprodotto nell’art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001, esonera dal contributo di costruzione gli edifici unifamiliari, ma non contiene una definizione di questa categoria di edifici. Tuttavia, qualche indicazione si può ricavare dal contesto, che elenca altri interventi edilizi agevolati, tutti chiaramente caratterizzati dalla presenza di profili di interesse pubblico;
   (b) per collocare nella giusta prospettiva le norme sopra citate è quindi necessario partire dal presupposto che l’esonero dal contributo di costruzione è un beneficio speciale, di stretta interpretazione. La perdita di gettito per le finanze pubbliche è trasferibile alla fiscalità generale solo se collegata a situazioni particolari, esattamente verificabili e controllabili;
   (c) può essere utile a questo scopo il confronto con un’altra fattispecie di esenzione, quella riferita agli interventi in zona agricola. Per questi interventi l’esenzione riguarda le “residenze” degli imprenditori agricoli, mentre al di fuori delle zone agricole il riferimento, come si è visto, è agli “edifici unifamiliari”. Solo nel primo caso il legislatore utilizza un criterio funzionale, senza richiedere verifiche sulle caratteristiche degli edifici, evidentemente perché viene ritenuto necessario nell’interesse dell’attività agricola che gli imprenditori agricoli possano sempre risiedere nello stesso luogo in cui si trovano i fondi da coltivare;
   (d) dove invece si parla di edifici unifamiliari risulta implicita una duplice condizione, ossia che si tratti di edifici, e quindi di costruzioni strutturalmente autonome, e che le dimensioni e la distribuzione degli spazi interni siano congruenti con la presenza di un solo nucleo familiare. Qui il legislatore non persegue finalità incentivanti. Le norme riflettono piuttosto la presunzione che i piccoli edifici residenziali richiedano meno opere di urbanizzazione rispetto alle altre costruzioni. In questi termini, le minori entrate per le finanze pubbliche rimangono confinate a ipotesi ben delimitate e facilmente prevedibili in sede di pianificazione urbanistica;
   (e) appare pertanto corretta l’interpretazione dell’art. 9, comma 1-d, della legge 10/1977 fornita dal Comune nella deliberazione della giunta n. 995 di data 05.04.1978, con il doppio criterio strutturale e funzionale. Parimenti corretta risulta l’esclusione delle case a schiera dalla nozione di edificio unifamiliare. È vero che ciascun modulo è funzionalmente autonomo, ma la struttura dell’edificio è data dalla somma dei vari moduli, e l’impatto complessivo dell’edificazione, come pure il suo valore economico, supera ampiamente l’ordine di grandezza degli edifici destinati a una singola famiglia. Non vi è più alcuna proporzione, e del resto sarebbe irragionevole utilizzare una previsione speciale riguardante i piccoli edifici residenziali per esonerare dal contributo di costruzione importanti interventi di trasformazione del territorio;
   (f) se un edificio non può essere qualificato come unifamiliare quando viene costruito, non è ammissibile che porzioni dello stesso vengano poi considerate edifici unifamiliari quando sono sottoposte singolarmente a ristrutturazione o manutenzione. Per accedere ai benefici fiscali è necessario che una previsione normativa deroghi all’art. 9, comma 1-d, della legge 10/1977 e all’art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001, equiparando agli edifici unifamiliari le unità immobiliari funzionalmente indipendenti situate all'interno di edifici plurifamiliari. Questo è avvenuto, ad esempio, con l’art. 119 del DL 19.05.2020 n. 34, che però vale unicamente ai fini della detrazione del 110 per cento per gli interventi di efficientamento energetico e gli altri lavori ivi indicati;
   (g) quanto sopra esposto è riferibile a maggior ragione all’edificio in esame, che è stato progettato come strutturalmente unitario, con una connessione tra le varie porzioni superiore a quella normalmente riscontrabile nelle case a schiera. Anche i caratteri architettonici sono i medesimi per ogni porzione, circostanza che ha impedito la realizzazione del cappotto esterno. L’edificio si trova sostanzialmente in una condizione analoga a quella dei condomini, con la sola variante che tutti gli appartamenti dispongono di un ingresso separato, e non sono presenti scale comuni;
   (h) non può essere accolta neppure la domanda subordinata, relativa al rimborso degli oneri di urbanizzazione. Come si è visto sopra, infatti, la ristrutturazione ha consentito di recuperare a un uso più intenso alcuni locali, grazie alla modifica della scala della soffitta e all’inserimento di finestre nelle pareti e di un abbaino e lucernari sulla copertura. In questo modo, il sottotetto e gli spazi in precedenza privi dei rapporti aeroilluminanti possono essere pienamente sfruttati a fini residenziali. Di qui l’incremento del carico urbanistico e la necessità di versare i corrispondenti oneri di urbanizzazione.
10. In conclusione, il ricorso deve essere respinto (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 15.02.2021 n. 154 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATAOggetto: Risposta a quesito su definizione di edificio unifamiliare e sulle piscine che non hanno caratteristiche di pertinenza (Regione Emilia Romagna, nota 10.12.2020 n. 816255 di prot.).
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Con il quesito si pongono due questioni:
   1. se nella definizione di edificio unifamiliare sono ricomprese anche unità facenti parti di abitazioni bifamiliari, villette a schiera, case in linea, appartamenti posti al piano terra di condomini con accesso indipendente,
   2. se, in relazione al parere espresso il 24.06.2020 (PG 2020/463171 inerente l’onerosità di piscine scoperte private di pertinenza di edifici residenziali), come debba essere considerata la piscina se la superficie supera il 20% del volume dell'edificio principale e subordinatamente a quale titolo edilizio debba essere costruita. (...continua).

EDILIZIA PRIVATACirca l’operatività della previsione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001 che esonera dal pagamento del contributo di costruzione “gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”, deve ribadirsi che trattasi di previsione “di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore)”, in quanto derogatoria alla regola generale che impone la corresponsione del contributo quale “obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia” e, in particolare, quale “corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo manufatto”.
L’esenzione in esame rinviene la propria ratio in esigenze di “natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile alle necessità abitative del nucleo familiare: l'edificio unifamiliare, nell'accezione socio economica assunta dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato”.
Lo conferma, con articolata motivazione, il TAR per il Veneto osservando come:
   i) la Corte Costituzionale abbia “costantemente affermato che l'onerosità del permesso di costruire costituisce un principio generale”; le “eccezioni al suddetto principio devono, pertanto, essere oggetto di interpretazione restrittiva, conforme alla ratio dell'esenzione”;
   ii) “tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo contributivo contenute nell'art. 17 DPR 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente”; non può, pertanto, “fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b […] che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è preposta”;
    iii) secondo un orientamento giurisprudenziale condiviso si deve rinvenire la ratio dell’esenzione “nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede”;
   iv) la nozione di “edificio unifamiliare” richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide “con la piccola proprietà immobiliare” poiché “soltanto ove presenti tali caratteri appare meritevole di un trattamento differenziato”.
In sostanza, la disposizione in esame ha “la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione”. La disposizione è, quindi, diretta “a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l'operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l'entità strutturale e la dimensione spaziale dell'immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico”.
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8. La questione giuridica all’attenzione del Collegio riguarda l’operatività nel caso di specie della previsione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001 che esonera dal pagamento del contributo di costruzione “gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
8.1. Si tratta di previsione “di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore)” (TAR per la Lombardia – sede di Brescia, sez. I, 26.04.2018, n. 449), in quanto derogatoria alla regola generale che impone la corresponsione del contributo quale “obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia” (cfr., ex aliis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 07.02.2017, n. 728), e, in particolare, quale “corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo manufatto” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 29.10.2015, n. 4950).
8.2. L’esenzione in esame rinviene la propria ratio in esigenze di “natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile alle necessità abitative del nucleo familiare: l'edificio unifamiliare, nell'accezione socio economica assunta dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato” (TAR per la Lombardia – sede di Brescia, sez. I, 26.04.2018, n. 449; TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. IV, 02.07.2014, n. 1707).
8.3. Lo conferma, con articolata motivazione, il TAR per il Veneto osservando come:
   i) la Corte Costituzionale abbia “costantemente affermato che l'onerosità del permesso di costruire costituisce un principio generale”; le “eccezioni al suddetto principio devono, pertanto, essere oggetto di interpretazione restrittiva, conforme alla ratio dell'esenzione”;
   ii) “tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo contributivo contenute nell'art. 17 DPR 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente”; non può, pertanto, “fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b […] che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è preposta”;
    iii) secondo un orientamento giurisprudenziale condiviso dalla pronuncia in esame si deve rinvenire la ratio dell’esenzione “nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede”;
   iv) la nozione di “edificio unifamiliare” richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide “con la piccola proprietà immobiliare” poiché “soltanto ove presenti tali caratteri appare meritevole di un trattamento differenziato (TAR sez. I, Brescia, 26/04/2018, n. 449 nel medesimo senso si cfr. anche TAR Toscana, Sez. III, 26.04.2017 n. 616, TAR Campania, Salerno, Sez. I, 22.06.2015 n. 1416, TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 21.11.2014 n. 2180 e TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 02.07.2014 n. 1707)” (TAR per il Veneto, Sez. II, 05.03.2019, n. 289).
8.4. In sostanza, la disposizione in esame ha “la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 11.10.2006, n. 6065). La disposizione è, quindi, diretta “a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l'operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l'entità strutturale e la dimensione spaziale dell'immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico” (TAR per la Lombardia – sede di Brescia, sez. I, 26.04.2018, n. 449).
8.5. Tracciati i principi ermeneutici affermati dalla giurisprudenza formatasi in materia può, quindi, procedersi a declinare gli stessi al caso di specie.
8.6. A tal fine si osserva come l’intervento in esame consista nella ristrutturazione integrale dell’intero edificio prevedendosi la demolizione completa delle strutture interne (murature, solai, scale interne) con il solo mantenimento delle murature perimetrali esterne, la demolizione della copertura esistente e la realizzazione di una nuova copertura, la realizzazione di una torretta al piano secondo adibita a studio, il rifacimento di tutti gli impianti (elettrici, idro-sanitari, di riscaldamento e raffrescamento), l’ampliamento dell’autorimessa esistente fuori terra, la realizzazione di un pergolato in profilati in ferro (allineato con la copertura dell’autorimessa), e, in ultimo, la realizzazione di una nuova centrale termica.
8.7. Si tratta, pertanto, di un intervento che comporta, in sostanza, il rifacimento pressoché integrale dell’immobile e comporta, con ogni evidenza, un incremento significativo del valore dello stesso. E ciò a prescindere dall’utilizzo dell’aggettivo “pesante” di cui il Comune fa uso e sul quale si incentrano parte delle argomentazioni difensive del ricorrente. Si osserva, infatti, come l'obbligazione al pagamento del contributo di costruzione costituisca una prestazione imposta “che sorge al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge, la quale determina altresì integralmente i suoi contenuti, secondo lo schema legge-fatto-effetto” (TAR per il Veneto, Sez. II, 05.03.2019, n. 289).
L’uso dell’aggettivo non serve, infatti, ad effettuare una distinzione tipologica ma descrive la sostanziale portata dell’intervento che, come emerge dalla documentazione in atti, muta l'entità strutturale dell’immobile e determina, come detto, un incremento significativo del valore economico dello stesso. L’intervento non si esaurisce, infatti, in un’opera di adeguamento volta a soddisfare le esigenze familiari ma segna un notevole incremento del valore di mercato dell’immobile stante la pluralità di opere previste e l’entità del rifacimento complessivamente considerato. Né le considerazioni esposte vengono meno in ragione della variante alla S.C.I.A. del 2017 presentata in data 23.03.2018.
Si tratta, infatti, di un titolo che si limita a prevedere una lieve diminuzione volumetrica dell’intervento originariamente previsto con riferimento al secondo piano dell’edificio e, quindi, alla “torretta” originariamente prevista che non si intende più realizzare. Restano, invece, invariati gli altri interventi di ristrutturazione oggetto dell’originaria S.C.I.A. Di conseguenza, la lieve diminuzione volumetrica non comporta il degradare dell’opera ad intervento esente ex articolo 17, comma 3, lett. b), del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, non modificandosi in modo rilevante il complessivo aumento di valore dell’immobile che l’insieme di opere in esame suscita.
9. Le considerazioni esposte conducono a ritenere legittimi i provvedimenti specifici adottati dall’Amministrazione nella vicenda in esame ed evidenziano, altresì, l’inammissibilità dei motivi afferenti alla deliberazione della Giunta comunale n. 103 del 2017, come correttamente eccepito dal Comune. La pretesa comunale non si fonda, infatti, sui contenuti di simile atto ma, al contrario, sulle caratteristiche dell’intervento e sulla non operatività dell’esenzione per le ragioni ritenute legittime dal Collegio.
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso in parte qua non trattandosi di atto che incide sull’obbligazione in esame con conseguente carenza di interesse alla decisione delle censure articolate in relazione a tale deliberazione.
10. In definitiva il ricorso deve essere dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.06.2020 n. 1204 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Contributo di costruzione: esonero per interventi su edifici unifamiliari.
L'esonero dal versamento del contributo di costruzione per interventi di ristrutturazione e ampliamento di edifici unifamiliari si applica solo alla “piccola proprietà immobiliare” e la base di calcolo della percentuale di ampliamento ammissibile non comprende i vani accessori.
L'onerosità del permesso di costruire costituisce un principio generale del nostro ordinamento (art. 16, d.P.R. n. 380/2001); le eccezioni al suddetto principio devono, pertanto, essere oggetto di interpretazione restrittiva, conforme alla ratio dell'esenzione.
Tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo contributivo contenute nell'art. 17 d.P.R. n. 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b –secondo cui "il contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari"- che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è preposta.
Come affermato dalla giurisprudenza maggioritaria, la ratio dell'esenzione di cui all'art. 17, c. 3, lett. b), va rinvenuta nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di "edificio unifamiliare" richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide "con la piccola proprietà immobiliare" poiché soltanto ove presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato.
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla compartecipazione alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è correlato all'aumento di valore che consegue all'intervento. Pertanto, si giustifica la sottrazione all'imposizione dell'aumento di valore che la famiglia consegue per effetto della ristrutturazione solo per le finalità di ordine sociale sopra individuate.
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Nel caso di specie, queste finalità non possono ritenersi sussistenti, tenuto conto delle dimensioni del fabbricato, ancorché unifamiliare -stante il consistente numero di vani (14)- e della rilevanza dell'intervento, realizzato mediante demolizione e ricostruzione.
Con riguardo a quest’ultimo aspetto va richiamata la pronuncia della Corte Costituzionale del 26.06.1991 n. 296 avente ad oggetto la previgente previsione di cui all'art. 9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 che -analogamente all’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001- esonerava dal contributo "gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari".
La Corte Costituzionale con questa sentenza interpretativa di rigetto ha escluso l’illegittimità della norma, nella parte in cui non comprendeva, nella previsione di esenzione dal contributo, accanto all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per cento, anche quella dell'integrale ricostruzione del fabbricato demolito, adibito ad abitazione unifamiliare, su area immediatamente adiacente.
In quell’occasione, la Corte ha osservato che, ai fini del riconoscimento dell’esonero in questione, “il concetto di ristrutturazione mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo” ed ha ritenuto quindi pienamente giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale ricostruzione.
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Con provvedimento del 26.02.2015 il Comune di Monasterolo di Savigliano ha confermato al sig. Mi.Me. la richiesta di pagamento del costo di costruzione -già oggetto della nota adottata in data 30.04.2014- per un importo di euro 12.047,10, relativo a lavori di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione di un fabbricato destinato ad abitazione, realizzati con DIA n. 1161 dell’08.04.2014.
Il sig. Me. ha impugnato il provvedimento unitamente altri atti indicati in epigrafe per i seguenti motivi:
   I. violazione e falsa applicazione dell’art. 17, c. 3, lett. b), d.P.R. n. 380/2001;
   II. violazione dell’art. 3, l. n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione.
Il ricorrente ha quindi domandato la restituzione della somma versata.
...
Con il provvedimento impugnato il Comune di Monasterolo di Savigliano ha ritenuto che l’intervento edilizio realizzato dal sig. Me. sia soggetto al pagamento del costo di costruzione, escludendo che trovi applicazione l’art. 17, c. 3, lett. b), d.P.R. n. 380/2001: tale previsione esonera dal pagamento del contributo di costruzione le sole opere di adeguamento della piccola proprietà immobiliare, ha natura eccezionale e non trova applicazione con riferimento alle ristrutturazioni attuate mediante demolizione e ricostruzione, come quelle di cui alla DIA presentata dal sig. Me..
Il ricorrente ha contestato questa decisione, deducendo i vizi di violazione dell’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001, di difetto di motivazione e istruttoria, poiché non sarebbero state prese in considerazione le osservazioni che ha presentato nel corso del procedimento.
Ad avviso del ricorrente, la previsione di cui all’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001 -in mancanza di limitazioni poste dal legislatore quanto a superficie, volume o numero di vani- troverebbe applicazione per tutti gli edifici destinati all’uso abitativo di un solo nucleo familiare, indipendentemente dalle dimensioni degli stessi; inoltre gli interventi di demolizione e ricostruzione di un fabbricato, con la stessa volumetria, nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza, sono qualificati dall’art. 3, d.P.R. n. 380/2001 quali ristrutturazioni e rientrerebbero, pertanto, nell’ambito di applicazione della previsione di cui all’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001.
Né la deliberazione del Consiglio Regionale del 21.06.1994 n. 817-8294, richiamata dall’amministrazione comunale, troverebbe applicazione nelle ipotesi ricomprese nell’esenzione prevista dall’art. 17.
Il ricorso è infondato e ciò rende superfluo l'esame delle eccezioni di rito sollevate dall'amministrazione resistente.
L'onerosità del permesso di costruire costituisce un principio generale del nostro ordinamento (art. 16, d.P.R. n. 380/2001; Corte Costituzionale, 03/11/2016, n. 231; 01/10/2003, n. 303); le eccezioni al suddetto principio devono, pertanto, essere oggetto di interpretazione restrittiva, conforme alla ratio dell'esenzione.
Tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo contributivo contenute nell'art. 17 d.P.R. n. 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b –secondo cui "il contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari"- che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è preposta.
Come affermato dalla giurisprudenza maggioritaria che questo Collegio condivide, la ratio dell'esenzione di cui all'art. 17, c. 3, lett. b), va rinvenuta nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di "edificio unifamiliare" richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide "con la piccola proprietà immobiliare" poiché soltanto ove presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato (TAR Veneto, sez. II, 05/03/2019, n. 289; TAR sez. I, Brescia, 26/04/2018, n. 449; TAR Toscana, Sez. III, 26.04.2017 n. 616, TAR Campania, Salerno, Sez. I, 22.06.2015 n. 1416, TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 21.11.2014 n. 2180 e TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 02.07.2014 n. 1707).
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla compartecipazione alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è correlato all'aumento di valore che consegue all'intervento. Pertanto, si giustifica la sottrazione all'imposizione dell'aumento di valore che la famiglia consegue per effetto della ristrutturazione solo per le finalità di ordine sociale sopra individuate.
Nel caso di specie, queste finalità non possono ritenersi sussistenti, tenuto conto delle dimensioni del fabbricato, ancorché unifamiliare -stante il consistente numero di vani (14)- e della rilevanza dell'intervento, realizzato mediante demolizione e ricostruzione (cfr. TAR Napoli, Campania sez. VIII, 09/05/2012, n. 2136).
Con riguardo a quest’ultimo aspetto va richiamata la pronuncia della Corte Costituzionale del 26.06.1991 n. 296 avente ad oggetto la previgente previsione di cui all'art. 9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 che -analogamente all’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001- esonerava dal contributo "gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari".
La Corte Costituzionale con questa sentenza interpretativa di rigetto (richiamata anche dall’amministrazione comunale nella nota del 01.09.2014) ha escluso l’illegittimità della norma, nella parte in cui non comprendeva, nella previsione di esenzione dal contributo, accanto all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per cento, anche quella dell'integrale ricostruzione del fabbricato demolito, adibito ad abitazione unifamiliare, su area immediatamente adiacente.
In quell’occasione, la Corte ha osservato che, ai fini del riconoscimento dell’esonero in questione, “il concetto di ristrutturazione mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo” ed ha ritenuto quindi pienamente giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale ricostruzione.
Il provvedimento impugnato non viola pertanto la previsione di cui all’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001.
Esso è inoltre supportato da adeguata istruttoria e sufficientemente motivato, indicando le ragioni poste a fondamento della decisione sia nella nota del 01.09.2014 sia nel parere legale richiamato per relationem nel provvedimento del 26.02.2015. Né può ritenersi necessaria una ulteriore analitica confutazione delle osservazioni presentate dalla parte privata il 26.01.2015, con cui è stato solamente ribadito quanto precedentemente affermato con la nota presentata in Comune il 26.08.2014.
Per le ragioni esposte il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 26.05.2020 n. 322 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATA: Nozione di edificio unifamiliare.
La ratio dell’esenzione di cui all’art. 17, c. 3, lett. b), DPR 390/2001 si rinviene nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di “edificio unifamiliare” richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide “con la piccola proprietà immobiliare” poiché soltanto ove presenti tali caratteri appare meritevole di un trattamento differenziato.

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4. Con il secondo motivo, il ricorrente contesta che l’Amministrazione abbia diritto di pretendere il pagamento del contributo, anche ove l’intervento sia qualificabile come ristrutturazione edilizia, ostandovi il disposto dell’art. 17, c. 3, lett. b), DPR 380/2001. La disposizione prevede, infatti, un’ipotesi di esenzione dal contributo per gli interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari, quale sarebbe quello oggetto di causa.
Afferma, inoltre, che l’opzione interpretativa invalsa in giurisprudenza secondo cui l’esenzione si giustificherebbe come “aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore spazio per la propria decorosa sistemazione abitativa” non troverebbe riscontro nel dato normativo e sarebbe, pertanto, non percorribile, anche alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 231 del 03.11.2016.
4.1 La tesi non persuade.
4.2 Invero la stessa Corte costituzionale ha costantemente affermato che l’onerosità del permesso di costruire costituisce un principio generale. Le eccezioni al suddetto principio devono, pertanto, essere oggetto di interpretazione restrittiva, conforme alla ratio dell’esenzione.
4.3 Va osservato che tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall’obbligo contributivo contenute nell’art. 17 DPR 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un positivo impatto sull’ambiente. Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b (“Il contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”) che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è preposta.
4.4 Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento che riviene la ratio dell’esenzione di cui all’art. 17, c. 3, lett. b), nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di “edificio unifamiliare” richiamata dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide “con la piccola proprietà immobiliare” poiché soltanto ove presenti tali caratteri appare meritevole di un trattamento differenziato (TAR sez. I, Brescia, 26/04/2018, n. 449 nel medesimo senso si cfr. anche TAR Toscana, Sez. III, 26.04.2017 n. 616, TAR Campania, Salerno, Sez. I, 22.06.2015 n. 1416, TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 21.11.2014 n. 2180 e TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 02.07.2014 n. 1707).
4.5 D’altronde il presupposto del contributo di costruzione, se per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla compartecipazione alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall’intervento genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è correlato all’aumento di valore che consegue all’intervento.
Pertanto, si giustifica la sottrazione all’imposizione dell’aumento di valore che la famiglia consegue per effetto della ristrutturazione solo per le finalità di ordine sociale sopra individuate che, nel caso di specie, tenuto conto delle dimensioni del fabbricato, del suo pregio storico-monumentale e della rilevanza dell’intervento, non ricorrono.
4.6 I principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 231/2016, inoltre, sono del tutto inconferenti rispetto alla fattispecie in esame. La Corte si è pronunciata sulla legittimità costituzionale di norme di legge regionale con cui era stata estesa la portata applicativa delle fattispecie di esenzione previste dall’art. 17 DPR 380/2001 e si è limitata a valutare se le suddette disposizioni avessero travalicato i limiti individuati dalla norma statale di principio e, per tale via, violato l’art. 117, c. III, Cost. Nulla, invece, ha affermato sull’interpretazione delle fattispecie di esenzione.
Inoltre, neppure rileva, ai fini dell’interpretazione della norma in esame, il riferimento contenuto nella sentenza all’aumento di carico urbanistico, dovuto alla previsione normativa costituente il parametro interposto di legittimità costituzionale, ossia l’art. 17, c. 4, che prevede una riduzione del contributo per le opere di manutenzione straordinaria che comportino aumento del carico urbanistico (all’art. 6, comma 2, lett. a TUE) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 05.03.2019 n. 289 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2018

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo concessorio (comprendente oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è un’obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia ed è qualificabile come corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo manufatto.
Le disposizioni che regolano la fattispecie si rinvengono negli artt. 16 e 17 del DPR 380/2001.
L’art. 16, (rubricato “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”), dispone al comma 1 che “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo e fatte salve le disposizioni concernenti gli interventi di trasformazione urbana complessi di cui al comma 2-bis”.
Ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. b), il contributo di costruzione non è dovuto “per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”. Nel caso di specie, è pacifica la natura dell’intervento, consistente nella ristrutturazione con incremento realizzato nel rispetto del limite del 20% (cfr. memoria di costituzione del Comune, pag. 5).
La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell’art. 9, comma 1, della L. 28/01/1977 n. 10, “in relazione al quale la giurisprudenza aveva avuto modo di chiarire che il carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche dell’edificio, in ragione del volume, della superficie, del numero e della funzione e caratteristica dei vani, in rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da parte di un unico nucleo familiare”.
E’ stato tuttavia nello specifico osservato che l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione.
La disposizione è diretta dunque a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
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In linea generale, la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza ha statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare: l’edificio unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato.
Il Collegio ritiene di aderire a tale orientamento. Anche secondo questo TAR, l’esenzione in esame si giustifica come aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore spazio per la propria decorosa sistemazione abitativa.
La giurisprudenza recente ha parimenti sostenuto che “la ratio che ispira la specifica esenzione ha un fondamento sociale, con l’effetto che la nozione di edificio unifamiliare non deve avere una accezione strutturale ma socio-economica, coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole per gli interventi di ristrutturazione dell’abitazione di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie …” (e in quel caso si è stabilito che la suddetta esenzione non può trovare applicazione in una fattispecie relativa a una villa di 19 vani con una superficie di 638,41 mq.).
Accedendo a tale approccio interpretativo, anche il TAR Campania Salerno, sez. I – 22/06/2015 n. 1416 ha desunto l’estraneità della fattispecie affrontata (si controverteva dell’intervento su un fabbricato di 13 vani, avente volumetria complessiva di mc. 1.338,78, distribuiti su tre livelli) all’alveo applicativo della norma invocata, “proprio in considerazione delle rilevate caratteristiche costruttive e dimensionali dell’edificio ancorché unifamiliare”.
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La Società ricorrente, che ha ottenuto il titolo abilitativo per i lavori di ristrutturazione e ampliamento di un edificio unifamiliare, censura la pretesa del Comune di applicare il contributo sul costo di costruzione.
La controversia ha quindi ad oggetto un giudizio di accertamento negativo in ordine all’obbligazione pecuniaria relativa al pagamento del contributo di costruzione, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, rispetto alla quale gli atti di liquidazione sono privi di contenuto ed effetti provvedimentali (Consiglio di Stato, sez. IV – 01/02/2017 n. 425).
Il gravame è infondato e deve essere rigettato.
0. Il Collegio richiama anzitutto i principi giurisprudenziali elaborati nella materia controversa, per cui il contributo concessorio (comprendente oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è un’obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 07/02/2017 n. 728) ed è qualificabile come corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo manufatto (Consiglio di Stato, sez. IV – 29/10/2015 n. 4950).
1. Le disposizioni che regolano la fattispecie si rinvengono negli artt. 16 e 17 del DPR 380/2001.
L’art. 16, (rubricato “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”), dispone al comma 1 che “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo e fatte salve le disposizioni concernenti gli interventi di trasformazione urbana complessi di cui al comma 2-bis”.
Ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. b), il contributo di costruzione non è dovuto “per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”. Nel caso di specie, è pacifica la natura dell’intervento, consistente nella ristrutturazione con incremento realizzato nel rispetto del limite del 20% (cfr. memoria di costituzione del Comune, pag. 5).
2. La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell’art. 9, comma 1, della L. 28/01/1977 n. 10, “in relazione al quale la giurisprudenza (cfr. TAR 07.09.1999 n. 770; TAR Veneto 30.3.1996 n. 480) aveva avuto modo di chiarire che il carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche dell’edificio, in ragione del volume, della superficie, del numero e della funzione e caratteristica dei vani, in rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da parte di un unico nucleo familiare” (cfr. TAR Brescia, sez. I – 13/05/2011 n. 713).
3. E’ stato tuttavia nello specifico osservato (cfr. sentenza Sezione 10/08/2012 n. 1446, che risulta appellata) che l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione (Consiglio di Stato, sez. IV – 11/10/2006 n. 6065).
La disposizione è diretta dunque a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
Sostiene la difesa comunale che la ricorrente ha ristrutturato un edificio dismesso che ospitava più famiglie, per favorire l’esercizio di un’attività di ristorazione (e quindi a fini di lucro), e che solo il particolare momento congiunturale non ha consentito di individuare una figura professionale per la gestione dell’attività, cosicché la proprietà ha scelto di riconvertire l’immobile a residenza.
Detto ordine di idee merita di essere condiviso.
4. Osserva il Collegio che, in linea generale, la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VIII – 09/05/2012 n. 2136) ha statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare: l’edificio unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato (TAR Lombardia Milano, sez. IV – 02/07/2014 n. 1707).
5. Il Collegio ritiene di aderire a tale orientamento. Anche secondo questo TAR (cfr. sez. I – 21/11/2014 n. 2180), l’esenzione in esame si giustifica come aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore spazio per la propria decorosa sistemazione abitativa.
La giurisprudenza recente (cfr. TAR Toscana, sez. III – 26/04/2017 n. 616), ha parimenti sostenuto che “la ratio che ispira la specifica esenzione ha un fondamento sociale, con l’effetto che la nozione di edificio unifamiliare non deve avere una accezione strutturale ma socio-economica, coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole per gli interventi di ristrutturazione dell’abitazione di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie …” (e in quel caso si è stabilito che la suddetta esenzione non può trovare applicazione in una fattispecie relativa a una villa di 19 vani con una superficie di 638,41 mq.).
Accedendo a tale approccio interpretativo, anche il TAR Campania Salerno, sez. I – 22/06/2015 n. 1416 ha desunto l’estraneità della fattispecie affrontata (si controverteva dell’intervento su un fabbricato di 13 vani, avente volumetria complessiva di mc. 1.338,78, distribuiti su tre livelli) all’alveo applicativo della norma invocata, “proprio in considerazione delle rilevate caratteristiche costruttive e dimensionali dell’edificio ancorché unifamiliare”.
6. Alla luce delle suindicate premesse, nella fattispecie all’esame del Collegio non risultano sussistere i presupposti delineati dalla norma.
Come ha osservato l’amministrazione (cfr. memoria finale, pag. 7), senza repliche sul punto della parte ricorrente, prima dell’ampliamento l’edificio inserito nella corte agricola era disposto su tre piani, con un piano terra avente cinque ampie stanze, con bagno e locale sottoscala (per una superficie complessiva di 181,30 m²), un primo piano dotato di quattro stanze grandi e due bagni (per 178,55 m²), e un piano secondo mansardato con tre ampie stanze, per una superficie di 128,75 m².
Con la ristrutturazione, al piano terra sono state realizzate –in ampliamento– una cucina per 78 m², una dispensa con cella frigorifera, una cantina e la zona raccolta e lavaggio del pentolame; un locale ricevimento, due sale ristorante estese, un locale filtro, due bagni con antibagno, due spogliatoi con doccia e servizio igienico oltre a vani tecnici.
Al primo piano, uno spazio conversazione con bar e guardaroba, tre ampie sale ristorante, un locale filtro, due percorsi sporco/pulito, servizi clienti con accesso a due servizi igienici, un vano scala, una terrazza abitabile, una piattaforma elevatrice; al piano secondo, cinque vani tecnici, un corridoio, un vano scala, una piattaforma elevatrice, tre grandi stanze ciascuna con bagno, un vano di servizio.
Ha puntualizzato la difesa comunale che, con il mutamento di destinazione d’uso da ristorante ad abitazione, le planimetrie non sono state incise, salvo il diverso uso dei locali (dalle sale ristorante alle stanze o soggiorni, dagli spogliatoi alle lavanderie, dagli spazi per conversazione o ricevimento ai corridoi, di ben 32 e 39 m²).
7. Lo scopo di lucro perseguito con la ristrutturazione (connesso alla previsione di numerosi ambienti destinati alla ristorazione) si rivela concreto e non meramente potenziale, avendo la proprietà attivamente cercato un acquirente (si veda l’articolo pubblicato sul giornale locale il 16/12/2016 –allegato n. 12 del Comune– che dà conto della volontà di affidare la gestione della villa come “ristorante o come fastosa residenza per feste, ricevimenti, convegni, o servizi di catering”).
Dunque, l’immobile è stato posto in vendita per un utilizzo commerciale successivamente alla conversione (senza opere) della destinazione in residenziale. In aggiunta a tale riflessione, si osserva che le ingenti dimensioni (classificazione A/7 con oltre 18 vani) impediscono di qualificare il fabbricato come semplice abitazione, trattandosi di un’unità molto ampia con i tratti dell’immobile di lusso, e dunque di una realtà strutturale incompatibile con le caratteristiche delineate dalla giurisprudenza per il riconoscimento del beneficio dell’esenzione (si ribadisce: la decorosa sistemazione del nucleo familiare).
8. In conclusione, la pretesa avanzata è infondata e deve essere respinta (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 26.04.2018 n. 449 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATAÈ vero che l’art. 17, comma 3, lett. b) del DPR n. 380 del 2001 prevede che il contributo di costruzione non è dovuto “per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
Tuttavia la giurisprudenza ha chiarito che la ratio che ispira la specifica esenzione ha un fondamento sociale, con l’effetto che la nozione di edificio unifamiliare non deve avere una accezione strutturale ma socio-economica, coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole per gli interventi di ristrutturazione dell’abitazione di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie.
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11 – Con il secondo mezzo parte ricorrente evidenzia che in relazione alle pratiche edilizie nn. 166/2012 e 259/2013 non sono dovuti i contributi connessi al costo di costruzione, avendo le dette pratiche interessato l’edificio A con interventi di ristrutturazione su edificio unifamiliare.
La censura è infondata.
È vero che l’art. 17, comma 3, lett. b), del DPR n. 380 del 2001 prevede che il contributo di costruzione non è dovuto “per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari” e che analoga previsione è contenuta nell’art. 124 della legge regionale n. 1 del 2005; tuttavia la giurisprudenza ha chiarito che la ratio che ispira la specifica esenzione ha un fondamento sociale, con l’effetto che la nozione di edificio unifamiliare non deve avere una accezione strutturale ma socio-economica, coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole per gli interventi di ristrutturazione dell’abitazione di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie (TAR Milano, sez. 2^, 10.10.1996, n. 1480); ne consegue che la suddetta esenzione non può trovare applicazione nella presente fattispecie, relativa a villa di 19 vani e superficie di mq 638,41 (cfr. nota comunale depositata il 31.01.2017) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 26.04.2017 n. 616 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I ricorrenti hanno effettuato una ristrutturazione edilizia “leggera” senza demolire e ricostruire l’edificio, senza aumentare la superficie, il volume ed il numero di unità immobiliari, senza mutare la destinazione d’uso. E’ stato realizzato un nuovo bagno al piano primo.
Siccome costruito prima del 1975, l’edificio era già abitabile su entrambi i piani, sebbene i locali fossero, prima della ristrutturazione, di altezza interna pari a 2,55 mt. (e perciò inferiore all’altezza minima di 2,70 mt. prescritta dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975).
L’intervento di ristrutturazione ha consentito di ottenere, per tutti i piani, un’altezza di 2,70 mt. mediante la demolizione e ricostruzione delle solette interne. Ma ciò non ha determinato un incremento del carico urbanistico, come erroneamente ritenuto dal Comune.
Di talché, il suddetto intervento edilizio deve intendersi gratuito.
Invero, il contributo di costruzione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
In caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico.
Nella specie, per il combinato disposto dell’art. 22, terzo comma – lett. a) e quinto comma, e dell’art. 10, primo comma – lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001, l’intervento non è soggetto a contributo di costruzione.
Peraltro, la gratuità dell’intervento discende (anche) dalla previsione dell’art. 17, terzo comma – lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, relativo alle ristrutturazioni di edifici unifamiliari.
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... per l'accertamento
   - della gratuità dell’intervento di ristrutturazione edilizia oggetto della d.i.a. del 26.11.2010 n. 2033, relativa all’edificio in via ... n. 39 – Cambiano;
   - per l’annullamento del provvedimento prot. n. 791/956 in data 26.01.2011 a firma del responsabile del Servizio Edilizia Privata del Comune di Cambiano, che ha determinato il contributo in complessivi euro 9.749,35;
   - e per l’annullamento, ove occorra, delle delibere del Consiglio comunale di Cambiano n. 100 e n. 101 del 1977 e successivi aggiornamenti, nonché della deliberazione del Consiglio regionale n. 179/CR-4170 in data 26.05.1977;
...
I ricorrenti hanno presentato denuncia di inizio attività, in data 26.11.2010, per la ristrutturazione del fabbricato unifamiliare residenziale di loro proprietà in via ... n. 39.
Il progetto ha previsto il rifacimento del solaio del primo piano e del balcone, modifiche alla tramezzatura interna, il rifacimento degli intonaci e dei pavimenti, la modifica delle aperture esterne. Non sono stati realizzati incrementi di volume e superficie utile, né è aumentato il numero di unità immobiliari.
Con l’atto impugnato, il Comune di Cambiano ha determinato il contributo di costruzione, ai sensi dell’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, in euro 9.749,35.
I ricorrenti rivendicano la gratuità dell’intervento e deducono, in tal senso, la violazione degli artt. 11, 16, 17 e 22 del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché l’eccesso di potere sotto molteplici profili.
...
Il ricorso è fondato.
Con la d.i.a. n. 2033 del 2010, i ricorrenti hanno effettuato una ristrutturazione edilizia “leggera” senza demolire e ricostruire l’edificio, senza aumentare la superficie, il volume ed il numero di unità immobiliari, senza mutare la destinazione d’uso.
E’ stato realizzato un nuovo bagno al piano primo.
Siccome costruito prima del 1975, l’edificio era già abitabile su entrambi i piani, sebbene i locali fossero, prima della ristrutturazione, di altezza interna pari a 2,55 mt. (e perciò inferiore all’altezza minima di 2,70 mt. prescritta dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975).
L’intervento di ristrutturazione ha consentito di ottenere, per tutti i piani, un’altezza di 2,70 mt. mediante la demolizione e ricostruzione delle solette interne.
Ma ciò non ha determinato un incremento del carico urbanistico, come erroneamente ritenuto dal Comune.
Come è noto, il contributo di costruzione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
In caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico (cfr., tra molte, TAR Piemonte, sez. I, 13.12.2013 n. 1346).
Nella specie, la d.i.a. presentata dai ricorrenti non era alternativa al permesso di costruire.
Per il combinato disposto dell’art. 22, terzo comma – lett. a) e quinto comma, e dell’art. 10, primo comma – lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001, l’intervento non è soggetto a contributo di costruzione.
Peraltro, come correttamente affermato dai ricorrenti, la gratuità dell’intervento discende (anche) dalla previsione dell’art. 17, terzo comma – lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, relativo alle ristrutturazioni di edifici unifamiliari.
In conclusione, ed assorbite le ulteriori censure riferite al regolamento comunale sugli oneri di urbanizzazione ed alla delibera regionale n. 179/CR-4170 del 1977, il ricorso è fondato a va accolto (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 21.04.2017 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: Non può reputarsi "edificio unifamiliare" una casa di abitazione avente una volumetria complessiva di mc. 1.338,78, distribuiti su tre livelli, in categoria A/7, 13 vani.
L’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001) prevede l’esenzione dal contributo di costruzione “per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
L'esenzione in esame si giustifica come aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore spazio per la propria decorosa sistemazione abitativa.
Accedendo alla doverosa interpretazione della norma secundum rationem legis occorre inferire l’estraneità della fattispecie in esame all’alveo applicativo della norma invocata, proprio in considerazione delle rilevate caratteristiche costruttive e dimensionali dell’edificio ancorché unifamiliare.

... per l'annullamento:
a - del provvedimento di cui alla nota prot. n. 34045 del 04/03/2015, successivamente conosciuto, con il quale il Direttore del Settore Trasformazioni Edilizie - Sportello Unico dell'Edilizia - Ufficio Permessi di Costruire del comune di Salerno ha disposto che "per il rilascio del titolo edilizio di autorizzazione dell'intervento di ampliamento volumetrico, richiesto ai sensi del Piano Casa… è dovuto il contributo di costruzione di cui all'art. 16 D.P.R. 380/2001…" e, per l’effetto, ha negato la richiesta di esenzione invocata dal ricorrente ai sensi dell’art. 17 – comma 3, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001;
b – di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e consequenziali ivi compresi, ove e per quanto occorra ed ove lesivi, il parere dirigenziale n. 246/2012 e le delibere con le quali il Comune di Salerno ha determinato i criteri per il pagamento del contributo di costruzione
nonché per la declaratoria della non debenza della somma richiesta dalla P.A. a titolo di contributo di costruzione ricorrendo l’ipotesi di esenzione di cui all’art. 17 – comma 3 – lett. b), del D.P.R. n. 380/2001.
...
Con ricorso notificato in data 11.05.2015 e ritualmente depositato il 20 maggio successivo, il sig. V.S. impugna il provvedimento, meglio distinto in epigrafe, con il quale il Comune di Salerno ha disposto che è dovuto il pagamento del contributo di costruzione di cui all’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 ai fini del rilascio del titolo edilizio di autorizzazione all’ampliamento volumetrico ai sensi del Piano Casa, così negando la richiesta di esenzione invocata dal ricorrente in applicazione dell’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001.
Avverso tale atto, il ricorrente deduce, sotto distinti e concorrenti profili, i vizi della violazione di legge e dell’eccesso di potere, in quanto, come da orientamento di questa Tribunale, ricorrerebbero i presupposti per l’invocata esenzione quando, come nel caso di specie, si tratta di ampliamento non superiore al 20% di un edificio unifamiliare. Sarebbe stato altresì omesso il preavviso di diniego.
Si costituisce il Comune di Salerno al fine di resistere.
Alla camera di consiglio del 04.06.2015, rese edotte le parti, il ricorso è trattenuto in decisione semplificata, sussistendone i presupposti di legge.
Il ricorso è infondato.
La questione agitata in ricorso investe l’ambito applicativo della norma invocata dall’istante (dell’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001), laddove prevede l’esenzione dal contributo di costruzione “per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
Il diniego opposto dall’Ente civico contiene la seguente testuale motivazione: “la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l’onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico; la ratio che ispira la specifica esenzione, di cui all’art. 17 del D.P.R. 380/2001 ss.mm.ii., è di derivazione sociale e pertanto la nozione di edificio unifamiliare assunta dalla norma, non è nella sua accezione strutturale, ma socio-economica e coincide con la piccola proprietà immobiliare meritevole di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologia edilizie”.
Si controverte pertanto della corretta interpretazione della norma su citata, dovendosi decidere se l’intervento progettato dal ricorrente rientri o meno nel suo alveo applicativo, avuto riguardo alla particolare consistenza del fabbricato di sua proprietà, avendo una volumetria complessiva attuale di mc. 1.338,78, distribuiti su tre livelli, in categoria A/7, 13 vani.
A tal riguardo soccorrono i principi sanciti da recente giurisprudenza (TAR Lombardia-Brescia Sez. I, Sent., 21/11/2014, n. 1280), secondo cui “il contributo di cui si ragiona è un tributo propriamente detto perché ha natura di prestazione patrimoniale imposta per ragioni di pubblica utilità - così fra le molte C.d.S. sez. V 13.03.2014 n. 2438 e, nella giurisprudenza della Sezione, sez. I 03.05.2014 n. 464; di conseguenza, le ipotesi in cui esso non è dovuto hanno natura di esenzioni tributarie, di carattere eccezionale, e quindi insuscettibile di interpretazioni estensive ed analogiche, in quanto eccezioni al principio costituzionale di capacità contributiva, come ritenuto da costante giurisprudenza della Corte costituzionale, da ultimo 20.04.2012 n. 103, e nella fattispecie in esame in modo specifico da TAR Campania-Napoli sez. VIII 09.05.2012 n. 2136.
4. Ciò posto, si deve osservare che, sempre secondo la giurisprudenza -la decisione del TAR Napoli citata, nonché TAR Campania-Salerno, sez. I, 08.01.2013 n. 25 e TAR Marche 10.05.2012 n. 310- l'esenzione in esame si giustifica come aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore spazio per la propria decorosa sistemazione abitativa…
”.
Accedendo alla doverosa interpretazione della norma secundum rationem legis occorre inferire l’estraneità della fattispecie in esame all’alveo applicativo della norma invocata, proprio in considerazione delle rilevate caratteristiche costruttive e dimensionali dell’edificio ancorché unifamiliare
(TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 22.06.2015 n. 1416 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: Si controverte della corretta interpretazione dell’art. 17, comma 3, lettera b), T.U. 380/2001, secondo il quale, alla lettera, “Il contributo di costruzione non é dovuto:… b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari…”.
Si deve decidere allora se la norma si applichi al solo caso in cui l’intervento riguardi un edificio già in origine unifamiliare, ovvero anche al caso, che ricorre nella specie, come pacifico, in cui si accorpino più unità abitative in un edificio originariamente plurifamiliare e si crei un edificio unifamiliare come risultato finale.
Secondo giurisprudenza, l’esenzione in esame si giustifica come aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore spazio per la propria decorosa sistemazione abitativa: è quindi del tutto conforme a questa logica applicarla al solo caso di ampliamento dell’unità unifamiliare esistente, e non a quello per cui è causa, di accorpamento in una di più unità preesistenti.

Si controverte della corretta interpretazione dell’art. 17, comma 3, lettera b), T.U. 380/2001, secondo il quale, alla lettera, “Il contributo di costruzione non é dovuto:… b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari…”. Si deve decidere allora se la norma si applichi al solo caso in cui l’intervento riguardi un edificio già in origine unifamiliare, ovvero anche al caso, che ricorre nella specie, come pacifico, in cui si accorpino più unità abitative in un edificio originariamente plurifamiliare e si crei un edificio unifamiliare come risultato finale.
In proposito, si devono richiamare i principi già condivisi da questo Tribunale nella sentenza sez. I 23.10.2014 n. 1111: il contributo di cui si ragiona è un tributo propriamente detto perché ha natura di prestazione patrimoniale imposta per ragioni di pubblica utilità – così fra le molte C.d.S. sez. V 13.03.2014 n. 2438 e, nella giurisprudenza della Sezione, sez. I 03.05.2014 n. 464; di conseguenza, le ipotesi in cui esso non è dovuto hanno natura di esenzioni tributarie, di carattere eccezionale, e quindi insuscettibile di interpretazioni estensive ed analogiche, in quanto eccezioni al principio costituzionale di capacità contributiva, come ritenuto da costante giurisprudenza della Corte costituzionale, da ultimo 20.04.2012 n. 103, e nella fattispecie in esame in modo specifico da TAR Campania Napoli sez. VIII 09.05.2012 n. 2136.
Ciò posto, si deve osservare che, sempre secondo la giurisprudenza –la decisione del TAR Napoli citata, nonché TAR Campania Salerno sez. I 08.01.2013 n. 25 e TAR Marche 10.05.2012 n. 310- l’esenzione in esame si giustifica come aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore spazio per la propria decorosa sistemazione abitativa: è quindi del tutto conforme a questa logica applicarla al solo caso di ampliamento dell’unità unifamiliare esistente, e non a quello per cui è causa, di accorpamento in una di più unità preesistenti (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.11.2014 n. 1280 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAVenendo al concetto di edificio unifamiliare che, ai sensi dell’art. 9 della L. 10/1977 è esente dal pagamento del contributo concessorio tra l’altro “per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento” occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza, la disposizione è diretta a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
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Per quanto riguarda l’individuazione dei caratteri dell’edificio unifamiliare occorre rilevare che, secondo un primo un orientamento “per edifici "unifamiliari" in mancanza di ulteriori specificazioni, sono da intendere quelli strutturalmente destinati all'uso "abitativo" di un "solo" nucleo familiare, indipendentemente dalle dimensioni dell’edificio stesso”; altra giurisprudenza ha affermato che, ai fini dell’applicazione dell’art. 9, lett. d) cit., è legittimo individuare e circoscrivere il contenuto della nozione di “edifici unifamiliari”, ricorrendo a criteri estratti da altri complessi normativi, con l’unico limite di non stravolgere la portata della disciplina da applicare.
In merito la giurisprudenza ha evidenziato che le fattispecie di esonero dal pagamento del contributo concessorio, inclusa quella ex art. 9, lett. d), cit., sono di stretta interpretazione e che la ratio che ispira l’esenzione di cui alla lettera d), art. 9 l. 10/1977 è di derivazione sociale in quanto l’edificio unifamiliare nell’accezione socio economica assunta dalla norma coincide con la piccola proprietà immobiliare e soltanto se presenti tali caratteri tale è meritevole di un trattamento differenziato per le opere di adeguamento alle necessità abitative del nucleo familiare.
Insomma, la disposizione contenuta nell’art. 9 cit. è norma eccezionale, la cui portata in applicazione del principio costituzionale di ragionevolezza deve essere circoscritta entro parametri idonei a garantire le finalità della previsione di favore.
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Deve concludersi che non solo è legittimo individuare e circoscrivere il contenuto della nozione di “edifici unifamiliari”, ma deve anche ritenersi non manifestamente illogico o irrazionale il criterio fatto proprio dal Comune, il quale, al punto A.5 della deliberazione C.C. n. 225/1978 ha definito "edificio unifamiliare", non soggetto al pagamento del contributo concessorio, la "costruzione residenziale per uso proprio consistente in una unità abitativa abitata con continuità", e "unità abitativa" "un alloggio che abbia ... una superficie utile non superiore a 110 mq'', con l’ulteriore previsione che "le limitazioni di cui ai bagni ed alla superficie utile possono essere superate" nel "caso in cui venga dimostrato che nell'alloggio la superficie utile per abitante non è superiore a 20 mq. ...".

Passando all’esame del motivo del ricorso principale relativo alla debenza o meno dei contributi concessori, ripreso anche nel ricorso per motivi aggiunti occorre evidenziare, in via di fatto, che l’unità immobiliare in questione è composta da tre piani e che con il presente intervento il ricorrente intendeva rendere abitabile e dotare di diretto accesso al giardino il piano seminterrato.
Venendo ora al concetto di edificio unifamiliare che, ai sensi dell’art. 9 della L. 10/1977 è esente dal pagamento del contributo concessorio tra l’altro “per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento” occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza (TAR Marche, sentenza 31/01/2007 n. 8), la disposizione è diretta a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
Per quanto riguarda l’individuazione dei caratteri dell’edificio unifamiliare occorre rilevare che, secondo un primo un orientamentoper edifici "unifamiliari" in mancanza di ulteriori specificazioni, sono da intendere quelli strutturalmente destinati all'uso "abitativo" di un "solo" nucleo familiare, indipendentemente dalle dimensioni dell’edificio stesso” (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.08.2012 n. 1446); altra giurisprudenza ha affermato che, ai fini dell’applicazione dell’art. 9, lett. d) cit., è legittimo individuare e circoscrivere il contenuto della nozione di “edifici unifamiliari”, ricorrendo a criteri estratti da altri complessi normativi, con l’unico limite di non stravolgere la portata della disciplina da applicare (così C.d.S., Sez. II, parere n. 1402 del 24.10.1984; TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.04.2006 n. 1062).
In merito la giurisprudenza ha evidenziato che le fattispecie di esonero dal pagamento del contributo concessorio, inclusa quella ex art. 9, lett. d), cit., sono di stretta interpretazione e che la ratio che ispira l’esenzione di cui alla lettera d), art. 9 l. 10/1977 è di derivazione sociale in quanto l’edificio unifamiliare nell’accezione socio economica assunta dalla norma coincide con la piccola proprietà immobiliare e soltanto se presenti tali caratteri tale è meritevole di un trattamento differenziato per le opere di adeguamento alle necessità abitative del nucleo familiare (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 13.03.2008 n. 604).
Insomma, la disposizione contenuta nell’art. 9 cit. è norma eccezionale, la cui portata in applicazione del principio costituzionale di ragionevolezza deve essere circoscritta entro parametri idonei a garantire le finalità della previsione di favore.
Alla luce di tali considerazioni deve concludersi che non solo è legittimo individuare e circoscrivere il contenuto della nozione di “edifici unifamiliari”, ma deve anche ritenersi non manifestamente illogico o irrazionale il criterio fatto proprio dal Comune di Nerviano, il quale, al punto A.5 della deliberazione C.C. n. 225/1978 ha definito "edificio unifamiliare", non soggetto al pagamento del contributo concessorio, la "costruzione residenziale per uso proprio consistente in una unità abitativa abitata con continuità", e "unità abitativa" "un alloggio che abbia ... una superficie utile non superiore a 110 mq'', con l’ulteriore previsione che "le limitazioni di cui ai bagni ed alla superficie utile possono essere superate" nel "caso in cui venga dimostrato che nell'alloggio la superficie utile per abitante non è superiore a 20 mq. ...".
Venendo al caso in decisione, non avendo il ricorrente provato né che l’acquisizione dell’abitabilità del piano seminterrato della casa, che si aggiunge agli altri due, fosse strumentale alle esigenze del suo nucleo familiare, né l’irrazionalità del criterio adottato dal Comune, deve concludersi per l’onerosità della d.i.a. suddetta, in quanto relativa ad immobile avente superficie notevolmente superiore a quella massima consentita per l’esenzione dal contributo (TAR Lombardia-MIlano, Sez. IV, sentenza 02.07.2014 n. 1707 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATAE’ vero che l’art. 17 d.P.R. cit. prescrive, al comma 3, che “il contributo di costruzione non è dovuto: (…) b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
La giurisprudenza tuttavia, nell’interpretare la suddetta disposizione, ha condivisibilmente evidenziato che, nell’ipotesi di immobile destinato allo svolgimento di attività produttive, “non ricorre affatto la ratio della norma che dispone l'esonero dal relativo pagamento; beneficio che è rivolto solo a quelle situazioni in cui l'intervento edilizio non è destinato a fini di lucro, ma esclusivamente a migliorare la funzionalità e l'usabilità dell'immobile ad esclusivo vantaggio della famiglia che ci vive e delle relative esigenze abitative”.
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Per quanto concerne in particolare gli oneri di urbanizzazione, che vengono direttamente in rilievo nella presente controversia, la posizione interpretativa maggiormente seguita in giurisprudenza è quella secondo cui la relativa quota costituirebbe un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione ai benefici che la nuova costruzione ne ritrae, derivandone che il fatto da cui in concreto nasce l'obbligo di corrispondere gli "oneri" anzidetti è l'aumento del carico urbanistico.
Ebbene, è vero che l'incremento del peso insediativo può conseguire anche ad interventi di ristrutturazione senza incrementi di volumi e di superficie e senza cambiamenti della originaria destinazione d’uso: è compito dell’Amministrazione tuttavia, quale presupposto per l’esigibilità del contributo, verificare attentamente l’incidenza incrementativa delle suddette opere sul carico urbanistico preesistente e dare congrua giustificazione delle conclusioni raggiunte.
Deve invece rilevarsi che non è meritevole di accoglimento la deduzione attorea, incentrata sulla gratuità assoluta ed a priori del suddetto intervento edilizio.
L’art. 22 d.P.R. n. 380/2001 infatti, dopo aver previsto che, “in alternativa al permesso di costruire, possono essere realizzati mediante denuncia di inizio attività: a) gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c)” (cui è riconducibile quello oggetto di controversia), ha aggiunto (comma 5) che “gli interventi di cui al comma 3 sono soggetti al contributo di costruzione ai sensi dell'articolo 16” (il quale stabilisce, a sua volta, che “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo”).
E’ vero che l’art. 17 d.P.R. cit. prescrive, al comma 3, che “il contributo di costruzione non è dovuto: (…) b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”: la giurisprudenza tuttavia, nell’interpretare la suddetta disposizione, ha condivisibilmente evidenziato (cfr. TAR Marche, Sez. I, 10.05.2012, n. 310) che, nell’ipotesi di immobile destinato allo svolgimento di attività produttive, “non ricorre affatto la ratio della norma che dispone l'esonero dal relativo pagamento; beneficio che è rivolto solo a quelle situazioni in cui l'intervento edilizio non è destinato a fini di lucro, ma esclusivamente a migliorare la funzionalità e l'usabilità dell'immobile ad esclusivo vantaggio della famiglia che ci vive e delle relative esigenze abitative”.
Pur con tali precisazioni, non vi è dubbio che la doverosità in astratto del contributo di costruzione non valeva, tuttavia, ad esimere l'Amministrazione dall'obbligo di verificare, nel caso concreto, la sussistenza dei presupposti per poterlo esigere, avuto riguardo alla natura e alla funzione tipica assolta da ciascuna delle sue due componenti.
Per quanto concerne in particolare gli oneri di urbanizzazione, che vengono direttamente in rilievo nella presente controversia, la posizione interpretativa maggiormente seguita in giurisprudenza è quella secondo cui la relativa quota costituirebbe un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione ai benefici che la nuova costruzione ne ritrae, derivandone che il fatto da cui in concreto nasce l'obbligo di corrispondere gli "oneri" anzidetti è l'aumento del carico urbanistico.
Ebbene, è vero che l'incremento del peso insediativo può conseguire anche ad interventi di ristrutturazione senza incrementi di volumi e di superficie e senza cambiamenti della originaria destinazione d’uso: è compito dell’Amministrazione tuttavia, quale presupposto per l’esigibilità del contributo, verificare attentamente l’incidenza incrementativa delle suddette opere sul carico urbanistico preesistente e dare congrua giustificazione delle conclusioni raggiunte (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 08.01.2013 n. 25 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATAL’art. 9 della L. 10/1977 rubricato “Cessione gratuita” statuisce al comma 1 che il contributo di cui al precedente articolo 3 non è dovuto tra l’altro “per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari” (lett. d).
Come appare evidente, l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione.
La disposizione è diretta dunque a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
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L’esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare.
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Per edifici "unifamiliari" in mancanza di ulteriori specificazioni, sono da intendere quelli strutturalmente destinati all'uso "abitativo" di un "solo" nucleo familiare, indipendentemente dalle dimensioni dell’edificio stesso.

Con il motivo principale i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 9, lett. f), della L. 10/1977, che esonera dal versamento del contributo gli interventi di ristrutturazione ed ampliamento degli edifici unifamiliari nella misura del 20%; a loro avviso infatti:
• la norma invocata, nell’indicare la percentuale di ampliamento, non fa riferimento né al volume né alle superfici;
• la relazione tecnica dell’Arch. Comencini dà conto dell’incremento volumetrico di 151,01 mc., inferiore al 20% dell’esistente;
• anche se si utilizza come parametro la superficie utile di calpestio ex art. 2 del DM 801/1977 l’intervento provoca un ampliamento del 19,1%;
• è stato inopinatamente creato un nuovo criterio ibrido che non trova alcun supporto normativo, facendosi riferimento alla superficie dei vani principali (con esclusione degli accessori) esistenti e di risultanza;
• non si registra alcuna variazione di destinazione d’uso all’interno di una stessa categoria.
La doglianza è priva di pregio.
L’art. 9 della L. 10/1977 rubricato “Cessione gratuita” statuisce al comma 1 che il contributo di cui al precedente articolo 3 non è dovuto tra l’altro “per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari” (lett. d). Come appare evidente, l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione (Consiglio di Stato, sez. IV – 11/10/2006 n. 6065). La disposizione è diretta dunque a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
In linea generale, come già accennato al par. 1.2, la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico. Alla luce di tale considerazione la giurisprudenza (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VIII – 09/05/2012 n. 2136) ha statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare.
I delineati presupposti non risultano sussistere nella fattispecie all’esame del Collegio. Dal raffronto tra stato di fatto e di progetto (cfr. doc. 6 Comune) emerge come la porzione di fabbricato effettivamente abitata sia interessata da un significativo incremento di volume (da 468,60 mc. a 747,90) e di superficie (da 111,69 mq. a 206,87), con l’intera soffitta che viene recuperata in piano abitabile con accesso autonomo dotato di 4 locali (2 camere da letto, 1 bagno e 1 guardaroba). Non è condivisibile l’impostazione dei ricorrenti laddove (per dimostrare la conformità al parametro normativo) prendono in esame il volume e la superficie dell’intero edificio, poiché lo spirito della norma (già descritto) è quello di incentivare i modesti interventi posti in essere dai nuclei unifamiliari: il carattere “unifamiliare” deve essere quindi mantenuto dopo l’ampliamento/ristrutturazione, mentre nella fattispecie è stata creata (come si evince anche dalla previsione di un accesso ad hoc) un’ulteriore autonoma unità abitativa, con conseguente mutamento della realtà strutturale e della fruibilità urbanistica dell’organismo edilizio oggetto di trasformazione.
In definitiva la disposizione invocata opera soltanto per gli edifici "unifamiliari" e, in mancanza di ulteriori specificazioni, tali sono quelli strutturalmente destinati all'uso "abitativo" di un "solo" nucleo familiare, indipendentemente dalle dimensioni dell’edificio stesso (TAR Marche – 31/01/2007 n. 8) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.08.2012 n. 1446 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 17, co. 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001 stabilisce che il contributo di costruzione non è dovuto "per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
La norma in questione non stabilisce le caratteristiche dell’edificio unifamiliare, per cui la giurisprudenza è unanime nell'affermare che la ratio di tale disposizione è quella di favorire l'edificio unifamiliare in quanto tale ossia come immobile destinato ad un solo nucleo familiare, situazione ritenuta dal legislatore meritevole, per gli interventi di ristrutturazione, di un trattamento economico differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie.
Pertanto, per fruire dell'esenzione, stando alla lettera della norma l'immobile deve essere in toto destinato ad esclusiva residenza abitativa di un unico nucleo familiare.
La giurisprudenza ha anche precisato che, ai fini dell'esonero dall'obbligo contributivo, la destinazione ad esclusiva residenza abitativa di un solo nucleo familiare deve preesistere rispetto all'intervento di ristrutturazione, e deve permanere anche dopo tale intervento: il manufatto oggetto dell'intervento deve essere, inoltre, ante opera, unifamiliare.
La circostanza che l’immobile sia stato reso unifamiliare pressoché coevamente alla richiesta di ampliamento e ristrutturazione, e che il Comune ritiene operazione in frode alla legge, non è tale per il Collegio, in quanto ciò che rileva ai fini dell’applicazione della norma in questione non è, come ritiene il Comune intimato, che l’immobile sia nato come edificio unifamiliare quanto che lo sia al momento in cui viene richiesto il beneficio previsto dalla norma che esenta dal pagamento degli oneri concessori.

Il ricorso, come chiarito in fatto, verte sull’applicazione dell’art. 17, co. 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001, norma che stabilisce che il contributo di costruzione non è dovuto "per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
La ricorrente, che si è assoggetta al pagamento degli oneri con riserva di ripetizione, assume, infatti, di trovarsi nella condizione di fatto e di diritto per beneficiare di detta norma, mentre l’amministrazione nega tale diritto ritenendo che nella specie difetterebbe il requisito /presupposto della unifamiliarità dell’edificio, posto che per tali devono intendersi gli edifici non solo funzionalmente ma anche strutturalmente unifamiliari, ossia tali ab origine e non per effetto dell’intervento programmato.
Intervento nella specie identificabile con l’operazione complessa costituita, secondo l’amministrazione, dall’artificiosa scissione di un unico titolo in due distinti e pressoché contestuali titoli edilizi.
L’edificio in questione, infatti, in origine composto da due unità abitative è stato reso dapprima unifamiliare e poi, senza soluzione di continuità, ampliato e ristrutturato, al fine di eludere la norma che regola l’onerosità del titolo edilizio.
Il Collegio non ritiene tuttavia che la tesi del Comune meriti di essere condivisa, per le ragioni che seguono.
La norma in questione, innanzitutto, non stabilisce le caratteristiche dell’edificio unifamiliare, per cui la giurisprudenza è unanime nell'affermare che la ratio di tale disposizione è quella di favorire l'edificio unifamiliare in quanto tale ossia come immobile destinato ad un solo nucleo familiare, situazione ritenuta dal legislatore meritevole, per gli interventi di ristrutturazione, di un trattamento economico differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie (Tar Lombardia, sez. II, 10.10.1996 n. 1480).
Pertanto, per fruire dell'esenzione, stando alla lettera della norma l'immobile deve essere in toto destinato ad esclusiva residenza abitativa di un unico nucleo familiare (Tar Lombardia, Brescia, 27.08.2004 n. 939).
La giurisprudenza ha anche precisato che, ai fini dell'esonero dall'obbligo contributivo, la destinazione ad esclusiva residenza abitativa di un solo nucleo familiare deve preesistere rispetto all'intervento di ristrutturazione, e deve permanere anche dopo tale intervento: il manufatto oggetto dell'intervento deve essere, inoltre, ante opera, unifamiliare (Tar Marche, 12.02.1998 n. 250).
Ebbene, nel caso di specie tali presupposti ricorrevano tutti in favore della richiedente, poiché prima dell’intervento di ampliamento e ristrutturazione l’immobile era stato reso unifamiliare in forza della d.i.a. del 22.01.2008, con cui era stata attuata l’aggregazione delle due preesistenti unità immobiliari e creato l’edificio unifamiliare destinato alla residenza della ricorrente, che all’uopo ha provveduto alle necessarie variazioni catastali e, come sopra rilevato, al contestuale trasferimento della propria residenza.
L’assunto del Comune, che tale intervento, in quanto realizzato attraverso l’artificio della scissione, pressoché contestuale, dell’unica autorizzazione edilizia in due distinti titoli edilizi, deve ritenersi elusivo della legge (nella specie dell’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001) e quindi inidoneo ad avvalersi del relativo beneficio è destituito di giuridico fondamento.
La tesi del comune di Casciago sarebbe, infatti condivisibile se il legislatore avesse dato una definizione di edificio unifamiliare basata su elementi oggettivi (limite di superficie o di volume o di vani o di quant’altro possa definire oggettivamente il concetto di piccola proprietà, escludendo tipologie di lusso o comunque immobili di grandi dimensioni) e tale non fosse, perché eccedente detti limiti, l’immobile della ricorrente, posto che altrimenti per unifamiliare deve intendersi l’immobile catastalmente allibrato come unica unità immobiliare destinata alla residenza di un solo nucleo familiare.
Ogni altra distinzione, compresa quella della destinazione “strutturale” che il Comune intimato pretende di applicare alla fattispecie, senza spiegare quali concreti elementi l’immobile debba possedere per appartenere a tale categoria, è, infatti, non solo arbitraria ma, proprio perché indefinita nei suoi elementi costitutivi, inapplicabile a fattispecie concrete.
La circostanza che l’immobile sia stato reso unifamiliare pressoché coevamente alla richiesta di ampliamento e ristrutturazione, e che il Comune ritiene operazione in frode alla legge, non è tale per il Collegio, in quanto ciò che rileva ai fini dell’applicazione della norma in questione non è, come ritiene il Comune intimato, che l’immobile sia nato come edificio unifamiliare quanto che lo sia al momento in cui viene richiesto il beneficio previsto dalla norma che esenta dal pagamento degli oneri concessori.
E questa situazione di fatto e di diritto sussisteva, nella specie, proprio sulla base di un intervento non solo edilizio ma anche catastale e di modifica della residenza che la ricorrente aveva posto in essere prima di avviare l’intervento di cui alla d.i.a. del 22.01.2008 (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.07.2012 n. 2070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa fattispecie di esonero dal contributo di costruzione contemplata dall’art. 17, terzo comma, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001, già art. 9 della l. 28.01.1977, n. 10, trova applicazione per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari, anche ove ricadenti in zona agricola.
Il ricorso è fondato.
Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale di questo Tribunale Amministrativo, di cui alla sentenza, richiamata anche in sede cautelare, n. 854 del 05.08.2009.
Merita condivisione, in particolare, il profilo, sollevato anche con l’odierna impugnativa, della disparità di trattamento che verrebbe a determinarsi tra proprietari di edifici unifamiliari nelle zone urbane, esonerati dal pagamento degli oneri concessori, e proprietari di edifici unifamiliari in zone agricole, che, in mancanza della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale, sarebbero tenuti al pagamento degli oneri concessori, pur a fronte di un intervento edilizio con le medesime caratteristiche.
Deve ritenersi, pertanto, che la fattispecie di esonero dal contributo di costruzione contemplata dall’art. 17, terzo comma, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001, già art. 9 della l. 28.01.1977, n. 10, trovi applicazione per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari, anche ove ricadenti in zona agricola (TAR Marche, sentenza 22.06.2012 n. 449 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACirca il regime concessorio gratuito di cui all’art. 17, comma 3, lett. b), del DPR n. 380/2001, è la realtà effettiva che deve prevalere su quella cartacea attraverso cui si vorrebbe dimostrare l’esistenza dei presupposti per la gratuità dell’intervento: presupposti che non solo devono sussistere al momento di rilascio del titolo edilizio ma devono permanere anche dopo, contrariamente a quanto accaduto nel caso specifico, in cui l’avvio dell’attività produttiva di Bad & Breakfast avveniva addirittura prima della fine dei lavori.
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Anche se nell’edificio sono svolte attività produttive compatibili con la residenza, non ricorre affatto la ratio della norma che dispone l’esonero dal relativo pagamento; beneficio che è rivolto solo a quelle situazioni in cui l’intervento edilizio non è destinato a fini di lucro, ma esclusivamente a migliorare la funzionalità e l’usabilità dell’immobile ad esclusivo vantaggio della famiglia che ci vive e delle relative esigenze abitative.

1. La ricorrente propone ricorso per ottenere la restituzione del contributo concessorio a suo tempo versato per il rilascio del permesso di costruire n. 02/2003 del 09.08.2003, poiché considerato non dovuto in base all’art. 17, comma 3, lett. b), del DPR n. 380/2001, trattandosi di intervento di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edificio unifamiliare.
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3. Dai fatti sopra ricordati pare evidente, a giudizio del Collegio, che l’edificio in questione non costituisce (né mai ha costituito dopo l’acquisto da parte della ricorrente) una semplice abitazione unifamiliare, ma presenta funzionalità miste, in parte residenziali e in parte produttive (queste ultime fonti di lucro e di aumento di carico urbanistico rispetto all’edificio utilizzato per esclusive finalità residenziali di un solo nucleo familiare).
Risulta quindi irrilevante l’istanza del 03.07.2003 per la modifica del progetto assentito (al fine di ripristinare la destinazione economica originaria, cioè casa unifamiliare di civile abitazione), essendo palese che tale richiesta non corrispondeva all’effettiva realtà delle cose, ma aveva quale unico scopo quello di beneficiare del regime concessorio gratuito di cui all’art. 17, comma 3, lett. b), del DPR n. 380/2001.
La realtà effettiva deve quindi prevalere su quella cartacea attraverso cui si vorrebbe dimostrare l’esistenza dei presupposti per la gratuità dell’intervento: presupposti che non solo devono sussistere al momento di rilascio del titolo edilizio ma devono permanere anche dopo, contrariamente a quanto accaduto nel caso specifico, in cui l’avvio dell’attività produttiva di Bad & Breakfast avveniva addirittura prima della fine dei lavori.
Ciò dimostra che tali lavori di recupero non erano certamente rivolti a ripristinare la destinazione economica originaria.
Correttamente, pertanto, il Comune ha preteso il pagamento del contributo, poiché anche se nell’edificio sono svolte attività produttive compatibili con la residenza, non ricorre affatto la ratio della norma che dispone l’esonero dal relativo pagamento; beneficio che è rivolto solo a quelle situazioni in cui l’intervento edilizio non è destinato a fini di lucro, ma esclusivamente a migliorare la funzionalità e l’usabilità dell’immobile ad esclusivo vantaggio della famiglia che ci vive e delle relative esigenze abitative.
Al contrario, la destinazione mista (abitativa e produttiva) persegue anche scopi lucrativi e determina un maggiore carico urbanistico.
4. Il ricorso va quindi respinto (TAR Marche, sentenza 10.05.2012 n. 310 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione introducono un giudizio su un rapporto prescindendo dalla impugnazione di atti. Ed infatti tutte le controversie, concernenti l’an e il quantum delle somme dovute a titolo di contributo in dipendenza di norme di legge e regolamentari, attengono a diritti soggettivi azionabili nei termini di prescrizione; pertanto alcuna acquiescenza può opporsi in materia di diritti soggettivi patrimoniali, il cui versamento, ove non dovuto, è suscettibile in ogni caso di legittimare un’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2041 cod. civ..
L’amministrazione, nella determinazione delle somme dovute a titolo di contributo non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie attività di mero accertamento della fattispecie in base ai parametri fissati da leggi e da regolamenti. Le relative controversie, dunque, rientrano nella categoria di quelle aventi ad oggetto atti paritetici, inerenti diritti soggettivi e non sono sottoposte ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori.
Inoltre, le controversie concernenti la determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori già devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16 l. 28.01.1977 n. 10, abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 104/2010, rientrano oggi nella previsione dell’art. 133, lett. f), del codice del processo amministrativo secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra l'altro: "le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio".
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La partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l’onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
Tale principio opera ed è valevole anche per gli interventi di ristrutturazione che comportino un aumento del carico urbanistico di zona, sicché la giurisprudenza ha ravvisato l’onerosità del titolo in caso di interventi comportanti un incremento di unità abitative, oppure un incremento della superficie utile pur in assenza di aumento della cubatura, nonché per il caso di alterazione dei parametri edilizi e per quelle ristrutturazioni che mutino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’organismo edilizio oggetto di trasformazione.
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L’esenzione dal contributo di costruzione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b, del d.p.r. n. 380/2001 per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale, la cui ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia della piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare. In tal caso rileva innanzitutto la destinazione unifamiliare del fabbricato nonché la natura dell’intervento edilizio quale di “ristrutturazione e di ampliamento non superiore al 20%” quale limite entro il quale è ammessa l’operatività dell’esonero in parola.
La disposizione intende evidentemente incentivare le opere atte ad adeguare le case unifamiliari alle necessità abitative del nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne trasformino il valore economico.
Trattandosi di una norma di natura eccezionale, l’applicazione della fattispecie va circoscritta in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore per cui deve escludersi che la disposizione in esame possa trovare applicazione in ogni ipotesi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione a parità di volume, entro il limite di ampliamento fissato dal legislatore.
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La Corte Costituzionale ha osservato che, ai fini del riconoscimento dell’esonero dal versamento del contributo di costruzione, il concetto di ristrutturazione mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo “essendo caratterizzata da elementi (territoriali e costruttivi) e da risultato che le conferiscono fisionomia autonoma e differenziata” ed ha ritenuto quindi pienamente giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale ricostruzione.
Tale accezione interpretativa è stata altresì ribadita più di recente dalla giurisprudenza amministrativa che ha chiarito che la gratuità va limitata agli interventi edilizi su edifici aventi destinazione residenziale e non anche su quelli con destinazione agricola, sicché deve escludersi che la esenzione in argomento possa trovare spazio nella fattispecie in esame relativa ad un intervento di demolizione e di utilizzazione ad uso abitativo per un’unica unità immobiliare della rispettiva volumetria di due preesistenti fabbricati rurali.

Per consolidata giurisprudenza le controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione introducono un giudizio su un rapporto prescindendo dalla impugnazione di atti. Ed infatti tutte le controversie, concernenti l’an e il quantum delle somme dovute a titolo di contributo in dipendenza di norme di legge e regolamentari, attengono a diritti soggettivi azionabili nei termini di prescrizione; pertanto alcuna acquiescenza può opporsi in materia di diritti soggettivi patrimoniali, il cui versamento, ove non dovuto, è suscettibile in ogni caso di legittimare un’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2041 cod. civ..
L’amministrazione, nella determinazione delle somme dovute a titolo di contributo non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie attività di mero accertamento della fattispecie in base ai parametri fissati da leggi e da regolamenti. Le relative controversie, dunque, rientrano nella categoria di quelle aventi ad oggetto atti paritetici, inerenti diritti soggettivi e non sono sottoposte ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori (Cons. St. Sez. , sez. V, 17.10.2002, n. 5678).
Inoltre, le controversie concernenti la determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori già devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16 l. 28.01.1977 n. 10, abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 104/2010, rientrano oggi nella previsione dell’art. 133, lett. f), del codice del processo amministrativo secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra l'altro: "le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio" (Cons. St., Sez. V, 10.07.2003 n. 4102; Cons. St., Sez. V, 19.07.2004 n. 5197).
Ciò premesso, nel presente giudizio si discute circa l’applicabilità nella fattispecie del beneficio di cui all’art. 17, comma 3, lett. b, del d.p.r. n. 380/2001 a tenore del quale il contributo di costruzione non è dovuto per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari.
Come noto, la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l’onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico (cfr. C.d. S. sez. V, 03.03.2002 n. 1180; C.d.S. sez. V. 29.04.2004 n. 2611).
Tale principio opera ed è valevole anche per gli interventi di ristrutturazione che comportino un aumento del carico urbanistico di zona, sicché la giurisprudenza ha ravvisato l’onerosità del titolo in caso di interventi comportanti un incremento di unità abitative (cfr. Tar Lombardia, Milano 21.07.2009 n. 4455), oppure un incremento della superficie utile pur in assenza di aumento della cubatura (cfr. C.d.S, sez. V, 27.08.1999 n. 999), nonché per il caso di alterazione dei parametri edilizi (cfr. Tar Piemonte, sez. I, 04.12.1997 n. 821) e per quelle ristrutturazioni che mutino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’organismo edilizio oggetto di trasformazione (cfr. Tar Emilia, Parma 19.02.2008 n. 100).
Tanto premesso occorre considerare che l’esenzione dal contributo di costruzione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b, del d.p.r. n. 380/2001 per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale, la cui ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia della piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare. In tal caso rileva innanzitutto la destinazione unifamiliare del fabbricato nonché la natura dell’intervento edilizio quale di “ristrutturazione e di ampliamento non superiore al 20%” quale limite entro il quale è ammessa l’operatività dell’esonero in parola.
La disposizione intende evidentemente incentivare le opere atte ad adeguare le case unifamiliari alle necessità abitative del nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne trasformino il valore economico.
Trattandosi di una norma di natura eccezionale, l’applicazione della fattispecie va circoscritta in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore per cui deve escludersi che la disposizione in esame possa trovare applicazione in ogni ipotesi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione a parità di volume, entro il limite di ampliamento fissato dal legislatore.
Nel caso in esame il permesso di costruire n. 328/2006 che si intende assoggettare a gratuità ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. b cit., è stato rilasciato al ricorrente M.G. dal Comune di Castelvolturno per un intervento di ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione di due preesistenti fabbricati rurali e nella realizzazione di un unico immobile con destinazione abitativa.
Il Comune, nella memoria del 15.03.2012, ha escluso che un siffatto intervento possa rientrare nella ipotesi di gratuità invocata dal ricorrente e riferibile alle sole ristrutturazioni edilizie c.d. “leggere” ossia miranti a conservare il patrimonio edilizio esistente.
Il Comune ha infatti precisato che, come evincesi dai grafici e dalle riproduzioni fotografiche allegate in atti quali gli elaborati prodotti a sostegno della richiesta di rilascio del permesso di costruire, l’intervento è consistito in una ristrutturazione edilizia c.d. “pesante” per aver comportato la realizzazione di un organismo in tutto diverso dal precedente con conseguente incremento del carico urbanistico di zona rapportato alla sostituzione di fabbricati rurali diruti ed inutilizzati con un'unica unità immobiliare tipo “villetta” composta da piano terra e primo piano.
Ciò premesso rileva il Collegio che la disciplina invocata a sostegno del ricorso non è applicabile agli interventi di demolizione e ricostruzione di un fabbricato preesistente. In tal senso si è espressa chiaramente la Corte Costituzionale nella sentenza 26.06.1991 n. 296 pronunciata rispetto alla analoga previgente previsione di cui all'art. 9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 -di cui l’art. 17 d.p.r., comma 3, lett. b), costituisce analoga riproduzione- che esonerava dal contributo "gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari".
Ivi la Corte Costituzionale con una sentenza interpretativa di rigetto ha escluso l’illegittimità della norma, prospettata dal Tar Friuli Venezia Giulia rispetto all’art. 9 cit., nella parte in cui non comprendeva nella previsione di esenzione dal contributo per il rilascio della concessione, accanto all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per cento, anche quella della “integrale ricostruzione del fabbricato demolito”.
La Corte ha al riguardo osservato che, ai fini del riconoscimento dell’esonero in questione, il concetto di ristrutturazione mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo “essendo caratterizzata da elementi (territoriali e costruttivi) e da risultato che le conferiscono fisionomia autonoma e differenziata” ed ha ritenuto quindi pienamente giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale ricostruzione.
Tale accezione interpretativa è stata altresì ribadita più di recente dalla giurisprudenza amministrativa che ha chiarito che la gratuità va limitata agli interventi edilizi su edifici aventi destinazione residenziale e non anche su quelli con destinazione agricola (cfr C.d.S. 6290/2004), sicché deve escludersi che la esenzione in argomento possa trovare spazio nella fattispecie in esame relativa ad un intervento di demolizione e di utilizzazione ad uso abitativo per un’unica unità immobiliare della rispettiva volumetria di due preesistenti fabbricati rurali (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 08.05.2012 n. 2136 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Assoggettabilità di un intervento edilizio al pagamento del contributo di costruzione.
Il Comune -in riferimento ad una Comunicazione pervenuta al Suo Ufficio per l’esecuzione di opere interne, manutenzione straordinaria, impiantistica, parziale modifica alle forature esterne e finiture interne ed esterne, ecc. su di un edificio che in precedenza, con una variazione catastale e senza esecuzione di opere edilizie, è stato trasformato da bifamiliare ad unifamiliare- chiede, in considerazione di quanto stabilito dall’art. 17, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 che inserisce nei casi di permesso di costruire gratuito interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari, se “gli interventi edilizi che prevedono l’accorpamento con opere di più unità immobiliari in un unico organismo (da bifamiliare ad unifamiliare) mantenendo la stessa destinazione d’uso (residenziale) sono qualificabili come interventi di ristrutturazione edilizia e sono comunque assoggettabili agli oneri di costruzione” (Regione Marche, parere 12.09.2011 n. 210/2011).

EDILIZIA PRIVATA: Il carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche dell’edificio, in ragione del volume, della superficie, del numero e della funzione e caratteristica dei vani, in rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da parte di un unico nucleo familiare.
La circostanza che l’edificio non sia completamente isolato non vale ad escludere il carattere di unifamiliarità.
La nozione di edificio unifamiliare assunta dalla norma, non è nella sua accezione strutturale, ma socio economica e coincide con la piccola proprietà immobiliare meritevole, per gli interventi di ristrutturazione, di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie.
Deve ritenersi irrilevante la comunione di talune strutture portanti o di qualche muro di confine e devono conseguentemente essere considerate unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche le case realizzate a schiera o in blocco ma strutturalmente funzionalmente indipendenti.
Il D.P.R. 06.06.2001 n. 380, all’art. 17, disciplina la “Riduzione o esonero dal contributo di costruzione”, prevedendo, al comma 3, che “Il contributo di costruzione non è dovuto:… b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari;”.
La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell’art. 9, comma 1, della legge 28.01.1977, n. 10, in relazione al quale la giurisprudenza (cfr. TAR 07.09.1999 n. 770; TAR Veneto 30.03.1996 n. 480) aveva avuto modo di chiarire che il carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche dell’edificio, in ragione del volume, della superficie, del numero e della funzione e caratteristica dei vani, in rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da parte di un unico nucleo familiare.
Va rilevato che la normativa regionale della Lombardia conferma l’esonero. Infatti, la L.R. 11.03.2005 n. 12 nel disciplinare, all’art. 43, le modalità di pagamento del “Contributo di costruzione”, espressamente dispone, al 2° comma, che “Il contributo di costruzione di cui al comma 1 non è dovuto, ovvero è ridotto, nei casi espressamente previsti dalla legge”, così rinviando alle previsioni della legge nazionale.
Nella fattispecie all’esame viene in rilievo la ristrutturazione, senza aumento di volumetria, di una porzione di un tipico fabbricato rurale a corte, già da tempo convertito a destinazione residenziale.
Confermando l’indirizzo già espresso al riguardo (cfr. TAR Brescia, 03.03.2006 n. 268) il Collegio ritiene che la circostanza che l’edificio non sia completamente isolato non valga ad escludere il carattere di unifamiliarità.
Invero, la norma di cui all'art. 17, comma 3, lett. b), del DPR 06.06.2001, n. 380, va riferita alle costruzioni unifamiliari che hanno destinazione residenziale, con esclusione delle unità immobiliari che siano ricomprese in più ampi edifici, quali i condomini, caratterizzati dall'esistenza di parti e servizi funzionalmente comuni, ma non richiede il completo isolamento dell'edificio.
La ratio che ispira la specifica esenzione è infatti di derivazione sociale e pertanto la nozione di edificio unifamiliare assunta dalla norma, non è nella sua accezione strutturale, ma socio economica e coincide con la piccola proprietà immobiliare meritevole, per gli interventi di ristrutturazione, di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 10.10.1996, n. 1480).
Deve pertanto ritenersi irrilevante la comunione di talune strutture portanti o di qualche muro di confine e devono conseguentemente essere considerate unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche le case realizzate a schiera o in blocco ma strutturalmente funzionalmente indipendenti (cfr. Tar Lombardia, Brescia, 01.03.1995, n. 185; id. 07.09.1999, n. 770) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 13.05.2011 n. 713 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione edilizia attuata con demolizione e ricostruzione. Onerosità.
Si chiede parere in merito all’onerosità –ovvero all’eventuale gratuità– di un intervento di ristrutturazione edilizia da attuarsi mediante demolizione e ricostruzione di un fabbricato preesistente ... deve darsi conto, per completezza, dell’eccezione contenuta nell’art. 17, c. 3, lett. b), D.P.R. 380/2001, a mente del quale “il contributo non è dovuto […] per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari” (Regione Piemonte, parere n. 1/2010 - tratto da www.regione.piemonte.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 9, lettera d), della legge n. 10 del 1977, ha fatto generico riferimento al termine di “edifici familiari”, sicché deve ritenersi che sia consentita alla discrezionalità delle singole Amministrazioni comunali di adottare determinazioni volte a precisare e circoscrivere il termine in questione.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal sig. A.T. per l ’annullamento del provvedimento del Comune di Mantova n. 8841/1999 del 25.10.1999, concernente la reiezione della richiesta di concessione edilizia gratuita.
...
Premesso e considerato in data 28.06.1999, il sig. A.T. presentava al Comune di Mantova richiesta di concessione edilizia gratuita ex art. 9, lett. d), n. 10/1977 per la ristrutturazione di fabbricato di civile abitazione.
Con provvedimento del 25.10.1999, il Dirigente dello SUIC (sportello unico per le imprese e i cittadini) respingeva l’istanza per la considerazione che “l’edificio non può essere considerato unifamiliare….perché supera ad intervento ultimato il limite fissato dalla D.C.C. n. 186/94 di 200 mq. di superficie lorda”.
Con ricorso notificato il 26.02.2000, il sig. T. ha proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, chiedendo l’annullamento del summenzionato provvedimento, nonché della deliberazione consiliare del 18.11.1994 n. 186.
A suo avviso, con la l’art. 9, lett. d), della legge n. 10 del 1977, il legislatore ha esteso il beneficio della concessione gratuita ad ipotesi d’ampliamento di un edificio residenziale preesistente condizionando il beneficio al concorso di due condizioni: a) che il fabbricato sia tipologicamente destinato ad accogliere un unico nucleo familiare; b) che l’ampliamento non superi il 20%. Al di fuori di tali presupposti, non vi sarebbero limiti di sorta all’edificio unifamiliare.
L’Amministrazione ha controdedotto ai motivi di censura, concludendo per la reiezione del gravame.
Il ricorso è infondato.
Nella fattispecie in esame si è trattato di opere edilizie relative ad una corte rurale, che, all’epoca dei fatti, erano disciplinate dall’art. 38 delle N.T.U. del piano regolatore generale del Comune di Mantova.
In particolare, i commi 3 e 5 del predetto art. 38, richiamati dal provvedimento impugnato, stabilivano che i proprietari e i titolari di diritti reali, seppure non imprenditori agricoli, di corti agricole dismesse alla data del 31.12.1993 potessero eseguire opere di ristrutturazione edilizia e cambio di destinazione d’uso nonché recuperare i sottotetti per fini abitativi, ai sensi della L.R. Lombardia n. 15/1996 mediante concessione edilizia onerosa. A parte ciò v’è da considerare che l’art. 9, lettera d), della legge n. 10 del 1977, ha fatto generico riferimento al termine di “edifici familiari”, sicché deve ritenersi che sia consentita alla discrezionalità delle singole Amministrazioni comunali di adottare determinazioni volte a precisare e circoscrivere il termine in questione.
In conclusione, per le suesposte considerazioni, si esprime l’avviso che il ricorso debba essere respinto (Consiglio di Stato, Sez. III, parere 03.03.2009 n. 405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Richiesta di parere circa l’onerosità o meno dei permessi di costruire per interventi edilizi di ristrutturazione di edifici ex rurali.
Il Comune chiede se alla luce delle disposizioni del Testo unico per l’edilizia di cui al D.P.R. n. 380/2001, un intervento di ristrutturazione edilizia di un edificio colonico unifamiliare, che ha perso tutti i requisiti di ruralità, da parte di un privato cittadino non imprenditore agricolo, sia oneroso o gratuito e se i pareri che il Servizio legislativo e affari istituzionali della Giunta regionale ha espresso sull’applicazione dell’art. 9, lett. d), della legge n. 10/1977 in data 20.06.1991, prot. n. 124, e in data 09.03.1989, prot. n. 60, dei quali allega copia, siano tuttora validi (Regione Marche, parere 27.02.2009 n. 110/2009).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATAIl contributo per il rilascio della concessione edilizia imposto dalla legge n. 10/1977 e commisurato agli oneri di urbanizzazione ha carattere generale, in quanto prescinde totalmente dall’esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione, ha natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato senza tenere conto dell’utilità che riceve il beneficiario del provvedimento di concessione, né delle spese effettivamente necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione relative alla concessione assentita.
La ratio che ispira l’esenzione di cui alla lettera d), art. 9 l. 10/1977, è di derivazione sociale in quanto l’edificio unifamiliare nell’accezione socio economica assunta dalla norma coincide con la piccola proprietà immobiliare e come tale è meritevole di un trattamento differenziato per le opere di adeguamento alle necessità abitative del nucleo familiare.

L’art. 1 della legge n. 10/1977 ha introdotto nel nostro ordinamento il principio, di ordine generale, secondo cui “ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio partecipa agli oneri ad essa relativi”, nel senso che detto corrispettivo viene proporzionato al vantaggio patrimoniale di cui gode il concessionario, sia in relazione agli oneri che comporta la urbanizzazione sia in relazione all’utile derivante dalla misura e dalla tipologia dell’intervento di cui viene concessa la realizzazione, sicché ogni norma derogativa al suddetto principio di ordine generale va interpretata in senso restrittivo.
Or dunque è pacifico che l’art. 9 della legge n. 10/1977 (ora art. 17 del T.U. dell’edilizia) costituisce una deroga al principio generale dell’onerosità della concessione edilizia, avendo l’indicazione delle fattispecie di esonero del versamento del contributo, secondo molteplici e reiterate pronunce giurisprudenziali, carattere tassativo (cfr. CdS, sez. V, 14.10.19892, n. 987; Tar Lombardia, sez. II, 26.04.2006, n. 1062; Tar Lombardia, sez. Brescia, 28.01.2002, n. 100). Ne discende, pertanto, che le fattispecie citate nella richiamata disposizione sono di stretta interpretazione.
Tanto premesso il Collegio, ben conoscendo la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 174 del 23.01.2004 relativa ad una fattispecie analoga a quella in esame, non ritiene che sussistano le ragioni per discostarsi dal richiamato orientamento giurisprudenziale.
Il Supremo Consesso della Giustizia amministrativa nella su citata pronuncia, partendo dall’assunto che alcuni dei casi elencati dall’art. 9 sono espressione del principio di gratuità della concessione per le opere che non comportino nessun nuovo carico urbanistico per il comune, ha ritenuto di poter applicare l’esenzione di cui all’alinea g) (“opere da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità”) al caso non espressamente previsto della costruzione in sostituzione di un edificio espropriato e demolito per realizzare un’opera pubblica, per un volume non maggiore del precedente e nel territorio dello stesso comune.
Tanto sul rilievo che “l’onerosità della concessione trova la propria ragion d’essere come corrispettivo delle spese che la collettività si addossa con vantaggio del concessionario, in conseguenza della concessione edilizia, e che tale presupposto manca nel caso di ricostruzione di ciò che la calamità abbia distrutto”.
L’art. 12 delle preleggi autorizza il ricorso all’analogia per colmare le lacune legislative esistenti attraverso il richiamo della disciplina giuridica dettata per un caso simile o per materie analoghe.
Il ricorso all’analogia è però ammissibile solo quando ricorra identità di ratio -quando cioè il principio che ha ispirato la norma regolatrice della fattispecie appare idoneo ad operare nello stesso modo, dati gli elementi di somiglianza tra le due fattispecie, anche per quella non regolata– ,allora il giudice applica pure a quest’ultima una norma non scritta, che desume da quella scritta (ubi eadem ratio, ibi eadem dispositio).
Tanto premesso osserva, allora, il Collegio che l’operazione di estensione analogica dell’alinea g) dell’art. 9 della legge n. 10/1977 anche alle ipotesi di ricostruzione di edificio a seguito di demolizione conseguente ad esproprio, operata dal Consiglio di Stato, non ha tenuto nel debito conto le differenze esistenti tra tale ultima ipotesi e quella della ricostruzione di un edificio a seguito della sua distruzione per calamità naturale.
L’esonero dal pagamento degli oneri di urbanizzazione nelle ipotesi di cui all’alinea g) è ispirato ai principi di solidarietà sociale ed è finalizzato ad agevolare l’esecuzione di opere da realizzare in attuazione di norme o provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità dalle quali la collettività trae un’indubbia utilità e ad evitare che il soggetto che interviene per l’istituzionale attuazione del pubblico interesse corrisponda un contributo che verrebbe a gravare sulla stessa comunità che dovrebbe avvantaggiarsi dal loro pagamento.
Ben diversa appare, invece, l’ipotesi della ricostruzione di un edificio demolito a seguito di esproprio poiché in tale ultima evenienza il proprietario dell’edificio ha percepito a fronte dell’esproprio un’indennità, ovverosia una somma di denaro a titolo di ristoro patrimoniale per il sacrificio del proprio diritto. Indennità che, come affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, consegue a fatti che sacrificano i diritti dei singoli ma che non sono antigiuridici, in quanto autorizzati o imposti da una norma di legge per perseguire un superiore interesse pubblico.
A tale riguardo merita di essere evidenziato che la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente affermato che tale indennizzo non deve essere meramente simbolico, ma deve costituire un serio ristoro per il soggetto espropriato, pur senza dovere essere necessariamente commisurato al valore di mercato del bene. E la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha accettato il principio secondo cui l’indennizzo deve essere una somma ragionevolmente collegata al valore venale del bene.
L’indennità di espropriazione è determinata, dunque, sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio.
Ne discende, quindi, che la collettività attraverso l’indennità di esproprio e, a maggior ragione attraverso il corrispettivo pattuito in sede di cessione bonaria (come nel caso di specie), ha già ristorato il proprietario del bene espropriato del sacrificio subito (in quanto il costo di costruzione e gli oneri di urbanizzazione sono voci che contribuiscono a determinare il valore venale del bene) e, conseguentemente, esonerarlo dal pagamento del contributo del costo di costruzione e degli oneri di urbanizzazione, determinerebbe in capo al concessionario un ingiustificato arricchimento.
Tanto più se si considera che, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, il contributo per il rilascio della concessione edilizia imposto dalla legge n. 10/1977 e commisurato agli oneri di urbanizzazione ha carattere generale, in quanto prescinde totalmente dall’esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione, ha natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato senza tenere conto dell’utilità che riceve il beneficiario del provvedimento di concessione, né delle spese effettivamente necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione relative alla concessione assentita (cfr. CdS, sez. V, 21.04.2006, n. 2258; CdS, sez. V, 06.05.1997, n. 462)
Sulla scorta delle suesposte considerazioni il Collegio non ritiene, quindi, di poter condividere l’avviso del Consiglio di Stato e di potere applicare in via analogica alla fattispecie in esame l’esenzione prevista dall’alinea g) dell’art. 9 della legge n. 10/1977, ravvisando l’unico elemento di somiglianza tra la ricostruzione a seguito di calamità naturale e quella a seguito di demolizione per esproprio nella assenza di qualsiasi volontà del proprietario dell’edificio di demolirlo e poi ricostruirlo.
La fattispecie in esame non appare, infine, sussumibile neanche sotto le ipotesi di esenzione previste dalle lettere d) (“interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”) ed e) (“modifiche interne necessarie per migliorare le condizioni igieniche o statiche delle abitazioni, nonché realizzazione dei volumi tecnici che si rendono indispensabili a seguito dell’installazione di impianti tecnologici necessari per le esigenze delle abitazioni”) del citato art. 9.
La ratio che ispira l’esenzione di cui alla lettera d) è di derivazione sociale in quanto l’edificio unifamiliare nell’accezione socio economica assunta dalla norma coincide con la piccola proprietà immobiliare e come tale è meritevole di un trattamento differenziato per le opere di adeguamento alle necessità abitative del nucleo familiare.
Per quanto concerne, invece, gli interventi elencati nella lettera e) occorre, in primis, evidenziare che si tratta di interventi per i quali non è neanche richiesta la concessione edilizia (ora permesso di costruire), essendo sufficiente la mera autorizzazione, in considerazione del fatto che consistono in modifiche interne e nell’installazione di impianti che non incidono sulla volumetria, sulle dimensioni e sulle destinazioni d’uso originarie dell’edificio già esistente (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 13.03.2008 n. 604 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'art. 9, lett. d), della Legge 28.01.1977 n. 10, all'epoca vigente, stabiliva che il contributo per spese di urbanizzazione e costo di costruzione non era dovuto: “per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari".
Come ha già osservato la giurisprudenza amministrativa condivisa da questo Collegio, dalla disposizione in esame si possono trarre i seguenti principi:
- l'esenzione riguarda anche gli interventi di ristrutturazione, con la conseguente irrilevanza dell'eventuale modifica della destinazione d'uso di alcuni locali, se resta invariata quella complessiva dell'edificio;
- si deve trattare di un edificio "unifamiliare" e, in mancanza di ulteriori specificazioni limitative, tale è quello strutturalmente destinato all'uso "abitativo" di un "solo" nucleo familiare, indipendentemente dalle dimensioni o meno dell'edificio stesso;
- l'intervento non deve comportare ampliamento del volume complessivo dell'edificio esistente in misura superiore al 20%.

I ricorrenti, a seguito dell’approvazione di un piano di recupero, ottenevano la concessione edilizia n. 6453 prot. 957 del 26.02.1991 (e successiva concessione edilizia n. 6453 prot. 1315 del 27.07.1993 relativa a varianti al progetto originario) per il recupero di un edificio di civile abitazione.
L’art. 4 della convenzione attuativa del predetto piano di recupero, conteneva l’impegno dei proprietari a versare gli oneri di urbanizzazione e il contributo sul costo di costruzione determinato sulla base di un computo metrico estimativo.
Le predette concessioni venivano quindi rilasciate a titolo oneroso, con richiesta del pagamento di Lire 12.820.584 relativamente al contributo afferente al costo di costruzione; somma che risulta poi essere stata versata dai ricorrenti a favore dell’Amministrazione comunale.
Gli stessi ricorrenti propongono ora ricorso chiedendo l’annullamento, in parte qua, dei provvedimenti sopra indicati e la conseguente condanna del Comune alla restituzione della somma corrisposta a titolo di contributo concessorio.
Al riguardo deducono, con una prima censura, che detto contributo non avrebbe dovuto essere corrisposto in applicazione dell’art. 9, lett. d), della Legge n. 10/1977, trattandosi di intervento finalizzato al recupero di un edificio unifamiliare. Di conseguenza deve considerarsi illegittima la pretesa economica dell’Amministrazione, come altrettanto illegittimo deve considerarsi l’art. 4 della citata convenzione. In punto di fatto evidenziano che l’edificio ha mantenuto, anche dopo la ristrutturazione, la configurazione unifamiliare, senza aumenti di volume e di superfici rispetto alla struttura esistente.
...
2. Nel merito il primo profilo di doglianza è fondato.
In punto di diritto va osservato che l'art. 9, lett. d), della Legge 28.01.1977 n. 10, all'epoca vigente, stabiliva che il contributo per spese di urbanizzazione e costo di costruzione non era dovuto: “per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari".
Come ha già osservato la giurisprudenza amministrativa condivisa da questo Collegio (cfr. TAR Marche, 31.01.2007 n. 8), dalla disposizione in esame si possono trarre i seguenti principi:
- l'esenzione riguarda anche gli interventi di ristrutturazione, con la conseguente irrilevanza dell'eventuale modifica della destinazione d'uso di alcuni locali, se resta invariata quella complessiva dell'edificio;
- si deve trattare di un edificio "unifamiliare" e, in mancanza di ulteriori specificazioni limitative, tale è quello strutturalmente destinato all'uso "abitativo" di un "solo" nucleo familiare, indipendentemente dalle dimensioni o meno dell'edificio stesso;
- l'intervento non deve comportare ampliamento del volume complessivo dell'edificio esistente in misura superiore al 20%.
Esaminando le tavole progettuali e di accatastamento versate in atti, emerge chiaramente che si tratta di un edificio unifamiliare. Tale configurazione è compatibile con la presenza di alcuni piccoli vani accessori tipici del casolare rurale nel periodo in cui detto edificio venne realizzato (porticato, latrina, porcile, stalla e stallino, letamaio e cantina).
Emerge, inoltre, che l’edificio non è stato oggetto di ampliamento, ma solo di recupero edilizio mediante ristrutturazione con l’eliminazione delle superfetazioni e con modifica della destinazione d’uso dei vani accessori (di natura agricolo/residenziale) non più necessari in relazione alle moderne esigenze abitative, pur mantenendo la destinazione monofamiliare secondo i tradizionali schemi tipologici delle abitazioni rurali.
Sussistono, dunque, tutti i presupposti indicati dal citato art. 9, lett. d), della Legge n. 10/1977 per il rilascio gratuito dei titoli edilizi oggetto di ricorso (
TAR Lombardia-Brescia, sentenza 25.02.2008 n. 151 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Contributo per il rilascio dei permesso di costruire (artt. 16 e 19 del D.P.R. n. 380/2001).
Il Comune fa presente che “nell’anno 2002 è stata rilasciata la Concessione Edilizia per la realizzazione di un intervento soggetto al contributo di cui agli articoli 16 e 19 del D.P.R. n. 380/2001 e che “relativamente al costo di costruzione l’importo da pagare è stato determinato sulla base di apposita perizia giurata a firma del tecnico progettista e trasmessa dal richiedente”.
Il Comune aggiunge che “a seguito di successivi accertamenti è emersa la non corrispondenza tra le opere oggetto di Concessione Edilizia (e successive varianti) e quelle oggetto della richiamata perizia” e che “in conseguenza di ciò la parte interessata ha trasmesso nuova perizia giurata, congruente con le opere autorizzate, il cui importo è superiore a quello stimato con la perizia precedentemente trasmessa”.
Rileva che “quanto sopra comporta una maggiore quantificazione del costo di costruzione da corrispondere” al Comune e chiede pertanto se “alla maggiore somma da richiedere all’interessato a seguito dell’applicazione dell’aliquota del 10% all’importo delle opere, così come rideterminato con la nuova perizia giurata, vanno applicate le sanzioni previste dall’art. 42 del D.P.R. 380/2001” e se sul maggiore importo così determinato vanno altresì applicati “gli interessi”.
Comunica che l’orientamento del Capo Area Tecnica del Comune è il seguente: “non applicazione delle sanzioni previste all’art. 42 del D.P.R. 380/2001 in quanto gli originari importi, anche se sulla base di un’erronea perizia giurata inviata dall’interessato per il calcolo del costo di costruzione, sono stati comunque corrisposti nei termini e con le modalità indicate dall’Ente prima del rilascio della Concessione Edilizia” e “applicazione degli interessi al tasso legale sul maggiore importo calcolato per il periodo che va dal rilascio della originaria Concessione Edilizia all’attualità” (Regione Marche, parere 10.01.2008 n. 78/2008).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Applicazione dell’art. 9, primo comma, lett. d), della legge 28.01.1977, n. 10 (ora art. 17, comma 3, lett. b) del D.P.R. 06.06.2001, n. 380).
Il Comune fa notare che la quinta sezione del Consiglio di Stato ha pronunciato la decisione n. 9672 del 1998 (rectius: n. 6289 dei 2004), che allega in copia, con la quale si è “dato ragione ad un comune che aveva imposto il pagamento del contributo di costruzione per un intervento di ristrutturazione su un edificio ex agricolo, unifamiliare, senza alcun incremento di unità immobiliari”.
Il Comune ritiene che l’intervento oggetto del contendere avrebbe dovuto essere esente dal contributo di costruzione, così come disposto dall’art. 17, comma 3, lett. b), del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (già art. 9, primo comma, lett. d), della legge 28.01.1977, n. 10).
Chiede quindi, alla luce della predetta decisione del Consiglio di Stato, “quali indirizzi intraprendere per interventi analoghi” e, “in particolare se il cambio di destinazione da ex utilizzo “agricolo” dell’immobile inteso quale vecchia abitazione del colono, ad edificio “residenziale”, determina o meno un provvedimento oneroso anche nel caso in cui l’intervento, pur prevedendo l’estensione dei locali uso abitativo anche al piano terra, mantiene un uso unifamiliare” (Regione Marche, parere 05.06.2007 n. 54/2007).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Esenzione dagli oneri di urbanizzazione.
La finalità dell'art. 9, l. 28.01.1977 n. 10, secondo cui il contributo per spese di urbanizzazione e costo di costruzione non è dovuto per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari, è quella di esentare dal contributo concessorio ogni intervento edilizio sugli edifici esistenti destinati all'abitazione di un solo nucleo familiare, sull'evidente presupposto che lo hanno già scontato o ne erano comunque esenti al momento della realizzazione, esonerando anche l'eventuale loro ampliamento, purché contenuto nella percentuale sopra indicata (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Marche, Sez. I, sentenza 31.01.2007 n. 8 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2006

EDILIZIA PRIVATACome è noto la legge Bucalossi n. 10 del 1977, introducendo nell’ordinamento il principio in base al quale ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale deve partecipare agli oneri da queste derivanti, ha sancito la regola generale della onerosità della concessione edilizia.
Da tale regola discende il potere dell’ente locale di imporre al titolare del permesso un contributo articolato in due quote, rispettivamente commisurate da un lato all’incidenza delle spese di urbanizzazione primaria (strade, fognature, reti etc.) e secondaria (scuole, mercati, chiese etc.) sulla base di tabelle parametriche definite in sede regionale per classi demografiche dei comuni e dall’altro al costo di costruzione dell’edificio.
L’art. 9, comma 1, lett. d), della legge (ora sostituito dall’art. 17, comma 3, lett. b), del T.U. n. 380 del 2001 ma vigente all’ epoca dei fatti in controversia) prevede peraltro che il contributo non è dovuto per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari.
Come appare evidente, l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il Legislatore che gli interventi edilizi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione.

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Come risulta dalla narrativa, oggetto sostanziale della presente controversia è la effettiva debenza dei contributi concessori richiesti dal comune di Peglio (ed originariamente corrisposti dai coniugi oggi appellanti) in relazione all’intervento edilizio assentito con la concessione n. 6 del '94 e relative varianti, consistente nella ristrutturazione di un immobile fatiscente e nella realizzazione di un ampio box interrato.
Con il primo motivo gli appellanti deducono che nel caso in esame l’incremento conseguente ai lavori di ristrutturazione non ha superato la percentuale di comporto del 20% rispetto alla volumetria originaria, non potendosi del resto computare ai fini dell’incremento l’autorimessa interrata.
Ha quindi errato il Tribunale nel disattendere le risultanze progettuali e la relativa relazione tecnica valorizzando in modo pressoché esclusivo la negativa perizia di un libero professionista il quale, ancorché officiato dal comune, avrebbe dovuto astenersi dall’incarico istruttorio, avendo già svolto nel pregresso attività retribuita –consistente in uno studio di fattibilità– per conto dei proprietari.
Il mezzo è infondato.
Come è noto la legge Bucalossi n. 10 del 1977, introducendo nell’ordinamento il principio in base al quale ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale deve partecipare agli oneri da queste derivanti, ha sancito la regola generale della onerosità della concessione edilizia.
Da tale regola discende il potere dell’ente locale di imporre al titolare del permesso un contributo articolato in due quote, rispettivamente commisurate da un lato all’incidenza delle spese di urbanizzazione primaria (strade, fognature, reti etc.) e secondaria (scuole, mercati, chiese etc.) sulla base di tabelle parametriche definite in sede regionale per classi demografiche dei comuni e dall’altro al costo di costruzione dell’edificio.
L’art. 9, comma 1, lett. d), della legge (ora sostituito dall’art. 17, comma 3, lett. b), del T.U. n. 380 del 2001 ma vigente all’ epoca dei fatti in controversia) prevede peraltro che il contributo non è dovuto per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari.
Come appare evidente, l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il Legislatore che gli interventi edilizi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione.
Tanto chiarito in diritto –e prescindendo per ora da ogni approfondimento in ordine alla controversa questione della riconoscibilità dell’esenzione nel caso in cui la ristrutturazione comporti un mutamento della destinazione d’uso dell’immobile– la controversia all’esame si risolve nel verificare l’attendibilità del giudizio in base al quale l’Amministrazione comunale ha stimato in mc. 253 circa l’incremento volumetrico risultante dalla ristrutturazione, a fronte di un incremento ammissibile (venti per cento teorico) pacificamente definito in mc. 201 circa.
Al riguardo giova precisare che ai fini di cui sopra appare del tutto irrilevante la circostanza che il tecnico incaricato dal comune di Peglio di eseguire le verificazioni istruttorie conseguenti alla domanda di restituzione dell’indebito proposta dagli odierni appellanti non sia un dipendente dell’Amministrazione comunale, la quale, per carenze di personale specializzato in organico, si avvale infatti in modo continuativo delle prestazioni di un libero professionista convenzionato.
Infatti, anche a prescindere dal rilievo che gli atti di convenzione all’uopo stipulati tra l’interessato e la G.C. danno comunque luogo ad un rapporto di servizio tra il preposto e l’Ente preponente (cfr. Corte conti – Sez. I giur. 08.04.2002 n. 107/A), alla relazione predisposta dal professionista in questione è stato attribuito dalla sentenza impugnata un mero rilievo probatorio e non quella portata fidefacente che postulerebbe nell’autore la qualità di P.U..
Tanto premesso, dal raffronto tra la documentazione tecnica versata dai ricorrenti in primo grado (con particolare riguardo alla relazione dell’arch. Ce. ed agli allegati fotografici e progettuali, specie tav. 3 e all. 1 ) e la documentazione fornita dal comune emerge con chiarezza –e senza quindi alcuna necessità di ulteriori incombenti istruttori- che l’intervento edilizio ha determinato un incremento volumetrico rispetto alle preesistenze ben superiore a quello comportante la gratuità della concessione.
Tale incremento deve fattualmente ricondursi da un lato alla costruzione dell’autorimessa dall’altro alla evidente sovrastima in sede progettuale delle volumetrie preesistenti, con precipuo ma non esclusivo riferimento all’altezza della falda del sottotetto ed al volume del deposito accessorio.
Per quanto riguarda l’eccedenza dei volumi preesistenti dichiarati (dalla quale consegue ovviamente una riduzione dell’incremento effettivo nel realizzato) i rilievi fotografici ante inizio lavori prodotti dal comune e le indicazioni sulla falda desumibili dalla tav. 3 di variante dimostrano anzi, a giudizio del Collegio, che la stima formulata dal professionista incaricato è del tutto prudenziale.
A ciò deve aggiungersi che non risultano in alcun modo attendibili i motivi in base ai quali il progettista, dopo aver in un primo momento accertato in mc. 57 circa il volume del vecchio deposito esistente, ha successivamente portato (all’atto della variante, e quindi a demolizione ormai avvenuta) tale stima a mc. 84 circa (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 11.10.2006 n. 6065 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’esame della giurisprudenza in argomento fa ritenere che l’art. 9 della l. n. 10/1977, avendo introdotto in una certa serie di ipotesi la figura della concessione gratuita, rappresenti una deroga al principio generale dell’onerosità della concessione edilizia, tanto è vero che l’indicazione delle fattispecie di esonero dal versamento del contributo di concessione ha carattere tassativo. Pertanto, le predette fattispecie di esonero, inclusa quella ex art. 9, lett. d), cit., sono di stretta interpretazione.
Ne discende che è legittimo cercare di individuare e circoscrivere il contenuto della nozione di “edifici unifamiliari” ricorrendo, come ha fatto il Comune, a criteri estratti da altri complessi normativi, con l’unico limite di non stravolgere la portata della disciplina da applicare.
Nel caso di specie, al contrario di quanto sostenuto nel ricorso, nessun stravolgimento della portata dell’art. 9, lett. d), della l. n. 10/1977 si può ricavare dall’avere il predetto Comune fatto ricorso agli artt. 3 del D.M. n. 1444/1968 e 19 della l.r. n. 51/1975 (quest’ultimo, nella versione anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 6 della l.r. n. 1/2001), definendo quali “edifici unifamiliari” quelli la cui volumetria non superi i 100 mc. per ciascun componente del nucleo familiare, individuato attraverso l’Anagrafe comunale.
In particolare, dalle norme citate si ricava che il valore medio, sulla cui base va computata la capacità insediativa, è di 100 mc. per abitante. Sembra, quindi, ragionevole l’utilizzo di siffatto criterio anche ai fini della definizione della nozione di “edifici unifamiliari”, per il cui ampliamento entro il 20% è prevista la gratuità della concessione edilizia: ciò, in quanto, come si è già detto, il principio è quello opposto, dell’onerosità della concessione stessa, inteso come dovere di contribuire agli oneri connessi alla trasformazione del territorio, per la realizzazione di nuovi insediamenti o l’ampliamento di quelli esistenti, con il conseguente consumo metrico e volumetrico.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare l’incensurabilità, in sede di legittimità, della determinazione comunale delle caratteristiche dell’edificio unifamiliare, stabilite in relazione ad un criterio logico di abitabilità di un nucleo familiare medio, ai fini dell’applicazione dell’art. 9, lett. d), cit..

... contro il Comune di Appiano Gentile, non costituito in giudizio per l’annullamento della nota del Comune di Appiano Gentile prot. n. 1971/99 del 24.02.1999, con cui è stata respinta la richiesta di riesame ai fini dell’esonero dal contributo concessorio ex art. 9, lett. d), della l. n. 10/1977, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale e per l’accertamento dell’indebita riscossione del contributo concessorio e conseguentemente per la condanna alla restituzione delle somme indebitamente versate, pari a £. 7.628.000 (€ 3.939,53), oltre gli interessi.
...
In ogni caso, anche ai fini di eventuali future ulteriori azioni giurisdizionali, occorre rilevare come la questione sollevata dalla ricorrente investa, a ben vedere, l’an debeatur, cioè la non debenza, nel caso di specie, di alcun contributo concessorio, atteso l’esonero ex art. 9, lett. d), della l. n. 10/1977, e non, invece, il quantum debeatur: poiché, dunque, viene contestata la stessa imposizione del contributo e non le modalità di calcolo, ci si trova a contestare la legittimità di un’attività non paritetica, ma autoritativa, a fronte della quale la posizione lesa è di interesse legittimo, con il corollario dell’impugnabilità dell’atto lesivo entro il termine decadenziale più sopra indicato (C.d.S., Sez. V, 27.09.2004, n. 6281).
Alle conclusioni fin qui raggiunte nemmeno può obiettarsi alcunché argomentando dal fatto che la nota comunale impugnata si pone come conferma in senso proprio e non gi à come atto meramente confermativo delle precedenti determinazioni del Comune. Ed infatti, in disparte la considerazione che la nota comunale prot. n. 1971/99 del 24.02.1999 ha la funzione di indicare alla sig.ra B. l’iter logico e normativo seguito dall’Amministrazione nel ritenere non applicabile al suo caso l’esonero dal contributo concessorio di cui all’art. 9, lett. d), della l. n. 10/1977, piuttosto che di rappresentare l’esito di un procedimento di vero e proprio riesame della fattispecie (com’è per la conferma in senso proprio: TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 22.06.2005, n. 1042), resta il fatto che la qualificazione della nota in discorso come conferma o atto meramente confermativo rileva ai soli fini della necessità o meno dell’impugnativa della nota medesima, ma non toglie nulla alla necessità che fossero impugnati, altresì, la “comunicazione” comunale del 13.01.1999, nonché, in parte qua, la concessione edilizia di pari data: la mancata impugnazione di tali atti rende, pertanto, il ricorso inammissibile.
In ogni caso il gravame, oltre che inammissibile, è pure infondato.
Invero, l’assunto di base della ricorrente è che la previsione dell’art. 9, comma 1, lett. d), della l. n. 10/1977 non costituisca una deroga ai principi generali in materia di concessione edilizia, ma anzi ne costituisca una diretta applicazione, giacché solo le attività comportanti trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale determinano la partecipazione del realizzatore ai relativi oneri: in base a tale regola, quindi, poiché in caso di ampliamento di edifici unifamiliari entro il 20% non si avrebbe alcuna trasformazione del territorio, del tutto logicamente la legge ha previsto l’esonero dal contributo di concessione.
Sempre secondo la ricorrente, se ne dovrebbe dedurre l’impossibilità di utilizzare ulteriori limitazioni, a pena, in caso contrario, di stravolgere significato e portata del testo normativo: nella vicenda in esame, in cui, invece, tali limitazioni ulteriori sono state utilizzate, avendo il Comune fatto ricorso al D.M. n. 1444/1968 ed all’art. 19 della l.r. n. 51/1975 per decifrare la nozione di edificio “unifamiliare”, l’operato dell’Amministrazione sarebbe stato, perciò, illegittimo.
Tuttavia, l’esame della giurisprudenza in argomento non conforta la tesi della ricorrente e anzi fa ritenere che l’art. 9 della l. n. 10/1977, avendo introdotto in una certa serie di ipotesi la figura della concessione gratuita, rappresenti, invece, una deroga al principio generale dell’onerosità della concessione edilizia, tanto è vero che l’indicazione delle fattispecie di esonero dal versamento del contributo di concessione ha carattere tassativo (C.d.S., Sez. V, 06.02.2003, n. 617). Pertanto, le predette fattispecie di esonero, inclusa quella ex art. 9, lett. d), cit., sono di stretta interpretazione.
Ne discende che è legittimo cercare di individuare e circoscrivere il contenuto della nozione di “edifici unifamiliari” ricorrendo, come ha fatto il Comune di Appiano Gentile, a criteri estratti da altri complessi normativi, con l’unico limite di non stravolgere la portata della disciplina da applicare.
Nel caso di specie, al contrario di quanto sostenuto nel ricorso, nessun stravolgimento della portata dell’art. 9, lett. d), della l. n. 10/1977 si può ricavare dall’avere il predetto Comune fatto ricorso agli artt. 3 del D.M. n. 1444/1968 e 19 della l.r. n. 51/1975 (quest’ultimo, nella versione anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 6 della l.r. n. 1/2001), definendo quali “edifici unifamiliari” quelli la cui volumetria non superi i 100 mc. per ciascun componente del nucleo familiare, individuato attraverso l’Anagrafe comunale.
In particolare, dalle norme citate si ricava che il valore medio, sulla cui base va computata la capacità insediativa, è di 100 mc. per abitante. Sembra, quindi, ragionevole l’utilizzo di siffatto criterio anche ai fini della definizione della nozione di “edifici unifamiliari”, per il cui ampliamento entro il 20% è prevista la gratuità della concessione edilizia: ciò, in quanto, come si è già detto, il principio è quello opposto, dell’onerosità della concessione stessa, inteso come dovere di contribuire agli oneri connessi alla trasformazione del territorio, per la realizzazione di nuovi insediamenti o l’ampliamento di quelli esistenti, con il conseguente consumo metrico e volumetrico.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare l’incensurabilità, in sede di legittimità, della determinazione comunale delle caratteristiche dell’edificio unifamiliare, stabilite in relazione ad un criterio logico di abitabilità di un nucleo familiare medio, ai fini dell’applicazione dell’art. 9, lett. d), cit. (così C.d.S., Sez. II, parere n. 1402 del 24.10.1984).
In definitiva, il ricorso è inammissibile e comunque infondato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.04.2006 n. 1063 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza fa ritenere che l’art. 9 della l. n. 10/1977, avendo introdotto in una certa serie di ipotesi la figura della concessione gratuita, rappresenti, invece, una deroga al principio generale dell’onerosità della concessione edilizia, tanto è vero che l’indicazione delle fattispecie di esonero dal versamento del contributo di concessione ha carattere tassativo. Pertanto, le predette fattispecie di esonero, inclusa quella ex art. 9, lett. d), cit., sono di stretta interpretazione.
Ne discende che è legittimo cercare di individuare e circoscrivere il contenuto della nozione di “edifici unifamiliari” ricorrendo, come ha fatto il Comune di ..., a criteri estratti da altri complessi normativi, con l’unico limite di non stravolgere la portata della disciplina da applicare.
Nel caso di specie nessun stravolgimento della portata dell’art. 9, lett. d), della l. n. 10/1977 si può ricavare dall’avere il predetto Comune fatto ricorso agli artt. 3 del D.M. n. 1444/1968 e 19 della l.r. n. 51/1975 (quest’ultimo, nella versione anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 6 della l.r. n. 1/2001), definendo quali “edifici unifamiliari” quelli la cui volumetria non superi i 100 mc. per ciascun componente del nucleo familiare, individuato attraverso l’Anagrafe comunale. In particolare, dalle norme citate si ricava che il valore medio, sulla cui base va computata la capacità insediativa, è di 100 mc. per abitante.
Sembra, quindi, ragionevole l’utilizzo di siffatto criterio anche ai fini della definizione della nozione di “edifici unifamiliari”, per il cui ampliamento entro il 20% è prevista la gratuità della concessione edilizia: ciò in quanto il principio è quello opposto, dell’onerosità della concessione stessa, inteso come dovere di contribuire agli oneri connessi alla trasformazione del territorio, per la realizzazione di nuovi insediamenti o l’ampliamento di quelli esistenti, con il conseguente consumo metrico e volumetrico.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare l’incensurabilità, in sede di legittimità, della determinazione comunale delle caratteristiche dell’edificio unifamiliare, stabilite in relazione ad un criterio logico di abitabilità di un nucleo familiare medio, ai fini dell’applicazione dell’art. 9, lett. d), cit..

L’assunto di base della ricorrente è che la previsione dell’art. 9, comma 1, lett. d), della l. n. 10/1977 non costituisca una deroga ai principi generali in materia di concessione edilizia, ma anzi ne costituisca una diretta applicazione, giacché solo le attività comportanti trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale determinano la partecipazione del realizzatore ai relativi oneri: in base a tale regola, quindi, poiché in caso di ampliamento di edifici unifamiliari entro il 20% non si avrebbe alcuna trasformazione del territorio, del tutto logicamente la legge ha previsto l’esonero dal contributo di concessione.
Sempre secondo la ricorrente, se ne dovrebbe dedurre l’impossibilità di utilizzare ulteriori limitazioni, a pena, in caso contrario, di stravolgere significato e portata del testo normativo: nella vicenda in esame, in cui, invece, tali limitazioni ulteriori sono state utilizzate, avendo il Comune fatto ricorso al D.M. n. 1444/1968 ed all’art. 19 della l.r. n. 51/1975 per decifrare la nozione di edificio “unifamiliare”, l’operato dell’Amministrazione sarebbe stato, perciò, illegittimo.
Tuttavia, l’esame della giurisprudenza in argomento non conforta la tesi della ricorrente e anzi fa ritenere che l’art. 9 della l. n. 10/1977, avendo introdotto in una certa serie di ipotesi la figura della concessione gratuita, rappresenti, invece, una deroga al principio generale dell’onerosità della concessione edilizia, tanto è vero che l’indicazione delle fattispecie di esonero dal versamento del contributo di concessione ha carattere tassativo (C.d.S., Sez. V, 06.02.2003, n. 617). Pertanto, le predette fattispecie di esonero, inclusa quella ex art. 9, lett. d), cit., sono di stretta interpretazione.
Ne discende che è legittimo cercare di individuare e circoscrivere il contenuto della nozione di “edifici unifamiliari” ricorrendo, come ha fatto il Comune di Appiano Gentile, a criteri estratti da altri complessi normativi, con l’unico limite di non stravolgere la portata della disciplina da applicare.
Nel caso di specie, al contrario di quanto sostenuto nel ricorso, nessun stravolgimento della portata dell’art. 9, lett. d), della l. n. 10/1977 si può ricavare dall’avere il predetto Comune fatto ricorso agli artt. 3 del D.M. n. 1444/1968 e 19 della l.r. n. 51/1975 (quest’ultimo, nella versione anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 6 della l.r. n. 1/2001), definendo quali “edifici unifamiliari” quelli la cui volumetria non superi i 100 mc. per ciascun componente del nucleo familiare, individuato attraverso l’Anagrafe comunale.
In particolare, dalle norme citate si ricava che il valore medio, sulla cui base va computata la capacità insediativa, è di 100 mc. per abitante.
Sembra, quindi, ragionevole l’utilizzo di siffatto criterio anche ai fini della definizione della nozione di “edifici unifamiliari”, per il cui ampliamento entro il 20% è prevista la gratuità della concessione edilizia: ciò, in quanto, come si è già detto, il principio è quello opposto, dell’onerosità della concessione stessa, inteso come dovere di contribuire agli oneri connessi alla trasformazione del territorio, per la realizzazione di nuovi insediamenti o l’ampliamento di quelli esistenti, con il conseguente consumo metrico e volumetrico.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare l’incensurabilità, in sede di legittimità, della determinazione comunale delle caratteristiche dell’edificio unifamiliare, stabilite in relazione ad un criterio logico di abitabilità di un nucleo familiare medio, ai fini dell’applicazione dell’art. 9, lett. d), cit. (così C.d.S., Sez. II, parere n. 1402 del 24.10.1984) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.04.2006 n. 1062 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa norma di cui all'art. 17, comma 3, lett. b), del DPR 06.06.2001, n. 380, va riferita alle costruzioni unifamiliari che hanno destinazione residenziale, con esclusione delle unità immobiliari che siano ricomprese in più ampi edifici, quali i condomini, caratterizzati dall'esistenza di parti e servizi funzionalmente comuni. La norma, ai fini della sua applicabilità, non richiede il completo isolamento dell'edificio.
La ratio che ispira la specifica esenzione (ndr: per gli edifici unifamiliari) è infatti di derivazione sociale e pertanto la nozione di edificio unifamiliare assunta dalla norma non è nella sua accezione strutturale ma socio-economica e coincide con la piccola proprietà immobiliare meritevole, per gli interventi di ristrutturazione, di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie.
Deve pertanto ritenersi irrilevante la comunione di talune strutture portanti o di qualche muro di confine e devono conseguentemente essere considerate unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche le case realizzate a schiera o in blocco ma strutturalmente funzionalmente indipendenti.

Nel caso di specie l'edificio oggetto dell'intervento è una tipica casa economica che, per numero e funzione di vani, superficie e volume è costruita per il soddisfacimento delle esigenze di un solo nucleo familiare.
Il Collegio ritiene che la norma di cui all'art. 17, comma 3, lett. b), del DPR 06.06.2001, n. 380, vada riferita alle costruzioni unifamiliari che hanno destinazione residenziale, con esclusione delle unità immobiliari che siano ricomprese in più ampi edifici, quali i condomini, caratterizzati dall'esistenza di parti e servizi funzionalmente comuni.
La norma invece, ai fini della sua applicabilità, non richiede il completo isolamento dell'edificio.
La ratio che ispira la specifica esenzione (ndr: per gli edifici unifamiliari) è infatti di derivazione sociale e pertanto la nozione di edificio unifamiliare assunta dalla norma non è nella sua accezione strutturale ma socio-economica e coincide con la piccola proprietà immobiliare meritevole, per gli interventi di ristrutturazione, di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 10.10.1996, n. 1480).
Deve pertanto ritenersi irrilevante la comunione di talune strutture portanti o di qualche muro di confine e devono conseguentemente essere considerate unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche le case realizzate a schiera o in blocco ma strutturalmente funzionalmente indipendenti (cfr. Tar Lombardia, Brescia, 01.03.1995, n. 185; id. 07.09.1999, n. 770).
Nel caso di specie, come risulta dalla documentazione versata in atti, in relazione alle caratteristiche dell'edificio oggetto di ristrutturazione che mantiene la destinazione residenziale ed ha in comune solo un muro di confine con un'altra unità immobiliare unifamiliare, mantenendo per il resto completa autonomia funzionale con ingressi autonomi e separati, ricorrono pertanto i presupposti per l'applicazione dell'esenzione di cui all'art. 17, comma 3, lett. b), del DPR 06.06.2001, n. 380 (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 03.03.2006 n. 268 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2002

EDILIZIA PRIVATALa ratio che ispira la specifica esenzione del contributo di costruzione -per gli edifici unifamigliari- è di derivazione sociale: l’edificio unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla norma, coincide con la piccola proprietà immobiliare, tale da meritare per gli interventi di ristrutturazione un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie.
Si vogliono incentivare le opere atte ad adeguare le case unifamiliari alle necessità abitative del nucleo familiare, senza estendere l’esenzione ad altre tipologie di intervento che prescindano dall’entità strutturale e dalla dimensione spaziale dell’immobile comparata con il suo valore economico.

L’intervento edilizio descritto in dettaglio nella relazione tecnica allegata alla richiesta di concessione consiste: nell’accorpamento dei due appartamenti di cui è composta la villa da ristrutturare; nell’abbassamento della soletta tra il primo piano ed il rifacimento del sottotetto con il recupero abitativo dello stesso; e nell’allargamento del piano interrato; ed infine nella modifica del prospetto posteriore ivi inclusa il sistema distributivo al piano terra con la realizzazione di uno studio professionale.
E’ indiscusso pertanto che la villa originariamente a due piani, divisa in due distinti appartamenti, dopo l’intervento di ristrutturazione è stata ricondotta ad un’unica unità immobiliare.
Per tale tipologia di intervento di ristrutturazione non trova applicazione l’esenzione dai contributi di urbanizzazione prevista dall’ art. 9, lett. d), l. n. 10/1977.
Mette conto infatti rilevare che la norma espressamente subordina l’esenzione agli interventi di ristrutturazione e di ampliamento in misura non superiore al 20% di edifici unifamiliari.
Il manufatto oggetto dell’intervento deve essere, fin dall’origine, ante opera, unifamiliare.
E ciò in conformità ad una serie di concorrenti elementi univocamente convergenti con il dato letterale.
Sotto quest’ultimo profilo non va passato sotto silenzio l’orientamento giurisprudenziale consolidato che considera tassativa l’elencazione dei casi di concessione edilizia gratuita, escludendo l’applicazione di essi in via analogica (Cons. St., sez. V, 14.10.1992 n. 987; Tar Lazio, sez. Latina, 01.08.1994 n. 752; Tar Lombardia; sez. II, 05.06.1995 n. 800).
La ratio che ispira la specifica esenzione è di derivazione sociale: l’edificio unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla norma, coincide con la piccola proprietà immobiliare, tale da meritare per gli interventi di ristrutturazione un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. II, 10.10.1996 n. 1480).
Pertanto l’esenzione è strettamente connessa con gli immobili di piccole dimensioni, per l’appunto unifamiliari, che già in origine prima dell’intervento di ristrutturazione siano tali (cfr. Tar Marche 12.02.1998 n. 250).
In definitiva si vogliono incentivare le opere atte ad adeguare le case unifamiliari alle necessità abitative del nucleo familiare, senza estendere l’esenzione ad altre tipologie di intervento che prescindano dall’entità strutturale e dalla dimensione spaziale dell’immobile comparata con il suo valore economico.
Nel caso che ne occupa la villa (si vedano le planimetrie e la documentazione fotografica in atti), oltre ad essere di notevole pregio, era composta da due separate e distinte unità immobiliari, che per dimensione delle superfici occupate e caratteristiche strutturali non è assimilabile all’edificio unifamiliare preso in considerazione dalla norma (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 28.01.2002 n. 100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).