dossier
EDIFICIO UNIFAMILIARE |
anno 2024 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La “ratio” dell’esenzione di cui
cui all’art. 17, comma 3,
lett. b), del TUE è quella di favorire
gli edifici unifamiliari, quindi la piccola proprietà
immobiliare, meritevole di un trattamento contributivo
differenziato per agevolare interventi di ristrutturazione o
di limitato ampliamento di unità immobiliari destinate al
soddisfacimento dei bisogni abitativi di una famiglia;
Insomma si tratta di un’esenzione da contributo per finalità
di carattere eminentemente sociale laddove la finalità della
norma è quella di garantire una “decorosa sistemazione
abitativa”.
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... per l'annullamento
- per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
dell'Avviso di rilascio del Permesso di Costruire n. 72/2018, prot.
n. 13345 del 04.09.2018, notificato in pari data, nella parte
in cui dispone che, ai fini del rilascio del Permesso di
Costruire, debba essere pagato il contributo di costruzione
ammontante complessivamente ad € 25.332,12 (doc. 1), e di
ogni atto presupposto o conseguente o comunque connesso alla
liquidazione del contributo di costruzione e l'accertamento
del diritto della ricorrente all'esonero dal pagamento del
contributo di costruzione e comunque della non debenza dello
stesso o, eventualmente, del minore importo da
corrispondere, con richiesta di restituzione della somma
indebitamente pagata, pari ad € 25.332,12 o a quella diversa
somma che risulterà in corso di causa;
- per quanto riguarda i motivi aggiunti:
per l’annullamento degli atti già impugnati con ricorso
introduttivo del giudizio e per l’accoglimento delle altre
domande ivi formulate, nonché per l’accertamento e la
declaratoria del diritto in capo alla ricorrente allo
scomputo del contributo di costruzione e/o alla riconduzione
ad equità degli impegni assunti mediante sottoscrizione di
atto unilaterale d’obbligo allegato al permesso di costruire
n. 72/2018.
...
1. La signora An.Ci. otteneva dal Comune di Olginate (LC) il
permesso di costruire (PdC) n. 72/2018 per il restauro
conservativo di un fabbricato adibito a residenza rurale,
per la ristrutturazione del fabbricato ad uso deposito e il
suo mutamento di destinazione d’uso in fabbricato
residenziale, con riguardo ad un compendio immobiliare sito
alla via ... n. 1.
Con il ricorso principale in epigrafe la stessa contestava
la pretesa del Comune di ottenere il pagamento del
contributo di costruzione per euro 25.332,12 in relazione al
permesso di cui è causa.
Contestualmente era chiesto l’accertamento del diritto
all’esonero dal pagamento del contributo, con richiesta di
restituzione delle somme pagate.
Con ricorso per motivi aggiunti –sottoscritto da un nuovo
difensore che aveva sostituito quello originario–
l’esponente confermava la propria richiesta di esenzione dal
pagamento del contributo di costruzione per l’intervento
edilizio di cui è causa e contestualmente chiedeva
l’accertamento della non debenza o in ogni caso la riduzione
delle somme da essa dovute ai sensi dell’art. 21 delle norme
di attuazione (NTA) del Piano di Governo del Territorio (PGT,
vale a dire lo strumento urbanistico generale comunale ai
sensi degli articoli 7 e seguenti della legge regionale n.
12 del 2005).
...
2. Il ricorso principale ed i motivi aggiunti possono essere
trattati congiuntamente, attesa la loro omogeneità.
2.1 Nel primo motivo del gravame principale e nel
motivo aggiunto n. 3 (continua la numerazione del ricorso
introduttivo) l’esponente lamenta la violazione sotto vari
profili degli articoli 16 e 17 del DPR n. 380 del 2001
(Testo Unico dell’edilizia o anche solo “TUE”) e degli
articoli 43 e 44 della legge regionale sul governo del
territorio n. 12 del 2005.
La tesi di parte ricorrente è che il proprio intervento
edilizio non dovrebbe essere assoggettato a contributo di
costruzione, dovendo applicarsi l’ipotesi di esenzione di
cui all’art. 17, comma 3, lettera b), del TUE, che prevede
la gratuità degli interventi di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20%, degli edifici
unifamiliari.
La censura non merita condivisione.
La “ratio” dell’esenzione di cui sopra è quella di
favorire gli edifici unifamiliari, quindi la piccola
proprietà immobiliare, meritevole di un trattamento
contributivo differenziato per agevolare interventi di
ristrutturazione o di limitato ampliamento di unità
immobiliari destinate al soddisfacimento dei bisogni
abitativi di una famiglia; insomma si tratta di un’esenzione
da contributo per finalità di carattere eminentemente
sociale (cfr. TAR Lombardia, Brescia, Sezione I, sentenza n.
449 del 2018, peraltro richiamata seppure impropriamente
dall’esponente, nella quale si evidenzia correttamente che
la finalità della norma è quella di garantire una “decorosa
sistemazione abitativa”; si veda anche nello stesso
senso, TAR Veneto, Sezione II, sentenza n. 289 del 2019).
Dalla documentazione versata in giudizio appare però
evidente che l’immobile di cui è causa non può essere
minimamente ricondotto all’ipotesi di cui al succitato art.
17 del TUE.
Il complesso immobiliare ricade in zona A1 agricola ed è
costituito da un fabbricato principale un tempo destinato ad
abitazione del coltivatore diretto e da un altro fabbricato
ad uso stalla o deposito.
L’intervento assentito con il PdC di cui è causa comporta la
ristrutturazione con cambio d’uso da rurale a residenziale,
la creazione di un pergolato ad uso parcheggio, la
sistemazione dell’area esterna con realizzazione di un
cancello carrabile sulla via Bedesco (cfr. il doc. 1 della
ricorrente).
La relazione tecnica di progetto (cfr. il doc. 3 della
ricorrente) ammette che quest’ultimo riguarda “la
ristrutturazione dell’esistente fabbricato rurale allo scopo
di renderlo idoneo all’uso abitativo” (si veda pag. 3
della relazione, punto 1.3).
Inoltre, se il fabbricato principale è considerato in “discrete
condizioni”, quello accessorio è definito come
fatiscente e in parte crollato, sicché sullo stesso dovranno
realizzarsi interventi importanti per creare un’unità
abitativa, con nuovi locali ad uso bagno e lavanderia (si
vedano sul punto anche le fotografie degli immobili, doc. 19
della ricorrente e le planimetrie degli interventi, in
particolare quella doc. 13 della ricorrente).
A ciò si aggiunga che il complesso immobiliare non può
certamente qualificarsi come edificio unifamiliare; è
sufficiente a tale proposito ancora la lettura della
relazione di progetto e delle fotografie allegate, che
individuano con chiarezza due strutture distinte (cfr.
ancora il doc. 3 della ricorrente).
Anche la documentazione catastale evidenzia due diverse
unità immobiliari (cfr. i documenti n. 1 e n. 2 del
resistente).
Non si tratta, quindi, di un edificio unifamiliare, senza
contare che la trasformazione in residenza del vecchio
edificio fatiscente un tempo adibito ad uso stalla e fienile
implica un aumento della superficie utile ben superiore alla
misura di legge del 20%.
Nello stesso ricorso principale (cfr. pag. 14) l’esponente
ammette peraltro che l’immobile è composto da ben nove vani
per una superficie abitabile di circa 200 metri quadrati, il
che appare di per sé incompatibile con la nozione di “edificio
unifamiliare”.
Non può neppure sostenersi, come invece viene affermato nei
motivi aggiunti, che l’intervento edilizio non darebbe luogo
ad aumento del carico urbanistico in quanto anche il vecchio
edificio abitato dal coltivatore diretto aveva comunque
destinazione residenziale.
L’argomento difensivo è privo di pregio, considerato che si
realizza la trasformazione ad uso abitativo del fabbricato
ad uso deposito (stalla e fienile), senza contare che la
vecchia casa del coltivatore diretto è ormai di fatto non
più abitabile, sicché la creazione della nuova e più ampia
residenza darà luogo ad incremento del carico urbanistico.
I motivi n. 1 e n. 3 devono quindi rigettarsi (TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 13.03.2024 n. 719 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nell'intervento
edilizio di ampliamento del fabbricato unifamiliare, la
superficie residenziale (passata da mq. 82,88 a mq.
116,56) ha subito un incremento del 40,63%, mentre la
superficie accessoria (passata da mq. 18,22 a mq. 46,51)
ha subito un incremento del 155%.
Per entrambe le tipologie di superficie, l’intervento
edilizio ha comportato un incremento superiore al 20% di
quella esistente e, pertanto, non può (poteva) considerarsi
gratuito ex art. 17, comma 3, lett. b), del DPR n. 380/2001.
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... per l'accertamento e la declaratoria del diritto del
ricorrente all'esenzione, ai sensi dell'art. 17, comma 3,
lett. b), del D.P.R. 06.06.2001 n. 380, dal pagamento del
contributo di costruzione di cui al precedente art. 16 del
medesimo D.P.R. in relazione all'intervento edilizio di
ampliamento del proprio fabbricato unifamiliare, con
conseguente annullamento e/o disapplicazione della nota del
Comune di Monte San Vito n. 6995 del 26.06.2009
limitatamente alla parte contenente la determinazione e
quantificazione del predetto contributo, insieme agli atti
successivi.
...
1. Il ricorrente allega di essere proprietario di un
edificio unifamiliare di civile citazione (composto da vani
residenziali e vani accessori) e di aver chiesto, al Comune
di Monte San Vito, il permesso di costruire per un
ampliamento della destinazione residenziale sull’area di
sedime occupata dai vani accessori di cui era prevista la
totale demolizione.
Il Comune, nell’assentire il progetto, ha chiesto il
pagamento del contributo concessorio che, tuttavia, il
ricorrente contesta ritenendo trattasi di intervento
edilizio gratuito, ex art. 17, comma 3, lett. b), del DPR n.
380/2001, poiché l’ampliamento è inferiore al 20% della
superficie esistente.
L’amministrazione comunale si è costituita per resistere al
gravame.
2. Va innanzitutto disattesa l’eccezione di tardività del
ricorso. L’odierna controversia riguarda diritti soggettivi
paritetici tutelabili entro il termine di prescrizione di 10
anni (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 30/08/2018 n. 12).
3. Con un’unica ed articolata censura viene dedotta
violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 16 e 17 del
DPR n. 380/2001 nonché eccesso di potere per
contraddittorietà e illogicità dell’azione amministrativa.
In particolare viene dedotto che l’amministrazione,
nell’effettuare il proprio calcolo della misura
dell’ampliamento (concludendo che fosse superiore al 20%),
abbia erroneamente escluso il computo del corpo accessorio
che viene demolito per lasciare spazio all’ampliamento
residenziale.
La superficie di tale struttura andava invece
computata poiché parte integrante dell’edificio unifamiliare
originario.
Le censure non possono trovare condivisione.
In disparte la riconducibilità dell’intervento alla parziale
nuova costruzione (come sostiene il Comune anche attraverso
i propri scritti difensivi) o alla ristrutturazione con
ampliamento (come sostiene parte ricorrente), a giudizio del
Collegio la controversia va risolta confrontando le
superfici dell’edificio prima e dopo l’intervento (al netto
dei muri come emerge dagli elaborati progettuali depositati
dal Comune in data 12/01/2010 e non oggetto di
contestazione).
L’esistente era così composto:
SUPERFICIE RESIDENZIALE
PT
cucina mq. 15,12;
PT vano soggiorno mq. 26,54;
P1 camera mq. 15,12;
P1 disimpegno mq. 3, 57;
P1 bagno mq. 4,50;
P1 camera mq. 18,03,
per un totale di mq. 82,88 oltre alla scala interna di
superficie non quantificata.
SUPERFICIE ACCESSORIA
PT ripostiglio mq. 3,76;
PT deposito mq. 14,46,
per un totale di mq. 18,22.
L’edificio, dopo l’ampliamento, presenta la seguente
configurazione:
SUPERFICIE RESIDENZIALE
PT + P1 mq. 82,88 come da esistente oltre alla scala interna di
superficie non quantificata;
PT nuovo bagno mq. 4,62;
PT nuovo disimpegno mq. 1,37;
PT nuova camera mq. 15,33,
per un totale di mq. 116, 56 oltre alla scala interna.
SUPERFICIE ACCESSORIA
P1 nuova terrazza mq. 46,51.
Da quanto sopra si può quindi facilmente dedurre che la
superficie residenziale (passata da mq. 82,88 a mq. 116,56)
ha subito un incremento del 40,63%, mentre la superficie
accessoria (passata da mq. 18,22 a mq. 46,51) ha subito un
incremento del 155%.
Per entrambe le tipologie di superficie, l’intervento
edilizio ha comportato un incremento superiore al 20% di
quella esistente e, pertanto, non poteva considerarsi
gratuito ex art. 17, comma 3, lett. b), del DPR n. 380/2001.
4. Il ricorso va quindi respinto (TAR Marche,
sentenza 27.02.2024 n. 191 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione
di una piscina interrata (con volumetria lorda pari a 123,28 mc
e con una superficie lorda pari a 68,49 mq) al servizio
della propria abitazione unifamiliare è da qualificarsi come
"nuova costruzione". Inoltre, il medesimo intervento
è oneroso.
La giurisprudenza nettamente prevalente ritiene che la piscina interrata
costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso
di costruire e non sia qualificabile in termini di
pertinenza dell’edificio principale in ragione della
significativa trasformazione del territorio giacché “la
piscina, in considerazione della sua consistenza
modificativa dell'assetto del territorio, rappresenta una
nuova costruzione e non può essere ricompresa tra gli
interventi di manutenzione straordinaria o minori, di cui
all'art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001”.
In materia, si richiamano altresì i seguenti principi
affermati dalla recente giurisprudenza:
- “Pure infondata è la terza censura con cui parte ricorrente
lamenta che la piscina avrebbe carattere pertinenziale e non
richiederebbe il permesso di costruire.
E infatti, giova
richiamare anche sul punto l’orientamento dominante della
giurisprudenza amministrativa secondo cui la realizzazione
di una piscina non può essere attratta alla categoria
urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è
necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non
è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi
della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura
edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa
ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio
dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso
di costruire
[...]
Pertanto, è da escludere che, nella fattispecie,
possano trovare applicazione le normative invocate con le
censure che prevedono titoli di autoamministrazione (s.c.i.a.)
compatibili unicamente con la conservazione delle
preesistenze, in funzione della tutela del diritto di
proprietà senza alcuna “innovazione” sul territorio e la cui
mancanza è sanzionabile solo pecuniariamente.
Non appare poi
corretta l’affermazione di parte ricorrente secondo cui la
realizzazione di una piscina e la sostituzione del suolo
agricolo con pavimentazione non immuti lo stato dei luoghi e
non abbia impatto paesaggistico, tenuto conto che si tratta
di modifiche sostanziali alla configurazione del territorio
sul quale tali opere insistono; sotto questo profilo la
circostanza che la piscina interrata e la pavimentazione non
si sviluppino in verticale, non esclude che esse alterino la
consistenza dei suoli e costituiscano interventi edilizi
sostanzialmente innovativi e modificativi dell’assetto
edilizio del territorio, senza che, come detto, residui
alcun margine di ponderazione tra interessi pubblici e
privati, come, invece, preteso da parte attrice”;
- “6.2. Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a
circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”,
fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella
civilistica. […]
6.5. In particolare, è stato condivisibilmente affermato che “le piscine non sono
pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti
trasformazione durevole del territorio. L’aspetto funzionale
relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra
recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi
strutturali concorrono al computo di volumetria dei
manufatti, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve
intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non
qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in
ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere
rispetto a quella propria dell’edificio cui accede.
La
piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può
essere attratta alla categoria urbanistica delle mere
pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare
all’uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per
lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in
quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula,
pertanto, il previo rilascio dell’idoneo titolo ad
aedificandum, costituito dal permesso di costruire” […]
7. Orbene dal momento che la
costruzione della piscina, in relazione alla sua consistenza
modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio
(nella specie, trattasi di un’opera interrata, avente una
superficie totale di circa 62,50 mq.), non può essere
ascritta al novero degli “interventi di manutenzione
straordinaria” e degli “interventi minori” ai sensi
dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del2001, rientrando invece
nel novero degli interventi di nuova costruzione, ne deriva
che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del
d.P.R. n. 380cit., per la relativa edificazione è richiesto
il permesso di costruire, trattandosi di attività
qualificabile come intervento di nuova costruzione, che
comporta la trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio”.
In applicazione dei richiamati principi giurisprudenziali,
risulta pertanto corretta la qualificazione da parte
dell’Amministrazione comunale dell’intervento oggetto di
segnalazione quale “nuova costruzione”.
---------------
E' destituita di fondamento la tesi difensiva della ricorrente
laddove sostiene che l’esclusione
dell’onerosità dell’intervento edilizio in questione
dovrebbe desumersi da quanto previsto dall’art. 17, comma 3,
lett. b), D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale “Il
contributo di costruzione non è dovuto: […] b) per gli
interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
Secondo la ricorrente, infatti, se la legge, al fine di
favorire la piccola proprietà immobiliare, ha escluso in
questi casi l’obbligo del pagamento del contributo di
costruzione, a maggior ragione dovrebbe esserne esente, a
pena di irrazionalità del sistema, la realizzazione di una
piscina pertinenziale non eccedente il 20% del volume
dell'edificio principale.
Al riguardo, premesso che l’intervento oggetto di segnalazione non può pacificamente
qualificarsi né come ristrutturazione né come ampliamento ai
sensi della predetta norma (la quale, peraltro, avendo
natura eccezionale, non può essere applicata
analogicamente), il Collegio ritiene che non sussista la
prospettata irrazionalità del sistema paventata da parte
ricorrente.
Ed invero, secondo l’interpretazione fornita dalla
giurisprudenza, “…l’esenzione dal contributo di costruzione
per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici
unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%,
costituisce oggetto di una previsione di carattere
eccezionale (applicabile in un ambito di stretta
interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal
legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta
sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di
salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli
interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle
necessità abitative del nucleo familiare: l’edificio
unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla
norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà
immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è
meritevole di un trattamento differenziato”.
Ciò posto, essendo la ratio della citata norma di esclusione
dal contributo di costruzione quella di agevolare gli
interventi di ristrutturazione e di ampliamento funzionali
all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del
nucleo familiare, non risulta ravvisabile alcuna
irragionevolezza nel non contemplare tra le predette ipotesi
di esclusione la costruzione di un nuovo manufatto esterno
all’abitazione non strettamente connesso alle citate
necessità abitative del nucleo familiare.
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La sig.ra -OMISSIS- ha presentato al Comune di -OMISSIS- una
segnalazione certificata di inizio attività, protocollata
dall’ente in data -OMISSIS-, per la realizzazione di una
piscina interrata (con volumetria lorda pari a 123,28 mc e
con una superficie lorda pari a 68,49 mq) al servizio della
propria abitazione unifamiliare.
Con provvedimento prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS- il Comune
di -OMISSIS- –rilevato che “La costruzione di nuova
piscina interrata al servizio della residenza privata
costituisce opera di nuova costruzione e non di
ristrutturazione, ancorché riferita a pertinenza,
accessorio, o qualsivoglia definizione del nuovo manufatto
interrato venga utilizzata dal Segnalante: per tale motivo è
assoggettata a Permesso di Costruire ovvero a SCIA
sostitutiva del permesso di Costruire…”– ha ordinato
alla sig.ra -OMISSIS- di non effettuare l’intervento
segnalato, avvertendo che qualunque opera eseguita sarebbe
stata priva di titolo abilitativo.
Avverso tale provvedimento, la sig.ra -OMISSIS- ha proposto
ricorso davanti a questo Tribunale chiedendone
l’annullamento.
...
La ricorrente, con unico motivo di ricorso, censura
il provvedimento impugnato per violazione degli artt. 3,
comma 1, lett. e), 17, comma 3, lett. b), D.P.R. n. 380/2001
e 27 l.r. n. 12/2005, in quanto avrebbe erroneamente
qualificato l’intervento oggetto di segnalazione quale “nuova
costruzione”, soggetta a permesso di costruire o a SCIA
ad esso alternativa, e non quale attività edilizia “gratuita”
soggetta a semplice SCIA.
Il ricorso è infondato.
In primo luogo, parte ricorrente sostiene che la costruzione
di una piscina di volume inferiore al 20% dell’edificio
principale consisterebbe in un intervento pertinenziale non
rientrante tra quelli indicati dall’art. 3, comma 1, lett. e.6),
D.P.R. n. 380/2001 (“gli interventi pertinenziali che le
norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione
alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico
delle aree, qualifichino come interventi di nuova
costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un
volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale”),
e quindi non qualificabile quale “intervento di nuova
costruzione”.
La tesi non è condivisibile.
Ed invero, in un precedente analogo questa Sezione ha
rilevato che “La giurisprudenza nettamente prevalente,
che il Collegio condivide, ritiene che la piscina interrata
costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso
di costruire e non sia qualificabile in termini di
pertinenza dell’edificio principale in ragione della
significativa trasformazione del territorio giacché “la
piscina, in considerazione della sua consistenza
modificativa dell'assetto del territorio, rappresenta una
nuova costruzione e non può essere ricompresa tra gli
interventi di manutenzione straordinaria o minori, di cui
all'art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001” (TAR Piemonte, sez.
II, 02/08/2022, n. 703; TAR Napoli, sez. VII, 16/03/2017, n.
1503)” (Tar Lombardia–Brescia, sent. n. 993/2022).
In materia, si richiamano altresì i seguenti principi
affermati dalla recente giurisprudenza:
- “Pure infondata è la terza censura con cui parte ricorrente
lamenta che la piscina avrebbe carattere pertinenziale e non
richiederebbe il permesso di costruire. E infatti, giova
richiamare anche sul punto l’orientamento dominante della
giurisprudenza amministrativa secondo cui la realizzazione
di una piscina non può essere attratta alla categoria
urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è
necessariamente complementare all'uso delle abitazioni e non
è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi
della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura
edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa
ubicazione, e postula, pertanto, il previo rilascio
dell'idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso
di costruire (TAR Campania, Napoli, sez. III, 07.01.2020, n.
42; TAR Campania, Salerno, sez. II, 18.04.2019, n. 642)
[...] Pertanto, è da escludere che, nella fattispecie,
possano trovare applicazione le normative invocate con le
censure che prevedono titoli di autoamministrazione (s.c.i.a.)
compatibili unicamente con la conservazione delle
preesistenze, in funzione della tutela del diritto di
proprietà senza alcuna “innovazione” sul territorio e la cui
mancanza è sanzionabile solo pecuniariamente. Non appare poi
corretta l’affermazione di parte ricorrente secondo cui la
realizzazione di una piscina e la sostituzione del suolo
agricolo con pavimentazione non immuti lo stato dei luoghi e
non abbia impatto paesaggistico, tenuto conto che si tratta
di modifiche sostanziali alla configurazione del territorio
sul quale tali opere insistono; sotto questo profilo la
circostanza che la piscina interrata e la pavimentazione non
si sviluppino in verticale, non esclude che esse alterino la
consistenza dei suoli e costituiscano interventi edilizi
sostanzialmente innovativi e modificativi dell’assetto
edilizio del territorio, senza che, come detto, residui
alcun margine di ponderazione tra interessi pubblici e
privati, come, invece, preteso da parte attrice” (Tar
Campania–Napoli, sent. n. 3874/2020);
- “6.2. Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a
circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”,
fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella
civilistica. […] 6.5. In particolare, è stato
condivisibilmente affermato che “le piscine non sono
pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti
trasformazione durevole del territorio. L’aspetto funzionale
relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra
recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi
strutturali concorrono al computo di volumetria dei
manufatti, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve
intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non
qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in
ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere
rispetto a quella propria dell’edificio cui accede. La
piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può
essere attratta alla categoria urbanistica delle mere
pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare
all’uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per
lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in
quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide
invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula,
pertanto, il previo rilascio dell’idoneo titolo ad
aedificandum, costituito dal permesso di costruire” (TAR
Campania, Napoli, sez. III, 09/09/2020, n. 3730; Cons. di
Stato, sent. n. 35/2016)” […] 7. Orbene dal momento che la
costruzione della piscina, in relazione alla sua consistenza
modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio
(nella specie, trattasi di un’opera interrata, avente una
superficie totale di circa 62,50 mq.), non può essere
ascritta al novero degli “interventi di manutenzione
straordinaria” e degli “interventi minori” ai sensi
dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del2001, rientrando invece
nel novero degli interventi di nuova costruzione, ne deriva
che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del
d.P.R. n. 380cit., per la relativa edificazione è richiesto
il permesso di costruire, trattandosi di attività
qualificabile come intervento di nuova costruzione, che
comporta la trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio” (Tar Puglia–Lecce, sent. n. 845/2022).
In applicazione dei richiamati principi giurisprudenziali,
risulta pertanto corretta la qualificazione da parte
dell’Amministrazione comunale dell’intervento oggetto di
segnalazione quale “nuova costruzione”.
La ricorrente sostiene inoltre che l’esclusione
dell’onerosità dell’intervento edilizio in questione
dovrebbe desumersi da quanto previsto dall’art. 17, comma 3,
lett. b), D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale “Il
contributo di costruzione non è dovuto: […] b) per gli
interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
Secondo la ricorrente, infatti, se la legge, al fine di
favorire la piccola proprietà immobiliare, ha escluso in
questi casi l’obbligo del pagamento del contributo di
costruzione, a maggior ragione dovrebbe esserne esente, a
pena di irrazionalità del sistema, la realizzazione di una
piscina pertinenziale non eccedente il 20% del volume
dell'edificio principale.
Anche tale tesi risulta destituita di fondamento.
Premesso che l’intervento oggetto di segnalazione, come
anche ammesso dalla ricorrente, non può pacificamente
qualificarsi né come ristrutturazione né come ampliamento ai
sensi della predetta norma (la quale, peraltro, avendo
natura eccezionale, non può essere applicata
analogicamente), il Collegio ritiene che non sussista la
prospettata irrazionalità del sistema paventata da parte
ricorrente.
Ed invero, secondo l’interpretazione fornita dalla
giurisprudenza, da cui il Collegio non ravvisa motivi per
discostarsi, “…l’esenzione dal contributo di costruzione
per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici
unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%,
costituisce oggetto di una previsione di carattere
eccezionale (applicabile in un ambito di stretta
interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal
legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta
sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di
salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli
interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle
necessità abitative del nucleo familiare: l’edificio
unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla
norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà
immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è
meritevole di un trattamento differenziato (TAR
Lombardia-Milano, sez. IV – 02/07/2014 n. 1707)” (Tar
Lombardia–Brescia, sent. n. 449/2018, cfr. di recente Tar
Emilia Romagna, Bologna, sent. n. 848/2022).
Ciò posto, essendo la ratio della citata norma di esclusione
dal contributo di costruzione quella di agevolare gli
interventi di ristrutturazione e di ampliamento funzionali
all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del
nucleo familiare, non risulta ravvisabile alcuna
irragionevolezza nel non contemplare tra le predette ipotesi
di esclusione la costruzione di un nuovo manufatto esterno
all’abitazione non strettamente connesso alle citate
necessità abitative del nucleo familiare.
Alla luce di tutte le argomentazioni suesposte, il ricorso
risulta infondato e deve essere respinto (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 11.01.2024 n. 11 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 9 della legge n. 10/1977 stabilisce per le
ipotesi dallo stesso previste l’esenzione dal contributo di
cui al precedente art. 3, provvedendo esclusivamente ad
individuare –in deroga al principio di
onerosità del permesso di costruire- delle fattispecie
tipiche di esenzione, senza in alcun modo voler concepire
una forma di concessione differente rispetta a quello di
carattere generale.
Con riferimento all’interpretazione del citato art. 9, lett.
d), della legge n. 10/1977 quale ipotesi di esenzione dal
pagamento del contributo concessorio “per gli interventi di
restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e
di ampliamento, in misura non superiore al 20% di edifici
unifamiliari”, occorre rammentare che, secondo la costante
giurisprudenza in materia di edilizia il pagamento degli
oneri concessori rappresenta la regola, con la conseguenza
che si impone un’interpretazione restrittiva delle deroghe,
da ritenere, pertanto, quali ipotesi tassativamente previste
dalla legge.
---------------
L’art. 9, comma 1, lett. d), della legge n. 10/1977, nel
prevedere che il contributo non è dovuto per gli interventi
di restauro, di risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20%, di edifici unifamiliari, si pone l’obiettivo di
esentare dal contributo concessorio ogni intervento edilizio sugli edifici esistenti
destinati all'abitazione di un solo nucleo familiare.
Il
legislatore, pertanto, individua -quali beneficiari
dell’esenzione- i nuclei familiari, per l’appunto
proprietari di alloggi unifamiliari, nell’ottica di
migliorare in loro favore le condizioni di abitabilità degli
edifici medesimi.
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se
per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è
costituito dalla compartecipazione alle spese che il
maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento
genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è
correlato all'aumento di valore che consegue all'intervento.
Pertanto, si giustifica la sottrazione all'imposizione
dell'aumento di valore che la famiglia consegue per effetto
della ristrutturazione solo per le finalità di ordine
sociale sopra individuate.
Ne discende la condivisibilità della tesi sostenuta dal
giudice di primo grado secondo cui che la deroga
all’onerosità della concessione prevista dal citato art. 9
della legge n. 10/1977 (ora art. 17, comma 3, lett. b), del
d.P.R. n. 380 del 2001) ha “un fondamento sociale, con
l'effetto che la nozione di edificio unifamiliare non deve
avere una accezione strutturale, ma socio-economica,
coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole
per gli interventi di ristrutturazione dell'abitazione di un
trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie
edilizie”.
---------------
1. La sig.ra Ol.Ca. ha chiesto la riforma della sentenza
n. 631, depositata l’01.10.2018, con la quale il giudice
di primo grado ha respinto la domanda volta all’annullamento
della clausola della concessione edilizia n. 67/96 del 16.09.1996 che ha imposto il pagamento di 34.550.290 di
vecchie lire, a titolo di oneri di urbanizzazione, e di
13.600.000 milioni di vecchie lire, a titolo di contributo
di concessione, e alla conseguente declaratoria del diritto
alla restituzione delle somme versate, oltre rivalutazione
monetaria ed interessi.
1.2. L’appellante ha esposto che:
a) ha ottenuto dal Comune di Ancona la concessione edilizia
n. 67/96 per la demolizione e ricostruzione di un edificio
unifamiliare per civile abitazione e cambio d'uso con opere
di annesso agricolo, ubicato in via ... n. 32, concessione seguita da due varianti;
b) con nota del 17.11.1998 ha fatto riserva avverso la
clausola di onerosità, essendo la concessione stata
sottoposta al pagamento di 34.550.290 di vecchie lire, a
titolo di oneri di urbanizzazione, e di 13.600.000 milioni
di vecchie lire, a titolo di contributo di concessione;
c) con lettera del 15.07.1999 prot. n. 49817 il Comune
di Ancona ha richiesto il versamento di 13.600.000 di
vecchie lire, corrispondente al costo di costruzione;
d) con nota del 28.07.1999 la sig.ra Ca. ha dedotto
che il termine di pagamento di tale importo non era ancora
scaduto, attesa la proroga correlata alle varianti
intervenute e con successiva nota dell’11.08.1999 ha
osservato che la concessione è stata illegittimamente
sottoposta ad onerosità, dovendo esserne esente, ai sensi
dell’art. 9, lett. d), della legge n. 10/1977, rientrando la
demolizione e ricostruzione nella nozione di
ristrutturazione, e ai sensi dell'art. 11 della medesima
legge, atteso che l'istante ha dovuto eseguire a proprie
spese le opere di urbanizzazione;
e) con nota dell’11.10.1999 il Comune ha reiterato
quanto affermato il 15.07.1999 e il 30.12.1999 la
sig.ra Ca. ha versato la somma richiesta, riservandosi
di agire per la restituzione di tutto quanto pagato.
1.3. L’appellante deduce l’erroneità della sentenza di primo
grado laddove, pur dando atto dell’esistenza di un
orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui
l'esenzione dal costo di costruzione, di cui alla lettera d)
dell'art. 9 della legge n. 10/1977, fosse applicabile anche
agli interventi di demolizione e ricostruzione, afferma “la
deroga all’onerosità della concessione prevista dall’art. 9
della legge n. 10 del 1977 (successivamente sostituito
dall’art. 17, comma 3, lett. b), del DPR n. 380 del 2001) ha
un fondamento sociale, con l'effetto che la nozione di
edificio unifamiliare non deve avere una accezione
strutturale ma socio-economica, coincidendo con la piccola
proprietà immobiliare, meritevole per gli interventi di
ristrutturazione dell'abitazione di un trattamento
differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie (Tar
Campania Salerno, 22.06.2015, n. 1416; Tar Lombardia
Milano, 10.10.1996, n. 1480; Tar Toscana, 26.04.2017, n. 616; Tar Marche,
09.01.2018, n. 9).”.
In particolare l’appellante lamenta che l'interpretazione
restrittiva seguita dal giudice di primo grado, frutto di un
più recente orientamento della giurisprudenza, si porrebbe
in contrasto con l'art. 111 Cost. essendo mancata un'attenta
ponderazione degli effetti del mutamento
dell'interpretazione normativa a significativa distanza
dall'introduzione del giudizio e dal rilascio del titolo
edilizio, nonché deduce l’erroneità della sentenza laddove
afferma che parte istante non avrebbe assolto all’onere
probatorio relativo al carattere unifamiliare del fabbricato
non avendo il Comune contestato che si trattasse di una ex
tipica casa colonica delle campagne marchigiane, che
l’intervento fosse qualificabile come ristrutturazione e che
l'ampliamento fosse contenuto nel 20%.
La sentenza sarebbe erronea anche per la parte in cui ha
negato l’applicabilità dell’art. 11 della legge n. 10/1977 in
quanto, secondo la giurisprudenza anche in assenza di un
atto d'obbligo l'amministrazione potrebbe tenere conto della
domanda di scomputo delle opere già realizzate senza il
previo dettato comunale ove sussista la relativa previsione,
anche se solo in forma generica, nella concessione edilizia
ovvero la discrezionale determinazione di accettazione ex
post delle opere da parte del Comune che secondo parte
istanze dovrebbe desumersi nel caso di specie dal parere
favorevole della C.E. del 22.07.1997.
2. Il Comune di Ancona si è costituito in giudizio ed ha
eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità della
produzione in giudizio da parte dell’appellante chiedendo lo
stralcio e la cancellazione dei seguenti documenti nuovi
depositati:
"2. relazione arch. Ro.Pa. 05.07.1999; 3.
concessione in variante; 4. relazione arch. Ro.Pa.
17.11.1998.", nonché l’inammissibilità dell’appello per
genericità ed assenza di specificità delle censure che
integrano una mera richiesta di riesame dei motivi di
impugnazione formulati in primo grado.
2.1. Nel merito il Comune ha concluso per il rigetto
dell’appello e per la conferma della sentenza di primo grado
che correttamente avrebbe escluso l’applicabilità alla
fattispecie in esame dell’esenzione dall’onerosità, ai sensi
dell’art. 9, lett. d), della legge n. 10/1977, così come
l’applicabilità dell’art. 11 della medesima legge n.
10/1977.
...
5. L’appello non è fondato nel merito e va respinto,
circostanza che esime il Collegio dall’esame delle eccezioni
preliminari, ivi compresa quella di inammissibilità della
produzione di nuovi documenti da parte dell’appellante in
considerazione della loro non rilevanza ai fini della
decisione.
6. Il Collegio osserva che l’art. 9 della legge n. 10/1977
stabilisce per le ipotesi dallo stesso previste l’esenzione
dal contributo di cui al precedente articolo 3, provvedendo
esclusivamente ad individuare –in deroga al principio di
onerosità del permesso di costruire- delle fattispecie
tipiche di esenzione, senza in alcun modo voler concepire
una forma di concessione differente rispetta a quello di
carattere generale (Consiglio di Stato, IV sez., 01.06.2020, n. 3405).
Con riferimento all’interpretazione del citato art. 9, lett.
d), della legge n. 10/1977 quale ipotesi di esenzione dal
pagamento del contributo concessorio “per gli interventi di
restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e
di ampliamento, in misura non superiore al 20% di edifici
unifamiliari”, occorre rammentare che, secondo la costante
giurisprudenza in materia di edilizia il pagamento degli
oneri concessori rappresenta la regola, con la conseguenza
che si impone un’interpretazione restrittiva delle deroghe,
da ritenere, pertanto, quali ipotesi tassativamente previste
dalla legge (Consiglio di stato, IV sez., 07.06.2018, n.
3422; Consiglio di stato, V sez., 07.05.2013, n. 2467).
7. Nel caso di specie dalla documentazione in atti emerge
che l’intervento assentito è consistito in una demolizione e
ricostruzione dell’edificio di cui si controverte, nonché
nel cambio di destinazione d’uso dello stesso da rurale a
residenziale e che sin dal suo rilascio la concessione è
stata sottoposta a “contributo per complessive £.
48.150.290, di cui £. 34.550.290 per oneri di urbanizzazione
e £. 13.600.000 per costo di costruzione”.
7. A fronte della contestazione della clausola di onerosità
da parte dell’appellante, il Collegio osserva che l’art. 9,
comma 1, lettera d), della legge n. 10/1977, nel prevedere
che il contributo non è dovuto per gli interventi di
restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e
di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici
unifamiliari, si pone l’obiettivo di esentare dal contributo
concessorio ogni intervento edilizio sugli edifici esistenti
destinati all'abitazione di un solo nucleo familiare. Il
legislatore, pertanto, individua -quali beneficiari
dell’esenzione- i nuclei familiari, per l’appunto
proprietari di alloggi unifamiliari, nell’ottica di
migliorare in loro favore le condizioni di abitabilità degli
edifici medesimi.
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se
per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è
costituito dalla compartecipazione alle spese che il
maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento
genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è
correlato all'aumento di valore che consegue all'intervento.
Pertanto, si giustifica la sottrazione all'imposizione
dell'aumento di valore che la famiglia consegue per effetto
della ristrutturazione solo per le finalità di ordine
sociale sopra individuate.
7.1. Ne discende la condivisibilità della tesi sostenuta dal
giudice di primo grado secondo cui che la deroga
all’onerosità della concessione prevista dal citato art. 9
della legge n. 10/1977 (ora art. 17, comma 3, lett. b), del
d.P.R. n. 380 del 2001) ha “un fondamento sociale, con
l'effetto che la nozione di edificio unifamiliare non deve
avere una accezione strutturale, ma socio-economica,
coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole
per gli interventi di ristrutturazione dell'abitazione di un
trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie
edilizie”.
7.2. Nel caso in esame dalla documentazione allegata non
risulta l’esatta consistenza dell’edificio e continua a
mancare la prova del suo carattere di edificio unifamiliare
nel senso appena detto di “piccola proprietà immobiliare”
meritevole di un trattamento differenziato, prova che
avrebbe dovuto essere fornita dall’appellante.
Al contrario l’importo elevato degli oneri concessori sembra
far deporre diversamente soprattutto con riguardo alla
consistenza dell’edificio.
7.3. Né, infine, sussiste il lamentato contrasto con l’art. 111
Cost. in quanto il giudice di primo grado ha applicato un
orientamento giurisprudenziale consolidatosi da lungo tempo,
rammentando anche che in precedenza vi era stato un
contrasto tra orientamenti diversi.
E, infatti, il contrasto tra diversi orientamenti della
giurisprudenza in ordine alla medesima questione non integra
una lesione del diritto ad un processo equo e giusto, né può
ingenerare un legittimo affidamento in capo alla parte che
la sua causa sarà decisa secondo uno piuttosto che secondo
l’altro orientamento (Consiglio
di Stato, Sez. VII,
sentenza 09.01.2024 n. 302 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2023 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza è costante nell’affermare che la
concessione gratuita è una figura eccezionale, mentre la
regola è quella dell’onerosità: infatti, la norma che la
prevede, l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n.
380/2001 -ai sensi del quale “il contributo di costruzione
non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici
unifamiliari”- è sempre stata intesa come previsione
derogatoria rispetto alla suindicata regola e, dunque, da interpretare restrittivamente.
La chiara finalità della previsione dettata all’art. 17, c.
3, lett. b), è di natura sociale, essendo essa diretta ad
apprestare un concreto strumento di tutela e di salvaguardia
alla piccola proprietà immobiliare per quegli interventi di
adeguamento dell'immobile che siano effettivamente
funzionali alle necessità abitative del nucleo familiare.
Pertanto, nell'accezione socio-economica assunta dalla
suddetta norma di carattere eccezionale, il concetto di
"edificio unifamiliare" coincide, in concreto, con la
piccola proprietà immobiliare, con la conseguenza che
soltanto se presenti tali caratteri l'immobile unifamiliare
è meritevole di un trattamento differenziato.
Invero, è stato ritenuto non
manifestamente illogico o irrazionale definire "edificio
unifamiliare", non soggetto al pagamento del contributo concessorio, "un alloggio che abbia ... una superficie utile
non superiore a 110 mq'', con l'ulteriore previsione che "le
limitazioni di cui ai bagni ed alla superficie utile possono
essere superate" nel "caso in cui venga dimostrato che
nell'alloggio la superficie utile per abitante non è
superiore a 20 mq . ... ".
La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell'art. 9,
comma 1, della L. 28/01/1977 n. 10, "in relazione al
quale la giurisprudenza aveva avuto modo di chiarire che il
carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione
abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche
dell'edificio, in ragione del volume, della superficie, del
numero e della funzione e caratteristica dei vani, in
rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da
parte di un unico nucleo familiare".
---------------
Nel caso di specie, per le ampie dimensioni del fabbricato
–una volumetria di 982 mc e una superficie di oltre di 300
mq- e per essere destinato ad un nucleo familiare che, al
momento del rilascio del permesso di costruire, era composto
da tre sole persone, il medesimo edificio non può
qualificarsi quale “piccola proprietà immobiliare” e non è,
quindi, meritevole di esenzione dal contributo di
costruzione.
---------------
Il sig. Gi.Co. ha contestato la decisione del Comune
di Colle Brianza di assoggettare a contributo di costruzione
(pari a euro 20.602,20) l’intervento edilizio di
ristrutturazione e ampliamento dell’immobile di sua
proprietà, oggetto del permesso di costruire n. 14/2012,
deducendone l’illegittimità per violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 17, comma 3, lett. b), d.P.R. n.
380/2001, eccesso di potere per travisamento dei fatti,
difetto dei presupposti, arbitrarietà, ingiustizia
manifesta, sviamento di potere.
...
Il Comune di Colle Brianza ha negato l’esenzione dal
contributo di costruzione prevista all’art. 17, c. 3, lett.
b), d.P.R. n. 380/2001, in caso di “interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20%, di edifici unifamiliari”, ritenendo non
riconducibile a tale fattispecie l’abitazione di proprietà
del sig. Co., occupata da un nucleo di tre persone,
avente una volumetria oggetto di ristrutturazione di 877,58 mc oltre a un volume di 105,02 mc di ampliamento.
Il ricorrente ha contestato la legittimità di tale decisione
deducendo la violazione dell’art. 17, c. 3, lett. b), d.P.R.
n. 380/2001 e il travisamento dei fatti: nel caso di specie
sussisterebbero i presupposti richiesti dalla norma, poiché
l’edificio è strutturalmente destinato all’uso abitativo di
un solo nucleo familiare, la destinazione ad esclusiva
residenza abitativa preesiste all’intervento e permane anche
dopo di esso e l’intervento edilizio non ha carattere di
lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di
abitabilità dell’edificio medesimo.
A suo avviso, l’utilizzo di un criterio dimensionale per
individuare la nozione di edificio unifamiliare non sarebbe
corretto ma, quand’anche volesse essere farsi ricorso ad
esso, l’intervento edilizio sull’immobile –un edificio
strutturato su due livelli: un piano terra (di 151,45 mq) e
un piano seminterrato (di 151,45 mq) i cui locali non sono
abitabili, avendo un’altezza non superiore a 2,60 m.-
andrebbe comunque esente dal contributo.
Il ricorso è infondato.
La giurisprudenza è costante nell’affermare che la
concessione gratuita è una figura eccezionale, mentre la
regola è quella dell’onerosità: infatti, la norma che la
prevede, l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n.
380/2001 -ai sensi del quale “il contributo di costruzione
non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici
unifamiliari”- è sempre stata intesa come previsione
derogatoria rispetto alla suindicata regola (cfr. C.d.S.,
Sez. IV, 14.02.2018, n. 945; Sez. V, 07.05.2013, n.
2467, e 24.03.2006, n. 1523; sull’art. 9 cit. cfr. Corte
cost., ord. 23.06.1988, n. 714; C.d.S., Sez. V, 06.02.2003, n. 617) e, dunque, da interpretare restrittivamente (C.d.S., Sez. IV,
01.06.2020, n. 3405).
La chiara finalità della previsione dettata all’art. 17, c.
3, lett. b), è di natura sociale, essendo essa diretta ad
apprestare un concreto strumento di tutela e di salvaguardia
alla piccola proprietà immobiliare per quegli interventi di
adeguamento dell'immobile che siano effettivamente
funzionali alle necessità abitative del nucleo familiare.
Pertanto, nell'accezione socio-economica assunta dalla
suddetta norma di carattere eccezionale, il concetto di
"edificio unifamiliare" coincide, in concreto, con la
piccola proprietà immobiliare, con la conseguenza che
soltanto se presenti tali caratteri l'immobile unifamiliare
è meritevole di un trattamento differenziato (TAR Lombardia,
Milano, sez. IV, 02.07.2014, n. 1707, che ha ritenuto non
manifestamente illogico o irrazionale definire "edificio
unifamiliare", non soggetto al pagamento del contributo concessorio, "un alloggio che abbia ... una superficie utile
non superiore a 110 mq'', con l'ulteriore previsione che "le
limitazioni di cui ai bagni ed alla superficie utile possono
essere superate" nel "caso in cui venga dimostrato che
nell'alloggio la superficie utile per abitante non è
superiore a 20 mq . ... ").
La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell'art. 9,
comma 1, della L. 28/01/1977 n. 10, "in relazione al quale la
giurisprudenza (cfr. TAR 07.09.1999 n. 770; TAR Veneto
30.03.1996 n. 480) aveva avuto modo di chiarire che il
carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione
abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche
dell'edificio, in ragione del volume, della superficie, del
numero e della funzione e caratteristica dei vani, in
rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da
parte di un unico nucleo familiare" (cfr. TAR Brescia,
sez. I , 13.05.2011 n. 713).
Nel caso di specie, l’edificio oggetto dell’intervento
edilizio si struttura su due piani, con un piano terra di
151,45 mq (articolato in un ampio soggiorno con cucina a
vista, un piccolo ripostiglio due stanze da letto e bagni) e
un piano seminterrato anch’esso di 151,45 mq (con un ampio
locale destinato a taverna, bagno, cantina, ripostiglio,
lavanderia, magazzino, locale caldaia e locale ricovero
attrezzi) (doc. 8).
Al piano seminterrato, alcuni locali, per quanto formalmente
non abitabili, hanno comunque altezze ragguardevoli e
destinazioni tali da consentirne, di fatto, un uso abitativo
(la taverna e il bagno). Anche i locali adibiti a deposito,
lavanderia, magazzino, cantina, centrale termica e ricovero
attrezzi, per quanto non abitabili, vanno, comunque, ad
incrementare le dimensioni dell’edificio e non possono
essere ritenuti privi di rilievo.
Proprio per le sue ampie dimensioni –una volumetria di 982 mc e una superficie di oltre di 300 mq- e per essere
destinato ad un nucleo familiare che, al momento del
rilascio del permesso di costruire, era composto da tre sole
persone, non può qualificarsi quale “piccola proprietà
immobiliare” e non è quindi meritevole di esenzione dal
contributo di costruzione.
Per le ragioni esposte il ricorso è infondato e deve essere
respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 19.12.2023 n. 3093 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il criterio orientativo generale in materia è
quello della onerosità del permesso di costruire. Il
contributo di costruzione –come anche di recente evidenziato
dal Consiglio di Stato nella sua più autorevole composizione
(cfr. Adunanza Plenaria n.
12 del 2018)- rappresenta un corrispettivo di diritto
pubblico nel quale si concretizza la compartecipazione del
privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione
delle opere di urbanizzazione.
In sostanza, fatte salve le ipotesi di esenzione dal
contributo indicate dall’art. 17, comma 3, del DPR 380/2001,
il contributo è sempre dovuto, sicché le ipotesi di
esenzione non possono configurarsi in casi non previsti
dalla norma citata.
---------------
Con specifico riguardo all’ipotesi di esenzione di cui
all’art. 17, comma 3, lett. b), la giurisprudenza ha avuto modo di evidenziare come tutte
le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo
contributivo contenute nell'art. 17 D.P.R. n. 380/2001 sono
volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che
abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione
prevista dalla lett. b) della norma in parola, secondo cui "il
contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli
interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20%, di edifici unifamiliari" - che deve
essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è
preposta.
La ratio dell'esenzione di cui alla norma citata
va, cioè, rinvenuta nella tutela e salvaguardia delle
necessità abitative del nucleo familiare, perseguite
attraverso la gratuità degli interventi funzionali
all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La
nozione di "edificio unifamiliare" richiamata dalla norma
deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione
socio-economica che coincide "con la piccola proprietà
immobiliare", poiché soltanto ove presenti tali caratteri è
meritevole di un trattamento differenziato.
D'altronde il
presupposto del contributo di costruzione, se per la parte
relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla
compartecipazione alle spese che il maggiore carico
urbanistico derivante dall'intervento genera, per la parte
relativa al costo di costruzione, è correlato all'aumento di
valore che consegue all'intervento.
Pertanto la sottrazione all'imposizione dell'aumento di
valore che la famiglia consegue per effetto della
ristrutturazione si giustifica solo per le finalità di
ordine sociale sopra individuate.
Altresì,
circa gli estremi per l’applicazione dell’esenzione di cui
al ridetto art. 17, comma 3, lett. b), del D.P.R. n.
380/2001 pacifica giurisprudenza circoscrive l’operatività
agli interventi che non abbiano mutato sostanzialmente
l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile,
e non ne abbiano elevato in modo apprezzabile il valore
economico.
---------------
5. Il ricorso è infondato e va respinto.
Osserva preliminarmente il Collegio che il criterio
orientativo generale in materia è quello della onerosità del
permesso di costruire. Il contributo di costruzione –come
anche di recente evidenziato dal Consiglio di Stato nella
sua più autorevole composizione (cfr. Adunanza Plenaria n.
12 del 2018)- rappresenta un corrispettivo di diritto
pubblico nel quale si concretizza la compartecipazione del
privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione
delle opere di urbanizzazione.
In sostanza, fatte salve le ipotesi di esenzione dal
contributo indicate dall’art. 17, comma 3, del DPR 380/2001,
il contributo è sempre dovuto, sicché le ipotesi di
esenzione non possono configurarsi in casi non previsti
dalla norma citata.
Con specifico riguardo all’ipotesi di esenzione di cui
all’art. 17, comma 3, lettera b), la giurisprudenza (cfr.
TAR Veneto, Sez. II, 05.03.2019, n. 289; TAR Sez. I,
Brescia, 26.04.2018, n. 449; TAR Toscana, Sez. III,
26.04.2017 n. 616; TAR Campania, Salerno, Sez. I, 22.06.2015 n. 1416;
TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 21.11.2014 n. 2180 e TAR Lombardia, Milano, Sez. IV,
02.07.2014 n. 1707) ha avuto modo di evidenziare come tutte
le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo
contributivo contenute nell'art. 17 D.P.R. n. 380/2001 sono
volte al perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che
abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può,
pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista
dalla lettera b) della norma in parola, secondo cui "il
contributo di costruzione non è dovuto: b) per gli
interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20%, di edifici unifamiliari" - che deve
essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è
preposta.
La ratio dell'esenzione di cui alla norma citata
va, cioè, rinvenuta nella tutela e salvaguardia delle
necessità abitative del nucleo familiare, perseguite
attraverso la gratuità degli interventi funzionali
all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La
nozione di "edificio unifamiliare" richiamata dalla norma
deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione
socio-economica che coincide "con la piccola proprietà
immobiliare", poiché soltanto ove presenti tali caratteri è
meritevole di un trattamento differenziato.
D'altronde il
presupposto del contributo di costruzione, se per la parte
relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla
compartecipazione alle spese che il maggiore carico
urbanistico derivante dall'intervento genera, per la parte
relativa al costo di costruzione, è correlato all'aumento di
valore che consegue all'intervento.
Pertanto la sottrazione
all'imposizione dell'aumento di valore che la famiglia
consegue per effetto della ristrutturazione si giustifica
solo per le finalità di ordine sociale sopra individuate (cfr.
TAR Veneto, sez. II, 05/03/2019, n. 289; TAR sez. I,
Brescia, 26/04/2018, n. 449; TAR Toscana, Sez. III, 26.04.2017 n. 616,
TAR Campania, Salerno, Sez. I, 22.06.2015 n. 1416, TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 21.11.2014 n. 2180 e
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 02.07.2014 n. 1707; TAR Piemonte,
02.05.2022, n. 412).
5.1. Tanto premesso in linea generale, ritiene il Collegio
che nel caso di specie queste finalità di ordine sociale non
possano ritenersi sussistenti, tenuto conto della rilevanza
dell'intervento assentito che ha evidentemente causato un
sostanziale mutamento del fabbricato ed un apprezzabile
aumento del suo valore economico.
È tranciante la lettura della relazione tecnica allegata al
progetto di ristrutturazione (allegato 004 del deposito
documentale del Comune di -OMISSIS- del 10.07.2023,
pagg. 2 e 3), nella quale il tecnico incaricato evidenzia,
per un verso, come “…L’intervento proposto prevede la
fusione in un’unica unità immobiliare delle due distinte
costruzioni da cui è attualmente costituito l’immobile in
oggetto. Ciò comporta la ridistribuzione di ambienti e
funzioni oltre al necessario miglioramento delle
caratteristiche prestazionali dell’edificio…” e, per altro
verso, che “…Tali interventi comprendono il consolidamento,
il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi
dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e
degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso,
l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo
edilizio...”.
In sostanza, la lettura della documentazione in atti esclude
che nella fattispecie possano sussistere gli estremi per
l’applicazione dell’esenzione di cui al ridetto art. 17,
comma 3, lettera b), del D.P.R. n. 380 del 2001 di cui, come
già detto, pacifica giurisprudenza, circoscrive
l’operatività agli interventi che, a differenza di quanto
risulta nella fattispecie, non abbiano mutato
sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione
spaziale dell’immobile, e non ne abbiano elevato in modo
apprezzabile il valore economico (cfr. TAR Bologna, Sez.
II, 26.10.2022, n. 848).
6. In conclusione per le ragioni esposte il ricorso è
destituito di fondamento giuridico e va pertanto respinto (TAR
Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 31.10.2023 n. 3249 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In primis, devesi considerare che:
- l’art. 17, comma 3, lett. a), del d.p.r. n. 380/2001
stabilisce che «il contributo di costruzione non è dovuto …
per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi
comprese le residenze, in funzione della conduzione del
fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo
principale, ai sensi dell'art. 12 della l. 09.05.1975
n. 153»;
- come enunciato dal Consiglio di Stato,
«trattasi di una scelta evidentemente di favore ancorata
alla sussistenza di due condizioni, una oggettiva,
costituita dal rapporto con la conduzione del fondo, l'altra
soggettiva, ovvero la qualifica di imprenditore agricolo a
titolo principale del richiedente … in quanto norma
derogatoria di una regola rispondente comunque a finalità di
ordine generale, ne è evidente la necessaria lettura di
rigore che le amministrazioni chiamate ad applicarla devono
darne».
In secundis:
- l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.p.r. n. 380/2001
stabilisce che «il contributo di costruzione non è dovuto …
per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in
misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari»;
- ebbene, il ricorrente neppure è riuscito a dimostrare, ai
sensi dell’art. 64, comma 1, cod. proc. amm., che il
progetto approvato col PdC n. 59/2023 concernesse un
“edificio unifamiliare”, ossia quella tipologia edilizia cui
unicamente la disposizione citata circoscrive la propria
portata applicativa, senza margini per interpretazioni
estensive, incompatibili con la natura derogatoria ed
eccezionale della premialità dalla stessa contemplata;
- viceversa, il compendio immobiliare sottoposto
all’assentita ristrutturazione edilizia, piuttosto che
configurarsi a guisa di “edificio unifamiliare”, si presenta
articolato in due distinti fabbricati, l’uno padronale,
distribuito su tre piani (terra, primo e sottotetto) e
ragguagliante una volumetria complessivamente pari a ben mc
3.889,85, e l’altro colonico, costituito da un unico piano
terraneo e ragguagliante una volumetria complessivamente
pari a mc 991,28;
- non solo: come eccepito dal Comune,
senza ricevere smentita ex adverso, il progetto assentito
prevede la suddivisione del compendio immobiliare in parola
in un numero di cinque unità abitative, debordante,
all’evidenza, dal nesso di strumentalità all’esercizio
imprenditoriale agricolo;
- al riguardo, la giurisprudenza ha condivisibilmente statuito che: «La ratio
dell'esenzione prevista dall'art. 17 del d.p.r. n. 380 del
2001 … risiede … nel promuovere le opere di adeguamento dei
manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo
familiare, circoscrivendone l'operatività agli interventi
che non mutino sostanzialmente l'entità strutturale e la
dimensione spaziale dell'immobile e non ne elevino (in modo
apprezzabile) il valore economico …
Sotto un profilo più
generale si deve osservare, condividendo, sul tema, il
consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa,
che la partecipazione del privato al costo delle opere di
urbanizzazione è dovuta allorquando l'intervento determini
un incremento del peso insediativo con un'oggettiva
rivalutazione dell'immobile, sicché l'onerosità del permesso
di costruire è funzionale a sopportare il carico
socio-economico che la realizzazione comporta sotto il
profilo urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza ha statuito che l'esenzione dal
contributo di costruzione per il caso di interventi di
ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di
ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione
di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di
stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti
dal legislatore).
La chiara finalità della norma è di natura
sociale, essendo essa diretta ad apprestare un concreto
strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà
immobiliare per quegli interventi di adeguamento
dell'immobile che siano effettivamente funzionali alle
necessità abitative del nucleo familiare.
Pertanto, nell'accezione socio-economica assunta dalla
suddetta norma di carattere eccezionale, il concetto di
"edificio unifamiliare" coincide, in concreto, con la
piccola proprietà immobiliare, con la conseguenza che
soltanto se presenti tali caratteri l'immobile unifamiliare
è meritevole di un trattamento differenziato».
---------------
Da ultimo,
nel contempo:
- per giurisprudenza consolidata, la quota di contributo di
costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve
la prioritaria funzione di compensare la collettività per
l’ulteriore carico urbanistico generato da un nuovo
intervento edilizio, mediante redistribuzione dei costi
sociali delle opere di urbanizzazione all’uopo necessarie; e
si rende, quindi, esigibile, se e in quanto detto intervento
comporti un incremento della domanda di servizi nella zona
di relativa localizzazione, e cioè imponga
all’amministrazione di sostenere le spese per rendere
accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato
edificio;
- se così è, e cioè se il pagamento degli oneri di
urbanizzazione è da intendersi dovuto solo nel caso in cui
l'intervento abbia determinato un aumento del carico
urbanistico, è evidente che la
modalità di recupero del manufatto preesistente mediante
restauro conservativo e ristrutturazione, senza ampliamenti
o mutamenti delle destinazioni d’uso, così come prevista nel
progetto assentito col PdC n. 59/2023, è insuscettibile di generare l’obbligazione ex
art. 16, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, la cui insorgenza
è sinallagmaticamente ancorata a tutti gli interventi
implicanti una trasformazione funzionale o strutturale con
incidenza quali-quantitativa sul carico urbanistico.
---------------
Premesso che:
- col ricorso in epigrafe, Be.Er.Ma. (in
appresso, B.E.M.) agiva per:
-- l’annullamento, previa
sospensione, della nota prot. n. 22412/2023, con la quale il
Responsabile dell’Area Urbanistica – Edilizia Privata –
Demanio – Patrimonio del Comune di Capaccio Paestum, con
riferimento ai lavori assentiti col permesso di costruire (PdC)
n. 59/2023 e consistenti nel “restauro e risanamento
conservativo di un fabbricato diruto esistente”, ubicato in
Capaccio Paestum, località Filette, e censito in catasto al
figlio 17, particella 405, sub 2, 3, 4, 5 e 6, aveva
determinato, ai sensi ex art. 16 del d.p.r. n. 380/2001, la
quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione
nella misura di € 7.982,49 e la quota di contributo relativa
al costo di costruzione nella misura di € 35.949,25;
--
l’accertamento negativo dell’obbligazione di pagamento delle
somme richiestegli a titolo di contributo di costruzione;
--
la condanna del Comune di Capaccio Paestum alla restituzione
delle somme indebitamente versategli a titolo di contributo
di costruzione;
- a sostegno dell’esperito gravame, deduceva, in estrema
sintesi, che:
-- ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. a) e
b), del d.p.r. n. 380/2001, egli avrebbe dovuto considerarsi
esonerato dall’obbligo di pagamento del contributo di
costruzione, l’intervento assentito ricadendo in zona
agricola, essendo funzionale all’esercizio dell’attività
imprenditoriale agricola del B. e consistendo in una mera
ristrutturazione edilizia senza ampliamenti;
-- a fronte di
quest’ultima connotazione progettuale, nonché
dell’insussistenza di previsioni di mutamenti delle
originarie destinazioni d’uso, non sarebbe stato
configurabile alcun aggravio del carico urbanistico e non si
sarebbe, quindi, giustificato l’addebito della quota di
contributo relativa agli oneri di urbanizzazione;
...
Considerato, innanzitutto, che:
- l’art. 17, comma 3, lett. a), del d.p.r. n. 380/2001
stabilisce che «il contributo di costruzione non è dovuto …
per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi
comprese le residenze, in funzione della conduzione del
fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo
principale, ai sensi dell'articolo 12 della l. 09.05.1975
n. 153»;
- come enunciato da Cons. Stato, sez. II, n. 235/2022,
«trattasi di una scelta evidentemente di favore ancorata
alla sussistenza di due condizioni, una oggettiva,
costituita dal rapporto con la conduzione del fondo, l'altra
soggettiva, ovvero la qualifica di imprenditore agricolo a
titolo principale del richiedente … in quanto norma
derogatoria di una regola rispondente comunque a finalità di
ordine generale, ne è evidente la necessaria lettura di
rigore che le amministrazioni chiamate ad applicarla devono
darne»;
- nel caso in esame, la sussistenza dell’indefettibile
requisito oggettivo per la fruizione dell’esonero dal
pagamento del contributo di costruzione, costituito dalla
preordinazione funzionale dell’intervento assentito rispetto
alla conduzione del fondo ed alle esigenze dell'imprenditore
agricolo a titolo principale, ossia dalla sua connessione
alla gestione dell’attività agricola entro l’aera di
relativa localizzazione, non è comprovata da parte
ricorrente, ai sensi dell’art. 64, comma 1, cod. proc. amm.,
ed è, anzi, sconfessata sia dalle evidenze documentali
afferenti agli indirizzi della residenza (Roma, via
..., n. 85) del B. e della sede dell’impresa in
sua titolarità (Agropoli, via ..., n. 112) –entrambi
diversi da quelli corrispondenti al complesso edilizio
ubicato in Capaccio Paestum, località Filette, e censito in
catasto al figlio 17, particella 405, sub 2, 3, 4, 5 e 6–,
sia dalle evidenze documentali afferenti alla natura ed
all’entità dell’opera progettata, consistente nella
ristrutturazione di un ingente compendio immobiliare
(articolato in un grosso fabbricato padronale e in un
annesso fabbricato colonico) e debordante la soglia
dell’inerenza all’attività agricola;
- a prescindere dal possesso del requisito soggettivo
integrato dalla qualifica di imprenditore agricolo, non
risulta, cioè, verificata, in capo al B., la necessità di
risiedere all’interno del fondo onde assicurare la
produttività dell’azienda agricola in sua titolarità (sul
punto, cfr. Cons. giust. amm. sic., sez. giur., n.
973/2021); né, tanto meno, risulta verificato il nesso di
strumentalità tra l’intervento assentito e la conduzione del
fondo (sul punto, cfr. TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. I,
n. 426/2016, secondo cui «la mera indicazione dell'impiego
del bene e della sua localizzazione non soddisfa la
dimostrazione del nesso di strumentalità tra l'opera per cui
è chiesto il titolo edilizio e l'attività agricola, atteso
che non tutte le opere realizzate in zona agricola sono, per
tale solo fatto, funzionali alla conduzione del fondo,
sicché spetta al privato fornire un riscontro documentale di
tale destinazione»);
Considerato, poi, che:
- l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.p.r. n. 380/2001
stabilisce che «il contributo di costruzione non è dovuto …
per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in
misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari»;
- ebbene, il ricorrente neppure è riuscito a dimostrare, ai
sensi dell’art. 64, comma 1, cod. proc. amm., che il
progetto approvato col PdC n. 59/2023 concernesse un
“edificio unifamiliare”, ossia quella tipologia edilizia cui
unicamente la disposizione citata circoscrive la propria
portata applicativa, senza margini per interpretazioni
estensive, incompatibili con la natura derogatoria ed
eccezionale della premialità dalla stessa contemplata;
- viceversa, il compendio immobiliare sottoposto
all’assentita ristrutturazione edilizia, piuttosto che
configurarsi a guisa di “edificio unifamiliare”, si presenta
articolato in due distinti fabbricati, l’uno padronale,
distribuito su tre piani (terra, primo e sottotetto) e
ragguagliante una volumetria complessivamente pari a ben mc
3.889,85, e l’altro colonico, costituito da un unico piano
terraneo e ragguagliante una volumetria complessivamente
pari a mc 991,28;
- non solo: come eccepito dal Comune di Capaccio Paestum,
senza ricevere smentita ex adverso, il progetto assentito
prevede la suddivisione del compendio immobiliare in parola
in un numero di cinque unità abitative, debordante,
all’evidenza, dal nesso di strumentalità all’esercizio
imprenditoriale agricolo;
- al riguardo, TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, n.
848/2022 ha condivisibilmente statuito che: «La ratio
dell'esenzione prevista dall'art. 17 del d.p.r. n. 380 del
2001 … risiede … nel promuovere le opere di adeguamento dei
manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo
familiare, circoscrivendone l'operatività agli interventi
che non mutino sostanzialmente l'entità strutturale e la
dimensione spaziale dell'immobile e non ne elevino (in modo
apprezzabile) il valore economico …
Sotto un profilo più
generale si deve osservare, condividendo, sul tema, il
consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa,
che la partecipazione del privato al costo delle opere di
urbanizzazione è dovuta allorquando l'intervento determini
un incremento del peso insediativo con un'oggettiva
rivalutazione dell'immobile, sicché l'onerosità del permesso
di costruire è funzionale a sopportare il carico
socio-economico che la realizzazione comporta sotto il
profilo urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la
giurisprudenza (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 09.05.2012, n. 2136) ha statuito che l'esenzione dal
contributo di costruzione per il caso di interventi di
ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di
ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione
di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di
stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti
dal legislatore).
La chiara finalità della norma è di natura
sociale, essendo essa diretta ad apprestare un concreto
strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà
immobiliare per quegli interventi di adeguamento
dell'immobile che siano effettivamente funzionali alle
necessità abitative del nucleo familiare.
Pertanto,
nell'accezione socio-economica assunta dalla suddetta norma
di carattere eccezionale, il concetto di "edificio
unifamiliare" coincide, in concreto, con la piccola
proprietà immobiliare, con la conseguenza che soltanto se
presenti tali caratteri l'immobile unifamiliare è meritevole
di un trattamento differenziato (TAR Lombardia, Milano, sez. IV,
02.07.2014, n. 1707)»;
Considerato, nel contempo, che:
- per giurisprudenza consolidata, la quota di contributo di
costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve
la prioritaria funzione di compensare la collettività per
l’ulteriore carico urbanistico generato da un nuovo
intervento edilizio, mediante redistribuzione dei costi
sociali delle opere di urbanizzazione all’uopo necessarie; e
si rende, quindi, esigibile, se e in quanto detto intervento
comporti un incremento della domanda di servizi nella zona
di relativa localizzazione, e cioè imponga
all’amministrazione di sostenere le spese per rendere
accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato
edificio (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n.
1586/2021; n. 148/2022; sez. II, n. 235/2022; n. 5297/2022;
TAR Toscana, Firenze, sez. III, n. 607/2022; TAR Campania,
Napoli, sez. VII, n. 1550/2023; sez. IV, n. 6272/2023);
- se così è, e cioè se il pagamento degli oneri di
urbanizzazione è da intendersi dovuto solo nel caso in cui
l'intervento abbia determinato un aumento del carico
urbanistico (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n.
2611/2004; n. 4950/2015; TAR Piemonte, Torino, sez. II, n.
1009/2013; TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 2198/2018; TAR
Campania, Napoli, sez. VII, n. 207/2021), è evidente che la
modalità di recupero del manufatto preesistente mediante
restauro conservativo e ristrutturazione, senza ampliamenti
o mutamenti delle destinazioni d’uso, così come prevista nel
progetto assentito col PdC n. 59/2023 (cfr. Relazione
tecnica a corredo dell’istanza del 13.12.2022, prot.
n. 52387), è insuscettibile di generare l’obbligazione ex
art. 16, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, la cui insorgenza
è sinallagmaticamente ancorata a tutti gli interventi
implicanti una trasformazione funzionale o strutturale con
incidenza quali-quantitativa sul carico urbanistico;
Ritenuto, quindi, che:
- stante la ravvisata fondatezza del solo ordine di
doglianze in ultimo scrutinato, il ricorso in epigrafe va
accolto limitatamente ad esso;
- conseguentemente, va annullata in parte qua la gravata
nota prot. n. 22412/2023, va negativamente accertato, nella
misura di € 7.982,49, il credito con essa vantato (a titolo
quota di contributo di costruzione relativa agli oneri di
urbanizzazione) nei confronti del B. e va condannato il
Comune di Capaccio Paestum alla restituzione della
corrispondente somma indebitamente percepita (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 24.10.2023 n. 2376 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' infondato il motivo di ricorso, in appello,
laddove si lamenta che il Tar
avrebbe errato nel ritenere sussistente l’ipotesi di esonero
dal pagamento del contributo previsto dall’art. 17, comma 3,
lett. b), T.U. edilizia, in quanto edificio unifamiliare,
poiché la giurisprudenza amministrativa esclude il diritto
al beneficio, in caso di edifici di grandi dimensioni, come
accade nel caso di specie, trattandosi di immobile che
sviluppa oltre 600 mc. di volumi abitabili, in contrasto con
il parametro di cui all’art. 3 del D.M. 1444 del 1968
assunto a riferimento dalla giurisprudenza amministrativa.
E’ indubbiamente vero che la giurisprudenza amministrativa
più recente, in merito alla ipotesi di esonero dal
contributo riferita agli edifici unifamiliari, prevista
dall’art. 17, comma 3, lett. b), T.U. edilizia, ha precisato
che deve essere rispettata una regola implicita di
proporzionalità tra le dimensioni dell’immobile e la
funzione sociale di accoglienza di un nucleo familiare,
computando un massimo di 80 mc. per ciascun componente il
nucleo familiare, mutuando tale parametro dall’art. 3 del
D.M. n. 1444 del 1968, mentre nel caso di specie l’immobile
cuba 626 mc. per una superficie utile di circa 200 mq.,
superiore al predetto parametro.
In senso opposto reputa il Collegio che nel caso di specie
debba essere valorizzato il parametro successivamente
introdotto dalla Regione Piemonte con l’art. 48, commi 1 e
1-bis, della legge regionale n. 56 del 1977, come integrata
dall’art. 43 della l.r. 3/2015, secondo cui nel territorio
piemontese possono essere eseguiti senza titolo e non sono
onerosi i mutamenti di destinazione d'uso di unità
immobiliari pari fino a 700 mc (interventi che possono anche
determinare un aumento del carico urbanistico).
E’ vero, come eccepisce il Comune, che la disposizione,
introdotta nel 2015, è successiva all’intervento in
contestazione e alla richiesta di pagamento del comune e
quindi non dovrebbe applicarsi per il principio del tempus
regit actum ma è anche vero che tale disposizione
sopravvenuta rileva certamente a fini interpretativi, nella
individuazione del parametro normativo massimo di cubatura
ritenuto compatibile con la non onerosità dell’intervento.
La legge statale, infatti, non solo non contempla in modo
espresso tale limite ma neppure indica il relativo parametro
di riferimento che è necessariamente variabile, da regione a
regione, in relazione alle caratteristiche territoriali di
densità della popolazione oltre che socio-economiche, non
potendosi comparare, per intuitive ragioni, immobili posti
in contesti rurali periferici con quelli situati in zone
fortemente urbanizzate, tenuto conto che un immobile di 600 mc. e 200 mq.,
nel primo caso rappresenta una ordinaria
fattispecie di abitazione unifamiliare della classe media,
nella seconda configura invece una abitazione di lusso che
non giustifica la finalità sociale dell’esonero.
Del resto la più risalente giurisprudenza della sezione aveva ritenuto che “Come
appare evidente, l'esenzione dal pagamento dei contributi di
cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di
alloggi unifamiliari, presumendo il Legislatore che gli
interventi edilizi sugli stessi non abbiano carattere di
lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di
abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla
loro dimensione”, a conferma che solo successivamente si è
ritenuto di inserire il limite dimensionale –per finalità
di contrasto ad iniziative speculative– invero non
richiesto dalla legge sicché neppure si pone un problema di
interpretazione restrittiva rispetto ad un presupposto
normativo non previsto (il limite dimensionale
dell’abitazione), valendo piuttosto la regola opposta, del
diritto all’esonero nel caso di alloggi unifamiliari, ferma
la necessità, intrinseca alla ratio della disposizione, di
operare una verifica sui limiti massimi ammissibili che
tenga conto, caso per caso, anche delle caratteristiche
delle diverse zone geografiche e di quelle socio economiche
di contesto, al fine di prevenire intenti speculativi che
travalichino la finalità di tutela del diritto sociale
all’abitazione.
E’ indubbiamente vero che l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, contemplando una previsione
derogatoria al principio di onerosità da cui discende
l’obbligo di corrispondere il contributo di costruzione,
debba essere interpretato in senso restrittivo
ma ciò non può implicare la introduzione di presupposti
normativi non contemplati dalla fattispecie se non nei
limiti in cui gli stessi possano ritenersi oggettivamente
desumibili dalla ratio della stessa e nei limiti della
ragionevolezza.
---------------
Nel caso di specie le dimensioni dell’immobile non sono tali
da evidenziare finalità speculative, come si desume
- sia dal
parametro legale successivamente introdotto dal legislatore
regionale (ma che evidentemente codifica indici socio-economico-territoriali preesistenti)
- sia dal fatto che
il volume complessivo e la superficie utile non sono mutate,
a conferma che l’immobile è rimasto adibito alle originarie,
effettive, esigenze abitative del nucleo familiare che con
l’intervento ha legittimamente inteso migliorare la
fruibilità interni degli spazi, oltre che i profili igienico-sanitari (modifica dell’altezza interpiano e creazione di un
bagno), prevedendo anche locali di servizio.
Il parametro desunto dall’art. 3 del D.M. n. 1444 del 1968
può essere impiegato come criterio sussidiario per la
verifica della congruità dei limiti dimensionali, in
mancanza di indicazioni rinvenibili nella legislazione
regionale ma ha comunque natura non vincolante bensì
orientativa e, come tale, è suscettibile di confutazione da
parte degli interessati che potranno dimostrarne in giudizio la
inattendibilità, tenuto conto delle caratteristiche
geografiche e socio economiche in cui si colloca l’immobile
ma anche del fatto che l’edificio unifamiliare, nonostante
la ristrutturazione, continui a soddisfare esigenze
abitative ordinarie, in quanto immutate nel tempo.
Del resto lo stesso precedente citato dalla appellante precisa
- “che la
nozione di “edifici unifamiliari” va intesa in un’accezione
non tanto strutturale –come pretende il Comune–, ma
socio-economica, cioè riguardante la piccola proprietà
immobiliare, poiché soltanto questa è meritevole di un
trattamento differenziato”
laddove, come evidenziato, il
riferimento alla accezione “socio-economica” va invero più
opportunamente operato adattando il concetto giuridico al
contesto geografico, territoriale e socio-economico che può
condizionare in modo rilevante lo standard medio ordinario
della abitazione adibita alle primarie esigenze di vita
familiari: in particolare, come già evidenziato,
- in contesti
rurali e, in generale, meno urbanizzati, si registrano
presenze di immobili unifamiliari di dimensioni sicuramente
superiori al parametro dell’art. 3 del D.M. 1444 del 1968 –che peraltro, come noto, assolve ad altri finalità– e che
comunque, pur non essendo necessariamente riconducibili al
concetto di “piccola” proprietà immobiliare, sono, ciò non
di meno, meritevoli del beneficio di legge, in quanto
coerenti con la ratio di assicurare il diritto alla casa,
secondo uno standard di adeguatezza ordinario, coerente con
il contesto socio-economico di riferimento, rispetto al
quale restano invece certamente escluse le abitazioni di
lusso e quelle di dimensioni oggettivamente esorbitanti,
come già chiarito nel precedente richiamato.
---------------
I signori Cl.Mi. e Al.Se. in data 26.11.2010 hanno
presentato denuncia di inizio attività n. 2033/2010 per la
ristrutturazione del fabbricato unifamiliare residenziale di
loro proprietà in via ... n. 39 nel Comune di Cambiano.
Il progetto prevedeva il rifacimento dei due solai esistenti
e del balcone, modifiche alla tramezzatura interna, il
rifacimento degli intonaci e dei pavimenti, la modifica
delle aperture esterne, la realizzazione di un nuovo bagno
al piano primo, la realizzazione del collettore solare, il
recupero della legnaia da adibirsi a locale da sgombero.
L’edificio, essendo stato costruito prima del 1975 era già
abitabile in via di fatto, su entrambi i piani, sebbene i
locali fossero, prima della ristrutturazione, di altezza
interna pari a 2,55 mt., inferiore all’altezza minima di
2,70 mt. prescritta dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975.
L’intervento di ristrutturazione consentiva di ottenere, per
tutti i piani, un’altezza di 2,70 mt. mediante la
demolizione e ricostruzione dei solai interni.
Per effetto dell’intervento di ristrutturazione non si
determinavano incrementi di volume o di superficie utile o
cambio di destinazione d’uso né veniva aumentato il numero
di unità immobiliari.
Poiché il Comune di Cambiano determinava il contributo di
costruzione, ai sensi dell’art. 16 del d.P.R. n. 380 del
2001, in euro 9.749,35 i ricorrenti adivano il Tar per il
Piemonte sostenendo la gratuità dell’intervento e deducendo,
conseguentemente, la violazione degli artt. 11, 16, 17 e 22
del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché eccesso di potere sotto
diversi profili.
Con
sentenza 21.04.2017 n. 532 il Tar per il Piemonte
ha accolto il ricorso rilevando che il contributo di
costruzione non era dovuto in quanto:
- non vi era stato incremento del carico urbanistico, come
erroneamente ritenuto dal Comune, anche perché non si
trattava di d.i.a. alternativa a permesso di costruire ma di
una ristrutturazione c.d. leggera;
- la gratuità dell’intervento andava riconosciuta anche alla luce
della previsione dell’art. 17, terzo comma – lett. d), del
d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi di ristrutturazione di
edificio unifamiliare.
- ha assorbito le ulteriori censure riferite alle delibere di
Consiglio comunale ed alla delibera regionale n. 179/CR-4170
del 1977 di cui i ricorrenti avevano chiesto la
disapplicazione nella parte in cui applicavano il contributo
di costruzione anche agli interventi non comportanti aumento
del carico urbanistico;
- ha condannato il Comune alle spese di lite.
Avverso la predetta sentenza ha interposto appello il Comune
di Cambiano per chiederne la integrale riforma in quanto
errata in diritto.
...
1. Con un primo motivo il Comune lamenta che il Tar
avrebbe errato nel ritenere assorbita la questione della
legittimità della delibera del Consiglio Regionale
26.05.1977 n. 179/CR - 4170 e di quelle comunali nn. 100 e
101 del 13.09.1977 di determinazione del contributo di
costruzione, nella parte in cui ne dispongono espressamente
l’applicazione anche in caso di assenza di incremento di
carico urbanistico, poiché, trattandosi del presupposto
logico-giuridico necessario della richiesta di pagamento,
occorreva esaminare preventivamente la loro legittimità. Nel
merito osserva che i ricorrenti avrebbero dovuto impugnare
formalmente i predetti atti per chiederne l’annullamento,
non potendosi nel caso di specie invocare il potere di
disapplicazione del giudice amministrativo.
2. Con un secondo motivo deduce che il Tar avrebbe
errato nel ritenere insussistente un incremento di carico
urbanistico, pur in presenza di fattispecie di
ristrutturazione leggera mediante d.i.a., ricorrendo nel
caso di specie:
a) un mutamento della realtà strutturale con modifica dell’altezza
interpiano da 2.55 ml. a 2,70 ml.; una diversa distribuzione
interna degli spazi; la praticabilità del tetto con apertura
di due finestre;
b) una maggiore fruibilità urbanistica dell’immobile considerato
che per effetto della d.i.a. si passa da una abitabilità di
fatto, tollerata, ad una di diritto, con altezza interpiano
a 2,70 conforme al D.M. 05.07.1975;
c) un conseguente incremento di valore dell’immobile.
Si tratterebbe infatti di ipotesi in cui la giurisprudenza
amministrativa ha invero rivenuto sussistente l’incremento
del carico urbanistico, affermando l’obbligo del pagamento
del contributo di costruzione.
3. Con un terzo motivo lamenta che il Tar avrebbe
errato nel ritenere sussistente l’ipotesi di esonero dal
pagamento del contributo previsto dall’art. 17, comma 3,
lett. b), T.U. edilizia, in quanto edificio unifamiliare,
poiché la giurisprudenza amministrativa esclude il diritto
al beneficio, in caso di edifici di grandi dimensioni, come
accade nel caso di specie, trattandosi di immobile che
sviluppa oltre 600 mc. di volumi abitabili, in contrasto con
il parametro di cui all’art. 3 del D.M. 1444 del 1968
assunto a riferimento dalla giurisprudenza amministrativa.
4. Con un quarto motivo si duole della statuizione
del Tar sulle spese di lite, rimarcando l’ingiustizia della
decisione di condannare l'amministrazione comunale
nonostante abbia agito in ottemperanza a norme che non
poteva disattendere (la delibera regionale e quelle del
Consiglio comunale.
Così sinteticamente esposti i motivi di appello, il Collegio
reputa di poter prendere le mosse dalla terza doglianza,
in applicazione del criterio della ragione più liquida (cfr.
Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015, § 5.3. lett. a) punto
IV).
Il motivo è infondato.
E’ indubbiamente vero che la giurisprudenza amministrativa
più recente, in merito alla ipotesi di esonero dal
contributo riferita agli edifici unifamiliari, prevista
dall’art. 17, comma 3, lett. b), T.U. edilizia, ha precisato
che deve essere rispettata una regola implicita di
proporzionalità tra le dimensioni dell’immobile e la
funzione sociale di accoglienza di un nucleo familiare,
computando un massimo di 80 mc. per ciascun componente il
nucleo familiare, mutuando tale parametro dall’art. 3 del
D.M. n. 1444 del 1968, mentre nel caso di specie l’immobile
cuba 626 mc. per una superficie utile di circa 200 mq.,
superiore al predetto parametro.
Tali rilevanti dimensioni, per il Comune appellante,
sarebbero incompatibili con la finalità sociale che
giustifica la misura di esonero, finalizzata a garantire il
diritto alla casa; inoltre, trattandosi di disposizione
derogatoria rispetto alla regola della onerosità, sarebbe di
stretta interpretazione.
In senso opposto reputa il Collegio che nel caso di specie
debba essere valorizzato il parametro successivamente
introdotto dalla Regione Piemonte con l’art. 48, commi 1 e
1-bis, della legge regionale n. 56 del 1977, come integrata
dall’art. 43 della l.r. 3/2015, secondo cui nel territorio
piemontese possono essere eseguiti senza titolo e non sono
onerosi i mutamenti di destinazione d'uso di unità
immobiliari pari fino a 700 mc (interventi che possono anche
determinare un aumento del carico urbanistico).
E’ vero, come eccepisce il Comune, che la disposizione,
introdotta nel 2015, è successiva all’intervento in
contestazione e alla richiesta di pagamento del comune e
quindi non dovrebbe applicarsi per il principio del tempus
regit actum ma è anche vero che tale disposizione
sopravvenuta rileva certamente a fini interpretativi, nella
individuazione del parametro normativo massimo di cubatura
ritenuto compatibile con la non onerosità dell’intervento.
La legge statale infatti non solo non contempla in modo
espresso tale limite ma neppure indica il relativo parametro
di riferimento che è necessariamente variabile, da regione a
regione, in relazione alle caratteristiche territoriali di
densità della popolazione oltre che socio-economiche, non
potendosi comparare, per intuitive ragioni, immobili posti
in contesti rurali periferici con quelli situati in zone
fortemente urbanizzate, tenuto conto che un immobile di 600 mc. e 200 mq.,
nel primo caso rappresenta una ordinaria
fattispecie di abitazione unifamiliare della classe media,
nella seconda configura invece una abitazione di lusso che
non giustifica la finalità sociale dell’esonero.
Del resto la più risalente giurisprudenza della sezione (cfr.
Sez. IV, 11.10.2006, n. 6065), aveva ritenuto che “Come
appare evidente, l'esenzione dal pagamento dei contributi di
cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di
alloggi unifamiliari, presumendo il Legislatore che gli
interventi edilizi sugli stessi non abbiano carattere di
lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di
abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla
loro dimensione”, a conferma che solo successivamente si è
ritenuto di inserire il limite dimensionale –per finalità
di contrasto ad iniziative speculative– invero non
richiesto dalla legge sicché neppure si pone un problema di
interpretazione restrittiva rispetto ad un presupposto
normativo non previsto (il limite dimensionale
dell’abitazione), valendo piuttosto la regola opposta, del
diritto all’esonero nel caso di alloggi unifamiliari, ferma
la necessità, intrinseca alla ratio della disposizione, di
operare una verifica sui limiti massimi ammissibili che
tenga conto, caso per caso, anche delle caratteristiche
delle diverse zone geografiche e di quelle socio economiche
di contesto, al fine di prevenire intenti speculativi che
travalichino la finalità di tutela del diritto sociale
all’abitazione.
E’ indubbiamente vero che l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, contemplando una previsione
derogatoria al principio di onerosità da cui discende
l’obbligo di corrispondere il contributo di costruzione,
debba essere interpretato in senso restrittivo (come
rammentato da Cons. Stato, sez. II, 12.04.2021 n. 2939)
ma ciò non può implicare la introduzione di presupposti
normativi non contemplati dalla fattispecie se non nei
limiti in cui gli stessi possano ritenersi oggettivamente
desumibili dalla ratio della stessa e nei limiti della
ragionevolezza.
Nel caso di specie le dimensioni dell’immobile non sono tali
da evidenziare finalità speculative, come si desume sia dal
parametro legale successivamente introdotto dal legislatore
regionale (ma che evidentemente codifica indici
socio-economico-territoriali preesistenti) sia dal fatto che
il volume complessivo e la superficie utile non sono mutate,
a conferma che l’immobile è rimasto adibito alle originarie,
effettive, esigenze abitative del nucleo familiare che con
l’intervento ha legittimamente inteso migliorare la
fruibilità interni degli spazi, oltre che i profili igienico-sanitari (modifica dell’altezza interpiano e creazione di un
bagno), prevedendo anche locali di servizio.
Il parametro desunto dall’art. 3 del D.M. n. 1444 del 1968
può essere impiegato come criterio sussidiario per la
verifica della congruità dei limiti dimensionali, in
mancanza di indicazioni rinvenibili nella legislazione
regionale ma ha comunque natura non vincolante bensì
orientativa e, come tale, è suscettibile di confutazione da
parte degli interessati che potranno –come accaduto nel
presente giudizio- dimostrarne in giudizio la
inattendibilità, tenuto conto delle caratteristiche
geografiche e socio-economiche in cui si colloca l’immobile
ma anche del fatto che l’edificio unifamiliare, nonostante
la ristrutturazione, continui a soddisfare esigenze
abitative ordinarie, in quanto immutate nel tempo.
Del resto lo stesso precedente citato dalla appellante (Cons.
Stato, sez. II, 12.04.2021 n. 2939) precisa che “che la
nozione di “edifici unifamiliari” va intesa in un’accezione
non tanto strutturale –come pretende il Comune–, ma
socio-economica, cioè riguardante la piccola proprietà
immobiliare, poiché soltanto questa è meritevole di un
trattamento differenziato” laddove, come evidenziato, il
riferimento alla accezione “socio-economica” va invero più
opportunamente operato adattando il concetto giuridico al
contesto geografico, territoriale e socio-economico che può
condizionare in modo rilevante lo standard medio ordinario
della abitazione adibita alle primarie esigenze di vita
familiari: in particolare, come già evidenziato, in contesti
rurali e, in generale, meno urbanizzati, si registrano
presenze di immobili unifamiliari di dimensioni sicuramente
superiori al parametro dell’art. 3 del D.M. 1444 del 1968 –che peraltro, come noto, assolve ad altri finalità– e che
comunque, pur non essendo necessariamente riconducibili al
concetto di “piccola” proprietà immobiliare, sono, ciò non
di meno, meritevoli del beneficio di legge, in quanto
coerenti con la ratio di assicurare il diritto alla casa,
secondo uno standard di adeguatezza ordinario, coerente con
il contesto socio-economico di riferimento, rispetto al
quale restano invece certamente escluse le abitazioni di
lusso e quelle di dimensioni oggettivamente esorbitanti,
come già chiarito nel precedente richiamato.
Alla luce delle considerazioni che precedono il motivo deve,
pertanto, essere respinto (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 14.09.2023 n. 8323 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La
ristrutturazione senza ampliamento, mediante demolizione e
ricostruzione, di un edificio unifamiliare a destinazione
abitativa sconta il pagamento del contributo di costruzione
(quindi, va esclusa dall’ambito di applicazione dell’art.
17, comma 2, lett. b), del d.p.r. n. 380/2001) poiché
trattasi di nuova costruzione, stante la diversità
rispetto alla sagoma e alla volumetria preesistente.
Deve essere richiamata la pronuncia della Corte
Costituzionale del 26.06.1991 n. 296, avente ad oggetto la previgente previsione di cui all'art. 9, lett. d), della
legge 28.01.1977 n. 10 che -analogamente all'art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001- esonerava dal contributo "gli interventi
di restauro, di risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al venti per cento, di edifici unifamiliari".
La Corte Costituzionale, con la suddetta sentenza
interpretativa di rigetto, ha escluso l'illegittimità della
norma, nella parte in cui non comprendeva, nella previsione
di esenzione dal contributo, accanto all'ipotesi di
ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per
cento, anche quella dell'integrale ricostruzione del
fabbricato demolito, adibito ad abitazione unifamiliare, su
area immediatamente adiacente.
In quell'occasione, la Corte
ha osservato che, ai fini del riconoscimento dell'esonero in
questione, "il concetto di ristrutturazione mal si presta a
comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata
dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo" ed ha
ritenuto quindi pienamente giustificata la previsione
dell'esonero limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni
ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale
ricostruzione.
Il criterio che distingue l'intervento di demolizione e
ricostruzione e la nuova costruzione è
rappresentato dall'assenza di variazioni del volume,
dell'altezza o della sagoma dell'edificio, di conseguenza,
in mancanza di tali indefettibili e precise condizioni,
l'intervento deve essere configurato come una nuova
costruzione.
---------------
... per l'accertamento
-
della non debenza del contributo di costruzione richiesto
dal Comune di Vignale Monferrato in misura di euro
10.539,17,
e per la condanna del Comune alla restituzione degli importi
corrisposti dal sig. Sa.Pa. a tale titolo, oltre
interessi legali e rivalutazione dalla data del pagamento al
saldo effettivo.
...
In data 31.05.2017 il ricorrente presentò richiesta di
permesso di costruire avente a oggetto la ristrutturazione
senza ampliamento, mediante demolizione e ricostruzione, di
un edificio unifamiliare a destinazione abitativa.
Il Comune di Vignale Monferrato, con nota del 19.03.2018
(confermata con atto del 16.07.2018), ha denegato l’esenzione
dal contributo di costruzione, sull’assunto che si trattava
di nuova costruzione, stante la diversità rispetto alla
sagoma e alla volumetria preesistente.
L’interessato, pur di ottenere il titolo edilizio, ha
accettato di versare il contributo di costruzione.
Pagata la prima rata, l’amministrazione gli ha rilasciato il
permesso di costruire in data 07.08.2018.
Avverso la determinazione del Comune il ricorrente è insorto
deducendo che l’intervento edilizio in questione costituisce
una ristrutturazione edilizia esentata dal contributo di
costruzione ex art. 17 del d.p.r. n. 380/2001, stante la
mantenuta destinazione abitativa e la volumetria (pari a mc.
816,59) inferiore a quella preesistente (mc. 1032,63).
Il
ricorrente evidenzia che il contributo di costruzione
rispecchia i vantaggi economici derivanti dalla
trasformazione edilizia e che il caso di specie rientra nei
limiti della ristrutturazione edilizia ricostruttiva,
essendo rispettata la volumetria preesistente.
...
Le censure sono infondate.
Deve essere richiamata la pronuncia della Corte
Costituzionale del 26.06.1991 n. 296, avente ad oggetto la previgente previsione di cui all'art. 9, lett. d), della
legge 28.01.1977 n. 10 che -analogamente all'art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001- esonerava dal contributo "gli interventi
di restauro, di risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al venti per cento, di edifici unifamiliari".
La Corte Costituzionale, con la suddetta sentenza
interpretativa di rigetto, ha escluso l'illegittimità della
norma, nella parte in cui non comprendeva, nella previsione
di esenzione dal contributo, accanto all'ipotesi di
ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per
cento, anche quella dell'integrale ricostruzione del
fabbricato demolito, adibito ad abitazione unifamiliare, su
area immediatamente adiacente.
In quell'occasione, la Corte
ha osservato che, ai fini del riconoscimento dell'esonero in
questione, "il concetto di ristrutturazione mal si presta a
comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata
dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo" ed ha
ritenuto quindi pienamente giustificata la previsione
dell'esonero limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni
ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale
ricostruzione (TAR Piemonte, II, 26.05.2020, n. 322).
Il criterio che distingue l'intervento di demolizione e
ricostruzione e la nuova costruzione è rappresentato
dall'assenza di variazioni del volume, dell'altezza o della
sagoma dell'edificio, di conseguenza, in mancanza di tali
indefettibili e precise condizioni, l'intervento deve essere
configurato come una nuova costruzione (Cons. Stato, IV,
23.03.2022, n. 2106).
Nel caso di specie, la notevole diversità della sagoma
comporta una discontinuità tra la struttura demolita e
l’edificio costruito, discontinuità che emerge dal prospetto
planivolumetrico depositato in giudizio (documento n. 13) e
che induce a ritenere che l’opera per la quale è stata
richiesta l’esenzione costituisce nuova costruzione.
Il citato prospetto è dirimente nel raffigurare la mancanza
di un nesso di continuità e la notevole diversità, nella
conformazione esterna, nel contorno e nella perimetrazione,
dell’edificio da costruire rispetto a quello da demolire.
Pertanto, l’edificio realizzato dal ricorrente in forza del
permesso di costruire, per il quale è stato richiesto dal
Comune il contestato contributo, costituisce nuova
costruzione, come tale esclusa dall’ambito di applicazione
dell’art. 17, comma 2, lett. b), del d.p.r. n. 380/2001.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 13.01.2023 n. 45 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2022 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il carattere eccezionale e derogatorio della
regola generale di tale tipologia di norme prevedenti
esenzioni (i.e., art. 17 del DPR n. 380/2001 e, avuto
riguardo alla normativa edilizia regionale, art. 32 L.R.
Emilia Romagna n. 15/2013), ne
impone un’interpretazione restrittiva e rigorosa, ancorata
agli specifici parametri normativi di riferimento vigenti
all’epoca dei fatti di cui è causa.
La ratio dell’esenzione prevista dall’art. 17 del DPR n. 380
del 2001 (e dall’art. 32 L.R. n. 15 del 2013) risiede
infatti, secondo pacifica giurisprudenza, nel “promuovere le
opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative
del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività
agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità
strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne
elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
Sotto un profilo più generale si deve osservare che la
partecipazione del privato al costo delle opere di
urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini
un incremento del peso insediativo con un’oggettiva
rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso
di costruire è funzionale a sopportare il carico socio
economico che la realizzazione comporta sotto il profilo
urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza ha
statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per
il caso di interventi di ristrutturazione di edifici
unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%,
costituisce oggetto di una previsione di carattere
eccezionale (applicabile in un ambito di stretta
interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal
legislatore).
La chiara finalità della norma è di natura sociale, essendo
essa diretta ad apprestare un concreto strumento di tutela e
di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per
quegli interventi di adeguamento dell’immobile che siano
effettivamente funzionali alle necessità abitative del
nucleo familiare.
Pertanto, nell’accezione socio-economica assunta dalla
suddetta norma di carattere eccezionale, il concetto di
“edificio unifamiliare” coincide, in concreto, con la
piccola proprietà immobiliare, con la conseguenza che
soltanto se presenti tali caratteri l’immobile unifamiliare
è meritevole di un trattamento differenziato.
---------------
Parimenti da escludersi è l’applicazione, all’intervento
effettuato dalla ricorrente, dell’esenzione dal pagamento
del contributo per costo di costruzione prevista dall’art.
17 del DPR n. 380 del 2001 e, avuto riguardo alla normativa
edilizia regionale, dall’art. 32 L.R. Emilia Romagna n. 15
del 2013.
Il Tribunale osserva, sul punto, che il carattere
eccezionale e derogatorio della regola generale di tale
tipologia di norme prevedenti esenzioni, ne impone
un’interpretazione restrittiva e rigorosa, ancorata agli
specifici parametri normativi di riferimento vigenti
all’epoca dei fatti di cui è causa (v. TAR Lombardia –BS-
sez. I, 26/04/2018 n. 449).
La ratio dell’esenzione prevista dall’art. 17 del DPR
n. 380 del 2001 (e dall’art. 32 L.R. n. 15 del 2013) risiede
infatti, secondo pacifica giurisprudenza, condivisa da
questo Tribunale, nel “promuovere le opere di adeguamento
dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo
familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi
che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la
dimensione spaziale dell’immobile e non ne elevino (in modo
apprezzabile) il valore economico" (v. TAR –BS- n. 449
del 2018 cit.).
Sotto un profilo più generale si deve osservare,
condividendo, sul tema, il consolidato indirizzo della
giurisprudenza amministrativa, che la partecipazione del
privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta
allorquando l’intervento determini un incremento del peso
insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile,
sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a
sopportare il carico socio economico che la realizzazione
comporta sotto il profilo urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza (cfr.
TAR Campania Napoli, sez. VIII – 09/05/2012 n. 2136) ha
statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per
il caso di interventi di ristrutturazione di edifici
unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%,
costituisce oggetto di una previsione di carattere
eccezionale (applicabile in un ambito di stretta
interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal
legislatore).
La chiara finalità della norma è di natura sociale, essendo
essa diretta ad apprestare un concreto strumento di tutela e
di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per
quegli interventi di adeguamento dell’immobile che siano
effettivamente funzionali alle necessità abitative del
nucleo familiare. Pertanto, nell’accezione socio-economica
assunta dalla suddetta norma di carattere eccezionale, il
concetto di “edificio unifamiliare” coincide, in
concreto, con la piccola proprietà immobiliare, con la
conseguenza che soltanto se presenti tali caratteri
l’immobile unifamiliare è meritevole di un trattamento
differenziato (TAR Lombardia-Milano, sez. IV – 02/07/2014 n.
1707).
Nel caso in trattazione, invece, il Collegio deve rilevare
l’insussistenza di alcuno dei suddetti parametri indicati
quale presupposto dell’esenzione del permesso di costruire
relativo ai lavori de quibus, stante che l’edificio
residenziale ex novo edificato dalla ricorrente è di
accertate maggiori dimensioni sia in pianta che in altezza
rispetto al manufatto preesistente poi demolito e che esso
ha certamente un maggiore valore rispetto a quello
originario, trattandosi, appunto, di fabbricato di maggiori
dimensioni e di nuova costruzione (TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 26.10.2022 n. 848 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
casi di non applicazione dell’esonero dal
contributo di costruzione per edifici
unifamiliari (Regione Emilia Romagna, nota
19.10.2022 n. 1079603-3 di prot.).
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Il XXX quesito concerne la demolizione
con ricostruzione di un edificio
unifamiliare rispetto al quale si chiede se
sia o meno esonerato dal contributo di
costruzione.
E’ noto infatti che la ristrutturazione
edilizia e l’ampliamento del 20% del volume
complessivo degli edifici unifamiliari
usufruiscono di tale beneficio, stabilito
dall’art. 32, comma 1, lett. f), della LR n.
15 del 2013 e dall’analogo art. 17 del DPR
n. 380 del 2001. (...continua). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di specie non sono ravvisabili i
presupposti richiesti dalla norma ai fini della esenzione (prevista
dalla lett. b) dell’art. 17 T.U. Edilizia “per gli
interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”), dal momento
che i lavori di ripristino riguardano residenze storiche da
destinare ad agriturismo, sicché il relativo intervento non
è riconducibile alle esigenze tipiche del nucleo familiare.
Invero, "Le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo
contributivo contenute nell'art. 17, d.P.R. n. 380/2001 sono
volte al perseguimento di interessi generali, di natura
solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che
abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione
prevista dalla lettera b) («Il contributo di costruzione non
è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici
unifamiliari») che deve essere interpretata in conformità
allo scopo di tutela cui è preposta.
La ratio dell'esenzione di cui all'art. 17, comma 3, lett.
b), consiste, dunque, nella tutela e salvaguardia delle
necessità abitative del nucleo familiare, perseguite
attraverso la gratuità degli interventi funzionali
all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di «edificio unifamiliare» richiamata dalla norma
deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione
socio-economica che coincide «con la piccola proprietà
immobiliare», poiché soltanto ove presenti tali caratteri
appare meritevole di un trattamento differenziato”.
---------------
4.2. La ricorrente sostiene inoltre che le opere in
questione potrebbero, comunque, beneficiare della distinta
ipotesi di esenzione prevista dalla lett. b) dell’art. 17
T.U. Edilizia “per gli interventi di ristrutturazione e
di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici
unifamiliari”.
Anche in questo caso non sono ravvisabili i presupposti
richiesti dalla norma ai fini della esenzione, dal momento
che i lavori di ripristino riguardano residenze storiche da
destinare ad agriturismo, sicché il relativo intervento non
è riconducibile alle esigenze tipiche del nucleo familiare:
“Le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo
contributivo contenute nell'art. 17, d.P.R. n. 380/2001 sono
volte al perseguimento di interessi generali, di natura
solidaristica o di incentivo ad attività o interventi che
abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione
prevista dalla lettera b) («Il contributo di costruzione non
è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici
unifamiliari») che deve essere interpretata in conformità
allo scopo di tutela cui è preposta.
La ratio dell'esenzione di cui all'art. 17, comma 3, lett.
b), consiste, dunque, nella tutela e salvaguardia delle
necessità abitative del nucleo familiare, perseguite
attraverso la gratuità degli interventi funzionali
all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di «edificio unifamiliare» richiamata dalla norma
deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione
socio-economica che coincide «con la piccola proprietà
immobiliare», poiché soltanto ove presenti tali caratteri
appare meritevole di un trattamento differenziato” (TAR
Veneto, Sez. II, 05.03.2019 n. 289) (TAR Puglia-Lecce, Sez.
I,
sentenza 26.09.2022 n. 1461 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla nozione di edificio unifamiliare.
L’edificio ristrutturato dai ricorrenti non appartiene alla
categoria degli edifici unifamiliari. Invero:
(d) per attribuire la suddetta qualificazione si deve tenere conto
delle indicazioni implicite nell’art. 17, comma 3-b, del DPR
380/2001, o desumibili dal contesto in cui tale norma si
colloca. È quindi possibile fissare i seguenti criteri: (1)
eccezionalità del regime di gratuità; (2) autonomia della
costruzione; (3) collegamento con la vita familiare;
(e) per quanto riguarda il primo criterio, è evidente che
l’esonero dal contributo di costruzione è un beneficio
speciale, di stretta interpretazione. La perdita di gettito
per le finanze pubbliche è trasferibile alla fiscalità
generale solo se collegata a situazioni oggettive,
esattamente verificabili e controllabili. Il divieto di
interpretazioni estensive o analogiche è codificato a
livello regionale dall’art. 43, comma 2, della LR 11.03.2005
n. 12, in base al quale il contributo di costruzione non è
dovuto, o è ridotto, “nei casi espressamente previsti dalla
legge”;
(f) i criteri riferiti all’autonomia della costruzione e al
collegamento con la vita familiare rappresentano
rispettivamente il punto di vista esterno e quello interno
da cui si possono osservare le caratteristiche
dell’edificio;
(g) osservato dall’esterno, un edificio è unifamiliare se non
costituisce parte di un complesso più ampio e coordinato,
come ad esempio un condominio, un residence o una casa a
schiera. Anche se vi sono accessi separati, l’elemento che
rileva è il coordinamento tra le varie abitazioni
all’interno di un progetto unitario. L’esistenza di un
simile collegamento impone di considerare il risultato
complessivo, e non i singoli moduli abitativi, benché
fruibili autonomamente. Una diversa interpretazione
comporterebbe il risultato irragionevole di estendere la
gratuità del titolo edilizio a interventi di grande impatto
urbanistico;
(h) occorre sottolineare che, una volta costruita come parte di un
progetto unitario, la singola abitazione non diventa
unifamiliare al momento della ristrutturazione, tranne
quando vi sia una specifica norma di favore riferita a un
determinato contributo pubblico (v. ad esempio l’art. 119
del DL 19.05.2020 n. 34, ai fini della detrazione del 110
per cento per gli interventi di efficientamento energetico e
gli altri lavori ivi indicati);
(i) non impediscono invece la qualificazione come edificio
unifamiliare i collegamenti materiali, anche strutturali,
con altri fabbricati, purché non dipendenti da una
progettazione unitaria. È quindi irrilevante la presenza di
muri perimetrali comuni, quando sia chiaro che gli edifici
confinanti si sono sviluppati nel tempo in modo del tutto
indipendente. Parimenti, non assume alcun rilievo il fatto
che vi sia un percorso di accesso condiviso o collocato su
terreno di terzi;
(j) oltre che autonomo nel senso sopra descritto, un edificio per
poter essere qualificato come unifamiliare deve essere
idoneo esclusivamente allo svolgimento della vita di una
famiglia. Non sono ammissibili utilizzazioni miste, ma anche
quando l’unica destinazione sia quella residenziale è
necessario applicare una nozione oggettiva di utilizzazione
familiare. Non è sufficiente che i proprietari compongano
una famiglia e dichiarino di utilizzare da soli tutti gli
spazi come un’unica abitazione, ma occorre stabilire se tali
spazi corrispondano a quelli che una famiglia media ha a
disposizione nell’attuale situazione del mercato
immobiliare;
(k) se vi è sproporzione, in quanto la volumetria eccede
chiaramente i bisogni di una famiglia media, il Comune non
può accettare il rischio che l’edificio diventi di fatto
plurifamiliare attraverso successive modifiche interne.
L’amministrazione conserva il controllo sull’impatto
urbanistico solo quando le dimensioni dell’edificio siano
tali da rendere oggettivamente impossibile, o molto
difficile, l’insediamento di altri nuclei familiari;
(l) in mancanza di un limite dimensionale fissato direttamente nel
regolamento edilizio, possono essere utilizzati i parametri
che costituiscono principi della materia, come la volumetria
per abitante teorico stabilita dall’art. 3, comma 3, del DM
1444/1968 ai fini del dimensionamento degli standard
urbanistici. Sono comunque utilizzabili anche altri dati,
più vicini alla situazione locale. Nello specifico,
prendendo il rapporto di 100 mc/abitante, già sovrastimato,
in quanto comprensivo delle destinazioni non residenziali ma
strettamente connesse alle residenze, appare evidente che
l’edificio dei ricorrenti (1.240 mc) è fuori scala, ossia
non può essere considerato oggettivamente unifamiliare;
(m) ne consegue che il contributo di costruzione calcolato dal
Comune deve essere corrisposto.
---------------
1. I ricorrenti sono proprietari dal 09.06.2017 di un
edificio situato nel Comune di Sorisole, in via ...,
destinato a diventare l’abitazione del nucleo familiare. Nel
PGT l’immobile è classificato all’interno degli “Ambiti
di valorizzazione dei tessuti storici”.
2. Per la ristrutturazione dell’edificio i ricorrenti hanno
presentato una prima SCIA in data 07.08.2017.
La relazione tecnica allegata evidenzia che “[l]'immobile
si presenta in condizioni di semiabbandono, ed è distribuito
su tre piani; al piano terra troviamo locali accessori
distribuiti su vari ambienti, con pavimentazione presente
solo nella parte dell'ingresso, per il resto dell'unità
immobiliare vi è ancora presenza di terriccio. Al piano
primo troviamo la parte abitata e al piano [sottotetto] il
vecchio fienile con grandi aperture sia verso Ovest che
verso Est”.
L’intervento edilizio, in questa fase, prevedeva soprattutto
demolizioni e opere di consolidamento.
3. Con una SCIA in variante di data 29.12.2017 l’insieme
delle opere è stato così descritto: “[i]l progetto
prevede il mantenimento di un'unica unità immobiliare
distribuita su tre piani, come da stato di fatto, dove al
piano terra troviamo locali accessori (SNR), quali taverna,
cantina, lavanderia e un locale pluriuso, [e] al piano primo
il piano abitativo composto da zona giorno, lato Est e zona
notte che guarda verso Ovest; il piano sottotetto, pur
avendo altezze «sfruttabili», sarà lasciato come locale
accessorio a servizio del piano primo, comunque comunicante
con il piano sottostante”.
È stata prevista anche una nuova copertura, con inserimento
dello spessore necessario per garantire l’isolamento termico
e l’aerazione.
La maggiore altezza “non farà altro che staccare ed
evidenziare il nostro edificio da quelli limitrofi: già
nello stato di fatto l'edificio a Sud risulta, pur di poco,
più alto sul fronte Est, cosa assai più evidente sul fronte
Ovest dove la differenza è notevole, e in questo caso il
nostro edificio resterà sempre più basso. Per tale maggior
altezza, si è già preso contatto con i vicini per la
sottoscrizione di un accordo di buon vicinato”.
Nella relazione tecnica si precisa inoltre che l’accesso
all’edificio, carrale e pedonale, avviene attraverso la
proprietà di terzi, nello specifico sul giardino dei
genitori di uno dei ricorrenti.
4. Infine, con una terza SCIA di data 26.10.2018 è stato
previsto il “recupero del sottotetto in reparto notte
senza modificare le altezze interne, ricavando la nuova zona
abitabile all'interno del volume esistente”.
5. Con nota di data 07.05.2018 il responsabile del Settore
Gestione del Territorio ha chiesto ai ricorrenti il
pagamento della somma di € 22.393,96 a titolo di contributo
di costruzione ex art. 16 del DPR 06.06.2001 n. 380.
L’importo è riferito alle prime due SCIA.
6. In relazione alla terza SCIA, il responsabile del Settore
Gestione del Territorio, con nota di data 09.10.2019, ha
fissato in € 8.795,69 il contributo di costruzione dovuto
per il recupero del sottotetto.
7. Il progettista, con nota di data 08.05.2018, ha chiesto
per conto dei ricorrenti l’applicazione del regime di
gratuità ex art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001, sostenendo
che l’edificio avrebbe dovuto essere qualificato come
unifamiliare.
8. La risposta del responsabile del Settore Gestione del
Territorio, contenuta in una nota di data 14.06.2018, è
stata però negativa. Il contributo di costruzione è stato
imposto per le seguenti ragioni:
(a) ai sensi dell’art. 3 del DM 02.04.1968 n. 1444, non possono
essere definiti unifamiliari gli edifici che abbiano una
volumetria superiore a 100 mc per ciascun componente del
nucleo familiare, da identificare attraverso l'anagrafe
comunale (v. TAR Milano Sez. II 26.04.2006 n. 1062).
L'edificio dei ricorrenti ha una volumetria di circa 1.240
mc, e dunque potrebbe considerarsi unifamiliare solo se
destinato a una famiglia di 12 persone (1.240/100 = 12,40
abitanti);
(b) gli edifici unifamiliari devono essere strutturalmente e
funzionalmente indipendenti (v. TAR Brescia, Sez. I,
13.05.2011 n. 713), mentre nel caso in esame vi è un muro
divisorio in comproprietà, non costruito in semplice
aderenza ex art. 877 c.c., sul quale si appoggiano le
strutture orizzontali e la copertura sia dell'una sia
dell'altra proprietà. Manca quindi il requisito
dell’indipendenza strutturale;
(c) la gratuità del titolo edilizio ha lo scopo di incentivare la
funzionalità e l'usabilità dell'immobile a esclusivo
vantaggio della famiglia che vi abita (v. TAR Ancona Sez. I
10.05.2012 n. 310), ma nel caso in esame l’edificio è
disabitato;
(d) l’incremento del carico urbanistico è evidente, in quanto “[è]
indubbio che l'intervento proposto comporterà una
rivalutazione del valore economico dell'immobile, e la
trasformazione di tutti i locali del piano terra e del piano
sottotetto da superfici non residenziali a residenziali, pur
senza aumento di cubatura”.
9. L’onerosità del titolo edilizio è stata ribadita dal
responsabile del Settore Gestione del Territorio con nota di
data 23.11.2018, e dal legale del Comune con nota di data
31.01.2019.
10. Nel presente ricorso, notificato il 03.07.2019 e
depositato il 24.07.2019, viene chiesto l’accertamento della
non debenza del contributo di costruzione. Viene inoltre
chiesto il risarcimento del danno derivante dalla perdita
del credito d'imposta.
Non avendo versato il contributo di costruzione, in quanto
considerato non dovuto, i ricorrenti non hanno infatti
potuto ottenere l’agibilità, e di conseguenza non hanno
potuto trasferire la residenza nell’edificio ristrutturato,
perdendo il credito d’imposta di cui avevano usufruito al
momento dell’acquisto nel 2017.
11. La tesi del ricorso è che l’immobile, essendo di
proprietà esclusiva dei ricorrenti e destinato ad abitazione
del nucleo familiare composto dagli stessi, dovrebbe essere
qualificato come unifamiliare, indipendentemente dalle
dimensioni e dall’aumento di superficie residenziale
verificatosi in esito ai lavori.
12. Il Comune si è costituito in giudizio, chiedendo la
reiezione del ricorso, ed eccependone l’inammissibilità come
azione di accertamento svincolata dalla tempestiva
impugnazione dei provvedimenti che hanno stabilito l’importo
dovuto. Nelle proprie difese il Comune espone inoltre che i
ricorrenti, nonostante l’assenza di agibilità, hanno
trasferito la residenza nell’edificio in esame (v. verbale
di accertamento di infrazione di data 18.02.2019).
13. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si
possono svolgere le seguenti considerazioni:
(a) nella materia edilizia, dove si intrecciano diritti e interessi
legittimi, si può ritenere ammissibile un’azione di
accertamento finalizzata a conseguire la certezza del
diritto sulle obbligazioni pecuniarie conseguenti alla
qualificazione dei lavori. È vero che dal provvedimento
contenente la qualificazione discende anche la misura del
contributo di costruzione, e dunque è sempre possibile
impugnare il suddetto provvedimento per azzerare o ridurre
la pretesa economica dell’amministrazione. È però ugualmente
possibile chiedere direttamente che sia accertata la non
debenza del contributo di costruzione, sulla base di una
diversa qualificazione dei lavori;
(b) in questo secondo caso, non vi è elusione dei termini
impugnatori, in quanto le pretese economiche, avendo la
natura di diritti, sono sottoposte ai normali termini di
prescrizione. Vista la parità sostanziale delle posizioni in
conflitto, nello stesso termine a disposizione del Comune
per ottenere la condanna dei privati al pagamento
dell’importo dovuto per i lavori già eseguiti, i privati
possono chiedere in via preventiva l’accertamento
dell’insussistenza dell’obbligazione pecuniaria. L’interesse
a chiarire la propria posizione debitoria giustifica
un’azione di accertamento in luogo della semplice eccezione;
(c) nel merito, l’edificio ristrutturato dai ricorrenti non
appartiene alla categoria degli edifici unifamiliari;
(d) come evidenziato in un precedente di questo TAR (v. sentenza n.
154 del 15.02.2021), per attribuire la suddetta
qualificazione si deve tenere conto delle indicazioni
implicite nell’art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001, o
desumibili dal contesto in cui tale norma si colloca. È
quindi possibile fissare i seguenti criteri: (1)
eccezionalità del regime di gratuità; (2) autonomia della
costruzione; (3) collegamento con la vita familiare;
(e) per quanto riguarda il primo criterio, è evidente che
l’esonero dal contributo di costruzione è un beneficio
speciale, di stretta interpretazione. La perdita di gettito
per le finanze pubbliche è trasferibile alla fiscalità
generale solo se collegata a situazioni oggettive,
esattamente verificabili e controllabili. Il divieto di
interpretazioni estensive o analogiche è codificato a
livello regionale dall’art. 43, comma 2, della LR 11.03.2005
n. 12, in base al quale il contributo di costruzione non è
dovuto, o è ridotto, “nei casi espressamente previsti
dalla legge”;
(f) i criteri riferiti all’autonomia della costruzione e al
collegamento con la vita familiare rappresentano
rispettivamente il punto di vista esterno e quello interno
da cui si possono osservare le caratteristiche
dell’edificio;
(g) osservato dall’esterno, un edificio è unifamiliare se non
costituisce parte di un complesso più ampio e coordinato,
come ad esempio un condominio, un residence o una casa a
schiera. Anche se vi sono accessi separati, l’elemento che
rileva è il coordinamento tra le varie abitazioni
all’interno di un progetto unitario. L’esistenza di un
simile collegamento impone di considerare il risultato
complessivo, e non i singoli moduli abitativi, benché
fruibili autonomamente. Una diversa interpretazione
comporterebbe il risultato irragionevole di estendere la
gratuità del titolo edilizio a interventi di grande impatto
urbanistico;
(h) occorre sottolineare che, una volta costruita come parte di un
progetto unitario, la singola abitazione non diventa
unifamiliare al momento della ristrutturazione, tranne
quando vi sia una specifica norma di favore riferita a un
determinato contributo pubblico (v. ad esempio l’art. 119
del DL 19.05.2020 n. 34, ai fini della detrazione del 110
per cento per gli interventi di efficientamento energetico e
gli altri lavori ivi indicati);
(i) non impediscono invece la qualificazione come edificio
unifamiliare i collegamenti materiali, anche strutturali,
con altri fabbricati, purché non dipendenti da una
progettazione unitaria. È quindi irrilevante la presenza di
muri perimetrali comuni, quando sia chiaro che gli edifici
confinanti si sono sviluppati nel tempo in modo del tutto
indipendente. Parimenti, non assume alcun rilievo il fatto
che vi sia un percorso di accesso condiviso o collocato su
terreno di terzi;
(j) oltre che autonomo nel senso sopra descritto, un edificio per
poter essere qualificato come unifamiliare deve essere
idoneo esclusivamente allo svolgimento della vita di una
famiglia. Non sono ammissibili utilizzazioni miste, ma anche
quando l’unica destinazione sia quella residenziale è
necessario applicare una nozione oggettiva di utilizzazione
familiare. Non è sufficiente che i proprietari compongano
una famiglia e dichiarino di utilizzare da soli tutti gli
spazi come un’unica abitazione, ma occorre stabilire se tali
spazi corrispondano a quelli che una famiglia media ha a
disposizione nell’attuale situazione del mercato
immobiliare;
(k) se vi è sproporzione, in quanto la volumetria eccede
chiaramente i bisogni di una famiglia media, il Comune non
può accettare il rischio che l’edificio diventi di fatto
plurifamiliare attraverso successive modifiche interne.
L’amministrazione conserva il controllo sull’impatto
urbanistico solo quando le dimensioni dell’edificio siano
tali da rendere oggettivamente impossibile, o molto
difficile, l’insediamento di altri nuclei familiari;
(l) in mancanza di un limite dimensionale fissato direttamente nel
regolamento edilizio, possono essere utilizzati i parametri
che costituiscono principi della materia, come la volumetria
per abitante teorico stabilita dall’art. 3, comma 3, del DM
1444/1968 ai fini del dimensionamento degli standard
urbanistici. Sono comunque utilizzabili anche altri dati,
più vicini alla situazione locale. Nello specifico,
prendendo il rapporto di 100 mc/abitante, già sovrastimato,
in quanto comprensivo delle destinazioni non residenziali ma
strettamente connesse alle residenze, appare evidente che
l’edificio dei ricorrenti (1.240 mc) è fuori scala, ossia
non può essere considerato oggettivamente unifamiliare;
(m) ne consegue che il contributo di costruzione calcolato dal
Comune deve essere corrisposto.
14. In conclusione, il ricorso deve essere respinto, sia per
quanto riguarda la domanda di accertamento, sia
relativamente alla domanda risarcitoria (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 02.05.2022 n. 423 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
Al riguardo si legga anche:
●
ESONERO DAL CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE, QUALIFICAZIONE DI
EDIFICIO UNIFAMILIARE - Il TAR Brescia fissa i criteri
per attribuire la qualificazione di edificio unifamiliare ai
fini dell’esonero dal contributo di costruzione per gli
interventi di ristrutturazione e ampliamento (20.05.2022
- link a www.legislazionetecnica.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In considerazione della tipologia di intervento
(demolizione e ricostruzione dell’edificio) nonché nel
cambio di destinazione d’uso dello stesso da rurale a
residenziale e che, quindi, l’immobile non presentava, già
prima dello stesso, le caratteristiche dell’abitazione
servente le esigenze di un unico nucleo familiare, e del
fatto che lo stesso muta addirittura destinazione (da rurale
e residenziale), non può applicarsi l’art. 17, comma 3,
lett. b), del D.P.R. n. 380/2001.
Invero, “tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione
dall'obbligo contributivo contenute nell'art. 17 d.P.R. n.
380/2001 sono volte al perseguimento di interessi generali,
di natura solidaristica o di incentivo ad attività o
interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione
prevista dalla lettera b –secondo cui "il contributo di
costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20%, di edifici unifamiliari"- che deve essere
interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è
preposta.
Come affermato dalla giurisprudenza maggioritaria, la ratio
dell'esenzione di cui all'art. 17, c. 3, lett. b,) va
rinvenuta nella tutela e salvaguardia delle necessità
abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la
gratuità degli interventi funzionali all'adeguamento
dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di "edificio unifamiliare" richiamata dalla norma
deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione
socio-economica che coincide "con la piccola proprietà
immobiliare" poiché soltanto ove presenti tali caratteri è
meritevole di un trattamento differenziato.
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se
per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è
costituito dalla compartecipazione alle spese che il
maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento
genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è
correlato all'aumento di valore che consegue all'intervento.
Pertanto, si giustifica la sottrazione all'imposizione
dell'aumento di valore che la famiglia consegue per effetto
della ristrutturazione solo per le finalità di ordine
sociale sopra individuate.
Nel caso di specie, queste finalità non possono ritenersi
sussistenti, tenuto conto delle dimensioni del fabbricato,
ancorché unifamiliare -stante il consistente numero di vani
(14)- e della rilevanza dell'intervento, realizzato mediante
demolizione e ricostruzione.
Con riguardo a quest’ultimo aspetto va richiamata la
pronuncia della Corte Costituzionale del 26.06.1991 n. 296
avente ad oggetto la previgente previsione di cui all'art.
9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 che -analogamente
all’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001- esonerava dal
contributo "gli interventi di restauro, di risanamento
conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in
misura non superiore al venti per cento, di edifici
unifamiliari".
La Corte Costituzionale con questa sentenza interpretativa
di rigetto […] ha escluso l’illegittimità della norma, nella
parte in cui non comprendeva, nella previsione di esenzione
dal contributo, accanto all'ipotesi di ristrutturazione ed
ampliamento nei limiti del venti per cento, anche quella
dell'integrale ricostruzione del fabbricato demolito,
adibito ad abitazione unifamiliare, su area immediatamente
adiacente.
In quell’occasione, la Corte ha osservato che, ai fini del
riconoscimento dell’esonero in questione, “il concetto di
ristrutturazione mal si presta a comprendere la fattispecie
della demolizione accompagnata dalla ricostruzione
dell'edificio sullo stesso suolo” ed ha ritenuto quindi
pienamente giustificata la previsione dell'esonero
limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni ed
ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale
ricostruzione”.
A conferma di tale lettura giunge ulteriore giurisprudenza
che ha sancito che “ai fini dell'esonero dall'obbligo
contributivo di cui all'art. 17, co. 3, lett. b), del d.P.R.
n. 380/2001(T.U. Edilizia) -norma che stabilisce che il
contributo di costruzione non è dovuto "per gli interventi
di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non
superiore al 20%, di edifici unifamiliari"- la destinazione
ad esclusiva residenza abitativa di un solo nucleo familiare
deve preesistere rispetto all'intervento di
ristrutturazione, e deve permanere anche dopo tale
intervento: il manufatto oggetto dell'intervento deve
essere, inoltre, ante opera, unifamiliare”.
---------------
1. Il sig. Mi. è comproprietario, insieme con la coniuge, di
un immobile sito nel Comune di Corneliano d’Alba (CN),
meglio identificato al NCT, F. 4 part. 341.
L’immobile, acquistato nel 2006, si presentava in stato di
abbandono e collabente tanto che il proprietario realizzava
primi interventi di consolidamento (riguardanti le mura
perimetrali e la copertura) per i quali però non chiedeva
alcuna autorizzazione.
In ragione di ciò –in disparte l’avvio di un procedimento
penale a suo carico ai sensi dell’art. 44, lett. b), del
D.P.R. n. 380/2001– presentava, in data 24.06.2020, una
istanza di permesso a costruire in sanatoria.
In data 11.08.2020 lo stesso avanzava richiesta di rilascio
di un permesso a costruire per ulteriori opere di
ristrutturazione dell’edificio edificio con cambio a
destinazione residenziale.
L’amministrazione, unificando i due procedimenti, rilasciava
un unico permesso di costruire (n. 425 del 28.04.2021).
Il provvedimento è oneroso e l’amministrazione, oltre ad
aver addebitato una somma a titolo di oblazione, ha
determinato con apposito provvedimento (prot. n. 1940 del
14.04.2021, che fa seguito a precedenti atti ed in
particolare alla nota prot. 5679 del 11.12.2020 e prot. n.
1422 del 17.03.2021) un contributo di costruzione così
composto: oneri di urbanizzazione per euro 10.674,68
(ridotto in accoglimento della richiesta e dell’impegno
dell’interessato ad eseguire a sue spese le opere di
urbanizzazione primaria per l’erogazione dei servizi
essenziali) e costo di costruzione per euro
18.017,92.
2. Avverso i provvedimenti di definizione del citato
contributo nonché del permesso di costruire, nella misura in
cui prevede tale onerosità, è insorto l’interessato con
ricorso notificato in data 28.06.2021, ritualmente
depositato avanti questo Tribunale, con il quale lamenta
violazione di legge ed eccesso di potere sotto plurimi
profili, chiede l’accertamento della gratuità
dell’intervento nonché la condanna alla restituzione di
quanto già versato alle casse comunali.
...
3. Il ricorso è parzialmente fondato.
...
5. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta
violazione dell’art. 17, comma 3, lett. b), e dell’art. 22,
comma 7, del D.P.R. 380/2001; eccesso di potere per
insussistenza ed erronea valutazione dei presupposti;
difetto di istruttoria e di ponderazione dei fatti,
irragionevolezza dell’azione amministrativa; motivazione
incongruente e/o contraddittoria, illogicità manifesta,
irragionevolezza e travisamento dei fatti, perplessità.
Il ricorrente contesta la debenza del contributo per la
parte di costo di costruzione (quantificata
dall’amministrazione in euro 18.017,92), per il fatto che
l’intervento sarebbe qualificabile come ristrutturazione di
edificio unifamiliare mediante parziale demolizione e
ricostruzione senza variazione di sagoma, superficie e
volumetria. Ciò includerebbe l’intervento tra quelli
esentati dal contributo dall’art. 17, comma 3, lett. b), del
D.P.R. n. 380/2001.
La doglianza non persuade.
Dagli atti di causa emerge che l’intervento assentito si
presenta come demolizione e ricostruzione dell’edificio di
cui si controverte nonché nel cambio di destinazione d’uso
dello stesso da rurale a residenziale.
Come già riconosciuto da questo Tribunale “tutte le
ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo contributivo
contenute nell'art. 17 d.P.R. n. 380/2001 sono volte al
perseguimento di interessi generali, di natura solidaristica
o di incentivo ad attività o interventi che abbiano un
positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione
prevista dalla lettera b –secondo cui "il contributo di
costruzione non è dovuto: b) per gli interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20%, di edifici unifamiliari"- che deve essere
interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è
preposta.
Come affermato dalla giurisprudenza maggioritaria che questo
Collegio condivide, la ratio dell'esenzione di cui all'art.
17, c. 3, lett. b,) va rinvenuta nella tutela e salvaguardia
delle necessità abitative del nucleo familiare, perseguite
attraverso la gratuità degli interventi funzionali
all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di "edificio unifamiliare" richiamata dalla norma
deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione
socio-economica che coincide "con la piccola proprietà
immobiliare" poiché soltanto ove presenti tali caratteri è
meritevole di un trattamento differenziato (TAR Veneto, sez.
II, 05/03/2019, n. 289; TAR sez. I, Brescia, 26/04/2018, n.
449; TAR Toscana, Sez. III, 26.04.2017 n. 616, TAR Campania,
Salerno, Sez. I, 22.06.2015 n. 1416, TAR Lombardia, Brescia,
Sez. I, 21.11.2014 n. 2180 e TAR Lombardia, Milano, Sez. IV,
02.07.2014 n. 1707).
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se
per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è
costituito dalla compartecipazione alle spese che il
maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento
genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è
correlato all'aumento di valore che consegue all'intervento.
Pertanto, si giustifica la sottrazione all'imposizione
dell'aumento di valore che la famiglia consegue per effetto
della ristrutturazione solo per le finalità di ordine
sociale sopra individuate. Nel caso di specie, queste
finalità non possono ritenersi sussistenti, tenuto conto
delle dimensioni del fabbricato, ancorché unifamiliare
-stante il consistente numero di vani (14)- e della
rilevanza dell'intervento, realizzato mediante demolizione e
ricostruzione (cfr. TAR Napoli, Campania sez. VIII,
09/05/2012, n. 2136).
Con riguardo a quest’ultimo aspetto va richiamata la
pronuncia della Corte Costituzionale del 26.06.1991 n. 296
avente ad oggetto la previgente previsione di cui all'art.
9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 che -analogamente
all’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001- esonerava dal
contributo "gli interventi di restauro, di risanamento
conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in
misura non superiore al venti per cento, di edifici
unifamiliari".
La Corte Costituzionale con questa sentenza interpretativa
di rigetto […] ha escluso l’illegittimità della norma, nella
parte in cui non comprendeva, nella previsione di esenzione
dal contributo, accanto all'ipotesi di ristrutturazione ed
ampliamento nei limiti del venti per cento, anche quella
dell'integrale ricostruzione del fabbricato demolito,
adibito ad abitazione unifamiliare, su area immediatamente
adiacente.
In quell’occasione, la Corte ha osservato che, ai fini del
riconoscimento dell’esonero in questione, “il concetto di
ristrutturazione mal si presta a comprendere la fattispecie
della demolizione accompagnata dalla ricostruzione
dell'edificio sullo stesso suolo” ed ha ritenuto quindi
pienamente giustificata la previsione dell'esonero
limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni ed
ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale
ricostruzione” (TAR Piemonte, 26/05/2020, sent. n. 322).
A conferma di tale lettura giunge ulteriore giurisprudenza
che ha sancito che “ai fini dell'esonero dall'obbligo
contributivo di cui all'art. 17, co. 3, lett. b), del d.P.R.
n. 380/2001(T.U. Edilizia) -norma che stabilisce che il
contributo di costruzione non è dovuto "per gli interventi
di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non
superiore al 20%, di edifici unifamiliari"- la destinazione
ad esclusiva residenza abitativa di un solo nucleo familiare
deve preesistere rispetto all'intervento di
ristrutturazione, e deve permanere anche dopo tale
intervento: il manufatto oggetto dell'intervento deve
essere, inoltre, ante opera, unifamiliare” (TAR
Lombardia Milano Sez. II Sent., 24/07/2012, n. 2070).
Orbene, in considerazione della tipologia di intervento, del
fatto che l’immobile non presentava, già prima dello stesso,
le caratteristiche dell’abitazione servente le esigenze di
un unico nucleo familiare, e del fatto che lo stesso muta
addirittura destinazione (da rurale e residenziale), non può
dirsi violato l’art. 17, comma 3, lett. b), del D.P.R. n.
380/2001.
Il secondo motivo è pertanto infondato (TAR Piemonte, Sez.
II,
sentenza 02.05.2022 n. 412 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza amministrativa
ha precisato che la previsione di cui
all’art.
17, comma 3, lett. b), del DPR 380/2001
ha “carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta
interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore)”, in
quanto derogatoria alla regola generale che impone la corresponsione del
contributo quale “obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge
con il rilascio della concessione edilizia” e, in particolare, quale “corrispettivo
di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del
costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo
manufatto”.
L’esenzione in esame rinviene la propria ratio in esigenze <<di natura
sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e
di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi
funzionali all'adeguamento dell'immobile alle necessità abitative del nucleo
familiare: l'edificio unifamiliare, nell'accezione socio economica assunta
dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare,
e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento
differenziato>>”.
In sostanza, la disposizione in esame ha <<la funzione di agevolare i
proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli
interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione
di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi,
indipendentemente dalla loro dimensione>>.
La disposizione è, quindi, diretta <<a promuovere le opere di adeguamento
dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare,
circoscrivendone l'operatività agli interventi che non mutino
sostanzialmente l'entità strutturale e la dimensione spaziale dell'immobile
e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico>>.
---------------
Con ricorso, notificato il 30.10.2019 e depositato il 29.11.2019, Ti.Lu. -che in virtù di testamento pubblico del 27/09/1999, riceveva dal
bisnonno, Ti.Lu., un fondo agricolo con annesso fabbricato rurale e
capannoni adibiti sempre all’attività agricola- riferisce, in fatto, che:
- il di lui bisnonno, Ti.Lu., con prot. n. 25215/86,
depositava presso il Comune di Benevento domanda di condono edilizio ai
sensi della Legge 47/1985, (allegando alla suddetta domanda relazione tecnica
illustrativa, planimetria degli immobili e bollettini postali comprovanti il
versamento dell’oblazione) con la quale chiedeva che venissero sanate le
costruzioni da lui realizzate consistenti in una ampliamento di mq. 18,02
della propria abitazione rurale (realizzazione di un bagnetto e ampliamento
della cucina) nonché un deposito pari a complessivi mq 72,62 adibito a
ricovero di merce e mezzi agricoli nonché a forno e in parte a pollaio e le
opere realizzate insistevano su terreno avente destinazione agricola;
- con il deposito della istanza di sanatoria, il Ti.Lu.
aveva provveduto anche al pagamento dell’oblazione calcolata tenendo conto
del periodo in cui le opere erano state realizzate (anno di ultimazione
1974) e della attività connessa alla conduzione agricola per un totale di
superficie realizzata abusivamente pari a mq. 61.59 e pari a 323,28 mc.,
opere che sono state accatastate dal richiedente nell’agosto del 1986 come
da documentazione che si allega (all. n. 3);
- la pratica giaceva presso il Comune di Benevento per oltre 33
anni senza che l’Ente avesse mai emesso alcun provvedimento o richiesto
alcun documento, tant’è che soltanto a seguito di richiesta di permesso di
costruire formulata dal ricorrente, il citato Comune si accorgeva finalmente
dell’esistenza della suddetta pratica e chiedeva una integrazione della
stessa e, precisamente, una relazione tecnica che comprovasse la idoneità
statica del fabbricato, documento previsto dal legislatore successivamente
alla domanda di condono del Ti.;
- a tanto provvedeva tempestivamente il ricorrente come da
documentazione del 30/07/2019 depositata in data 02/08/2019 al prot. n.
71462 presso il Comune di Benevento Sportello Unico delle Attività
Produttive che, conseguentemente emetteva provvedimento dirigenziale
intitolato “Atto di determinazione delle somme dovute a titolo di
sanatoria”, con il quale, a riscontro della domanda di sanatoria di abuso
edilizio presentata da Ti.Lu., in data 05.09.1986 con protocollo n.
25125, relativamente all’ampliamento di un fabbricato rurale sito alla c.da
San Domenico, “Vista la documentazione integrativa prodotta in data
02/08/2019 con protocollo n. 71462 dalla ditta Ti.Lu.”, ”Considerato
che per l’abuso commesso l’oblazione versata è congrua”, “determinava
la somma da versare per contributo di costruzione in euro 64.872,69”.
Date tali premesse e preso atto che l’atto con il quale è stata determinata
la somma dovuta a titolo di sanatoria era incomprensibile non essendo stato
chiarito dall’Ente, seppur formalmente richiesto, i criteri adottati e, in
ogni caso, errato, Ti.Lu., nella spiegata qualità, ha impugnato, innanzi a
questo Tribunale, il predetto atto.
...
Il ricorso è infondato nei termini di seguito precisati.
...
Con la seconda censura si chiede, in via gradata, l’esenzione
soltanto parziale dell’onere di costruzione, atteso che il comune ha omesso
di valutare che le opere che riguardano il fabbricato rurale sono consistite
in un ampliamento non superiore al 20% dell’edificio unifamiliare, come
previsto sia dall’art. 9 della legge 10/1977 che dall’art. 17 del DPR
380/2001: “3. Il contributo di costruzione non è dovuto: ... b) per gli
interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al
20%, di edifici unifamiliari; “).
Pertanto, il ricorrente chiede che sia decurtato l’importo relativo al
fabbricato unifamiliare consistente nell’ampliamento dello stesso pari a 18
mq essendo lo stesso non superiore al 20% dell’edifico unifamiliare come da
perizia che si allega. Ne consegue che va decurtato tale importo.
La censura non coglie nel segno.
In primo luogo la previsione dell’esenzione di cui alla lettera b) riguarda
gli interventi al di fuori delle zone agricole, mentre per le opere in zona
agricola (come quella per cui vi è causa) è applicabile unicamente -ove
ovviamente ne sussistano i relativi presupposti- l’esenzione di cui alla
lettera a), ossia quella relativa alle residenze degli imprenditori agricoli
a titolo principale.
In ogni caso, non risultano provati né in sede amministrativa né tanto in
giudizio i presupposti di applicabilità della normativa de qua, ossia la
natura unifamiliare dell’edificio e l’ampliamento inferiore al 20%.
In argomento, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che la riferita
previsione ha “carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta
interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore)” (cfr.
TAR per la Lombardia – sede di Brescia, sez. I, 26.04.2018, n. 449), in
quanto derogatoria alla regola generale che impone la corresponsione del
contributo quale “obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge
con il rilascio della concessione edilizia” (cfr., ex aliis,
Consiglio di Stato, Sez. VI, 07.02.2017, n. 728), e, in particolare, quale “corrispettivo
di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del
costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo
manufatto” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 29.10.2015, n. 4950).
L’esenzione in esame rinviene la propria ratio in esigenze <<di natura
sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e
di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi
funzionali all'adeguamento dell'immobile alle necessità abitative del nucleo
familiare: l'edificio unifamiliare, nell'accezione socio economica assunta
dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare,
e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento
differenziato>>” (TAR per la Lombardia–Brescia, sez. I, 26.04.2018, n.
449; TAR per la Lombardia–Milano, Sez. IV, 02.07.2014, n. 1707).
In sostanza, la disposizione in esame ha <<la funzione di agevolare i
proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli
interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione
di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi,
indipendentemente dalla loro dimensione>> (Consiglio di Stato, Sez. IV,
11.10.2006, n. 6065).
La disposizione è, quindi, diretta <<a promuovere le opere di adeguamento
dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare,
circoscrivendone l'operatività agli interventi che non mutino
sostanzialmente l'entità strutturale e la dimensione spaziale dell'immobile
e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico>> (TAR per
la Lombardia – sede di Brescia, sez. I, 26.04.2018, n. 449).
Nel caso di specie, parte ricorrente non ha fornito prova della
riconducibilità degli interventi condonati nella previsione normativa
invocata
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 22.10.2021 n. 6655 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulle
caratteristiche dimensionali dell'edificio unifamiliare.
Secondo un dato normativo costantemente affermato dalla
giurisprudenza espressasi in materia, la concessione edilizia gratuita è una
figura eccezionale, mentre la regola è quella dell’onerosità: infatti, la
norma che la prevede (art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001,
che ha sostituito l’art. 9, primo comma, lett. d), della l. n. 10/1977) è
sempre stata intesa come previsione derogatoria rispetto alla su indicata
regola e, dunque, da interpretare restrittivamente.
Invero, il principio generale dell’onerosità del permesso di costruire,
introdotto dall’art. 1 della l. n. 10/1977, è stato confermato dall’art. 16
del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia) che, dopo aver fatti
salvi i casi di gratuità previsti dal successivo art. 17, subordina di
regola il rilascio del titolo edilizio de quo al pagamento di un contributo
commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione e del costo di
costruzione. Integrando l’art. 17 cit. una deroga al principio generale
dell’onerosità, ne discende che le ipotesi di esonero dal versamento del
contributo ivi elencate costituiscono l’eccezione ed hanno carattere
tassativo.
In secondo luogo, la giurisprudenza consolidata ha individuato la ratio
dell’esenzione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b), cit., nell’esigenza di
tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, con il
corollario che la nozione di “edifici unifamiliari” va intesa in
un’accezione non tanto strutturale –come pretende il Comune–, ma
socio-economica, cioè riguardante la piccola proprietà immobiliare, poiché
soltanto questa è meritevole di un trattamento differenziato.
---------------
Se è vero che nella norma in esame non viene detto che
l’edificio soggetto all’intervento di ristrutturazione ed ampliamento debba
avere ab origine carattere unifamiliare, è però altrettanto vero che un
fabbricato bifamiliare o, ancor di più, plurifamiliare, poi reso
unifamiliare tramite mutamento di destinazione d’uso di alcuni locali che lo
compongono, difficilmente potrà rientrare nel concetto di “piccola proprietà
immobiliare” a cui ha riguardo la “ratio socio-economica” della norma
stessa: ciò, attese le caratteristiche dimensionali e volumetriche che esso
acquisisce in ragione dell’intervento che lo rende “unifamiliare”, le quali
lo porteranno verosimilmente a fuoriuscire dal concetto in discorso.
Da questo punto di vista, perciò, non è condivisibile la sentenza appellata,
lì dove adduce a propria motivazione la mancanza, nel tessuto normativo, di
elementi concreti che l’immobile deve possedere per poter essere considerato
come appartenente alla categoria degli “edifici unifamiliari”.
Da un lato, ai fini dell’individuazione della nozione di “edifici
unifamiliari” è stato ritenuto legittimo ricorrere a criteri estratti da
altri complessi normativi (si pensi all’art. 3 del d.m. n. 1444/1968), con
l’unico limite di non stravolgere la portata della disciplina da applicare.
D’altro lato, la stessa sentenza appellata ha menzionato la possibilità di
utilizzare indici oggettivi per definire detta categoria, al fine di
escludere che costituiscano edifici unifamiliari, nel senso rilevante per
l’art. 17 cit., gli immobili di lusso, ovvero quelli di grandi dimensioni,
pur lamentando la mancata esplicitazione di tali indici da parte del
Legislatore.
Ma se è vero che difetta un’indicazione esplicita degli indici
in questione, è altresì vero che la stessa è deducibile dalla ratio legis:
da questa, infatti, è dato ricavare la contrarietà allo spirito della legge
di un’opzione ermeneutica che consenta che vadano esenti dagli oneri
concessori interventi di ristrutturazione ed ampliamento di immobili di
lusso, o –com’è nella vicenda in esame– di ampie dimensioni già prima
dell’intervento.
In altre parole, non rilevano le dimensioni e le caratteristiche possedute
dall’edificio dopo l’intervento di ristrutturazione ed ampliamento oggetto
di controversia. Nemmeno rileva che dopo
l’intervento di ristrutturazione ed ampliamento l’immobile abbia perduto
(almeno in potenza) la natura unifamiliare che aveva acquisito per effetto
della D.I.A. presentata.
Ciò che conta è, invece, che alla data di
presentazione dell’istanza di permesso di costruire
l’immobile non avesse le caratteristiche per rientrare nella “piccola
proprietà immobiliare” e per poter così beneficiare della deroga alla regola
dell’onerosità, contenuta nella norma in esame.
---------------
... per l’annullamento e/o la riforma della
sentenza 24.07.2012 n. 2070 del Tribunale Amministrativo
Regionale per la Lombardia – Milano, Sezione Seconda.
...
Viene in decisione la sentenza del TAR Lombardia–Milano, Sez. II, n.
2070/2012 del 24.07.2012, che ha annullato i permessi di costruire nn.
10/2008 e 21/2011 rilasciati alla sig.ra Lo. dal Comune di Casciago (VA),
nella parte in cui hanno assoggettato gli interventi assentiti a contributo
concessorio, ed ha condannato il Comune a restituire le somme percepite a
tale titolo (rispettivamente: € 17.508,93 ed € 100,00).
Il primo giudice ha osservato come l’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R.
n. 380/2001 –la norma che, come detto, dispone la gratuità del permesso di
costruire per opere di ristrutturazione ed ampliamento (non oltre il 20%)
degli edifici unifamiliari– non rechi alcuna definizione della nozione di “edificio
unifamiliare”. Per usufruire del beneficio previsto dalla norma, basta
ad avviso del TAR –il quale ha richiamato la giurisprudenza espressasi in
argomento– che l’edificio sia destinato in toto, prima
dell’intervento, ad esclusiva residenza abitativa di un unico nucleo
familiare. Non occorre, invece, il requisito preteso dall’Amministrazione
comunale e cioè che l’edificio sia, oltre che funzionalmente, anche
strutturalmente unifamiliare, nel senso che abbia avuto impresso detto
carattere ab origine, sin dalla sua costruzione.
Nel caso di specie –precisa la sentenza– i requisiti di legge sussistono,
dal momento che l’immobile è divenuto unifamiliare a seguito della D.I.A.
del 22.01.2008 e dunque prima dell’intervento per cui è causa.
La tesi del Comune della necessità che l’immobile abbia destinazione
strutturale, oltre che funzionale, ad uso unifamiliare, è priva di base
normativa, in quanto nella legge mancano gli elementi per definire quali
siano gli edifici unifamiliari, sicché essa porta ad approdi arbitrari ed
indefiniti, non riuscendo a spiegare quali elementi concreti l’immobile
debba possedere per essere qualificato come “edificio unifamiliare”.
Sulla base di tali elementi, la sentenza esclude che il meccanismo posto in
essere nella fattispecie in esame dalla sig.ra Lo. possa configurarsi come
scissione artificiosa di un solo titolo edilizio in due, ai fini dell’elusione
del suvvisto art. 17, e che costituisca un’operazione in frode alla legge.
Nell’appello il Comune di Casciago contesta il percorso argomentativo del
primo giudice, insistendo in specie sul carattere fraudolento ed elusivo
della legge dell’operazione posta in essere dal privato, anche alla stregua
del dato temporale che dimostrerebbe, nel susseguirsi immediato della D.I.A.
e del permesso di costruire, l’artificiosità della scissione dell’intervento
edilizio in due. Rimarca come nel caso in esame prima della D.I.A.
presentata il 22.01.2008 l’immobile fosse composto da almeno due unità
immobiliari, mentre dopo gli interventi realizzati dalla sig.ra Lo. esso si
articola in n. 1 abitazione e n. 3 box, che si sviluppano su una superficie
di mq. 297,78 (includendo i tre box ed escludendo i balconi e il fabbricato
accessorio, staccato dall’abitazione).
Il Comune insiste, inoltre, nel sostenere che l’esenzione dal contributo
concessorio –avente carattere eccezionale– sarebbe ammessa solo per edifici
oggettivamente e ab origine unifamiliari, non resi tali in conseguenza
dell’intervento programmato. Richiama sul punto l’indirizzo
giurisprudenziale per il quale la nozione di “unifamiliarità” si
ricava dalle caratteristiche architettoniche dell’edificio, in virtù del
volume, della superficie, del numero e della funzione dei vani, in rapporto
alle esigenze ed alla possibilità del suo utilizzo da parte di un unico
nucleo familiare. Richiama, inoltre, la giurisprudenza che, in ragione
dell’eccezionalità dell’art. 17, comma 3, lett. b), cit., ha ristretto la
nozione di “edificio unifamiliare” ad immobili di volumetria limitata
(fino a mc. 100 per ciascun componente del nucleo familiare) sulla base di
indici desunti da altri complessi normativi.
L’assunto del TAR, per cui sarebbe sufficiente la destinazione in concreto
dell’immobile a un solo nucleo familiare, si porrebbe –lamenta l’appellante–
in contraddizione con la ratio legis, che sarebbe di derivazione
sociale, mirando la norma a tutelare la piccola proprietà immobiliare,
meritevole di un trattamento differenziato per le opere di adeguamento alle
necessità abitative del nucleo familiare. Il progetto di ristrutturazione
proposto dalla sig.ra Lo. farebbe, inoltre, sorgere dubbi sul possibile
utilizzo bifamiliare o comunque non totalmente residenziale dell’immobile.
In ultima analisi –sostiene il Comune appellante– affinché un intervento
edilizio possa godere del beneficio eccezionale e derogatorio dell’esenzione
dal pagamento degli oneri, non è sufficiente che l’edificio sia
presumibilmente destinato ad abitazione di un solo nucleo familiare;
occorrono, invece, due caratteristiche, entrambe non sussistenti
nell’immobile per cui è causa: l’originaria unifamiliarità dell’immobile
stesso e, secondariamente, l’idoneità delle opere ad adeguare la casa già
unifamiliare alle necessità abitative del nucleo familiare. Pertanto, la
sentenza appellata sarebbe errata lì dove ha ritenuto di prescindere dalle
caratteristiche strutturali e dimensionali dell’edificio, senza considerare
che nella specie l’intervento ha riguardato una superficie di circa mq. 297,
assai lontana dall’essere riconducibile alla “piccola proprietà
immobiliare”, e che l’immobile si configura strutturalmente composto da
almeno due unità immobiliari.
L’appellata replica ai motivi dell’appello, obiettando, in estrema sintesi,
che la pretesa che l’edificio unifamiliare sia tale ab origine non ha
nessun appiglio normativo, mentre ciò che conta è che esso abbia acquisito
tale caratteristica ab origine ante opera, cioè prima dell’intervento
di ristrutturazione ed ampliamento: il che è quanto verificatosi nel caso di
specie.
Rammenta, inoltre, di aver rinunciato al permesso di costruire n. 18/2007,
rilasciato a titolo oneroso, a causa delle difficoltà di ottenere il
finanziamento necessario per effettuare l’intervento: sarebbero stati gli
stessi Uffici del Comune, presso cui si era recata per rappresentare il
problema, a suggerirle di intraprendere l’operazione contestata, dapprima
presentando la D.I.A. per cambio d’uso di parte dei locali dell’edificio (in
modo da renderlo confacente alle esigenze del proprio nucleo familiare e,
quindi, unifamiliare) e poi, una volta trasformato l’immobile, presentando “in
qualunque tempo” una nuova istanza per la ristrutturazione e
l’ampliamento, non onerosi, dello stesso.
Così riportate le posizioni delle parti, il Collegio ritiene
che l’appello sia fondato e da accogliere.
Preliminarmente, non si possono desumere elementi ostativi ad una pronuncia
nel merito dell’appello dalla circostanza che il Comune ha proceduto senza
riserve a restituire alla sig.ra Lo. le somme da costei versate a
titolo di oneri concessori.
Si è trattato, infatti, del mero adempimento, ad opera della P.A., di una
sentenza esecutiva del G.A., che, in difetto di indicazioni espresse in tal
senso, non può comportare acquiescenza e/o rinuncia alle pretese fatte
valere nell’appello: ciò, tanto più che la condanna alla restituzione delle
predette somme era altresì comprensiva della corresponsione degli interessi,
di tal ché l’eventuale ritardo della P.A. nel pagamento l’avrebbe esposta al
rischio di danno erariale.
Nel merito, si riportano le ragioni che depongono per la riforma della
sentenza appellata.
In primo luogo –e soprattutto– il primo giudice non ha considerato un dato
normativo costantemente affermato dalla giurisprudenza espressasi in
materia, e cioè che la concessione gratuita è una figura eccezionale, mentre
la regola è quella dell’onerosità: infatti, la norma che la prevede (art.
17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001, che ha sostituito l’art. 9,
primo comma, lett. d), della l. n. 10/1977) è sempre stata intesa come
previsione derogatoria rispetto alla su indicata regola (cfr. C.d.S., Sez. IV,
14.02.2018, n. 945; Sez. V, 07.05.2013, n. 2467, e 24.03.2006,
n. 1523; sull’art. 9 cit. cfr. Corte cost., ord. 23.06.1988, n. 714; C.d.S., Sez. V,
06.02.2003, n. 617) e, dunque, da interpretare restrittivamente (C.d.S., Sez. IV,
01.06.2020, n. 3405).
Invero, il principio generale dell’onerosità del permesso di costruire,
introdotto dall’art. 1 della l. n. 10/1977, è stato confermato dall’art. 16
del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia) che, dopo aver fatti
salvi i casi di gratuità previsti dal successivo art. 17, subordina di
regola il rilascio del titolo edilizio de quo al pagamento di un contributo
commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione e del costo di
costruzione. Integrando l’art. 17 cit. una deroga al principio generale
dell’onerosità, ne discende che le ipotesi di esonero dal versamento del
contributo ivi elencate costituiscono l’eccezione ed hanno carattere
tassativo (C.d.S., Sez. V, 11.01.2006, n. 51).
In secondo luogo, la giurisprudenza consolidata ha individuato la ratio
dell’esenzione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b), cit., nell’esigenza di
tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare, con il
corollario che la nozione di “edifici unifamiliari” va intesa in
un’accezione non tanto strutturale –come pretende il Comune–, ma
socio-economica, cioè riguardante la piccola proprietà immobiliare, poiché
soltanto questa è meritevole di un trattamento differenziato (v. per tutte
TAR Veneto, Sez. II, 05.03.2019, n. 289).
Orbene, nel caso di specie ci si trova dinanzi ad un immobile bifamiliare su
due piani, portato, subito prima dell’intervento per cui è causa, ad essere
unifamiliare, ma mantenendo intatta la sua consistenza dimensionale e
volumetrica. Tale consistenza –come affermato dalla stessa appellata– è
quella di un edificio (costruito negli anni ’50 del Novecento) che, al
momento dell’acquisto da parte della sig.ra Lo., era composto da due
unità immobiliari, collocate l’una al piano rialzato e l’altra al piano
primo, ciascuna di mq. 110 circa, tra loro speculari, nel senso di avere
entrambe disimpegno, cucina, soggiorno, bagno e due camere da letto.
A seguito della D.I.A. –aggiunge l’appellata– l’edificio è stato reso
unifamiliare e gli spazi interni sono stati distribuiti nel seguente modo:
il piano terra è stato modificato in “zona giorno”, composta da soggiorno,
cucina e studio; “al piano rialzato” (rectius: primo) i vani precedentemente
destinati a soggiorno e cucina sono stati trasformati in camere da letto.
Ad avviso del Collegio, è evidente che l’immobile, una volta divenuto
unifamiliare per effetto della D.I.A. presentata il 22.01.2008,
fuoriesce dalla nozione di “piccola proprietà immobiliare”, cui si riferisce
–secondo la condivisibile giurisprudenza sopra riportata– la previsione
derogatoria della gratuità della concessione contenuta nell’art. 17, comma
3, lett. b) del Testo Unico dell’Edilizia, che si ispira ad una “ratio
socio-economica” alla quale sono estranei, invece, gli immobili di lusso,
ovvero di ampie dimensioni (com’è nel caso di specie).
Per questo verso, dunque, può rilevare anche l’elemento strutturale su cui
insiste il Comune. Infatti, se è vero che –come nota il TAR ed insiste
ad eccepire la sig.ra Lo.– nella norma in esame non viene detto che
l’edificio soggetto all’intervento di ristrutturazione ed ampliamento debba
avere ab origine carattere unifamiliare, è però altrettanto vero che un
fabbricato bifamiliare o, ancor di più, plurifamiliare, poi reso
unifamiliare tramite mutamento di destinazione d’uso di alcuni locali che lo
compongono, difficilmente potrà rientrare nel concetto di “piccola proprietà
immobiliare” a cui ha riguardo la “ratio socio-economica” della norma
stessa: ciò, attese le caratteristiche dimensionali e volumetriche che esso
acquisisce in ragione dell’intervento che lo rende “unifamiliare”, le quali
lo porteranno verosimilmente –e hanno portato senz’altro l’edificio di
proprietà della sig.ra Lo.– a fuoriuscire dal concetto in discorso.
Da questo punto di vista, perciò, non è condivisibile la sentenza appellata,
lì dove adduce a propria motivazione la mancanza, nel tessuto normativo, di
elementi concreti che l’immobile deve possedere per poter essere considerato
come appartenente alla categoria degli “edifici unifamiliari”.
Da un lato, ai fini dell’individuazione della nozione di “edifici
unifamiliari” è stato ritenuto legittimo ricorrere a criteri estratti da
altri complessi normativi (si pensi all’art. 3 del d.m. n. 1444/1968), con
l’unico limite di non stravolgere la portata della disciplina da applicare (C.d.S.,
Sez. II, parere n. 1402 del 24.10.1984; TAR Lombardia, Milano, Sez.
II, 26.04.2006, n. 1062).
D’altro lato, la stessa sentenza appellata ha menzionato la possibilità di
utilizzare indici oggettivi per definire detta categoria, al fine di
escludere che costituiscano edifici unifamiliari, nel senso rilevante per
l’art. 17 cit., gli immobili di lusso, ovvero quelli di grandi dimensioni,
pur lamentando la mancata esplicitazione di tali indici da parte del
Legislatore. Ma se è vero che difetta un’indicazione esplicita degli indici
in questione, è altresì vero che la stessa è deducibile dalla ratio legis:
da questa, infatti, è dato ricavare la contrarietà allo spirito della legge
di un’opzione ermeneutica che consenta che vadano esenti dagli oneri
concessori interventi di ristrutturazione ed ampliamento di immobili di
lusso, o –com’è nella vicenda in esame– di ampie dimensioni già prima
dell’intervento.
In altre parole, non rilevano le dimensioni e le caratteristiche possedute
dall’edificio dopo l’intervento di ristrutturazione ed ampliamento oggetto
di controversia, sulle quali insiste il Comune. Nemmeno rileva che, come
adombrato dal Comune e fortemente contestato dall’appellata, dopo
l’intervento di ristrutturazione ed ampliamento l’immobile abbia perduto
(almeno in potenza) la natura unifamiliare che aveva acquisito per effetto
della D.I.A. del 22.01.2008.
Ciò che conta è, invece, che alla data di
presentazione dell’istanza di permesso di costruire (28.02.2008)
l’immobile non avesse le caratteristiche per rientrare nella “piccola
proprietà immobiliare” e per poter così beneficiare della deroga alla regola
dell’onerosità, contenuta nella norma in esame
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 12.04.2021 n. 2939 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Devono
essere escluse le case a schiera dalla nozione di "edificio unifamiliare".
(a) l’art. 9, comma 1-d, della legge
10/1977, ora riprodotto nell’art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001, esonera
dal contributo di costruzione gli edifici unifamiliari, ma non contiene una
definizione di questa categoria di edifici. Tuttavia, qualche indicazione si
può ricavare dal contesto, che elenca altri interventi edilizi agevolati,
tutti chiaramente caratterizzati dalla presenza di profili di interesse
pubblico;
(b) per collocare nella giusta prospettiva le norme sopra citate è
quindi necessario partire dal presupposto che l’esonero dal contributo di
costruzione è un beneficio speciale, di stretta interpretazione. La perdita
di gettito per le finanze pubbliche è trasferibile alla fiscalità generale
solo se collegata a situazioni particolari, esattamente verificabili e
controllabili;
(c) può essere utile a questo scopo il confronto con un’altra
fattispecie di esenzione, quella riferita agli interventi in zona agricola.
Per questi interventi l’esenzione riguarda le “residenze” degli imprenditori
agricoli, mentre al di fuori delle zone agricole il riferimento, come si è
visto, è agli “edifici unifamiliari”. Solo nel primo caso il legislatore
utilizza un criterio funzionale, senza richiedere verifiche sulle
caratteristiche degli edifici, evidentemente perché viene ritenuto
necessario nell’interesse dell’attività agricola che gli imprenditori
agricoli possano sempre risiedere nello stesso luogo in cui si trovano i
fondi da coltivare;
(d) dove invece si parla di edifici unifamiliari risulta implicita
una duplice condizione, ossia che si tratti di edifici, e quindi di
costruzioni strutturalmente autonome, e che le dimensioni e la distribuzione
degli spazi interni siano congruenti con la presenza di un solo nucleo
familiare. Qui il legislatore non persegue finalità incentivanti. Le norme
riflettono piuttosto la presunzione che i piccoli edifici residenziali
richiedano meno opere di urbanizzazione rispetto alle altre costruzioni. In
questi termini, le minori entrate per le finanze pubbliche rimangono
confinate a ipotesi ben delimitate e facilmente prevedibili in sede di
pianificazione urbanistica;
(e) appare pertanto corretta l’interpretazione dell’art. 9, comma
1-d, della legge 10/1977 fornita dal Comune nella deliberazione della giunta, con il doppio criterio strutturale e
funzionale. Parimenti corretta risulta l’esclusione delle case a schiera
dalla nozione di edificio unifamiliare. È vero che ciascun modulo è
funzionalmente autonomo, ma la struttura dell’edificio è data dalla somma
dei vari moduli, e l’impatto complessivo dell’edificazione, come pure il suo
valore economico, supera ampiamente l’ordine di grandezza degli edifici
destinati a una singola famiglia. Non vi è più alcuna proporzione, e del
resto sarebbe irragionevole utilizzare una previsione speciale riguardante i
piccoli edifici residenziali per esonerare dal contributo di costruzione
importanti interventi di trasformazione del territorio;
(f) se un edificio non può essere qualificato come unifamiliare
quando viene costruito, non è ammissibile che porzioni dello stesso vengano
poi considerate edifici unifamiliari quando sono sottoposte singolarmente a
ristrutturazione o manutenzione. Per accedere ai benefici fiscali è
necessario che una previsione normativa deroghi all’art. 9, comma 1-d, della
legge 10/1977 e all’art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001, equiparando agli
edifici unifamiliari le unità immobiliari funzionalmente indipendenti
situate all'interno di edifici plurifamiliari. Questo è avvenuto, ad
esempio, con l’art. 119 del DL 19.05.2020 n. 34, che però vale
unicamente ai fini della detrazione del 110 per cento per gli interventi di efficientamento energetico e gli altri lavori ivi indicati;
---------------
(g) quanto sopra esposto è riferibile a maggior ragione
all’edificio in esame, che è stato progettato come strutturalmente unitario,
con una connessione tra le varie porzioni superiore a quella normalmente
riscontrabile nelle case a schiera. Anche i caratteri architettonici sono i
medesimi per ogni porzione, circostanza che ha impedito la realizzazione del
cappotto esterno. L’edificio si trova sostanzialmente in una condizione
analoga a quella dei condomini, con la sola variante che tutti gli
appartamenti dispongono di un ingresso separato, e non sono presenti scale
comuni;
(h) non può essere accolta neppure la domanda subordinata, relativa
al rimborso degli oneri di urbanizzazione. Come si è visto sopra, infatti,
la ristrutturazione ha consentito di recuperare a un uso più intenso alcuni
locali, grazie alla modifica della scala della soffitta e all’inserimento di
finestre nelle pareti e di un abbaino e lucernari sulla copertura. In questo
modo, il sottotetto e gli spazi in precedenza privi dei rapporti
aeroilluminanti possono essere pienamente sfruttati a fini residenziali. Di
qui l’incremento del carico urbanistico e la necessità di versare i
corrispondenti oneri di urbanizzazione.
---------------
... per l'annullamento:
- del provvedimento del responsabile dello Sportello Edilizia di
data 16.06.2017, con il quale, in relazione al permesso di costruire di
pari data, è stato determinato l’importo del contributo di costruzione per
la ristrutturazione di una porzione di edificio residenziale in via ...;
- del provvedimento del responsabile dello Sportello Edilizia di
data 04.09.2017, con il quale è stata confermata l’onerosità del
permesso di costruire di data 16.06.2017, nell’importo già stabilito (€
8.871,64);
- con disapplicazione della deliberazione della giunta n. 995 di
data 05.04.1978, con la quale è stata formulata la definizione di
“edificio unifamiliare” ai fini dell’esenzione dal contributo di costruzione
ai sensi dell’art. 9, comma 1-d, della legge 28.01.1977 n. 10;
...
1. In data 16.06.2017 il Comune di Brescia ha rilasciato al ricorrente
il permesso di costruire per la ristrutturazione di un’unità immobiliare
residenziale situata in via ....
2. Con contestuale provvedimento del responsabile dello Sportello Edilizia è
stato determinato il contributo di costruzione. La somma richiesta è pari
complessivamente a € 8.871,64, di cui € 3.627,03 per oneri di urbanizzazione
e € 5.244,61 come contributo sul costo di costruzione.
3. In data 19.07.2017 il ricorrente ha contestato il carattere oneroso
del permesso di costruire, chiedendo l’applicazione dell’art. 17, comma 3-b,
del DPR 06.06.2001 n. 380, che esonera dal contributo di costruzione gli
interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al
20%, di edifici unifamiliari. Nella prospettazione del ricorrente, l’unità
immobiliare ristrutturata costituirebbe edificio unifamiliare, in quanto si
tratta di una porzione di edificio terra-cielo, autonoma rispetto agli altri
appartamenti, con un ingresso separato e un proprio numero civico.
4. Il responsabile dello Sportello Edilizia, con provvedimento di data 04.09.2017, ha confermato l’onerosità del permesso di costruire. La
decisione richiama la deliberazione della giunta n. 995 di data 05.04.1978, che contiene la definizione di edificio unifamiliare ai sensi
dell’art. 9, comma 1-d, della legge 28.01.1977 n. 10, norma poi confluita
nell’art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001 (“Per edificio unifamiliare deve
intendersi quello comprendente un alloggio che per conformazione strutturale
e funzionale costituisca dimora di un unico nucleo familiare. Non devono,
pertanto, considerarsi edifici unifamiliari le case a schiera anche se
composte da unità abitative addossate tra di loro”).
5. Il ricorrente ha provveduto a eseguire il pagamento del contributo di
costruzione in data 16.10.2017, riservandosi di agire per la
ripetizione di quanto versato.
6. Contro la quantificazione e la conferma del contributo di costruzione il
ricorrente ha presentato impugnazione, formulando censure che possono essere
sintetizzate come segue:
(i) irragionevolezza, in quanto un edificio
unifamiliare non sarebbe tale per le caratteristiche strutturali ma per la
funzione socioeconomica, e dunque coinciderebbe con la piccola proprietà
immobiliare;
(ii) in via subordinata, erronea qualificazione dell’intervento
edilizio, che non comporterebbe incremento del carico urbanistico, e dunque
non dovrebbe essere assoggettato al pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Oltre all’annullamento degli atti impugnati è stato chiesto il rimborso
dell’intero contributo di costruzione, e in via subordinata della parte
corrispondente agli oneri di urbanizzazione, con interessi legali dalla
domanda al saldo.
7. Il Comune si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del
ricorso.
8. Per meglio inquadrare l’intervento edilizio, è necessario riportare
alcuni dettagli della relazione tecnica descrittiva di data 20.12.2016. L’edificio consiste in una palazzina con 4 unità immobiliari, ed è
stato realizzato negli anni Trenta del Novecento da una cooperativa edile
costituita da mutilati e invalidi di guerra. L’area è classificata dal PGT
nei “Tessuti della città storica”, dove sono ammessi interventi di
ristrutturazione che conservino l’integrità degli edifici e garantiscano la
permanenza dell’unitarietà del linguaggio architettonico. L’intervento
edilizio in esame non aggiunge volumetria esterna, ma riorganizza gli spazi
interni.
In particolare, sono realizzate due finestre in allineamento al
piano rialzato e al primo piano per garantire i rapporti aeroilluminanti
richiesti dalla nuova distribuzione dei locali, ed è reso più agevole
l’accesso al sottotetto mediante la sostituzione della scala. La copertura è
stata rifatta, con l’inserimento di due lucernari e di un abbaino per
illuminare il sottotetto. Non è stato previsto il cappotto esterno, per non
alterare i caratteri architettonici originari dell’edificio, ma sono state
posizionate delle contropareti interne. I calcoli strutturali e antisismici
necessari per l’intervento di ristrutturazione sono stati effettuati in
relazione all’intero edificio.
9. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le
seguenti considerazioni:
(a) l’art. 9, comma 1-d, della legge 10/1977, ora riprodotto
nell’art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001, esonera dal contributo di
costruzione gli edifici unifamiliari, ma non contiene una definizione di
questa categoria di edifici. Tuttavia, qualche indicazione si può ricavare
dal contesto, che elenca altri interventi edilizi agevolati, tutti
chiaramente caratterizzati dalla presenza di profili di interesse pubblico;
(b) per collocare nella giusta prospettiva le norme sopra citate è
quindi necessario partire dal presupposto che l’esonero dal contributo di
costruzione è un beneficio speciale, di stretta interpretazione. La perdita
di gettito per le finanze pubbliche è trasferibile alla fiscalità generale
solo se collegata a situazioni particolari, esattamente verificabili e
controllabili;
(c) può essere utile a questo scopo il confronto con un’altra
fattispecie di esenzione, quella riferita agli interventi in zona agricola.
Per questi interventi l’esenzione riguarda le “residenze” degli imprenditori
agricoli, mentre al di fuori delle zone agricole il riferimento, come si è
visto, è agli “edifici unifamiliari”. Solo nel primo caso il legislatore
utilizza un criterio funzionale, senza richiedere verifiche sulle
caratteristiche degli edifici, evidentemente perché viene ritenuto
necessario nell’interesse dell’attività agricola che gli imprenditori
agricoli possano sempre risiedere nello stesso luogo in cui si trovano i
fondi da coltivare;
(d) dove invece si parla di edifici unifamiliari risulta implicita
una duplice condizione, ossia che si tratti di edifici, e quindi di
costruzioni strutturalmente autonome, e che le dimensioni e la distribuzione
degli spazi interni siano congruenti con la presenza di un solo nucleo
familiare. Qui il legislatore non persegue finalità incentivanti. Le norme
riflettono piuttosto la presunzione che i piccoli edifici residenziali
richiedano meno opere di urbanizzazione rispetto alle altre costruzioni. In
questi termini, le minori entrate per le finanze pubbliche rimangono
confinate a ipotesi ben delimitate e facilmente prevedibili in sede di
pianificazione urbanistica;
(e) appare pertanto corretta l’interpretazione dell’art. 9, comma
1-d, della legge 10/1977 fornita dal Comune nella deliberazione della giunta
n. 995 di data 05.04.1978, con il doppio criterio strutturale e
funzionale. Parimenti corretta risulta l’esclusione delle case a schiera
dalla nozione di edificio unifamiliare. È vero che ciascun modulo è
funzionalmente autonomo, ma la struttura dell’edificio è data dalla somma
dei vari moduli, e l’impatto complessivo dell’edificazione, come pure il suo
valore economico, supera ampiamente l’ordine di grandezza degli edifici
destinati a una singola famiglia. Non vi è più alcuna proporzione, e del
resto sarebbe irragionevole utilizzare una previsione speciale riguardante i
piccoli edifici residenziali per esonerare dal contributo di costruzione
importanti interventi di trasformazione del territorio;
(f) se un edificio non può essere qualificato come unifamiliare
quando viene costruito, non è ammissibile che porzioni dello stesso vengano
poi considerate edifici unifamiliari quando sono sottoposte singolarmente a
ristrutturazione o manutenzione. Per accedere ai benefici fiscali è
necessario che una previsione normativa deroghi all’art. 9, comma 1-d, della
legge 10/1977 e all’art. 17, comma 3-b, del DPR 380/2001, equiparando agli
edifici unifamiliari le unità immobiliari funzionalmente indipendenti
situate all'interno di edifici plurifamiliari. Questo è avvenuto, ad
esempio, con l’art. 119 del DL 19.05.2020 n. 34, che però vale
unicamente ai fini della detrazione del 110 per cento per gli interventi di efficientamento energetico e gli altri lavori ivi indicati;
(g) quanto sopra esposto è riferibile a maggior ragione
all’edificio in esame, che è stato progettato come strutturalmente unitario,
con una connessione tra le varie porzioni superiore a quella normalmente
riscontrabile nelle case a schiera. Anche i caratteri architettonici sono i
medesimi per ogni porzione, circostanza che ha impedito la realizzazione del
cappotto esterno. L’edificio si trova sostanzialmente in una condizione
analoga a quella dei condomini, con la sola variante che tutti gli
appartamenti dispongono di un ingresso separato, e non sono presenti scale
comuni;
(h) non può essere accolta neppure la domanda subordinata, relativa
al rimborso degli oneri di urbanizzazione. Come si è visto sopra, infatti,
la ristrutturazione ha consentito di recuperare a un uso più intenso alcuni
locali, grazie alla modifica della scala della soffitta e all’inserimento di
finestre nelle pareti e di un abbaino e lucernari sulla copertura. In questo
modo, il sottotetto e gli spazi in precedenza privi dei rapporti
aeroilluminanti possono essere pienamente sfruttati a fini residenziali. Di
qui l’incremento del carico urbanistico e la necessità di versare i
corrispondenti oneri di urbanizzazione.
10. In conclusione, il ricorso deve essere respinto
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 15.02.2021 n. 154 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
Risposta a quesito su definizione di
edificio unifamiliare e sulle piscine che
non hanno caratteristiche di pertinenza (Regione
Emilia Romagna, nota
10.12.2020 n. 816255 di prot.).
---------------
Con il quesito si pongono due questioni:
1. se nella definizione di edificio
unifamiliare sono ricomprese anche unità
facenti parti di abitazioni bifamiliari,
villette a schiera, case in linea,
appartamenti posti al piano terra di
condomini con accesso indipendente,
2. se, in relazione al parere espresso il
24.06.2020 (PG 2020/463171 inerente
l’onerosità di piscine scoperte private di
pertinenza di edifici residenziali), come
debba essere considerata la piscina se la
superficie supera il 20% del volume
dell'edificio principale e subordinatamente
a quale titolo edilizio debba essere
costruita. (...continua). |
EDILIZIA PRIVATA: Circa
l’operatività della previsione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b), del
D.P.R. n. 380/2001 che esonera dal pagamento del contributo di costruzione “gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”, deve ribadirsi che trattasi di previsione “di carattere eccezionale (applicabile in un
ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal
legislatore)”, in quanto derogatoria alla regola generale che impone la
corresponsione del contributo quale “obbligazione giuridica di tipo
pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia” e, in
particolare, quale “corrispettivo di diritto pubblico, di natura non
tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici
arrecati al nuovo manufatto”.
L’esenzione in esame rinviene la propria ratio in esigenze di “natura
sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e
di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi
funzionali all'adeguamento dell'immobile alle necessità abitative del nucleo
familiare: l'edificio unifamiliare, nell'accezione socio economica assunta
dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare,
e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento
differenziato”.
Lo conferma, con articolata motivazione, il TAR per il Veneto
osservando come:
i) la Corte Costituzionale abbia “costantemente affermato che
l'onerosità del permesso di costruire costituisce un principio generale”; le
“eccezioni al suddetto principio devono, pertanto, essere oggetto di
interpretazione restrittiva, conforme alla ratio dell'esenzione”;
ii) “tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo
contributivo contenute nell'art. 17 DPR 380/2001 sono volte al perseguimento
di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o
interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente”; non può,
pertanto, “fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b […]
che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è
preposta”;
iii) secondo un orientamento giurisprudenziale condiviso
si deve rinvenire la ratio dell’esenzione “nella
tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare,
perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali
all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede”;
iv) la nozione di “edificio unifamiliare” richiamata dalla norma
deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che
coincide “con la piccola proprietà immobiliare” poiché “soltanto ove
presenti tali caratteri appare meritevole di un trattamento differenziato”.
In sostanza, la disposizione in esame ha “la funzione di agevolare i
proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli
interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione
di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi,
indipendentemente dalla loro dimensione”. La disposizione è, quindi, diretta “a promuovere le
opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo
nucleo familiare, circoscrivendone l'operatività agli interventi che non
mutino sostanzialmente l'entità strutturale e la dimensione spaziale
dell'immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico”.
---------------
8. La questione giuridica all’attenzione del Collegio riguarda l’operatività
nel caso di specie della previsione di cui all’art. 17, comma 3, lett.
b), del D.P.R. n. 380/2001 che esonera dal pagamento del contributo di
costruzione “gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
8.1. Si tratta di previsione “di carattere eccezionale (applicabile in un
ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal
legislatore)” (TAR per la Lombardia – sede di Brescia, sez. I, 26.04.2018, n. 449), in quanto derogatoria alla regola generale che impone la
corresponsione del contributo quale “obbligazione giuridica di tipo
pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia” (cfr.,
ex aliis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 07.02.2017, n. 728), e, in
particolare, quale “corrispettivo di diritto pubblico, di natura non
tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici
arrecati al nuovo manufatto” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 29.10.2015,
n. 4950).
8.2. L’esenzione in esame rinviene la propria ratio in esigenze di “natura
sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e
di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi
funzionali all'adeguamento dell'immobile alle necessità abitative del nucleo
familiare: l'edificio unifamiliare, nell'accezione socio economica assunta
dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare,
e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento
differenziato” (TAR per la Lombardia – sede di Brescia, sez. I, 26.04.2018, n. 449; TAR per la Lombardia – sede di Milano, Sez. IV,
02.07.2014, n. 1707).
8.3. Lo conferma, con articolata motivazione, il TAR per il Veneto
osservando come:
i) la Corte Costituzionale abbia “costantemente affermato che
l'onerosità del permesso di costruire costituisce un principio generale”; le
“eccezioni al suddetto principio devono, pertanto, essere oggetto di
interpretazione restrittiva, conforme alla ratio dell'esenzione”;
ii) “tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo
contributivo contenute nell'art. 17 DPR 380/2001 sono volte al perseguimento
di interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o
interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente”; non può,
pertanto, “fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla lettera b […]
che deve essere interpretata in conformità allo scopo di tutela cui è
preposta”;
iii) secondo un orientamento giurisprudenziale condiviso
dalla pronuncia in esame si deve rinvenire la ratio dell’esenzione “nella
tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare,
perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali
all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede”;
iv) la nozione di “edificio unifamiliare” richiamata dalla norma
deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione socio-economica che
coincide “con la piccola proprietà immobiliare” poiché “soltanto ove
presenti tali caratteri appare meritevole di un trattamento differenziato
(TAR sez. I, Brescia, 26/04/2018, n. 449 nel medesimo senso si cfr. anche
TAR Toscana, Sez. III, 26.04.2017 n. 616, TAR Campania, Salerno, Sez. I, 22.06.2015 n. 1416, TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 21.11.2014 n. 2180 e TAR Lombardia, Milano, Sez. IV,
02.07.2014 n.
1707)” (TAR per il Veneto, Sez. II, 05.03.2019, n. 289).
8.4. In sostanza, la disposizione in esame ha “la funzione di agevolare i
proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli
interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione
di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi,
indipendentemente dalla loro dimensione” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 11.10.2006, n. 6065). La disposizione è, quindi, diretta “a promuovere le
opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo
nucleo familiare, circoscrivendone l'operatività agli interventi che non
mutino sostanzialmente l'entità strutturale e la dimensione spaziale
dell'immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico”
(TAR per la Lombardia – sede di Brescia, sez. I, 26.04.2018, n. 449).
8.5. Tracciati i principi ermeneutici affermati dalla giurisprudenza
formatasi in materia può, quindi, procedersi a declinare gli stessi al caso
di specie.
8.6. A tal fine si osserva come l’intervento in esame consista nella
ristrutturazione integrale dell’intero edificio prevedendosi la demolizione
completa delle strutture interne (murature, solai, scale interne) con il
solo mantenimento delle murature perimetrali esterne, la demolizione della
copertura esistente e la realizzazione di una nuova copertura, la
realizzazione di una torretta al piano secondo adibita a studio, il
rifacimento di tutti gli impianti (elettrici, idro-sanitari, di
riscaldamento e raffrescamento), l’ampliamento dell’autorimessa esistente
fuori terra, la realizzazione di un pergolato in profilati in ferro
(allineato con la copertura dell’autorimessa), e, in ultimo, la
realizzazione di una nuova centrale termica.
8.7. Si tratta, pertanto, di un intervento che comporta, in sostanza, il
rifacimento pressoché integrale dell’immobile e comporta, con ogni evidenza,
un incremento significativo del valore dello stesso. E ciò a prescindere
dall’utilizzo dell’aggettivo “pesante” di cui il Comune fa uso e sul quale
si incentrano parte delle argomentazioni difensive del ricorrente. Si
osserva, infatti, come l'obbligazione al pagamento del contributo di
costruzione costituisca una prestazione imposta “che sorge al verificarsi
dei presupposti previsti dalla legge, la quale determina altresì
integralmente i suoi contenuti, secondo lo schema legge-fatto-effetto” (TAR
per il Veneto, Sez. II, 05.03.2019, n. 289).
L’uso dell’aggettivo non serve, infatti, ad effettuare una distinzione
tipologica ma descrive la sostanziale portata dell’intervento che, come
emerge dalla documentazione in atti, muta l'entità strutturale dell’immobile
e determina, come detto, un incremento significativo del valore economico
dello stesso. L’intervento non si esaurisce, infatti, in un’opera di
adeguamento volta a soddisfare le esigenze familiari ma segna un notevole
incremento del valore di mercato dell’immobile stante la pluralità di opere
previste e l’entità del rifacimento complessivamente considerato. Né le
considerazioni esposte vengono meno in ragione della variante alla S.C.I.A.
del 2017 presentata in data 23.03.2018.
Si tratta, infatti, di un titolo che si limita a prevedere una lieve
diminuzione volumetrica dell’intervento originariamente previsto con
riferimento al secondo piano dell’edificio e, quindi, alla “torretta”
originariamente prevista che non si intende più realizzare. Restano, invece,
invariati gli altri interventi di ristrutturazione oggetto dell’originaria S.C.I.A. Di conseguenza, la lieve diminuzione volumetrica non comporta il
degradare dell’opera ad intervento esente ex articolo 17, comma 3, lett. b),
del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia, non modificandosi in modo rilevante il complessivo aumento di
valore dell’immobile che l’insieme di opere in esame suscita.
9. Le considerazioni esposte conducono a ritenere legittimi i provvedimenti
specifici adottati dall’Amministrazione nella vicenda in esame ed
evidenziano, altresì, l’inammissibilità dei motivi afferenti alla
deliberazione della Giunta comunale n. 103 del 2017, come correttamente
eccepito dal Comune. La pretesa comunale non si fonda, infatti, sui
contenuti di simile atto ma, al contrario, sulle caratteristiche
dell’intervento e sulla non operatività dell’esenzione per le ragioni
ritenute legittime dal Collegio.
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso in parte qua non trattandosi di atto che incide sull’obbligazione in esame
con conseguente carenza di interesse alla decisione delle censure articolate
in relazione a tale deliberazione.
10. In definitiva il ricorso deve essere dichiarato in parte inammissibile e
in parte infondato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.06.2020 n. 1204 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Contributo
di costruzione: esonero per interventi su edifici unifamiliari.
L'esonero dal versamento del contributo di
costruzione per interventi di ristrutturazione e ampliamento di edifici
unifamiliari si applica solo alla “piccola proprietà immobiliare” e la base
di calcolo della percentuale di ampliamento ammissibile non comprende i vani
accessori.
L'onerosità del permesso di costruire costituisce un principio generale del
nostro ordinamento (art. 16, d.P.R. n. 380/2001); le eccezioni al suddetto principio
devono, pertanto, essere oggetto di interpretazione restrittiva, conforme
alla ratio dell'esenzione.
Tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo contributivo
contenute nell'art. 17 d.P.R. n. 380/2001 sono volte al perseguimento di
interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o
interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla
lettera b –secondo cui "il contributo di costruzione non è dovuto: b) per
gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20%, di edifici unifamiliari"- che deve essere interpretata in
conformità allo scopo di tutela cui è preposta.
Come affermato dalla giurisprudenza maggioritaria, la ratio dell'esenzione di cui all'art. 17, c. 3, lett. b), va
rinvenuta nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo
familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali
all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di "edificio unifamiliare" richiamata dalla norma deve, pertanto,
essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide "con la
piccola proprietà immobiliare" poiché soltanto ove presenti tali caratteri è
meritevole di un trattamento differenziato.
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se per la parte
relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla compartecipazione
alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento
genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è correlato
all'aumento di valore che consegue all'intervento. Pertanto, si giustifica
la sottrazione all'imposizione dell'aumento di valore che la famiglia
consegue per effetto della ristrutturazione solo per le finalità di ordine
sociale sopra individuate.
---------------
Nel caso di specie, queste finalità non possono ritenersi sussistenti,
tenuto conto delle dimensioni del fabbricato, ancorché unifamiliare -stante
il consistente numero di vani (14)- e della rilevanza dell'intervento,
realizzato mediante demolizione e ricostruzione.
Con riguardo a quest’ultimo aspetto va richiamata la pronuncia della Corte
Costituzionale del 26.06.1991 n. 296 avente ad oggetto la previgente
previsione di cui all'art. 9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 che -analogamente all’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001- esonerava dal contributo
"gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per
cento, di edifici unifamiliari".
La Corte Costituzionale con questa sentenza interpretativa di rigetto
ha escluso l’illegittimità della norma, nella parte in cui non
comprendeva, nella previsione di esenzione dal contributo, accanto
all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per
cento, anche quella dell'integrale ricostruzione del fabbricato demolito,
adibito ad abitazione unifamiliare, su area immediatamente adiacente.
In quell’occasione, la Corte ha osservato che, ai fini del riconoscimento
dell’esonero in questione, “il concetto di ristrutturazione mal si presta a
comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla
ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo” ed ha ritenuto quindi
pienamente giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle
ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di
integrale ricostruzione.
---------------
Con provvedimento del 26.02.2015 il Comune di Monasterolo di
Savigliano ha confermato al sig. Mi.Me. la richiesta di
pagamento del costo di costruzione -già oggetto della nota adottata in data
30.04.2014- per un importo di euro 12.047,10, relativo a lavori di
ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione di un
fabbricato destinato ad abitazione, realizzati con DIA n. 1161
dell’08.04.2014.
Il sig. Me. ha impugnato il provvedimento unitamente altri atti indicati
in epigrafe per i seguenti motivi:
I. violazione e falsa applicazione dell’art. 17, c. 3, lett. b), d.P.R. n.
380/2001;
II. violazione dell’art. 3, l. n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di
istruttoria e motivazione.
Il ricorrente ha quindi domandato la restituzione della somma versata.
...
Con il provvedimento impugnato il Comune di Monasterolo di Savigliano ha
ritenuto che l’intervento edilizio realizzato dal sig. Me. sia soggetto
al pagamento del costo di costruzione, escludendo che trovi applicazione
l’art. 17, c. 3, lett. b), d.P.R. n. 380/2001: tale previsione esonera dal
pagamento del contributo di costruzione le sole opere di adeguamento della
piccola proprietà immobiliare, ha natura eccezionale e non trova
applicazione con riferimento alle ristrutturazioni attuate mediante
demolizione e ricostruzione, come quelle di cui alla DIA presentata dal sig.
Me..
Il ricorrente ha contestato questa decisione, deducendo i vizi di violazione
dell’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001, di difetto di motivazione e
istruttoria, poiché non sarebbero state prese in considerazione le
osservazioni che ha presentato nel corso del procedimento.
Ad avviso del ricorrente, la previsione di cui all’art. 17, c. 3, d.P.R. n.
380/2001 -in mancanza di limitazioni poste dal legislatore quanto a
superficie, volume o numero di vani- troverebbe applicazione per tutti gli
edifici destinati all’uso abitativo di un solo nucleo familiare,
indipendentemente dalle dimensioni degli stessi; inoltre gli interventi di
demolizione e ricostruzione di un fabbricato, con la stessa volumetria,
nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente
crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile
accertarne la preesistente consistenza, sono qualificati dall’art. 3, d.P.R.
n. 380/2001 quali ristrutturazioni e rientrerebbero, pertanto, nell’ambito
di applicazione della previsione di cui all’art. 17, c. 3, d.P.R. n.
380/2001.
Né la deliberazione del Consiglio Regionale del 21.06.1994 n. 817-8294,
richiamata dall’amministrazione comunale, troverebbe applicazione nelle
ipotesi ricomprese nell’esenzione prevista dall’art. 17.
Il ricorso è infondato e ciò rende superfluo l'esame delle eccezioni di rito
sollevate dall'amministrazione resistente.
L'onerosità del permesso di costruire costituisce un principio generale del
nostro ordinamento (art. 16, d.P.R. n. 380/2001; Corte Costituzionale,
03/11/2016, n. 231; 01/10/2003, n. 303); le eccezioni al suddetto principio
devono, pertanto, essere oggetto di interpretazione restrittiva, conforme
alla ratio dell'esenzione.
Tutte le ipotesi di riduzione ed esenzione dall'obbligo contributivo
contenute nell'art. 17 d.P.R. n. 380/2001 sono volte al perseguimento di
interessi generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività o
interventi che abbiano un positivo impatto sull'ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione prevista dalla
lettera b –secondo cui "il contributo di costruzione non è dovuto: b) per
gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20%, di edifici unifamiliari"- che deve essere interpretata in
conformità allo scopo di tutela cui è preposta.
Come affermato dalla giurisprudenza maggioritaria che questo Collegio
condivide, la ratio dell'esenzione di cui all'art. 17, c. 3, lett. b), va
rinvenuta nella tutela e salvaguardia delle necessità abitative del nucleo
familiare, perseguite attraverso la gratuità degli interventi funzionali
all'adeguamento dell'immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di "edificio unifamiliare" richiamata dalla norma deve, pertanto,
essere intesa nella sua accezione socio-economica che coincide "con la
piccola proprietà immobiliare" poiché soltanto ove presenti tali caratteri è
meritevole di un trattamento differenziato (TAR Veneto, sez. II,
05/03/2019, n. 289; TAR sez. I, Brescia, 26/04/2018, n. 449; TAR
Toscana, Sez. III, 26.04.2017 n. 616, TAR Campania, Salerno, Sez. I,
22.06.2015 n. 1416, TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 21.11.2014
n. 2180 e TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 02.07.2014 n. 1707).
D'altronde il presupposto del contributo di costruzione, se per la parte
relativa agli oneri di urbanizzazione, è costituito dalla compartecipazione
alle spese che il maggiore carico urbanistico derivante dall'intervento
genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è correlato
all'aumento di valore che consegue all'intervento. Pertanto, si giustifica
la sottrazione all'imposizione dell'aumento di valore che la famiglia
consegue per effetto della ristrutturazione solo per le finalità di ordine
sociale sopra individuate.
Nel caso di specie, queste finalità non possono ritenersi sussistenti,
tenuto conto delle dimensioni del fabbricato, ancorché unifamiliare -stante
il consistente numero di vani (14)- e della rilevanza dell'intervento,
realizzato mediante demolizione e ricostruzione (cfr. TAR Napoli,
Campania sez. VIII, 09/05/2012, n. 2136).
Con riguardo a quest’ultimo aspetto va richiamata la pronuncia della Corte
Costituzionale del 26.06.1991 n. 296 avente ad oggetto la previgente
previsione di cui all'art. 9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 che -analogamente all’art. 17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001- esonerava dal contributo
"gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per
cento, di edifici unifamiliari".
La Corte Costituzionale con questa sentenza interpretativa di rigetto
(richiamata anche dall’amministrazione comunale nella nota del 01.09.2014) ha escluso l’illegittimità della norma, nella parte in cui non
comprendeva, nella previsione di esenzione dal contributo, accanto
all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per
cento, anche quella dell'integrale ricostruzione del fabbricato demolito,
adibito ad abitazione unifamiliare, su area immediatamente adiacente.
In quell’occasione, la Corte ha osservato che, ai fini del riconoscimento
dell’esonero in questione, “il concetto di ristrutturazione mal si presta a
comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla
ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo” ed ha ritenuto quindi
pienamente giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle
ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di
integrale ricostruzione.
Il provvedimento impugnato non viola pertanto la previsione di cui all’art.
17, c. 3, d.P.R. n. 380/2001.
Esso è inoltre supportato da adeguata istruttoria e sufficientemente
motivato, indicando le ragioni poste a fondamento della decisione sia nella
nota del 01.09.2014 sia nel parere legale richiamato per relationem
nel provvedimento del 26.02.2015.
Né può ritenersi necessaria una ulteriore analitica confutazione delle
osservazioni presentate dalla parte privata il 26.01.2015, con cui è
stato solamente ribadito quanto precedentemente affermato con la nota
presentata in Comune il 26.08.2014.
Per le ragioni esposte il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 26.05.2020 n. 322 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Nozione di edificio unifamiliare.
La ratio dell’esenzione di cui all’art.
17, c. 3, lett. b), DPR 390/2001 si rinviene nella tutela e
salvaguardia delle necessità abitative del nucleo familiare,
perseguite attraverso la gratuità degli interventi
funzionali all’adeguamento dell’immobile ove il nucleo
risiede.
La nozione di “edificio unifamiliare” richiamata dalla norma
deve, pertanto, essere intesa nella sua accezione
socio-economica che coincide “con la piccola proprietà
immobiliare” poiché soltanto ove presenti tali caratteri
appare meritevole di un trattamento differenziato.
---------------
4. Con il secondo motivo, il ricorrente contesta che
l’Amministrazione abbia diritto di pretendere il pagamento
del contributo, anche ove l’intervento sia qualificabile
come ristrutturazione edilizia, ostandovi il disposto
dell’art. 17, c. 3, lett. b), DPR 380/2001. La disposizione
prevede, infatti, un’ipotesi di esenzione dal contributo per
gli interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari,
quale sarebbe quello oggetto di causa.
Afferma, inoltre, che l’opzione interpretativa invalsa in
giurisprudenza secondo cui l’esenzione si giustificherebbe
come “aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di
ulteriore spazio per la propria decorosa sistemazione
abitativa” non troverebbe riscontro nel dato normativo e
sarebbe, pertanto, non percorribile, anche alla luce di
quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 231 del 03.11.2016.
4.1 La tesi non persuade.
4.2 Invero la stessa Corte costituzionale ha costantemente
affermato che l’onerosità del permesso di costruire
costituisce un principio generale. Le eccezioni al suddetto
principio devono, pertanto, essere oggetto di
interpretazione restrittiva, conforme alla ratio
dell’esenzione.
4.3 Va osservato che tutte le ipotesi di riduzione ed
esenzione dall’obbligo contributivo contenute nell’art. 17
DPR 380/2001 sono volte al perseguimento di interessi
generali, di natura solidaristica o di incentivo ad attività
o interventi che abbiano un positivo impatto sull’ambiente.
Non può, pertanto, fare eccezione la causa di esenzione
prevista dalla lettera b (“Il contributo di costruzione
non è dovuto: b) per gli interventi di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici
unifamiliari”) che deve essere interpretata in
conformità allo scopo di tutela cui è preposta.
4.4 Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento che
riviene la ratio dell’esenzione di cui all’art. 17,
c. 3, lett. b), nella tutela e salvaguardia delle necessità
abitative del nucleo familiare, perseguite attraverso la
gratuità degli interventi funzionali all’adeguamento
dell’immobile ove il nucleo risiede.
La nozione di “edificio unifamiliare” richiamata
dalla norma deve, pertanto, essere intesa nella sua
accezione socio-economica che coincide “con la piccola
proprietà immobiliare” poiché soltanto ove presenti tali
caratteri appare meritevole di un trattamento differenziato
(TAR sez. I, Brescia, 26/04/2018, n. 449 nel medesimo senso
si cfr. anche TAR Toscana, Sez. III, 26.04.2017 n. 616, TAR
Campania, Salerno, Sez. I, 22.06.2015 n. 1416, TAR
Lombardia, Brescia, Sez. I, 21.11.2014 n. 2180 e TAR
Lombardia, Milano, Sez. IV, 02.07.2014 n. 1707).
4.5 D’altronde il presupposto del contributo di costruzione,
se per la parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è
costituito dalla compartecipazione alle spese che il
maggiore carico urbanistico derivante dall’intervento
genera, per la parte relativa al costo di costruzione, è
correlato all’aumento di valore che consegue all’intervento.
Pertanto, si giustifica la sottrazione all’imposizione
dell’aumento di valore che la famiglia consegue per effetto
della ristrutturazione solo per le finalità di ordine
sociale sopra individuate che, nel caso di specie, tenuto
conto delle dimensioni del fabbricato, del suo pregio
storico-monumentale e della rilevanza dell’intervento, non
ricorrono.
4.6 I principi espressi dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 231/2016, inoltre, sono del tutto inconferenti
rispetto alla fattispecie in esame. La Corte si è
pronunciata sulla legittimità costituzionale di norme di
legge regionale con cui era stata estesa la portata
applicativa delle fattispecie di esenzione previste
dall’art. 17 DPR 380/2001 e si è limitata a valutare se le
suddette disposizioni avessero travalicato i limiti
individuati dalla norma statale di principio e, per tale
via, violato l’art. 117, c. III, Cost. Nulla, invece, ha
affermato sull’interpretazione delle fattispecie di
esenzione.
Inoltre, neppure rileva, ai fini dell’interpretazione della
norma in esame, il riferimento contenuto nella sentenza
all’aumento di carico urbanistico, dovuto alla previsione
normativa costituente il parametro interposto di legittimità
costituzionale, ossia l’art. 17, c. 4, che prevede una
riduzione del contributo per le opere di manutenzione
straordinaria che comportino aumento del carico urbanistico
(all’art. 6, comma 2, lett. a TUE) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 05.03.2019 n. 289 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo concessorio (comprendente
oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è
un’obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge
con il rilascio della concessione edilizia ed è
qualificabile come corrispettivo di diritto pubblico, di
natura non tributaria, posto a carico del costruttore a
titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici
arrecati al nuovo manufatto.
Le disposizioni che regolano la fattispecie si rinvengono
negli artt. 16 e 17 del DPR 380/2001.
L’art. 16, (rubricato “Contributo per il rilascio del
permesso di costruire”), dispone al comma 1 che “Salvo
quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del
permesso di costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza degli oneri di
urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le
modalità indicate nel presente articolo e fatte salve le
disposizioni concernenti gli interventi di trasformazione
urbana complessi di cui al comma 2-bis”.
Ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. b), il contributo di
costruzione non è dovuto “per gli interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20%, di edifici unifamiliari”. Nel caso di specie, è
pacifica la natura dell’intervento, consistente nella
ristrutturazione con incremento realizzato nel rispetto del
limite del 20% (cfr. memoria di costituzione del Comune,
pag. 5).
La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell’art. 9,
comma 1, della L. 28/01/1977 n. 10, “in relazione al quale
la giurisprudenza aveva avuto modo di chiarire che il
carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione
abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche
dell’edificio, in ragione del volume, della superficie, del
numero e della funzione e caratteristica dei vani, in
rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da
parte di un unico nucleo familiare”.
E’ stato tuttavia nello specifico osservato che l'esenzione
dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la
funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari,
presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi
non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di
migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici
medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione.
La disposizione è diretta dunque a promuovere le opere di
adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del
singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività
agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità
strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne
elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
---------------
In linea generale, la partecipazione del privato al costo
delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando
l’intervento determini un incremento del peso insediativo
con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché
l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a
sopportare il carico socio economico che la realizzazione
comporta sotto il profilo urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza ha
statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per
il caso di interventi di ristrutturazione di edifici
unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%,
costituisce oggetto di una previsione di carattere
eccezionale (applicabile in un ambito di stretta
interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal
legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta
sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di
salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli
interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle
necessità abitative del nucleo familiare: l’edificio
unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla
norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà
immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è
meritevole di un trattamento differenziato.
Il Collegio ritiene di aderire a tale orientamento. Anche
secondo questo TAR, l’esenzione in esame si giustifica come
aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore
spazio per la propria decorosa sistemazione abitativa.
La giurisprudenza recente ha parimenti sostenuto che “la
ratio che ispira la specifica esenzione ha un fondamento
sociale, con l’effetto che la nozione di edificio
unifamiliare non deve avere una accezione strutturale ma
socio-economica, coincidendo con la piccola proprietà
immobiliare, meritevole per gli interventi di
ristrutturazione dell’abitazione di un trattamento
differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie …” (e
in quel caso si è stabilito che la suddetta esenzione non
può trovare applicazione in una fattispecie relativa a una
villa di 19 vani con una superficie di 638,41 mq.).
Accedendo a tale approccio interpretativo, anche il TAR
Campania Salerno, sez. I – 22/06/2015 n. 1416 ha desunto
l’estraneità della fattispecie affrontata (si controverteva
dell’intervento su un fabbricato di 13 vani, avente
volumetria complessiva di mc. 1.338,78, distribuiti su tre
livelli) all’alveo applicativo della norma invocata,
“proprio in considerazione delle rilevate caratteristiche
costruttive e dimensionali dell’edificio ancorché
unifamiliare”.
---------------
La Società ricorrente, che ha ottenuto il titolo abilitativo
per i lavori di ristrutturazione e ampliamento di un
edificio unifamiliare, censura la pretesa del Comune di
applicare il contributo sul costo di costruzione.
La controversia ha quindi ad oggetto un giudizio di
accertamento negativo in ordine all’obbligazione pecuniaria
relativa al pagamento del contributo di costruzione,
nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, rispetto alla quale gli atti di liquidazione
sono privi di contenuto ed effetti provvedimentali
(Consiglio di Stato, sez. IV – 01/02/2017 n. 425).
Il gravame è infondato e deve essere rigettato.
0. Il Collegio richiama anzitutto i principi
giurisprudenziali elaborati nella materia controversa, per
cui il contributo concessorio (comprendente oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione) è un’obbligazione
giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio
della concessione edilizia (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI
– 07/02/2017 n. 728) ed è qualificabile come corrispettivo
di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a
carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi
delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei
benefici arrecati al nuovo manufatto (Consiglio di Stato,
sez. IV – 29/10/2015 n. 4950).
1. Le disposizioni che regolano la fattispecie si rinvengono
negli artt. 16 e 17 del DPR 380/2001.
L’art. 16, (rubricato “Contributo per il rilascio del
permesso di costruire”), dispone al comma 1 che “Salvo
quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del
permesso di costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza degli oneri di
urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le
modalità indicate nel presente articolo e fatte salve le
disposizioni concernenti gli interventi di trasformazione
urbana complessi di cui al comma 2-bis”.
Ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. b), il contributo di
costruzione non è dovuto “per gli interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20%, di edifici unifamiliari”. Nel caso di specie, è
pacifica la natura dell’intervento, consistente nella
ristrutturazione con incremento realizzato nel rispetto del
limite del 20% (cfr. memoria di costituzione del Comune,
pag. 5).
2. La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell’art.
9, comma 1, della L. 28/01/1977 n. 10, “in relazione al
quale la giurisprudenza (cfr. TAR 07.09.1999 n. 770; TAR
Veneto 30.3.1996 n. 480) aveva avuto modo di chiarire che il
carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione
abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche
dell’edificio, in ragione del volume, della superficie, del
numero e della funzione e caratteristica dei vani, in
rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da
parte di un unico nucleo familiare” (cfr. TAR Brescia,
sez. I – 13/05/2011 n. 713).
3. E’ stato tuttavia nello specifico osservato (cfr.
sentenza Sezione 10/08/2012 n. 1446, che risulta appellata)
che l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si
discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi
unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi
sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola
funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli
edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione
(Consiglio di Stato, sez. IV – 11/10/2006 n. 6065).
La disposizione è diretta dunque a promuovere le opere di
adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del
singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività
agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità
strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne
elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
Sostiene la difesa comunale che la ricorrente ha
ristrutturato un edificio dismesso che ospitava più
famiglie, per favorire l’esercizio di un’attività di
ristorazione (e quindi a fini di lucro), e che solo il
particolare momento congiunturale non ha consentito di
individuare una figura professionale per la gestione
dell’attività, cosicché la proprietà ha scelto di
riconvertire l’immobile a residenza.
Detto ordine di idee merita di essere condiviso.
4. Osserva il Collegio che, in linea generale, la
partecipazione del privato al costo delle opere di
urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini
un incremento del peso insediativo con un’oggettiva
rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso
di costruire è funzionale a sopportare il carico socio
economico che la realizzazione comporta sotto il profilo
urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza (cfr.
TAR Campania Napoli, sez. VIII – 09/05/2012 n. 2136) ha
statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per
il caso di interventi di ristrutturazione di edifici
unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%,
costituisce oggetto di una previsione di carattere
eccezionale (applicabile in un ambito di stretta
interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal
legislatore): la ratio è di natura sociale ed è
diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di
tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare
per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile
alle necessità abitative del nucleo familiare: l’edificio
unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla
norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà
immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è
meritevole di un trattamento differenziato (TAR Lombardia
Milano, sez. IV – 02/07/2014 n. 1707).
5. Il Collegio ritiene di aderire a tale orientamento. Anche
secondo questo TAR (cfr. sez. I – 21/11/2014 n. 2180),
l’esenzione in esame si giustifica come aiuto alla famiglia
che, banalmente, necessiti di ulteriore spazio per la
propria decorosa sistemazione abitativa.
La giurisprudenza recente (cfr. TAR Toscana, sez. III –
26/04/2017 n. 616), ha parimenti sostenuto che “la ratio
che ispira la specifica esenzione ha un fondamento sociale,
con l’effetto che la nozione di edificio unifamiliare non
deve avere una accezione strutturale ma socio-economica,
coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole
per gli interventi di ristrutturazione dell’abitazione di un
trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie
edilizie …” (e in quel caso si è stabilito che la
suddetta esenzione non può trovare applicazione in una
fattispecie relativa a una villa di 19 vani con una
superficie di 638,41 mq.).
Accedendo a tale approccio interpretativo, anche il TAR
Campania Salerno, sez. I – 22/06/2015 n. 1416 ha desunto
l’estraneità della fattispecie affrontata (si controverteva
dell’intervento su un fabbricato di 13 vani, avente
volumetria complessiva di mc. 1.338,78, distribuiti su tre
livelli) all’alveo applicativo della norma invocata, “proprio
in considerazione delle rilevate caratteristiche costruttive
e dimensionali dell’edificio ancorché unifamiliare”.
6. Alla luce delle suindicate premesse, nella fattispecie
all’esame del Collegio non risultano sussistere i
presupposti delineati dalla norma.
Come ha osservato l’amministrazione (cfr. memoria finale,
pag. 7), senza repliche sul punto della parte ricorrente,
prima dell’ampliamento l’edificio inserito nella corte
agricola era disposto su tre piani, con un piano terra
avente cinque ampie stanze, con bagno e locale sottoscala
(per una superficie complessiva di 181,30 m²), un primo
piano dotato di quattro stanze grandi e due bagni (per
178,55 m²), e un piano secondo mansardato con tre ampie
stanze, per una superficie di 128,75 m².
Con la ristrutturazione, al piano terra sono state
realizzate –in ampliamento– una cucina per 78 m², una
dispensa con cella frigorifera, una cantina e la zona
raccolta e lavaggio del pentolame; un locale ricevimento,
due sale ristorante estese, un locale filtro, due bagni con
antibagno, due spogliatoi con doccia e servizio igienico
oltre a vani tecnici.
Al primo piano, uno spazio conversazione con bar e
guardaroba, tre ampie sale ristorante, un locale filtro, due
percorsi sporco/pulito, servizi clienti con accesso a due
servizi igienici, un vano scala, una terrazza abitabile, una
piattaforma elevatrice; al piano secondo, cinque vani
tecnici, un corridoio, un vano scala, una piattaforma
elevatrice, tre grandi stanze ciascuna con bagno, un vano di
servizio.
Ha puntualizzato la difesa comunale che, con il mutamento di
destinazione d’uso da ristorante ad abitazione, le
planimetrie non sono state incise, salvo il diverso uso dei
locali (dalle sale ristorante alle stanze o soggiorni, dagli
spogliatoi alle lavanderie, dagli spazi per conversazione o
ricevimento ai corridoi, di ben 32 e 39 m²).
7. Lo scopo di lucro perseguito con la ristrutturazione
(connesso alla previsione di numerosi ambienti destinati
alla ristorazione) si rivela concreto e non meramente
potenziale, avendo la proprietà attivamente cercato un
acquirente (si veda l’articolo pubblicato sul giornale
locale il 16/12/2016 –allegato n. 12 del Comune– che dà
conto della volontà di affidare la gestione della villa come
“ristorante o come fastosa residenza per feste,
ricevimenti, convegni, o servizi di catering”).
Dunque, l’immobile è stato posto in vendita per un utilizzo
commerciale successivamente alla conversione (senza opere)
della destinazione in residenziale. In aggiunta a tale
riflessione, si osserva che le ingenti dimensioni
(classificazione A/7 con oltre 18 vani) impediscono di
qualificare il fabbricato come semplice abitazione,
trattandosi di un’unità molto ampia con i tratti
dell’immobile di lusso, e dunque di una realtà strutturale
incompatibile con le caratteristiche delineate dalla
giurisprudenza per il riconoscimento del beneficio
dell’esenzione (si ribadisce: la decorosa sistemazione del
nucleo familiare).
8. In conclusione, la pretesa avanzata è infondata e deve
essere respinta (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 26.04.2018 n. 449 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA: È
vero che l’art. 17, comma 3, lett. b) del DPR n. 380 del
2001 prevede che il contributo di costruzione non è dovuto
“per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in
misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
Tuttavia la giurisprudenza ha chiarito che la ratio che
ispira la specifica esenzione ha un fondamento sociale, con
l’effetto che la nozione di edificio unifamiliare non deve
avere una accezione strutturale ma socio-economica,
coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole
per gli interventi di ristrutturazione dell’abitazione di un
trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie
edilizie.
---------------
11 – Con il secondo mezzo parte ricorrente evidenzia
che in relazione alle pratiche edilizie nn. 166/2012 e
259/2013 non sono dovuti i contributi connessi al costo di
costruzione, avendo le dette pratiche interessato l’edificio
A con interventi di ristrutturazione su edificio
unifamiliare.
La censura è infondata.
È vero che l’art. 17, comma 3, lett. b), del DPR n. 380 del
2001 prevede che il contributo di costruzione non è dovuto “per
gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in
misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari” e
che analoga previsione è contenuta nell’art. 124 della legge
regionale n. 1 del 2005; tuttavia la giurisprudenza ha
chiarito che la ratio che ispira la specifica
esenzione ha un fondamento sociale, con l’effetto che la
nozione di edificio unifamiliare non deve avere una
accezione strutturale ma socio-economica, coincidendo con la
piccola proprietà immobiliare, meritevole per gli interventi
di ristrutturazione dell’abitazione di un trattamento
differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie (TAR
Milano, sez. 2^, 10.10.1996, n. 1480); ne consegue che la
suddetta esenzione non può trovare applicazione nella
presente fattispecie, relativa a villa di 19 vani e
superficie di mq 638,41 (cfr. nota comunale depositata il
31.01.2017) (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 26.04.2017 n. 616 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
I ricorrenti hanno effettuato una
ristrutturazione edilizia “leggera” senza demolire e
ricostruire l’edificio, senza aumentare la superficie, il
volume ed il numero di unità immobiliari, senza mutare la
destinazione d’uso. E’ stato realizzato un nuovo bagno al
piano primo.
Siccome costruito prima del 1975, l’edificio era già
abitabile su entrambi i piani, sebbene i locali fossero,
prima della ristrutturazione, di altezza interna pari a 2,55
mt. (e perciò inferiore all’altezza minima di 2,70 mt.
prescritta dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975).
L’intervento di ristrutturazione ha consentito di ottenere,
per tutti i piani, un’altezza di 2,70 mt. mediante la
demolizione e ricostruzione delle solette interne. Ma ciò
non ha determinato un incremento del carico urbanistico,
come erroneamente ritenuto dal Comune.
Di talché, il suddetto intervento edilizio deve intendersi
gratuito.
Invero, il contributo di costruzione costituisce un
corrispettivo di diritto pubblico previsto a titolo di
partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione,
ovvero un contributo speciale che ha la propria causa
giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione
pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione
dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei
detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
In caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli
oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui
l’intervento abbia determinato un aumento del carico
urbanistico.
Nella specie, per il combinato disposto dell’art. 22, terzo
comma – lett. a) e quinto comma, e dell’art. 10, primo comma
– lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001, l’intervento non è
soggetto a contributo di costruzione.
Peraltro, la gratuità dell’intervento discende (anche) dalla
previsione dell’art. 17, terzo comma – lett. d), del d.P.R.
n. 380 del 2001, relativo alle ristrutturazioni di edifici
unifamiliari.
---------------
... per l'accertamento
- della gratuità dell’intervento di ristrutturazione edilizia
oggetto della d.i.a. del 26.11.2010 n. 2033, relativa
all’edificio in via ... n. 39 – Cambiano;
- per l’annullamento del provvedimento prot. n. 791/956 in data
26.01.2011 a firma del responsabile del Servizio Edilizia
Privata del Comune di Cambiano, che ha determinato il
contributo in complessivi euro 9.749,35;
- e per l’annullamento, ove occorra, delle delibere del Consiglio
comunale di Cambiano n. 100 e n. 101 del 1977 e successivi
aggiornamenti, nonché della deliberazione del Consiglio
regionale n. 179/CR-4170 in data 26.05.1977;
...
I ricorrenti hanno presentato denuncia di inizio attività,
in data 26.11.2010, per la ristrutturazione del fabbricato
unifamiliare residenziale di loro proprietà in via ... n.
39.
Il progetto ha previsto il rifacimento del solaio del primo
piano e del balcone, modifiche alla tramezzatura interna, il
rifacimento degli intonaci e dei pavimenti, la modifica
delle aperture esterne. Non sono stati realizzati incrementi
di volume e superficie utile, né è aumentato il numero di
unità immobiliari.
Con l’atto impugnato, il Comune di Cambiano ha determinato
il contributo di costruzione, ai sensi dell’art. 16 del
d.P.R. n. 380 del 2001, in euro 9.749,35.
I ricorrenti rivendicano la gratuità dell’intervento e
deducono, in tal senso, la violazione degli artt. 11, 16, 17
e 22 del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché l’eccesso di potere
sotto molteplici profili.
...
Il ricorso è fondato.
Con la d.i.a. n. 2033 del 2010, i ricorrenti hanno
effettuato una ristrutturazione edilizia “leggera”
senza demolire e ricostruire l’edificio, senza aumentare la
superficie, il volume ed il numero di unità immobiliari,
senza mutare la destinazione d’uso.
E’ stato realizzato un nuovo bagno al piano primo.
Siccome costruito prima del 1975, l’edificio era già
abitabile su entrambi i piani, sebbene i locali fossero,
prima della ristrutturazione, di altezza interna pari a 2,55
mt. (e perciò inferiore all’altezza minima di 2,70 mt.
prescritta dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975).
L’intervento di ristrutturazione ha consentito di ottenere,
per tutti i piani, un’altezza di 2,70 mt. mediante la
demolizione e ricostruzione delle solette interne.
Ma ciò non ha determinato un incremento del carico
urbanistico, come erroneamente ritenuto dal Comune.
Come è noto, il contributo di costruzione costituisce un
corrispettivo di diritto pubblico previsto a titolo di
partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione,
ovvero un contributo speciale che ha la propria causa
giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione
pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione
dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei
detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
In caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli
oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui
l’intervento abbia determinato un aumento del carico
urbanistico (cfr., tra molte, TAR Piemonte, sez. I,
13.12.2013 n. 1346).
Nella specie, la d.i.a. presentata dai ricorrenti non era
alternativa al permesso di costruire.
Per il combinato disposto dell’art. 22, terzo comma – lett.
a) e quinto comma, e dell’art. 10, primo comma – lett. c),
del d.P.R. n. 380 del 2001, l’intervento non è soggetto a
contributo di costruzione.
Peraltro, come correttamente affermato dai ricorrenti, la
gratuità dell’intervento discende (anche) dalla previsione
dell’art. 17, terzo comma – lett. d), del d.P.R. n. 380 del
2001, relativo alle ristrutturazioni di edifici
unifamiliari.
In conclusione, ed assorbite le ulteriori censure riferite
al regolamento comunale sugli oneri di urbanizzazione ed
alla delibera regionale n. 179/CR-4170 del 1977, il ricorso
è fondato a va accolto (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 21.04.2017 n. 532 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Non può reputarsi "edificio unifamiliare" una casa
di abitazione avente una volumetria complessiva di
mc. 1.338,78, distribuiti su tre livelli, in
categoria A/7, 13 vani.
L’art. 17, comma 3, lett. b),
del d.P.R. n. 380/2001) prevede l’esenzione dal
contributo di costruzione “per gli interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non
superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
L'esenzione in esame si giustifica come aiuto alla
famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore
spazio per la propria decorosa sistemazione
abitativa.
Accedendo alla doverosa interpretazione della norma
secundum rationem legis occorre inferire
l’estraneità della fattispecie in esame all’alveo
applicativo della norma invocata, proprio in
considerazione delle rilevate caratteristiche
costruttive e dimensionali dell’edificio ancorché
unifamiliare.
... per
l'annullamento:
a - del provvedimento di cui alla nota prot. n.
34045 del 04/03/2015, successivamente conosciuto,
con il quale il Direttore del Settore Trasformazioni
Edilizie - Sportello Unico dell'Edilizia - Ufficio
Permessi di Costruire del comune di Salerno ha
disposto che "per il rilascio del titolo edilizio
di autorizzazione dell'intervento di ampliamento
volumetrico, richiesto ai sensi del Piano Casa… è
dovuto il contributo di costruzione di cui all'art.
16 D.P.R. 380/2001…" e, per l’effetto, ha negato
la richiesta di esenzione invocata dal ricorrente ai
sensi dell’art. 17 – comma 3, lett. b), del D.P.R.
n. 380/2001;
b – di tutti gli atti presupposti, collegati,
connessi e consequenziali ivi compresi, ove e per
quanto occorra ed ove lesivi, il parere dirigenziale
n. 246/2012 e le delibere con le quali il Comune di
Salerno ha determinato i criteri per il pagamento
del contributo di costruzione
nonché per la declaratoria della non debenza della
somma richiesta dalla P.A. a titolo di contributo di
costruzione ricorrendo l’ipotesi di esenzione di cui
all’art. 17 – comma 3 – lett. b), del D.P.R. n.
380/2001.
...
Con ricorso notificato in data 11.05.2015 e
ritualmente depositato il 20 maggio successivo, il
sig. V.S. impugna il provvedimento, meglio distinto
in epigrafe, con il quale il Comune di Salerno ha
disposto che è dovuto il pagamento del contributo di
costruzione di cui all’art. 16 del D.P.R. n.
380/2001 ai fini del rilascio del titolo edilizio di
autorizzazione all’ampliamento volumetrico ai sensi
del Piano Casa, così negando la richiesta di
esenzione invocata dal ricorrente in applicazione
dell’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n.
380/2001.
Avverso tale atto, il ricorrente deduce, sotto
distinti e concorrenti profili, i vizi della
violazione di legge e dell’eccesso di potere, in
quanto, come da orientamento di questa Tribunale,
ricorrerebbero i presupposti per l’invocata
esenzione quando, come nel caso di specie, si tratta
di ampliamento non superiore al 20% di un edificio
unifamiliare. Sarebbe stato altresì omesso il
preavviso di diniego.
Si costituisce il Comune di Salerno al fine di
resistere.
Alla camera di consiglio del 04.06.2015, rese edotte
le parti, il ricorso è trattenuto in decisione
semplificata, sussistendone i presupposti di legge.
Il ricorso è infondato.
La questione agitata in ricorso investe l’ambito
applicativo della norma invocata dall’istante
(dell’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. n.
380/2001), laddove prevede l’esenzione dal
contributo di costruzione “per gli interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non
superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
Il diniego opposto dall’Ente civico contiene la
seguente testuale motivazione: “la partecipazione
del privato al costo delle opere di urbanizzazione è
dovuta allorquando l’intervento determini un
incremento del peso insediativo con un’oggettiva
rivalutazione dell’immobile, sicché l’onerosità del
permesso di costruire è funzionale a sopportare il
carico socio-economico che la realizzazione comporta
sotto il profilo urbanistico; la ratio che ispira la
specifica esenzione, di cui all’art. 17 del D.P.R.
380/2001 ss.mm.ii., è di derivazione sociale e
pertanto la nozione di edificio unifamiliare assunta
dalla norma, non è nella sua accezione strutturale,
ma socio-economica e coincide con la piccola
proprietà immobiliare meritevole di un trattamento
differenziato rispetto alle altre tipologia edilizie”.
Si controverte pertanto della corretta
interpretazione della norma su citata, dovendosi
decidere se l’intervento progettato dal ricorrente
rientri o meno nel suo alveo applicativo, avuto
riguardo alla particolare consistenza del fabbricato
di sua proprietà, avendo una volumetria complessiva
attuale di mc. 1.338,78, distribuiti su tre livelli,
in categoria A/7, 13 vani.
A tal riguardo soccorrono i principi sanciti da
recente giurisprudenza (TAR Lombardia-Brescia Sez.
I, Sent., 21/11/2014, n. 1280), secondo cui “il
contributo di cui si ragiona è un tributo
propriamente detto perché ha natura di prestazione
patrimoniale imposta per ragioni di pubblica utilità
- così fra le molte C.d.S. sez. V 13.03.2014 n. 2438
e, nella giurisprudenza della Sezione, sez. I
03.05.2014 n. 464; di conseguenza, le ipotesi in cui
esso non è dovuto hanno natura di esenzioni
tributarie, di carattere eccezionale, e quindi
insuscettibile di interpretazioni estensive ed
analogiche, in quanto eccezioni al principio
costituzionale di capacità contributiva, come
ritenuto da costante giurisprudenza della Corte
costituzionale, da ultimo 20.04.2012 n. 103, e nella
fattispecie in esame in modo specifico da TAR
Campania-Napoli sez. VIII 09.05.2012 n. 2136.
4. Ciò posto, si deve osservare che, sempre secondo
la giurisprudenza -la decisione del TAR Napoli
citata, nonché TAR Campania-Salerno, sez. I,
08.01.2013 n. 25 e TAR Marche 10.05.2012 n. 310-
l'esenzione in esame si giustifica come aiuto alla
famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore
spazio per la propria decorosa sistemazione
abitativa…”.
Accedendo alla doverosa interpretazione della norma
secundum rationem legis occorre inferire
l’estraneità della fattispecie in esame all’alveo
applicativo della norma invocata, proprio in
considerazione delle rilevate caratteristiche
costruttive e dimensionali dell’edificio ancorché
unifamiliare
(TAR
Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 22.06.2015 n. 1416
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Si controverte della corretta interpretazione
dell’art. 17, comma 3, lettera b), T.U. 380/2001, secondo il
quale, alla lettera, “Il contributo di costruzione non é
dovuto:… b) per gli interventi di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici
unifamiliari…”.
Si deve decidere allora se la norma si applichi al solo caso
in cui l’intervento riguardi un edificio già in origine
unifamiliare, ovvero anche al caso, che ricorre nella
specie, come pacifico, in cui si accorpino più unità
abitative in un edificio originariamente plurifamiliare e si
crei un edificio unifamiliare come risultato finale.
Secondo giurisprudenza, l’esenzione in esame si giustifica
come aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di
ulteriore spazio per la propria decorosa sistemazione
abitativa: è quindi del tutto conforme a questa logica
applicarla al solo caso di ampliamento dell’unità
unifamiliare esistente, e non a quello per cui è causa, di
accorpamento in una di più unità preesistenti.
Si controverte della corretta interpretazione dell’art. 17,
comma 3, lettera b), T.U. 380/2001, secondo il quale, alla
lettera, “Il contributo di costruzione non é dovuto:… b)
per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in
misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari…”.
Si deve decidere allora se la norma si applichi al solo caso
in cui l’intervento riguardi un edificio già in origine
unifamiliare, ovvero anche al caso, che ricorre nella
specie, come pacifico, in cui si accorpino più unità
abitative in un edificio originariamente plurifamiliare e si
crei un edificio unifamiliare come risultato finale.
In proposito, si devono richiamare i principi già condivisi
da questo Tribunale nella sentenza sez. I 23.10.2014 n.
1111: il contributo di cui si ragiona è un tributo
propriamente detto perché ha natura di prestazione
patrimoniale imposta per ragioni di pubblica utilità – così
fra le molte C.d.S. sez. V 13.03.2014 n. 2438 e, nella
giurisprudenza della Sezione, sez. I 03.05.2014 n. 464; di
conseguenza, le ipotesi in cui esso non è dovuto hanno
natura di esenzioni tributarie, di carattere eccezionale, e
quindi insuscettibile di interpretazioni estensive ed
analogiche, in quanto eccezioni al principio costituzionale
di capacità contributiva, come ritenuto da costante
giurisprudenza della Corte costituzionale, da ultimo
20.04.2012 n. 103, e nella fattispecie in esame in modo
specifico da TAR Campania Napoli sez. VIII 09.05.2012 n.
2136.
Ciò posto, si deve osservare che, sempre secondo la
giurisprudenza –la decisione del TAR Napoli citata, nonché
TAR Campania Salerno sez. I 08.01.2013 n. 25 e TAR Marche
10.05.2012 n. 310- l’esenzione in esame si giustifica come
aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore
spazio per la propria decorosa sistemazione abitativa: è
quindi del tutto conforme a questa logica applicarla al solo
caso di ampliamento dell’unità unifamiliare esistente, e non
a quello per cui è causa, di accorpamento in una di più
unità preesistenti (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 21.11.2014 n. 1280 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Venendo
al concetto di edificio unifamiliare che, ai
sensi dell’art. 9 della L. 10/1977 è esente
dal pagamento del contributo concessorio tra
l’altro “per gli interventi di restauro, di
risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20 per cento” occorre
rilevare che, secondo la giurisprudenza, la
disposizione è diretta a promuovere le opere
di adeguamento dei manufatti alle necessità
abitative del singolo nucleo familiare,
circoscrivendone l’operatività agli
interventi che non mutino sostanzialmente
l’entità strutturale e la dimensione
spaziale dell’immobile e non ne elevino (in
modo apprezzabile) il valore economico.
---------------
Per quanto riguarda l’individuazione dei
caratteri dell’edificio unifamiliare occorre
rilevare che, secondo
un primo un orientamento “per edifici
"unifamiliari" in mancanza di ulteriori
specificazioni, sono da intendere quelli
strutturalmente destinati all'uso
"abitativo" di un "solo" nucleo familiare,
indipendentemente dalle dimensioni
dell’edificio stesso”; altra
giurisprudenza ha affermato che, ai fini
dell’applicazione dell’art. 9, lett. d)
cit., è legittimo individuare e
circoscrivere il contenuto della nozione di
“edifici unifamiliari”, ricorrendo a criteri
estratti da altri complessi normativi, con
l’unico limite di non stravolgere la portata
della disciplina da applicare.
In merito la giurisprudenza ha evidenziato
che le fattispecie di esonero dal pagamento
del contributo concessorio, inclusa quella
ex art. 9, lett. d), cit., sono di stretta
interpretazione e che la ratio che ispira
l’esenzione di cui alla lettera d), art. 9
l. 10/1977 è di derivazione sociale in
quanto l’edificio unifamiliare
nell’accezione socio economica assunta dalla
norma coincide con la piccola proprietà
immobiliare e soltanto se presenti tali
caratteri tale è meritevole di un
trattamento differenziato per le opere di
adeguamento alle necessità abitative del
nucleo familiare.
Insomma, la disposizione contenuta nell’art.
9 cit. è norma eccezionale, la cui portata
in applicazione del principio costituzionale
di ragionevolezza deve essere circoscritta
entro parametri idonei a garantire le
finalità della previsione di favore.
---------------
Deve concludersi che non solo è legittimo
individuare e circoscrivere il contenuto
della nozione di “edifici unifamiliari”, ma
deve anche ritenersi non manifestamente
illogico o irrazionale il criterio fatto
proprio dal Comune, il quale, al punto A.5
della deliberazione C.C. n. 225/1978 ha
definito "edificio unifamiliare", non
soggetto al pagamento del contributo
concessorio, la "costruzione residenziale
per uso proprio consistente in una unità
abitativa abitata con continuità", e "unità
abitativa" "un alloggio che abbia ... una
superficie utile non superiore a 110 mq'',
con l’ulteriore previsione che "le
limitazioni di cui ai bagni ed alla
superficie utile possono essere superate"
nel "caso in cui venga dimostrato che
nell'alloggio la superficie utile per
abitante non è superiore a 20 mq. ...".
Passando all’esame del motivo del ricorso
principale relativo alla debenza o meno dei
contributi concessori, ripreso anche nel
ricorso per motivi aggiunti occorre
evidenziare, in via di fatto, che l’unità
immobiliare in questione è composta da tre
piani e che con il presente intervento il
ricorrente intendeva rendere abitabile e
dotare di diretto accesso al giardino il
piano seminterrato.
Venendo ora al concetto di edificio
unifamiliare che, ai sensi dell’art. 9 della
L. 10/1977 è esente dal pagamento del
contributo concessorio tra l’altro “per
gli interventi di restauro, di risanamento
conservativo, di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20
per cento” occorre rilevare che, secondo
la giurisprudenza (TAR Marche, sentenza
31/01/2007 n. 8), la disposizione è diretta
a promuovere le opere di adeguamento dei
manufatti alle necessità abitative del
singolo nucleo familiare, circoscrivendone
l’operatività agli interventi che non mutino
sostanzialmente l’entità strutturale e la
dimensione spaziale dell’immobile e non ne
elevino (in modo apprezzabile) il valore
economico.
Per quanto riguarda l’individuazione dei
caratteri dell’edificio unifamiliare occorre
rilevare che, secondo un primo un
orientamento “per edifici
"unifamiliari" in mancanza di ulteriori
specificazioni, sono da intendere quelli
strutturalmente destinati all'uso
"abitativo" di un "solo" nucleo familiare,
indipendentemente dalle dimensioni
dell’edificio stesso” (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza
10.08.2012 n. 1446); altra giurisprudenza
ha affermato che, ai fini dell’applicazione
dell’art. 9, lett. d) cit., è legittimo
individuare e circoscrivere il contenuto
della nozione di “edifici unifamiliari”,
ricorrendo a criteri estratti da altri
complessi normativi, con l’unico limite di
non stravolgere la portata della disciplina
da applicare (così C.d.S., Sez. II, parere
n. 1402 del 24.10.1984; TAR Lombardia-Milano,
Sez. II, sentenza 26.04.2006 n. 1062).
In merito la giurisprudenza ha evidenziato
che le fattispecie di esonero dal pagamento
del contributo concessorio, inclusa quella
ex art. 9, lett. d), cit., sono di stretta
interpretazione e che la ratio che
ispira l’esenzione di cui alla lettera d),
art. 9 l. 10/1977 è di derivazione sociale
in quanto l’edificio unifamiliare
nell’accezione socio economica assunta dalla
norma coincide con la piccola proprietà
immobiliare e soltanto se presenti tali
caratteri tale è meritevole di un
trattamento differenziato per le opere di
adeguamento alle necessità abitative del
nucleo familiare (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 13.03.2008 n. 604).
Insomma, la disposizione contenuta nell’art.
9 cit. è norma eccezionale, la cui portata
in applicazione del principio costituzionale
di ragionevolezza deve essere circoscritta
entro parametri idonei a garantire le
finalità della previsione di favore.
Alla luce di tali considerazioni deve
concludersi che non solo è legittimo
individuare e circoscrivere il contenuto
della nozione di “edifici unifamiliari”,
ma deve anche ritenersi non manifestamente
illogico o irrazionale il criterio fatto
proprio dal Comune di Nerviano, il quale, al
punto A.5 della deliberazione C.C. n.
225/1978 ha definito "edificio
unifamiliare", non soggetto al pagamento
del contributo concessorio, la "costruzione
residenziale per uso proprio consistente in
una unità abitativa abitata con continuità",
e "unità abitativa" "un alloggio
che abbia ... una superficie utile non
superiore a 110 mq'', con l’ulteriore
previsione che "le limitazioni di cui ai
bagni ed alla superficie utile possono
essere superate" nel "caso in cui
venga dimostrato che nell'alloggio la
superficie utile per abitante non è
superiore a 20 mq. ...".
Venendo al caso in decisione, non avendo il
ricorrente provato né che l’acquisizione
dell’abitabilità del piano seminterrato
della casa, che si aggiunge agli altri due,
fosse strumentale alle esigenze del suo
nucleo familiare, né l’irrazionalità del
criterio adottato dal Comune, deve
concludersi per l’onerosità della d.i.a.
suddetta, in quanto relativa ad immobile
avente superficie notevolmente superiore a
quella massima consentita per l’esenzione
dal contributo (TAR Lombardia-MIlano, Sez.
IV,
sentenza 02.07.2014 n. 1707 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: E’
vero che l’art. 17 d.P.R. cit. prescrive, al comma
3, che “il contributo di costruzione non è dovuto:
(…) b) per gli interventi di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20%, di
edifici unifamiliari”.
La giurisprudenza tuttavia, nell’interpretare la
suddetta disposizione, ha condivisibilmente
evidenziato che, nell’ipotesi di immobile destinato
allo svolgimento di attività produttive, “non
ricorre affatto la ratio della norma che dispone
l'esonero dal relativo pagamento; beneficio che è
rivolto solo a quelle situazioni in cui l'intervento
edilizio non è destinato a fini di lucro, ma
esclusivamente a migliorare la funzionalità e
l'usabilità dell'immobile ad esclusivo vantaggio
della famiglia che ci vive e delle relative esigenze
abitative”.
---------------
Per quanto concerne in particolare gli oneri di
urbanizzazione, che vengono direttamente in rilievo
nella presente controversia, la posizione
interpretativa maggiormente seguita in
giurisprudenza è quella secondo cui la relativa
quota costituirebbe un corrispettivo di diritto
pubblico, di natura non tributaria, posto a carico
del costruttore a titolo di partecipazione ai costi
delle opere di urbanizzazione in proporzione ai
benefici che la nuova costruzione ne ritrae,
derivandone che il fatto da cui in concreto nasce
l'obbligo di corrispondere gli "oneri" anzidetti è
l'aumento del carico urbanistico.
Ebbene, è vero che l'incremento del peso insediativo
può conseguire anche ad interventi di
ristrutturazione senza incrementi di volumi e di
superficie e senza cambiamenti della originaria
destinazione d’uso: è compito dell’Amministrazione
tuttavia, quale presupposto per l’esigibilità del
contributo, verificare attentamente l’incidenza
incrementativa delle suddette opere sul carico
urbanistico preesistente e dare congrua
giustificazione delle conclusioni raggiunte.
Deve
invece rilevarsi che non è meritevole di
accoglimento la deduzione attorea, incentrata sulla
gratuità assoluta ed a priori del suddetto
intervento edilizio.
L’art. 22 d.P.R. n. 380/2001 infatti, dopo aver
previsto che, “in alternativa al permesso di
costruire, possono essere realizzati mediante
denuncia di inizio attività: a) gli interventi di
ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1,
lettera c)” (cui è riconducibile quello oggetto
di controversia), ha aggiunto (comma 5) che “gli
interventi di cui al comma 3 sono soggetti al
contributo di costruzione ai sensi dell'articolo 16”
(il quale stabilisce, a sua volta, che “il
rilascio del permesso di costruire comporta la
corresponsione di un contributo commisurato
all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché
al costo di costruzione, secondo le modalità
indicate nel presente articolo”).
E’ vero che l’art. 17 d.P.R. cit. prescrive, al
comma 3, che “il contributo di costruzione non è
dovuto: (…) b) per gli interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non
superiore al 20%, di edifici unifamiliari”: la
giurisprudenza tuttavia, nell’interpretare la
suddetta disposizione, ha condivisibilmente
evidenziato (cfr. TAR Marche, Sez. I, 10.05.2012, n.
310) che, nell’ipotesi di immobile destinato allo
svolgimento di attività produttive, “non ricorre
affatto la ratio della norma che dispone l'esonero
dal relativo pagamento; beneficio che è rivolto solo
a quelle situazioni in cui l'intervento edilizio non
è destinato a fini di lucro, ma esclusivamente a
migliorare la funzionalità e l'usabilità
dell'immobile ad esclusivo vantaggio della famiglia
che ci vive e delle relative esigenze abitative”.
Pur con tali precisazioni, non vi è dubbio che la
doverosità in astratto del contributo di costruzione
non valeva, tuttavia, ad esimere l'Amministrazione
dall'obbligo di verificare, nel caso concreto, la
sussistenza dei presupposti per poterlo esigere,
avuto riguardo alla natura e alla funzione tipica
assolta da ciascuna delle sue due componenti.
Per quanto concerne in particolare gli oneri di
urbanizzazione, che vengono direttamente in rilievo
nella presente controversia, la posizione
interpretativa maggiormente seguita in
giurisprudenza è quella secondo cui la relativa
quota costituirebbe un corrispettivo di diritto
pubblico, di natura non tributaria, posto a carico
del costruttore a titolo di partecipazione ai costi
delle opere di urbanizzazione in proporzione ai
benefici che la nuova costruzione ne ritrae,
derivandone che il fatto da cui in concreto nasce
l'obbligo di corrispondere gli "oneri"
anzidetti è l'aumento del carico urbanistico.
Ebbene, è vero che l'incremento del peso insediativo
può conseguire anche ad interventi di
ristrutturazione senza incrementi di volumi e di
superficie e senza cambiamenti della originaria
destinazione d’uso: è compito dell’Amministrazione
tuttavia, quale presupposto per l’esigibilità del
contributo, verificare attentamente l’incidenza
incrementativa delle suddette opere sul carico
urbanistico preesistente e dare congrua
giustificazione delle conclusioni raggiunte
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 08.01.2013 n. 25 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
9 della L. 10/1977 rubricato “Cessione
gratuita” statuisce al comma 1 che il
contributo di cui al precedente articolo 3
non è dovuto tra l’altro “per gli interventi
di restauro, di risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20 per cento, di edifici
unifamiliari” (lett. d).
Come appare evidente, l'esenzione dal
pagamento dei contributi di cui si discute
ha la funzione di agevolare i proprietari di
alloggi unifamiliari, presumendo il
legislatore che gli interventi sugli stessi
non abbiano carattere di lucro, ma la sola
funzione di migliorare le condizioni di
abitabilità degli edifici medesimi,
indipendentemente dalla loro dimensione.
La disposizione è diretta dunque a
promuovere le opere di adeguamento dei
manufatti alle necessità abitative del
singolo nucleo familiare, circoscrivendone
l’operatività agli interventi che non mutino
sostanzialmente l’entità strutturale e la
dimensione spaziale dell’immobile e non ne
elevino (in modo apprezzabile) il valore
economico.
---------------
L’esenzione dal contributo di costruzione
per il caso di interventi di
ristrutturazione di edifici unifamiliari
entro il limite di ampliamento del 20%,
costituisce oggetto di una previsione di
carattere eccezionale (applicabile in un
ambito di stretta interpretazione ancorato
ai parametri predefiniti dal legislatore):
la ratio è di natura sociale ed è diretta
sostanzialmente ad apprestare uno strumento
di tutela e di salvaguardia alla piccola
proprietà immobiliare per gli interventi
funzionali all’adeguamento dell’immobile
alle necessità abitative del nucleo
familiare.
---------------
Per edifici "unifamiliari" in mancanza di
ulteriori specificazioni, sono da intendere
quelli strutturalmente destinati all'uso
"abitativo" di un "solo" nucleo familiare,
indipendentemente dalle dimensioni
dell’edificio stesso.
Con il motivo principale i ricorrenti si
dolgono della violazione dell’art. 9, lett.
f), della L. 10/1977, che esonera dal
versamento del contributo gli interventi di
ristrutturazione ed ampliamento degli
edifici unifamiliari nella misura del 20%; a
loro avviso infatti:
• la norma invocata, nell’indicare la
percentuale di ampliamento, non fa
riferimento né al volume né alle superfici;
• la relazione tecnica dell’Arch. Comencini
dà conto dell’incremento volumetrico di
151,01 mc., inferiore al 20% dell’esistente;
• anche se si utilizza come parametro la
superficie utile di calpestio ex art. 2 del
DM 801/1977 l’intervento provoca un
ampliamento del 19,1%;
• è stato inopinatamente creato un nuovo
criterio ibrido che non trova alcun supporto
normativo, facendosi riferimento alla
superficie dei vani principali (con
esclusione degli accessori) esistenti e di
risultanza;
• non si registra alcuna variazione di
destinazione d’uso all’interno di una stessa
categoria.
La doglianza è priva di pregio.
L’art. 9 della L. 10/1977 rubricato
“Cessione gratuita” statuisce al comma 1 che
il contributo di cui al precedente articolo
3 non è dovuto tra l’altro “per gli
interventi di restauro, di risanamento
conservativo, di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20
per cento, di edifici unifamiliari” (lett.
d). Come appare evidente, l'esenzione dal
pagamento dei contributi di cui si discute
ha la funzione di agevolare i proprietari di
alloggi unifamiliari, presumendo il
legislatore che gli interventi sugli stessi
non abbiano carattere di lucro, ma la sola
funzione di migliorare le condizioni di
abitabilità degli edifici medesimi,
indipendentemente dalla loro dimensione
(Consiglio di Stato, sez. IV – 11/10/2006 n.
6065). La disposizione è diretta dunque a
promuovere le opere di adeguamento dei
manufatti alle necessità abitative del
singolo nucleo familiare, circoscrivendone
l’operatività agli interventi che non mutino
sostanzialmente l’entità strutturale e la
dimensione spaziale dell’immobile e non ne
elevino (in modo apprezzabile) il valore
economico.
In linea generale, come già accennato al
par. 1.2, la partecipazione del privato al
costo delle opere di urbanizzazione è dovuta
allorquando l’intervento determini un
incremento del peso insediativo con
un’oggettiva rivalutazione dell’immobile,
sicché l'onerosità del permesso di costruire
è funzionale a sopportare il carico socio
economico che la realizzazione comporta
sotto il profilo urbanistico. Alla luce di
tale considerazione la giurisprudenza (cfr.
TAR Campania Napoli, sez. VIII – 09/05/2012
n. 2136) ha statuito che l’esenzione dal
contributo di costruzione per il caso di
interventi di ristrutturazione di edifici
unifamiliari entro il limite di ampliamento
del 20%, costituisce oggetto di una
previsione di carattere eccezionale
(applicabile in un ambito di stretta
interpretazione ancorato ai parametri
predefiniti dal legislatore): la ratio è di
natura sociale ed è diretta sostanzialmente
ad apprestare uno strumento di tutela e di
salvaguardia alla piccola proprietà
immobiliare per gli interventi funzionali
all’adeguamento dell’immobile alle necessità
abitative del nucleo familiare.
I delineati presupposti non risultano
sussistere nella fattispecie all’esame del
Collegio. Dal raffronto tra stato di fatto e
di progetto (cfr. doc. 6 Comune) emerge come
la porzione di fabbricato effettivamente
abitata sia interessata da un significativo
incremento di volume (da 468,60 mc. a
747,90) e di superficie (da 111,69 mq. a
206,87), con l’intera soffitta che viene
recuperata in piano abitabile con accesso
autonomo dotato di 4 locali (2 camere da
letto, 1 bagno e 1 guardaroba). Non è
condivisibile l’impostazione dei ricorrenti
laddove (per dimostrare la conformità al
parametro normativo) prendono in esame il
volume e la superficie dell’intero edificio,
poiché lo spirito della norma (già
descritto) è quello di incentivare i modesti
interventi posti in essere dai nuclei
unifamiliari: il carattere “unifamiliare”
deve essere quindi mantenuto dopo
l’ampliamento/ristrutturazione, mentre nella
fattispecie è stata creata (come si evince
anche dalla previsione di un accesso ad hoc)
un’ulteriore autonoma unità abitativa, con
conseguente mutamento della realtà
strutturale e della fruibilità urbanistica
dell’organismo edilizio oggetto di
trasformazione.
In definitiva la disposizione invocata
opera soltanto per gli edifici
"unifamiliari" e, in mancanza di ulteriori
specificazioni, tali sono quelli
strutturalmente destinati all'uso
"abitativo" di un "solo" nucleo familiare,
indipendentemente dalle dimensioni
dell’edificio stesso (TAR Marche –
31/01/2007 n. 8)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 10.08.2012 n. 1446 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
17, co. 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001 stabilisce che il contributo di
costruzione non è dovuto "per gli interventi
di ristrutturazione e di ampliamento, in
misura non superiore al 20%, di edifici
unifamiliari”.
La norma in questione non stabilisce le
caratteristiche dell’edificio unifamiliare,
per cui la giurisprudenza è unanime
nell'affermare che la ratio di tale
disposizione è quella di favorire l'edificio
unifamiliare in quanto tale ossia come
immobile destinato ad un solo nucleo
familiare, situazione ritenuta dal
legislatore meritevole, per gli interventi
di ristrutturazione, di un trattamento
economico differenziato rispetto alle altre
tipologie edilizie.
Pertanto, per fruire dell'esenzione, stando
alla lettera della norma l'immobile deve
essere in toto destinato ad esclusiva
residenza abitativa di un unico nucleo
familiare.
La giurisprudenza ha anche precisato che, ai
fini dell'esonero dall'obbligo contributivo,
la destinazione ad esclusiva residenza
abitativa di un solo nucleo familiare deve
preesistere rispetto all'intervento di
ristrutturazione, e deve permanere anche
dopo tale intervento: il manufatto oggetto
dell'intervento deve essere, inoltre, ante
opera, unifamiliare.
La circostanza che l’immobile sia stato reso
unifamiliare pressoché coevamente alla
richiesta di ampliamento e ristrutturazione,
e che il Comune ritiene operazione in frode
alla legge, non è tale per il Collegio, in
quanto ciò che rileva ai fini
dell’applicazione della norma in questione
non è, come ritiene il Comune intimato, che
l’immobile sia nato come edificio
unifamiliare quanto che lo sia al momento in
cui viene richiesto il beneficio previsto
dalla norma che esenta dal pagamento degli
oneri concessori.
Il ricorso, come chiarito
in fatto, verte sull’applicazione dell’art.
17, co. 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001, norma
che stabilisce che il contributo di
costruzione non è dovuto "per gli interventi
di ristrutturazione e di ampliamento, in
misura non superiore al 20%, di edifici
unifamiliari”.
La ricorrente, che si è assoggetta al
pagamento degli oneri con riserva di
ripetizione, assume, infatti, di trovarsi
nella condizione di fatto e di diritto per
beneficiare di detta norma, mentre
l’amministrazione nega tale diritto
ritenendo che nella specie difetterebbe il
requisito /presupposto della unifamiliarità
dell’edificio, posto che per tali devono
intendersi gli edifici non solo
funzionalmente ma anche strutturalmente
unifamiliari, ossia tali ab origine e non
per effetto dell’intervento programmato.
Intervento nella specie identificabile con
l’operazione complessa costituita, secondo
l’amministrazione, dall’artificiosa
scissione di un unico titolo in due distinti
e pressoché contestuali titoli edilizi.
L’edificio in questione, infatti, in origine
composto da due unità abitative è stato reso
dapprima unifamiliare e poi, senza soluzione
di continuità, ampliato e ristrutturato, al
fine di eludere la norma che regola
l’onerosità del titolo edilizio.
Il Collegio non ritiene tuttavia che la tesi
del Comune meriti di essere condivisa, per
le ragioni che seguono.
La norma in questione, innanzitutto, non
stabilisce le caratteristiche dell’edificio
unifamiliare, per cui la giurisprudenza è
unanime nell'affermare che la ratio di tale
disposizione è quella di favorire l'edificio
unifamiliare in quanto tale ossia come
immobile destinato ad un solo nucleo
familiare, situazione ritenuta dal
legislatore meritevole, per gli interventi
di ristrutturazione, di un trattamento
economico differenziato rispetto alle altre
tipologie edilizie (Tar Lombardia, sez. II,
10.10.1996 n. 1480).
Pertanto, per fruire dell'esenzione, stando
alla lettera della norma l'immobile deve
essere in toto destinato ad esclusiva
residenza abitativa di un unico nucleo
familiare (Tar Lombardia, Brescia, 27.08.2004
n. 939).
La giurisprudenza ha anche precisato che, ai
fini dell'esonero dall'obbligo contributivo,
la destinazione ad esclusiva residenza
abitativa di un solo nucleo familiare deve
preesistere rispetto all'intervento di
ristrutturazione, e deve permanere anche
dopo tale intervento: il manufatto oggetto
dell'intervento deve essere, inoltre, ante
opera, unifamiliare (Tar Marche, 12.02.1998
n. 250).
Ebbene, nel caso di specie tali presupposti
ricorrevano tutti in favore della
richiedente, poiché prima dell’intervento di
ampliamento e ristrutturazione l’immobile
era stato reso unifamiliare in forza della
d.i.a. del 22.01.2008, con cui era
stata attuata l’aggregazione delle due
preesistenti unità immobiliari e creato
l’edificio unifamiliare destinato alla
residenza della ricorrente, che all’uopo ha
provveduto alle necessarie variazioni
catastali e, come sopra rilevato, al
contestuale trasferimento della propria
residenza.
L’assunto del Comune, che tale intervento,
in quanto realizzato attraverso l’artificio
della scissione, pressoché contestuale,
dell’unica autorizzazione edilizia in due
distinti titoli edilizi, deve ritenersi
elusivo della legge (nella specie dell’art.
17, comma 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001) e
quindi inidoneo ad avvalersi del relativo
beneficio è destituito di giuridico
fondamento.
La tesi del comune di Casciago sarebbe,
infatti condivisibile se il legislatore
avesse dato una definizione di edificio
unifamiliare basata su elementi oggettivi
(limite di superficie o di volume o di vani
o di quant’altro possa definire
oggettivamente il concetto di piccola
proprietà, escludendo tipologie di lusso o
comunque immobili di grandi dimensioni) e
tale non fosse, perché eccedente detti
limiti, l’immobile della ricorrente, posto
che altrimenti per unifamiliare deve
intendersi l’immobile catastalmente
allibrato come unica unità immobiliare
destinata alla residenza di un solo nucleo
familiare.
Ogni altra distinzione, compresa quella
della destinazione “strutturale” che il
Comune intimato pretende di applicare alla
fattispecie, senza spiegare quali concreti
elementi l’immobile debba possedere per
appartenere a tale categoria, è, infatti,
non solo arbitraria ma, proprio perché
indefinita nei suoi elementi
costitutivi, inapplicabile a fattispecie
concrete.
La circostanza che l’immobile sia stato reso
unifamiliare pressoché coevamente alla
richiesta di ampliamento e ristrutturazione,
e che il Comune ritiene operazione in frode
alla legge, non è tale per il Collegio, in
quanto ciò che rileva ai fini
dell’applicazione della norma in questione
non è, come ritiene il Comune intimato, che
l’immobile sia nato come edificio
unifamiliare quanto che lo sia al momento in
cui viene richiesto il beneficio previsto
dalla norma che esenta dal pagamento degli
oneri concessori.
E questa situazione di fatto e di diritto
sussisteva, nella specie, proprio sulla base
di un intervento non solo edilizio ma anche
catastale e di modifica della residenza che
la ricorrente aveva posto in essere prima di
avviare l’intervento di cui alla d.i.a. del
22.01.2008
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
24.07.2012 n.
2070 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
fattispecie di esonero dal contributo di
costruzione contemplata dall’art. 17, terzo
comma, lett. b), del d.P.R. n. 380/2001, già
art. 9 della l. 28.01.1977, n. 10, trova
applicazione per gli interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20 per cento, di edifici
unifamiliari, anche ove ricadenti in zona
agricola.
Il ricorso è fondato.
Il Collegio non ravvisa ragioni per
discostarsi dall’orientamento
giurisprudenziale di questo Tribunale
Amministrativo, di cui alla sentenza,
richiamata anche in sede cautelare, n. 854
del 05.08.2009.
Merita condivisione, in particolare, il
profilo, sollevato anche con l’odierna
impugnativa, della disparità di trattamento
che verrebbe a determinarsi tra proprietari
di edifici unifamiliari nelle zone urbane,
esonerati dal pagamento degli oneri
concessori, e proprietari di edifici
unifamiliari in zone agricole, che, in
mancanza della qualifica di imprenditore
agricolo a titolo principale, sarebbero
tenuti al pagamento degli oneri concessori,
pur a fronte di un intervento edilizio con
le medesime caratteristiche.
Deve ritenersi, pertanto, che la fattispecie
di esonero dal contributo di costruzione
contemplata dall’art. 17, terzo comma, lett.
b), del d.P.R. n. 380/2001, già art. 9 della
l. 28.01.1977, n. 10, trovi applicazione per
gli interventi di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20
per cento, di edifici unifamiliari, anche
ove ricadenti in zona agricola
(TAR Marche,
sentenza 22.06.2012 n. 449 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Circa
il regime concessorio gratuito di cui all’art. 17,
comma 3, lett. b), del DPR n. 380/2001, è la realtà
effettiva che deve prevalere su quella cartacea
attraverso cui si vorrebbe dimostrare l’esistenza
dei presupposti per la gratuità dell’intervento:
presupposti che non solo devono sussistere al
momento di rilascio del titolo edilizio ma devono
permanere anche dopo, contrariamente a quanto
accaduto nel caso specifico, in cui l’avvio
dell’attività produttiva di Bad & Breakfast avveniva
addirittura prima della fine dei lavori.
---------------
Anche se nell’edificio sono svolte attività
produttive compatibili con la residenza, non ricorre
affatto la ratio della norma che dispone l’esonero
dal relativo pagamento; beneficio che è rivolto solo
a quelle situazioni in cui l’intervento edilizio non
è destinato a fini di lucro, ma esclusivamente a
migliorare la funzionalità e l’usabilità
dell’immobile ad esclusivo vantaggio della famiglia
che ci vive e delle relative esigenze abitative.
1. La
ricorrente propone ricorso per ottenere la
restituzione del contributo concessorio a suo tempo
versato per il rilascio del permesso di costruire n.
02/2003 del 09.08.2003, poiché considerato non
dovuto in base all’art. 17, comma 3, lett. b), del
DPR n. 380/2001, trattandosi di intervento di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non
superiore al 20%, di edificio unifamiliare.
...
3. Dai fatti sopra ricordati pare evidente, a
giudizio del Collegio, che l’edificio in questione
non costituisce (né mai ha costituito dopo
l’acquisto da parte della ricorrente) una semplice
abitazione unifamiliare, ma presenta funzionalità
miste, in parte residenziali e in parte produttive
(queste ultime fonti di lucro e di aumento di carico
urbanistico rispetto all’edificio utilizzato per
esclusive finalità residenziali di un solo nucleo
familiare).
Risulta quindi irrilevante l’istanza del 03.07.2003
per la modifica del progetto assentito (al fine di
ripristinare la destinazione economica originaria,
cioè casa unifamiliare di civile abitazione),
essendo palese che tale richiesta non corrispondeva
all’effettiva realtà delle cose, ma aveva quale
unico scopo quello di beneficiare del regime
concessorio gratuito di cui all’art. 17, comma 3,
lett. b), del DPR n. 380/2001.
La realtà effettiva deve quindi prevalere su quella
cartacea attraverso cui si vorrebbe dimostrare
l’esistenza dei presupposti per la gratuità
dell’intervento: presupposti che non solo devono
sussistere al momento di rilascio del titolo
edilizio ma devono permanere anche dopo,
contrariamente a quanto accaduto nel caso specifico,
in cui l’avvio dell’attività produttiva di Bad &
Breakfast avveniva addirittura prima della fine dei
lavori.
Ciò dimostra che tali lavori di recupero non erano
certamente rivolti a ripristinare la destinazione
economica originaria.
Correttamente, pertanto, il Comune ha preteso il
pagamento del contributo, poiché anche se
nell’edificio sono svolte attività produttive
compatibili con la residenza, non ricorre affatto la
ratio della norma che dispone l’esonero dal
relativo pagamento; beneficio che è rivolto solo a
quelle situazioni in cui l’intervento edilizio non è
destinato a fini di lucro, ma esclusivamente a
migliorare la funzionalità e l’usabilità
dell’immobile ad esclusivo vantaggio della famiglia
che ci vive e delle relative esigenze abitative.
Al contrario, la destinazione mista (abitativa e
produttiva) persegue anche scopi lucrativi e
determina un maggiore carico urbanistico.
4. Il ricorso va quindi respinto
(TAR Marche,
sentenza 10.05.2012 n. 310 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Le
controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo
di costruzione introducono un giudizio su un rapporto
prescindendo dalla impugnazione di atti. Ed infatti tutte le
controversie, concernenti l’an e il quantum delle somme
dovute a titolo di contributo in dipendenza di norme di
legge e regolamentari, attengono a diritti soggettivi
azionabili nei termini di prescrizione; pertanto alcuna
acquiescenza può opporsi in materia di diritti soggettivi
patrimoniali, il cui versamento, ove non dovuto, è
suscettibile in ogni caso di legittimare un’azione di
ripetizione dell’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2041
cod. civ..
L’amministrazione, nella determinazione delle somme dovute a
titolo di contributo non esercita poteri autoritativi
discrezionali ma compie attività di mero accertamento della
fattispecie in base ai parametri fissati da leggi e da
regolamenti. Le relative controversie, dunque, rientrano
nella categoria di quelle aventi ad oggetto atti paritetici,
inerenti diritti soggettivi e non sono sottoposte ai termini
decadenziali propri dei giudizi impugnatori.
Inoltre, le controversie concernenti la determinazione,
liquidazione e corresponsione degli oneri concessori già
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ai sensi dell'art. 16 l. 28.01.1977 n. 10,
abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs.
104/2010, rientrano oggi nella previsione dell’art. 133,
lett. f), del codice del processo amministrativo secondo cui
sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, tra l'altro: "le controversie aventi ad
oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche
amministrazioni in materia urbanistica e edilizia,
concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio".
---------------
La partecipazione del privato al costo delle opere di
urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini
un incremento del peso insediativo con un’oggettiva
rivalutazione dell’immobile, sicché l’onerosità del permesso
di costruire è funzionale a sopportare il carico socio
economico che la realizzazione comporta sotto il profilo
urbanistico.
Tale principio opera ed è valevole anche per gli interventi
di ristrutturazione che comportino un aumento del carico
urbanistico di zona, sicché la giurisprudenza ha ravvisato
l’onerosità del titolo in caso di interventi comportanti un
incremento di unità abitative, oppure un incremento della
superficie utile pur in assenza di aumento della cubatura,
nonché per il caso di alterazione dei parametri edilizi e
per quelle ristrutturazioni che mutino la realtà strutturale
e la fruibilità urbanistica dell’organismo edilizio oggetto
di trasformazione.
---------------
L’esenzione dal contributo di costruzione di cui all’art.
17, comma 3, lett. b, del d.p.r. n. 380/2001 per il caso di
interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro
il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una
previsione di carattere eccezionale, la cui ratio è di
natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare
uno strumento di tutela e di salvaguardia della piccola
proprietà immobiliare per gli interventi funzionali
all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del
nucleo familiare. In tal caso rileva innanzitutto la
destinazione unifamiliare del fabbricato nonché la natura
dell’intervento edilizio quale di “ristrutturazione e di
ampliamento non superiore al 20%” quale limite entro il
quale è ammessa l’operatività dell’esonero in parola.
La disposizione intende evidentemente incentivare le opere
atte ad adeguare le case unifamiliari alle necessità
abitative del nucleo familiare, circoscrivendone
l’operatività agli interventi che non mutino l’entità
strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne
trasformino il valore economico.
Trattandosi di una norma di natura eccezionale,
l’applicazione della fattispecie va circoscritta in un
ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri
predefiniti dal legislatore per cui deve escludersi che la
disposizione in esame possa trovare applicazione in ogni
ipotesi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione
a parità di volume, entro il limite di ampliamento fissato
dal legislatore.
---------------
La Corte Costituzionale ha osservato che, ai fini del
riconoscimento dell’esonero dal versamento del contributo di
costruzione, il concetto di ristrutturazione mal si presta a
comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata
dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo
“essendo caratterizzata da elementi (territoriali e
costruttivi) e da risultato che le conferiscono fisionomia
autonoma e differenziata” ed ha ritenuto quindi pienamente
giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle
ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle
ipotesi di integrale ricostruzione.
Tale accezione interpretativa è stata altresì ribadita più
di recente dalla giurisprudenza amministrativa che ha
chiarito che la gratuità va limitata agli interventi edilizi
su edifici aventi destinazione residenziale e non anche su
quelli con destinazione agricola, sicché deve escludersi che
la esenzione in argomento possa trovare spazio nella
fattispecie in esame relativa ad un intervento di
demolizione e di utilizzazione ad uso abitativo per un’unica
unità immobiliare della rispettiva volumetria di due
preesistenti fabbricati rurali.
Per consolidata giurisprudenza le controversie in tema di
oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione
introducono un giudizio su un rapporto prescindendo dalla
impugnazione di atti. Ed infatti tutte le controversie,
concernenti l’an e il quantum delle somme dovute a titolo di
contributo in dipendenza di norme di legge e regolamentari,
attengono a diritti soggettivi azionabili nei termini di
prescrizione; pertanto alcuna acquiescenza può opporsi in
materia di diritti soggettivi patrimoniali, il cui
versamento, ove non dovuto, è suscettibile in ogni caso di
legittimare un’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo
ai sensi dell’art. 2041 cod. civ..
L’amministrazione, nella
determinazione delle somme dovute a titolo di contributo non
esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie
attività di mero accertamento della fattispecie in base ai
parametri fissati da leggi e da regolamenti. Le relative
controversie, dunque, rientrano nella categoria di quelle
aventi ad oggetto atti paritetici, inerenti diritti
soggettivi e non sono sottoposte ai termini decadenziali
propri dei giudizi impugnatori (Cons. St. Sez. , sez. V, 17.10.2002, n. 5678).
Inoltre, le controversie
concernenti la determinazione, liquidazione e corresponsione
degli oneri concessori già devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16
l. 28.01.1977 n. 10, abrogato a seguito dell’entrata in
vigore del D.Lgs. 104/2010, rientrano oggi nella previsione
dell’art. 133, lett. f), del codice del processo
amministrativo secondo cui sono devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, tra l'altro: "le
controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti
delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e
edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del
territorio" (Cons. St., Sez. V, 10.07.2003 n. 4102; Cons.
St., Sez. V, 19.07.2004 n. 5197).
Ciò premesso, nel presente giudizio si discute circa
l’applicabilità nella fattispecie del beneficio di cui
all’art. 17, comma 3, lett. b, del d.p.r. n. 380/2001 a tenore
del quale il contributo di costruzione non è dovuto per gli
interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20%, di edifici unifamiliari.
Come noto, la partecipazione del privato al costo delle
opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento
determini un incremento del peso insediativo con
un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l’onerosità
del permesso di costruire è funzionale a sopportare il
carico socio economico che la realizzazione comporta sotto
il profilo urbanistico (cfr. C.d. S. sez. V, 03.03.2002 n.
1180; C.d.S. sez. V. 29.04.2004 n. 2611).
Tale principio opera ed è valevole anche per gli interventi
di ristrutturazione che comportino un aumento del carico
urbanistico di zona, sicché la giurisprudenza ha ravvisato
l’onerosità del titolo in caso di interventi comportanti un
incremento di unità abitative (cfr. Tar Lombardia, Milano
21.07.2009 n. 4455), oppure un incremento della superficie
utile pur in assenza di aumento della cubatura (cfr. C.d.S,
sez. V, 27.08.1999 n. 999), nonché per il caso di
alterazione dei parametri edilizi (cfr. Tar Piemonte, sez.
I, 04.12.1997 n. 821) e per quelle ristrutturazioni che
mutino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica
dell’organismo edilizio oggetto di trasformazione (cfr.
Tar Emilia, Parma 19.02.2008 n. 100).
Tanto premesso occorre considerare che l’esenzione dal
contributo di costruzione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b,
del d.p.r. n. 380/2001 per il caso di interventi di
ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di
ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione
di carattere eccezionale, la cui ratio è di natura sociale
ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di
tutela e di salvaguardia della piccola proprietà immobiliare
per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile
alle necessità abitative del nucleo familiare. In tal caso
rileva innanzitutto la destinazione unifamiliare del
fabbricato nonché la natura dell’intervento edilizio quale
di “ristrutturazione e di ampliamento non superiore al 20%”
quale limite entro il quale è ammessa l’operatività
dell’esonero in parola.
La disposizione intende evidentemente incentivare le opere
atte ad adeguare le case unifamiliari alle necessità
abitative del nucleo familiare, circoscrivendone
l’operatività agli interventi che non mutino l’entità
strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne
trasformino il valore economico.
Trattandosi di una norma di natura eccezionale,
l’applicazione della fattispecie va circoscritta in un
ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri
predefiniti dal legislatore per cui deve escludersi che la
disposizione in esame possa trovare applicazione in ogni
ipotesi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione
a parità di volume, entro il limite di ampliamento fissato
dal legislatore.
Nel caso in esame il permesso di costruire n. 328/2006
che si intende assoggettare a gratuità ai sensi dell’art. 17,
comma 3, lett. b cit., è stato rilasciato al ricorrente M.G. dal Comune di Castelvolturno per un
intervento di ristrutturazione edilizia consistente nella
demolizione di due preesistenti fabbricati rurali e nella
realizzazione di un unico immobile con destinazione
abitativa.
Il Comune, nella memoria del 15.03.2012, ha escluso che un
siffatto intervento possa rientrare nella ipotesi di
gratuità invocata dal ricorrente e riferibile alle sole
ristrutturazioni edilizie c.d. “leggere” ossia miranti a
conservare il patrimonio edilizio esistente.
Il Comune ha infatti precisato che, come evincesi dai
grafici e dalle riproduzioni fotografiche allegate in atti
quali gli elaborati prodotti a sostegno della richiesta di
rilascio del permesso di costruire, l’intervento è
consistito in una ristrutturazione edilizia c.d. “pesante”
per aver comportato la realizzazione di un organismo in
tutto diverso dal precedente con conseguente incremento del
carico urbanistico di zona rapportato alla sostituzione di
fabbricati rurali diruti ed inutilizzati con un'unica unità
immobiliare tipo “villetta” composta da piano terra e primo
piano.
Ciò premesso rileva il Collegio che la disciplina
invocata a sostegno del ricorso non è applicabile agli
interventi di demolizione e ricostruzione di un fabbricato
preesistente. In tal senso si è espressa chiaramente la
Corte Costituzionale nella sentenza 26.06.1991 n. 296
pronunciata rispetto alla analoga previgente previsione di
cui all'art. 9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 -di
cui l’art. 17 d.p.r., comma 3, lett. b), costituisce analoga
riproduzione- che esonerava dal contributo "gli interventi
di restauro, di risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al venti per cento, di edifici unifamiliari".
Ivi la Corte Costituzionale con una sentenza interpretativa di rigetto ha
escluso l’illegittimità della norma, prospettata dal Tar
Friuli Venezia Giulia rispetto all’art. 9 cit., nella parte
in cui non comprendeva nella previsione di esenzione dal
contributo per il rilascio della concessione, accanto
all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti
del venti per cento, anche quella della “integrale
ricostruzione del fabbricato demolito”.
La Corte ha al
riguardo osservato che, ai fini del riconoscimento
dell’esonero in questione, il concetto di ristrutturazione
mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione
accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso
suolo “essendo caratterizzata da elementi (territoriali e
costruttivi) e da risultato che le conferiscono fisionomia
autonoma e differenziata” ed ha ritenuto quindi pienamente
giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle
ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle
ipotesi di integrale ricostruzione.
Tale accezione
interpretativa è stata altresì ribadita più di recente dalla
giurisprudenza amministrativa che ha chiarito che la
gratuità va limitata agli interventi edilizi su edifici
aventi destinazione residenziale e non anche su quelli con
destinazione agricola (cfr C.d.S. 6290/2004), sicché deve
escludersi che la esenzione in argomento possa trovare
spazio nella fattispecie in esame relativa ad un intervento
di demolizione e di utilizzazione ad uso abitativo per
un’unica unità immobiliare della rispettiva volumetria di
due preesistenti fabbricati rurali
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 08.05.2012 n. 2136 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Assoggettabilità di un intervento edilizio al
pagamento del contributo di costruzione.
Il Comune -in riferimento ad una Comunicazione pervenuta al
Suo Ufficio per l’esecuzione di opere interne, manutenzione
straordinaria, impiantistica, parziale modifica alle
forature esterne e finiture interne ed esterne, ecc. su di
un edificio che in precedenza, con una variazione catastale
e senza esecuzione di opere edilizie, è stato trasformato da
bifamiliare ad unifamiliare- chiede, in considerazione di
quanto stabilito dall’art. 17, comma 3, del D.P.R. n.
380/2001 che inserisce nei casi di permesso di costruire
gratuito interventi di ristrutturazione di edifici
unifamiliari, se “gli interventi edilizi che prevedono
l’accorpamento con opere di più unità immobiliari in un
unico organismo (da bifamiliare ad unifamiliare) mantenendo
la stessa destinazione d’uso (residenziale) sono
qualificabili come interventi di ristrutturazione edilizia e
sono comunque assoggettabili agli oneri di costruzione”
(Regione Marche,
parere 12.09.2011 n. 210/2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il carattere di unifamiliarità di
un fabbricato a destinazione abitativa è
ricavabile dalle caratteristiche
architettoniche dell’edificio, in ragione
del volume, della superficie, del numero e
della funzione e caratteristica dei vani, in
rapporto alle esigenze ed alla possibilità
di utilizzo da parte di un unico nucleo
familiare.
La circostanza che l’edificio non
sia completamente isolato non vale ad
escludere il carattere di unifamiliarità.
La nozione di edificio unifamiliare assunta
dalla norma, non è nella sua accezione
strutturale, ma socio economica e coincide
con la piccola proprietà immobiliare
meritevole, per gli interventi di
ristrutturazione, di un trattamento
differenziato rispetto alle altre tipologie
edilizie.
Deve ritenersi irrilevante la comunione di
talune strutture portanti o di qualche muro
di confine e devono conseguentemente essere
considerate unifamiliari, per tipologia
obiettiva, anche le case realizzate a
schiera o in blocco ma strutturalmente
funzionalmente indipendenti.
Il D.P.R. 06.06.2001 n. 380, all’art. 17,
disciplina la “Riduzione o esonero dal
contributo di costruzione”, prevedendo,
al comma 3, che “Il contributo di
costruzione non è dovuto:… b) per gli
interventi di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20%,
di edifici unifamiliari;”.
La norma riprende sostanzialmente il
contenuto dell’art. 9, comma 1, della legge
28.01.1977, n. 10, in relazione al quale la
giurisprudenza (cfr. TAR 07.09.1999 n. 770;
TAR Veneto 30.03.1996 n. 480) aveva avuto
modo di chiarire che il carattere di
unifamiliarità di un fabbricato a
destinazione abitativa è ricavabile dalle
caratteristiche architettoniche
dell’edificio, in ragione del volume, della
superficie, del numero e della funzione e
caratteristica dei vani, in rapporto alle
esigenze ed alla possibilità di utilizzo da
parte di un unico nucleo familiare.
Va rilevato che la normativa regionale della
Lombardia conferma l’esonero. Infatti, la
L.R. 11.03.2005 n. 12 nel disciplinare,
all’art. 43, le modalità di pagamento del “Contributo
di costruzione”, espressamente dispone,
al 2° comma, che “Il contributo di
costruzione di cui al comma 1 non è dovuto,
ovvero è ridotto, nei casi espressamente
previsti dalla legge”, così rinviando
alle previsioni della legge nazionale.
Nella fattispecie all’esame viene in rilievo
la ristrutturazione, senza aumento di
volumetria, di una porzione di un tipico
fabbricato rurale a corte, già da tempo
convertito a destinazione residenziale.
Confermando l’indirizzo già espresso al
riguardo (cfr. TAR Brescia, 03.03.2006 n.
268) il Collegio ritiene che la circostanza
che l’edificio non sia completamente isolato
non valga ad escludere il carattere di
unifamiliarità.
Invero, la norma di cui all'art. 17, comma
3, lett. b), del DPR 06.06.2001, n. 380, va
riferita alle costruzioni unifamiliari che
hanno destinazione residenziale, con
esclusione delle unità immobiliari che siano
ricomprese in più ampi edifici, quali i
condomini, caratterizzati dall'esistenza di
parti e servizi funzionalmente comuni, ma
non richiede il completo isolamento
dell'edificio.
La ratio che ispira la specifica
esenzione è infatti di derivazione sociale e
pertanto la nozione di edificio unifamiliare
assunta dalla norma, non è nella sua
accezione strutturale, ma socio economica e
coincide con la piccola proprietà
immobiliare meritevole, per gli interventi
di ristrutturazione, di un trattamento
differenziato rispetto alle altre tipologie
edilizie (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez.
II, 10.10.1996, n. 1480).
Deve pertanto ritenersi irrilevante la
comunione di talune strutture portanti o di
qualche muro di confine e devono
conseguentemente essere considerate
unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche
le case realizzate a schiera o in blocco ma
strutturalmente funzionalmente indipendenti
(cfr. Tar Lombardia, Brescia, 01.03.1995, n.
185; id. 07.09.1999, n. 770) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 13.05.2011 n. 713 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Ristrutturazione edilizia attuata con
demolizione e ricostruzione. Onerosità.
Si chiede parere in merito all’onerosità –ovvero
all’eventuale gratuità– di un intervento di ristrutturazione
edilizia da attuarsi mediante demolizione e ricostruzione di
un fabbricato preesistente ... deve darsi conto, per
completezza, dell’eccezione contenuta nell’art. 17, c. 3,
lett. b), D.P.R. 380/2001, a mente del quale “il
contributo non è dovuto […] per gli interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20%, di edifici unifamiliari” (Regione Piemonte,
parere n. 1/2010 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 9, lettera d), della legge n. 10
del 1977, ha fatto generico riferimento al termine
di “edifici familiari”, sicché deve ritenersi che
sia consentita alla discrezionalità delle singole
Amministrazioni comunali di adottare determinazioni
volte a precisare e circoscrivere il termine in
questione.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
proposto dal sig. A.T. per l ’annullamento del
provvedimento del Comune di Mantova n. 8841/1999 del
25.10.1999, concernente la reiezione della richiesta
di concessione edilizia gratuita.
...
Premesso e considerato in data 28.06.1999, il sig.
A.T. presentava al Comune di Mantova richiesta di
concessione edilizia gratuita ex art. 9, lett. d),
n. 10/1977 per la ristrutturazione di fabbricato di
civile abitazione.
Con provvedimento del 25.10.1999, il Dirigente dello
SUIC (sportello unico per le imprese e i cittadini)
respingeva l’istanza per la considerazione che “l’edificio
non può essere considerato unifamiliare….perché
supera ad intervento ultimato il limite fissato
dalla D.C.C. n. 186/94 di 200 mq. di superficie lorda”.
Con ricorso notificato il 26.02.2000, il sig. T. ha
proposto ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica, chiedendo l’annullamento del
summenzionato provvedimento, nonché della
deliberazione consiliare del 18.11.1994 n. 186.
A suo avviso, con la l’art. 9, lett. d), della legge
n. 10 del 1977, il legislatore ha esteso il
beneficio della concessione gratuita ad ipotesi
d’ampliamento di un edificio residenziale
preesistente condizionando il beneficio al concorso
di due condizioni: a) che il fabbricato sia
tipologicamente destinato ad accogliere un unico
nucleo familiare; b) che l’ampliamento non superi il
20%. Al di fuori di tali presupposti, non vi
sarebbero limiti di sorta all’edificio unifamiliare.
L’Amministrazione ha controdedotto ai motivi di
censura, concludendo per la reiezione del gravame.
Il ricorso è infondato.
Nella fattispecie in esame si è trattato di opere
edilizie relative ad una corte rurale, che,
all’epoca dei fatti, erano disciplinate dall’art. 38
delle N.T.U. del piano regolatore generale del
Comune di Mantova.
In particolare, i commi 3 e 5 del predetto art. 38,
richiamati dal provvedimento impugnato, stabilivano
che i proprietari e i titolari di diritti reali,
seppure non imprenditori agricoli, di corti agricole
dismesse alla data del 31.12.1993 potessero eseguire
opere di ristrutturazione edilizia e cambio di
destinazione d’uso nonché recuperare i sottotetti
per fini abitativi, ai sensi della L.R. Lombardia n.
15/1996 mediante concessione edilizia onerosa. A
parte ciò v’è da considerare che l’art. 9, lettera
d), della legge n. 10 del 1977, ha fatto generico
riferimento al termine di “edifici familiari”,
sicché deve ritenersi che sia consentita alla
discrezionalità delle singole Amministrazioni
comunali di adottare determinazioni volte a
precisare e circoscrivere il termine in questione.
In conclusione, per le suesposte considerazioni, si
esprime l’avviso che il ricorso debba essere
respinto
(Consiglio di Stato, Sez. III,
parere 03.03.2009 n. 405 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Richiesta di parere circa l’onerosità o meno dei
permessi di costruire per interventi edilizi di
ristrutturazione di edifici ex rurali.
Il Comune chiede se alla luce delle disposizioni del Testo
unico per l’edilizia di cui al D.P.R. n. 380/2001, un
intervento di ristrutturazione edilizia di un edificio
colonico unifamiliare, che ha perso tutti i requisiti di
ruralità, da parte di un privato cittadino non imprenditore
agricolo, sia oneroso o gratuito e se i pareri che il
Servizio legislativo e affari istituzionali della Giunta
regionale ha espresso sull’applicazione dell’art. 9, lett.
d), della legge n. 10/1977 in data 20.06.1991, prot. n. 124,
e in data 09.03.1989, prot. n. 60, dei quali allega copia,
siano tuttora validi (Regione Marche,
parere 27.02.2009 n. 110/2009). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Il
contributo per il rilascio della concessione edilizia
imposto dalla legge n. 10/1977 e commisurato agli oneri di
urbanizzazione ha carattere generale, in quanto prescinde
totalmente dall’esistenza o meno delle singole opere di
urbanizzazione, ha natura di prestazione patrimoniale
imposta e viene determinato senza tenere conto dell’utilità
che riceve il beneficiario del provvedimento di concessione,
né delle spese effettivamente necessarie per l’esecuzione
delle opere di urbanizzazione relative alla concessione
assentita.
La ratio che ispira l’esenzione di cui alla lettera d), art.
9 l. 10/1977, è di derivazione sociale in quanto l’edificio
unifamiliare nell’accezione socio economica assunta dalla
norma coincide con la piccola proprietà immobiliare e come
tale è meritevole di un trattamento differenziato per le
opere di adeguamento alle necessità abitative del nucleo
familiare.
L’art. 1 della legge n. 10/1977 ha introdotto nel nostro
ordinamento il principio, di ordine generale, secondo cui “ogni
attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia
del territorio partecipa agli oneri ad essa relativi”,
nel senso che detto corrispettivo viene proporzionato al
vantaggio patrimoniale di cui gode il concessionario, sia in
relazione agli oneri che comporta la urbanizzazione sia in
relazione all’utile derivante dalla misura e dalla tipologia
dell’intervento di cui viene concessa la realizzazione,
sicché ogni norma derogativa al suddetto principio di ordine
generale va interpretata in senso restrittivo.
Or dunque è pacifico che l’art. 9 della legge n. 10/1977
(ora art. 17 del T.U. dell’edilizia) costituisce una deroga
al principio generale dell’onerosità della concessione
edilizia, avendo l’indicazione delle fattispecie di esonero
del versamento del contributo, secondo molteplici e
reiterate pronunce giurisprudenziali, carattere tassativo
(cfr. CdS, sez. V, 14.10.19892, n. 987; Tar Lombardia, sez.
II, 26.04.2006, n. 1062; Tar Lombardia, sez. Brescia,
28.01.2002, n. 100). Ne discende, pertanto, che le
fattispecie citate nella richiamata disposizione sono di
stretta interpretazione.
Tanto premesso il Collegio, ben conoscendo la sentenza del
Consiglio di Stato, sez. V, n. 174 del 23.01.2004 relativa
ad una fattispecie analoga a quella in esame, non ritiene
che sussistano le ragioni per discostarsi dal richiamato
orientamento giurisprudenziale.
Il Supremo Consesso della Giustizia amministrativa nella su
citata pronuncia, partendo dall’assunto che alcuni dei casi
elencati dall’art. 9 sono espressione del principio di
gratuità della concessione per le opere che non comportino
nessun nuovo carico urbanistico per il comune, ha ritenuto
di poter applicare l’esenzione di cui all’alinea g) (“opere
da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti
emanati a seguito di pubbliche calamità”) al caso non
espressamente previsto della costruzione in sostituzione di
un edificio espropriato e demolito per realizzare un’opera
pubblica, per un volume non maggiore del precedente e nel
territorio dello stesso comune.
Tanto sul rilievo che “l’onerosità della concessione
trova la propria ragion d’essere come corrispettivo delle
spese che la collettività si addossa con vantaggio del
concessionario, in conseguenza della concessione edilizia, e
che tale presupposto manca nel caso di ricostruzione di ciò
che la calamità abbia distrutto”.
L’art. 12 delle preleggi autorizza il ricorso all’analogia
per colmare le lacune legislative esistenti attraverso il
richiamo della disciplina giuridica dettata per un caso
simile o per materie analoghe.
Il ricorso all’analogia è però ammissibile solo quando
ricorra identità di ratio -quando cioè il principio
che ha ispirato la norma regolatrice della fattispecie
appare idoneo ad operare nello stesso modo, dati gli
elementi di somiglianza tra le due fattispecie, anche per
quella non regolata– ,allora il giudice applica pure a
quest’ultima una norma non scritta, che desume da quella
scritta (ubi eadem ratio, ibi eadem dispositio).
Tanto premesso osserva, allora, il Collegio che l’operazione
di estensione analogica dell’alinea g) dell’art. 9 della
legge n. 10/1977 anche alle ipotesi di ricostruzione di
edificio a seguito di demolizione conseguente ad esproprio,
operata dal Consiglio di Stato, non ha tenuto nel debito
conto le differenze esistenti tra tale ultima ipotesi e
quella della ricostruzione di un edificio a seguito della
sua distruzione per calamità naturale.
L’esonero dal pagamento degli oneri di urbanizzazione nelle
ipotesi di cui all’alinea g) è ispirato ai principi di
solidarietà sociale ed è finalizzato ad agevolare
l’esecuzione di opere da realizzare in attuazione di norme o
provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità dalle
quali la collettività trae un’indubbia utilità e ad evitare
che il soggetto che interviene per l’istituzionale
attuazione del pubblico interesse corrisponda un contributo
che verrebbe a gravare sulla stessa comunità che dovrebbe
avvantaggiarsi dal loro pagamento.
Ben diversa appare, invece, l’ipotesi della ricostruzione di
un edificio demolito a seguito di esproprio poiché in tale
ultima evenienza il proprietario dell’edificio ha percepito
a fronte dell’esproprio un’indennità, ovverosia una somma di
denaro a titolo di ristoro patrimoniale per il sacrificio
del proprio diritto. Indennità che, come affermato dalla
dottrina e dalla giurisprudenza, consegue a fatti che
sacrificano i diritti dei singoli ma che non sono
antigiuridici, in quanto autorizzati o imposti da una norma
di legge per perseguire un superiore interesse pubblico.
A tale riguardo merita di essere evidenziato che la
giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente affermato che
tale indennizzo non deve essere meramente simbolico, ma deve
costituire un serio ristoro per il soggetto espropriato, pur
senza dovere essere necessariamente commisurato al valore di
mercato del bene. E la Corte Europea dei diritti dell’uomo
ha accettato il principio secondo cui l’indennizzo deve
essere una somma ragionevolmente collegata al valore venale
del bene.
L’indennità di espropriazione è determinata, dunque, sulla
base delle caratteristiche del bene al momento dell’accordo
di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di
esproprio.
Ne discende, quindi, che la collettività attraverso
l’indennità di esproprio e, a maggior ragione attraverso il
corrispettivo pattuito in sede di cessione bonaria (come nel
caso di specie), ha già ristorato il proprietario del bene
espropriato del sacrificio subito (in quanto il costo di
costruzione e gli oneri di urbanizzazione sono voci che
contribuiscono a determinare il valore venale del bene) e,
conseguentemente, esonerarlo dal pagamento del contributo
del costo di costruzione e degli oneri di urbanizzazione,
determinerebbe in capo al concessionario un ingiustificato
arricchimento.
Tanto più se si considera che, secondo la consolidata
giurisprudenza del Consiglio di Stato, il contributo per il
rilascio della concessione edilizia imposto dalla legge n.
10/1977 e commisurato agli oneri di urbanizzazione ha
carattere generale, in quanto prescinde totalmente
dall’esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione,
ha natura di prestazione patrimoniale imposta e viene
determinato senza tenere conto dell’utilità che riceve il
beneficiario del provvedimento di concessione, né delle
spese effettivamente necessarie per l’esecuzione delle opere
di urbanizzazione relative alla concessione assentita (cfr.
CdS, sez. V, 21.04.2006, n. 2258; CdS, sez. V, 06.05.1997,
n. 462)
Sulla scorta delle suesposte considerazioni il Collegio non
ritiene, quindi, di poter condividere l’avviso del Consiglio
di Stato e di potere applicare in via analogica alla
fattispecie in esame l’esenzione prevista dall’alinea g)
dell’art. 9 della legge n. 10/1977, ravvisando l’unico
elemento di somiglianza tra la ricostruzione a seguito di
calamità naturale e quella a seguito di demolizione per
esproprio nella assenza di qualsiasi volontà del
proprietario dell’edificio di demolirlo e poi ricostruirlo.
La fattispecie in esame non appare, infine, sussumibile
neanche sotto le ipotesi di esenzione previste dalle lettere
d) (“interventi di restauro, di risanamento conservativo,
di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non
superiore al 20%, di edifici unifamiliari”) ed e) (“modifiche
interne necessarie per migliorare le condizioni igieniche o
statiche delle abitazioni, nonché realizzazione dei volumi
tecnici che si rendono indispensabili a seguito
dell’installazione di impianti tecnologici necessari per le
esigenze delle abitazioni”) del citato art. 9.
La ratio che ispira l’esenzione di cui alla lettera
d) è di derivazione sociale in quanto l’edificio
unifamiliare nell’accezione socio economica assunta dalla
norma coincide con la piccola proprietà immobiliare e come
tale è meritevole di un trattamento differenziato per le
opere di adeguamento alle necessità abitative del nucleo
familiare.
Per quanto concerne, invece, gli interventi elencati nella
lettera e) occorre, in primis, evidenziare che si
tratta di interventi per i quali non è neanche richiesta la
concessione edilizia (ora permesso di costruire), essendo
sufficiente la mera autorizzazione, in considerazione del
fatto che consistono in modifiche interne e
nell’installazione di impianti che non incidono sulla
volumetria, sulle dimensioni e sulle destinazioni d’uso
originarie dell’edificio già esistente (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 13.03.2008 n. 604 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
9, lett. d), della Legge 28.01.1977 n. 10, all'epoca
vigente, stabiliva che il contributo per spese di
urbanizzazione e costo di costruzione non era dovuto: “per
gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20 per cento, di edifici unifamiliari".
Come ha già osservato la giurisprudenza amministrativa
condivisa da questo Collegio, dalla disposizione in esame si
possono trarre i seguenti principi:
- l'esenzione riguarda anche gli interventi di
ristrutturazione, con la conseguente irrilevanza
dell'eventuale modifica della destinazione d'uso di alcuni
locali, se resta invariata quella complessiva dell'edificio;
- si deve trattare di un edificio "unifamiliare" e, in
mancanza di ulteriori specificazioni limitative, tale è
quello strutturalmente destinato all'uso "abitativo" di un
"solo" nucleo familiare, indipendentemente dalle dimensioni
o meno dell'edificio stesso;
- l'intervento non deve comportare ampliamento del volume
complessivo dell'edificio esistente in misura superiore al
20%.
I ricorrenti, a seguito dell’approvazione di un piano di
recupero, ottenevano la concessione edilizia n. 6453 prot.
957 del 26.02.1991 (e successiva concessione edilizia n.
6453 prot. 1315 del 27.07.1993 relativa a varianti al
progetto originario) per il recupero di un edificio di
civile abitazione.
L’art. 4 della convenzione attuativa del predetto piano di
recupero, conteneva l’impegno dei proprietari a versare gli
oneri di urbanizzazione e il contributo sul costo di
costruzione determinato sulla base di un computo metrico
estimativo.
Le predette concessioni venivano quindi rilasciate a titolo
oneroso, con richiesta del pagamento di Lire 12.820.584
relativamente al contributo afferente al costo di
costruzione; somma che risulta poi essere stata versata dai
ricorrenti a favore dell’Amministrazione comunale.
Gli stessi ricorrenti propongono ora ricorso chiedendo
l’annullamento, in parte qua, dei provvedimenti sopra
indicati e la conseguente condanna del Comune alla
restituzione della somma corrisposta a titolo di contributo
concessorio.
Al riguardo deducono, con una prima censura, che detto
contributo non avrebbe dovuto essere corrisposto in
applicazione dell’art. 9, lett. d), della Legge n. 10/1977,
trattandosi di intervento finalizzato al recupero di un
edificio unifamiliare. Di conseguenza deve considerarsi
illegittima la pretesa economica dell’Amministrazione, come
altrettanto illegittimo deve considerarsi l’art. 4 della
citata convenzione. In punto di fatto evidenziano che
l’edificio ha mantenuto, anche dopo la ristrutturazione, la
configurazione unifamiliare, senza aumenti di volume e di
superfici rispetto alla struttura esistente.
...
2. Nel merito il primo profilo di doglianza è fondato.
In punto di diritto va osservato che l'art. 9, lett. d),
della Legge 28.01.1977 n. 10, all'epoca vigente, stabiliva
che il contributo per spese di urbanizzazione e costo di
costruzione non era dovuto: “per gli interventi di
restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e
di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di
edifici unifamiliari".
Come ha già osservato la giurisprudenza amministrativa
condivisa da questo Collegio (cfr. TAR Marche, 31.01.2007 n.
8), dalla disposizione in esame si possono trarre i seguenti
principi:
- l'esenzione riguarda anche gli interventi di
ristrutturazione, con la conseguente irrilevanza
dell'eventuale modifica della destinazione d'uso di alcuni
locali, se resta invariata quella complessiva dell'edificio;
- si deve trattare di un edificio "unifamiliare" e,
in mancanza di ulteriori specificazioni limitative, tale è
quello strutturalmente destinato all'uso "abitativo"
di un "solo" nucleo familiare, indipendentemente
dalle dimensioni o meno dell'edificio stesso;
- l'intervento non deve comportare ampliamento del volume
complessivo dell'edificio esistente in misura superiore al
20%.
Esaminando le tavole progettuali e di accatastamento versate
in atti, emerge chiaramente che si tratta di un edificio
unifamiliare. Tale configurazione è compatibile con la
presenza di alcuni piccoli vani accessori tipici del
casolare rurale nel periodo in cui detto edificio venne
realizzato (porticato, latrina, porcile, stalla e stallino,
letamaio e cantina).
Emerge, inoltre, che l’edificio non è stato oggetto di
ampliamento, ma solo di recupero edilizio mediante
ristrutturazione con l’eliminazione delle superfetazioni e
con modifica della destinazione d’uso dei vani accessori (di
natura agricolo/residenziale) non più necessari in relazione
alle moderne esigenze abitative, pur mantenendo la
destinazione monofamiliare secondo i tradizionali schemi
tipologici delle abitazioni rurali.
Sussistono, dunque, tutti i presupposti indicati dal citato
art. 9, lett. d), della Legge n. 10/1977 per il rilascio
gratuito dei titoli edilizi oggetto di ricorso (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza
25.02.2008 n. 151
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Contributo per il rilascio dei permesso di
costruire (artt. 16 e 19 del D.P.R. n. 380/2001).
Il Comune fa presente che “nell’anno 2002 è stata
rilasciata la Concessione Edilizia per la realizzazione di
un intervento soggetto al contributo di cui agli articoli 16
e 19 del D.P.R. n. 380/2001 e che “relativamente al costo di
costruzione l’importo da pagare è stato determinato sulla
base di apposita perizia giurata a firma del tecnico
progettista e trasmessa dal richiedente”.
Il Comune aggiunge che “a seguito di successivi
accertamenti è emersa la non corrispondenza tra le opere
oggetto di Concessione Edilizia (e successive varianti) e
quelle oggetto della richiamata perizia” e che “in
conseguenza di ciò la parte interessata ha trasmesso nuova
perizia giurata, congruente con le opere autorizzate, il cui
importo è superiore a quello stimato con la perizia
precedentemente trasmessa”.
Rileva che “quanto sopra comporta una maggiore
quantificazione del costo di costruzione da corrispondere”
al Comune e chiede pertanto se “alla maggiore somma da
richiedere all’interessato a seguito dell’applicazione
dell’aliquota del 10% all’importo delle opere, così come
rideterminato con la nuova perizia giurata, vanno applicate
le sanzioni previste dall’art. 42 del D.P.R. 380/2001” e
se sul maggiore importo così determinato vanno altresì
applicati “gli interessi”.
Comunica che l’orientamento del Capo Area Tecnica del Comune
è il seguente: “non applicazione delle sanzioni previste
all’art. 42 del D.P.R. 380/2001 in quanto gli originari
importi, anche se sulla base di un’erronea perizia giurata
inviata dall’interessato per il calcolo del costo di
costruzione, sono stati comunque corrisposti nei termini e
con le modalità indicate dall’Ente prima del rilascio della
Concessione Edilizia” e “applicazione degli interessi
al tasso legale sul maggiore importo calcolato per il
periodo che va dal rilascio della originaria Concessione
Edilizia all’attualità” (Regione Marche,
parere 10.01.2008 n. 78/2008). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Applicazione dell’art. 9, primo comma, lett. d),
della legge 28.01.1977, n. 10 (ora art. 17, comma 3, lett.
b) del D.P.R. 06.06.2001, n. 380).
Il Comune fa notare che la quinta sezione del Consiglio di
Stato ha pronunciato la decisione n. 9672 del 1998 (rectius:
n. 6289 dei 2004), che allega in copia, con la quale si è “dato
ragione ad un comune che aveva imposto il pagamento del
contributo di costruzione per un intervento di
ristrutturazione su un edificio ex agricolo, unifamiliare,
senza alcun incremento di unità immobiliari”.
Il Comune ritiene che l’intervento oggetto del contendere
avrebbe dovuto essere esente dal contributo di costruzione,
così come disposto dall’art. 17, comma 3, lett. b), del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (già art. 9, primo comma, lett.
d), della legge 28.01.1977, n. 10).
Chiede quindi, alla luce della predetta decisione del
Consiglio di Stato, “quali indirizzi intraprendere per
interventi analoghi” e, “in particolare se il cambio
di destinazione da ex utilizzo “agricolo” dell’immobile
inteso quale vecchia abitazione del colono, ad edificio
“residenziale”, determina o meno un provvedimento oneroso
anche nel caso in cui l’intervento, pur prevedendo
l’estensione dei locali uso abitativo anche al piano terra,
mantiene un uso unifamiliare” (Regione Marche,
parere 05.06.2007 n. 54/2007). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Esenzione
dagli oneri di urbanizzazione.
La finalità dell'art. 9, l. 28.01.1977 n.
10, secondo cui il contributo per spese di
urbanizzazione e costo di costruzione non è
dovuto per gli interventi di restauro, di
risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20 per cento, di edifici
unifamiliari, è quella di esentare dal
contributo concessorio ogni intervento
edilizio sugli edifici esistenti destinati
all'abitazione di un solo nucleo familiare,
sull'evidente presupposto che lo hanno già
scontato o ne erano comunque esenti al
momento della realizzazione, esonerando
anche l'eventuale loro ampliamento, purché
contenuto nella percentuale sopra indicata
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Marche, Sez. I,
sentenza 31.01.2007 n. 8 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2006 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Come
è noto la legge Bucalossi n. 10 del 1977,
introducendo nell’ordinamento il principio
in base al quale ogni attività comportante
trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio comunale deve partecipare agli
oneri da queste derivanti, ha sancito la
regola generale della onerosità della
concessione edilizia.
Da tale regola discende il potere dell’ente
locale di imporre al titolare del permesso
un contributo articolato in due quote,
rispettivamente commisurate da un lato
all’incidenza delle spese di urbanizzazione
primaria (strade, fognature, reti etc.) e
secondaria (scuole, mercati, chiese etc.)
sulla base di tabelle parametriche definite
in sede regionale per classi demografiche
dei comuni e dall’altro al costo di
costruzione dell’edificio.
L’art. 9, comma 1, lett. d), della legge
(ora sostituito dall’art. 17, comma 3, lett.
b), del T.U. n. 380 del 2001 ma vigente all’
epoca dei fatti in controversia) prevede
peraltro che il contributo non è dovuto per
gli interventi di restauro, di risanamento
conservativo, di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al
venti per cento, di edifici unifamiliari.
Come appare evidente, l'esenzione dal
pagamento dei contributi di cui si discute
ha la funzione di agevolare i proprietari di
alloggi unifamiliari, presumendo il
Legislatore che gli interventi edilizi sugli
stessi non abbiano carattere di lucro, ma la
sola funzione di migliorare le condizioni di
abitabilità degli edifici medesimi,
indipendentemente dalla loro dimensione.
---------------
Come risulta dalla narrativa, oggetto
sostanziale della presente controversia è la
effettiva debenza dei contributi concessori
richiesti dal comune di Peglio (ed
originariamente corrisposti dai coniugi oggi
appellanti) in relazione all’intervento
edilizio assentito con la concessione n. 6
del '94 e relative varianti, consistente
nella ristrutturazione di un immobile
fatiscente e nella realizzazione di un ampio
box interrato.
Con il primo motivo gli appellanti
deducono che nel caso in esame l’incremento
conseguente ai lavori di ristrutturazione
non ha superato la percentuale di comporto
del 20% rispetto alla volumetria originaria,
non potendosi del resto computare ai fini
dell’incremento l’autorimessa interrata.
Ha quindi errato il Tribunale nel
disattendere le risultanze progettuali e la
relativa relazione tecnica valorizzando in
modo pressoché esclusivo la negativa perizia
di un libero professionista il quale,
ancorché officiato dal comune, avrebbe
dovuto astenersi dall’incarico istruttorio,
avendo già svolto nel pregresso attività
retribuita –consistente in uno studio di
fattibilità– per conto dei proprietari.
Il mezzo è infondato.
Come è noto la legge Bucalossi n. 10 del
1977, introducendo nell’ordinamento il
principio in base al quale ogni attività
comportante trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio comunale deve
partecipare agli oneri da queste derivanti,
ha sancito la regola generale della
onerosità della concessione edilizia.
Da tale regola discende il potere dell’ente
locale di imporre al titolare del permesso
un contributo articolato in due quote,
rispettivamente commisurate da un lato
all’incidenza delle spese di urbanizzazione
primaria (strade, fognature, reti etc.) e
secondaria (scuole, mercati, chiese etc.)
sulla base di tabelle parametriche definite
in sede regionale per classi demografiche
dei comuni e dall’altro al costo di
costruzione dell’edificio.
L’art. 9, comma 1, lett. d), della legge
(ora sostituito dall’art. 17, comma 3, lett.
b), del T.U. n. 380 del 2001 ma vigente all’
epoca dei fatti in controversia) prevede
peraltro che il contributo non è dovuto per
gli interventi di restauro, di risanamento
conservativo, di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al
venti per cento, di edifici unifamiliari.
Come appare evidente, l'esenzione dal
pagamento dei contributi di cui si discute
ha la funzione di agevolare i proprietari di
alloggi unifamiliari, presumendo il
Legislatore che gli interventi edilizi sugli
stessi non abbiano carattere di lucro, ma la
sola funzione di migliorare le condizioni di
abitabilità degli edifici medesimi,
indipendentemente dalla loro dimensione.
Tanto chiarito in diritto –e prescindendo
per ora da ogni approfondimento in ordine
alla controversa questione della
riconoscibilità dell’esenzione nel caso in
cui la ristrutturazione comporti un
mutamento della destinazione d’uso
dell’immobile– la controversia all’esame si
risolve nel verificare l’attendibilità del
giudizio in base al quale l’Amministrazione
comunale ha stimato in mc. 253 circa
l’incremento volumetrico risultante dalla
ristrutturazione, a fronte di un incremento
ammissibile (venti per cento teorico)
pacificamente definito in mc. 201 circa.
Al riguardo giova precisare che ai fini di
cui sopra appare del tutto irrilevante la
circostanza che il tecnico incaricato dal
comune di Peglio di eseguire le
verificazioni istruttorie conseguenti alla
domanda di restituzione dell’indebito
proposta dagli odierni appellanti non sia un
dipendente dell’Amministrazione comunale, la
quale, per carenze di personale
specializzato in organico, si avvale infatti
in modo continuativo delle prestazioni di un
libero professionista convenzionato.
Infatti, anche a prescindere dal rilievo che
gli atti di convenzione all’uopo stipulati
tra l’interessato e la G.C. danno comunque
luogo ad un rapporto di servizio tra il
preposto e l’Ente preponente (cfr. Corte
conti – Sez. I giur. 08.04.2002 n. 107/A),
alla relazione predisposta dal
professionista in questione è stato
attribuito dalla sentenza impugnata un mero
rilievo probatorio e non quella portata
fidefacente che postulerebbe nell’autore la
qualità di P.U..
Tanto premesso, dal raffronto tra la
documentazione tecnica versata dai
ricorrenti in primo grado (con particolare
riguardo alla relazione dell’arch. Ce. ed
agli allegati fotografici e progettuali,
specie tav. 3 e all. 1 ) e la documentazione
fornita dal comune emerge con chiarezza –e
senza quindi alcuna necessità di ulteriori
incombenti istruttori- che l’intervento
edilizio ha determinato un incremento
volumetrico rispetto alle preesistenze ben
superiore a quello comportante la gratuità
della concessione.
Tale incremento deve fattualmente ricondursi
da un lato alla costruzione dell’autorimessa
dall’altro alla evidente sovrastima in sede
progettuale delle volumetrie preesistenti,
con precipuo ma non esclusivo riferimento
all’altezza della falda del sottotetto ed al
volume del deposito accessorio.
Per quanto riguarda l’eccedenza dei volumi
preesistenti dichiarati (dalla quale
consegue ovviamente una riduzione
dell’incremento effettivo nel realizzato) i
rilievi fotografici ante inizio lavori
prodotti dal comune e le indicazioni sulla
falda desumibili dalla tav. 3 di variante
dimostrano anzi, a giudizio del Collegio,
che la stima formulata dal professionista
incaricato è del tutto prudenziale.
A ciò deve aggiungersi che non risultano in
alcun modo attendibili i motivi in base ai
quali il progettista, dopo aver in un primo
momento accertato in mc. 57 circa il volume
del vecchio deposito esistente, ha
successivamente portato (all’atto della
variante, e quindi a demolizione ormai
avvenuta) tale stima a mc. 84 circa
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 11.10.2006 n. 6065 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’esame della giurisprudenza in argomento fa
ritenere che l’art. 9 della l. n. 10/1977, avendo introdotto
in una certa serie di ipotesi la figura della concessione
gratuita, rappresenti una deroga al principio generale
dell’onerosità della concessione edilizia, tanto è vero che
l’indicazione delle fattispecie di esonero dal versamento
del contributo di concessione ha carattere tassativo.
Pertanto, le predette fattispecie di esonero, inclusa quella
ex art. 9, lett. d), cit., sono di stretta interpretazione.
Ne discende che è legittimo cercare di individuare e
circoscrivere il contenuto della nozione di “edifici
unifamiliari” ricorrendo, come ha fatto il Comune, a criteri
estratti da altri complessi normativi, con l’unico limite di
non stravolgere la portata della disciplina da applicare.
Nel caso di specie, al contrario di quanto sostenuto nel
ricorso, nessun stravolgimento della portata dell’art. 9,
lett. d), della l. n. 10/1977 si può ricavare dall’avere il
predetto Comune fatto ricorso agli artt. 3 del D.M. n.
1444/1968 e 19 della l.r. n. 51/1975 (quest’ultimo, nella
versione anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 6
della l.r. n. 1/2001), definendo quali “edifici
unifamiliari” quelli la cui volumetria non superi i 100 mc.
per ciascun componente del nucleo familiare, individuato
attraverso l’Anagrafe comunale.
In particolare, dalle norme citate si ricava che il valore
medio, sulla cui base va computata la capacità insediativa,
è di 100 mc. per abitante. Sembra, quindi, ragionevole
l’utilizzo di siffatto criterio anche ai fini della
definizione della nozione di “edifici unifamiliari”, per il
cui ampliamento entro il 20% è prevista la gratuità della
concessione edilizia: ciò, in quanto, come si è già detto,
il principio è quello opposto, dell’onerosità della
concessione stessa, inteso come dovere di contribuire agli
oneri connessi alla trasformazione del territorio, per la
realizzazione di nuovi insediamenti o l’ampliamento di
quelli esistenti, con il conseguente consumo metrico e
volumetrico.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza ha avuto modo di
affermare l’incensurabilità, in sede di legittimità, della
determinazione comunale delle caratteristiche dell’edificio
unifamiliare, stabilite in relazione ad un criterio logico
di abitabilità di un nucleo familiare medio, ai fini
dell’applicazione dell’art. 9, lett. d), cit..
... contro il Comune di Appiano Gentile, non costituito in
giudizio per l’annullamento della nota del Comune di Appiano
Gentile prot. n. 1971/99 del 24.02.1999, con cui è stata
respinta la richiesta di riesame ai fini dell’esonero dal
contributo concessorio ex art. 9, lett. d), della l. n.
10/1977, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e
consequenziale e per l’accertamento dell’indebita
riscossione del contributo concessorio e conseguentemente
per la condanna alla restituzione delle somme indebitamente
versate, pari a £. 7.628.000 (€ 3.939,53), oltre gli
interessi.
...
In ogni caso, anche ai fini di eventuali future ulteriori
azioni giurisdizionali, occorre rilevare come la questione
sollevata dalla ricorrente investa, a ben vedere, l’an
debeatur, cioè la non debenza, nel caso di specie, di
alcun contributo concessorio, atteso l’esonero ex art. 9,
lett. d), della l. n. 10/1977, e non, invece, il quantum
debeatur: poiché, dunque, viene contestata la stessa
imposizione del contributo e non le modalità di calcolo, ci
si trova a contestare la legittimità di un’attività non
paritetica, ma autoritativa, a fronte della quale la
posizione lesa è di interesse legittimo, con il corollario
dell’impugnabilità dell’atto lesivo entro il termine
decadenziale più sopra indicato (C.d.S., Sez. V, 27.09.2004,
n. 6281).
Alle conclusioni fin qui raggiunte nemmeno può obiettarsi
alcunché argomentando dal fatto che la nota comunale
impugnata si pone come conferma in senso proprio e non gi à
come atto meramente confermativo delle precedenti
determinazioni del Comune. Ed infatti, in disparte la
considerazione che la nota comunale prot. n. 1971/99 del
24.02.1999 ha la funzione di indicare alla sig.ra B. l’iter
logico e normativo seguito dall’Amministrazione nel ritenere
non applicabile al suo caso l’esonero dal contributo
concessorio di cui all’art. 9, lett. d), della l. n.
10/1977, piuttosto che di rappresentare l’esito di un
procedimento di vero e proprio riesame della fattispecie
(com’è per la conferma in senso proprio: TAR Sicilia,
Palermo, Sez. II, 22.06.2005, n. 1042), resta il fatto che
la qualificazione della nota in discorso come conferma o
atto meramente confermativo rileva ai soli fini della
necessità o meno dell’impugnativa della nota medesima, ma
non toglie nulla alla necessità che fossero impugnati,
altresì, la “comunicazione” comunale del 13.01.1999,
nonché, in parte qua, la concessione edilizia di pari
data: la mancata impugnazione di tali atti rende, pertanto,
il ricorso inammissibile.
In ogni caso il gravame, oltre che inammissibile, è pure
infondato.
Invero, l’assunto di base della ricorrente è che la
previsione dell’art. 9, comma 1, lett. d), della l. n.
10/1977 non costituisca una deroga ai principi generali in
materia di concessione edilizia, ma anzi ne costituisca una
diretta applicazione, giacché solo le attività comportanti
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio
comunale determinano la partecipazione del realizzatore ai
relativi oneri: in base a tale regola, quindi, poiché in
caso di ampliamento di edifici unifamiliari entro il 20% non
si avrebbe alcuna trasformazione del territorio, del tutto
logicamente la legge ha previsto l’esonero dal contributo di
concessione.
Sempre secondo la ricorrente, se ne dovrebbe dedurre
l’impossibilità di utilizzare ulteriori limitazioni, a pena,
in caso contrario, di stravolgere significato e portata del
testo normativo: nella vicenda in esame, in cui, invece,
tali limitazioni ulteriori sono state utilizzate, avendo il
Comune fatto ricorso al D.M. n. 1444/1968 ed all’art. 19
della l.r. n. 51/1975 per decifrare la nozione di edificio “unifamiliare”,
l’operato dell’Amministrazione sarebbe stato, perciò,
illegittimo.
Tuttavia, l’esame della giurisprudenza in argomento non
conforta la tesi della ricorrente e anzi fa ritenere che
l’art. 9 della l. n. 10/1977, avendo introdotto in una certa
serie di ipotesi la figura della concessione gratuita,
rappresenti, invece, una deroga al principio generale
dell’onerosità della concessione edilizia, tanto è vero che
l’indicazione delle fattispecie di esonero dal versamento
del contributo di concessione ha carattere tassativo
(C.d.S., Sez. V, 06.02.2003, n. 617). Pertanto, le predette
fattispecie di esonero, inclusa quella ex art. 9, lett. d),
cit., sono di stretta interpretazione.
Ne discende che è legittimo cercare di individuare e
circoscrivere il contenuto della nozione di “edifici
unifamiliari” ricorrendo, come ha fatto il Comune di
Appiano Gentile, a criteri estratti da altri complessi
normativi, con l’unico limite di non stravolgere la portata
della disciplina da applicare.
Nel caso di specie, al contrario di quanto sostenuto nel
ricorso, nessun stravolgimento della portata dell’art. 9,
lett. d), della l. n. 10/1977 si può ricavare dall’avere il
predetto Comune fatto ricorso agli artt. 3 del D.M. n.
1444/1968 e 19 della l.r. n. 51/1975 (quest’ultimo, nella
versione anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 6
della l.r. n. 1/2001), definendo quali “edifici
unifamiliari” quelli la cui volumetria non superi i 100
mc. per ciascun componente del nucleo familiare, individuato
attraverso l’Anagrafe comunale.
In particolare, dalle norme citate si ricava che il valore
medio, sulla cui base va computata la capacità insediativa,
è di 100 mc. per abitante. Sembra, quindi, ragionevole
l’utilizzo di siffatto criterio anche ai fini della
definizione della nozione di “edifici unifamiliari”,
per il cui ampliamento entro il 20% è prevista la gratuità
della concessione edilizia: ciò, in quanto, come si è già
detto, il principio è quello opposto, dell’onerosità della
concessione stessa, inteso come dovere di contribuire agli
oneri connessi alla trasformazione del territorio, per la
realizzazione di nuovi insediamenti o l’ampliamento di
quelli esistenti, con il conseguente consumo metrico e
volumetrico.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza ha avuto modo di
affermare l’incensurabilità, in sede di legittimità, della
determinazione comunale delle caratteristiche dell’edificio
unifamiliare, stabilite in relazione ad un criterio logico
di abitabilità di un nucleo familiare medio, ai fini
dell’applicazione dell’art. 9, lett. d), cit. (così C.d.S.,
Sez. II, parere n. 1402 del 24.10.1984).
In definitiva, il ricorso è inammissibile e comunque
infondato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.04.2006 n. 1063 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza fa ritenere che l’art. 9
della l. n. 10/1977, avendo introdotto in
una certa serie di ipotesi la figura della
concessione gratuita, rappresenti, invece,
una deroga al principio generale
dell’onerosità della concessione edilizia,
tanto è vero che l’indicazione delle
fattispecie di esonero dal versamento del
contributo di concessione ha carattere
tassativo. Pertanto, le predette fattispecie
di esonero, inclusa quella ex art. 9, lett.
d), cit., sono di stretta interpretazione.
Ne discende che è legittimo cercare di
individuare e circoscrivere il contenuto
della nozione di “edifici unifamiliari”
ricorrendo, come ha fatto il Comune di ...,
a criteri estratti da altri complessi
normativi, con l’unico limite di non
stravolgere la portata della disciplina da
applicare.
Nel caso di specie nessun stravolgimento
della portata dell’art. 9, lett. d), della
l. n. 10/1977 si può ricavare dall’avere il
predetto Comune fatto ricorso agli artt. 3
del D.M. n. 1444/1968 e 19 della l.r. n.
51/1975 (quest’ultimo, nella versione
anteriore alle modifiche introdotte
dall’art. 6 della l.r. n. 1/2001), definendo
quali “edifici unifamiliari” quelli la cui
volumetria non superi i 100 mc. per ciascun
componente del nucleo familiare, individuato
attraverso l’Anagrafe comunale. In
particolare, dalle norme citate si ricava
che il valore medio, sulla cui base va
computata la capacità insediativa, è di 100
mc. per abitante.
Sembra, quindi, ragionevole l’utilizzo di
siffatto criterio anche ai fini della
definizione della nozione di “edifici
unifamiliari”, per il cui ampliamento entro
il 20% è prevista la gratuità della
concessione edilizia: ciò in quanto il
principio è quello opposto, dell’onerosità
della concessione stessa, inteso come dovere
di contribuire agli oneri connessi alla
trasformazione del territorio, per la
realizzazione di nuovi insediamenti o
l’ampliamento di quelli esistenti, con il
conseguente consumo metrico e volumetrico.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza ha
avuto modo di affermare l’incensurabilità,
in sede di legittimità, della determinazione
comunale delle caratteristiche dell’edificio
unifamiliare, stabilite in relazione ad un
criterio logico di abitabilità di un nucleo
familiare medio, ai fini dell’applicazione
dell’art. 9, lett. d), cit..
L’assunto di base della ricorrente è che la
previsione dell’art. 9, comma 1, lett. d),
della l. n. 10/1977 non costituisca una
deroga ai principi generali in materia di
concessione edilizia, ma anzi ne costituisca
una diretta applicazione, giacché solo le
attività comportanti trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio
comunale determinano la partecipazione del
realizzatore ai relativi oneri: in base a
tale regola, quindi, poiché in caso di
ampliamento di edifici unifamiliari entro il
20% non si avrebbe alcuna trasformazione del
territorio, del tutto logicamente la legge
ha previsto l’esonero dal contributo di
concessione.
Sempre secondo la ricorrente, se ne dovrebbe
dedurre l’impossibilità di utilizzare
ulteriori limitazioni, a pena, in caso
contrario, di stravolgere significato e
portata del testo normativo: nella vicenda
in esame, in cui, invece, tali limitazioni
ulteriori sono state utilizzate, avendo il
Comune fatto ricorso al D.M. n. 1444/1968 ed
all’art. 19 della l.r. n. 51/1975 per
decifrare la nozione di edificio “unifamiliare”,
l’operato dell’Amministrazione sarebbe
stato, perciò, illegittimo.
Tuttavia, l’esame della giurisprudenza in
argomento non conforta la tesi della
ricorrente e anzi fa ritenere che l’art. 9
della l. n. 10/1977, avendo introdotto in
una certa serie di ipotesi la figura della
concessione gratuita, rappresenti, invece,
una deroga al principio generale
dell’onerosità della concessione edilizia,
tanto è vero che l’indicazione delle
fattispecie di esonero dal versamento del
contributo di concessione ha carattere
tassativo (C.d.S., Sez. V, 06.02.2003, n.
617). Pertanto, le predette fattispecie di
esonero, inclusa quella ex art. 9, lett. d),
cit., sono di stretta interpretazione.
Ne discende che è legittimo cercare di
individuare e circoscrivere il contenuto
della nozione di “edifici unifamiliari”
ricorrendo, come ha fatto il Comune di
Appiano Gentile, a criteri estratti da altri
complessi normativi, con l’unico limite di
non stravolgere la portata della disciplina
da applicare.
Nel caso di specie, al contrario di quanto
sostenuto nel ricorso, nessun stravolgimento
della portata dell’art. 9, lett. d), della
l. n. 10/1977 si può ricavare dall’avere il
predetto Comune fatto ricorso agli artt. 3
del D.M. n. 1444/1968 e 19 della l.r. n.
51/1975 (quest’ultimo, nella versione
anteriore alle modifiche introdotte
dall’art. 6 della l.r. n. 1/2001), definendo
quali “edifici unifamiliari” quelli
la cui volumetria non superi i 100 mc. per
ciascun componente del nucleo familiare,
individuato attraverso l’Anagrafe comunale.
In particolare, dalle norme citate si ricava
che il valore medio, sulla cui base va
computata la capacità insediativa, è di 100
mc. per abitante.
Sembra, quindi, ragionevole l’utilizzo di
siffatto criterio anche ai fini della
definizione della nozione di “edifici
unifamiliari”, per il cui ampliamento
entro il 20% è prevista la gratuità della
concessione edilizia: ciò, in quanto, come
si è già detto, il principio è quello
opposto, dell’onerosità della concessione
stessa, inteso come dovere di contribuire
agli oneri connessi alla trasformazione del
territorio, per la realizzazione di nuovi
insediamenti o l’ampliamento di quelli
esistenti, con il conseguente consumo
metrico e volumetrico.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza ha
avuto modo di affermare l’incensurabilità,
in sede di legittimità, della determinazione
comunale delle caratteristiche dell’edificio
unifamiliare, stabilite in relazione ad un
criterio logico di abitabilità di un nucleo
familiare medio, ai fini dell’applicazione
dell’art. 9, lett. d), cit. (così C.d.S.,
Sez. II, parere n. 1402 del 24.10.1984)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.04.2006 n. 1062 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
norma di cui all'art. 17, comma 3, lett. b),
del DPR 06.06.2001, n. 380, va riferita alle
costruzioni unifamiliari che hanno
destinazione residenziale, con esclusione
delle unità immobiliari che siano ricomprese
in più ampi edifici, quali i condomini,
caratterizzati dall'esistenza di parti e
servizi funzionalmente comuni. La norma, ai
fini della sua applicabilità, non richiede
il completo isolamento dell'edificio.
La ratio che ispira la specifica esenzione
(ndr: per gli edifici unifamiliari) è
infatti di derivazione sociale e pertanto la
nozione di edificio unifamiliare assunta
dalla norma non è nella sua accezione
strutturale ma socio-economica e coincide
con la piccola proprietà immobiliare
meritevole, per gli interventi di
ristrutturazione, di un trattamento
differenziato rispetto alle altre tipologie
edilizie.
Deve pertanto ritenersi irrilevante la
comunione di talune strutture portanti o di
qualche muro di confine e devono
conseguentemente essere considerate
unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche
le case realizzate a schiera o in blocco ma
strutturalmente funzionalmente indipendenti.
Nel caso di specie l'edificio oggetto
dell'intervento è una tipica casa economica
che, per numero e funzione di vani,
superficie e volume è costruita per il
soddisfacimento delle esigenze di un solo
nucleo familiare.
Il Collegio ritiene che la norma di cui
all'art. 17, comma 3, lett. b), del DPR
06.06.2001, n. 380, vada riferita alle
costruzioni unifamiliari che hanno
destinazione residenziale, con esclusione
delle unità immobiliari che siano ricomprese
in più ampi edifici, quali i condomini,
caratterizzati dall'esistenza di parti e
servizi funzionalmente comuni.
La norma invece, ai fini della sua
applicabilità, non richiede il completo
isolamento dell'edificio.
La ratio che ispira la specifica
esenzione (ndr: per gli edifici
unifamiliari) è infatti di derivazione
sociale e pertanto la nozione di edificio
unifamiliare assunta dalla norma non è nella
sua accezione strutturale ma socio-economica
e coincide con la piccola proprietà
immobiliare meritevole, per gli interventi
di ristrutturazione, di un trattamento
differenziato rispetto alle altre tipologie
edilizie (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez.
II, 10.10.1996, n. 1480).
Deve pertanto ritenersi irrilevante la
comunione di talune strutture portanti o di
qualche muro di confine e devono
conseguentemente essere considerate
unifamiliari, per tipologia obiettiva, anche
le case realizzate a schiera o in blocco ma
strutturalmente funzionalmente indipendenti
(cfr. Tar Lombardia, Brescia, 01.03.1995, n.
185; id. 07.09.1999, n. 770).
Nel caso di specie, come risulta dalla
documentazione versata in atti, in relazione
alle caratteristiche dell'edificio oggetto
di ristrutturazione che mantiene la
destinazione residenziale ed ha in comune
solo un muro di confine con un'altra unità
immobiliare unifamiliare, mantenendo per il
resto completa autonomia funzionale con
ingressi autonomi e separati, ricorrono
pertanto i presupposti per l'applicazione
dell'esenzione di cui all'art. 17, comma 3,
lett. b), del DPR 06.06.2001, n. 380
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 03.03.2006 n. 268 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2002 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La ratio
che ispira la specifica esenzione del
contributo di costruzione -per gli edifici
unifamigliari- è di derivazione sociale:
l’edificio unifamiliare, nell’accezione
socio economica assunta dalla norma,
coincide con la piccola proprietà
immobiliare, tale da meritare per gli
interventi di ristrutturazione un
trattamento differenziato rispetto alle
altre tipologie edilizie.
Si vogliono incentivare le opere atte ad
adeguare le case unifamiliari alle necessità
abitative del nucleo familiare, senza
estendere l’esenzione ad altre tipologie di
intervento che prescindano dall’entità
strutturale e dalla dimensione spaziale
dell’immobile comparata con il suo valore
economico.
L’intervento edilizio descritto in dettaglio
nella relazione tecnica allegata alla
richiesta di concessione consiste:
nell’accorpamento dei due appartamenti di
cui è composta la villa da ristrutturare;
nell’abbassamento della soletta tra il primo
piano ed il rifacimento del sottotetto con
il recupero abitativo dello stesso; e
nell’allargamento del piano interrato; ed
infine nella modifica del prospetto
posteriore ivi inclusa il sistema
distributivo al piano terra con la
realizzazione di uno studio professionale.
E’ indiscusso pertanto che la villa
originariamente a due piani, divisa in due
distinti appartamenti, dopo l’intervento di
ristrutturazione è stata ricondotta ad
un’unica unità immobiliare.
Per tale tipologia di intervento di
ristrutturazione non trova applicazione
l’esenzione dai contributi di urbanizzazione
prevista dall’ art. 9, lett. d), l. n.
10/1977.
Mette conto infatti rilevare che la norma
espressamente subordina l’esenzione agli
interventi di ristrutturazione e di
ampliamento in misura non superiore al 20%
di edifici unifamiliari.
Il manufatto oggetto dell’intervento deve
essere, fin dall’origine, ante opera,
unifamiliare.
E ciò in conformità ad una serie di
concorrenti elementi univocamente
convergenti con il dato letterale.
Sotto quest’ultimo profilo non va passato
sotto silenzio l’orientamento
giurisprudenziale consolidato che considera
tassativa l’elencazione dei casi di
concessione edilizia gratuita, escludendo
l’applicazione di essi in via analogica
(Cons. St., sez. V, 14.10.1992 n. 987; Tar
Lazio, sez. Latina, 01.08.1994 n. 752; Tar
Lombardia; sez. II, 05.06.1995 n. 800).
La ratio che ispira la specifica
esenzione è di derivazione sociale:
l’edificio unifamiliare, nell’accezione
socio economica assunta dalla norma,
coincide con la piccola proprietà
immobiliare, tale da meritare per gli
interventi di ristrutturazione un
trattamento differenziato rispetto alle
altre tipologie edilizie (cfr. Tar Lombardia
Milano, sez. II, 10.10.1996 n. 1480).
Pertanto l’esenzione è strettamente connessa
con gli immobili di piccole dimensioni, per
l’appunto unifamiliari, che già in origine
prima dell’intervento di ristrutturazione
siano tali (cfr. Tar Marche 12.02.1998 n.
250).
In definitiva si vogliono incentivare le
opere atte ad adeguare le case unifamiliari
alle necessità abitative del nucleo
familiare, senza estendere l’esenzione ad
altre tipologie di intervento che
prescindano dall’entità strutturale e dalla
dimensione spaziale dell’immobile comparata
con il suo valore economico.
Nel caso che ne occupa la villa (si vedano
le planimetrie e la documentazione
fotografica in atti), oltre ad essere di
notevole pregio, era composta da due
separate e distinte unità immobiliari, che
per dimensione delle superfici occupate e
caratteristiche strutturali non è
assimilabile all’edificio unifamiliare preso
in considerazione dalla norma
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 28.01.2002 n. 100 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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